Archivio per il 2009

Vittima natalizia + Bambolina omaggio

Quest’anno ho recensito meno fantasy italiani degli anni scorsi. Posso assicurare che non dipende dal fatto che sono diventata “buona”, tutt’altro: il mio cuore marcio trabocca come non mai di astio e invidia. Però mi sono stancata di ripetere sempre le stesse cose. È una questione di dignità: lo scrittore medio di fantasy italiano è un idiota fatto e finito, è degradante per me perderci del tempo appresso.

Per esempio, non so quante volte, in pubblico e in privato, ho sostenuto conversazioni tipo questa:

Io: «Non devi raccontare che Giulietta è cattiva, devi mostrarlo. Non so, falle picchiare la sorellina.»
Autore X: «Ma “show don’t tell” non si applica sempre!!!»
Che sarebbe come dire:
Io: «Non mordere la prolunga del televisore, potresti prendere la scossa.»
Autore X: «Ma l’elettricità non fa sempre male!!! Guarda il defibrillatore!!!»

Ha senso proseguire dialoghi del genere? No, è solo buttare del tempo che potrei spendere meglio fissando le macchie di umidità sul soffitto.

Ciò non vuol dire che mi adagerò nell’ipocrisia del “recensisco solo quello che mi è piaciuto”; continueranno a esserci recensioni oneste: se il romanzo è bello dirò che è bello, se fa schifo dirò che fa schifo. Però le recensioni saranno scelte con cura, saranno recensite solo opere che promettano qualcosa di interessante. Sono arcistufa di recensire ritardati.

Detto questo, come promesso, ho aperto il sondaggio per la recensione natalizia. Di seguito sono elencate dodici possibilità: leggete le descrizioni e scegliete con attenzione. Durante le vacanze di Natale mi sorbirò il romanzo vincitore e poi lo recensirò. Se sceglierete romanzi che non sembrano complete porcherie fin dal titolo ve ne sarò grata, ma sentitevi liberi di comportarvi come preferite.
EDIT del 19 dicembre 2009: Sondaggio chiuso, ha vinto Il Silenzio di Lenth.
EDIT del 16 gennaio 2010: Romanzo vincitore recensito.

Prima, però, un modesto consiglio per gli acquisti.
L’altro giorno ero in libreria. Mentre mi aggiravo per il reparto fantasy è arrivata una signora dall’aria smarrita. Dopo qualche minuto una commessa le ha chiesto se aveva bisogno di aiuto. La signora ha spiegato che voleva regalare un libro a una bambina di dodici anni – ha anche fatto gesto con la mano a indicare l’altezza della ragazzina, come se le stesse comprando un vestito. La commessa ha sorriso alla signora e le ha rifilato l’ultimo romanzo di Licia Troisi… un’altra bambina che avrà la vita rovinata per colpa di una madre mentecatta.
Signori genitori, non fatevi ingannare dalla retorica imbecille del “se legge è sempre meglio!!!”. Una bambina che legge le cretinate della Troisi o della Meyer si rovina il cervello. E quando il danno è fatto, rimane solo la trapanazione.
Perciò regalate videogiochi. I videogiochi rendono più intelligenti, è un fatto dimostrato. Ma se proprio volete spingere alla lettura un ragazzino o una ragazzina, il mio consiglio è di regalare Little Brother di Cory Doctorow, di cui è uscita da poco l’edizione italiana, con titolo X (sì solo “ics”, che cosa c’entri con “Little Brother” mi sfugge, ma pazienza). L’editore è Newton Compton.

Copertina di X
Copertina di X

Ho recensito il romanzo in lingua originale a suo tempo, qui. Non è un romanzo privo di difetti, ma è cento volte più interessante e coinvolgente di tutti i libri di Licia Troisi e Stephanie Meyer messi assieme. Almeno provateci a regalarlo: forse vostra figlia non è ancora una cerebrolesa e avete la possibilità di salvarla!

* * *

I dodici candidati, in ordine alfabetico. Le trame sono prese dalle schede dei libri su iBS.it.

Copertina di Bryan di Boscoquieto e il Talismano del Male#1.
Titolo: Bryan di Boscoquieto e il Talismano del Male (Newton Compton)

Trama: Da quando Bryan di Boscoquieto ha scoperto di possedere doti soprannaturali il suo mondo non è più lo stesso. Come se la sua percezione si fosse allargata fino a dilatare i confini tra la vita quotidiana e la magia, ora è in grado di rendersi conto di tutti gli strani esseri di cui l’universo è popolato. Capitani di una guerra millenaria, Morpheus il mezzodemone, fondatore della Baia, e Insorta, temuto leader della Comunità Ribelle, tentano di conquistarsi la fiducia di Bryan. Insieme a lui, la bellissima Gaia, la ladra di corpi, le imbattibili gemelle Alba e Aurora, e Achille, con le sue facoltà medianiche, compongono un piccolo esercito di eroi giovanissimi e pronti a tutto pur di disinnescare le minacce che si addensano intorno al leggendario e terribile Talismano del Male. Che la Terra continui a esistere o che tutto si risolva in uno spaventoso olocausto nucleare, a questo punto, dipenderà dalle gesta di Bryan, E dalla sua capacità di distinguere ciò che appartiene a questo mondo da ciò che si può soltanto sognare.

Autore: Federico Ghirardi. Ha esordito ancora minorenne l’anno scorso con Bryan di Boscoquieto nella Terra dei Mezzidemoni. Un giovane gegno. Senza dubbio.

Perché parto prevenuta: perché Bryan di Boscoquieto nella Terra dei Mezzidemoni l’ho letto.

Perché potrebbe essere decente: perché sarà pieno di gnocche tutte nude che si fanno sculacciare dai demoni? Non è quello che ogni ragazza sogna di leggere in un romanzo fantasy? Magari questa volta il Ghirardi saprà superarsi e mi regalerà una bella scena di stupro tentacolare!

Copertina di Buio#2.
Titolo: Buio (Fazi)

Trama: Diciassette anni, bellissima, apparentemente sicura di sé ma fragile e inquieta, Alma ha un solo credo: “Sorrisi e lacrime possono essere molto pericolosi se lasciati fuori controllo”. Se lo ripete ogni mattina, quando esce di casa per affrontare la Città là fuori e cammina sotto un perenne cielo grigio, diretta a scuola con il suo zaino, rigorosamente viola. Tutto ciò che Alma adora è viola. Come la copertina del quaderno che ha comprato in una strana cartoleria del centro pochi giorni prima, quando tutto ha avuto inizio e la sua vita ha cominciato a scivolare in un assurdo incubo senza fine. Una serie di efferati omicidi sta infatti trasformando in realtà i racconti che Alma scrive di notte, come in preda a un’inspiegabile trance, rendendosi conto solo al suo risveglio che i deliri di paura e violenza affidati alle pagine di quel quaderno anticipano le mosse dell’assassino. Mentre la polizia indaga senza risultati e i giornali si scatenano, Alma si ritrova sempre più isolata, alle prese con qualcosa di grande e oscuro, che sfiora la natura stessa del Male e che pure sembra riemergere dal suo passato, insieme ai continui, lancinanti mal di testa che la assalgono come per avvertirla di qualche pericolo. Soltanto Morgan, il ragazzo più misterioso e sfuggente della scuola, i cui incredibili occhi viola sanno leggere nel suo cuore come nessun altro, sembra in grado di fornirle le risposte sulle sinistre presenze che le si addensano intorno.

Autore: Elena P. Melodia, al suo esordio.

Perché parto prevenuta: la signorina Melodia sarà sicuramente un’ottima scrittrice – altrimenti come potrebbe essere stata pubblicata da una prestigiosa casa editrice? – ma non è capace di mettere assieme una descrizione decente.

Perché potrebbe essere decente: Morgan – il ragazzo più misterioso e sfuggente della scuola – è troppo gnokko!!!

Copertina di Figli di Tenebra#3.
Titolo: Figli di Tenebra (Curcio)

Trama: La fine è vicina, lo sa. Ma nessun dolore gli sarà risparmiato nell’ultimo tratto del viaggio. Non a lui, non ai suoi compagni. L’obiettivo e ancora Kurt Darheim, quasi all’apice della potenza, ormai padrone della forza corruttrice che in un’epoca remota ha rischiato di annientare il mondo. Bisogna raggiungerlo, quindi, e in fretta: al destino non si può sfuggire, e necessario assecondarlo, è necessario costruirlo. Mentre nel mondo l’estate muore, Lothar e la sua compagnia penetrano terre malate, regolate da leggi insondabili e popolale dai figli di un atto di violenza sulla natura stessa: esseri né vivi né defunti in eterna putrescenza, dominati da un’intera casta di vampiri, che li corroderanno nell’anima e nel corpo. Lì, nella Gehenna, dove la sofferenza diventa disperazione e follia, l’odio e l’amore daranno a Lothar la forza, il Potere gli metterà in mano gli strumenti, i ricordi e le perdite saranno la ragione per lottare ancora… Fino a quando tornerà a sorgere la luna di sangue.

Autore: Marco Davide. Sì, due nomi e nessun cognome. Questo Figli di Tenebra è il terzo volume nella trilogia di Lothar Basler.

Perché parto prevenuta: il primo volume della trilogia, La Lama del Dolore, si era classificato secondo nel sondaggio natalizio dello scorso anno. Ho provato a leggere La Lama del Dolore: è scritto da cani, una roba insopportabile. Pur con tutta la buona volontà non sono riuscita a finirlo.

Perché potrebbe essere decente: nel frattempo Marco Davide ha imparato a scrivere?

Copertina de Gli Orchi di Kunnat#4.
Titolo: Gli Orchi di Kunnat (Delos Books)

Trama: “Pulsa. Tutto pulsa, freme e risplende come sempre, quando sono morfizzato. Aromi, suoni, movimenti, sensazioni e percezioni risultano amplificate come i cerchi concentrici di una goccia caduta in uno stagno: le formiche scuotono il terreno come elefanti, le foglie frusciano come valanghe, le coccinelle urlano e disegnano lente traiettorie nel cielo come tartarughe azzoppate e volanti, le feci lontane e ancora calde di un daino mi offuscano la mente inebriandola della loro essenza pungente, mentre le cortecce nodose degli alberi su cui faccio leva mi trasmettono l’energia della linfa e la solidità del legno. Sono invincibile e terrificante. Se gli umani mi vedessero adesso, scapperebbero urlanti. I più coraggiosi (o forse i più stupidi) tenterebbero di uccidermi. Come se fossi io il loro problema…”

Autore: Cristian Pavone, esordiente.

Perché parto prevenuta: il romanzo fa parte della collana “Storie di Draghi, Maghi e Guerrieri”, una collana nata con l’idea che il pubblico è una massa di scimuniti e dunque è giusto guadagnare propinando sempre le stesse storie trite e ritrite. Ho recensito i primi due volumi qui.

Perché potrebbe essere decente: il pubblico si è dimostrato non così fesso come Delos sperava. Infatti il curatore della collana, Franco Forte, scrive: “Libro per noi (per me) importantissimo, perché segnerà il destino di questa collana. Si tratta infatti dell’ultimo tentativo di capire se il mercato è interessato a una collana fantasy come questa oppure no.” Perciò Gli Orchi di Kunnat è l’ultima possibilità per “Storie di Draghi, Maghi e Guerrieri”. Magari hanno scelto un romanzo tollerabile.

Copertina de I Cacciatori del Tempo#5.
Titolo: I Cacciatori del Tempo (Piemme)

Trama: Yonec ha sedici anni, è figlio di una fata e di un uomo misterioso di cui deve ancora scoprire l’identità, e vive nel Medioevo, nei primi anni del XII secolo. Janis ha quattordici anni, frequenta la prima liceo e una maledizione la costringe a vivere ai giorni nostri. Quando la madre la iscrive ad un severissimo collegio privato, Janis scopre di poter tornare per brevi periodi nel passato, sotto forma di lupa, accanto all’amato Yonec. Insieme dovranno trovare l’antica pergamena che contiene il segreto della costruzione della prima cattedrale gotica in Francia, Saint Denis. Ma una confraternita medioevale, i cui poteri oscuri e malvagi giungono fino alla nostra epoca, farà di tutto per impedirglielo. I due ragazzi saranno impegnati in una lotta all’ultimo sangue contro le forze che li ostacolano e che vogliono separarli per sempre.

Autore: Vanna De Angelis. Autrice di saggi storici, aveva già pubblicato due romanzi fantasy nella serie “Le Carovane del Tempo” per Edizioni San Paolo.

Perché parto prevenuta: la trama puzza. I due ragazzini separati dalla maledizione, l’antica pergamena, il segreto, i poteri oscuri e malvagi, zzz.

Perché potrebbe essere decente: i romanzi precedenti della De Angelis hanno suscitano l’entusiasmo della critica. Scrive per esempio “fliss”: “adoro qst trilogia.sn libri cn 1 stupendissima trama, li leggi tt d’un fiato e ti scaraventi nelle pagine cm se sei tu eva e company. è 1 libro coinvolgentissimo,rivivi le stesse emozioni,specialmente la storia d’amore tra eva e liam. sn libri stupendi. eva e liam si devono fidanzare. ho letto 100 libri e qst trilogia mi ha colpita assai. la preferisco ad harry pottre, twilight ecc.(libri ch nn mi piacciono). p.s.: eva e liam x ever.”
(nota per mamma e papà di “fliss”: questa è “fliss” dopo 100 libri. Non potevate comprarle la PlayStation 3?)

Copertina de Il Silenzio di Lenth#6.
Titolo: Il Silenzio di Lenth (Piemme)

Trama: Sono passate ore da quando Hertha del clan Fyerno e Kaas, il Sommo Sacerdote di Lenth, hanno intrapreso quel sentiero scosceso. La fatica li ha quasi sopraffatti; non possono permettersi di restare in quel luogo, quello è l’Esterno, abitato da creature malefiche contro cui i loro incantesimi non possono nulla. Sulla via del ritorno, però, hanno sentito in lontananza il pianto di un neonato e sono accorsi a salvarlo. Per Hertha, che fin da giovane non ha dimostrato di possedere le doti per diventare mago, il segno sulla fronte del piccolo non è che una macchia scura, ma Kaas lo ha subito riconosciuto: quello è un frigie, un simbolo magico, e il neonato è l’Eletto, l’incarnazione di Kexan, il dio che lui e la sua gente hanno temuto e odiato, e che pensavano sconfitto per sempre. Dopo aver fatto ritorno al villaggio, il Sommo Sacerdote mostra il fanciullo ai dieci del Consiglio Dominante e tutti si mostrano sconcertati e impauriti. Il bambino-dio deve essere eliminato. Ma grazie a uno stratagemma Kaas riesce a mantenere in vita il piccolo, a cui ha dato il nome Windaw. Una visione notturna, infatti, gli ha mostrato l’imminente invasione delle loro terre per mano dei terribili stregoni di Tarass, che solo la forza divina dell’Eletto può fermare. Sarà lui a custodire la Pietra Alchemica che i malvagi stanno cercando e a riportare la pace e il silenzio nella verde Terra di Lenth.

Autore: Luca Centi. Questo è il suo primo romanzo.

Perché parto prevenuta: ma si può, senza ironia, ideare una storia del genere? I malvagi, la Pietra Alchemica, il bambino con la macchia che non è una macchia ma un simbolo magico, il tizio che salva di nascosto il neonato… c’è un dettaglio – uno solo – che non sia un cliché?

Perché potrebbe essere decente: in copertina c’è un tipo incappucciato. Con un bastone!!!

Copertina de Il Principe delle Nebbie#7.
Titolo: Il Principe delle Nebbie (Piemme)

Trama: Dopo aver recuperato le pagine del Libro del Destino, la compagnia delle Cinque Razze Libere ha una nuova missione: partire alla ricerca di alleanze per combattere insieme il malvagio Signore delle Nebbie. Proprio alla vigilia della partenza, però, Eynis fugge all’improvviso dalle Foreste di Feira Haillen. La ragazza, erede della più potente stirpe magica degli elfi, è partita per seguire la traccia incerta e insistente di un ricordo che dovrebbe condurla a trovare un altro membro della famiglia degli Ethilin, sopravvissuto come lei alla strage compiuta dai Mohrger. Senza la sua potente magia, i suoi amici hanno poche speranze di sfuggite agli attacchi delle forze del male, e cerne se non bastasse anche Jadifh, il giovanissimo capo dei ribelli, abbandona la compagnia per seguirla. Ma durante il viaggio Eynis si accorge che Jadifh le nasconde qualcosa.

Autore: Elisa Rosso. È la più giovane autrice italiana di fantasy. A sedici anni è già al suo secondo romanzo. Un gegno al cubo!

Perché parto prevenuta: la Rosso è chiaramente troppo gegnale perché io possa apprezzarne le opere.

Perché potrebbe essere decente: uh… aehm… accetto suggerimenti.

Copertina de La Leggenda degli Eldowin#8.
Titolo: La Leggenda degli Eldowin (Fanucci)

Trama: Venti di guerra spirano sull’Arwal. Le mire espansionistiche di Adras, eminenza grigia dell’Argelar, sembrano inarrestabili. Manipolando come un fantoccio il piccolo sovrano di Rygan, il mago rivolge la propria attenzione al ducato di Vniri, dominio dei Doria-Malvolas e dei vampiri di corte, ultimo ostacolo in vista dell’ambiziosa invasione del Varlas. La tensione per il conflitto imminente sconvolge la vita di poveri e ricchi, nobili e villici, mortali e vampiri. Dal montuoso Tarvaal fino alle immense Terre dei Barbari, la maga Reven e il suo schiavo cercano disperatamente un’arma in grado di contrastare la minaccia dell’Oscuro, un tempo maestro e mentore della donna, ora suo acerrimo nemico. Intanto, sul bosco di Madian incombe e si rinforza la minaccia della rocca di Krun, al punto da spingere la Guardiana a inviare una delegazione verso l’inospitale Ovest, nella speranza di ottenere l’aiuto dell’unica autorità che potrebbe riunire contro il tiranno gli elfi dell’Arwal: i leggendari Eldowin.

Autore: Laura Iuorio. La Leggenda degli Eldowin prosegue la vicenda iniziata con Il destino degli Eldowin. La Iuorio è inoltre autrice della trilogia fantascientifica del “Sicario”.

Perché parto prevenuta: gli Eldowin sono elfi.

Perché potrebbe essere decente: ci sono anche i vampiri gli gnokki!!!

Copertina de La Scacchiera Nera#9.
Titolo: La Scacchiera Nera (Piemme)

Trama: Nello stesso istante, a migliaia di chilometri l’uno dall’altro, tre ragazzi Ryan, un americano, Morten, danese, e Milla, italiana -, entrano in possesso di una scacchiera ottagonale dall’aria molto antica. Il Guerriero, l’Arciere e il Ladro Nero sono le sole tre pedine rimaste sulla scacchiera e sembrano invitarli a fare la prima mossa. Ma appena le toccano, i tre ragazzi vengono trasportati in un mondo parallelo dove è in corso una guerra, una guerra sanguinosa e secolare che un mago ha trasferito sul tavoliere in modo che il mondo degli uomini potesse continuare a esistere. Così Ryan si accorge di essere diventato il Guerriero del Fuoco. Lui, però, non riesce a credere di essere un eroe e soprattutto che il Ladro Nero, quella ragazza dagli occhi di smeraldo e dall’aria indifesa, sia il suo più acerrimo nemico. Contro ogni regola del gioco, Ryan decide di fidarsi di quella ragazza che combatte contro il proprio lato oscuro, e scoprirà che a volte una mossa imprevedibile può cambiare le sorti di una partita.

Autore: Miki Monticelli. Ha già scritto diversi fantasy per bambini, questo però dovrebbe essere dedicato a un pubblico un po’ più adulto.

Perché parto prevenuta: Ryan, un americano; Morten, un danese; Milla, un’italiana entrano in un bar… la trama sembra una barzelletta.

Perché potrebbe essere decente: l’autrice assicura che la trama non corrisponde all’effettivo contenuto del romanzo.

Copertina de La Strada che Scende nell’Ombra#10.
Titolo: La Strada che Scende nell’Ombra (Einaudi)

Trama: In un mondo diviso e stanco, l’Ombra si è destata e le Otto Genti non sanno se ci sarà l’alba di una nuova èra, oppure la fine. I prescelti dalla profezia per raggiungere la Fortezza Impenetrabile e combattere il malefico potere sprigionato dalla Gemma Bianca sono i meno presentabili che si possa immaginare. Mentre la resa dei conti si avvicina e tutti i popoli entrano in guerra, il Magus guida la Compagnia più ribalda e riottosa che si sia mai vista verso il destino che trasformerà gli ultimi, i peggiori delle Otto Terre, nei nuovi Eroi.

Autore: Chiara Strazzulla. Giovanissima, è famosa per scrivere i suoi libri a forza di starnuti. Questo è il suo secondo romanzo.

Perché parto prevenuta: il primo romanzo della Strazzu, Gli Eroi del Crepuscolo, è attualmente il peggior romanzo fantasy mai pubblicato in Italia da un editore non a pagamento. L’ho recensito qui.

Perché potrebbe essere decente: non c’è alcuna possibilità che La Strada che Scende nell’Ombra possa essere un romanzo passabile. Per questo voglio fare un appello: risparmiatemi la Strazzu, ve ne prego! Sarò una brava bambina, prometto, croce sul cuore, ma non costringetemi a leggere 800 pagine di Strazzu. Grazie.

#11.
Titolo: Rimosso. (N/A)

Trama: Nessuna.
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Autore: Uno che non sa scrivere.

Perché parto prevenuta: N/A.

Perché potrebbe essere decente: N/A.

Copertina di Altro#12.
Titolo: Altro (Quell’Altro)

Trama: Segnalate nei commenti altri romanzi fantasy italiani degni di recensione, se ne ho dimenticati. Però:

Niente Troisi. Di Licia ho recensito quattro romanzi e ci sono altri due articoli dedicati a lei. È sufficiente. Inoltre non c’è più molto da aggiungere: non sa scrivere e non ha un briciolo di fantasia, fine della questione.

Niente romanzi pubblicati a pagamento. Mi spiace, ma se pubblicate a pagamento dimostrate di essere dei fessi, dunque non sono interessata a quello che scrivete.

I romanzi autoprodotti sono accettabili. Ma solo se scaricabili gratis. Il livello delle autoproduzioni è bassissimo (la media è ampiamente sotto la Strazzu), perciò a scatola chiusa soldi non ne spendo.

Se il romanzo segnalato è pubblicato da una piccola casa editrice che ha scarsa distribuzione in libreria, non garantisco di riuscire a procurarmelo per Natale. Però, se sembra interessante, lo recensirò lo stesso in un altro momento. Infine, se il romanzo si trova su emule o simile è ancora meglio. L’anno scorso così ho scoperto Lo Specchio di Atlante, ed è stata una bella scoperta.

Autore: Un Altro.

Perché parto prevenuta: uno vale l’Altro.

Perché potrebbe essere decente: Un Altro non è la Strazzu.

Che sfilata di schifezze. Mi domando se, avendo gli occhiali giusti, vedrei la verità, come nel film They Live (Essi Vivono, 1988) di John Carpenter.

L’amara verità che ci vogliono tenere nascosta

Sono sempre più convinta che il fantasy sia uno stratagemma degli alieni per rendere stupida la popolazione.

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Bambolina Omaggio

Gli ultimi due anni avevo recensito il romanzo vincitore del Premio Urania. Quest’anno non ci sono riuscita: sono arrivata a pagina 36 di E-Doll e non ce l’ho fatta ad andare avanti. Lo stile è pessimo – il Ghirardi scrive meglio, senza ironia – e le poche idee presenti sono banali o contraddittorie. Una roba raccapricciante.
Di seguito una parata di castronerie. Solo una minima parte dei problemi presenti nelle prime 36 pagine, che in effetti andrebbero riscritte da zero. La speranza – vana, lo so – è che qualcuno possa imparare qualcosa. Anche per sbaglio.

Copertina di E-Doll
Copertina del romanzo di Francesco Verso E-Doll

E-Doll è ambientato a Mosca nel 2053. Il mondo è rimasto più o meno quello che conosciamo, tranne gli e-doll. Gli e-doll sono androidi usati come schiavi sessuali in modo che la gente possa soddisfare le proprie perversioni senza rischi.
Premessa semplice che porta a delle incongruenze già nelle prime 36 pagine.

A pagina 15, scoperto un e-doll morto, il tenente incaricato delle indagini verifica che fino a quel momento non ci sono mai stati omicidi di e-doll in Europa (“[...] a una prima analisi, non vengono segnalati omicidi di e-doll in Europa.”) A pagina 20 un e-doll che passa per strada suscita l’interesse di tutti (“E la strada va in subbuglio, colta dallo stupore che si materializza intorno agli e-doll [...]“). A pagina 27 un personaggio “Ha preso questo andazzo da quando ha scovato su un sito web vietato ai minori l’esistenza degli e-doll.”
Cosa si deduce da questi tre accenni? Io ne deduco che gli e-doll siano molto pochi: scopri che esistono solo frequentando siti “loschi”, se ne vedi uno per strada ti fermi ammirato a guardarlo, e nessuno li ha mai ammazzati.
Ottimo.
Ma a pagina 31 è scritto:

Il loro [degli e-doll] business, incluso il variegato indotto, fatto di tecnici per la manutenzione, corrieri per il ritiro e la consegna a domicilio, stilisti d’avanguardia, visagisti estetici, programmatori di sensistema, addetti al marketing pornografico, finanziatori di sessoteche, si calcola sia paragonabile per grandezza e pervasività del settore a quello delle automobili del secolo scorso. Senza contare i gadget venduti a corredo e quelli spediti per posta anonima di cui tante case abbondano all’insaputa dei coinquilini.

A parte il blocco di inforigurgito spiattellato senza grazia, si dice che il mercato degli e-doll è al livello di quello delle automobili. Com’è possibile? Dovrebbero esserci milioni di e-doll! Ma questo è in contraddizione con quanto esposto all’inizio. Non si può neanche invocare la difesa d’ufficio, “tanto è fantasy!!!”, perché qui parliamo di fantascienza: estrapolare le conseguenze dei progressi scientifici è al cuore del genere. La coerenza è vitale.

A pagina 15 è scritto:

A testa bassa, Gankin scruta quel corpo indifeso, nato per soddisfare desideri e voglie inconfessabili: tutto ciò che in molti volevano senza sapere dove trovarlo. Fino alla comparsa degli e-doll.

A pagina 17 un e-doll ragiona su se stesso:

D’altro canto, è ciò che la gente s’aspetta da un essere attrezzato per solleticare le fantasie fino a percorrerne ogni ramificazione.

Desideri e voglie inconfessabili, fantasie percorse in ogni ramificazione: io mi aspetto che gli e-doll possano garantire all’acquirente qualunque tipo di perversione. Ma a pagina 35 un poliziotto della scientifica dice:

–… e a quanto ne so [gli e-doll] non sudano, sputano, puzzano o roba del genere. Fino a oggi non hanno mai defecato, né urinato. Può anche essere una limitazione della verosimiglianza, sta di fatto che i bisogni evacuativi degli umani non sono stati trasposti loro.

Delusione! Perciò questi e-doll, pronti a esaudire ogni fantasia, non possono far niente per gli amanti della coprofilia o dell’urofilia? Che è, razzismo?

È notevole vedere un autore che parte da una premessa semplicissima e già vista mille volte in altri romanzi e, nonostante ciò, non è capace di mantenere un minimo di coerenza.
Be’, rimedierà con uno stile brillante, giusto? Sbagliato. E-Doll è scritto male, anzi è scritto peggio.

In un sacco di passaggi la scrittura è vuota. Non comunica niente. Non solo non mostra, ma non racconta neanche. Sono frasi senza senso.
Esempio (pag. 19):

[Berenice Cubarskij] è rimasta impressionata dalle conturbanti doti di Angel [un e-doll], quando vi si è imbattuta al Cirque du Sex, dove lu/ei s’esibiva in veste di domatore di donne frustrate dall’atavico ruolo che la natura ha assegnato loro.
È in posti del genere, come lo scintillante Lubov sulla Bol’saja Sadovaja o il lugubre Dark Star sulla Precistenka nelle vicinanze degli austeri e polverosi Musei di Puskin e Tolstoj, che la Signora Cubarskij ha riscoperto il senso da attribuire a se stessa, assieme alle centinaia di altre donne che mal sopportano d’essere trattate come il codice genetico erroneamente prescrive loro da millenni.
Ultimamente, tali luoghi riservati, da sempre esistiti anche se poco reclamizzati, sono frequentati da splendidi sembianti incaricati di elargire ciò che la società aveva condannato come rigurgiti primordiali da sedare e disdicevoli devianze da arginare.
Quanto ai clienti, in egual misura distribuiti tra uomini e donne, essi ne sono consapevoli, ma preferiscono indulgere piuttosto che accettare un compromesso snaturante e disumano. E volentieri s’illudono, piuttosto che accontentarsi d’una felicità condivisa ma breve e ripetitiva.

172 parole e non c’è scritto un emerito tubo. Qual è l’atavico ruolo che la natura ha assegnato alle donne? Che senso ha scoperto da attribuire a se stessa Berenice? Cosa prescrive (erroneamente) il codice genetico? Che cosa elargiscono i sembianti? Che cosa la società aveva condannato come rigurgiti primordiali? Qual è il compromesso snaturante e disumano?
Qui non è questione di gusti, di stile, di punti di vista: questa è cacca. E no, a me la coprofilia non piace.

Esempio più corto ma altrettanto efficace (pag. 21):

Il suono abrasivo, di metallo stridente, ricorda ad Angel una ricorrenza remota, dei tempi della capsula vivificante presso i laboratori Silitron di Hanoi. Quasi cinque anni fa, un periodo breve in termini umani e ancor più breve per una macchina capace di eludere il fattore erosivo del tempo. Archiviata in una bolla di memoria, quando il suo sensistema era scevro d’esperienze libidiche e computazionali, eccezion fatta per le istruzioni base e le inferenze native.

Poi si parla d’altro. Ora, quale sarebbe la “ricorrenza remota” che Angel ricorda? È la “ricorrenza remota” il soggetto – una frase dopo – di “archiviata”? Cos’è, non è un romanzo ma un puzzle, dove io pago e poi devo riscrivere da zero per capirci qualcosa?

Poi c’è il blaterare sgradevole dello scrittore dilettante che si crede Artista (pag. 23):

Mosca è un universo vorticante e vandalizzato, è il riflesso incrinato di un’anima dispersa tra le nuvole cirriformi del Nord, è l’ansia e al tempo stesso la malattia della vita.

Questa frase segnatevela perché un classico esempio di uso idiota delle metafore. Non vuol dire niente, però si percepisce la ricerca delle parole perché suonino pompose per impressionare i gonzi, con la città vista come “il riflesso incrinato di un’anima dispersa tra le nuvole cirriformi del Nord”. Proprio. È lo scopo della narrativa, vero? Non far capire una mazza a chi legge, ma mettere in soggezione i pochi ignoranti che ancora pensano che scrivere sia mischiare paroloni a caso. Ciliegina sulla torta: questo sproloquio sono i pensieri di una ragazzina al primo anno di Liceo, preoccupata perché l’autobus è in ritardo; la mamma la sgriderà se rientra dopo l’orario stabilito. Siamo a livello di Sergio Rocca, l’immortale poeta (“«Chi sei stregone?» ruggì il bambino istericamente, pronto a gridare.”)

Infine c’è il classico raccontare invece di mostrare. Passaggi così (pag. 24):

[la ragazzina di cui sopra è raggiunta da un tipo in macchina] Non sapendo che fare, le salta in mente un pensiero sconcio ma poi, incerta sugli esiti di eventuali imprevisti, storna lo sguardo.

Funziona in questo modo: io pago 4 euro e 20 centesimi e compro una porzioncina della fantasia dell’autore. Lui mi deve dire qual è il pensiero sconcio. Lui mi deve dire quali sono gli esiti degli imprevisti eventuali.
La ragazzina vuole farsi il tipo? Lo vuole frustare? Lo vuole appendere a testa in giù in una vasca piena di scarafaggi? Ma poi rinuncia perché l’ultima volta gli scarafaggi sono scappati e le hanno invaso la stanza? Devo pagare e poi scrivere io il romanzo?

Meno grave ma sempre fastidioso è il mostrare & raccontare. In particolare, quando il raccontare precede il mostrare fa venire i nervi.
Immaginate di essere al cinema, il tizio accanto a voi ogni dieci minuti vi sussurra: «Adesso vedrai cosa succede, vedrai come Jimmy si arrabbia.» oppure: «Adesso ascolta bene, eh, ascolta, sentirai che battutona!» Sono sicura che alla terza interruzione cambiate posto. Nella narrativa funziona uguale (pag. 30):

A Gankin non resta che negare tramite una pericolosa iperbole. – Al contrario, non hai considerato lo stadio di avanzamento della mia passione necrofila…

“A Gankin non resta che negare tramite una pericolosa iperbole” è l’equivalente del tizio rompiscatole al cinema. Preciso identico. Visto che mostri la “pericolosa iperbole”(sic), non c’è bisogno che l’anticipi prima. Svuoti di tensione il paragrafo.

Copertina del settimo volume di Chobits
Il settimo volume del manga Chobits delle CLAMP. In Chobits non ci sono e-doll, ma persocom. La storia ha diverse analogie con il romanzo di Verso, ma è realizzata molto, molto meglio

L’autore gestisce il punto di vista usando la tecnica del chi se ne frega, scrivo come mi capita. Nel primo capitolo, che comprende un’unica scena – l’esame del cadavere dell’e-doll da parte del tenente Gankin e del suo assistente Aleksej –, il punto di vista cambia almeno dodici volte, saltando di continuo da un personaggio all’altro. Senza alcuna giustificazione o alcun ritmo; ci sono pagine e pagine con Gankin, poi qualche paragrafo con Aleksej, poi si ritorna a Gankin per ancor meno spazio, poi Aleksej un po’ di più, tutto così come capita. Alla fine tocca rileggere più volte certi passaggi per capire a chi attribuire parole e pensieri. Un capitolo degno di Atlanta Nights.
Più avanti l’autore si supera, riuscendo a cambiare punto di vista all’interno di un singolo paragrafo (pag. 21):

Un cameriere addobbato con un’impeccabile livrea lattea compare sull’uscio e lu/ei [sempre Angel] viene annunciato alla signora Cubarskij, non prima d’essersi sistemato le sopracciglia decorate dalle mani fatate di Sharunas. L’ometto, barba e baffi curatissimi, gli rifila un’occhiata lasciva dall’angolo degli occhialini, ma pare più preoccupato di trovare un modo per non ascoltare ciò che sarebbe successo nel sotterraneo. Si ricorda di una cera d’antica memoria versata nelle orecchie di un re a salvaguardia della sua sanità mentale. Si ricorda che grazie all’espediente, egli riuscì a resistere a una tentazione letale.

Il paragrafo comincia con il punto di vista dell’e-doll. È confermato da quel “gli rifila un’occhiata lasciva [...] ma pare più preoccupato”: l’e-doll coglie l’occhiata del cameriere e ne deduce la lascivia e al contempo il desiderio di non ascoltare (come faccia questa deduzione è un mistero). Ma le frasi dopo? È l’e-doll che ricorda l’episodio di Ulisse e le Sirene o è il cameriere? Io ho riletto tre volte e non ne sono sicura. Mi sembra così innaturale che di punto in bianco si entri nella testa del cameriere, d’altra parte l’e-doll conosce Ulisse? E lui, macchina, ne ha solo un ricordo così approssimativo? Mah!

In altri momenti l’autore si contraddice nello spazio di un paragrafo (pag. 19):

L’olografia di Berenice Cubarskij la ritrae in pose provocanti: alla signora piace farsi vedere e proprio quella fantasia rappresenta il suo punto debole. Un aspetto su cui il marito non s’è interrogato, né s’è preoccupato d’esplorare, coinvolgendola in giochetti di mano in ascensore, lubrici amplessi tra le foreste di conifere o eccitanti fellatio durante le attese ai semafori…

Allora:
a) Berenice è esibizionista (“alla signora piace farsi vedere”).
b) Il marito coinvolge Berenice in una serie di atti sessuali all’aperto o in luoghi pubblici.
c) Dunque perché il marito non “s’è preoccupato d’esplorare” l’esibizionismo della moglie? Cosa doveva fare di più? Che senso ha ‘sto paragrafo?

L’autore ha spiegato che Maya, la ragazzina in attesa dell’autobus, non frequenta molto i coetanei, tutti “delinquentelli” o “gallinelle”, poi scrive (pag. 26):

[Maya] Da qualche mese ha scoperto un altro passatempo, cose impensabili per dei ragazzini bifolchi ma già malavitosi in erba come loro. Gli unici a cui si concede e che se la godono tutta, sono quelli dell’ultimo anno, Roman “Frigo” Saratov in testa e poi Misha la Miccia, Pavel il Labbruto e il Peloso Ivan. Solo loro se la spupazzano a turno ma in ordine rigorosamente decrescente. La cosa strana però, agli occhi dei compagni, non è tanto la promiscuità di Maya e l’indifferenza a darsi in pubblico, doti ampiamente condivise dalle sue coetanee [...]

Nella prima frase il sesso è “cosa impensabile” per i coetanei di Maya, nell’ultima frase la promiscuità, addirittura “l’indifferenza a darsi in pubblico” sono doti ampiamente condivise per i coetanei di Maya.
Notare altre delizie: le cose sono impensabili per i ragazzini “bifolchi ma malavitosi”, che senso ha? È l’essere malavitoso che ti impedisce di scoprire il sesso? L’elenco dei quattro studenti che si “spupazzano”(sic) e si “godono tutta”(sic) Maya, sembra uscito da un romanzo inedito di Federico Ghirardi. E quel “in ordine rigorosamente decrescente”? Decrescente di cosa? Ordine alfabetico? Età? Lunghezza dell’uccello? Siamo alle solite, devo scrivere io il romanzo?
Passiamo a pagina 9:

[Gankin] Infilati guanti e mascherina, s’accosta al corpo, cabotandogli attorno per non incappare in sgradevoli sorprese quali contaminazioni a tempo o esalazioni a innesco, ultima moda degli attacchi terroristici, oggi in voga anche tra le bande metropolitane.

“Cabotare” significa navigare, spesso per tratti brevi (da qui l’espressione “piccolo cabotaggio”). Dunque Gankin “naviga” intorno al corpo a distanza ravvicinata… per non incappare in contaminazioni a tempo? Il legame logico sarebbe? Non dovrebbe scappare il più lontano possibile e stare lontano se vuole evitare le contaminazioni a tempo?
Nota di stile: quel “sgradevoli sorprese” è un altro errore. È ancora il tizio che ti dà di gomito al cinema. È inutile raccontare che ci sono sgradevoli sorprese se dopo le descrivi. Così non fai altro che smorzare la suspense.

Un’incongruenza a qualche paragrafo di distanza (pag. 11):

[Gankin] Allunga l’altra mano, scoprendo il resto della ferita. Gli occhi si trasformano in due feritoie orizzontali. Deve restare lucido e attento perché ogni volta lo stomaco gli manda dei singulti per avvertirlo di non abituarsi a quella vista. È una specie di campanello d’allarme con cui mantiene una barriera di separazione tra sé e quello che succede. Il giorno in cui saprà d’essersi assuefatto a quello spettacolo e potrà guardare quelle oscenità come se fossero un film o un documentario, sarà il giorno in un cui chiederà il trasferimento a un’altra sezione per un insormontabile conflitto d’interessi.

Ma poco prima così è descritta la ferita (pag. 10):

Sotto il vestito stropicciato, uno squarcio di 10 cm di profondità per 25 di lunghezza lo saluta truculento.

Idea mia, ma descrivere una ferita come 10×25 non è proprio “guardarla come se fosse un documentario”? Inutile dire che Gankin non ci pensa nemmeno a chiedere il trasferimento, né si accorgerà di questo “insormontabile conflitto d’interessi”.

Ok, lo stile è orribile; ok, le incongruenze abbondano, ma chissà questo romanzo di fantascienza com’è infarcito di interessanti questioni sulla robotica e le Intelligenze Artificiali!
E in effetti si possono gustare deliziosi passaggi senza capo né coda, ma pieni di technobabble (pag. 32):

– Dunque, il sensistema è stato cortocircuitato. Per l’esattezza tra la pompa cardiaca e il collettore di raccordo. Poi, versato il contenuto all’esterno dell’esemplare, s’è impedita la riparazione da parte dei nanobot che, diminuiti sotto la soglia di auto-alimentazione, hanno provocato lo spegnimento terminale del sensistema e con esso dell’e-doll. È un bug conosciuto e a più riprese l’abbiamo segnalato alla Silitron affinché intervenga. È il tipico difetto di fabbricazione che potrebbe risolversi con poco, anche perché è l’unico metodo di mandare in crash un organo wetware così sofisticato come il sensistema e inibire il ricaricamento e il successivo ripristino tramite vivificazione.
“Non è solo un danno alla proprietà della Silitron” pensa Gankin.
– Come sa, qualsiasi bioware è riciclabile e sostituibile ma il sensistema, insieme a ciò che vi è registrato sopra, reazioni emotive ed esperienze individuali incluse, va perso per sempre. [...]

Sigh. E in mezzo a questa valanga di termini inventati per dare una patina di scientificità a una marea di stupidate, nessuno chiede se c’è una copia di backup di “ciò che vi è registrato sopra”.

E stendiamo un velo pietoso quando (pag. 35) l’autore confonde la melatonina con la melanina
EDIT:L’autore replica: “[...] la melatonina funziona al contrario della melanina, schiarendo la pelle. Come ho già spiegato sul forum di fantascienza.com, c’è un refuso e la frase sarebbe dovuta essere “trasformare un meticcio in albino”.” Fornisce questi link: 1, 2, 3, 4.

* * *

Una volta sono stata accusata di prendere per scema la giuria del Premio Urania. Non è vero. Non sono io che prendo per scema la giuria del Premio Urania, è la giuria del Premio Urania che si prende per scema da sola, avendo deciso di premiare questo cumulo di spazzatura.

 


Approfondimenti:

bandiera IT Intervista a Federico Ghirardi
bandiera IT Intervista a Elena P. Melodia
bandiera IT Intervista a Marco Davide
bandiera IT Intervista a Cristian Pavone
bandiera IT Intervista a Luca Centi
bandiera IT Intervista a Elisa Rosso
bandiera IT Intervista a Laura Iuorio
bandiera IT Intervista a Miki Monticelli
bandiera IT Intervista a Chiara Strazzulla
bandiera IT Intervista a Massimo Bianchini
bandiera IT Intervista a Francesco Verso
bandiera IT Non ho trovato interviste recenti a Vanna De Angelis, perciò vi beccate il booktrailer del suo romanzo

 

Scritto da GamberolinkCommenti (456)Lascia un Commento » feed bianco Feed dei commenti a questo articolo Questo articolo in versione stampabile Questo articolo in versione stampabile • Donazioni

Recensioni :: Romanzo :: Leviathan

Copertina di Leviathan Titolo originale: Leviathan
Autore: Scott Westerfeld
Illustrazioni: Keith Thompson

Anno: 2009
Nazione: U.S.A.
Lingua: Inglese
Editore: Simon Pulse

Genere: Steampunk per fanciulli
Pagine: 448

Giugno 1914. Il governo inglese invia la Leviathan, l’ammiraglia della propria flotta aerea, in missione segreta a Costantinopoli. Lungo la strada salgono a bordo Deryn Sharp, una ragazza scozzese che si è travestita da ragazzo per servire in aeronautica, e il Principe austriaco Aleksandar – Alek per gli amici –, in fuga dalla propria patria dopo l’assassinio del padre a Sarajevo.

Non è però il 1914 che conosciamo: nel mondo di Leviathan la tecnologia ha fatto passi da gigante sia nel campo della robotica, sia in quello della bioingegneria. I Tedeschi e gli Austro-Ungarici (i “Clanker”) si sono specializzati nella costruzione di corazzate terrestri e di enormi robot da guerra (qui chiamati walker, somiglianti ai “robottoni” di certi anime giapponesi o ai mech di giochi stile MechWarrior), mentre Inglesi, Francesi e Russi (i “Darwinisti”) hanno plasmato nuove forme di vita per gli usi più svariati. La stessa Leviathan è una creatura vivente, che mescola il DNA della balena con quello di decine di altre specie.

Booktrailer di Leviathan

Ciò premesso, il booktrailer e certo hype facevano credere che Leviathan fosse un romanzo di guerra. Non è così. Basta confrontare l’hype con i fatti. Per esempio un tizio, dopo aver letto una ARC[1], dichiarava:

bandiera EN Westerfeld has kicked off his new series with bang, averaging more battles and bombings per chapter than a textbook on both World Wars combined.

bandiera IT Westerfeld ha cominciato la sua nuova serie col botto. Ci sono più battaglie e bombardamenti per capitolo che in un libro di testo dedicato a entrambe le Guerre Mondiali.

Questi sono i fatti:

  • Capitoli presenti nel romanzo: 41.
  • Battaglie presenti: zero (ci sono 6 scontri a fuoco, ma esito a chiamarli “battaglie” dato che il numero di mezzi e uomini coinvolti si conta sulle dita delle mani – spesso di una mano sola).
  • Bombardamenti: zero (non viene sganciata alcuna bomba nel corso dell’intero romanzo – neanche una, neppure per sbaglio).
  • Massimo numero di walker o corazzate terrestri contemporaneamente presenti in una scena: 2.
  • Numero di combattimenti tra un walker e un “mostro” darwinista: zero.

In altre parole la Prima Guerra Mondiale rimane sullo sfondo. Chi si aspettava – io! – un’armata di robot tedeschi che attraversa la Manica per combattere contro un esercito di creature abominevoli ingegnerizzate a partire dal DNA del mostro di Loch Ness, rimarrà deluso. Niente di tutto questo è neppure accennato nel romanzo. Invece c’è una sana storia di avventura per bambini piena di buoni sentimenti.

Il mondo di Leviathan

Il 1914 dipinto in Leviathan ha un suo fascino, a tratti notevole, ma la costruzione di Westerfeld è semplicistica.

Mappa del mondo
Mappa allegorica dell’Europa di Leviathan. Clicca per ingrandire

I Clanker sono più o meno verosimili: in pratica non c’è molta differenza rispetto ai libri di storia, solo i carri armati si sono sviluppati qualche decennio prima e hanno gambe invece di cingoli. Westerfeld liquida la questione con una battuta di Alek:

bandiera EN How else would a war machine get around? On treads, like an old-fashioned farm tractor? What a preposterous idea.

bandiera IT Come potrebbe altrimenti spostarsi una macchina da guerra? Su cingoli, come i vecchi trattori agricoli? Che idea stravagante.

Anche se in verità non è mai spiegato perché le gambe dovrebbero essere un sistema di locomozione migliore dei cingoli: i walker non sono particolarmente veloci e hanno grossi problemi di stabilità in caso di terreno accidentato; se cadono non si possono rialzare senza aiuto; inoltre non sono “robottoni” intelligenti, hanno bisogno di equipaggio – nel romanzo non esistono computer a vapore o intelligenze artificiali, tutti i macchinari sono stupida ferraglia.
Tuttavia non ho trovato assurde le scene con i Clanker: vero, niente del genere può essere costruito neanche ai giorni nostri, però non è tecnicamente impossibile, e una certa tendenza tedesca al gigantismo per quanto riguarda i carri armati è storicamente corretta.

K Panzerkampfwagen

Nel 1917 il Ministero della Guerra tedesco ordina di approntare un super carro armato in grado di travolgere le linee nemiche anche nelle situazioni più difficili. Viene così progettato il “K-Wagen” una mostruosità da 120 tonnellate con 27 uomini di equipaggio, 4 cannoni e 7 mitragliatrici.

Modellino del K-Wagen
Un modellino di come sarebbe potuto apparire il K-Wagen

Dieci K-Wagen vengono commissionati, ma al termine della Guerra, nel novembre 1918, solo due esemplari sono in fase avanzata di costruzione, presso l’impianto di Riebe. Gli Alleati ordinano che i due super carri siano smantellati.

Il K-Wagen in costruzione
Il K-Wagen in costruzione

Per saperne di più sulle macchine da guerra tedesche nella Prima Guerra Mondiale, si può consultare il seguente volume, ricco di fotografie:

Copertina di German Panzers 1914-18German Panzers 1914-18 di Steven J. Zaloga (Osprey Publishing, 2006).

 

 

Se dalla Prima Guerra Mondiale si passa alla Seconda, si scoprono progetti ancora più ciclopici, dei quali ho già parlato.

Le azioni di combattimento con i Clanker spesso sono tirate per i capelli – e in un romanzo di Tom Clancy farebbero chiudere il libro – ma qui è fantasy!!! e sopporto. In fondo non c’è niente di scandaloso, nessun drago colpito al volo dalle catapulte di troisiana memoria. Tranne…
Mostra episodio bellico poco plausibile ▼

Il walker di Alek
Il walker di Alek. Può camminare così con le gambe piegate, oppure le gambe possono essere distese per un’andatura più veloce. Può perfino correre

I Darwinisti sono un altro paio di maniche. L’idea è che Charles Darwin non solo abbia scoperto il meccanismo dell’evoluzione, ma abbia anche scoperto come manipolare il DNA. Nell’arco di due generazioni gli scienziati hanno raggiunto un controllo completo sulla bioingegneria. Possono creare qualunque forma di vita, da singoli microbi fino a enormi navi viventi.
Come spiega Deryn, la bioingegneria ha sostituito la meccanica:

bandiera EN She remembered how Da had said London looked in the days before old Darwin had worked his magic. A pall of coal smoke had covered the entire city, along with a fog so thick that streetlamps were lit during the day. During the worst of the steam age so much soot and ash had decorated the nearby countryside that butterflies had evolved black splotches on their wings for camouflage.
But before Deryn had been born, the great coal-fired engines had been overtaken by fabricated beasties, muscles and sinews replacing boilers and gears. These days the only chimney smoke came from ovens, not huge factories, and the storm had cleared even that murk from the air.

bandiera IT Ricordò come papà aveva descritto l’aspetto di Londra prima che il vecchio Darwin compisse i suoi miracoli. Fumo di carbone aveva ricoperto l’intera città, insieme a una nebbia così fitta che i lampioni erano lasciati accesi durante il giorno. Nel momento peggiore dell’età del vapore, fuliggine e cenere avevano invaso la vicina campagna, tanto che le farfalle erano mutate: per mimetizzarsi avevano sviluppato macchie nere sulle ali.
Ma prima che Deryn nascesse, i grandi motori a carbone erano stati sostituiti da animali ingegnerizzati. Muscoli e tendini avevano rimpiazzato caldaie e ingranaggi. Adesso gli unici fumaioli in funzione erano quelli dei forni, non di enormi fabbriche, e la tempesta aveva disperso anche quel velo di sporco.

Immaginate i Flintstones, con l’uccello preistorico che usa il becco al posto della puntina del giradischi: con i Darwinisti siamo da quelle parti.

Giradischi dei Flintstones
I Darwinisti dell’età della pietra

Anche qui non è scientificamente impossibile, ma richiede un balzo tecnologico ben più ampio di quello richiesto per sostituire i cingoli. È inverosimile un tale controllo sul DNA senza lo sviluppo di scienze e tecnologie correlate, dai microscopi all’informatica. Inoltre spesso le creature darwiniste sono inefficienti: non è molto credibile che in guerra non si scelga l’alternativa migliore.
L’intera faccenda è ambigua: da un lato i Darwinisti sono dipinti come “fanatici” che prediligono la bioingegneria sulla meccanica per partito preso, dall’altro i motori della Leviathan sono normali motori meccanici. Non ha senso: o i Darwinisti hanno una fede quasi religiosa nella bioingegneria, e allora ci sta che adottino una soluzione animale anche quando l’equivalente meccanico è più funzionale, oppure scelgono di volta in volta e in questo caso una marea di loro creazioni sarebbe da buttar via.
Una brutta caduta di stile i motori meccanici sulla Leviathan: pura pigrizia da parte dell’autore, che per risolvere un inghippo nella trama se n’è fregato della coerenza.

Comunque, alcune creature Darwiniste, per quanto inefficienti e inverosimili, le ho gradite perché troppo kawaii!
Mostra una creatura kawaii ▼


Altre creature sono poco credibili e decisamente stupide.
Mostra una creatura stupida ▼

Rimangono poi alcuni problemi di fondo. Per esempio, che bisogno c’è di ingegnerizzare balene volanti e lupi-tigre quando puoi ingegnerizzare virus? Sono un’arma molto, molto, molto più efficace di qualunque “mostro”. In un altro romanzo di tecnologia contro biologia, La Guerra contro gli Chtorr di David Gerrold, gli Chtorr, prima di inviare contro la Terra i vermi giganti e gli altri “mostri”, spazzano via buona parte della popolazione con le malattie infettive.
E ancora: con una tale conoscenza della genetica, ci si aspetterebbe che i Darwinisti siano immortali, che possiedano la cura per ogni malattia, che possano farsi crescere le ali o le branchie o siano in grado di migliorare il proprio stesso cervello. Ma:

bandiera EN Though human life chains were off-limits for fabrication, the middies often conjectured that the bosun’s ears were fabricated.

bandiera IT Sebbene non fosse consentito manipolare le catene vitali umane, gli aspiranti guardiamarina spesso sospettavano che le orecchie del nostromo fossero ingegnerizzate.

Tutto qui. Una sola riga su 400 pagine per giustificare un fatto clamoroso. “Manipolare il DNA umano è contro le regole”. Fine. Lo dice l’Autore. Come accennavo: ambientazione costruita in maniera semplicistica. Al limite del cretino.

Oltre il microcosmo della Leviathan, il mondo darwinista rimane indefinito. Com’è la vita a Londra senza meccanica e in compagnia di un esercito di bestie ingegnerizzate? Non si sa. Peccato.

Il muso della Leviathan
Il muso della Leviathan

Personaggi e morale

La storia è narrata in terza persona limitata dal punto di vista di Alek e Deryn. I due punti di vista si alternano con regolarità – si passa da un personaggio all’altro ogni due capitoli. Faccio notare che il punto di vista non è mai cambiato durante una scena. I passaggi da Alek a Deryn e da Deryn ad Alek avvengono solo in corrispondenza della fine di un capitolo/inizio del capitolo successivo.

Il Principe Alek è infantile, noioso, e si comporta almeno due volte da perfetto idiota per mere esigenze di trama. L’equipaggio del walker con cui è fuggito dall’Austria è composto da personaggi insipidi quanto lui. Ho sperato che nel finale almeno il Conte Volger sviluppasse una personalità, invece è rimasto il personaggio informe di inizio storia.
Mostra la mia speranza ▼


Per fortuna Alek è un Clanker: la sua personalità assente è compensata dal rombo dei motori e dal fischiare del vapore sotto pressione. Nelle scene migliori il protagonista è più il Cyklop Stormwalker, il walker di Alek, che non Alek medesimo.

Il Principe Alek
Alek in piedi su un walker abbattuto

Deryn è più simpatica e vivace. Non che sia chissà quale eroina, ma non ti fa addormentare. Ha un carattere più forte e determinato rispetto a quello di Alek e, sebbene non sia un’aquila, non si comporta mai da cretina.
Westerfeld le ha creato un lessico con parole e locuzioni particolari (“ninny”, “diddies”, “bum rag”, “barking spiders”, “blisters”, “clart”, ecc.) che non so quanto possa essere accurato rispetto alla parlata di una scozzese di inizio secolo, però distingue bene il personaggio. Quando Deryn parla o pensa si capisce subito che è lei.
Tutto sommato un personaggio piacevole da seguire. Anche i comprimari dal lato di Deryn sono più interessanti, in particolare la donna scienziato che tiene una tigre della Tasmania come animale domestico.

Deryn e Alek soffrono poi di un grave difetto: sono buoni. Quel tipo di bontà mielosa e piena di retorica che spesso fa capolino nel fantasy.
Per esempio, Deryn dichiara di essersi arruolata per volare, non certo per combattere… ricapitoliamo: Deryn è una ragazza. Si traveste da ragazzo – rischiando la galera per sé e per il fratello, che sa del trucco e l’aiuta – e poi, alla vigilia di una guerra, si arruola volontaria nell’aeronautica militare. Perché vuole solo volare! Sì, certo. E i tizi della CIA che torturano i prigionieri nelle basi americane in Pakistan o in Lituania sono entrati nell’Agenzia solo per vedere il mondo…
E no, non è il personaggio che cerca di convincersi di essere buono quando in realtà è spinto da pulsioni molto meno nobili: Deryn è davvero buona. Ed è buona non perché abbia senso, è buona perché è in un romanzo fantasy rivolto agli Young Adult. Che squallore.
Con Alek siamo sulla stessa barca. Il poverino non riesce mai a uccidere nessuno di suo pugno e l’unica volta che muore qualcuno per causa sua, lui non l’ha fatto apposta. Che anima candida.

Nella parte finale del romanzo, affiora la solita pappa stantia: il vero nemico è l’incomunicabilità! Se conosci il tuo nemico vedi che è come te che i veri cattivi non sono i tedeschi o gli inglesi i clanker o i darwinisti i veri nemici sono i guerrafondai bla bla bla.
Noia. Noia. Noia.
Ammetto però che Westerfeld è abile nel diluire questa morale rancida nelle scene d’azione: la morale emerge dal mostrato, non è mai spiattellata esplicitamente. “La guerra è kattiva!!!” rimane un discorso da scuola elementare.

Deryn Sharp
Deryn pilota un pallone-medusa da osservazione

Stile

Poco da dire: Westerfeld è uno scrittore competente e si vede. Il romanzo è scorrevole e senza punti morti; il ritmo è sempre alto. Però, a mio parere, non sempre sono mostrate le scene che partono con le premesse migliori: per esempio l’autore dedica pagine e pagine all’atterraggio e alla ripartenza della Leviathan dallo Zoo di Londra, e taglia corto sull’inseguimento di una corazzata terrestre al walker di Alek.
C’è poi qualche sbavatura qui e là (il dialogo tra Alek e Volger mentre si allenano è chiaramente a beneficio del lettore e suona forzato) e qualche descrizione non proprio riuscita (Deryn incontra Alek e subito le viene in mente solo “handsome”), ma poca roba.
Lo stile di Westerfeld è molto funzionale, ma non è brillante: se si esclude in parte Deryn, c’è troppa distanza tra il punto di vista, molto ravvicinato ai personaggi, e il linguaggio, troppo neutro. Alek sembra un automa – o un bravo scrittore – non un giovane Principe.

Conclusioni

Romanzo di avventura semplice semplice per un pubblico di ragazzini non troppo svegli. Dubito possa piacere a chi ha più di dodici anni – parlo di età mentale, lo so che ci sono delle trentenni che tengono in camera il poster di Edward Cullen o di Sennar.
È molto più fantasy che non fantascienza: la speculazione scientifica è da asilo e rimane tollerabile solo quando le trovate sono almeno molto fantasiose. Westerfeld, nelle note a fine romanzo, lo definisce steampunk. Sì, ma solo se vogliamo applicare la definizione originaria di K. W. Jeter: “gonzo-historical” può essere una giusta classificazione per Leviathan. La componente steam in senso tecnologico è presente, ma ha un ruolo minore – i Darwinisti hanno più spazio dei Clanker. Di -punk non se ne vede neanche l’ombra.

Nel complesso un’opera mediocre. Non brutta, ma faccio fatica a trovarci qualcosa di veramente bello; di nuovo, originale, brillante. Non credo valga la pena comprare, ma dato che è gratis[2], una sbirciatina la si può dare. L’inglese è semplice, a parte qualche termine tecnico marinaresco e lo slang di Deryn.

In un’intervista dedicata ad altro argomento, un rappresentante di Einaudi ha dichiarato che il romanzo sarà pubblicato in Italia dalla loro casa editrice l’anno prossimo. Non ho idea se sia vero, né se si prenderanno l’impegno di pubblicare anche i volumi successivi: infatti Leviathan è – tanto per cambiare – il primo romanzo in una trilogia; Behemoth e Goliath sono già stati annunciati da Westerfeld, indicativamente per l’autunno 2010 e l’autunno 2011.
Tengo a sottolineare che la storia in Leviathan non è autoconclusiva: si interrompe bruscamente, lasciando la trama in sospeso.

Chi dovrebbe leggere Leviathan sono gli autori italiani o gli aspiranti tali. Tempo fa credevo che Ash di Mary Gentle potesse essere una buona pietra di paragone: ero un’ingenua ottimista! Con Leviathan l’asticella della qualità scende di una tacca, ma sarà l’ultima volta.
In altri termini: se desiderate pubblicare un libro dignitoso, dovete scrivere almeno al livello di questo romanzo di Westerfeld. Dovete dimostrare la stessa dose di fantasia e la stessa padronanza della tecnica narrativa. Non sto chiedendo la Luna, sto chiedendo un livello minimo.
Lo so che le mie parole vi entreranno in un orecchio e usciranno dall’altro. E so che si continueranno a scrivere, pubblicare e comprare romanzi pieni di puttanate con gli elfi o con ragazzine imbecilli che si innamorano del vampiro compagno di banco. Pazienza. Io ci provo.

Letture Consigliate

Se le idee dietro Leviathan (storia alternativa in chiave fantasy, robottoni, tecnologia vs. biologia) vi incuriosiscono, potreste dare un’occhiata anche a questi romanzi:

Icona di un gamberetto Il ciclo dell’Oscurità di Harry Turtledove.

 Nell’Oscurità (Into the Darkness, 1999)
 Scende l’Oscurità (Darkness Descending, 2000)
 Attraverso l’Oscurità (Through the Darkness, 2001)
 I Signori dell’Oscurità (Rulers of the Darkness, 2002)
 Le Fauci dell’Oscurità (Jaws of Darkness, 2003)
 La Fine dell’Oscurità (Out of the Darkness, 2004)

Turtledove ricrea la Seconda Guerra Mondiale, ambientandola però nel mondo fantastico di Derlavai. I carri armati diventano bestie enormi che trasportano cannoni magici, gli aerei sono draghi, i sommergibili mostri marini, e il Progetto Manhattan vede impegnati gli stregoni più potenti del mondo.
Il vero difetto di questo ciclo è proprio l’aderenza alla storia: cambiano i nomi degli stati, cambia la scienza e la tecnologia, ma per il resto gli eventi sono gli stessi, dalla spartizione della Polonia, all’attacco della Russia alla Finlandia, fino all’assedio di Stalingrado. Quando si riesce a individuare che Algarve è in realtà la Germania o che Kuusamo sono gli Stati Uniti, la vicenda diviene prevedibile, perché si sa già come andrà a finire.
Rimane un ciclo piacevole, arricchito da una profusione di punti di vista degna di Martin (ci sono almeno venti personaggi punto di vista) e dall’assenza di “buoni” e “cattivi” tradizionali. Lo stile di Turtledove è in generale decente, tranne quando glissa sulle scene d’azione per riassumerle attraverso dialoghi successivi. Qualche volta questo “trucco” funziona bene, più spesso si rivela un ripiego misero.

Copertina de La Fine dell'Oscurità
Copertina de La Fine dell’Oscurità


Icona di un gamberetto Il ciclo della Guerra contro gli Chtorr di David Gerrold.

 La Guerra contro gli Chtorr (A Matter for Men, 1983)
 Il Ritorno degli Chtorr (A Day for Damnation, 1985)
 Il Giorno della Vendetta (A Rage for Revenge, 1989)
 L’Anno del Massacro (A Season for Slaughter, 1993)
Nota importante: la storia non è finita. Nel progetto originario erano previsti altri tre romanzi, che Gerrold in sedici anni non ha ancora scritto – né è scontato che lo faccia in futuro.

La Terra viene invasa dagli alieni, gli Chtorr. Anzi, viene aggredita da un intero ecosistema alieno. Gli Chtorr sono una moltitudine di specie diverse: animali, piante, microbi. Pian piano le creature extraterrestri rimpiazzano gli equivalenti autoctoni, esseri umani compresi.
Il lavoro di Gerrold con gli Chtorr è molto più accurato e scientificamente approfondito rispetto a quello di Westerfeld con i Darwinisti. Gli Chtorr sono parecchie spanne più verosimili delle bestie ingegnerizzate in Leviathan. E sono molto più bizzarri e letali.
Nei vari romanzi del ciclo le scene d’azione sono ottime – sebbene anche qui manchino delle vere e proprie battaglie – e la sensazione di apocalisse imminente è ben resa. I romanzi funzionano meno quando Gerrold imita le lezioni di filosofia di Heinlein senza averne il carisma e la bravura. Rimane poi il grosso problema che dopo quattro libri è tutto in sospeso e non si sa se vinceranno i Terrestri o gli Chtorr. E forse non si saprà mai.

Copertina de La Guerra contro gli Chtorr
Copertina de La Guerra contro gli Chtorr


Icona di un gamberetto Fanteria dello Spazio (Starship Troopers, 1959) di Robert A. Heinlein.

Un classico della fantascienza, il romanzo che ha introdotto le Armature Potenziate e ha ispirato Yoshiyuki Tomino per Mobile Suit Gundam.
Sono narrate le avventure di un soldato nella Fanteria Spaziale Mobile, mentre la Terra si trova invischiata in una guerra interplanetaria contro gli Aracnidi.
Heinlein costruisce un mondo futuro verosimile e particolarmente curato per quanto riguarda gli aspetti sociali, politici e militari: Fanteria dello Spazio è una delle poche opere di narrativa nelle liste di lettura delle accademie militari americane.

Un fatto poco noto è che Fanteria dello Spazio, nelle intenzioni dell’autore, doveva essere un libro per ragazzi. Il rispetto che Heinlein dimostra nei confronti del pubblico a cui si rivolge è ammirevole: non ci sono semplificazioni, non ci sono pseudo guerre allo zucchero filato, non c’è morale preconfezionata da favola della buona notte; ci sono scenari realistici, c’è una filosofia di vita brutale – ma del tutto coerente con l’ambientazione, e ci sono le Armature Potenziate, una delle trovate più cool della storia della fantascienza.
Pensateci quando sentite il solito scrittorucolo delle nostre parti giustificare ogni porcata perché tanto è per un “pubblico giovane”.

Copertina di Fanteria dello Spazio
Copertina di Fanteria dello Spazio

E i romanzi di Temerarie, quelli del Drago di Sua Maestà di Naomi Novik? In effetti l’idea delle guerre napoleoniche con i draghi non è molto lontana dall’idea di avere una Prima Guerra Mondiale con i mech. Però ho letto il primo romanzo di Temerarie ed era pura fuffa. Dunque non consiglio!

* * *

note:
 [1] ^ Advance Reading Copy. Una copia di un romanzo distribuita a giornali, critici, amyketti, ecc. qualche tempo prima dell’uscita ufficiale, in modo che si possa creare il giusto hype. Qualche volta le ARC non sono ancora la versione definitiva di un libro, mancando un ultimo passaggio di editing, o una corretta impaginazione, o la giusta copertina o altri dettagli simili.

Copertina delle ARC di Leviathan
Copertina delle ARC di Leviathan

 [2] ^ Come da Segnalazione. L’edizione originale di Leviathan comprende una cinquantina di illustrazioni. Sono presenti anche nelle edizioni pirata, ma purtroppo chi ha scannerizzato il libro ha acquisito le immagini a dimensioni ridotte. Qui sotto ne potere vedere una estratta dalla versione HTML, senza ritocchi.

L'illustrazione del capitolo 19
L’illustrazione del capitolo 19

Immagini a risoluzione più alta si possono ammirare al sito del disegnatore, Keith Thompson.


Approfondimenti:

bandiera EN Leviathan su Amazon.com
bandiera EN I primi capitoli di Leviathan leggibili online

bandiera EN Il blog di Scott Westerfeld
bandiera EN Il sito di Keith Thompson

bandiera EN The Flintstones su Wikipedia
bandiera EN Il ciclo dell’Oscurità su Wikipedia
bandiera EN La Guerra contro gli Chtorr su Wikipedia
bandiera EN Starship Troopers su Wikipedia

 

Giudizio:

Ci sono i mech e i mostri! +1 -1 Ma non si picchiano tra loro.
Ci sono bestiole kawaii! +1 -1 Ma altre bestiole sono cretine.
I Clanker sono verosimili. +1 -1 Ma i Darwinisti molto meno.
Deryn è simpatica. +1 -1 Ma Alek è noioso.
Lo stile è buono. +1 -1 Ma non è brillante.

Stivale: clicca per maggiori informazioni sui voti

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Leviathan

Disponibile in Rete l’ultimo romanzo di Scott Westerfeld, Leviathan.

Lo trovate su gigapedia, qui.

Copertina di Leviathan
Copertina di Leviathan

Di solito non segnalo l’uscita di romanzi in inglese, ne escono semplicemente troppi: solo in ambito fantasy/fantascienza è possibile vedere diverse decine di release ogni settimana. Tuttavia il romanzo di Westerfeld si merita la vetrina perché pare particolarmente interessante: è un romanzo steampunk con i “robottoni”. E non ne capitano tutti i giorni!

I “robottoni” sono una delle icone della fantascienza, ma fuori dal Giappone hanno riscosso meno successo di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi. Romanzi occidentali con i mech in ruolo centrale non ce ne sono molti: c’è il capolavoro di Heinlein, Fanteria dello Spazio (capostipite dei mech moderni – è il romanzo che ha ispirato Yoshiyuki Tomino per la realizzazione di Mobile Suit Gundam), c’è il divertente Armor di John Steakley, e poi bisogna andare a pescare tra romanzi ispirati ai cartoni animati – i romanzi di Robotech/Macross – o ispirati a giochi di strategia/ruolo – i romanzi ambientati nell’universo di BattleTech.

Perciò l’opera di Westerfeld è la benvenuta, anche se non tutti gli auspici sono i migliori: è solo il primo volume dell’ennesima trilogia, il target è dichiaratamente Young Adult, e i primi due capitoli, disponibili in anteprima da alcuni mesi, non mi hanno entusiasmata. Ma se ne riparlerà nella recensione, dopo che avrò finito di leggerlo. EDIT: Recensito.

La trama:

It is the cusp of World War I, and all the European powers are arming up. The Austro-Hungarians and Germans have their Clankers, steam-driven iron machines loaded with guns and ammunition. The British Darwinists employ fabricated animals as their weaponry. Their Leviathan is a whale airship, and the most masterful beast in the British fleet.
Aleksandar Ferdinand, prince of the Austro-Hungarian Empire, is on the run. His own people have turned on him. His title is worthless. All he has is a battle-torn Stormwalker and a loyal crew of men.
Deryn Sharp is a commoner, a girl disguised as a boy in the British Air Service. She’s a brilliant airman. But her secret is in constant danger of being discovered.
With the Great War brewing, Alek’s and Deryn’s paths cross in the most unexpected way…taking them both aboard the Leviathan on a fantastical, around-the-world adventure. One that will change both their lives forever.

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Manuali 2 – Dialoghi

Introduzione

Questo è il secondo articolo dedicato ai manuali di scrittura. Il primo articolo, Manuali 1 – Descrizioni, si trova qui. Il terzo articolo, Manuali 3 – Mostrare, si trova qui.

Ricordo che questi articoli sono un invito alla lettura. Se l’argomento vi interessa, leggete i manuali via via segnalati. Li trovate tutti su gigapedia e molti anche su emule. In questo articolo c’è l’elenco completo dei manuali che ho scovato su gigapedia. Sì, lo so, sono in inglese. Ho aggiunto qualche nota bibliografica quando un manuale ha avuto un’edizione italiana, ma non posso farci niente se la traduzione è pessima o l’edizione italiana è fuori commercio. Se si intende scrivere fantasy o fantascienza con serietà, vale la pena investire del tempo per imparare l’inglese. Non è indispensabile, ma aiuta moltissimo.

* * *

Se pensate che i manuali di scrittura siano inutili o dannosi, prima di continuare date un’occhiata alle Risposte ai Miti.

A tal proposito, voglio aggiungere qualche altra parola.
Lo scopo è imparare a scrivere bene. Essere orgogliosi dei romanzi e dei racconti che si scrivono. Troppo spesso si confonde la buona scrittura con la pubblicazione (intesa in senso tradizionale: il romanzo in libreria). Scrivere bene e pubblicare sono due attività distinte. Qualche volta c’è un rapporto di causa-effetto (ho scritto un bel romanzo, vengo pubblicata), nella maggior parte dei casi non c’è alcuna particolare correlazione.
Ciò non vuol dire che non si debba aspirare a pubblicare, è un desiderio legittimo, ma non può essere la spinta a cercare di migliorarsi, perché scrivere più o meno bene non incide sulle possibilità di approdare in libreria. Se una persona mi chiedesse: “Ma in pratica, che vantaggio ho a studiare l’inglese? Leggere i manuali di scrittura? Darmi una disciplina nello scrivere?” la risposta sarebbe che non c’è alcun vantaggio pratico. Il “vantaggio” è che si potrà essere fieri di quello che si è scritto e, se qualcuno leggerà le nostre storie, non dovremo vergognarci.

Così come scrivere bene non porta necessariamente alla pubblicazione, allo stesso modo un romanzo non diventa automaticamente decente perché ha trovato una casa editrice. Scrive Ansen Dibell in Plot:

bandiera EN Bad writing, by any standard you care to name, sometimes reaches the printed page.
Print doesn’t sanctify it. I’ve read some really rottenly-written fiction over the years, and not all of it in dog-eared copies with garish covers, from used-book shops—how about you?
But competent writers have their lapses, too. In many cases where a major narrative blunder survives into print, it’s tolerated because the story shines like a jewel, flaws and all, and the momentary failure of craft is forgiven for the sake of the power of the whole.
Some boners are allowed great writers. Laughably bad technique is often tolerated from very popular writers. But you and I are interested in good craft, in understanding options and making choices on purpose. If you didn’t care about craft, you wouldn’t be reading this book. So you wouldn’t want to cite others’ blunders to justify your own anyway—right?

bandiera IT La cattiva scrittura, qualunque criterio si adotti per definirla, qualche volta raggiunge la pagina stampata.
La pubblicazione non santifica la cattiva scrittura. Nel corso degli anni mi è capitato di leggere narrativa scritta in maniera davvero schifosa, e non sempre si trattava di libri trovati su qualche bancarella, con i bordi delle pagine arricciati e copertine pacchiane. E a voi è mai capitato?
Ma anche gli scrittori competenti ogni tanto sbagliano. In molti casi, quando un errore vistoso arriva fino alla pubblicazione, è perché la storia risplende come un gioiello, difetti compresi, e una svista è oscurata dalla qualità dell’insieme.
Qualche strafalcione è concesso ai grandi scrittori. Una tecnica ridicolmente scarsa è spesso tollerata in scrittori molto popolari. Ma noi siamo interessati alla buona scrittura, siamo interessati a conoscere le alternative e vogliamo compiere scelte consapevoli. Se non vi interessasse la buona scrittura, non stareste leggendo questo libro. Perciò non vi metterete a citare gli errori degli altri per giustificare i vostri, giusto?

In altre parole: non si tratta di mettersi in competizione con autori già pubblicati, non si tratta di una gara per arrivare alla pubblicazione, si tratta di imparare a scrivere bene!

Taiga armata di bokken
Imparate a scrivere una buona volta! Non costringetemi a usare il bokken: anche se è solo una spada di legno, fa molto male

Scopo dei dialoghi

La scopo principale dei dialoghi è caratterizzare i personaggi che vi partecipano.
I dialoghi sono uno strumento potentissimo per definire un personaggio, spesso ancor più delle azioni che compie:

Michele esce ogni sera con una ragazza diversa: le sue azioni lo definiscono come un certo tipo di personaggio.
Michele esce ogni sera con una ragazza diversa; a ognuna dice che l’amerà per tutta la vita e non la tradirà mai: le azioni sono uguali, ma il dialogo dipinge un Michele diverso.

Michele spara a Carlo: Michele è un certo tipo di personaggio.
Carlo dice a Michele che gli ha ucciso il figlio, Michele gli spara: stessa azione, ma il dialogo dipinge un altro Michele (e un altro Carlo, non più vittima innocente).

I dialoghi sono un mezzo favoloso per dare spessore a un personaggio. Oltre a questo si possono usare i dialoghi per arricchire le descrizioni, per spingere la storia in nuove direzioni, per accrescere la tensione o per smorzare il ritmo.

Discorso diretto e indiretto

Il discorso diretto è il riportare battuta per battuta quello che i personaggi si dicono:

«Ciao, come stai?» chiese Michele.
«Io sto bene» rispose Anna.

Quando si usa il narrato per riferire gli stessi concetti, è discorso indiretto:

Michele salutò Anna e le chiese come stava. Anna rispose che stava bene.

Il discorso diretto è mostrare. Il discorso indiretto è raccontare. Dato che la regola numero uno della narrativa recita: “mostrare, non raccontare!”, il discorso diretto è preferibile.
È preferibile perché è più preciso e concreto. “Michele salutò Anna” è vago, è generico, non consente al lettore di vedere o sentire. Quel saluto potrebbe essere uno qualunque di questi – e tanti altri:

«Ciao, bella!»
«Buongiorno, signorina Anna.»
«Lunga vita e prosperità.»
«Oh, tipa, sì tu, che ci hai da accendere?»

Ognuno dei quattro saluti aiuta a definire il personaggio di Michele e il suo rapporto con Anna.
La materia grigia del lettore è stimolata; nel suo cervello la scena si abbozza: anche se non scriviamo nient’altro è possibile che il lettore veda un Michele trasandato leggendo il quarto saluto e magari un Michele maggiordomo leggendo il secondo. Con “Michele salutò Anna” il lettore non vede niente.

Il discorso indiretto non funziona. È inchiostro sprecato e porta molto in fretta alla noia. Non è una scappatoia dal discorso diretto. Se io sono in difficoltà con le scene d’amore, ma la trama richiede che Michele confessi ad Anna che la ama alla follia, non posso scrivere: “Michele confessò ad Anna che l’amava”. Fa schifo. Devo impegnarmi, costruire il dialogo battuta per battuta; se non viene bene rifarlo, provare a leggere qualche romanzo rosa per avere ispirazione, ritentare e ritentare un’altra volta.
Se è vitale per la trama che Michele spieghi ad Anna come si atterra con un F-16 non posso scrivere: “Michele spiegò ad Anna come pilotare il caccia”. Fa schifo. Devo documentarmi e rendere il discorso diretto verosimile.

Il discorso indiretto può essere usato solo quando il discorso diretto risulterebbe ripetitivo o insignificante.
Esempio:

«Andrelli?» chiamò la maestra.
Un bambino alzò la mano. «Presente.»
«Bonzi?»
«Presente.»
«Carotoni?»
«Presente.»
La maestra continuò l’appello fino a Valvucci, assente.

“La maestra continuò l’appello [...]” è discorso indiretto. Ma è meglio così che non avere un elenco di trenta nomi con trenta “presente”.
O ancora: se sappiamo che Michele è il maggiordomo, dopo la prima volta che ha salutato Anna, le volte successive possiamo sì scrivere “salutò Anna”, perché il lettore sa di cosa stiamo parlando.
Altro esempio:

«Allora mi sono arrampicata sul muro. Ho usato le cesoie del contadino per tagliare il filo spinato. Ho aspettato che la guardia passasse e sono saltata a terra. Mi sono nascosta dietro il gabbiotto degli attrezzi. Ho forzato la serratura. Dentro ho trovato il fucile da cecchino e due caricatori. È stato facile ammazzare Don Calogero quando si è affacciato al balcone.»
Intanto era entrato in classe Michele. Anna spiegò anche a lui come superare il quinto livello di Hitman.

“Anna spiegò anche a lui [...]” è discorso indiretto, ma è preferibile che non ripetere le battute appena pronunciate.

Hitman
I videogiochi di Hitman sono tra i miei preferiti, perché si possono garrottare le persone! Manca solo un mod che inserisca gli autori di fantasy italiani…

Però, qualche volta, le ripetizioni possono essere volute. Per esempio, supponiamo che Anna ogni volta che viene interrogata dal professore di matematica abbia una scusa per non presentare i compiti. “Li ha mangiati il gatto”, “Erano nella macchina dello zio che è finita nel fiume”, “Le macchie solari hanno sciolto l’inchiostro del quaderno”. Alla diciottesima scusa, si potrebbe scrivere: “Anna inventò l’ennesima scusa”. Oppure si può riportare la diciottesima scusa: ripetitivo, ma divertente.

Il discorso indiretto spesso è usato come forma di (auto)censura:

Il martello colpì il dito invece del chiodo. Anna imprecò.

Se non ci sono ragioni particolari – stiamo scrivendo un libro per bambini e vogliamo evitare le parolacce – è meglio trascrivere l’imprecazione:

Il martello colpì il dito invece del chiodo. «Cazzo che male!»

Se Anna invece non si lascia mai andare a espressioni volgari – può essere, non è di per sé inverosimile – allora non impreca neanche usando il discorso indiretto.

Si può impiegare il discorso indiretto per celare fatti al lettore:

«Non hai paura della polizia?» chiese Anna.
«È un piano perfetto. Non la vedremo neanche la polizia» rispose Michele. Quindi illustrò ad Anna i dettagli dell’operazione.
Anna sorrise. «Con la mia parte voglio comprarmi una villa ai Caraibi!»

Per non svelare in anticipo al lettore come si svolgerà l’assalto alla banca, si passa per un attimo al discorso indiretto. Non è grave, è una consapevole scelta che normalmente il lettore accetta di buon grado. Tuttavia con un po’ di sforzo si può evitare:

«Non hai paura della polizia?» chiese Anna.
«Se seguiremo alla lettera il piano del marsigliese non la vedremo neanche la polizia» rispose Michele.
Anna sorrise. «Con la mia parte voglio comprarmi una villa ai Caraibi!»

Se Anna conosce il piano del marsigliese e il lettore no, il risultato è lo stesso di prima, ma il Narratore non è dovuto intervenire. Un piccolo guadagno in verosimiglianza.

Punteggiatura nel discorso diretto

Appurato che nella maggioranza dei casi è necessario usare il discorso diretto, è utile ricapitolare quale sia la corretta punteggiatura. Non so perché, ma mi capita spessissimo di vedere manoscritti con dialoghi pieni di punteggiatura bizzarra e simboli strani. Non vale la pena fare gli originali: il lettore è abituato a un certo schema visivo, se lo si viola, si attira l’attenzione sui segni invece che sulla storia. Non è una buona idea.

Per delimitare il discorso diretto si usano o le virgolette alte (“) o le virgolette uncinate[1] (« ») o il trattino lungo (–). Bisogna usare lo stesso simbolo in tutto il romanzo o racconto. Inoltre basta un simbolo solo, non c’è bisogno di mettere un trattino dopo le virgolette, o due virgolette diverse di seguito.
Esempi:

“Oggi è una bella giornata.”
«Oggi è una bella giornata.»
– Oggi è una bella giornata.

La punteggiatura di solito è dentro le virgolette. Il trattino non va chiuso se non ci sono altre parole dopo la fine della battuta. Dopo le virgolette a inizio battuta e prima delle virgolette in chiusura di battuta non ci vuole lo spazio; ci vuole invece dopo il trattino in apertura e prima del trattino in chiusura.

Domanda & Risposta

Ma io non posso introdurre il dialogo con l’asterisco???

Sì che puoi farlo! Però i lettori continueranno a chiedersi: “Perché ci sono tutti questi asterischi?” e non presteranno attenzione alla storia.

Se si vogliono distinguere due tipi di dialogo, per esempio il parlato del protagonista e i pensieri del protagonista, si possono usare due simboli diversi: magari il trattino per i discorsi e le virgolette alte per i pensieri. Per i pensieri si può anche usare il corsivo, senza alcun simbolo di delimitazione.

«Oggi è una bella giornata» disse Michele. In verità fa schifo, pensò.

Se la battuta non è autonoma ma è introdotta da un verbo, ci sono varie alternative. Le più comuni sono le seguenti tre:

  • Mettere uno spazio. «Oggi è una bella giornata» disse Michele.
  • Mettere uno spazio e una virgola dentro la battuta. «Oggi è una bella giornata,» disse Michele.
  • Mettere uno spazio e una virgola dopo la battuta. «Oggi è una bella giornata», disse Michele.

Non c’è un modo “giusto”: ognuno può scegliere quello che preferisce, l’importante è che si mantenga lo stesso stile nel corso dell’intero manoscritto.
Se la battuta termina con un punto di domanda o un punto esclamativo, di solito non si mette la virgola:

«Oggi è una bella giornata!» esclamò Michele.

Meglio le virgolette uncinate, quelle alte o il trattino? Anche qui è questione di gusti. Per curiosità ho preso dieci fantasy italiani pubblicati negli ultimi anni da editori diversi, questi sono gli stili:

 Pan (Marsilio, 2008).
«Tre bussolotti, vedete» dice la Meravigliosa Wendy.
(Virgolette uncinate e spazio).

 Gli Ultimi Incantesimi (Salani, 2008).
«Ora che lo so mi sento meglio» esplose Inskay.
(Virgolette uncinate e spazio).

 La Ragazza Drago II (Mondadori, 2009).
«Per trovare te ho impiegato molti anni, lo sai» diceva a Sofia.
(Virgolette uncinate e spazio).

 L’Eretico (Corbaccio, 2005).
«Il tenente Stark avrà il comando» riprese Ruesch.
(Virgolette uncinate e spazio).

 Gli Eroi del Crepuscolo (Einaudi, 2008).
– È andato a farsi un bagno, – rispose, piano.
(Trattino e virgola dentro).

 Il Signore del Canto (Delos Books, 2009).
– È quello che ho sentito – borbottò la ragazza.
(Trattino e spazio).

 Wunderkind (Mondadori, 2009).
– Grazie – gracchiò il ragazzo.
(Trattino e spazio).

 La Leggenda dei Cinque Ardenti (Armenia, 2007).
«Zitta. Siedi e mangia», la interruppe, senza neppure guardarla in faccia.
(Virgolette uncinate e virgola fuori).

 Estasia 2 (Curcio, 2008).
“Non è del tutto vero ciò che dici” lo corresse il guerriero.
(Virgolette alte e spazio).

 La Rocca dei Silenzi (Nord, 2005).
«Accomodati tra noi folli, dunque, Thal Dom Djèw», lo invitò Grèon en’Dhat.
(Virgolette uncinate e virgola fuori).

Le virgolette uncinate sono in maggioranza, ma c’è una bella varietà di stili. Addirittura Wunderkind e La Ragazza Drago II, pur essendo stati pubblicati lo stesso anno dalla stessa casa editrice, hanno stili diversi.

Copertina de La Ragazza Drago II
Copertina de La Ragazza Drago II. Non ci sperate, non lo recensirò

Se i simboli per delimitare i dialoghi possono essere scelti in base al gusto personale – pur nel rispetto delle convenzioni e dell’uniformità – la posizione dei dialogue tag ha un significato preciso. I dialogue tag sono quelle locuzioni usate per identificare chi parla e come parla; sono i “disse Michele”, “bofonchiò Anna”, “rispose allegramente Marco” e così via.

Questi tag possono essere messi in quattro posizioni.

Icona di una stellina Prima della battuta. È lo scolastico: due-punti-a-capo-aperte-virgolette. Esempio:

Michele disse:
«Oggi è una bella giornata.»

È pesante, appunto scolastico, può suonare addirittura biblico:

E Gesù disse:
«Beati quelli che sanno scrivere i dialoghi.»

L’enfasi che si pone sulla battuta è notevole. Non è il caso di usare questa posizione spesso.

Icona di una stellina Dopo la battuta.

«Oggi è una bella giornata» disse Michele.

Questa posizione è da usarsi solo se la battuta è breve, se il lettore riesce con gli occhi a cogliere subito il “Michele”. Infatti lo scopo primario dei dialogue tag è identificare chi parla, se la rivelazione avviene dopo dieci righe è finito lo scopo.

«Oggi è una bella giornata. Non come ieri però, ieri sì che c’era un bel sole, e non faceva neanche tanto caldo. Oggi invece è nuvoloso, e l’afa è fastidiosa. Dovrebbe alzarsi il vento, un bel vento a rinfrescare l’ambiente. Anche se spesso il vento mi fa venire il mal di testa» disse Michele.

Il passaggio sopra non funziona perché il lettore comincia a leggere, continua a leggere, e la sua comprensione è ostacolata dal fatto che a parlare potrebbe essere Michele come Carlo o Antonio – il lettore non sa quale personaggio deve immaginare con la bocca in movimento. Quando scopre chi è, è troppo tardi, il fastidio si è già fatto strada.
Perciò dialogue tag dopo la battuta, solo se la battuta è breve.

Icona di una stellina Nel mezzo della battuta.

«Oggi è una bella giornata» disse Michele. «Non come ieri però, ieri sì che c’era un bel sole, e non faceva neanche tanto caldo.»

Questa posizione va appunto bene quando la battuta è lunga, per identificare subito chi parla.
Si può anche usare questa posizione per introdurre una pausa:

«Sono stufo di vivere» disse Michele. «E sono stufo di mangiare pizza.»

È un ritmo più lento di:

«Sono stufo di vivere. E sono stufo di mangiare pizza» disse Michele.

Icona di una stellina Nessun tag. Può essere sottointeso chi parla.

Michele si alzò in punta di piedi e picchiò con le nocche il vetro della finestra. «Anna, sei sveglia?»

Il lettore non ha alcun problema a capire che ha parlato Michele. In generale, se a parlare è il soggetto della frase precedente, il lettore non ha difficoltà a fare l’associazione.
Il lettore non ha difficoltà anche nel caso le battute siano alternate tra due personaggi:

Michele si alzò in punta di piedi e picchiò con le nocche il vetro della finestra. «Anna, sei sveglia?»
«Che diavolo vuoi alle tre di notte?»
«Non stai guardando la TV?»
«No, stavo dormendo.»
«Sono arrivati gli extraterrestri!»

Questa soluzione di non usare alcun tag è un’ottima soluzione, essenziale ed elegante. Però si deve stare attenti a che sia chiaro chi parla:

Michele portò alla cassa dodici copie di Nihal nella Terra del Vento. La commessa lo fissò dritto negli occhi. «Mia sorella è una grande fan di Licia Troisi.»

Chi ha parlato? Michele o la commessa? L’ultimo soggetto è la commessa, però il punto di vista è quello di Michele. È una frase ambigua, e le frasi ambigue disturbano il lettore. Meglio aggiungere il tag:

Michele portò alla cassa dodici copie di Nihal nella Terra del Vento. La commessa lo fissò dritto negli occhi.
«Mia sorella è una grande fan di Licia Troisi» si giustificò Michele.

* * *

Dicevamo che il ruolo primario dei tag è identificare chi parla. E dicevamo che può essere una buona idea eliminare del tutto i tag. Alcuni furboni, per coniugare le due cose, inseriscono nelle battute i nomi dei personaggi.

«Anna, la devi finire di infastidirmi.»
«Non essere così permaloso, Michele.»
«Anna, sono serio.»
«Michele, anch’io.»

Tanto per cambiare, dialoghi del genere fanno pena. Infatti è innaturale continuare a chiamarsi per nome in quella maniera. È raro citare esplicitamente il nome della persona con cui stiamo parlando. Quando succede, c’è una ragione precisa:

«Carotoni, vieni alla lavagna» disse la maestra.

La maestra deve per forza chiamare per nome, avendo di fronte trenta alunni.
Oppure si può inserire il nome poche volte, in battute chiave per dare maggior enfasi:

«Ho deciso di partire per Marte.»
«E io ho deciso di comprarmi un vestito nuovo.»
«Anna, non sto scherzando.»

In altri termini: l’inserire i nomi nelle battute ha uno scopo, e questo scopo non è quello di facilitare la vita allo scrittore che cerca di eliminare i dialogue tag.

L’altro ruolo dei tag è definire come un personaggio parla. Qui più si elimina, meglio è.
Il come deve essere implicito nelle battute o nell’azione.

«Ridammi lo stereo» disse rabbiosamente Michele.

Lo scrittore non deve raccontare che Michele è arrabbiato, lo deve mostrare.

«Ridammi lo stereo, oppure ti spacco quella cazzo di faccia da scimmia che ti ritrovi» disse Michele.

Ci sono dubbi sul fatto che Michele stia parlando rabbiosamente?
Oppure, senza tag, mantenendo la battuta originaria:

Michele puntò la pistola alla tempia di Carlo. Tolse la sicura. «Ridammi lo stereo.»

Ci sono dubbi sul fatto che Michele sia incazzato?
È sempre il solito discorso: il mostrare è più efficace del raccontare. Mettere un aggettivo o un avverbio è una scelta pigra. Lo scrittore vuole Michele incazzato ma neanche lui sa in che modo si manifesta l’incazzatura. E il lettore dovrebbe fare il lavoro al posto suo. Manco per niente! Lo scrittore deve vincere la pigrizia, togliere l’avverbio, e mostrare la rabbia di Michele.

Qualche volta si compie l’errore di mostrare e raccontare.

Michele accostò la bocca all’orecchio di Carlo. «Ridammi lo stereo» sussurrò.

Visto che gli parla all’orecchio, mi sembra scontato che sussurri, dunque si può togliere.

Anna arretrò fino all’angolo opposto della stanza. Il fuoco divorava la carta da parati, il letto era in fiamme, le travi del soffitto ardevano. «Aiuto! Aiuto! Qualcuno mi aiuti!» gridò.

Non credo che Anna chieda aiuto sussurrando

Un’altra pratica fastidiosa è l’abuso del gerundio insieme ai dialogue tag.

«Oggi sei splendida» disse Michele, sorridendo.
«Qui dentro non si respira» disse Anna, tossendo.

O sorridi o tossisci o parli. Meglio:

Michele sorrise. «Oggi sei splendida.»
«Qui dentro», Anna tossì, «non si respira.»

Anche quando le azioni non si contraddicono, i gerundi sono meh, poco affilati.

L’ispettore Callahan puntò la pistola. «Coraggio, fatti ammazzare.»

È più netto e preciso di:

«Coraggio, fatti ammazzare» disse l’ispettore Callahan, puntando la pistola.

Infine, non c’è niente di male a usare “disse”. Non si vince un premio se si scovano tutti i sinonimi di “dire”. È meglio una ripetizione piuttosto che un termine balordo:

«Sulla i manca un puntino» arzigogolò Michele.

Sigh.
Non sono solo i dilettanti a cadere in questo tranello, basta leggere questo brano da una recensione del New York Times:

bandiera EN [...] Mr. Ludlum has other peculiarities. For example, he hates the “he said” locution and avoids it as much as possible. Characters in “The Bourne Ultimatum” seldom “say” anything. Instead, they cry, interject, interrupt, muse, state, counter, conclude, mumble, whisper (Mr. Ludlum is great on whispers), intone, roar, exclaim, fume, explode, mutter. There is one especially unforgettable tautology: ” ‘I repeat,’ repeated Alex.”
The book may sell in the billions, but it’s still junk.

bandiera IT [...] il signor Ludlum ha altre particolarità. Per esempio, odia la parola “disse” e la evita il più possibile. I personaggi in “The Bourne Ultimatum” raramente “dicono” qualcosa. Invece piangono, interferiscono, interrompono, rimuginano, dichiarano, controbattono, concludono, bofonchiano, sussurrano (il signor Ludlum è un appassionato di sussurri), intonano, ruggiscono, esclamano, sbuffano, esplodono, brontolano. C’è una tautologia particolarmente indimenticabile: ” ‘Ripeto,’ ripeté Alex.”
Il libro potrà vendere miliardi di copie, ma rimane spazzatura.

Chissà quando un giornale delle nostre parti avrà il coraggio di definire “spazzatura” un romanzo italiano che vende molto bene…

Copertina dell'edizione inglese di The Bourne Ultimatum
Copertina dell’edizione inglese di The Bourne Ultimatum

Domanda & Risposta

Ma Augusto Pepponi, che è un Grande Scrittore, usa un sacco di dialogue tag pieni di avverbi e aggettivi. Gamberetta, visto che ti sbagli???

E qui lascio la parola a Dean R. Koontz:

bandiera EN You can find published novels in which authors use one flashy dialogue tag after another. Don’t send me a list of those authors, please. I didn’t tell you that the frequent use of such tags would prevent you from being published. I only said that they indicate that the author is an amateur or that he lacks the sensitivity to appreciate the musical qualities of language. Books full of inept dialogue tags get published all the time. Of course they do. Not all published writers are good writers.

bandiera IT Si possono trovare romanzi pubblicati nei quali gli autori usano dialogue tag appariscenti uno dietro l’altro. Per piacere, non mandatemi una lista di questi autori. Non ho mai detto che l’uso frequente dei tag in quella maniera impedisca di essere pubblicati. Ho solo detto che un tale uso indica che l’autore è un dilettante che manca della sensibilità per apprezzare le qualità musicali del linguaggio. Vengono pubblicati di continuo libri pieni zeppi di dialogue tag orribili. Ovviamente succede. Non tutti gli scrittori pubblicati sono bravi scrittori.

* * *

Abbiamo visto come si delimitano e si introducono i discorsi diretti. Bisogna prestare attenzione alla punteggiatura anche nelle battute.

La virgola indica una pausa breve, ed è accettabile. Il punto indica una pausa più lunga, ed è accettabile. I puntini di sospensione indicano una pausa molto lunga. Così lunga che normalmente ha bisogno di essere mostrata.

«Ma io… io, ecco, non volevo… non volevo…» disse Anna

Non è un granché. Meglio riempire le pause:

«Ma io», Anna abbassò lo sguardo. «Io, ecco, non volevo.» Le guance le divennero rosse. «Non volevo.» Rimase in silenzio, ad aspettare la decisione della maestra.

Inoltre si deve ragionare bene se le pause sono volute o sono solo frutto di indecisione dello scrittore. Siamo sicuri che il personaggio è davvero così incerto? O magari siamo noi che non sappiamo bene quali parole mettergli in bocca?
Se il personaggio è davvero insicuro, mostrare l’insicurezza è molto più efficace di infarcire il dialogo con puntini di sospensione.

I punti esclamativi vanno usati con parsimonia e uno per volta è più che sufficiente. Come sempre è il mostrare che funziona, non il raccontare. Se io scrivo:

«Hai saputo la notizia? Ghigliottina Editore pubblicherà il mio romanzo!»

E se scrivo:

«Hai saputo la notizia? Ghigliottina Editore pubblicherà il mio romanzo!!!»

Ho scritto due frasi con lo stesso significato, preciso identico. I punti esclamativi in più non portano maggior enfasi. Se voglio maggior enfasi devo mostrare:

Anna non riusciva a star ferma. Saltellava qui e là per la stanza. Fece una capriola e si rimise in piedi barcollando. Stappò lo spumante e ne bevve un sorso. «Hai saputo la notizia? Ghigliottina Editore pubblicherà il mio romanzo!»

Il punto di domanda seguito dal punto esclamativo (?!) dev’essere usato solo in situazioni eccezionali. Di quelle che non capitano quasi mai.

Se si vuole dare enfasi alle singole parole è meglio usare il corsivo piuttosto del maiuscolo. Meglio:

«Hai saputo la notizia? Ghigliottina Editore pubblicherà il mio romanzo!»

di:

«Hai saputo la notizia? Ghigliottina Editore pubblicherà il MIO romanzo!»

Robe in stile fumetto, del tipo:

Darth Vader si prese la testa tra le mani. «NOOOoooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!!!»

non fanno una bella impressione, a meno che consapevolmente non si stia cercando di imitare uno stile del genere. E anche in quel caso non vuol dire che sia una buona idea.

* * *

Il famoso scrittore portoghese José Saramago, premio Nobel per la letteratura nel 1998, usa uno stile particolare per i dialoghi. Ecco un estratto dal suo romanzo Le Intermittenze della Morte (2005):

Come responsabile del dicastero della salute, assicuro a tutti coloro che mi ascoltano che non c’è alcun motivo di allarme, Se ho ben capito quanto ho appena udito, osservò un giornalista in un tono che non voleva sembrare troppo ironico, secondo lei, signor ministro, non è allarmante il fatto che nessuno sta morendo, Esatto, anche se con altre parole, è proprio ciò che ho detto, Signor ministro, mi permetta di ricordarle che ancora ieri c’erano persone che morivano e a nessuno sarebbe passato per la testa che questo fosse allarmante, È naturale, la consuetudine è morire, e morire diviene allarmante solo quando le morti si moltiplicano, una guerra, un’epidemia, per esempio [...]

In pratica non ci sono né virgolette, né trattini, né a capo; l’unica indicazione che inizia una battuta è data dalla maiuscola che segue la virgola. Inoltre Saramago non usa né punti di domanda, né punti esclamativi.

Copertina de Le Intermittenze della Morte
Copertina de Le Intermittenze della Morte

Saramago ha spiegato che adotta questo stile non perché sì, ma perché gli sembra possa essere più verosimile. Quando le persone parlano non ci sono virgolette, né ritorni a capo, né punti esclamativi e di domanda. Il tentativo è quello di imitare il flusso della conversazione come si dipana nella realtà. È sacrificata la consuetudine in cambio di maggiore verosimiglianza. Una scelta consapevole.
Si possono stravolgere le regole se si ha ben presente cosa si sta facendo e perché. Poi è tutto da dimostrare che i vantaggi superino i problemi. Io quel romanzo di Saramago ho provato a leggerlo: ho fatto parecchia fatica a seguire i dialoghi.

Verosimiglianza

Seguendo i consigli della sezione precedente, si possono scrivere dialoghi corretti dal punto di vista formale. Non è sufficiente. Un buon dialogo è prima di tutto verosimile.
Il lettore deve credere che le parole che mettiamo in bocca ai personaggi nascano spontaneamente dai personaggi stessi. Il lettore deve avere l’impressione che i personaggi siano vivi e che non siano marionette.

L’autore ha una sola voce, i personaggi ne devono avere tante quanti sono. Il profugo bosniaco non può parlare come una fan tredicenne di Twilight che a sua volta non si esprime come un generale dell’esercito. Se vogliamo mettere in bocca a un ufficiale veterano le parole: “Edward è proprio uno gnokko!”, bisogna inserire una valida giustificazione.
I personaggi devono esprimersi in maniera consistente: se la fan tredicenne di Twilight parla come una cerebrolesa a pagina 5, deve farlo anche a pagina 100, a meno che nel frattempo l’autore non abbia mostrato il cambiamento nella personalità della ragazza.
Non è un invito ad adagiarsi in uno stereotipo: il barbone può avere tre lauree e il generale avere una passione morbosa per i vampiri, l’importante è che questi dettagli fondamentali siano mostrati.

Se il romanzo è ambientato in un mondo secondario c’è maggiore libertà, ma fino a un certo punto. Il contadino non può esprimersi alla stessa maniera del mago centenario che ha passato l’intera vita a studiare. Poi nessuno vieta di progettare un mondo in cui anche i contadini studiano i misteri della magia da mattino a sera – il lavoro manuale lo fanno gli gnomi da giardino a orologeria – basta essere consapevoli del problema. E rimane il vincolo della consistenza: è probabile che possa far parlare un drago come mi pare, ma se è una bestia che si esprime a ringhi a pagina 18, sarà ancora una bestia ringhiosa a pagina 97, a meno di non mostrare il mutamento.

I personaggi, in determinati ambienti (per esempio le forze armate), si esprimo in gergo. L’autore deve documentarsi su quale siano le convenzioni dell’ambiente in questione e far parlare i personaggi di conseguenza. Il ragionamento: “Chi se ne sbatte, tanto nessuno dei miei lettori è mai stato sommergibilista, mi invento quello che voglio” è sbagliato, perché:

  • Al lettore basta il sospetto per perdere fiducia. Forse non sarà mai stato in Marina, ma lo stesso gli sembrerà molto strano che il Capitano del sommergibile si esprime proprio come il vicino di casa, di mestiere falegname. Comincerà a prestare maggiore attenzione a questi dettagli, e quando capiterà un particolare che il lettore conosce bene e l’autore no, il lettore avrà la conferma che l’autore è un ciarlatano. Dopo di che chiude il libro, si collega a Internet e comincia a parlar male dell’autore su tutti i forum che gli capitano a tiro.
  • Lo si trova il lettore ex sommergibilista. Lui non ha bisogno di ulteriori conferme: butta il libro e si fionda su Internet!
  • È una questione di rispetto per il prossimo.
    Aprite il frigorifero e dovete chiudervi il naso per la puzza. La maionese è acida, la carne è nera, il latte scaduto, le verdure marce, il pesce è ridotto a una poltiglia. Pensate: “Be’ chi se ne sbatte, tanto stasera ho ospiti a cena”?
    Io non credo proprio. Quando ci sono ospiti a cena magari si prepara un pasto più gustoso del solito. I lettori sono gli ospiti a cena: bisogna dar loro il meglio, non gli avanzi.

Una giusta preoccupazione è quella che il gergo possa rendere difficile la lettura. È vero, però con un po’ di furbizia lo scrittore può illustrare il gergo in maniera indolore. Per esempio i romanzi di guerra di Tom Clancy sono pieni di vampiri. I personaggi gridano disperati che i vampiri stanno per colpire la portaerei. Al che il lettore può essere spiazzato, può immaginarsi torme di ragazzotti sbrilluccicosi e con i denti appuntiti che si stanno avvicinando in canotto.
Ma se a questo punto mostro le scie di un nugolo di missili diretti contro la portaerei, nessuno avrà problemi a capire che “vampiro” è un termine gergale per “missile anti-nave”. È rispettata sia la verosimiglianza sia la comprensione del lettore.

Due tipi di vampiri
Disguido semantico

Attenzione: il collegamento vampiro-missile deve essere implicito. Una cosa del tipo:

Il guardiamarina Michele osservò le scie lasciate dai vampiri. I missili anti-nave, che noi in gergo chiamiamo vampiri, sono un grosso rischio per la portaerei, si disse.

è un’atrocità. Pensieri e dialoghi non devono essere artefatti per informare il lettore. Ma su questo tornerò più avanti.

* * *

Un punto cruciale è bilanciare la brillantezza con la verosimiglianza. Quando la gente parla nella vita reale, spreca una quantità di parole impressionante. Il novanta percento dei discorsi che conduciamo sono chiacchiere inutili, banalità, o comunicazioni di servizio: “scusa non ti ho sentito pensavo ad altro oh squilla il telefono uh hai comprato la marmellata?” A riportare sulla carta discorsi del genere si otterrebbe massima verosimiglianza, ma nessuno avrebbe voglia di leggere un romanzo pieno di dialoghi condotti in questa maniera.
I personaggi in un romanzo devono esprimersi in maniera interessante. Catturare l’attenzione del lettore. Coinvolgerlo. Problema: un personaggio che dice sempre cose interessanti non è verosimile. I pareri a proposito sono discordi. James N. Frey in How to Write a Damn Good Novel è per la brillantezza; invita gli autori a meditare ogni battuta perché sia sempre intrigante, arguta o spiritosa. Gloria Kempton in Dialogue invece invita al massimo della spontaneità; non bisogna mai cercare apposta la battuta intrigante, arguta o spiritosa.

Entrambe le strade sono praticabili, ma entrambe sono difficili da seguire: ci vuole notevole talento sia per scrivere dialoghi brillanti, sia per scrivere dialoghi sempre verosimili ma che non siano noiosi e banali. Se proprio dovessi scegliere, in linea teorica propenderei più per le tesi della Kempton, anche se personalmente mi diverto molto di più a cercare di scrivere dialoghi brillanti piuttosto che dialoghi assolutamente verosimili.

Nelle light novel di Haruhi (ne ho parlato qui), Kyon, protagonista e narratore, non si esprime come un ragazzo. Kyon è cinico e sarcastico, non suona quasi mai come un sedicenne. Eppure i dialoghi funzionano benissimo: la brillantezza delle battute mette in ombra la scarsa verosimiglianza.
Nella quarta light novel, The Disappearance of Suzumiya Haruhi, la storia diviene drammatica e Kyon non può più esprimersi con il consueto, ironico distacco. I dialoghi sono meno vivaci, ma più verosimili. Forse è anche per questo che The Disappearance è più emozionante dei romanzi precedenti.

Immagine dal film di The Disappearance of Suzumiya Haruhi
Una delle prime immagini del film tratto da The Disappearance of Suzumiya Haruhi, in uscita nella primavera del 2010

Riporto i due esempi di Frey sulla questione verosimiglianza vs. brillantezza, traducendo e adattando direttamente. Ognuno tragga le sue conclusioni.
Giovanni deve invitare Maria a uscire con lui per il prom, il ballo scolastico di fine anno.

Dialogo verosimile ma scialbo:

«Ciao» disse Giovanni a Maria.
Maria sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo. «Ciao.»
Giovanni spostò il peso da un piede all’altro. Era convinto che tutti nella caffetteria della scuola lo stessero osservando. «Che fai?» chiese.
«Leggo.»
«Oh. Cosa leggi?»
«Moby Dick
«È bello?»
«È solo una storia di pescatori.»
Giovani si sedette. Si passò un dito nel colletto per asciugare il sudore che gli scendeva lungo il collo.
«Ah, avrei una cosa da chiederti.»
«Dimmi.»
«Er, vai con qualcuno al ballo?»
«Non vado al ballo.»
«Tutti vanno al ballo. Non ti piacerebbe andarci con me?»
«Uhm, ci penso, okay?»
«Non pensarci, vieni! Mi farò prestare la macchina dal mio vecchio. E avrò un bel po’ di soldi.»
«Mi sembra il minimo.»
«Potremmo cenare in pizzeria, al Benni.»
«Be’, allora okay.»

Dialogo brillante:

«Devo sedermi qui, è il mio lavoro» disse Giovanni.
«Oh?» disse Maria, alzano lo sguardo dal libro che stava leggendo.
«Già. La scuola mi paga cinquanta euro l’ora per studiare in caffetteria e dare il buon esempio.»
«Siediti dove ti pare, siamo in un paese libero.»
Giovanni le sorrise. «Conosco il tuo futuro.»
«Come fai a conoscere il mio futuro?»
«Leggo i Tarocchi.»
«Non credo ai Tarocchi, in famiglia siamo molto religiosi.»
Giovanni prese dalla tasca il mazzo di carte e lo mischiò. Girò la prima carta. «Otto di sera. Una 500 verde è sotto casa tua.»
«Davvero?»
«La sta guidando un ragazzo incredibilmente bello. Indossa una giacca da sera bianca.»
«Sul serio?»
«Lui ti porterà al ballo, proprio nella palestra della nostra scuola.»
«Ma va? E lo dicono le carte, vero?»
«Dicono questo e altro.» Giovanni mise via i Tarocchi. «Non voglio rovinarti tutte le sorprese.»
«Mi stai chiedendo un appuntamento?»
«Verrai al ballo con me?»
«Le carte dicono tutto, giusto? Allora dovresti già sapere la risposta.»

Il primo dialogo è insulso. Può essere verosimile, ma non suscita la minima curiosità nel lettore. Il secondo dialogo è un po’ più movimentato, più interessante. Però non è verosimile neanche per sbaglio. Il ragazzo che chiede un appuntamento con la manfrina dei Tarocchi? In quale film l’hai visto?

* * *

Dove si può essere verosimili senza compromessi è nella costruzione del contesto nel quale il dialogo si svolge. Un dialogo non si svolge nel vuoto, con due teste separate dal corpo che parlano. I personaggi si siedono o si alzano, vanno alla finestra, tirano un pugno alla porta, danno un calcio alla sedia, rovesciano la scacchiera, si mangiano le unghie e si mordono il labbro.
Un dialogo deve svolgersi in un contesto dinamico. Un dialogo statico annoia, perché il cervello del lettore non può vivere alcuna esperienza concreta. Ci sono solo chiacchiere; non ci sono capriole, coltellate, sberle. Per non tediare il lettore e per essere verosimili è necessario far agire i personaggi anche mentre parlano.
Come spiegato nell’articolo sulle descrizioni, la realtà non è mai una fotografia, non è mai fissa. Due persone sono al ristorante, si sono incontrate proprio perché hanno molto da dirsi: lo stesso mentre discutono mangiano e bevono, sono interrotte dal cameriere, sono distratte dal bambino che piange a due tavoli di distanza; fuori scatta l’antifurto di un’auto, inizia a piovere e la pioggia batte sui vetri; dalla cucina escono gli odori più diversi, alla cassa scoppia una lite perché qualcuno non ha apprezzato la birra annacquata. Il mondo è in continuo mutamento; magari non ce ne accorgiamo coscientemente, ma se all’improvviso tutto si ferma, subito sembra che ci sia qualcosa di sbagliato. Lo stesso accade nella narrativa: se il dialogo procede su uno sfondo immobile, con personaggi immobili, il lettore si infastidisce. Forse, se non è un lettore particolarmente attento, non saprà spiegare il perché di tale fastidio, ma il fastidio rimane.
Si pensi a situazioni ancora più formali, per esempio un interrogatorio (che sia da parte della polizia o da parte del professore di storia durante l’esame di maturità). Non ci sono solo domande e risposte. La vittima si tormenta le mani, si asciuga la fronte con un fazzoletto, muove i piedi, beve un caffè o un bicchier d’acqua, fuma una sigaretta, sorride a sproposito; l’aguzzino punta la lampada contro l’interrogato, si alza per incombere sul poveretto, fa gesti spazientiti di fronte alle risposte balbettanti e così via.
Si può fermare il mondo. Per poche battute. Il contesto può sfumare davanti al dialogo serrato dei due personaggi, ma è questione di istanti, poi il tempo deve tornare a scorrere. Altrimenti il lettore intuisce che qualcosa non funziona, e quando qualcosa non funziona in un romanzo, la prima reazione è chiudere il libro e mettersi a giocare con i videogiochi (ché si diventa più intelligenti).

Attenzione però a non far prevalere il contesto. Quando succede nella realtà, il dialogo si arena con frasi del tipo: “guardami quando ti parlo”, “ne parliamo domani”, “non parliamone in mezzo alla strada”. Se un personaggio si distrae di continuo, l’interlocutore si stufa in fretta della conversazione.
Attenzione anche alle elucubrazioni del personaggio punto di vista: può essere che il dialogo susciti nel personaggio mille pensieri, ma se vengono tutti riportati, il lettore avrà l’impressione che tra una battuta e l’altra passino le mezzore, e questo è inverosimile.
Già che ci sono: come sempre funzionano solo i pensieri concreti, che stimolino i cinque sensi del lettore. Anna e Michele discutono all’entrata del cimitero: Michele non deve rimuginare sulla morte in astratto, deve ricordare quando ha seppellito con le sue mani il corpicino del suo coniglietto.

* * *

La vita reale è piena di chiacchiere, nella narrativa un dialogo ha senso solo se è significativo per la trama e mette di fronte personaggi con obiettivi diversi. Se queste condizioni non sono rispettate, è meglio tagliare il dialogo o al massimo ricorrere al discorso indiretto.
Ci deve essere tensione tra i personaggi, ognuno deve avere desiderio di prevalere sull’altro. Ciò non significa che ogni dialogo debba finire in rissa (non che ci sia niente di male nella violenza – la scena dove la discussione tra cowboy degenera e poi sfasciano il saloon può non piacere, ma di solito non è noiosa), significa che in ogni dialogo ci deve essere un conflitto.
Giovanni vuole che Maria lo accompagni al ballo. Maria vuole continuare a leggere Moby Dick. Non finirà a botte, ma c’è sufficiente distanza tra gli obiettivi dei personaggi perché il dialogo possa interessare il lettore.
Se Giovanni vuole invitare Maria e Maria vuole invitare Giovanni, che dialogo può esserci? È come leggere i commenti degli amyketti al tale o tal altro romanzo: “bellissimo”, “capolavoro”, “mai letto niente di simile”, “sublime!” Dov’è il dialogo? Non c’è. Il dialogo nasce quando qualcuno commenta: “È cacca”. A questo punto può nascere il dialogo, perché ci sono due personaggi con obiettivi diversi: il fan che vuole difendere l’autore-amyketto e il detrattore che vuole difendere la buona narrativa.

«Esco» disse Anna.
«Torna per le undici, va bene?» disse la mamma.
«D’accordo.»
«Ok.»
«Ciao.»
«Ciao.»

E il lettore pensa: “Buon per loro, a me che frega?” Non c’è coinvolgimento.

«Esco» disse Anna.
«Torna per le undici, va bene?» disse la mamma.
«Torno quando cazzo mi pare.»

Il lettore è meno indifferente. Qualcuno penserà che Anna è una maleducata e che la mamma non dovrebbe più farla uscire di casa per un mese; altri saranno compiaciuti dalla reazione di Anna, così la mamma impara a voler imporre regole idiote. In entrambi i lettori dovrebbe nascere un minimo di curiosità rispetto a quello che farà adesso la mamma.
Giovanni vuole uscire con Maria, ma Maria vuole uscire con Marco; Anna vuole tornare alle sei del mattino, ma la mamma vuole che rientri per le undici; Michele vuole ordinare la pizza con le acciughe, ma Nicola preferisce quella con i peperoni; undici giurati sono pronti a condannare un ragazzo per omicidio, ma il dodicesimo non è d’accordo. Non importa se il dialogo è su questioni serie o su stupidate: ci deve essere tensione tra i personaggi, ci deve essere un conflitto.

* * *

Tre difetti comuni che intaccano la verosimiglianza:

Icona di una stellina Personaggi che hanno tutti la stessa voce. Ogni personaggio ha cultura diversa, ha vissuto esperienze diverse, viene da una famiglia diversa, ha obiettivi diversi: deve esprimersi in modo univoco. Non importa se le fan di Twilight sembrano tutte una massa di cerebrolese e dicono tutte le stesse cose con lo stesso linguaggio balordo: se i miei personaggi sono un gruppo di ragazzine fanatiche della Meyer, ognuna deve avere una voce distinta. Il lettore deve subito capire che ha parlato Simona e ha risposto Nicoletta; alle battute deve associare i nomi, non fan #1 e fan #2.

Fan di Twilight
Fan di Twilight: Nicoletta è quella con la faccia intelligente

Per ottenere questo risultato, l’autore deve conoscere molto bene i propri personaggi. Deve sapere che Simona non parla mai di cioccolato da quando il fratellino è morto soffocato mentre mangiava un gianduiotto; deve sapere che Nicoletta in realtà non ha mai letto Twilight e frequenta le altre solo per non sentirsi sola – ogni tanto nei dialoghi la sua ignoranza emerge; deve sapere che Monica è convinta di avere sempre ragione, perciò non usa mai il congiuntivo o espressioni del tipo: “credo”, “penso”, “secondo me”.

Una scorciatoia è quella di creare tic linguistici specifici per i singoli personaggi, qualcosa che balzi subito all’occhio.

«Devi imparare le vie della Forza, giovane Jedi.»

A parlare può essere stato chiunque, ma:

«Le vie della Forza imparare devi, giovane Jedi.»

è una battuta che solo il maestro Yoda può pronunciare.
Attenzione: non è una scorciatoia facile da seguire, ci vuole poco per scadere nel ridicolo o nell’artefatto.

Icona di una stellina Personaggi che parlano al lettore invece di parlare tra di loro. Un errore classico: l’autore vuole informare il lettore su particolari che ritiene necessari per la storia e mette queste informazioni in bocca ai personaggi, che sia verosimile o no. È quello che i manuali inglesi chiamano: “As you know, Bob…” Sono quei dialoghi con battute così:

«Come lei sa benissimo, professor Spiegoni, il problema della tassellazione non può essere risolto con un algoritmo di complessità lineare.»

Ma se lo Spiegoni ‘sta cosa la sa già, cosa gliela dici a fare?

Anna si soffiò sulle mani per scaldarle. Il respiro le si condensava davanti alla bocca. «Oggi fa un freddo cane» disse a Michele.
«Sì, oggi fa molto freddo. È colpa dello strato di fuliggine che perennemente copre il cielo a causa della guerra nucleare di tre anni fa iniziata dopo l’affondamento accidentale della portaerei americana Enterprise da parte dei cinesi al largo delle coste della nord corea.»

Sembra un pochino strano che Anna non sappia che c’è stata una guerra atomica, e sembra altrettanto strano che Michele si metta di punto in bianco a elencarne le cause. È ovviamente un dialogo a beneficio del lettore e non dei personaggi: inverosimile in maniera dolorosa, è da evitare come la peste.
Attenzione: non si può risolvere il problema tramutando le battute in pensieri, rimane brutto uguale:

Anna si soffiò sulle mani per scaldarle. Il respiro le si condensava davanti alla bocca. «Oggi fa un freddo cane» disse a Michele.
«Sì, fa proprio freddo.» Già, che freddo oggi, pensò. È colpa dello strato di fuliggine che perennemente copre il cielo a causa della guerra nucleare di tre anni fa iniziata dopo l’affondamento accidentale della portaerei americana Enterprise da parte dei cinesi al largo delle coste della nord corea.

Domanda & Risposta

Ma io devo dire che c’è stata la guerra atomica, vero???

No. Tu devi mostrare i palazzi distrutti, devi mostrare il cielo sempre coperto, devi mostrare la gente che vive nei rifugi sotto terra, devi mostrare i mutanti nati dalle radiazioni: il lettore capirà da solo che c’è stata la guerra atomica.

Icona di una stellina Personaggi che parlano con la voce dell’autore. Sono quei personaggi che all’improvviso, senza apparente ragione, cominciano a pontificare sulle virtù del pacifismo, sul pericolo del riscaldamento globale, sul ruolo della donna nella società moderna o su quanto sia sporca la politica. Anche in questo caso il dialogo risultante rischia di essere inverosimile in maniera dolorosa.

Nel 2012 la razza umana come noi la intendiamo non esisterà più, a causa dei fotoni[2]. Duecento anni dopo, una spedizione aliena proveniente dal pianeta Nibiru sbarca in Italia. Gli alieni frugano tra le rovine. Trovano giornali e registrazioni risalenti al 2009. Commentano tra loro su quanto i giornalisti italiani dell’epoca fossero poco professionali e corrotti.
Tale dialogo tra gli alieni dicesi porcheria. Non è l’uso del fantastico come specchio deformante per fare affermazioni importanti sulla nostra realtà sociale bla bla bla, è fuffa. Se l’autore è interessato all’argomento, scriva un thriller con i giornalisti corrotti – meglio ancora un saggio, ma lasci stare i poveri alieni. Grazie.

Alieni
Siamo così arrabbiati perché gli Americani non si ritirano dall’Iraq e i Giapponesi massacrano i delfini. Certo, è del tutto verosimile per noi alieni che abitiamo dall’altra parte della Galassia avere queste preoccupazioni. Infatti ne parliamo di continuo…

Un errore analogo è quello di avere tutti personaggi politicamente corretti. L’autore è cosi scollato dalla realtà che il dialogo perde verosimiglianza.

Michele si infilò il costume del Ku Klux Klan. «Sono pronto.»
«Prendiamo il tram?» chiese Anna.
«No, non mi piace usare i mezzi pubblici, perché non gradisco la presenza degli extracomunitari.»

Michele, membro del KKK, si esprime così? Secondo me no, secondo me il dialogo si svolge come segue:

Michele si infilò il costume del Ku Klux Klan. «Sono pronto.»
«Prendiamo il tram?» chiese Anna.
«No, non mi piace usare i mezzi pubblici, sono sempre pieni di negri che puzzano di merda.»

Il timore dell’autore è che se inserisce un personaggio apertamente razzista, il lettore potrebbe pensare che anche lui autore è un razzista. Lo scrittore ha paura di essere giudicato come persona in base a quello che i suoi personaggi fanno e dicono.
È un timore infondato? Per niente. Sarete giudicati in base ai vostri personaggi. Basta fregarsene.

bandiera EN There is a technical term for someone who confuses the opinions of a character in a book with those of the author. That term is idiot.

(attribuita a Robert A. Heinlein).

bandiera IT C’è un termine tecnico per chi confonde le opinioni di un personaggio in un libro con quelle dell’autore. Il termine è idiota.

(attribuita a Robert A. Heinlein).[3]

Bisogna rimanere fedeli alla storia e ai personaggi, e chi se ne importa se questo ci mette in “cattiva luce” con gli idioti.

Dialogo obliquo

Cynthia Whitcomb distingue tre tipi di collegamento che possono mettere in relazione due battute consecutive.
Un collegamento diretto:

«Che ore sono?» chiese Michele.
«Le cinque e un quarto» rispose Anna.

Un collegamento obliquo o indiretto:

«Che ore sono?» chiese Michele.
«Dovresti riaccompagnarmi a casa» rispose Anna.

Oppure una disconnessione:

«Che ore sono?» chiese Michele.
«Guarda, sei proprio un cretino» rispose Anna.

Più la connessione è labile, più la scena si carica di tensione. Il collegamento diretto esaurisce la suspense, il dialogo perde la sua energia: “Che ore sono?” “Le tre” e il lettore pensa, “E allora? Chi se ne sbatte!”
Tuttavia, più un dialogo è sconnesso, più rischia di suonare inverosimile. Se io vado a chiedere l’ora a cento persone, amiche o sconosciute, dubito che anche una sola mi darà della cretina. Il compito dello scrittore diviene allora progettare la storia in modo che un dialogo sconnesso risulti verosimile. Magari chiedo l’ora a Licia Troisi!

Se scrivere dialoghi sconnessi richiede molta pianificazione e non sempre è fattibile, il secondo livello, il collegamento indiretto, richiede solo un minimo di attenzione e spesso è più verosimile del collegamento diretto. Meglio:

«Ordino la costata?» chiese Michele.
«Sono vegetariana» rispose Anna.

di:

«Ordino la costata?» chiese Michele.
«No» rispose Anna.
«Perché?»
«Non mangio mai la carne.»
«Come mai?»
«Sono vegetariana.»

Tre usi per un dialogo

Icona di una stellina Dialoghi che accelerano il ritmo. In parte avviene per la natura tipografica dei dialoghi stessi. I paragrafi in un dialogo sono in media più corti rispetto ai paragrafi durante la narrazione. Il lettore termina di leggere le pagine più in fretta, e ha la sensazione di procedere nella storia con più velocità.
In parte è dovuto al fatto che nelle descrizioni spesso non c’è conflitto e il lettore è meno coinvolto. Il mare liscio come l’olio. Il sole alto in cielo. I gabbiani che volano bassi. Le nuvole pigre. L’unica nave che procede lenta all’orizzonte. La gente che cammina con calma, si asciuga il sudore sulla fronte, si mette a chiacchierare agli angoli delle strade. Anna osserva tutto ciò dalla finestra dell’albergo. Come ammira in lontananza le montagne, i boschi verdi, i cucuzzoli bianchi, ecc. ecc. zzz. Poi Anna si gira e dice a Michele che aspetta un bambino. Non da lui. E il padre è un vampiro.
I dialoghi danno uno strappo alla storia, imprimono maggior spinta rispetto alle descrizioni o alle elucubrazioni solitarie del personaggio punto di vista.

Icona di una stellina Dialoghi che rallentano il ritmo. Se si passa da una (violenta) scena d’azione a un dialogo, la sensazione è quella di un rallentamento. Questo perché, pur essendo un buon dialogo dinamico, non sarà comunque così movimentato come una scena d’azione. Per quanto sia vivace il dialogo tra i guerrieri nell’accampamento dopo la battaglia, non può essere più burrascoso della battaglia stessa.
L’elfo e il nano che bisticciano su chi abbia ucciso più orchi è un conflitto, e può reggere un dialogo, ma non c’è la stessa adrenalina di quando elfo e nano gli orchi li ammazzavano sul serio.

Bisticcio sugli orchi morti
Ho ucciso più orchetti di te, gné gné gné

Icona di una stellina Dialoghi per descrivere. Basare una descrizione interamente su un dialogo non è una grande idea. Ci sono situazioni dove è naturale (la guida al museo che descrive lo scheletro del dinosauro, il professore che fa lezione, ecc.), ma troppo spesso si intuisce la forzatura: il personaggio parla e descrive non perché lo voglia, ma perché deve dare una mano all’autore.
Tuttavia, con le dovute accortezze, può essere opportuno descrivere alcuni particolari attraverso un dialogo. Per esempio: Anna e Michele passeggiano per il centro, ogni tanto si fermano a guardare le vetrine dei negozi. Il punto di vista è quello di Anna. Anna non avrà problemi a descrivere le vetrine dei negozi di abbigliamento e delle librerie, ma quando si fermano davanti a un negozio di elettronica?
Ad Anna non frega un tubo dell’elettronica, dunque osserva distratta e, anche fosse interessata, non conoscendo l’argomento, non dispone della terminologia adatta: per lei sono tutti cosi. Se per la trama è importante sapere cosa espone quel negozio di elettronica, come si fa? Si chiama in causa Michele: lui è così appassionato di elettronica da non sapersi trattenere dall’illustrare il contenuto della vetrina ad Anna.
Avvertenze:

  • Suona inverosimile che Michele di punto in bianco si scopra appassionato di elettronica. Questo suo hobby deve essere mostrato in precedenza, in tempi non sospetti.
  • Anna prima o poi prende Michele per un braccio e lo trascina via. Per quanto Michele sia appassionato, si può tirare la corda del personaggio punto di vista solo per un numero limitato di battute, oltre diventa inverosimile.
  • Infine questo è un esempio. Se in un romanzo vero si evitano i cliché del tipo tutte le ragazzine giocano con le bambole e tutti i bambini con i soldatini, è meglio. Grazie.

Ricapitolando

Icona di un gamberetto Il discorso diretto è preferibile al discorso indiretto.

Icona di un gamberetto Bisogna studiare bene come introdurre il discorso diretto e come gestirne la punteggiatura.

Icona di un gamberetto Il dialogo deve suonare naturale, deve essere verosimile.
Per raggiungere questo scopo:

  • I personaggi devono parlare rispettando sempre la propria cultura, educazione, esperienza.
  • Il dialogo deve essere calato in un contesto dinamico.
  • Il dialogo deve essere interessante, deve mettere di fronte personaggi con obiettivi diversi e deve contribuire a portare avanti la storia.

Non si deve:

  • Far parlare il barbone come il Re e il Re come il barbone.
  • Far parlare i personaggi nel vuoto, come fossero teste senza corpo.
  • Impostare un dialogo che manchi di conflitto.
  • Mettere in bocca ai personaggi nostre idee estranee alla storia.
  • Far parlare i personaggi tra loro in modo artefatto per fornire informazioni al lettore.
  • Far parlare tutti i personaggi alla stessa maniera.

Icona di un gamberetto Un dialogo obliquo o addirittura sconnesso, se ben progettato, può aumentare tensione e verosimiglianza.

Icona di un gamberetto Si possono sfruttare i dialoghi per tenere sotto controllo il ritmo della storia o per facilitare determinate descrizioni.

* * *

E adesso l’ultimo consiglio: non tenete conto di tutti i suggerimenti che ho elencato!
Non nella prima stesura. Cercare di scrivere dialoghi a tavolino, sudando su ogni battuta, è rischioso: c’è la concreta possibilità di sfornare dialoghi artefatti. Durante la prima stesura conviene scrivere i dialoghi di getto, senza contorno, senza dialogue tag, senza niente tranne le battute: così si imposta uno scheletro di conversazione che suona naturale. Poi, pian piano, si ripassa il dialogo e lo si cambia quando sono evidenti delle pecche. A questo punto è sì utile soppesare ogni virgola e ogni parola.
Bisogna anche mettersi nella disposizione d’animo che i dialoghi potrebbero cambiare la trama: Giovanni vuole invitare Maria al ballo, Maria preferirebbe rimanersene a casa o andarci con Marco. Io devo buttarmi nel dialogo con queste premesse, senza aggiungere: “nella scaletta è previsto che Maria accetti ed esca con Giovanni.” Se il dialogo nel suo incedere naturale sfocia in Maria che accetta, ottimo. Se invece appare chiaro che Giovanni è uno sfigato fastidioso e Maria non accetterà mai, bene lo stesso. Vorrà dire che la trama subirà qualche mutamento. Magari per uscire insieme a Maria Giovanni dovrà ricattarla, o Maria dovrà scoprire che Giovanni è malato terminale e che uscire con lei è il suo ultimo desiderio prima di tirare le cuoia.
Forzare lo scorrere di un dialogo per accomodare la trama prevista porta a dialoghi fasulli in maniera vistosa. Se proprio si deve, conviene riscrivere il dialogo da zero, alterando le condizioni di partenza (Maria ha appena litigato con Marco e vede nell’appuntamento con Giovanni un modo per ingelosirlo).

Per scrivere buoni dialoghi bisogna essere schizofrenici. Immergersi senza remore, senza timori, nella testa dei personaggi. Bisogna compiacersi di essere un volontario che impiega ogni minuto del suo tempo libero per aiutare il prossimo, si deve essere orgogliosi di aver passato la notte all’addiaccio per dare una mano alla vecchietta in difficoltà; così come si deve godere quando il giovanotto annoiato ammazza di botte un barbone e poi gli dà fuoco che ancora si dibatte, si deve essere fieri di aver ripulito le strade da un altro rifiuto umano.
È difficile scrivere dialoghi davvero naturali e verosimili senza questo tipo di partecipazione emotiva.

Quali manuali leggere

Le fonti primarie per questo articolo sono state:

Copertina di Dialogue Dialogue: Techniques and Exercises for Crafting Effective Dialogue di Gloria Kempton (Writer’s Digest Books, 2004).

E i capitoli dedicati ai dialoghi in:

Copertina di Stein on Writing Stein on Writing di Sol Stein (St. Martin’s Press , 1995).
Copertina di How to Write a Damn Good Novel How to Write a Damn Good Novel di James N. Frey (St. Martin’s Press, 1987).

Edizione italiana: Come scrivere un romanzo dannatamente buono (Le Fonti, 2009).

Il testo della Kempton è l’unico che ho trovato dedicato solo allo scrivere i dialoghi. È un manuale decente, ma la Kempton si sperde troppo. Manca di sintesi, gira a vuoto prima di arrivare al punto. Le 200 pagine circa sarebbero potute essere la metà senza perdere niente.
Alcuni capitoli lasciano perplessi, come quello dedicato all’Enneagramma: onestamente non mi pare uno strumento utile per lo scrittore, mi pare un’emerita stupidaggine. Così pure il capitolo dedicato ai tipi di scrittura diversa a seconda dei generi è molto superficiale: non ci vogliono dialoghi “magici”(sic) in un fantasy.
Gli esempi variano in qualità: alcuni centrano molto bene la questione, altri sono bruttini o poco attinenti a spiegare la teoria.
Nel complesso può valere la pena leggere questo Dialogue, basta non prendere per oro colato tutto quello che dice la Kempton.

Dei manuali di Stein e Frey parlerò più diffusamente in un altro articolo. Comunque i capitoli dedicati ai dialoghi sono buoni; danno consigli concreti e sensati. Frey in particolare ha uno stile molto deciso e piacevole, ma qualche volta quelle che afferma essere verità auto-evidenti non lo sono poi tanto (vedi la questione verosimiglianza vs. brillantezza).

Compiti a casa

Vi propongo due immagini. La prima pare tratta da una classica storia di primo contatto[4]:

Topo alieno
Topo alieno

C’è un signore alle prese con un topo alieno sul letto. Cosa vorrà il topo? Chi è? Da dove viene? Immaginate il contesto, fornite a entrambi i personaggi degli obiettivi, scegliete un punto di vista e scrivete il dialogo tra uomo e ratto extraterrestre. Come sempre siete liberi di fantasticare e di inserire elementi nuovi rispetto all’immagine. Potete anche abbozzare una storia e descrivere con dovizia di particolari, ma qui l’esercizio è scrivere un buon dialogo. Il resto è solo un di più per sfizio.

Se i topi di Saturno non vi ispirano, date un’occhiata a quest’altra immagine:

Ragazza con fiori
Edward mi aspetta!

Una ragazza in divisa scolastica chikas_pink03.gif con un mazzo di fiori in mano che si aggira in un edificio diroccato. Immaginate che stia guardando un altro personaggio (licantropo/vampiro/coniglietto/ragazzo/ragazza/quello-che-vi-pare) e ideate il dialogo. Pensate a una ragione bizzarra perché la ragazza con i fiori sia lì nel palazzo in rovina, e cercate di far trasparire le sue motivazioni dal dialogo: attenzione però, dovete essere subdoli, il lettore non deve avere la sensazione di essere imboccato.

È questo è tutto. Divertitevi!

* * *

note:
 [1] ^ Dette anche virgolette basse, virgolette a caporale o “caporali”. Sono simboli non presenti sulla tastiera italiana. Per farli apparire si può ricorrere ai codici ASCII, digitando Alt + 174 per « e Alt + 175 per ». Significa tenere premuto il tasto Alt (di solito in basso a sinistra sulla tastiera) e mentre Alt è premuto digitare 1, poi 7, poi 4, oppure 1 7 5.
Una soluzione più pratica è ricorrere alle funzioni di autocorrezione degli elaboratori testi. Praticamente tutti i programmi di videoscrittura offrono la possibilità di convertire al volo uno o più simboli in altri.
Di seguito è illustrato come trasformare >> in » usando l’autocorrezione di Microsoft Word 2007 e OpenOffice.org Writer 3.0 – se usate un altro programma di videoscrittura consultatene il manuale.

Screenshot di Microsoft Word: Correzione automatica
Microsoft Word 2007. Per raggiungere questa finestra di dialogo usare: simbolo di Office (la sfera in alto a sinistra) -> Opzioni di Word -> Strumenti di correzione -> Opzioni correzione automatica…

Screenshot di OpenOffice: Sostituzione
OpenOffice.org Writer 3.0. Per raggiungere questa finestra di dialogo usare il menu Strumenti -> Correzione automatica…

Screenshot di OpenOffice: Virgolette tipografiche
OpenOffice offre un’altra interessante opzione per quanto riguarda la correzione automatica: sostituire le virgolette alte, singole o doppie, con i simboli che vogliamo. Qui ho sostituito le virgolette alte doppie (“) con le virgolette uncinate. Il bello è che se digito le virgolette alte, OpenOffice inserirà il simbolo delle virgolette uncinate aperte («), se digito di nuovo le virgolette alte, OpenOffice si accorgerà che c’è una battuta “aperta” e inserirà automaticamente le virgolette uncinate chiuse (»).
Il problema è che poi avrò qualche difficoltà se voglio mettere proprio le virgolette alte. Ma se uso i “caporali” per i dialoghi e per esempio il corsivo per i pensieri, non ho più bisogno di virgolette alte

 [2] ^ Cito dal libro di Roberto Giacobbo 2012. La Fine del Mondo?

Di fatto, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del XX secolo, nell’atmosfera terrestre ha improvvisamente fatto la sua comparsa una presenza inedita: un numero sempre crescente di particelle di luce dette “fotoni”.
Particelle che assomigliano molto alla luce che, secondo la profezia maya interpretata da José Arguelles, dovrebbe investire il nostro pianeta quando i Maya Galattici giungeranno ancora una volta sulla Terra per aiutare l’uomo a realizzare il suo salto evoluzionistico…

Ringrazio Hellfire per la segnalazione.

Copertina di 2012. La Fine del Mondo?
Copertina di 2012. La Fine del Mondo?

 [3] ^ Tuttavia S. M. Stirling, riportando la citazione nel suo romanzo Conquistador, lascia presumere che sia attribuibile a Larry Niven.

 [4] ^ L’immagine è presa da The Arrival di Shaun Tan. Trovate il libro completo su gigapedia, qui. Tecnicamente è l’edizione francese, ma dato che sono solo immagini, senza testi, non ha importanza. È una storia illustrata di immigrazione new weird. Però, prima di guardarla, fate i compiti, altrimenti potreste essere influenzati!

Copertina di The Arrival
Copertina di The Arrival


Approfondimenti:

bandiera EN Dialogue su Amazon.com
bandiera EN Stein on Writing su Amazon.com
bandiera EN How to Write a Damn Good Novel su Amazon.com
bandiera IT Come scrivere un romanzo dannatamente buono su iBS.it

bandiera EN Il sito di Gloria Kempton
bandiera EN Il sito di Sol Stein
bandiera EN Il sito di James N. Frey

bandiera IT Un post dedicato alla punteggiatura nei dialoghi sul forum di Edizioni XII
bandiera IT José Saramago su Wikipedia
bandiera EN Ipotesi sul 2012 su Wikipedia
bandiera IT 2012. La Fine del Mondo? su iBS.it
bandiera EN The Arrival su Amazon.com

 

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Kill

Kill è una raccolta di quattro brevi film. Il filo comune che li lega è il desiderio di voler eliminare il superfluo. Ognuno dei quattro segmenti riduce la storia al minimo indispensabile, per lasciar spazio a quello che davvero interessa allo spettatore: gli sbudellamenti!

Locandina di Kill
Locandina di Kill

Kiru (Kill, 2008)
Kill.2008.JAP.DVDRip.XviD-AXiNE (DVDRip, ~700MB, audio mp3 stereo)
(giapponese senza sottotitoli, i sottotitoli si possono trovare da kLOOFy – registrazione gratuita richiesta, il nome per i sottotitoli è Kill.a.k.a.Kiru.2008.DVDrip.XviD-Enma.rar tra i sottotitoli non ancora catalogati)

Trailer di Kill

I quattro segmenti sono i seguenti:

Icona di un gamberetto “Kiliko”, diretto da Takanori Tsujimoto. Un boss della yakuza rapisce una ragazzina per punire la sorella di aver tradito l’organizzazione. Quando l’ostaggio è ucciso, alla sorella traditrice non rimane altro che la vendetta. Ovviamente a mezzo di un’affilata katana. Buone le coreografie dei combattimenti, anche se gli effetti speciali lasciano a desiderare. Il finale, imprevedibile e assurdo, è di gran lunga la parte migliore di questo primo segmento.

Icona di un gamberetto “Kodomo Zamurai”, diretto da Kenta Fukasaku (regista di Battle Royale II e figlio di Kinji Fukasaku). Il film è ambientato ai giorni nostri, ma girato come se fosse un film degli anni ’20, con tanto di pellicola rovinata e voce fuori campo che legge i cartelli delle descrizioni. La storia parla di un samurai ragazzino (che porta gli occhiali e assomiglia a Harry Potter) alle prese con i bulli della scuola. Sono bambini, ma sono tutti armati di spade vere: il film, nonostante il tono ironico, non risparmia sangue e mutilazioni. Qualcosa di simile al divertente Brick, il noir al Liceo di Rian Johnson.
Il segmento migliore, che da solo vale il “prezzo” del download. Da vedere.

Icona di un gamberetto “Zan-Gun”, diretto da Minoru Tahara. Una spada malvagia prende possesso di un soldato, mente una spada buona prende possesso di un poliziotto. I due duellano. Noioso. Prevedibile. Inutile. L’unico punto minimamente interessante è la spada-fucile del “cattivo”, ma è troppo poco.

Icona di un gamberetto “Assault Girl 2″, diretto da Mamoru Oshii (regista di Ghost in the Shell e tanti altri). Pochi minuti per quello che è poco più di un trailer per Assault Girls, il nuovo film di fantascienza di Oshii in uscita a Natale in Giappone. Per chi fosse interessato ad “Assault Girl 1″, è contenuto in un altro film antologia, The Women of Fast Food, di cui però non conosco nessuna release sottotitolata. “Assault Girl 1″ lo si può vedere anche su YouTube (a parte la qualità pessima).

Trailer di Assault Girls

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