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Scrivere: Aristotele, Mosche e Grafici

Pubblicato da Signor Stockfish il 9 novembre 2007 @ 17:01 in Insalata di Mare,Italiano,Libri,Scrittura,Straniero | 21 Comments

Nei giorni scorsi ci son state furiose polemiche tra quei pochi che vorrebbero le cose fatte per benino e quei molti che son sostenitori di genio & sregolatezza. Come indole, sarei anche portato a stare coi secondi, se non fosse che al mondo purtroppo la sregolatezza abbonda, mentre il genio no. Mettiamo un po’ di ordine, quindi, magari a suon di scapaccioni.

popeye
Lo vedete questo?

La struttura ottima di un’opera di narrativa, che sia romanzo, film o opera teatrale, è la stessa fin dai tempi di Aristotele, che nella sua Poetica disse che una storia deve avere un inizio, uno svolgimento e una fine. L’inizio è ciò che non viene dopo qualcos’altro, la fine è quella dopo la quale non c’è nient’altro, e lo svolgimento è quello che ci sta in mezzo. Bella scoperta, starete già pensando. Banale, direte. Allora, se è così banale, mi spiegate perché c’è pieno di gente in giro che scrive scrive scrive e a mettere nei suoi stramaledetti romanzi un inizio, uno svolgimento e una fine che siano tali proprio non ci arriva, o pensa magari che Aristotele fosse un imbecille, sangue di Giuda???

Aristotele
Aristotele. Credete forse che fosse un imbecille?

L’inizio.
L’inizio di una storia è ciò che contiene l’incidente, un evento capace di turbare lo status quo che dà inizio alla vicenda, introducendo al tempo stesso i personaggi. Importante: il lettore si aspetta che il primo incidente che accade sia anche quello che scatena tutti gli altri eventi. Se così non è in ciò che scrivete, non otterrete l’effetto di essere originali, ma solo di disorientare il lettore.

Lo svolgimento.
Lo svolgimento dovrebbe essere costruito con una successione di eventi via via più drammatici, intervallati da momenti di tranquillità dove la tensione invece si stempera.

La fine.
La fine comincia in corrispondenza del climax, l’evento più drammatico di tutti di fronte al quale il protagonista sembra soccombere. Non importa se il lettore sa che il protagonista ce la farà perché quello è solo il secondo libro di una saga in 19 volumi: con la sua parte irrazionale dovrà comunque dubitare seriamente che il protagonista possa uscirne intero. Quando tutto sembra perduto, la situazione si capovolge per il rotto della cuffia, il protagonista vince e la tensione si stempera via via, fino a che la situazione è normalizzata (risoluzione).

Qui sotto c’è un grafico che mostra quello che dovrebbe essere l’andamento della tensione drammatica. Sento già levarsi alto il coro della tragedia greca:

Aaaaaah, sacrilegio! Qui si vuole profanare l’Arte inquadrandola in un grafico! Giammai! Giammai!

Eh eh eh… voi davvero pensate che per sceneggiare quel film che vi è piaciuto tanto, costato milioni di dollari, gli sceneggiatori non si siano basati consapevolmente su uno schema come questo? Che per scrivere quel best seller che ha venduto milioni di copie che vi ha così emozionato l’autore abbia scritto tutto di getto, in pieno delirio creativo, sbattendosene di ogni regola? Sè, vabbé, andiamo avanti.

Tensione_ottima
L’andamento ottimo della tensione drammatica in una storia

Questo schema non copre ovviamente tutti i generi, ma una buona parte sì, dai romanzi d’amore ai gialli ai romanzi d’avventura come sono generalmente il fantasy e la fantascienza. Naturalmente, è possibile scrivere buone, ottime storie anche fregandosene altamente dello schema sopra, ma bisogna essere molto ma molto bravi. Invece, rispettando una struttura come quella sopra, anche un perfetto cretino può, con un po’ di applicazione, scrivere una storia che non faccia troppo sbadigliare o al contrario girar le palle a leggerla.

Tanto per fare un esempio pratico su cosa è una successione di eventi via via più drammatica, se il detective Marlowe a pag. 50 viene minacciato, a pag. 100 pestato e se a pag. 150 gli sparano addosso, va bene. Se le cose avvengono nell’ordine inverso, vedete bene che se lo minacciano dopo avergli prima sparato addosso e poi averlo pestato, l’effetto diventa quasi comico.

Vediamo allora l’esempio di un capolavoro, scritto da uno molto bravo, di cui ho già accennato: Il Signore delle Mosche (1954). L’autore, William Golding, era uno da Premio Nobel per la Letteratura (lo ha vinto nel 1983), e nonostante questo non si è azzardato a rompere lo schema di cui sopra. Anzi, forse ha vinto il Nobel anche per questo. Capito???

  • Incidente: un aereo che porta in salvo una scolaresca di ragazzi inglesi delle scuole elementari e medie cade in mare nei pressi di un’isola tropicale, in piena Terza Guerra Mondiale. Nessun adulto sopravvive, i ragazzi si ritrovano da soli sull’isola.
  • Svolgimento: bisogna organizzarsi per i bisogni fondamentali, si elegge un capo. La frutta abbonda, ma un gruppo di ragazzi tra i più grandi, che contendono la leadership del capo, fondano un gruppo di cacciatori. I ragazzi, lasciati a sé stessi, diventano sempre più selvaggi e violenti. Scoppiano liti e contrasti sempre più gravi, fino a che uno dei ragazzi viene ucciso. Oggi siamo assuefatti a tutto, ma nel ’54 l’evento di un bambino assassinato da altri bambini era un’idea assolutamente agghiacciante, tanto per dire cosa si intende per tensione drammatica crescente.
  • Climax: il protagonista, colui che all’inizio era stato eletto capo, fugge inseguito dai “cacciatori”, che lo vogliono uccidere infilandogli un palo acuminato su per il didietro, e tutti sono contro di lui. Stremato, cade a terra lungo la spiaggia.
  • Risoluzione: Si ritrova davanti le scarpe bianche di un ufficiale della marina britannica. Sono venuti a salvarli. L’ufficiale dice qualcosa del tipo: “Vi siete ridotti come dei selvaggi! Questo non è dignitoso per dei ragazzi inglesi.” Tutti di colpo ritornano bambini, e scoppiano a piangere.

Il romanzo che ho recensito la scorsa volta, invece, I Boschi della Luna, non verrà mai portato come credenziale per l’autore in caso di nomination al Nobel. Perché? Eppure, guardate, dal punto di vista della struttura era quasi perfetto. Quasi. Poi, naturalmente, ha un sacco di altri problemi, tipo i dialoghi, ma con la struttura c’eravamo abbastanza. C’è un buon inizio, con un incidente forte, ben definito. C’è una discreta fine, con il giusto climax e la conseguente risoluzione della tensione e il ritorno alla normalità. L’ultimo capitolo invece, che è uno strascico inutile, è da tagliare completamente. Ma il problema più grave è tutto quello che ci sta in mezzo, che come è normale è anche la parte più lunga del libro. In tutta la parte centrale, 150 pagine su 240 totali, la tensione svanisce totalmente. Non è possibile che, dopo essere fuggiti per il rotto della cuffia da una città in preda al caos e all’anarchia mentre la civiltà è al tracollo, l’evento drammatico successivo sia la caccia al cinghiale, perché non regge assolutamente il confronto. E dopo la caccia al cinghiale, non è possibile che l’evento drammatico successivo sia la pesca alla trota, sangue di Giuda!

Il grafico è qua sotto:

Tensione_BDL
La tensione drammatica ne I Boschi della Luna

Come vedete, confrontandolo col grafico precedente, c’è tutta la parte centrale che va praticamente a zero. Risultato: ci si annoia. Inoltre, la tensione drammatica nel climax non è forte quanto quella dell’incidente iniziale.

Tutto sommato questa cosa dei grafici mi piace un sacco. Credo proprio che li userò anche nelle prossime recensioni, dove ne vedremo delle belle.


Approfondimenti:
bandiera IT La Poetica di Aristotele
bandiera EN Lord of the Flies su Wikipedia


21 Comments (Mostra | Nascondi)

21 Comments To "Scrivere: Aristotele, Mosche e Grafici"

#1 Comment By Simone On 9 novembre 2007 @ 21:41

Aristotele si starà rigirando nella tomba (a lui non piaceva tanto la retorica). Comunque è un’idea simpatica e sono curioso di vedere qualche storia di successo… così magari per un po’ non ve la prendete con gli autori sfig… emergenti.

Simone

#2 Comment By Alex McNab On 9 novembre 2007 @ 21:47

beh, hai scoperto un po’ l’acqua calda, con questo post :)
Che poi ci siano degli inetti che non sanno nemmeno distinguere tra Inizio-svolgimento-fine, è un altro paio di maniche…
Però, in un Paese in cui abbiamo anche notissimi giornalisti che sanno a malapena fare degli articoli di quotidiani, di cosa dovremmo stupirci?

#3 Comment By Gamberetta On 9 novembre 2007 @ 22:53

Non è che siano questioni così scontate. Basti pensare alla gran quantità di scrittori italiani e non, esordienti o meno, che cominciano le loro storie con un prologo, spesso collocato anni se non millenni lontano dagli avvenimenti. Nel 99% dei casi tale prologo è inutile, proprio perché è prima dell’inizio della storia.
In generale, capire quando far cominciare una storia e quando farla finire non è così immediato, e più d’uno sbaglia.

#4 Comment By Signor Stockfish On 9 novembre 2007 @ 23:30

@Simone: noi della Barca dei Gamberi siamo lupi (di mare) tanto buonini… ;)

@Alex: lo scopo era proprio quello di porre una base per future recensioni, alcune delle quali ci faranno dire: “Ah, l’acqua calda, questa sconosciuta!” :)

@Tutti quelli che vogliono critiche costruttive:
Ma, benedetti figliuoli, invece che dire solo “è noioso” (che già basterebbe: se è noioso, è noioso), spiegare anche il motivo che lo rende noioso, non è una delle critiche costruttive che tutti dicono sempre di desiderare? Guardate che poi vi cresce il naso! ^_^

#5 Comment By Alex McNab On 10 novembre 2007 @ 13:53

Tu giochi con le parole, sai bene quali sono le perplessità che destano le tue/vostre discussioni.
Nulla da eccepire sui contenuti (quasi sempre ben espressi, anche se a volte opinabili, ma ci sta); sono i toni che spesso sfiorano la denigrazione personale dell’autore (e non raccontarmi che si tratta sempre ironia e sarcasmo, perchè alla lunga ci credono in pochi ^_^)
Non per riaprire polemiche, giusto per non passare per fessi ;)

#6 Comment By Signor Stockfish On 10 novembre 2007 @ 18:06

Scusa Alex, ma se non sono ironia e sarcasmo, allora cosa sono? Pensi che ci sia qualche tornaconto segreto?

Non ho giocato granché con le parole, tu mi hai detto “hai scoperto l’acqua calda” e io ho detto ok, l’avevo già detto io che quest’acqua calda era già stata scoperta ai tempi di Aristotele. Quello che sostenevo è che i casi sono due: o l’eco di questa scoperta a molti non è ancora arrivato, oppure molti si sentono superiori, quasi sempre sopravvalutandosi.

#7 Comment By JackVenom On 11 novembre 2007 @ 00:06

Ciao a tutti!
Scusate, ma che intendete con inizio, svolgimento, fine? Intendete quindi “rispettare l’ordine cronologico degli eventi”? Non accettate nemmeno flashback e strategie simili?

#8 Comment By Gamberetta On 11 novembre 2007 @ 02:46

No, inizio e fine s’intendono rispetto al “significato” della storia, non rispetto allo scorrere del tempo.
Per esempio, prendiamo un poliziesco. In ordine cronologico gli eventi sarebbero: omicidio, indagine, cattura dell’assassino. Si potrebbe però far iniziare la storia con il detective che riceve l’incarico d’indagare sul caso, a metà arresta l’assassino e alla fine ricostruisce come si è svolto l’omicidio (magari scoprendo che era legittima difesa).
Tuttavia, in generale, non seguire una linearità temporale non è una grande idea. Se si ha il continuo bisogno di flashback c’è qualcosa che non va nell’impostazione della storia, è probabile che non si sia scelto il giusto inizio. E se invece lo si fa solo come “effetto speciale”, è uno spreco di tempo, il lettore si annoia e basta, perché i flashback sono fastidiosi. I flashback costringono il lettore a interrompere la storia e immergersi in un’altra per poi di nuovo bloccarla e tornare alla principale. Ci si stufa molto in fretta.

#9 Comment By Signor Stockfish On 11 novembre 2007 @ 08:21

Una volta lessi che la tendenza di molti autori moderni è cominciare la storia a metà, proseguire con l’inizio e finire senza fine. In alcuni casi magari funziona, perché dà la possibilità di cominciare con una scena forte, al centro dell’azione, creando la curiosità di sapere non cosa succederà dopo ma come e perché si è arrivati a questo punto. Esempio: un tizio è sulla cima di un pilone del Golden Gate di San Francisco, con una pistola in mano e un cadavere vicino a lui. Guarda di sotto, come se si volesse buttare. Poi cambia scena e si rivede il tizio in una situazione di normalità, dove si capisce bene che abbiamo fatto un salto indietro.

Il finire senza fine è tipico di tutti i finali ambigui, è anche un po’ come dire che non se ne può più di lieto fine moralisti e di descrivere un mondo dove alla fine i conti tornano sempre. E’ anche ciò che spinge gli spettatori di un film a discutere all’uscita della sala, creando un effetto pubblicitario. Esempio: in Basic Instinct la scena finale lascia il dubbio che il detective, accecato dal tasso ormonale, abbia preso una cantonata pazzesca, e che fosse davvero lei l’assassina. Personalmente, non amo molto il finire senza fine perché è un po’ barare: nemmeno lo scrittore/sceneggiatore sa se era davvero lei l’assassina, non si è posto il problema. Cioè: non è che non sa cosa succederà dopo i titoli di coda, che va bene, ma non sa neanche cosa è successo davvero DURANTE il film.

In alcuni casi una struttura del tipo cominciare a metà, proseguire con l’inizio (e in generale tutte le strutture con salti avanti e indietro) può crare un effetto suggestivo, ma ha dei limiti. Quello più evidente è che funziona solo se tutta la storia è centrata sulle vicende di un solo personaggio, perché nel gestire invece una storia “corale” in questo modo c’è il rischio che le cose sfuggano presto di mano e che si crei solo una gran confusione.

C’è un film, “Memento” (che come genere potremmo definire un noir), in cui l’idea di partenza è che un tizio ha un danno al cervello per cui gli manca la memoria a breve termine. Ricorda tutto fino al momento dell’incidente ma poi più nulla. Dimentica costantemente tutto quello che gli è successo tranne gli ultimi cinque minuti. Ha sviluppato un metodo: si lascia appunti, scatta foto istantanee, le informazioni più importanti se le tatua addosso. L’espediente narrativo è che il film è montato “al contrario”: spezzoni di 5 minuti si susseguono andando a ritroso nella vicenda. L’effetto è suggestivo, anche se verso la fine del film (che è l’inizio della vicenda) si perde un po’ il filo.

Insomma, se vogliamo andare sul sicuro, narrare gli eventi secondo la loro cronologia sembra ancora l’idea migliore quando si è alle prime armi come scrittori. Nei generi avventuosi come la fantasy in generale non si vede granché la necessità di stravolgere l’andamento temporale. Diverso può essere per quella fantascienza che contiene anche elementi di mistery.

In sintesi: i salti temporali avanti e indietro ci possono stare se aggiungono qualche pregio al romazo/film senza creare confusione. Se non cambia niente rispetto ad una narrazione in ordine cronologico, quest’ultima è sicuramente preferibile.

#10 Comment By Nick Truth On 11 novembre 2007 @ 15:26

Tutto dipende dall’abilità dello scrittore e dalla qualità della storia.
Il flashback è una strategia ormai collaudata, e non vedo perchè uno scrittore dovrebbe privarsene per semplificare la lettura. In generale il lettore non è idiota e capisce benissimo il filo temporale (posto che lo scrittore non sia totalmente incapace, ma allora non stiamo più parlando di scrittori).
Oggi come oggi ci sono diversi modi di strutturare un romanzo: si può cominciare dalla fine, dall’inizio, dal mezzo. Dipende appunto dalle capacità espressive e dalla fantasia dello scrittore (che non si occupa solo degli eventi, ma anche del modo in cui gli eventi si strutturano, e non bisogna dimenticare la fantasia linguistica, dote non meno necessaria della fantasia nel creare storie).
Ci sono romanzi che intersecano più storie in un unico romanzo, romanzi che si basano sui flashback e che magari oggi come oggi sono capolavori letterari che hanno cambiato la storia della letteratura: La Ricerca di Proust, ma non dimentichiamo La Signora Dalloway (per il quale, tra l’altro, non vale neppure la struttura rappresentata nel grafico del post) della Wolf. Certo, sono letture non proprio leggere, ma questo fatto non ne diminuisce lo spessore artistico, di grande qualità.
Nel fantasy effettivamente la struttura appare sempre lineare, ma questo non significa che non si possa scrivere diversamente, e anzi, sarebbe un bene se qualcuno sperimentasse anche in questo senso. Magari rinnoverebbero un genere che soffre dello stereotipo e,
inutile negarlo, di basso spessore artistico.
Seguire per forza l’ordine cronologico contrasta poi con un’altra regola fondamentale della scrittura “creativa”: sperimentare diversi stili e diverse strutture.
Ovviamente complicare la struttura non è alla portata di tutti, ma uno scrittore che ha bisogno di sapere che uno scritto (qualsiasi scritto) si struttura in inizio-svolgimento-conclusione forse dovrebbe cambiare mestiere, visto che è ovvio come è ovvio che un libro ha le pagine.
Per concludere io preferisco leggere una romanzo fantasioso anche nella struttura che un romanzo con una struttura uguale a mille altre perchè “così si scrive un fantasy”.
La cristallizzazione di una struttura è infatti la morte del genere, ma la storia ci insegna che nulla si può cristallizzare e che le regole sono destinate ad essere trasgredite.
Per fortuna.

#11 Comment By JackVenom On 11 novembre 2007 @ 15:39

@ Mr. Stockfish: parli del film “Memento” e dici che verso la fine perdi un po’ il filo per via dell’espediente narrativo. Nessuna delle persone che conosco ha perso il filo, ma ok, penso che sia una cosa soggettiva.
Ma sappi che anche altri film, seppur non in maniera estrema come in “Memento” utilizzano tecniche simili: pensa ad alcuni film di Tarantino, “Pulp Fiction” e “Le Iene” in primis. Non credo che sia proprio possibile perderne il filo. Oppure pensa alla scena finale di “Matrix” dove addirittura verso la fine si assiste a degli sbalzi in avanti nel tempo che chiariscono invece che complicare.
In generale, penso che chi si attiene a certe regole in maniera troppo rigida manchi di personalità. La narrazione è libera, qualunque cosa si narri, basta solo che la chiarezza, e non la voglia di “fare lo strano”, prevalga su tutto.

#12 Comment By Signor Stockfish On 11 novembre 2007 @ 17:02

@JackVenom: se son l’unico ad aver perso un po’ il filo in Memento, che ci vuoi fare, sarò cretino io… pazienza. No, aspetta, in realtà a molti di quelli che conosco io è successa la stessa cosa. Altri che hanno tentato di spiegarmelo, invece, poi si è capito che loro CREDEVANO di aver capito tutto, e invece non avevano capito una beata fava fin dall’inizio ;)
Forse comunque non si è capito da quello che ho detto, ma quell’espediente narrativo mi è piaciuto un sacco. L’ho trovato solo un po’ confuso verso la fine.

@NickTruth: tu mi parli di geni della letteratura, per i quali ovviamente nessuno dei miei discorsi ha valore. Ciò che ho scritto io è rivolto a chi vorrebbe aspirare a raggiungere il livello di un onesto artigiano e ha problemi anche in tal senso, non certo agli Artisti con la A maiuscola. Il mio consiglio, alla fine è: un passetto alla volta, cominciando dalle cose più semplici senza pretendere di bruciare le tappe (se non si è nati piccoli geni), e conoscere i propri limiti attuali. Fin qui siamo tutti d’accordo?

#13 Comment By JackVenom On 11 novembre 2007 @ 17:11

;) In effetti non si era capito!! Ma a questo punto capisco anche che c’è stato un malinteso!

#14 Comment By Nick Truth On 11 novembre 2007 @ 17:19

In questo caso allora concordo, prima si impara a camminare e poi si impara a saltare.
Però ci tengo a fare una precisazione: non abbiamo bisogno di artigiani, ma di scrittori. Artigiani ce ne sono già troppi… e spesso gli artigiani sono quelli che hanno un’ottima padronanza della scrittura (Dan Brown, Stephen King), e delle strategie commerciali… ma una sistematica incapacità di scrivere qualcosa di “artistico” che arricchisca davvero il lettore.

#15 Comment By Federico Russo “Taotor” On 11 novembre 2007 @ 17:33

Quello che hai scritto, Signor Stockfish, mi sembra una marea di cose abbastanza giuste… :D Vorrei poter dire che se uno scrittore si attiene allo schema standard, ovviamente non combinerà niente e sarà solo uno dei tanti che non ha risolto nulla. Solo che hai scritto:
“Naturalmente, è possibile scrivere buone, ottime storie anche fregandosene altamente dello schema sopra, ma bisogna essere molto ma molto bravi.”
Cioé? Bravi come? Dove risiede la bravura? Nell’abilità narrativa? Nei dialoghi?…

Esistono romanzi di successo che non rispettano quello schema. Il Rosso e il Nero di Stendhal, per esempio, è una gran palla che non finisce più, dall’inizio alla fine, eppure per qualche motivo è diventato un classico. Dracula di Bram Stoker: climax in poche pagine, impennata massima, e caduta bestiale. E via, per decine di pagine la linea non si solleva per niente: in un certo senso ricalca lo schema dei Boschi della luna. :lol:
Come si spiega? :) Ciao!

Federico

#16 Comment By Signor Stockfish On 11 novembre 2007 @ 18:32

Be’, non è vero che attenendosi allo schema standard non si combina niente di buono: ho fatto l’esempio de Il Signore delle Mosche proprio perché è un capolavoro e rispetta la struttura standard in pieno. Mettermi a compilare una lista dei romanzi universalmente ritenuti capolavori che rispettano lo schema e di quelli che son ritenuti capolavori ma stravolgono lo schema travalica le mie forze e le mie intenzioni, ma sospetto che scopriremmo che la prima è molto più ben nutrita. Tieni presente poi che il mio discorso è rivolto principalmente alla narrativa fantasy e in genere di azione, e non certo al romanzo di introspezione psicologica o umoristico, per fare due esempi. Per cui, il discorso è orientato a quei generi dove è richiesta una tensione drammatica crescente all’interno della storia, pena la noia del lettore.

Su Dracula, il discorso è complesso. Intanto parliamo del primo romanzo lungo (a quanto mi risulta) di genere vampiresco, per cui parte già con questo vantaggio sul fatto di essere considerato una pietra miliare della letteratura di genere. L’ho letto tanto tempo fa, ma ricordo che l’essere strutturato in frammenti di diario, che mostravano visioni parziali di personaggi che non riuscivano da soli ad avere l’idea della situazione, creava una certa tensione. Quando finalmente tutti i fili si riannodavano e finalmente tutti cominciavano a parlare di vampiri, ho tirato un sospiro di sollievo.

#17 Comment By Angra On 13 novembre 2007 @ 12:30

Ciao Stockfish, ma con questi grafici non è che sei per caso anche tu ingegnere? ;)

Mi pare che ce ne sia un’inflazione… ^_^

#18 Comment By Signor Stockfish On 13 novembre 2007 @ 14:11

@Angra: No, prima di imbarcarmi sulla Barca dei Gamberi facevo il ramponiere su una nave bananiera.

#19 Comment By Jabor On 30 dicembre 2008 @ 21:22

Tralasciando tutti gli aspetti del post che sono già stati discussi; sbaglio o assomiglia un po’ troppo a “fate i libri a tavolino se non siete dei geni”? se ho capito bene, ritengo che non sia una cosa molto piacevole. Certo, rivedere la trama, i dialoghi e via dicendo va bene, ma creare tutta la storia con scopi che – alla fine – sono commerciali, a me sembra triste.

#20 Comment By Alessandro B. On 16 febbraio 2009 @ 14:23

Ciao a tutti,

ho letto questa recensione per caso, addirittura cercando una cosa per ricerche su Aristotele. Il contenuto sembra buono e abbastanza valido ma non ho potuto fare a meno di notare alcuni errori: innanzi tutto Aristotele quando parla di unità di tempo, luogo e azione si riferisce al genere della tragedia (anche se lui riteneva potesse esserci un aspetto di verosimiglianza con la realtà in generale). Poi il sistema del sapere elaborato dal filosofo è ben più complesso e se lo vuoi conoscere a fondo ti consiglio di leggere la Metafisica e l’Ermeneutica, non la Poetica. Questo secondo me era il primo passo da fare, scegliere in maniera più accurata la fonte.

Hai un po’, come dire, ridicolizzato Aristotele o meglio, l’hai semplificato all’ennesima potenza. Il grafico e gli schemi sulla suddivisione narrativa e il climax sono efficaci, ma come li hai esposti si corre il grosso rischio di ritenere che esista una sola via per accedere alla scrittura.

Riguardo al romanzo “I boschi della luna” mi viene un forte dubbio:

Il romanzo che ho recensito la scorsa volta, invece, I Boschi della Luna, non verrà mai portato come credenziale per l’autore in caso di nomination al Nobel. Perché? Eppure, guardate, dal punto di vista della struttura era quasi perfetto. Quasi. Poi, naturalmente, ha un sacco di altri problemi, tipo i dialoghi, ma con la struttura c’eravamo abbastanza. C’è un buon inizio, con un incidente forte, ben definito. C’è una discreta fine, con il giusto climax e la conseguente risoluzione della tensione e il ritorno alla normalità. L’ultimo capitolo invece, che è uno strascico inutile, è da tagliare completamente. Ma il problema più grave è tutto quello che ci sta in mezzo, che come è normale è anche la parte più lunga del libro. In tutta la parte centrale, 150 pagine su 240 totali, la tensione svanisce totalmente. Non è possibile che, dopo essere fuggiti per il rotto della cuffia da una città in preda al caos e all’anarchia mentre la civiltà è al tracollo, l’evento drammatico successivo sia la caccia al cinghiale, perché non regge assolutamente il confronto. E dopo la caccia al cinghiale, non è possibile che l’evento drammatico successivo sia la pesca alla trota, sangue di Giuda!

Per te non è un evento drammatico la sopravvivenza? Perché da qui parte tutto. Altrimenti creperebbero di fame e rischierebbero la pelle. Non mi risulta sia una vicenda a bassa tensione drammatica.
Il rischio è, che a furia di voler analizzare troppo nel dettaglio ogni cosa nella struttura etc., si perda davvero di vista l’aspetto globale e il gusto, il piacere della lettura. (In my opinion).

Questi naturalmente sono consigli, non me ne vogliate.
Ciao Ale

#21 Comment By Alexander91 On 13 ottobre 2012 @ 14:21

Mi rendo conto di quanto sia inutile commentare un post così vecchio come questo, tuttavia non posso resistere dal fare alcune precisazioni a ciò che ha scritto Alessandro B…

innanzi tutto Aristotele quando parla di unità di tempo, luogo e azione si riferisce al genere della tragedia

Sì ma 1) il Signor Stockfish non ha parlato di ciò ma del fatto che una narrazione (teatrale, certo, ma lo stesso dicasi per qualunque narrazione in generale) deve avere un inizio uno svolgimento ed una fine 2) unità di tempo, luogo ed azione le ritroviamo puntualmente nei singoli capitoli di un romanzo odierno. Aristotele ha intuito allora un grande principio dell’arte narrativa.

Poi il sistema del sapere elaborato dal filosofo è ben più complesso e se lo vuoi conoscere a fondo ti consiglio di leggere la Metafisica e l’Ermeneutica, non la Poetica. Questo secondo me era il primo passo da fare, scegliere in maniera più accurata la fonte

Qui si parla di narrativa, ergo l’Aristotele della Poetica (o, perché no, del III libro della Retorica) è appropriato. Proprio l’Aristotele invece della Metafisica o dell’Ermeneutica qui è del tutto fuori luogo. Che il pensiero dello Stagirita fosse molto più complesso e abbracciasse più branche filosofiche, è fuor di dubbio. Ma non mi sembra che il Signor Stockfish qui abbia appunto posto questo dubbio o abbia “sbagliato fonte”. Anzi. Il bello di Aristotele è proprio questo, cioè che ha trattato, studiato e detto la sua su moltissimi argomenti separatamente e quindi puoi usarlo e citarlo in quasi qualsiasi discorso senza dover tuttavia conoscere o parlare di tutta la sua opera.

Hai un po’, come dire, ridicolizzato Aristotele o meglio, l’hai semplificato all’ennesima potenza.

Forse sei tu invece che lo tieni su un piedistallo troppo alto… Si può dire che Stockfish non abbia approfondito troppo l’argomento quando invece poteva, ma magari non ha voluto annoiarci… Stare attenti a non “ridicolizzarlo” addirittura, mi sembra una premura eccessiva…

Il grafico e gli schemi sulla suddivisione narrativa e il climax sono efficaci, ma come li hai esposti si corre il grosso rischio di ritenere che esista una sola via per accedere alla scrittura.

Di fatto la via efficace è una e va spiegata così. Poi però scendendo nel pratico ci si rende conto che questa via è altamente personalizzabile grazie a un’infinità di variabili. Per quanto infatti dei grafici seguano una medesima tendenza, potresti sempre disegnarli tutti in modo differente.


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