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Manuali 3 – Mostrare

Pubblicato da Gamberetta il 18 novembre 2010 @ 00:09 in Insalata di Mare,Italiano,Libri,Scrittura,Straniero | 516 Comments

Questo è il terzo articolo nella serie dei Manuali. Trovate il primo articolo qui e il secondo qui. Gli articoli possono essere letti in qualunque ordine. Se avete pregiudizi riguardo i manuali di scrittura, date un’occhiata alle risposte ai miti, qui.
Ricordo infine che mi rivolgo a chi voglia imparare a scrivere narrativa di genere, in particolare narrativa di genere fantastico. I concetti esposti potrebbero come non potrebbero applicarsi alla narrativa in generale.

* * *

“Mostrare, non raccontare” o in inglese “Show, don’t tell” è il nome di una fondamentale tecnica narrativa. È un’esortazione agli scrittori perché evitino l’astratto e favoriscano sempre il concreto.
La narrazione deve essere un susseguirsi di dettagli concreti; dettagli che stimolino i sensi del lettore, che richiamino immagini, suoni, odori, sapori.

Esempio:

Michele è vecchio.

Il termine “vecchio” è astratto, dunque qui ci troviamo di fronte al raccontare.

Michele ha la barba bianca, il viso coperto di rughe. Cammina gobbo reggendosi al bastone.

Qui abbiamo una sequenza di particolari concreti, dunque ci troviamo di fronte al mostrare.

Perché il mostrare è preferibile al raccontare?

Icona di un gamberetto Perché è dimostrato che il cervello del lettore, se stimolato da dettagli concreti, vive le situazioni descritte. Il mostrato cala il lettore nella storia; il raccontato non garantisce la stessa risposta emotiva, non trascina il lettore.
Per questa ragione il raccontato può diventare noioso in fretta: il lettore non ha problemi a gustarsi 200 pagine di mostrato, mentre poche pagine di raccontato possono subito stufare.

Icona di un gamberetto Perché ogni volta che si scivola nel raccontare l’autore esprime un giudizio. La barba bianca o le rughe sono un fatto oggettivo, la vecchiaia è una valutazione soggettiva. Può essere una valutazione giusta e condivisa, ma questo non cambia il problema: il problema è che l’autore ha fatto capolino per parlarci direttamente, incrinando l’immersione.

Per usare la metafora di John Gardner del “fictional dream”: la buona narrativa trasporta il lettore in una condizione mentale simile a quella del sogno. Quando l’autore interviene nella storia, ha lo stesso effetto di qualcuno che ti parla all’orecchio mentre dormi: se ti va bene non te ne accorgi, se ti va male ti svegli. Se il lettore si sveglia, chiude il libro. EPIC FAIL.
Oppure immaginate di essere al cinema. Scorre la pellicola, la scena vede Michele che si trascina per i vialetti del cimitero. Porta i fiori alla moglie morta. Spunta il regista con un cartello: “Michele è vecchio.” Sarebbe ridicolo, rovinerebbe l’atmosfera.
Non rendetevi ridicoli. Non svegliate chi sogna.

Cthulhu addormentato
Nella sua dimora a R’lyeh, Cthulhu aspetta sognando. Non svegliatelo!

Icona di un gamberetto Perché il mostrare permette di scegliere i particolari che sono sul serio importanti per la storia.

Cosa mi spinge a sottolineare che Michele è vecchio? Qual è la rilevanza della vecchiaia per la storia?
• Forse la vecchiaia è importante perché chi è vecchio spesso ci vede male, e questo dettaglio è vitale; ma allora non è forse meglio mostrare Michele che porta occhiali spessi?
• Forse la vecchiaia è importante perché chi è vecchio spesso è goffo e fragile, e questo dettaglio è vitale; ma allora non è forse meglio mostrare Michele mentre inciampa nel suo bastone da passeggio e si rompe una gamba?
• Forse la vecchiaia è importante perché chi è vecchio spesso è malato, e questo dettaglio è vitale; ma allora non è forse meglio mostrare Michele a letto in ospedale?
E così via.
Il raccontato è impreciso. Se si vuole portare avanti la trama, occorre precisione, occorre mostrare.

Icona di un gamberetto Perché il raccontato non rimane in mente. Se non si affiancano alla vecchiaia particolari concreti, dopo poche pagine il lettore si sarà già scordato che Michele è vecchio. Invece il mostrato lascia un’impressione duratura; anche chiuso il libro e passati anni, ricorderemo i dettagli più vividi.

* * *

A prima vista può sembrare che lo “Show, don’t tell” sia una tecnica come le altre. Non è così. Le implicazioni del mostrare invece di raccontare sono basilari per la narrativa.

Una celebre citazione da The Craft of Fiction di Percy Lubbock recita:

bandiera EN The art of fiction does not begin until the novelist thinks of his story as a matter to be shown, to be so exhibited that it will tell itself. [...] The thing has to look true, and that is all. It is not made to look true by simple statement.

bandiera IT L’arte della narrativa non comincia finché il romanziere non pensa alla storia come una materia da mostrare, da esibire in modo che si racconti da sola. [...] La faccenda deve sembrare vera, e questo è tutto. Non è resa vera semplicemente raccontando che è vera.

Non c’è arte finché la storia non è in grado di raccontarsi da sola: i particolari concreti (barba bianca, rughe, gobba, bastone) dicono al lettore che Michele è vecchio. Non è intervenuto l’autore a spiegarlo.
La narrativa ha bisogno di verosimiglianza (la faccenda che deve sembrare vera) e questo bisogno non può essere soddisfatto dal raccontato. Non basta raccontare che una cosa è vera per renderla vera. Non basta raccontare che Michele è vecchio; dirlo vecchio non lo rende per magia vecchio. La sua vecchiaia dipenderà dai particolari concreti, non da quante volte ripeto che è “vecchio”.

La posizione di Lubbock è radicale ed è stata aspramente criticata. Tuttavia non è una posizione assurda. Una definizione di “narrativa” potrebbe essere: l’arte del mostrare attraverso le parole. Sarebbe una buona definizione e Lubbock avrebbe ragione.

Senza entrare nel filosofico, il succo è semplice: scegliere consapevolmente quando mostrare e quando raccontare è fondamentale. Dal punto di vista dello stile, ovvero del come si racconta una storia, niente è più importante. Non parliamo di una “regoletta”, parliamo di uno dei cardini della narrativa. E, se si vuole seguire Lubbock, parliamo della narrativa stessa.

Introduzione storica

Mi è capitato di imbattermi in “scrittori” (sebbene questi tizi non scrivano un bel niente, imbrattano solo di moccio la carta) con idee bizzarre riguardo lo “Show don’t tell”. Una delle più bislacche è quella che lo “Show don’t tell” sia una “trovata” moderna, colpa di Hollywood; “una sensibilità mediata dal cinema” – nelle parole di uno degli imbrattatori.

Sugimori Nobumori, più noto con il nome di Chikamatsu Monzaemon, è stato un famoso drammaturgo giapponese, “lo Shakespeare nipponico”.[1] Il saggio del 1738 Naniwa miyage riporta alcune considerazioni di Monzaemon[2] riguardo la narrativa e il teatro. Per esempio si legge (vi risparmio il giapponese, qui di seguito la traduzione inglese di Donald Keene):

bandiera EN There are some who, thinking pathos is essential to joruri, make frequent use of expression as ‘it was touching’ in their writing, or who when chanting do so in voices thick with tears, in the manner of Bunya-bushi.
This is foreign to my style. I take pathos to be entirely a matter of restraint.
Since it is moving when all parts are controlled by restraint, the stronger and firmer the melody and words are, the sadder will be the impression created. For this reason, when one says of something which is sad that it is sad, one loses the implications, and in the end, even the impression of sadness is slight. It is essential that one not say a thing that ‘it is sad’, but that it be sad of itself. For example, when one praises a place renowned for its scenery such as Matsushima, by saying, ‘Ah, what a fine view!’ one has said in one phrase all that one can about the sight, but without effect. If one wishes to praise the view, and one says numerous things indirectly about its appearance, the quality of the view may be known by itself, without one’s having to say, ‘It is a fine view.’ This is true of everything of its kind.

bandiera IT Alcuni, credendo che il patos sia essenziale per lo joruri, usano frequentemente nei loro scritti espressioni come “toccante”, oppure quando cantano lo fanno con voce rotta dalle lacrime alla maniera di Bunya.
Questi metodi sono estranei al mio stile. Io considero il patos una questione di disciplina. Si crea patos commovente quando tutte le parti sono controllate da una disciplina; più nette e precise sono parole e melodia, più si creerà un’impressione di malinconia. Per questa ragione, quando qualcuno dice che qualcosa triste è triste, si perdono le implicazioni e alla fine anche l’impressione di tristezza è minima. È essenziale che non si dica che qualcosa “è triste”, ma che la cosa sia triste in sé. Per esempio, quando si elogia un luogo rinomato per il suo paesaggio come Matsushima, dicendo: “Ah, che bella vista!” si è detto in una frase tutto quello che si potrebbe dire sul paesaggio, ma senza creare emozione. Se si vuole lodare il paesaggio e si dicono diverse cose indirettamente riguardo il suo aspetto, la bellezza del paesaggio emergerà da sola, senza che si debba dire: “Che bella vista.” Questo è vero per ogni situazione simile.

C’è poco da aggiungere: è una spiegazione di come funziona lo “Show don’t tell” da manuale. Non bisogna raccontare che qualcosa è triste o che il paesaggio è bello; bisogna mostrare caratteristiche della cosa o del paesaggio in modo che l’impressione di tristezza o bellezza emerga da sola, senza bisogno che l’autore venga a spiegarlo. E bisogna farlo perché così l’impressione sul pubblico è più intensa. È più emozionante quando tristezza o bellezza le abbiamo davanti al naso, che non quando ci viene raccontato che qualcosa è triste o bello.

Dato che il tipico autore fantasy nostrano è un ignorante patentato, specifico: nel 1738 il cinema non era ancora stato inventato e Hollywood non era ancora stata fondata.

Il magnifico panorama di Matsushima
Il magnifico panorama di Matsushima

In Occidente si trovano le prime tracce del concetto alla base dello “Show don’t tell” nell’opera The Philosophy of Rhetoric dell’abate George Campbell, opera che l’autore ha iniziato a scrivere nel 1750.
Nel Libro III, Capitolo I, Sezione I Campbell scrive:

bandiera EN I begin with proper terms, and observe that the quality of chief importance in these for producing the end proposed, is their specialty. Nothing can contribute more to enliven the expression, than that all the words employed be as particular and determinate in their signification, as will suit with the nature and the scope of the discourse. The more general the terms are, the picture is the fainter; the more special they are, it is brighter. The same sentiments may be expressed with equal justness, and even perspicuity, in the former way, as in the latter; but as the colouring will in that case be more languid, it cannot give equal pleasure to the fancy, and by consequence will not contribute so much either to fix the attention, or to impress the memory.

bandiera IT Comincio con i termini appropriati, e osservo che la qualità di maggior importanza per raggiungere lo scopo voluto è la loro specificità. Niente può contribuire maggiormente a rendere vivida la narrazione quanto l’uso costante di parole precise e specifiche nel loro significato, come meglio si adatta alla natura e allo scopo del discorso. Più i termini sono generici, più l’immagine è sbiadita; più i termini sono specifici, più l’immagine è vivida. Le stesse emozioni possono essere espresse con uguale onestà, e persino chiarezza, in una maniera o nell’altra; ma usando la prima maniera, le tinte saranno più fiacche, non sarà procurato lo stesso piacere, e di conseguenza sarà più difficile far mantenere l’attenzione o lasciare un’impressione duratura.

Campbell non è esplicito come il giapponese, ma anche qui stiamo parlando di “Show don’t tell”: non usare termini generici (che sono raccontare), ma usare termini specifici (che sono mostrare).
Confrontate:

Qualche tempo fa, Anna ha avuto un incidente e si è fatta male.

con:

Ieri Anna è scivolata. Le ruote del tram le hanno tranciato le dita delle mani.

Più passo dal generale allo specifico, più passo dal raccontare al mostrare, e più la narrazione è vivida. Suscita più interesse, mantiene sveglia l’attenzione, si imprime nella memoria. Se racconto che Anna ha avuto un incidente, questa informazione sarà dimenticata nel giro di poche pagine, se ne ho bisogno venti capitoli dopo dovrò ripeterla; se invece mostro l’incidente, rimarrà impresso magari per anni dopo che il lettore ha finito il libro.

Dato che il tipico autore fantasy nostrano è un ignorante patentato, specifico: nel 1750 il cinema non era ancora stato inventato e Hollywood non era ancora stata fondata.

Qualcuno potrebbe pensare che queste siano eccezioni, che dopo Monzaemon e Campbell lo “Show don’t tell” sia sparito dalla coscienza collettiva per riaffiorare con il cinema. Non è così. Se ne è sempre discusso negli ultimi tre secoli.

Per esempio Herbert Spencer, il celebre filosofo, spiega il principio alla base dello “Show don’t tell” nel suo saggio del 1852 The Philosophy of Style – lo citerò in dettaglio più avanti nell’articolo.

E dato che il tipico autore fantasy nostrano è un ignorante patentato, specifico: nel 1852 il cinema non era ancora stato inventato e Hollywood non era ancora stata fondata.

* * *

Perciò, quando sentite qualche presunto autore starnazzare in questa maniera:

Io me ne frego delle regole della narrativa! Me ne frego dello “Show don’t tell”! Io non mi piego alle mode moderne pilotate dal marketing!

Ecco, sapete di avere di fronte un gonzo ignorante come una capra.

Hollywood anni '10
Il primo studio cinematografico ha aperto a Hollywood nel 1911

Non dico che per scrivere bene occorra aver studiato Campbell, Spencer o la drammaturgia giapponese del ’700, dico che per scrivere bene occorre evitare i pregiudizi idioti.
Potete scrivere quello che vi pare, come vi pare, ma prima di cadere in “ragionamenti” simili a quello dell’autore di cui sopra, informatevi. Non avete niente da perdere e tutto da guadagnare.

Il mostrare e la verosimiglianza

Arrivo all’Università, entro nell’aula, mi siedo e sussurro alla tizia accanto a me: «Ieri sera sono andata a cena con un vampiro.»
La risposta sarà: «Devi cominciare a dire scemenze la mattina presto?»

Questo perché ho raccontato un evento impossibile (almeno per le attuali conoscenze scientifiche).
Se mostro i segni dei canini sul collo e un filmato nel quale si vede un tipo che si trasforma in pipistrello nel mio salotto, difficilmente le mie affermazioni saranno ancora scemenze. In altre parole il mostrato fornisce verosimiglianza al mio raccontato.
E quando parliamo di narrativa fantastica la verosimiglianza è vitale. La verosimiglianza separa le storie degne di essere ascoltate dalle stronzate. Nessuno vuole perdere tempo con le stronzate.

In altri generi, a meno di errori clamorosi, una storia raccontata male rimane solo una storia raccontata male. Una storia di narrativa fantastica raccontata male è una stronzata. Suscita disgusto e disprezzo.
Racconto alla mia compagna di Università di essere rimasta a casa a guardare la TV. Ho visto un film con Chris Pine. Peccato che a quell’ora, su quel canale, ci fosse la partita. La mia amica penserà che mi sia sbagliata, capita.
Racconto di essere stata rapita dagli alieni, senza fornire alcuna prova. La mia amica penserà che io sia impazzita o che la voglio prendere in giro.

In una mail lettera del 1953, Raymond Chandler chiede al suo interlocutore se ha mai letto “Science Fiction” e conclude domandando se è vero che gli editori pagano per spazzatura del genere. Questo atteggiamento è per molti versi giustificato.
La narrativa fantastica ha fama di essere letteratura di serie B. È una fama meritata. Da un lato abbiamo un genere difficilissimo da scrivere, dall’altro una marea di autori convinti che sia il contrario e che si possa procedere a starnuti. Il risultato è una montagna di spazzatura (non solo in Italia) che travolge le opere buone.
Se scrivete fantastico fatelo seriamente. La noosfera non ha bisogno di essere inquinata da nuovi rifiuti.

* * *

Rendere verosimili elfi e vampiri può sembrare un’impresa disperata. E non c’è dubbio che una fetta di pubblico non accetterà mai questo tipo di narrazioni, non importa quanto l’autore sia bravo.[3] Però c’è anche chi ha fatto del rendere verosimili elfi e vampiri una professione, e non parlo degli scrittori. Parlo di sensitivi, ufologi, cartomanti, fantarcheologi & ciarlatani assortiti. I tizi che ti vendono la Croce Magica di San Germano, mistica reliquia infusa di potere spirituale; cura il mal di schiena e ti permette di parlare con il gatto morto.

Per cavarti i 200 euro della Croce Magica, questi signori usano una serie di tecniche, tra le quali lo “Show don’t tell”.
Se io dico:

Qualcuno qualche volta ha provato la Croce Magica ed è stato meglio di prima.

Non convinco nessuno. Non convinco nessuno perché racconto. Perché i termini sono vaghi e generici.
Se dico:

Mi chiamo Roberta Cardato, ho ventiquattro anni, abito a Tresnate provincia di Varese. Tutto è cominciato il 24 dicembre, la vigilia. Ero in piedi sulla sedia per mettere la stella in cima all’albero di Natale, quando la mia gatta Birba mi è saltata tra le gambe. Ho perso l’equilibrio e sono caduta di schiena. Una botta terribile. Sono rimasta inchiodata a letto tutte le vacanze e il dolore non è passato. Medici, chiroterapisti, antibiotici, antinfiammatori: niente, non funzionava niente. Finché a San Valentino, il mio fidanzato, Mattia, non mi ha regalato la Croce Magica di San Germano. Appena l’ho presa tra le mani ho sentito un calore benefico. È bastato un giorno con la Croce al collo e già stavo meglio. Una settimana dopo ero guarita, in tempo per andare a sciare con Mattia! E adesso non ho più neanche paura di cosa succederà alla morte della Birba, perché grazie alla Croce Magica di San Germano, potremo sempre rimanere in contatto.

L’impatto è ben diverso. Non c’è più “qualcuno”, “qualche volta”, c’è una storia concreta, specifica, precisa. L’effetto taumaturgico della Croce è mostrato in un contesto. E la storia di Roberta potrebbe essere la tua. Anche tu puoi guarire! Se hai 200 euro (pagamento in contrassegno, bonifico o via PayPal).

I venditori della Croce elencano decine di casi come quello di Roberta; riportano la testimonianza del dottor De Carolis, che ha svolto sulla Croce seri esperimenti scientifici; riproducono sul loro sito web la foto di Elvis che stringe la Croce tra le dita.
Creano una narrazione basata su una marea di dettagli concreti, finché il gonzo di turno pensa: “Non è possibile che si siano inventati tutto! Non è possibile che siano tutte coincidenze, non è possibile che così tanti fatti siano falsi! Ecco i 200 euro!”
E invece i fatti sono tutti falsi e la Croce è una patacca di plastica che prodotta in serie costa 50 centesimi.
Ma non importa. Non importa la “verità” come valore assoluto, importa che il lettore, quando legge un romanzo, si trovi nella stessa condizione mentale del gonzo che sgancia i 200 euro. Per quanto razionalmente sappia che i vampiri e gli elfi non esistono, la narrazione è così precisa e concreta che non le si può negare un fondo di verità. E se una storia di elfi o di vampiri è vera, è degna di essere ascoltata. Dunque il lettore si sorbisce felice le 400 pagine del romanzo e quando uscirà il secondo volume correrà a comprarlo.

San Germano di Parigi
San Germano di Parigi

Ok, questo in teoria. In pratica il successo commerciale deriva da molti altri fattori; la qualità è un fattore secondario. Tante volte il successo arride a chi bara: Twilight è inverosimile, ma può permetterselo perché non è fantasy. Edward Cullen è giovane, bello (letteralmente splende!), ricco, ecc.; la Meyer racconta che è un vampiro, ma in verità mostra il cliché del Principe Azzurro. Il cuore del racconto non ha niente a che vedere con il fantastico.

* * *

Per ricapitolare: gli scrittori di narrativa fantastica chiedono ai propri lettori di credere all’impossibile. Per convincere i lettori hanno a disposizione un arsenale di tecniche narrative. Una delle tecniche più potenti consiste nel narrare concatenando una serie di particolari concreti; ovvero narrare mostrando la storia. Non ci sono ragioni per rinunciare a quest’arma.

Riconoscere & sopprimere il raccontato

Mostrare è più efficace di raccontare. Purtroppo mostrare è anche più difficile: richiede esercizio, attenzione, documentazione – puoi raccontare quello che non sai: “Anna è salita sul Boeing 747, si è seduta al posto del pilota e ha fatto decollare l’aereo”, non lo puoi mostrare; non puoi fornire particolari concreti riguardo a come si pilota un aereo se non ti sei documentato a proposito.

Se si scrive senza disciplina, a furia di risate e starnuti, la tendenza istintiva è di scivolare nel raccontato. Quando si racconta le parole fluiscono rapide, senza fatica, la storia procede spedita. Peccato che il risultato sia spazzatura.
Ci vuole molta pratica prima che scrivere mostrando divenga naturale. Per raggiungere questo obiettivo, il primo passo è rendersi conto di quando si racconta invece di mostrare.

L’indicatore numero uno è la presenza di termini astratti o generici.
Questo non vuol dire che per forza ogni termine astratto o generico sia sbagliato, vuol dire che, quando rileggiamo la storia, dobbiamo prendere ognuno di questi termini come un campanello d’allarme. Ci potrebbe essere un problema. Occorre verificare se quel termine è accettabile o no.

Michele era un ragazzo molto alto.

Non ci sono termini astratti, ma “molto alto” è un’espressione generica. Campanello d’allarme! Un brutto raccontato con zampette pelose scorrazza sul manoscritto. Bisogna schiacciarlo sotto il tacco! … Sigh.

Due strade: dobbiamo decidere se l’altezza di Michele ha un ruolo nella storia, oppure se è solo “colore”, se è solo un dettaglio per dare credibilità al personaggio.
Nel primo caso c’è poco da fare: bisogna imbastire una o più scene nelle quali l’altezza giochi un ruolo importante – per esempio si può mostrare Michele mentre gioca a basket.
Nel secondo caso, basta un pizzico di furbizia, basta “spacchettare” l’altezza in un’immagine concreta:

Michele chinò la testa salendo sulla carrozza della metropolitana.

Oppure, in maniera indiretta:

Anna si alzò in punta di piedi per baciare Michele sulle labbra.

Notare che potrebbero essere le carrozze particolarmente basse. O magari Anna è una nana. Ma ha importanza? In fondo non esiste un “molto alto” in assoluto, esiste un “molto alto” in rapporto alle porte o alle fidanzate; in rapporto alle taglie dei vestiti o ai letti degli alberghi.
E nessuno vieta di utilizzare l’intero ventaglio dei dettagli: porte, fidanzate, vestiti, letti. Anzi, è meglio: secondo Flaubert, un particolare sembra vero solo quando è ribadito almeno tre volte.

Per quel che ho letto di lei, Katie MacAlister è una pessima autrice. Ma anche una pessima autrice quando deve parlare delle dimensioni del protagonista maschile non si rifugia nel dire che “ce lo aveva grosso.” Infatti in Steamed: A Steampunk Romance scrive:

bandiera EN “You appear to be larger than I expected,” I said, wrapping one hand around him, and noting how much was left over.
[...]
“You’re not quite two hands, in case you were wondering. That is good—two hands’ worth would be excessive. I could not approve of two hands’ worth. But one hand and slightly more than a half of a second hand—that is reasonable. I approve of your dimensions, even if they are a bit more robust than I had anticipated.”

bandiera IT “Mi sembri più grosso di quanto mi attendevo,” dissi, passandoci una mano intorno, e notando quanto era rimasto.
[...]
“Non sei proprio due mani, nel caso te lo stessi chiedendo. Il che va bene – una grandezza di due mani potrebbe essere eccessiva. Non potrei approvare una grandezza di due mani. Ma una mano e un po’ più di metà della seconda mano – è ragionevole. Approvo le tue dimensioni, anche se sei un po’ più robusto di quanto mi aspettassi.”

Puro romanticismo, altro che Twilight. Circa. Ho usato questo esempio un po’ volgare per una ragione, che illustrerò in seguito. Intanto il principio rimane lo stesso: non raccontare che Michele è alto o ce l’ha grosso, ma mostrare nel concreto altezza e grossezza. Molto alto è generico, Anna in punta di piedi è concreto; grosso è generico, una mano e poco più della metà dell’altra è concreto.

Copertina di Steamed
Copertina di Steamed: A Steampunk Romance

Ho detto che più si è precisi, più si evita il generico e l’astratto meglio è. Si potrebbe pensare che non ci sia niente di più preciso dei numeri. Però:

Michele era alto 2 metri e 14 centimetri.

Funziona poco. A meno che il lettore non sia un geometra, non è in grado di dare concretezza ai numeri. Michele che china la testa per non sbatterla o Anna in punta di piedi il lettore li vede, i numeri no.

Appena superiamo le dita di una mano, i numeri perdono significato.

In piazza c’erano tre persone.

Chiaro e concreto.

In piazza c’erano 82 persone.

Astratto. Non ha significato per il lettore.

Un altro esempio:

La torre era alta 286 metri.

È astratto.

La cima della torre spariva avvolta tra le nubi.

È concreto.

Consideratela in questo modo: quando si parla di misure, si fa sempre una similitudine. Quando scrivo che la torre è alta 286 metri, in realtà scrivo: “l’altezza della torre è simile all’altezza che si ottiene impilando 286 sbarre di platino-iridio[4] lunghe un metro.” Ed è una similitudine difficile da visualizzare. Viceversa, se parlo di altezza delle nubi, il lettore non ha problemi a vedere la scena, perché ha esperienza quotidiana di nubi.

Le similitudini devono semplificare il concetto, non renderlo più complesso. Mettere in rapporto Michele con una porta o con una ragazza in punta di piedi è semplice, metterlo in rapporto a 214 unità di misura molto meno.
Lo stesso vale per qualunque altro tipo di misurazione. Se non ci sono ragioni specifiche (per esempio il punto di vista è dell’architetto della torre giusto impegnato a progettarla), i numeri vanno evitati.

* * *

Ho preso come esempi due termini generici (alto e grosso), lo stesso concetto si applica ai termini astratti, come la vecchiaia esaminata a inizio articolo.
“Michele è generoso”, “Michele ha un carattere solare”, “Michele adora la compagnia degli animali”, “Michele odia leggere” e così via. Questo è raccontare, non è un granché, se si vuole diventare bravi scrittori bisogna sforzarsi di mostrare.

Fiammetta era una fatina piccina e permalosa.

Diventa:

La fatina Fiammetta strizzò gli occhietti, si coprì il faccino con il dorso della manina. La mezzaluna di luce brillava sopra di lei. Il gatto, doveva essere stato il gatto. Il felino si era strusciato contro la teiera e aveva smosso il coperchio.
Fiammetta si piegò sulle ginocchia. Saltò. Le dita afferrarono il bordo di porcellana della teiera. Chiuse le ali e spinse con la schiena contro il coperchio. L’intera mattinata intrappolata al buio. Nessuno l’aveva mai trattata così! Diede un colpo di reni. Il coperchio scivolò giù. La fatina volò fuori dalla teiera.

Fiammetta sgusciò tra le ante accostate della finestra. Cinzia era in giardino, seduta tra l’erba, la bambola della principessa Himiko in una mano, un drago di plastica nell’altra. Fiammetta volò davanti al viso della bambina.
Cinzia sgranò gli occhi. «Oh… scusa. Scusa! Stava arrivando la mamma e allora. Per nasconderti.»
Fiammetta incrociò le braccia. «E poi ti sei dimenticata di me. Sai, comincio a sospettare che tu non gradisca la mia compagnia.»
La bambina era sbiancata. «No, no. Scusa.»
«Non mi interessano le tue scuse. Hai sbagliato e devi pagare. Avanti, non farmi perdere tempo.»
Cinzia lasciò cadere il drago. Si morse il labbro. Lacrime scesero sulle guance arrossate. Offrì alla fatina la mano aperta, il palmo verso l’alto.
La fatina tagliò il palmo con una scheggia di vetro; un solco di sangue dal mignolo al pollice. «E se i tuoi genitori scoprono qualcosa, ti cavo gli occhi.»
Fiammetta rinfoderò la scheggia sotto il vestitino.

Sono stata forse troppo stringata, si può fare di meglio, ma spero che il concetto sia chiaro.

La fatina Fiammetta
La fatina Fiammetta

Una conseguenza di quanto visto finora è la norma che prescrive di evitare gli avverbi.
Certo, ci sono avverbi da evitare semplicemente(…) perché inutili – il classico “sbatté violentemente la porta”, come se fosse possibile “sbattere” senza violenza.
Certo, ci sono avverbi da evitare perché sostituibili da verbi più precisi – il classico “chiuse violentemente la porta” che diventa il più elegante “sbatté la porta”.
Ma in generale la ragione che dovrebbe spingere lontano dagli avverbi è che gli avverbi raccontano. Nella quasi totalità dei casi sono termini astratti o generici.

Michele scrisse l’articolo accuratamente.

È troppo generico. Meglio mostrare Michele che consulta per due ore Wikipedia, che scrive una mail a un suo amico esperto in materia, che fa un giro alla biblioteca locale per spulciare le pagine di un vecchio quotidiano che non si trova su Internet.
E se invece l’accuratezza non ha importanza per la storia, inutile inserirla. Come ho già spiegato, il raccontato non rimane impresso in mente, dunque perché sprecare inchiostro?

Notare che:

Michele scrisse l’articolo con cura.

È lo stesso. È un pochino meglio perché “con cura” si legge più spedito di un farraginoso ac-cu-ra-ta-men-te, ma il problema di fondo rimane. Non fate i “furbi”, non è cambiando la singola parola che si risolve la questione.

Un errore comune è quello di raccontare e mostrare (o raccontare e ri-raccontare in maniera meno generica):

Michele scrisse l’articolo con cura: consultò per due ore Wikipedia, chiese via mail un parere al suo amico esperto di lucertole, passò il pomeriggio a spulciare i vecchi numeri di Rettili Oggi.

È un errore dovuto all’insicurezza. L’autore (in)consciamente dice al lettore: “Visto che non parlo a vanvera? Ho scritto ‘con cura’ mica per caso, infatti ecco tutti i fatti a dimostrazione.”
Non funziona. I casi sono due: o il lettore la vede come l’autore (e dunque è superfluo specificare che l’articolo era scritto “con cura”, i fatti già lo mostrano), oppure il lettore rimane di stucco. Ma come, pensa, due ore su Wikipedia e un pomeriggio a sfogliare vecchie riviste lo chiami documentarti con cura? Ma quando mai! Questo autore proprio non ne capisce un’acca di cosa voglia dire scrivere un articolo accuratamente!
Dunque la parte raccontata (“con cura”) o non ottiene alcun effetto, oppure ottiene un effetto negativo. Non mettetela!

La domanda interessante è: come faccio a trasmettere al lettore che Michele scrive accuratamente? Se lo racconto, il lettore non ci crederà. Se lo mostro, il lettore potrebbe non essere d’accordo con me.

La riposta è: non puoi. Non si può forzare la morale della favola (Michele che scrive accuratamente è la “morale” del passare la giornata a documentarsi). Si può mostrare nella maniera più vivida possibile quello che è successo, dopodiché il giudizio spetta al lettore.

Anna è credente. Rispetta i comandamenti e va sempre a messa. Un giorno, mentre attraversa la strada, è stirata da un autobus. È portata in fin di vita all’ospedale, dove le amputano le gambe.
Qual è la morale? Che Dio non esiste o non si prende cura dei suoi fedeli? Oppure che Dio esiste e ha sempre un occhio di riguardo per chi crede in Lui? (di solito chi finisce travolto da un autobus muore).
Deciderà il lettore. Se si cerca di forzargli la mano lo si imbizzarrisce e basta.

Lo stesso discorso fatto per gli avverbi vale per gli aggettivi. Perché si consiglia di usarli con parsimonia? Perché gli aggettivi concreti e specifici (rosso, ruvido, umido, ecc.) sono pochi. Gli altri sono aggettivi astratti o generici e come tali vanno soppressi. Non ascoltate i lamenti degli aggettivi, metteteli al muro e fucilateli.

Era una bella mattinata di ottobre. Un’allegra Anna si stava recando al suo prestigioso lavoro presso una rinomata ditta di tostapane.

Se la bellezza della mattinata, l’allegria di Anna, il prestigio del lavoro o la fama della ditta hanno importanza per la storia, si mostrano. Altrimenti gli aggettivi vanno giustiziati e basta. No, non ci sono scuse che tengano.

* * *

Altre bestiacce figlie del raccontato che spesso non sono identificate come tali:

Icona di un gamberetto Le espressioni: “provò a”, “tentò di”, “(non) riuscì a”, “cercò di” e così via. Sono sempre un raccontare.

Per esempio, Anna è inseguita da Michele armato di mannaia:

Anna corse alla porta. Provò ad aprirla ma non ci riuscì.

Bah! Così scrivono gli autori di Serie C (gli autori italiani scrivono: “Provò furiosamente ad aprirla, ma non ci riuscì nonostante ci avesse provato disperatamente.”); gli autori decenti tagliano il “provò” e il “riuscì” e mostrano le dita sudate che scivolano sulla maniglia, la maniglia che gira a vuoto, i pugni picchiati contro il battente, i capelli sugli occhi, il rumore dei passi di Michele e ogni altro particolare degno di nota.
Più difficile, più faticoso, più impegnativo. E allora? Nessuno sostiene che scrivere narrativa sia facile e indolore.

Michele imbestialito
A furia di essere protagonista degli esempi, a Michele sono saltati i nervi

Icona di un gamberetto Il battito artificiale del tempo: “prima”, “dopo”, “poi”, “in seguito” e anche “pochi istanti”, “improvvisamente”, “al momento” e così via. Sono sempre un raccontare.

Anna entrò nella stanza. Poi si sedette e prima di cominciare a studiare si infilò gli occhiali, dopo averli puliti. Fissò la copertina del libro di storia per qualche istante. Improvvisamente le venne voglia di mangiare un gelato, cosa che avrebbe fatto in seguito.

Si sente tra le righe la presenza del narratore, qualcuno che ha già assistito ai fatti e si permette di ordinarli come gli pare. Non siamo nel vivo dell’azione. Siamo in poltrona ad ascoltare una storia, che ci viene confermato è solo una storia. Non va bene.

Il tempo deve essere scandito dalle azioni, se non scorre fluido occorre cambiare le azioni, non intervenire inserendo “istanti” o “dopo” o “poi” o, peggio ancora, “prima”.

Prendiamo:

Anna fissò la copertina del libro di storia per qualche istante.

Posso togliere gli istanti senza colpo ferire:

Anna fissò la copertina del libro di storia, le venne voglia di mangiare un gelato.

Mentre il lettore legge la frase, “qualche istante” è passato, non c’è bisogno di ribadirlo.

Se invece voglio sottolineare la pausa, il modo giusto è aggiungere il mostrato:

Anna prese una matita e disegnò un fiorellino nell’angolo in alto a destra della copertina.

Anna perde tempo e lo vediamo. Perciò:

Anna entrò nella stanza. Poi si sedette.

Oppure:

Anna entrò nella stanza. Si chiuse la porta alle spalle. Si tolse la giacca. Andò alla scrivania e si sedette.

Piccolo Quiz

Piccolo quiz per verificare se siete entrati nello spirito dello “Show don’t tell”:

Anna cominciò a studiare.

È mostrato o raccontato?
È raccontato. Non è un raccontato “grave”, ma se mostrate Anna che consulta il diario per sapere quali capitoli leggere, o Anna che sottolinea i paragrafi del libro al capitolo giusto, o Anna che scarabocchia cuoricini lungo il bordo della pagina, rendete meglio l’idea di “cominciare a studiare”.

Icona di un gamberetto Parolacce quali: “pressappoco”, “quasi”, “circa”, “piuttosto” e così via. Sono sempre un raccontare.

Il cervello degli esseri umani non ha le capacità per distinguere una cosa dal “quasi” quella cosa, o da “pressappoco” quella cosa, o da “circa” quella cosa.

Le ali della fatina sono pressoché rosse.

È preciso identico uguale non-cambia-una-virgola dallo scrivere:

Le ali della fatina sono rosse.

Perciò tanto vale mettere il “pressoché”. Se invece il “pressoché” indicava una sostanziale differenza tra le ali rosse e le ali pressoché rosse, occorre mostrare.

Le ali della fatina sono rosse, con macchioline bianche lungo il profilo.

Chiedetevi perché avete scritto che una cosa è quasi quella cosa o circa quella cosa. Se c’è una ragione specifica mostratela, altrimenti togliete i quasi e i circa, i piuttosto e i pressappoco.

Fatina con le ali pressoché rosse
Fatina con le ali pressoché rosse

Analizziamo questo passaggio, scritto da un autore che ho paura si illuda di essere più bravo di quanto in realtà sia:

L’Università era una sorta di città-nella-città, con le sue mura, i suoi viali, i suoi dormitori e anche un paio di officine idromeccaniche, oltre alla bottega di un pittore.

Abbiamo l’errore visto in precedenza di prima raccontare (“città-nella-città”) e poi mostrare (viali, dormitori, officine, bottega). In più c’è quel brutto “una sorta”.
“Una sorta” rientra nella categoria dei “quasi”, “circa”, “piuttosto”. Anche se nel caso specifico le motivazioni dietro “una sorta” sono diverse rispetto alle motivazioni del “pressappoco” legato alle ali della fatina. Qui è più l’autore che sussurra al lettore: “Ho detto città-nella-città? Cioè, volevo dire una sorta di città-nella-città. Eh, non prendermi sempre alla lettera. Una sorta.” Ma se persino l’autore ha dubbi di verosimiglianza su quello che scrive, figuriamoci il lettore.
E la soluzione giusta è la solita: non esprimere giudizi (“città-nella-città”) dei quali non si è neanche convinti (“una sorta”), ma mostrare questa benedetta città-nella-città; il lettore stabilirà lui se era una vera città-nella-città o “una sorta”. Infatti il paragrafo non dovrebbe neanche cominciare con “L’Università è”, dovrebbe cominciare con il personaggio punto di vista che percorre i viali della Università-città e vede, sente, annusa il mondo intorno a sé.

Come esercizio, analizzate voi questo piccolo capolavoro della nostra amata Licia:

Era una sorta di castello piuttosto massiccio [...]

Lei è sempre la migliore!

* * *

Un paio di esempi nei quali un termine generico o astratto non indica dannoso raccontato.

Erano rimaste due fette di torta. Anna fece la linguaccia a Michele e prese la fetta più grossa.

Il “grossa” serve solo a distinguere una fetta dall’altra. Non importa quanto le fette siano grosse, qui lo scopo è mostrare il rapporto tra Anna e Michele, non la torta.

Anna pensò che Michele era un gran figo.

Se scrivo così con lo scopo di descrivere l’aspetto fisico di Michele sbaglio, ma se scrivo per mostrare il carattere superficiale di Anna è giusto. I personaggi possono pensare in termini astratti o generici; se voglio aprire una finestra sui loro meccanismi mentali, posso usare termini astratti o generici.
Ma devo essere consapevole di quello che sto facendo, tenendo presente che:
• È una tecnica rischiosa. Se voglio mostrare che Anna è frivola, forse faccio prima a farle collezionare scarpe rosa.
• Difficilmente posso ottenere un doppio risultato. Qui ho mostrato il carattere di Anna e basta. Non ho descritto Michele. Se voglio che Michele sia sul serio un gran figo, dovrò comunque in altro momento mostrarne la “figaggine”.

In generale, più la telecamera è in profondità nella testa del personaggio, più si hanno margini di manovra. Se scriviamo in prima persona e il mostrare va in conflitto con il naturale flusso di pensiero del personaggio, possiamo decidere di non mostrare.

Intendiamoci bene: questo non significa che in prima persona si può scrivere come capita, significa che bisogna farsi in quattro per fornire un flusso di pensiero naturale e allo stesso tempo mostrare il più possibile. Ci sono più margini di manovra, ma nel complesso il compito è più arduo.
È lo stesso problema dei dialoghi: devono essere interessanti e devono essere naturali.

Scrivendo in prima persona con il punto di vista di Michele:

Odio Anna dal profondo del cuore.

È un pensiero astratto. È un pensiero naturale? Sì, può esserlo. Dunque tutto bene? Non proprio. Dovete essere orgogliosi. Non accontentatevi del 6 stiracchiato, del minimo sindacale.
Magari se scrivete:

Vorrei legare Anna e ficcarle chiodi arrugginiti nelle gengive.

Il pensiero suona ancora naturale (per certi versi di più), con il vantaggio che avete mostrato l’odio. I sentimenti diventano immagini. Parole a caso diventano narrativa.

* * *

Seguire il principio dello “Show don’t tell” implica rinunciare al narratore onnisciente. Infatti il narratore onnisciente per essere tale deve esprimere concetti astratti o generici. Se descrive dettagli concreti, non c’è bisogno di lui, basta prendere il punto di vista di un personaggio che osservi quei dettagli.

Il narratore onnisciente è quello che scrive:

[Il nostro eroe era] più amico di Dickens che dei videogiochi, non era uno stupido né uno svagato.

Ovvero una sfilza di termini generici o astratti. Se il narratore avesse mostrato il nostro eroe che rinuncia a un coupon per 6 mesi gratis a World of WarCraft e torna a sprofondarsi in poltrona per leggere Dickens, non ci sarebbe stato bisogno del narratore medesimo. Sarebbe bastato il punto di vista del nostro eroe (o il punto di vista del personaggio che gli offre i 6 mesi gratis).

Se mostrate non avete bisogno di un narratore onnisciente. E dato che è sempre meglio mostrare, non c’è alcuna scusa per tirar dentro il narratore onnisciente in un romanzo.
Se sentite il bisogno irrefrenabile di commentare le vostre stesse storie, scrivete un saggio. Lì potrete spiegare con agio il vostro amore per Dickens o il disprezzo per i videogiochi. Nessuno vi accuserà di interferire, anzi, quelli che compreranno il libro lo faranno proprio per ascoltare la vostra opinione.

Piccolo Quiz

Secondo piccolo quiz per verificare se siete entrati nello spirito dello “Show don’t tell”:

Anna si distrae tracciando con l’indice il profilo delle nuvole.

È mostrato o raccontato?
È raccontato. Non è un raccontato “grave”, ma quel “distrae” rimane un intervento inopportuno del narratore che esprime un giudizio. “Anna traccia il profilo delle nuvole”, questo è quello che succede; il lettore deciderà lui se Anna le tracciava per distrarsi o no. Se vogliamo sottolineare la distrazione, non dobbiamo raccontarla, ma mostrare ulteriori dettagli: la saliva che cola dall’angolo della bocca di Anna, Michele che la chiama e lei che non risponde o particolari simili.

* * *

Quando fanno capolino termini astratti o generici, lì intorno zampetta l’insetto viscido del raccontato. Ma se io scrivo:

Anna strangolò l’orco.

Sto mostrando o raccontando? “Anna”, “strangolare” e “orco” sono termini specifici, non sono generici o astratti; dunque è mostrare? Sì e no. Potrebbe essere un mostrare adeguato se il punto di vista fosse esterno all’azione (per esempio un terzo personaggio che guarda), ma se il punto di vista è di Anna o dell’orco non ci siamo.
Bisogna sporcarsi le mani. Nel caso in esame, letteralmente: sarebbe opportuno mostrare le dita di Anna attorno al collo della bestia, i latrati dell’orco, il tentativo del mostro di azzannare Anna, la puzza di marcio, la bava che le bagna la faccia, lo sforzo di lei, i muscoli tesi, le unghie che si spezzano contro le squame e ogni altro altro particolare concreto che renda vivida la situazione. Come già visto quando Anna doveva aprire la porta inseguita da Michele.

“Sporcarsi le mani” non è solo legato all’azione violenta, “sporcarsi le mani” è anche evitare di scrivere:

La biblioteca del professor Polipo era colma di trattati sui calamari.

Ma andare a descrivere quel particolare libro con il calamaro d’oro imbullonato alla costa, quell’altro libro che puzza di pesce ed è pieno di sottolineature, e il terzo libro con le pagine in pelle di pinguino – assumendo che tali volumi siano importanti per la storia e che il personaggio punto di vista sia interessato alla letteratura dedicata ai cefalopodi.

Copertina di Animals of the Ocean, in Particular the Giant Squid
Animals of the Ocean, in Particular the Giant Squid

La narrativa dovrebbe essere una catena di dettagli scelti con cura, evitando il più possibile di condensare. O, per usare una metafora sanguinolenta: la narrativa è una sega per amputazioni. Più inserite particolari concreti, più usate parole specifiche, più i denti della sega sono fitti e affilati. Quando scivolate nell’astratto o nel generico ne nascono denti spuntati, arrotondati e inutili.
La buona narrativa taglia che è un piacere, neanche vi accorgete di segare le ossa! La cattiva narrativa è un macello. È un lavoro fatto a metà, una ferita purulenta, una gamba che penzola ancora attaccata con brandelli di carne. E in più vi siete insozzati da capo a piedi. La gonna non verrà più pulita.

La timidezza e il famigerato stile evocativo

Anna posò sul tavolo una scatoletta graziosa.

Perché uno scrittore mette quel brutto “graziosa”, invece di mostrare l’intrinseca graziosità?

Escludiamo gli scrittori ignoranti, quelli che non hanno idea di cosa si intenda per “Show don’t tell”, quelli che procedono a starnuti e risate – la quasi totalità dei pubblicati in Italia in ambito fantasy.
Esclusi questi, che hanno scritto “graziosa” perché sì!!! perché è fantasy!!! perché scrivere è un sogno!!!, alcuni mettono “graziosa” per un problema di timidezza.
Perché hanno paura del giudizio del pubblico. Hanno paura che se scrivessero che la scatola è avvolta in carta rosa con nastro rosa il pubblico potrebbe pensare che sono loro frivoli e non Anna; hanno paura che se scrivessero che la scatola è avvolta in carta regalo con Topolino e Paperino il pubblico potrebbe pensare che sono loro infantili e non Anna.

Fregatevene!

Se volete essere scrittori, i giudizi di cui vergognarsi sono quelli negativi sulla vostra tecnica narrativa, non sul vostro carattere desunto da come mostrate i personaggi.
La moralità, se si vuole parlare di moralità in riferimento alla narrativa, è legata al come non al cosa. Se scrivete un romanzo con protagonista un nazista pedofilo che brucia la foresta amazzonica e lo scrivete bene, siete degni di ammirazione; se scrivete un romanzo pieno di Buoni Sentimenti™ e lo scrivete con i piedi, siete da biasimare. Qualunque giudizio che esuli dagli aspetti tecnici dello scrivere potete ignorarlo.

Il brano tratto da Steamed era un po’ volgare. Be’, avrebbe dovuto esserlo di più. Se scegli di scrivere un mezzo porno (come si è rivelato quel romanzo), è inutile che ti nascondi dietro a un dito. Vai fino in fondo.
Se scrivi un romanzo di guerra, mostra quello che succede. La narrativa non è l’equivalente su carta delle tavole rotonde in TV, dove gente che non ha mai imbracciato un fucile chiacchiera di battaglie a migliaia di chilometri di distanza e il conduttore raccomanda di mantenere un tono pacato. Quella è fuffa. La narrativa, la buona narrativa, è viscerale. Il fucile lo hai in mano e la battaglia è intorno a te. Nessuna timidezza, nessun tentennamento. Se hai problemi con la violenza lascia stare i romanzi di guerra e scrivi qualche altro genere – ma non esistono generi “tranquilli”, la buona narrativa è sempre emozionante e coinvolgente.

Parlo di “buona narrativa”, non necessariamente di “narrativa che piace” o di “narrativa che ha successo”. Un sacco di gente, in maniera più o meno inconscia, sceglie romanzi “tranquilli”. Il romanzo d’orrore che non spaventa, il romanzo di guerra dove non muore nessuno, il romanzo rosa senza passione, il romanzo di fantascienza privo di sense of wonder e magari tra qualche anno il romanzo di Bizarro Fiction senza bizzarrie. È il tipo di narrativa che si legge proprio per non emozionarsi, per spegnere il cervello; per occupare il tempo a vuoto. Scelta legittima, ma per quanto questi romanzi possano piacere, rimangono pessimi romanzi.

Una statua dallo splendore del marmo di luna e una bellezza straziante da far desiderare anche l’Inferno per poterla vedere ancora. L’aveva distratta per un istante, emergendo sul terrore folle che le invadeva il cervello.
Né morto né vivo, una creatura del sangue che cammina per l’eternità su quella soglia che agli umani è consentito varcare una volta soltanto, senza ritorno.
Lui invece, da qualche parte lungo i secoli, era tornato.
Il suo potere era talmente forte che gli aggressori non erano riusciti a vederlo. Eloise era sicura che non si fossero accorti di lui fino a che non era piombato loro addosso e adesso nel buio cieco si stava svolgendo un massacro: scorgeva solo sagome, ma aveva la percezione netta del sangue che scorreva, caldo e metallico, macchiando la polvere della strada. La misericordia del buio le celava alla vista l’immagine di corpi smembrati e della forza umana opposta a un’altra forza che di umano non aveva nulla.

Questa schifezza inqualificabile viene da un romanzo fantasy italiano regolarmente pubblicato da casa editrice non a pagamento. Il passaggio di cui sopra è persino citato su un blog “letterario”(…) a testimonianza delle qualità dell’opera, di uno stile “ricco e ricercato” adatto per “chi ama immergersi completamente nelle realtà e nelle atmosfere evocate dalle pagine.”
Il passaggio di cui sopra è in realtà uno sfolgorante esempio di narrativa “tranquilla”, direi persino “innocua”. Si parla di gente così affascinante “da desiderare l’Inferno per poterla vedere ancora”, si parla di “eternità”, si parla di “massacro”, si parla di “forza che di umano non aveva nulla”. Bene. Siete turbati, eccitati, disgustati? Sentite il pranzo che vi risale per l’esofago? Eppure è questa la reazione che dovrebbe suscitare un “massacro”. Non c’è il briciolo di un’emozione.
Narrativa di questo genere è una perdita di tempo e nient’altro. È acqua tiepida, senza sapore. E lo è non per l’argomento, ma per come è scritta.

* * *

Esclusi gli autori che non saprebbero distinguere un romanzo da un tostapane e gli autori timidi, esiste una terza categoria di imbrattacarte che scrivono “scatoletta graziosa”: i gonzi che blaterano di “stile evocativo” o di “suggestioni”.

Il problema è che costringere il lettore a “evocare” non è una buona idea. Lo spiega Herbert Spencer nel già citato saggio The Philosophy of Style.

Herbert Spencer
Herbert Spencer

Nella parte I, ii-9, Spencer illustra il principio alla base dello “Show, don’t tell”, usando il seguente esempio, che sarà ripreso in The Elements of Style di Strunk & White:

bandiera EN We should avoid a sentence as: – “In proportion as the manners, customs, and amusements of a nation are cruel and barbarous, the regulations of their penal code will be severe.” And in place of it we should write: – “In proportion as men delight in battles, bull-fights, and combats of gladiators, will they punish by hanging, burning, and the rack.”

bandiera IT Occorre evitare frasi come: – “Quanto più gli stili di vita, i costumi e i divertimenti di una nazione sono crudeli e barbari, tanto più le norme del codice penale saranno severe.” Invece bisognerebbe scrivere: – “Quanto più gli uomini si dilettano in combattimenti, corride e scontri tra gladiatori, tanto più saranno puniti con l’impiccagione, il rogo e la tortura della ruota.”

Fate un confronto con questo frammento, scritto da un autore che ho paura si illuda di essere più bravo di quanto in realtà sia:

Nei cinque mesi trascorsi laggiù aveva visto più orrori che nel resto della sua vita: dalle piccole violenze domestiche, quasi banali, agli omicidi in pieno giorno, agli stupri di gruppo. E peggio.

“piccole violenze domestiche, quasi banali”, “omicidi in pieno giorno”, “stupri di gruppo”, “peggio”, è troppo generico; è il tipo di scrittura fiacca che da secoli viene suggerito di evitare. Dunque quali sono gli orrori? Gli orrori sono sempre specifici: un bambino a cui hanno cavato gli occhi con un apribottiglie, una ragazza sodomizzata con un attizzatoio, un uomo bastonato a morte da una banda di castori mannari.
Sottolineo infine il solito errore di prima raccontare (“orrori”) e poi “mostrare” (piccole violenze, omicidi, stupri, peggio).

In ii-10, Spencer chiarisce l’esempio:

bandiera EN This superiority of specific expression is clearly due to a saving of the effort required to translate words into thoughts. As we do not think in generals but in particulars – as, whenever any class of things is referred to, we represent it to ourselves by calling to mind individual members of it; it follows that when an abstract word is used, the hearer or the reader has to choose from his stock of images, one or more, by which he may figure to himself the genus mentioned. In doing this, some delay must arise – some force expended; and if, by employing a specific term, an appropriate image can be at once suggested, an economy is achieved, and a more vivid impression produced.

bandiera IT Questa superiorità dei termini specifici è chiaramente dovuta al risparmio di energie nel trasformare le parole in pensieri. Noi non pensiamo in termini generali, ma in termini particolari – quando si fa riferimento a una classe di oggetti, noi la rappresentiamo richiamando alla mente singoli membri di essa; ne segue che quando viene usata una parola astratta, l’ascoltatore o il lettore devono pescare una o più immagini dal proprio repertorio e attraverso queste raffigurarsi la classe menzionata. Nel fare questo si consuma del tempo – e si consumano delle energie; se, utilizzando termini specifici, può essere suggerita immediatamente l’immagine più adatta, si ottiene un risparmio e si produce un’impressione più vivida.

In altre parole, cosa succede nella testa del lettore quando legge della scatoletta “graziosa”? Se il lettore non è coinvolto, non succede niente. Ignora il “graziosa” e tira dritto. Se il lettore è più di buon umore, esce dalla storia e comincia a frugare nella sua mente. Cerca rappresentanti concreti della graziosità per trasformare la formulazione astratta in immagine.
E la faccenda può essere lunga e noiosa. Magari per il lettore il culmine della graziosità sono i coniglietti e lì è una scatola; magari non c’è niente di più grazioso delle fatine e lì è una scatola. Quando pure recupera una scatoletta compatibile, non sarà la scatoletta che pensa l’autore.
L’autore poi scriverà che Anna si mette in tasca la scatoletta e il lettore proverà fastidio, perché la sua di scatoletta in tasca non ci entra.
Perdita di tempo a cercare, conseguente noia e adesso fastidio. E se la scatoletta graziosa del lettore fosse un regalo della fidanzata – il giorno prima che la povera ragazza crepasse stritolata da una macchina agricola? Evocazione riuscita! Solo dei sentimenti opposti a quelli che si volevano comunicare!

Quando uno “scrittore” parla di “suggestioni”, in realtà confessa: “Sono pigro, non so scrivere e non ho voglia di imparare; spero che tutto il lavoro lo faccia il lettore dopo avermi pagato 20 euro.” Siete autorizzati a sputare in faccia a gente del genere.

Lo scopo della narrativa è acchiappare il lettore per la collottola e trascinarlo nella storia, metterlo qui-e-ora con un fucile in mano in mezzo ai proiettili che fischiano. Se il lettore rimane in poltrona a “evocare”, il romanzo è EPIC FAIL.

Ragioni per raccontare

Ho già illustrato una ragione che può spingere a raccontare invece di mostrare: quando, considerato il punto di vista, raccontare suonerebbe più naturale. Un’altra ragione è quando si vogliono riassumere fatti noiosi che però il lettore deve conoscere per capire la storia.
Sono quelle scene dei film di Indiana Jones nella quali si vede un aereo che sorvola la mappa del mondo, a indicare che i nostri eroi si sono spostati da un punto all’altro del globo. Meglio quei pochi secondi raccontati che non tre ore di Indiana Jones che fissa le nuvole fuori dal finestrino.

Non abusate di questo espediente. Riducetelo al minimo. Il lettore non è scemo: se mostrate Indiana Jones all’aeroporto che sfugge ai nazisti e salta sul dirigibile un secondo prima del decollo, la scena dopo potete direttamente mostrare Indy che sbarca a New York. Nessuno avrà problemi a ricostruire quello che è accaduto. E se d’altra parte durante il viaggio è successo qualche evento significativo, va mostrato.

Pensate sempre bene se non sia il caso di tagliare. Nel famigerato Bryan di Boscoquieto, l’autore compie l’errore di mostrare l’inutile, indugiando sulle minuzie della vita quotidiana del protagonista. Avrebbe dovuto raccontare? Forse. Ma ancora meglio sarebbe stato tagliare in tronco quelle parti. Del pranzo di Bryan o della partita a calcetto non frega niente a nessuno, né questi fatti hanno rilevanza per la storia.

Maccheroni
Un piatto di maccheroni fumanti era già pronto in tavola e la grattugia era accanto, ad attendere soltanto Bryan per una sventagliata di formaggio.

In prima stesura mostrate sempre. Se rileggendo vi accorgete di brani e capitoli superflui, tagliate. Usate il raccontato solo come ultima opzione.

È importante abituarsi a mostrare anche per una ragione pratica: passare dal mostrato al raccontato richiede pochi istanti; passare dal raccontato al mostrato significa scrivere una o più scene, servono ore se non giorni.

Prendete l’esempio della fatina Fiammetta. Ci mettete un attimo a cancellarlo e a scrivere che Fiammetta è permalosa. Invece non è automatico passare dal concetto astratto di permalosità a una scena che lo mostri. Senza contare che il raccontato è “senza tempo e senza luogo”, può essere incastrato ovunque nella narrazione, il mostrato no. Eventuali nuove scene vanno inserite tra le altre; a romanzo concluso, può rivelarsi una rogna.
Non andate a cercare rogne: progettate come se fosse tutto da mostrare.

* * *

Ci sono poche ragioni per usare il raccontato guardando esclusivamente alla tecnica narrativa. Ce ne sono di più allargando il discorso.

Icona di un gamberetto Si usa il raccontato per risparmiare pagine. Se dovete parlare di un argomento in un numero limitato di parole – per esempio perché state scrivendo un racconto che deve partecipare a un concorso con precisi limiti di spazio – il raccontato può essere una buona scelta.
Ma prima di arrendervi studiate bene il problema: magari, scegliendo di mostrare particolari diversi da quelli che avete pensato la prima volta, parlate con compiutezza dell’argomento in oggetto rispettando i limiti.

Attenzione a credere che il raccontato sia sempre un risparmio di parole. Per citare un esempio che l’anno scorso ha suscitato centinaia di commenti di flame:

Infine giunsero nei pressi del ponte principale, un’imponente struttura arcuata, con ampie rampe inclinate che congiungeva le due sponde del fiume.

Così scrive un imbrattacarte nostrano. Posso rendere più concreti termini generici come “imponente” o “ampie” nello stesso numero di parole? Forse sì. Se scrivo:

Il fiume ruggiva contro le arcate del ponte. Uno spruzzo d’acqua bagnò la testa del brontosauro che li precedeva sulla rampa.

Ho reso più vivida la situazione mantenendo l’impressione di grandezza del ponte – dato che lo attraversa un brontosauro.
Parole originali: 22. Parole mie: 22. Non arrendetevi al raccontato senza combattere!

Icona di un gamberetto Si usa il raccontato per sfuggire alla censura. Se mostrare il vampiro che strappa le interiora alle sue vittime, può essere che il romanzo non lo pubblichino, non sarebbe adatto agli young adult. Se lo sbudellamento lo raccontate è tutto ok. Il romanzo lo spacceranno anche ai bambini.
Ma dato che non vi pubblicano comunque, è inutile farsi questi problemi!

Icona di un gamberetto Si usa il raccontato per ragioni economiche. Mostrare è difficile. Mostrare le emozioni è molto difficile. Vale la pena perdere anni dietro a un romanzo per renderlo al 100% mostrato, o non è il caso di prendere qualche scorciatoia?
Decisione che spetta a ognuno, dopo dibattito con la propria coscienza. Ma se prendete scorciatoie che sia almeno una scelta consapevole, dettata dal desiderio di scrivere nuovi romanzi. Non lasciatevi guidare dalla pigrizia o dall’ignoranza.

Ma Lovecraft raccontava!!!

Se è vero come è vero che fin dalla metà del ’700 si sapeva che mostrare è meglio di raccontare, come mai così tanti autori, anche considerati bravi, hanno passato la carriera a raccontare?

Per capirlo bisogna riprendere Le intermittenze della morte (As Intermitências da Morte, 2005) di José Saramago, romanzo già citato nell’articolo dedicato ai dialoghi. In quel romanzo, Saramago ha tolto le virgolette ai dialoghi; le battute fluiscono all’interno della narrazione, senza identificatori espliciti.
È una scelta nella direzione dello “Show don’t tell”: quando sentiamo la gente parlare, non vediamo una mano che scende dal cielo e mette intorno alle parole le virgolette. Inserire le virgolette è un intervento dell’autore, è un raccontare.
Tuttavia persino io – fan del “mostrare” – ho avuto difficoltà a leggere quel romanzo. Sono così abituata ad avere l’autore che mi racconta quando iniziano e quando finiscono i dialoghi, che una soluzione teoricamente migliore mi risulta difficile da digerire. Fra cinquant’anni, se il metodo di Saramago si diffonde, una Gamberetta del futuro potrebbe prendermi in giro: “Guardate questa svampita: cianciava tanto di mostrare e poi metteva le virgolette ai dialoghi! È così ovvio che i dialoghi devono essere integrati nella narrazione!”

Tra la formulazione teorica (“mostrare è meglio di raccontare”) e la realizzazione pratica intercorrono secoli di fatica. Quando si vanno a pescare autori passati e si starnazza: “Questi erano bravi e non mostravano!!! Dunque mostrare è inutile!!!” bisogna capire se i signori autori non mostravano perché convinti che fosse sbagliato o non mostravano perché, pur con tutta la buona volontà, non ne erano in grado. Perché non si rendevano neanche conto che certe cose avrebbero potuto mostrarle – come adesso quasi nessuno considera possibile rendere più mostrati i dialoghi.

Scrittori come Gustave Flaubert o Henry James erano annoverati tra i “mostratori”. Eppure potrei riprodurre pagine e pagine dei loro romanzi nei quali raccontano a profusione. Non credo dipendesse dal fatto che erano incoerenti o stupidi, semplicemente non avevano la forma mentale per fare più di quanto hanno fatto.

La narrativa non è scolpita nella pietra. Si evolve ed è influenzata dal progresso scientifico e filosofico. È assurdo rimanere legati a modelli passati, sarebbe come rifiutare i computer perché Pitagora faceva matematica senza ed era bravo lo stesso. Bisogna ammirare tanti autori dei secoli scorsi perché hanno scritto opere bellissime nonostante non possedessero i mezzi tecnici attuali.
I registi a inizio secolo non giravano film muti in bianco e nero perché disdegnavano i colori e il sonoro, lo facevano perché non avevano alternative. Alcuni loro film sono belli nonostante le limitazioni tecniche.

Il ragionamento giusto non è: “Lovecraft raccontava. Lo imito come una capra.” Il ragionamento giusto è: “Lovecraft raccontava. Io conosco la tecnica del mostrare e scriverò racconti più belli dei suoi!”[5]

Quali manuali leggere

Ogni manuale che si rispetti ha un capitolo dedicato allo “Show don’t tell”. E al di là degli esempi non sempre azzeccati, non mi è mai capitato un manuale che spiegasse male il concetto. Infatti lo “Show don’t tell” è un principio né difficile, né complesso. Le conseguenze però non sono così ovvie, e non sempre i manuali stessi le colgono.
Ci sono poi i manuali che cascano nell’errore di un “politicamente corretto” letterario: mostrare e raccontare sullo stesso piano, per non fare torto a nessuno. Ma, come spero di aver dimostrato, la faccenda non è proprio in questi termini.

Perciò mi sento di dire che se avete seguito con attenzione questo articolo, ne sapete sullo “Show don’t tell” tanto quanto possa insegnarvi qualunque manuale, se non di più.
Al massimo date un’occhiata a:

Copertina di Showing & Telling Showing & Telling: Learn How to Show & When to Tell for Powerful & Balanced Writing di Laurie Alberts (Writer’s Digest Books, 2010).

Non mi è sembrato un granché, e soffre della sindrome del “politicamente corretto”. Tuttavia è meglio leggere un manuale in più che uno in meno.

Conclusione

Spesso si criticano romanzi, film, fumetti o in generale le opere d’arte in base a quanto siano “diseducative”. L’ho sempre trovato ingiusto: l’arte è arte, non è educazione; se una persona legge un romanzo per educarsi il problema è di quella persona, non del romanzo.
Ma farò uno strappo ai miei principi e parlerò di un’opera in termini di diseducazione. La scena che segue è quanto di più diseducativo si possa immaginare. Al confronto la più perversa pornografia che si annida nei recessi oscuri di Internet non può fare altro che bene.

Lezione di idiozia

Era una scena da L’Attimo Fuggente (Dead Poets Society, 1989). Notare che questo film non è vietato ai minori. Pazzesco.

Che retorica schifosa. Il “pensare autonomamente” che si concretizza nello strappare i libri senza leggerli; il rifiuto di ogni interpretazione della poesia al di là dell’istinto; il mescolare passione, amore, e gli altri Buoni Sentimenti™ così come capita, senza la minima consapevolezza di come sul serio nasca un’opera d’arte.

Il professor Keating – il personaggio interpretato da Robin Williams – andrebbe trascinato in strada. Fatto sdraiare sul selciato. Costretto a mordere il bordo di cemento del marciapiede. Poi qualcuno dovrebbe pestargli la nuca con la suola dello scarpone.
Non dico che la passione (e l’amore, la bellezza, il sogno, l’incanto, la meraviglia…) non sia importante. La passione è quella che ti fa lavorare ventiquattro ore al giorno e ti fa rischiare la vita per andare sulla Luna. Ma non voli nello spazio su una nuvola di passione, voli dentro un’astronave. Una realizzazione basata sulla tecnica.
Scrivere con passione non significa usare uno stile piuttosto che un altro, significa documentarsi per anni, revisionare fino alla nausea, studiare ogni dettaglio. Chi è appassionato di un argomento non strappa i libri, ne legge il doppio.

Adesso, le parole di un vero poeta. T. S. Eliot nel saggio del 1919 Hamlet and His Problems,[6] scrive:

bandiera EN The only way of expressing emotion in the form of art is by finding an “objective correlative”; in other words, a set of objects, a situation, a chain of events which shall be the formula of that particular emotion; such that when the external facts, which must terminate in sensory experience, are given, the emotion is immediately evoked. If you examine any of Shakespeare’s more successful tragedies, you will find this exact equivalence; you will find that the state of mind of Lady Macbeth walking in her sleep has been communicated to you by a skilful accumulation of imagined sensory impressions; the words of Macbeth on hearing of his wife’s death strike us as if, given the sequence of events, these words were automatically released by the last event in the series. The artistic “inevitability” lies in this complete adequacy of the external to the emotion; [...]

bandiera IT In un’opera artistica, l’unico modo per esprimere un’emozione è trovare un “correlativo oggettivo”; in altre parole, una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi che rappresentino la formula per quella specifica emozione; cosicché, quando sono presentati i fatti esterni, che devono condurre a esperienze sensoriali, l’emozione è immediatamente suscitata. Se si esaminano le tragedie di Shakespeare di maggior successo, si troverà questa esatta equivalenza; si troverà che la condizione mentale di Lady Macbeth mentre cammina nel sonno è stata comunicata da un’abile accumulazione di impressioni sensoriali tradotte in immagini; le parole di Macbeth al sentire della morte di sua moglie ci colpiscono, data la sequenza degli avvenimenti, come se fossero l’automatica conseguenza dell’ultimo evento nella catena. Questa “inevitabilità” artistica nasce dalla completa corrispondenza dei fatti esterni alle emozioni; [...]

Di cosa sta parlando Eliot? Indovinato! Dello “Show don’t tell”!
Per esprimere emozioni, l’unico modo – the only way – è trovare un “correlativo oggettivo”. Ovvero qualcosa di concreto – oggetto, situazione, evento – che induca nel lettore l’emozione che desideriamo. Proprio come spiegava il giapponese a inizio articolo. Per suscitare tristezza non dobbiamo parlare di tristezza, ma trovare un oggetto, una situazione, un evento che sia triste in sé, e dunque evochi tristezza nel lettore.

Riascoltate la scena da L’Attimo Fuggente. Il brano di Eliot assomiglia più all’introduzione dell’emerito professor Pritchard o alle sviolinate amore & passione di Robin Williams?
Ognuno ne tragga le sue conclusioni.

Compiti a casa

Vi propongo due fatine. Dirò qualcosina su di loro, voi sceglietene una e mostrate quello che io ho raccontato. Non ci sono limiti di spazio, ma non sbrodolatevi. Fate riferimento all’esempio di Fiammetta: lì sono stata fin troppo concisa, ma non sono necessarie molte parole in più.
Potete usare il punto di vista che preferite, potete articolare una breve storia o no. L’importante è concentrarsi sul mostrare. Sull’uso costante di parole specifiche, sull’epurazione di ogni traccia di raccontato.

• La prima fatina si chiama Scintilla. È una fatina giovane e altruista. Adora realizzare i sogni degli esseri umani, ma alle volte ha il vago sospetto che questo non sia il mestiere più adatto per lei. Dovrebbe imparare dalle fatine più esperte, se non fosse così orgogliosa e testarda.

• La seconda fatina si chiama Lametta. È scappata da casa e adesso è in cerca di un lavoro. Non è facile però trovare un decente impiego part-time, non quando sei una fatina con un brutto carattere e troppi interessi da coltivare. Non aiuta l’ossessione per le cianfrusaglie che Lametta vuole sempre portarsi dietro.

Scuola per fatine
Scuola per fatine. Scintilla avrebbe dovuto prestare più attenzione!

Se avete bisogno di documentarvi sulle fatine, fate un salto all’Osservatorio.

Buon divertimento!

* * *

note:
 [1] ^ “Chikamatsu and His Ideas on Drama” di Makoto Ueda. Educational Theatre Journal Vol. 12, No. 2.

 [2] ^ Ringrazio zora che per prima aveva segnalato Monzaemon in un vecchio commento.

 [3] ^ D’altra parte c’è una fetta di pubblico allergica al “fantastico” in senso lato, quelli che: “C’era bisogno di andare sulla Luna con la gente che muore di fame?”, oppure: “Non vedo ragione perché qualcuno voglia un computer a casa sua” (ultime parole famose pronunciate dal presidente della DEC nel 1977).

 [4] ^ Lo so che dal 1960 la definizione di metro è diversa, ma per l’esempio va bene uguale la sbarra. Non siate più pignoli di Gamberetta!

 [5] ^ Lovecraft qui è un esempio. Se siete fan del solitario di Providence e non tollerate critiche al vostro idolo, non imbizzarritevi: rileggete, e ogni volta che capita “Lovecraft” sostituite con “William Hope Hodgson”. Il concetto rimane lo stesso.

 [6] ^ In questo saggio Eliot definirà l’Amleto un fallimento. Eliot ha ragione? Ha torto? Non lo so, non ho le adeguate conoscenze poetiche per giudicare. Però so che è l’atteggiamento giusto. Non c’è progresso se si rimane legati ai pregiudizi. Pensateci prima di scrivere stronzate tipo: I Promessi Sposi sono “un’opera stilisticamente, narrativamente, linguisticamente perfetta”.


Approfondimenti:

bandiera EN The Philosophy of Rhetoric leggibile online
bandiera EN The Philosophy of Style leggibile online
bandiera EN Hamlet and His Problems leggibile online
bandiera EN The Craft of Fiction su Amazon.com

bandiera EN Chikamatsu Monzaemon su Wikipedia
bandiera EN George Campbell su Wikipedia
bandiera EN Herbert Spencer su Wikipedia
bandiera EN José Saramago su Wikipedia
bandiera EN T. S. Eliot su Wikipedia

bandiera EN Dead Poets Society su IMDb
bandiera IT Segnalazione di Steamed: A Steampunk Romance

bandiera IT Manuali su gigapedia

 


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516 Comments To "Manuali 3 – Mostrare"

#1 Comment By ??? On 18 novembre 2010 @ 01:03

Non ho ancora finito tutto, ma da quel che ho letto posso già dire che è il migliore degli articoli sulla scrittura che hai prodotto.

Magari fosse uscito prima del concorso del Duca! Sigh!

Mi avrebbe aiutato un bel po’ (anche gli altri, ne sono sicuro).

Grazie

P.s. Aspettati a breve il mio compito.

#2 Comment By Lidia On 18 novembre 2010 @ 07:30

Concordo con ???
Un articolo proprio ben fatto, si legge d’un fiato.

Brava!

#3 Comment By Akhenaton On 18 novembre 2010 @ 08:47

Bell’articolo! Molto chiaro. Molto divertente la parte sulla Dead poet society. In effetti non avevo mai riflettuto sopra il significato di quella scena.

“Il professor Keating – il personaggio interpretato da Robin Williams – andrebbe trascinato in strada. Fatto sdraiare sul selciato. Costretto a mordere il bordo di cemento del marciapiede. Poi qualcuno dovrebbe pestargli la nuca con la suola dello scarpone.”

American History X, no? Gran bel film.

Ciao Ciao.

#4 Comment By tasso barbasso On 18 novembre 2010 @ 09:16

Un contributo al tema.

#5 Comment By Merphit Kydillis On 18 novembre 2010 @ 09:56

Mi è capitato di imbattermi in “scrittori” (sebbene questi tizi non scrivano un bel niente, imbrattano solo di moccio la carta) con idee bizzarre riguardo lo “Show don’t tell”. Una delle più bislacche è quella che lo “Show don’t tell” sia una “trovata” moderna, colpa di Hollywood; “una sensibilità mediata dal cinema” – nelle parole di uno degli imbrattatori.

Non sei l’unica a pensarlo.
Tempo fa, avevo letto qui il “duello” contro Elisa Rosso, la giovane scrittrice de IL Libro del Destino. Difronte alle domande educate e giustamente perplesse della sua interlocutrice, la Rosso usa il talento Fintare Migliorato con frecciatine insulse e infantili. Ma una delle sue risposte mi ha fatto provare un qualcosa di sgradevole:

Lei: raccontare e non mostrare… oddio vieni anche tu dai fantasy gamberi?!? adesso si spiega tutto! ma Rotfl! comunque, la risata malvagia ci sta troppo, mi disp. Soprattutto quando hai dodici anni, il cattivo che ottiene il potere caccia la risata malvagia.

Comincio a maturare un orrendo sospetto: i scrittori nostrani (specie nel campo della narrativa fantastica) preferiscono raccontare anziché mostrare perché è la via più facile per essere pubblicati da Mondadori & Co., quindi uno sforzo “eccessivo” mostrare. Perché farsi 1000 km di macchina in campagna, quando c’è l’autostrada?

… oppure concepiscono l’idea di mostrare scandalosa? Non so, ho questa sensazione…

Valerio Evangelisti e Alan D. Altieri sanno mostrare nei loro romanzi, tuttavia c’è da considerare che entrambi sono del 1952. Che vuol dire? Forse che, a differenza dei “nuovi talenti”, sono più maturi e documentati? Oppure vent’anni fa (parlo degli Anni Novanta), le cose erano diverse rispetto ad oggi? Che c’erano editor competenti, i scrittori gente colta e che si sono fatti le proprie esperienze, Valerio ha iniziato a scrivere facendo dei saggi storici; mentre l’Altieri è stato per molti anni a viaggiare tra l’USA e Milano per motivi di lavoro.

OT: Chiedo a Gamberetta il permesso di usare Fiammetta come famiglio per le mie sessioni di D&D: bella ma str***a, il cliché che piace a me xD

#6 Comment By Lidia On 18 novembre 2010 @ 10:01

Carino l’esercizio! Io scelgo la Fatina Scintilla (l’altruista-giovane-realizza-desideri-ma-forse-dovrebbe-fare-altro)

ECCO IL PEZZO
“Sei una brocca” sbottò Fiammetta. “Biglietti della lotteria! Quel tipo ti ha fatto fessa.”
Scintilla sgranò gli occhi. “No, è un ragazzo sensibile. Con i soldi vinti ha detto che curava la mamma malata.”
Le ali rosse di Fiammetta si imporporarono ancora di più. “Robi Sgarbo è il nome? Pancia flaccida, doppio mento ed erre moscia?”
Scintilla annuì.
“Ieri per poco non rimanevo spiaccicata come una mosca sul parabrezza della sua Ferrari.”
Scintilla si torse le mane. “A me sembrava un tipo a posto.”
“Già. Come il tizio che desiderava un alibi dopo aver accoppato la moglie. Ferrari e alibi per omicidio. Oggi sono questi i desideri che realizzano le fatine?”
Fiammetta si fece più vicina, la sua ombra incombeva su di lei. “Da quanto ti sono cresciute le ali?”
“Hm. Tre mesi.”
“Una mocciosa” disse Fiammetta. “Tre mesi di svolazzi, e pensi di potertene ronzare in giro a rovinare secoli della nostra storia.”
Scintilla alzò gli occhi in quelli di Fiammetta, rossi come braci rubate a un camino.
“Le ali le avrò da poco, ma non il cervello” disse. “Dobbiamo esaudire desideri, no? Lo dice il Codice. Non è colpa mia se gli umani sono orribili. Non è compito nostro giudicarli.”
L’ombra di Fiammetta mandava sbuffi di fumo. Scintilla fece un passo indietro. Quando le ricordava il Codice, la Fata Superiore si dava spesso fuoco per protestare.
Fiammetta si schiarì la gola. “Non hai mai pensato di essere sprecata come Cacciatrice di Desideri? Voglio dire. E’ una carriera pericolosa. Tu citi sempre il Codice. Forse il Reparto Catalogazione Desideri sarebbe meglio per te. Per tutte noi.”
“Ma io amo andare a caccia di desideri.” Scintilla reclinò il capo. Sospirò. “Posso almeno pensare un po’ alla tua proposta? Due o tre mesi e deciderò, promesso.”
“Prenditi il tempo che vuoi. Ma, perché proprio due o tre mesi?” chiese Fiammetta.
Scintilla sorrise. “Sai, domani aprono un nuovo carcere in città… Ho avvertito una montagna di desideri da realizzare!”
“Ma cos’hai nella te…” La frase rimase a metà. La Fata Superiore era avvampata e bruciata nel tempo di un battito d’ali.

#7 Comment By Edy On 18 novembre 2010 @ 10:04

Davvero un bellissimo articolo.
Credo che lo rileggerò diverse volte perchè molti concetti sono chiari ma per assimilarli ci vuole davvero del tempo.
Grazie infinite!

Ti segnalo un errore di battitura

E se invece l’accuratezza non ha importanza per la storia, tanto vale inserirla.

Credo che dovrebbe essere:

E se invece l’accuratezza non ha importanza per la storia, tanto vale NON inserirla.

Di solito non bado ai refusi ma qui mi sembrava importante.
Grazie ancora!

#8 Comment By Merphit Kydillis On 18 novembre 2010 @ 10:10

Scusate, riguardo il post precedente mi sono scordato di aggiungere questa altra citazione della Rosso:

Lei: piantala di citare la gamberetta. Pensa con la tua testa. Mostrare e non raccontare è una colossale boiata.

La prima volta che ho letto questo sono quasi cascato dalla sedia….

#9 Comment By Andrea On 18 novembre 2010 @ 10:48

Di sicuro lo “show, don’t tell” è una tecnica retorica efficace e importante ma non sono convinto che sia da preferire per principio. Tu dici:

Arrivo all’Università, entro nell’aula, mi siedo e sussurro alla tizia accanto a me: «Ieri sera sono andata a cena con un vampiro.»
La risposta sarà: «Devi cominciare a dire scemenze la mattina presto?»
Questo perché ho raccontato un evento impossibile (almeno per le attuali conoscenze scientifiche).
Se mostro i segni dei canini sul collo e un filmato nel quale si vede un tipo che si trasforma in pipistrello nel mio salotto, difficilmente le mie affermazioni saranno ancora scemenze. In altre parole il mostrato fornisce verosimiglianza al mio raccontato.

Sembra tu ritenga indispensabile che nel tuo racconto ci sia un livello di verosimiglianza così elevato da avvicinarlo alla verità e renderlo accettabile al lettore (o, in questo caso, alla compagna di università). Ma la tua compagna di università non è mica una credulona! Usi lo “show don’t tell” per passare dal linguaggio raccontato a quello della cronaca che, di solito, si dovrebbe usare per raccontare la verità. Questo passaggio “di registro” però non è sempre sufficiente. Molte (anzi, mi correggo, moltissime) persone intelligenti non sono disposte a credere neppure alla cronaca provata e comprovata e sono convinte di vivere immerse nella menzogna. Chissà perché!? :) Forse hanno ragione o forse no, non importa. Quel che conta se vuoi raccontare una storia – perlomeno per come la vedo io – è che tu sia ben consapevole che, se ti leggono (o ti ascoltano), vuol dire che sono disposti a credere (fino a un certo punto) le “balle” che hai da raccontare (non c’è niente di male nell’essere disposti ogni tanto a credere a cose che non esistono, serve ad alimentare l’immaginazione e la creatività: due qualità utili anche nella vita di tutti i giorni). Il “narratore onnisciente”, in alcuni casi, ha i suoi lati positivi: costringe il narratore a farsi avanti e a raccontare alla sua maniera, magari in “stile sublime”, una frottola condita – se è il caso – con un po’ di verosimiglianza. Tutti, a volte, siamo disposti ad ascoltare (anche pagando) un tizio con una gran faccia tosta che le spara grosse (“Grazie alle fatine mi sono ricresciute le dita che avevo perso sotto al tram ma in cambio loro vogliono tutti i giorni un neonato da mangiare: sono disperato, aiutatemi!”) perché vogliamo sentire le sue assurdità e anche perché vogliamo sentirgliele raccontare a modo suo. Alla fine della fiera siamo noi che vogliamo credere ma le fatine non esistono come non esistono i personaggi di Moravia, gli ufo, ecc., ecc. Sfortunatamente la scienza (“un filmato nel quale si vede un tipo che si trasforma in pipistrello nel mio salotto”) non è poi così inconfutabile come prova (volendo fare i pignoli nessuna prova è inconfutabile) e la gente lo sa bene. L’arte di raccontare la verità o, come nel caso della narrativa, le frottole (intese come cose che non esistono) affascinando e intrattenendo (e magari facendo pure riflettere) la gente esiste da sempre e ha molte frecce al suo arco: perché limitarsi al mostrare senza raccontare?

#10 Comment By Maria la Matta On 18 novembre 2010 @ 11:53

Forse sarebbe opportuno specificare che il battito artificiale del tempo può anche risultare accettabile (se non addirittura necessario) quando la presenza del narratore SI DEVE sentire.


Chuck Palahniuk – Cavie

E Camerata Stizza dice: «D’accordo». Si china a sganciare la targhetta con il nome da una delle valigie. Camerata Stizza si infila la targhetta nella tasca verde, oliva, poi solleva l’altra valigia e sale sull’autobus….

Stavamo tutti lasciando bigliettini, quella mattina. Prima dell’alba. Sgattaiolando in punta di piedi con le nostre valigie giù per scale buie, poi lungo strade buie…

E sporgendosi di lato per guardare, Camerata Stizza dice: «Io ho gli occhi verdi, non marroni, e il colore ramato dei miei capelli è naturale». Lo guarda scrivere verdi, poi dice: «E ho una rosellina…

L’amuleto di Samarcanda – Jonathan Stroud

Per un momento quasi impercettibile non accadde nulla. Poi dentro al fumo si materializzarono due occhi gialli…

Un gatto, che aveva osservato l’uccello da una certa distanza, attese qualche istante che riemergesse, poi perse la pazienza…

#11 Comment By Tom On 18 novembre 2010 @ 12:17

Aggiungo alla nota di Edy:

Gamberetta, quando parli di espressioni come “pressappoco” e “piuttosto”, scrivi:

Perciò tanto vale mettere il “pressoché”.

Credo sia un refuso. Non dovrebbe essere “NON mettere il pressoché”?

Non è pignoleria, sia chiaro, lo dico perché credo sia un passaggio importante. :-)

#12 Comment By Feleset On 18 novembre 2010 @ 13:48

La regola dello “show don’t tell” è sicuramente fondamentale per ogni scrittore contemporaneo, quindi mi ha fatto piacere leggere questa lezione. Più se ne parla meglio è.
Certo, io nelle scene erotiche inserite in romanzi non erotici (fantasy, storici, thriller, ecc.) ammetto di continuare a preferire il raccontato. O meglio, non il raccontato, ma una scena che punta più alle sensazioni che provano i personaggi che ai dettagli di ciò che fanno. Ma qui si tratta appunto di scene particolari, e d’altro canto sono sicura che se un romanzo fantasy fosse tutto mostrato tranne nelle scene di sesso non sarebbe da buttare per quello. Se invece si tratta di un romanzo dove il sesso è l’argomento centrale (come quello citato nell’articolo) il discorso cambia radicalmente.

Per quanto riguarda Elisa Rosso, in effetti lei da quell’intervista sembra convinta che lo “show don’t tell” sia un’invenzione di questo blog. Spero per lei che si ricreda, essendo giovane ha tutto il tempo per crescere e documentarsi.

Restando in argomento “scrittori italiani fantasy” devo dire che mi è rimasto impresso un post che ha scritto tempo da GL D’andrea durante l’intervista su Writer’s Dream: dice che lo “show dont’ tell” è una buona regola, ma non è adatta a “Wunderkind”. In pratica pare che GL conosca quella regola, ma abbia deciso consapevolmente di non utilizzarla per il suo romanzo (poi sta a voi decidere se sia stato sincero o meno). Non posso esprimermi sui risultati del suo esperimento perché non ho letto il libro, però devo dire che “infrangere pur conoscendo” è decisamente meglio di “scrivere come capita”.

#13 Comment By Spirito Giovane On 18 novembre 2010 @ 14:02

Grazie Gamberetta per questo intervento. A distanza di tempo continuo a rileggere i primi due post sui manuali, continuo a rileggere parti dei manuali da te consigliati e mi sono tornati molto utili per migliorare la mia scrittura.

Grazie ancora.

Spirito Giovane a.k.a. Daniele

#14 Comment By Martin On 18 novembre 2010 @ 14:12

Una citazione fuori contesto è qualcosa che assomiglia molto a una menzogna.
La scena citata da L’attimo fuggente non è un attacco a ogni forma di tecnica letteraria ma, all’interno del contesto narrativo e del periodo storico, un inno alla ribellione contro ogni forma di autoritarismo e di dogmatismo intellettuale.
Un conto è estrapolare quelle parole (e quesi gesti) da un convegno letterario o da un dotto seminario, un conto da un film (opera d’arte) che racconta delle vicissitudini adolescenziali di un gruppo di studenti nel Vermont degli anni ’50.
In un’opera d’arte a differenza che in un saggio o in un documentario i messaggi non dovrebbero essere mai presi in senso letterale ma interpretati in base al senso che assumo all’interno della narrazione.
In questo senso l’intero messaggio del film è altamente educativo ed è esattamente in linea con lo spirito di ribellione che anima te, Chiara, a portare avanti un blog in netta controtendenza rispetto ai processi omologanti dei nostri tempi.

#15 Comment By zora On 18 novembre 2010 @ 14:29

Grazie a te per aver ripreso Chikamatsu!
Lo show don’t tell è stato il primo argomento per cui mi sono appassionata ai tuoi articoli di scrittura: mi accorgevo che alcuni racconti funzionavano meglio di altri. Rileggendo dopo gli articoli- tadaaaan!- veniva fuori che quelli riusciti meglio applicavano lo show don’t tell.
Mi sono chiesta anche io se non fosse una deformazione data dal cinema, quando ho scoperto Chikamatsu :)

Trovare qualcun altro che non prenda come oro colato tutto ciò che dice il professor Keating è un sollievo (per me il film contiene anche altri messaggi pericolosi, ma entreremmo in giudizi morali distanti dallo scopo dell’articolo).

Nemmeno io possiedo un metro per giudicare l’Amleto, ma Lewis ci sa fare quando scrive poesie.

#16 Comment By Olorin On 18 novembre 2010 @ 15:03

Letto. Potresti ora procurarci anche dei manuali su “come formulare idee originali per trame avvincenti e personaggi affascinanti”?

#17 Comment By Gamberetta On 18 novembre 2010 @ 15:14

@Merphit Kydillis. Non sparare sulla Croce Rosso… in fondo se scrivi un romanzo a tredici anni o quanti erano, è normale scriverlo da schifo. E meno normale non rendersene conto e presentarlo a una casa editrice. Non è normale per niente che la casa editrice lo pubblichi.

Per Fiammetta fai pure. Non è un’idea mia, sono le fatine ad avere per loro natura questo brutto carattere.

@Edy. / @Tom. Tanto vale metterlo o non metterlo, insomma è uguale. E visto che è uguale, non bisognerebbe mettere, perché meno parole si usano per esprimere un concetto, meglio è. Comunque riformulerò le frasi.

@Lidia. Il dialogo è divertente, e preso a sé è un buon brano. Però hai un po’ aggirato il problema. Invece di raccontare tu, hai fatto raccontare alle fatine.
“Sei una brocca [...] Quel tipo ti ha fatto fessa.” => raccontato.
“No, è un ragazzo sensibile.” => raccontato.
“A me sembrava un tipo a posto.” => raccontato.
E così via. Sono espressioni che vanno anche bene in un dialogo, e infatti il dialogo fila liscio, però non sono il massimo se parliamo di mostrare.
Se rendo il tuo brano senza il dialogo te ne accorgi:
“Scintilla era una brocca. Era stata ingannata da un umano a cui aveva regalato biglietti della lotteria. A lei era sembrato un ragazzo sensibile, un tipo a posto… ecc.”
Tutto raccontato.

@Andrea.

Sembra tu ritenga indispensabile che nel tuo racconto ci sia un livello di verosimiglianza così elevato da avvicinarlo alla verità [...]

Non è che sono io che lo ritengo indispensabile. È un dato di fatto accettato che la narrativa, specie la narrativa di genere fantastico, debba essere verosimile. Se sul serio siamo a discutere ancora questo punto mi sembra non ci siano le basi per un dialogo.

Dopodiché la stai facendo più lunga di quella che è.

Se io scrivo: “Serpente!”. Tu immagini un serpente e hai delle reazioni cerebrali misurabili. È suscitato un sentimento.
Se io scrivo: “Animale pericoloso!”. È calma piatta. Non c’è alcuna reazione misurabile.
Vuoi continuare a scrivere: “animale pericoloso”? Liberissimo. Io non ti leggerò, ma bene uguale.

@Maria la Matta. Distinguiamo un attimo. Un pezzo così: “Stavamo tutti lasciando bigliettini, quella mattina. Prima dell’alba. Sgattaiolando in punta di piedi con le nostre valigie giù per scale buie, poi lungo strade buie…” è un conto, qui è esplicitamente un personaggio che racconta.
Negli altri due casi invece si potevano tagliare i “poi” senza colpo ferire.

Il brano di Stroud è inutile commentarlo, perché è scritto male e basta.

@Feleset. G.L. non compie scelte consapevoli, perché non la minima conoscenza della tecnica narrativa. Zero. Te lo posso garantire – anche al di là di quanto si desume leggendo i suoi patetici romanzi.

@Martin. Sul “messaggio” del film si può discutere. Ma la scena rimane un orrore. La “ribellione” non è fare i bastian contrari per partito preso. La ribellione è leggere l’emerito professor Pritchard, leggere tutta la bibliografia citata, ascoltare il personaggio di Robin Williams e alla fine avanzare nuove ipotesi.
Senza contare che le idee di Pritchard con il suo approccio geometrico alla poesia sono molto più affascinanti delle stupidate di Keating.

Non ho espresso giudizi sul film nel complesso, a parte quello che andrebbe vietato ai minori. Giudizio che ribadisco. Basta la scena citata per renderlo inadatto alle persone facilmente impressionabili.

@Olorin. Per quello hai bisogno del Talismano della Creatività dei Druidi Siberiani. Me ne posso procurare qualcuno, ma i prezzi sono cari. D’altra parte cosa sono 5.000 euro in cambio di buone idee?

#18 Comment By Tom On 18 novembre 2010 @ 15:27

Ciao Gamberetta,
vorrei proporti un’altra ragione a supporto dello “show, don’t tell”. Non si tratta di una ragione tecnica di per sé, ma si basa su un meccanismo creativo che dovrebbe contraddistinguere chiunque speri di lavorare con la propria fantasia. Mi riferisco all’immaginare i dettagli delle scene.
Si tratta di una cosa che faccio di continuo, quindi perdonami se illustro il concetto parlando della mia esperienza personale.
Quando mi perdo nei miei viaggi mentali o penso a una scena del libro che sto scrivendo, io vedo i personaggi agire, penso al colore dei vestiti, alle posizioni dei corpi, alle dinamiche, agli odori. Rifletto sui dettagli e mi concentro sul realismo. Ho letteralmente bisogno sia della scena visiva che delle sensazioni con cui è riempita. Lo faccio perché mi piace, perché è un’abitudine che mi porto dietro fin da bambino e che mi appaga. A volte mi diverto a limare i dettagli più rozzi e nel rivedere una scena più e più volte fino a trovare la formula ideale, come se fossi in una sala di montaggio e stessi lavorando con le bobine della pellicola. Mi piace immaginare più che narrare, e per me lo scrivere non è altro che un mezzo per condividere con altri ciò che ho immaginato. Questo secondo me è il punto fondamentale: voglio condividere ciò che ho immaginato, voglio che chi mi legge veda ciò che io ho costruito. Stop.
Io ho dedicato tempo e energie a dipingere e animare una particolare scena. Mi piace, è divertente, mi dà soddisfazione, certo, ma è anche faticoso e ciò che mi gratifica più di ogni altra cosa è sapere che le energie spese hanno prodotto qualcosa di piacevole anche per altri. E per “piacevole” intendo “qualitativamente piacevole”, che nella mia testa si traduce nel suscitare nel lettore le stesse emozioni che io ho cercato di imprimervi.
Io non voglio che il lettore legga una descrizione generica e si costruisca la SUA scena. Voglio che viva quella che ho immaginato io e su cui magari ho speso ore e giorni. Gliela voglio mostrare, perché non farlo sarebbe come buttare nel cesso la mia fatica.
Secondo me il non mostrare una scena costruita a fatica non è meno stupido del dipingere un quadro tre metri per due di una battaglia epica e poi nasconderlo, magari descrivendolo con “è il quadro di una battaglia. Ci sono spade e cavalli. Immaginalo”. È anche una questione di orgoglio: io penso di aver costruito una balla scena, appassionante, dinamica, realistica e la voglio mostrare, voglio puntare i riflettori sui dettagli concreti e sbandierare la mia (presunta) abilità.
Se, invece, non mostro perché ho dubbi sulle mie capacità di immaginare e trovo più facile il raccontare, be’, forse non devo fare lo scrittore (o più semplicemente rientro nella categoria di quelli che “vogliono aver scritto” invece che in quella di chi “vuole scrivere”).
Uno scrittore che racconta e non mostra mi porta addirittura a chiedermi se si sia mai davvero immaginato ciò che sta raccontando. Immaginare e creare una storia è un processo (mentale, creativo, tecnico) completamente diverso dall’immaginare e creare le singole scene. È la differenza che corre tra il preparare lo storyboard (di un film, un fumetto, fai tu) e pensare alle singole vignette e inquadrature.
Narrare senza immaginare è indice di pigrizia creativa e scarsa fantasia. Ormai ho capito che molti scrittori non immaginano. Decidono che una battaglia si svolge in un certo modo, che i rossi attaccano i blu da nord, che Achille uccide Ettore, ma non lo vedono davvero. Non lo immaginano. Non si pongono proprio il problema. Il loro sforzo creativo si esaurisce con il “pensare” a un particolare svolgimento, non si preoccupano di visualizzarlo. La scena non esiste nemmeno nella loro mente, nessuna meraviglia che non riescano a mostrarla.

Forse mi sono dilungato più del dovuto, chiedo scusa.

#19 Comment By Merphit Kydillis On 18 novembre 2010 @ 15:49

@Gamberetta: nessuna sparatoria, per carità. Sono un mago: non mi abbasso ad usare gingilli di legno e metallo che fanno rumore, quando posso sollevare un silos pieno di letame e scagliarlo contro gli elfi con un semplice gesto della mia mano xD

[...] in fondo se scrivi un romanzo a tredici anni o quanti erano, è normale scriverlo da schifo. E meno normale non rendersene conto e presentarlo a una casa editrice. Non è normale per niente che la casa editrice lo pubblichi.

A mio parere, si potrebbe ritenere normale una quindicenne che la prende sul piano personale se qualcuno gli fa notare qualche errore nel suo romanzo. E sempre a mio parere, non è normale invece rispondere a dubbi e perplessità dei lettori con frecciatine ed insulti velati tipo “ma io sono una bambina piccola” “ma a me mi hanno pubblicato e a te no” “perché è fantasy, gne gne gne”.

Fino ad arrivare a dire “mostrare e non raccontare è una colossale boiata”. Io non vado a spendere 20 e passa euri per un mattone cartaceo di 400 e passa pagine, pagine imbrattate di aggettivi, cliché e obbrobi letterali/grammaticali. Ma la situazione peggiora se, a sostenere che la teoria “Show, don’t tell=blasfemia”, è una ragazza di quindici anni.

Per come stiano andando le cose attualmente, sull’editoria italiana, temo che i rettiliani dell’America di fine XV secolo stiano facendo un lavaggio del cervello ai “scrittori emergenti”: manipolano le loro menti, facendogli credere che raccontare è meglio del mostrare perché è più facile ad essere pubblicati, e chi sostiene che bisogna mostrare è un invidioso che rosica come un malato terminale di leucemia.

#20 Comment By Emile On 18 novembre 2010 @ 16:21

>Senza contare che le idee di Pritchard con il suo approccio geometrico alla poesia sono molto più affascinanti

Concordo sull’ “affascinanti”, ma secondo me bisogna aggiungere anche “cretine”.
E non perché “ahhh no mioddio l’Arte non si può valutare!11!” o roba simile, ma perché semplicemente, il metodo di misurazione ideato da Pritchard fa ridere i polli.

#21 Comment By Maria la Matta On 18 novembre 2010 @ 16:30

@Maria la Matta. Distinguiamo un attimo. Un pezzo così: “Stavamo tutti lasciando bigliettini, quella mattina. Prima dell’alba. Sgattaiolando in punta di piedi con le nostre valigie giù per scale buie, poi lungo strade buie…” è un conto, qui è esplicitamente un personaggio che racconta.

Infatti, e poiché non hai evidenziato tale possibilità, mi è sembrato giusto ricordarlo.

Negli altri due casi invece si potevano tagliare i “poi” senza colpo ferire.

Non sono d’accordo (così come non lo sarebbe Eco, suppongo), ma degustibus.

Il brano di Stroud è inutile commentarlo, perché è scritto male e basta.

Appunto ^_^

#22 Comment By Enry On 18 novembre 2010 @ 16:39

Bell’articolo, molto utile. Riguardo alla scena de L’attimo fuggente, però, ho un paio di osservazioni da fare.
Primo, che il libro che si stava leggendo in classe non parlava di tecnica poetica o delle conoscenze necessarie per fare della critica poetica. Istruiva su “come valutare la perfezione di una poesia” ponendola tra l’asse delle ascisse e quella delle ordinate. Questa è pura follia e non si può che concordare con Keating che fa strappare quelle pagine. Come ti ho detto, sono più ferrata in materia artistica quindi farò un esempio in quel campo: se avessi dovuto valutare la “perfezione” di un’opera impressionista al tempo della prima mostra impressionista (1874), probabilmente l’avrei giudicata una porcheria. Oggi quella stessa opera vale milioni. Elevarsi a giudici assoluti (in questo caso, direi, quasi “matematici”) non è solo sbagliato, è anche stupido. Quindi Keating ha ragione. La storia dell’asse delle ascisse e delle ordinate poi è così totalmente fuori di testa che non sto neanche ad approfondire (anche perché ritengo sia più che altro una trovata cinematografica).
Secondo, siamo tutti d’accordo che non basta la passione per andare sulla Luna ma che servono anni di applicazione, di fatica, di studi scientifici, di addestramento. Ma il punto è che non tutti vogliamo fare gli astronauti. Se alla prima lezione di storia dell’arte (torno di nuovo lì per comodità, ma si può sostituire con “letteratura” o “poesia”) partissi con “Le Veneri preistoriche sono statuette risalenti al Paleolitico superiore, scolpite solitamente in pietra calcarea, legno od osso, che rappresentano la figura femminile con attributi molto pronunciati, quale simbolo di fertilità bla bla bla bla”, gli studenti starebbero già a dormire sul banco o a tirarsi le palline di carta entro la quinta parola del mio discorso. E’ in effetti l’errore che fanno molti insegnanti, compresi quelli che ho avuto io. Portare delle riproduzioni da quattro soldi delle Veneri preistoriche e farle girare in classe, lasciare che escano anche commenti scherzosi sulla grossezza dei loro seni, chiedere agli studenti cosa ne pensano (pur essendo ancora completamente a digiuno di nozionistica) è un inizio già molto diverso (e se ne potrebbero trovare di migliori). Nel caso del professor Keating, far salire i ragazzi in piedi sulla cattedra o far ascoltare loro la “voce” dei loro “predecessori” ormai defunti, è un modo per “prenderli per la collottola” e trascinarli dentro la materia. Le nozioni, le conoscenze sono obbligatorie, ci devono essere e arriveranno. A patto di non far diventare cose come la storia dell’arte, la letteratura e la poesia materie morte. Non mi serve a niente sapere in che metro è composta l’ode del Carpe diem, se non ho la minima idea di che cosa significhi “carpe diem”.

#23 Comment By Andrea On 18 novembre 2010 @ 16:57

@Gamberetta:

Non è che sono io che lo ritengo indispensabile. È un dato di fatto accettato che la narrativa, specie la narrativa di genere fantastico, debba essere verosimile.

Questo mi suona tanto come un “è così e basta, non discutere!” Ne deduco che questo dato di fatto non possa essere contraddetto e me ne dispiaccio, ma pazienza: continuerò a contraddirlo lo stesso :P Forse mi sono spiegato male, ma ti prego di non fraintendermi. Non ho mai detto che la narrativa fantastica non debba essere verosimile, ho detto che non potrà mai avere un livello di verosimiglianza così alto da ambire ad avvicinarsi alla verità. Può e dovrebbe essere verosimile abbastanza da far nascere il dubbio nel lettore su ciò che ritiene “la verità” e questo mi pare già un ottimo risultato.

Se sul serio siamo a discutere ancora questo punto mi sembra non ci siano le basi per un dialogo.

Peccato, a me sarebbe piaciuto parlarne ma questa è casa tua e io sono solo un ospite. Però sei una padrona di casa un po’ dispotica!

Dopodiché la stai facendo più lunga di quella che è.

E’ vero, scusa.

Se io scrivo: “Serpente!”. Tu immagini un serpente e hai delle reazioni cerebrali misurabili. È suscitato un sentimento.
Se io scrivo: “Animale pericoloso!”. È calma piatta. Non c’è alcuna reazione misurabile.

Reazioni cerebrali misurabili come? Con un EEG? Dai non prendermi in giro, sei troppo intelligente per usare un’argomentazione simile…

Vuoi continuare a scrivere: “animale pericoloso”? Liberissimo. Io non ti leggerò, ma bene uguale.

“Animale pericoloso!” Hai letto, non negarlo!

#24 Comment By Lidia On 18 novembre 2010 @ 17:03

@Gamberetta.
Hm, capisco. Ammetto che mi piacciono molto le storie in cui sono i personaggi, in base a quello che si dicono, ai botta e risposta, a rivelare il loro carattere, i rapporti che li legano e quello che sono. In questo caso, questo mio piacere ha in effetti mancato l’obiettivo del piccolo esercizio. Sì, le caratteristiche del personaggio dovevano essere “mostrate” dall’esterno, al di fuori dei dialoghi.
Ti chiedo allora: tu dici che preso di per sé è un buon brano. Quindi, se in una storia su una fatina Scintilla, il suo carattere o l’opinione che altri hanno di lei viene reso esplicito attraverso dialoghi, non va bene, oppure sì?

#25 Comment By cristiano On 18 novembre 2010 @ 17:07

torno dopo mesi e trovo un fottio di roba nuova!
come quando, tornando dalle vacanze da bambino, mia nonna mi faceva trovare quattro “topolino”, che leggevo all’ ombra di una pergola .

ciao

#26 Comment By Giobix On 18 novembre 2010 @ 17:31

applicando il metodo di Pritchard, (forma e importanza, ovviamente basandosi sulla critica accademica più in auge) alle opere di narrativa italiana degli ultimi due secoli, si otterrà un imponente area totale per I Promessi Sposi, che ne determina la grandezza.

#27 Comment By Emile On 18 novembre 2010 @ 17:39

Il “piccolo” problema di quel metodo è che avrebbe senso solo se “forma” e “importanza” fossero quantificabili numericamente in modo preciso e inequivocabile.
Un pò come se ci si mettesse in testa di fare simili grafici sui libri fantasy valutandoli in base a “forma” e “contenuto” (2 variabili prese a caso, il punto non è quello); o trovi un metodo che consenta di dire senza nessun margine di incertezza o errore che una tal opera vale X (e precisamente X) come forma e Y come contenuto o puoi si costruire tanti bei grafici ma il loro valore reale sarà pari a 0.

#28 Comment By Gamberetta On 18 novembre 2010 @ 18:25

@Enry. L’emerito professor Pritchard dice tre cose:
1) “Per comprendere appieno la poesia, dobbiamo innanzi tutto conoscerne la metrica, la rima e le figure retoriche”.
E direi che non ci piove.

2) Poi illustrare il metodo geometrico. Che è interessante perché pone un legame tra realizzazione tecnica (asse orizzontale) e contenuto/significato (l’“importanza”) (asse verticale). Il professor Pritchard non illustra i criteri con i quali giudicare tecnica e contenuto, dice solo che i due fattori sono nel rapporto illustrato. Io posso applicare criteri per tecnica e contenuto diversi da quelli che applicherebbe Pritchard e ugualmente potrei concordare con lui sul reciproco peso di questi due aspetti.
Semplificando, Pritchard dice: nel giudicare un’opera poetica, tecnica e contenuto hanno lo stesso peso. È una posizione così assurda? Sono escrementi?

3) “[...] crescendo così la vostra capacità di valutare la poesia aumenterà il vostro godimento e la comprensione della poesia.”
E si può essere più o meno d’accordo, ma è una posizione del tutto accettabile.

@Andrea.

Però sei una padrona di casa un po’ dispotica!

Non gradisco che siano espressi giudizi su di me. Né è il caso di metterla come scherzo, visto che non abbiamo alcuna confidenza. Questo atteggiamento è offensivo.

Reazioni cerebrali misurabili come? Con un EEG? Dai non prendermi in giro, sei troppo intelligente per usare un’argomentazione simile…

Per questo genere di esperimenti viene usata l’fMRI (functional magnetic resonance imaging). E stai ancora offendendo, perché al di là del “politicamente corretto” stai dicendo:
“Se credi sul serio che le emozioni – OMG! Le emozioni! – possano essere misurate con metodi scientifici sei scema.”
E non ho difficoltà ad ammetterlo: sono scema. Non credo ci sia alcun limite teorico all’esplorazione della mente umana con mezzi scientifici. Come del resto già si fa con ottimi risultati.
Ora, visto che non mi piace essere insultata e non me frega niente se poi ti scusi o no, in futuro non risponderò più ad alcun tuo commento.

@Lidia.

Ti chiedo allora: tu dici che preso di per sé è un buon brano. Quindi, se in una storia su una fatina Scintilla, il suo carattere o l’opinione che altri hanno di lei viene reso esplicito attraverso dialoghi, non va bene, oppure sì?

I problemi sono due:
1) Secondo me mostri molto di più il rapporto Scintilla – Fiammetta che non le caratteristiche di Scintilla che avevo raccontato. A un certo punto si ha quasi l’impressione che Scintilla dica apposta certe cose per fare arrabbiare Fiammetta.
2) Le emozioni sono attenuate. Il che può andar bene, può essere un pezzo divertente dove l’emozione che si vuole evocare è il divertimento. Ma prova a farlo seriamente: prova a suscitare la paura di Fiammetta che per poco non ci lasciava le ali; prova a far suscitare rabbia, vera rabbia – voglia di prendere a pugni – nei confronti di Robi Sgarbo che inganna le fatine; prova a far suscitare le lacrime mettendo in contrasto la buona volontà di Scintilla con i risultati che ottiene.
Lo so che è difficile. Ma l’idea della narrativa dovrebbe essere quella.

@Giobix. Direi di no, dato che I Promessi Sposi prenderebbe zero sull’asse orizzontale e zero sull’asse verticale.
E basta parlare del Manzoni. È off topic ed era off topic anche nell’altro articolo. Ogni altro commento sul Manzoni o sugli sposi per piacere mettetelo direttamente in Fogna.

#29 Comment By Emile On 18 novembre 2010 @ 18:49

>Il professor Pritchard non illustra i criteri con i quali giudicare tecnica e contenuto

E’ questo il punto chiave.
Non li illustra e nemmeno potrebbe farlo perché non ci sono criteri validi per giudicare tecnica e contenuto in modo MATEMATICAMENTE ESATTO, capace di dare loro valori PRECISI da inserire nelle assi.
E un sistema del genere può reggere solo se di un X libro si può dire che la tecnica è ESATTAMENTE da 8,5 o 4,8 con sistemi assolutamente oggettivi ed inconfutabili, qualcosa di semplicemente non possibile.
Ecco perché la sua idea è affascinante quanto assurda.

#30 Comment By Tapiroulant On 18 novembre 2010 @ 18:50

@Emile:

Il “piccolo” problema di quel metodo è che avrebbe senso solo se “forma” e “importanza” fossero quantificabili numericamente in modo preciso e inequivocabile.
Un pò come se ci si mettesse in testa di fare simili grafici sui libri fantasy valutandoli in base a “forma” e “contenuto” (2 variabili prese a caso, il punto non è quello); o trovi un metodo che consenta di dire senza nessun margine di incertezza o errore che una tal opera vale X (e precisamente X) come forma e Y come contenuto o puoi si costruire tanti bei grafici ma il loro valore reale sarà pari a 0.

Non sono d’accordo.
Il metodo Pritchard serve innanzitutto come idea regolativa; ossia, ad abituare l’aspirante poeta a costruire i propri componimenti in modo scientifico, e a spiegare all’aspirante critico di poesia che le poesie che gli piacciono, gli piacciono in virtù di ragioni ben precise (ossia la curva data dal rapporto tecnica-contenuto). Insomma, fa un lavoro simile a quello che fa Gamberetta (o un qualsiasi manuale serio) con la narrativa.
E penso non ci siano dubbio che le poesie scritte ‘con la pura forza dell’emozione’, che hanno letteralmente invaso la Rete dopo la nascita dei blog, fanno venire la nausea, rispetto a una poesia scritta con metodo e rigore.

Colgo l’occasione per dire che questo a mio avviso è il miglior articolo comparso sul blog dai tempi della sua fondazione. La questione dello show don’t tell era stata affrontata molte altre volte, ma mai con altrettanta chiarezza (soprattutto sui motivi per cui è meglio utilizzarlo piuttosto che no).
E sono veramente contento che qualcuno condivida il mio disprezzo per quel film e per quella scena da mentecatti. Si può anche pontificare sul ‘contesto storico’ della vicenda, ma sta di fatto che quel film è tremendamente ideologico ed è servito ad orde di pseudo-intellettuali come giustificazione del loro atteggiamento da geni incompresi.

#31 Comment By DagoRed On 18 novembre 2010 @ 19:02

Articolo molto interessane, Gamberetta.

Solo una domanda: anche Michele ed Anna sono coinvolti nel complotto delle fatine?

#32 Comment By GSeck On 18 novembre 2010 @ 19:02

Questo è il mio compitino.
Saluti

La fatina Scintilla, assieme a due compagne, seguiva la maestra volando sopra le teste delle persone sottostanti, senza accennare a una parola. Quando la maestra si voltò, le fatine bloccarono il respiro.
- Bene – disse la maestra sorridente, aggiustandosi gli occhiali sul naso con l’indice. – La lezione di oggi consiste in una prova. Scheggia, inizia tu.
Una fatina dai capelli biondi avanzò osservando i passanti. Si fermò sopra un ragazzino che scorrazzava in skate sull’asfalto, facendo slalom tra le macchine strombazzanti.
Scintilla fissò il ragazzino, stringendo gli occhi. Sopra la testa dello skater comparve una nuvola trasparente, immateriale. All’interno di quella nuvola c’era un’immagine di quel ragazzino, ma dalla schiena spuntavano delle ali candide, lunghe il doppio di lui, e stava volando sopra l’oceano con pochi e lenti battiti.
Scheggia sollevò lo sguardo e lo rivolse alla maestra.
– Ho scelto – disse ad alta voce. La maestra chiuse gli occhi e sorrise.
– Allora procedi, cara.
Scheggia fissò i palmi delle mani. I muscoli iniziarono a tremare, le mascelle strette, una ruga profonda sulla fronte. Strizzò le palpebre, e nei palmi comparve una striscia di luce. Quella luce si trasformò in un flauto di colore giallo vernice, con tre fori. Scheggia guardò le compagne con il volto rilassato in un’espressione fiera. Si mise il flauto in bocca e partì una melodia semplice, vivace e gradevole.
Il ragazzino sullo skate si mosse in modo irregolare. Una ruota passò su un sasso e lo skate si sollevò in aria lanciando il ragazzino, che fece una capriola in aria prima di capitombolare su un’aiuola. Si alzò di scatto, mentre i passanti si avvicinavano. Si guardò addosso. Tolti un po’ di terra e qualche filo d’erba spiaccicato sui vestiti, era come nuovo.
- Come stai? – Chiese una donna.
Il ragazzino la fissò a bocca spalancata.
- Benissimo. È stato fantastico. Come volare.
Le tre fatine applaudirono. Scintilla si avvicinò a Scheggia e la abbracciò.
- Molto brava – disse la maestra. – Sei e mezzo.
Scheggia si inchinò e tornò dalle compagne. Scintilla osservò lo skater, che stava immobile, ad occhi chiusi e con le braccia spalancate. Scintilla abbracciò ancora Scheggia, che si asciugò una lacrima.
- Goccia, prego.
Una fatina dai capelli blu si staccò dalle compagne e si fermò sopra una ragazza che camminava a testa bassa.
Scintilla strinse gli occhi e vide, nella nuvola intangibile sopra la ragazza, un gatto immobile, irrigidito, con la bocca aperta e gli occhi spalancati. La ragazza lo accarezzava piangendo a dirotto.
Goccia aprì le mani. Strinse i denti, chiuse gli occhi. Non comparve nulla. Fece un grosso respiro, si guardò di nuovo i palmi. Si concentrò ancora. Niente. Si mise le mani sugli occhi e pianse in silenzio. La ragazza continuò a camminare per la sua strada. La maestra si avvicinò a Goccia e le accarezzò la chioma azzurra.
- Va tutto bene. Rimedierai il cinque la prossima volta.
- Scusi. Scusi davvero – disse Goccia con la voce tremolante, prima di tornare tra le compagne.
Scintilla le accarezzò un braccio, e Goccia rispose con un sorriso sghembo.
- Scintilla, avanti.
Scintilla fece un passo verso un ragazzo. Strinse gli occhi, e nella nuvola lo vide mentre si fermava di fronte al chiosco di un fioraio, e guardava triste una rosa. Scintilla si girò verso una altra ragazza. Sopra di lei, la nuvoletta la mostrava dentro il letto, mentre stringeva un cuscino tra le braccia e le gambe.
Scintilla aprì la mano destra. Un lampo di luce lasciò subito spazio a un flauto di legno scuro, colmo di venature nere. Lungo quanto l’avambraccio della fatina, aveva sei buchi da una parte e due dall’altra. Scintilla lo mise in bocca, soffiò e lasciò che le dita si muovessero da sole. Una melodia lenta e sfuggente si espanse, coprendo ogni altro suono.
Il portafoglio della ragazza cadde dalla tasca del giubbotto. Il ragazzo lo vide, lo raccolse e lo porse alla proprietaria, che lo prese sorridendo.
- Grazie, lei è molto gentile – disse arrossendo.
- Sono contento di esserle utile – disse il ragazzo abbassando la testa.
I due rimasero fermi in silenzio.
- Le va un caffè? -. disse il ragazzo rompendo il mutismo.
- Molto volentieri! – Rispose la ragazza, prima di simulare due colpi di tosse.
Goccia e Scheggia applaudivano mentre guardavano Scintilla con occhi pieni di ammirazione.
Scintilla guardava i due ragazzi che, fianco a fianco, si dirigevano verso un bar, senza smettere di guardarsi, come se nulla fosse più bello ciò che avevano davanti.
Scintilla si sentiva in pace.
- Brava – disse la maestra. – Sette e mezzo. La lezione di oggi è finita, vi ringrazio, possiamo tornare all’Istituto.
Goccia e Scheggia si guardarono a bocca aperta.
Scintilla aprì le braccia cercando di contare sino a dieci, ma non riuscì ad arrivare oltre il sei.
- Maestra, so bene che lei ci consiglia sempre di non lavorare per il voto ma per i risultati concreti – disse Scintilla sforzando un tono calmo, con pessimi risultati – e io credo in questa filosofia. Guardo quei due ragazzi e sono soddisfattissima, ma lei mi capirà se le faccio notare che ho materializzato il Flauto subito e ho realizzato due sogni di tipo Profondo, e con la stessa Sonata. Sette e mezzo mi sembra poco.
Scheggia e Goccia si strinsero le mani tra loro, trattenendo il respiro. Scintilla si sforzava di guardare impettita la maestra.
La maestra chiuse gli occhi e sorrise.
- A quanto pare, la lezione non è ancora finita.
Allargò le braccia, e si sollevò in aria di un paio di passi. Un vento leggero le scosse i vestiti e agitò in aria i capelli rossi di Scintilla.
Il vento si illuminò di una luce tenue e calda, che aumentò fino a concretizzarsi. Una cannuccia stretta partiva da sotto il mento della maestra e continuava avvolgendole il corpo, allargandosi e stringendosi in vari punti, attorcigliandosi sulle braccia e coprendole sino alla punta delle mani. Sotto i piedi si aprivano due corni più grandi dell’intero corpo della maestra. La canna sembrava fatta di un materiale metallico semitrasparente, che rifletteva la luce con lampi d’arcobaleno. Tra le canne emergevano dei panni simili a seta, con disegni colorati che sembravano caratteri di una lingua sconosciuta.
La maestra emise un soffio leggerò sull’oncia, senza che le guance si gonfiassero. I panni, come casse di risonanza, presero a gonfiarsi e sgonfiarsi con un ritmo alternato, simile al battito di un cuore.
L’aria mutò, diventando melodia. Un insieme di note, che sembrava provenire da mille strumenti, si fuse fino a circondare ogni cosa. Il mondo intero diventò l’arredo della singola nota prodotta della maestra. Che continuava a soffiare.
Scintilla si girò dai due ragazzi seduti al bar, che stavano diventando trasparenti, fino a scomparire del tutto. Le persone lì attorno non se ne accorsero, come se i due non fossero mai esistiti.
Una lieve tratto nero si sollevò dal punto dov’erano seduti i due ragazzi. Scintilla strinse gli occhi, e quel tratto si espanse fino ad avvolgerla. All’interno dello spazio, dei puntini bianchi chiazzavano il manto scuro. Li riconobbe. Erano stelle. Un nuovo universo si era aperto e Scintilla fu richiamata su un pianeta, che scorreva veloce nel tempo. Vide i due ragazzi dentro un castello di pietra, circondato da decine di torri, avvolto da un villaggio laborioso dove persone felici parlavano e giocavano. Da una finestra aperta nelle mura di pietra si vedevano i due giovani, seduti sul trono, guardarsi con una calma assoluta. Nel loro universo sarebbero potuti morire in qualsiasi momento, e sarebbero stati sazi della vita.
Le lacrime annebbiarono la vista di Scintilla, che fu sbalzata fuori dall’universo personale dei due giovani. Rimase lì, in silenzio, con le lacrime che le rigavano le guance.
- Sono una stupida. Solo una piccola, vanitosa stupida.
Una mano le si posò sulla spalla. Era la maestra, senza Strumento, e sempre sorridente. Le due compagne la guardavano con apprensione.
- Va tutto bene, Scintilla – disse la maestra. – Datti tempo.
- La prego di scusarmi per prima. Studierò ancora, e mi meriterò un voto superiore.
- Aiuterai meglio le persone, vorrai dire.
La maestra si girò e volò verso l’Istituto. Goccia e Scheggia guardarono per un attimo Scintilla, sola e immobile, e seguirono la maestra.
- Sì, è vero – disse Scintilla con una voce abbastanza bassa da non essere sentita. – Sono una stupida orgogliosa, e lei è la maestra. Almeno finché sono ancora giovane e inesperta.
Si sfregò via le lacrime dal volto e volò verso le compagne.

#33 Comment By Emile On 18 novembre 2010 @ 19:10

>Il metodo Pritchard serve innanzitutto come idea regolativa; ossia, ad abituare l’aspirante poeta a costruire i propri componimenti in modo scientifico, e a spiegare all’aspirante critico di poesia che le poesie che gli piacciono, gli piacciono in virtù di ragioni ben precise (ossia la curva data dal rapporto tecnica-contenuto). Insomma, fa un lavoro simile a quello che fa Gamberetta (o un qualsiasi manuale serio) con la narrativa.

E allora trovi un metodo migliore per spiegare questi concetti, perché mettersi a parlare di grafici e geometria in un ambito dove una cosa simile NON può funzionare (per i motivi che ho spiegato), NON è un’idea brillante.

#34 Comment By Tapiroulant On 18 novembre 2010 @ 19:18

@Emile:

Continuo a non essere d’accordo.
L’idea del componimento poetico rappresentabile come una funzione è un’immagine potente. E’ un’immagine che colpisce il cervello. In quanto tale, credo che possa servire a scuotere la coscienza del poeta, a dargli maggiore consapevolezza, a orientarlo in una determinata direzione.

Inoltre, non è escluso che in futuro una poesia non possa realmente essere rappresentata su un piano cartesiano. Non può esserlo oggi, perché non sappiamo ancora con precisione matematica quale sia il rapporto tra le immagini mentali e il principio di piacere, tra il suono di un verso e il principio di piacere (cioè quelle cose che rendono bella una poesia). Ma forse in futuro lo sapremo.

#35 Comment By Enry On 18 novembre 2010 @ 19:47

Sì, sono escrementi. Dal mio punto di vista, si intende, naturalmente! Un punto di vista che non val niente! :)
Sul primo punto non ho niente da discutere: per conoscere una poesia, bisogna (anche) conoscere le figure retoriche, le rime, la metrica. Sul secondo punto: NO.
Non puoi costringere i contenuti di un’opera d’arte entro un’operazione matematica. Sono due cose diverse, direi due stati della mente diversi. I contenuti di un’opera d’arte (e con questo includo anche la poesia, naturalmente) sono infiniti e su un numero infinito di piani. Potremmo parlare dei Prigioni di Michelangelo tutta la vita, senza esaurire ciò che ci sarebbe da dire su di essi. Questo perché ogni epoca e ogni individuo vi vedrà significati diversi perché avrà occhi diversi: diversi da chi gli sta intorno, da chi l’ha preceduto, da chi lo seguirà. Potrai sempre dire che due più due è uguale quattro, ma non potrai mai applicare la matematica al significato di un’opera d’arte. Sarebbe come cercare di acchiappare le stelle con un retino per le farfalle! :)

#36 Comment By Giobix On 18 novembre 2010 @ 20:00

@ Gamberetta dai, scherzavo;)
Tornando al film e al concetto di mostrare, sono dell’idea che L’attimo Fuggente non abbia tutti quegli intenti educativi che gli hanno attribuito. Lo sceneggiatore ha privilegiato soprattutto l’intrattenimento. Il film utilizza espedienti come il professore bizzarro, la ribellione degli studenti, L’idea del carpe diem, i poeti che si incontrano la notte in segreto, il suicidio, soprattutto per creare una storia emozionante.
Se allo sceneggiatore fosse interessato l’aspetto educativo, avrebbe messo Keating a “raccontare” dieci minuti perchè metodo di Pritchard non funziona. Ma probabilmente gli interessava molto di più suscitare emozioni forti. In questo senso, “mostrare” Keating che fa strappare le pagine del libro è una scelta efficace.

#37 Comment By Giobix On 18 novembre 2010 @ 20:10

PS. per tornare pienamente in argomento, se L’attimo Fuggente fosse un romanzo, per spiegare che Keating è un professore anticonformista con metodi di insegnamento poco ortodossi, basta mostrare una scena come quella delle pagine strappate. Show don’t tell, appunto.

#38 Comment By Emile On 18 novembre 2010 @ 20:32

Eh, ma non ha importanza se colpisce il cervello, se si tratta di un’immagine ERRATA, quello è un valore aggiunto (di notevole importanza, concordo) solo quando è corretta.
Anzi: in quel modo aumenta il rischio che chi legga quel passaggio, rapito dalla sua potenza a livello comunicativo, si convinca che DAVVERO si possano usare dei grafici per rappresentare in modo esatto il valore di una poesia, che è una troiata ne più ne meno che sostenere che “l’arte è solo passione, basta quella e fai tutto!11″.

#39 Comment By Emile On 18 novembre 2010 @ 20:40

Uhm il mio commento doveva apparire tipo 2389748938 post sotto, pardon.

#40 Comment By Andrea On 18 novembre 2010 @ 21:27

@Gamberetta: Ok, visto che ti infastidisce non ricorrerò più a un tono scherzoso. Parlo seriamente: non mi scuso per cose che non ho mai scritto, né pensato, né insinuato e mi spiace solo che tu ti sia sentita offesa. Non penso che tu sia scema e mi pare di aver scritto più volte il contrario (“sei troppo intelligente”), ma se preferisci credermi un bugiardo in cattiva fede fai pure (è vero, non abbiamo alcuna confidenza, eppure tu mi giudichi come se mi conoscessi bene invece non mi conosci affatto, ma non mi importa). Dovrei sentirmi offeso anche io visto che mi attribuisci insinuazioni e pensieri che non ho mai fatto, ma pazienza: confrontandosi spesso ci si scorna per niente (per inciso: non mi offende sentire definire i miei modi “politicamente corretti”. Non ti aspettare che io mi comporti da maleducato per provarti che non sono “politicamente corretto”, ti deluderei). Credevo si parlasse del “mostra, non raccontare”: ho sollevato delle obiezioni che non hanno trovato alcuna risposta e, a quanto pare, non la troveranno visto che, d’ora in avanti, ti rifiuterai di rispondermi. Come siamo arrivati al “tu mi hai offesa, no mi hai offeso prima tu”? Questa specie di bisticcio non è semplicemente seccante e inutile? Mi piacerebbe approfondire con te anche il tema dell’esplorazione della mente umana con mezzi scientifici (mi pare di capire che riponi molta fiducia nella scienza), ma a quanto dici non succederà mai: penso sia un peccato. Adieu.

#41 Comment By Bakke On 18 novembre 2010 @ 21:37

Ciao Gambera,
complimenti per l’articolo.
Prima di fare le mie osservazioni/contestazioni, premetto una cosa: su molti punti sono totalmente d’accordo con te.
Io sono (principalmente) un autore di fumetti – li scrivo e li disegno, cioè – e anche lì lo “show, don’t tell” è fondamentale; non solo, è molto più evidente che nella scrittura: è molto più evidente quanto sia importante e quanto sia più potente del semplice “raccontare” (è più evidente perché, a livello basilare, risiede nell’opposizione tra il detto in didascalia e il mostrato nella vignetta [non è sempre così, ovviamente]).

Ecco, quello che volevi dirti è che, pur essendo d’accordo con te su molti punti, il tuo testo mi ha intimorito. Per dirla alla Wallace, il tuo pezzo è piano di logica, ma privo di retorica.
E io sono già uno che ha esperienza e sa “cosa fare” quando deve creare qualcosa; immagino che un esordiente/principiante abbia deposto ogni speranza di diventare uno scrittore.
Hai de-umanizzato troppo il tutto, per quanto mi riguarda. Se io fossi un adolescente desideroso di sottoporti un testo, mi sentirei demoralizzato prima di iniziare a scrivere: piuttosto che essere interessata alla mia creazione e ai miei miglioramenti/difetti, avrei l’impressione che tu useresti il mio pezzo per dimostrare l’efficienza/inefficienza delle tue teorie/ragionamenti.
Naturalmente potrei sbagliarmi, o tu potresti voler effettivamente sembrare la maestra dittatrice, questo non posso saperlo. Ti ho dato solo la mia impressione.

A parte questo, non mi ha convinto troppo l’assolutizzazione della regola che hai fatto; in questo senso, la penso diversamente.
E’ (scusa l’apostrofo) vero che lo “show” è più potente, efficace, tagliente e “vero”, sicuramente. Ma non è SEMPRE preferibile al raccontato (non so se tu la pensi così o meno, ma leggendo il tuo pezzo ho avuto questa sensazione).
Proprio perché lo “show” è più potente, efficace e tagliante, in certi casi è utile il “tell” per ottenere l’effetto contrario. Dipende dalle proprie finalità estetiche.
Ovviamente in un contesto di mimesi – preminente nel fantasy – è preferibile lo “show”, ma non è necessariamente così. A volte si può essere vaghi e deboli, se serve.
Certo, si tratta di considerazioni secondarie, più “profonde”: l’infrazione della regola, che prima va imparata: non c’è dubbio, però secondo me avresti dovuto specificarlo.

Avrei dato più importanza anche alla differenza tra il detto-evidente e il mostrato-nascosto, quando hai introdotto brillantemente il concetto in relazione a Twilight (vampiro/principe azzurro).
Esempio interessante a riguardo.
Sto leggendo ‘La fine del mondo e il paese delle meraviglie”, di Murakami. L’inizio è bellissimo, perché per le prime 3-4-5 pagine, il protagonsita ripete 3-4-5 volte di trovarsi in un ascensore. Nonostante questo, quando ci dice cosa c’è intorno, è tutto fuorché associabile a un ascensore: non si sa se questo posto sale o scende, non c’è rumore, e sostanzialmente è proprio la differenza tra il mostrato (che, ripeto, non è associabile a un ascensore) e il detto (il narratore che continua a dire di trovarsi dentro un ascensore) che crea una situazione… disturbante.
Ecco, la relazione tra detto/mostrato andrebbe approfondita; andrebbe quantomeno accennata, insomma. Anche in questo caso, probabilemente è un passo secondario all’apprendimento della regola, ma è comunque un elemento che va al di fuori del “mostrare sempre e comunque” che ho percepito dal tuo articolo.

Ancora complimenti, comunque! Alcune osservazioni sono state mooolto utili anche a me.

ps. non ho riletto niente di quanto scritto, quindi chiedo scusa per gli eventuali errori. gh.

#42 Comment By Unoqualunque On 18 novembre 2010 @ 22:21

@Gamberetta. Che ne pensi del corso di scrittura (online, gratuito) dello sceneggiatore Fabio Bonifacci? Pare sia molto seguito (anche da me).

#43 Comment By Gamberetta On 18 novembre 2010 @ 22:53

@DagoRed. Anna e Michele non fanno parte del Complotto. Li conosco. Sono brave persone.

@GSeck. Prima di un’analisi complessiva, faccio notare alcuni particolari, magari utili anche ad altri:

[...] senza accennare a una parola.

E più avanti:

I due rimasero fermi in silenzio.

Queste frasi, tranne rari casi, sono inutili. Se non fai parlare i personaggi, il lettore “vede” il silenzio, senza bisogno di dirlo. E se invece vuoi sottolineare che c’è silenzio quando invece i personaggi dovrebbero parlare, non devi raccontarlo ma mostrarlo:

«Anna come stai?»
La ragazzina grattava con l’unghia il primo bottone del pigiama.
«Tutto bene?»
Anna chinò il viso. Arrossì.
«Ma insomma, rispondi!»
Anna si morsicò il labbro inferiore.

Non ho bisogno di dire che rimase in silenzio.

I “sembrare” o i “parere” spesso rientrano nella categoria dei “quasi” e i “circa”.
Per esempio:

La canna sembrava fatta di un materiale metallico semitrasparente, che rifletteva la luce con lampi d’arcobaleno. Tra le canne emergevano dei panni simili a seta, con disegni colorati che sembravano caratteri di una lingua sconosciuta.

Diventa più mostrato ed efficace se scrivi:

La canna era fatta di metallo semitrasparente, che rifletteva la luce con lampi d’arcobaleno. Tra le canne emergevano panni di seta, con disegni colorati di caratteri cinesi.

Ovviamente al posto di cinesi puoi mettere quello che vuoi. E se sono davvero caratteri sconosciuti, mostrali!

E attenzione ai gerundi legati ai dialoghi che sono meh. Specie:

– Le va un caffè? -. disse il ragazzo rompendo il mutismo.

Be’, visto che lui ha appena parlato, hai mostrato che ha “rotto il mutismo”, inutile raccontarlo. ^_^

Comunque nel complesso è un brano mostrato. È sicuramente mostrato che Scintilla è giovane e le piace realizzare i desideri. Meno che sia testarda, e non mi pare abbia mai dei seri dubbi sul fatto di proseguire con la professione. Forse dovevi mettere la telecamera più nella sua testa. Ma tutto sommato non male. La magia della maestra mi è piaciuta.

@Emile. / @Enry. Non voglio offendere, ma ho l’impressione che abbiate dei preconcetti sull’arte, la matematica e la mente umana che non hanno ragione di essere. Vi suggerisco di leggere:
“Gödel, Escher, Bach. Un’eterna ghirlanda brillante.” di Douglas R. Hofstadter. Trovate facilmente su emule i PDF sia in italiano sia in inglese. Ma anche se lo comprate fate un affare: di libri così interessanti ce ne sono pochi. E sebbene non parli direttamente dell’arte in quanto computazione, ci sono concetti analoghi. Spiegati molto bene.
Purtroppo sono argomentazioni troppo lunghe per essere riassunte in un commento. Ma se vi fidate del mio consiglio e leggete, poi avrete una diversa visione su tanti argomenti.

@Bakke.

Se io fossi un adolescente desideroso di sottoporti un testo, mi sentirei demoralizzato prima di iniziare a scrivere

Ottimo. Sono stufa di gente che mi propone romanzi scritti così come capita – in questi anni me ne hanno spediti centinaia.

Ovviamente in un contesto di mimesi – preminente nel fantasy – è preferibile lo “show”, ma non è necessariamente così. A volte si può essere vaghi e deboli, se serve.

A volte quando? Puoi alternare emozioni di un tipo a emozioni di un altro: Anna prima strangola l’orco, poi si rilassa in spiaggia. Ma sono due mostrare. Non vedo perché dovresti essere vago e debole.

Sull’esempio di Murakami non dico niente perché non ho l’ebook sotto mano. In più non potrei controllare l’originale: considerato che in Italia spesso i romanzi giapponesi non sono neanche tradotti dall’originale ma dalla traduzione inglese, c’è da andarci con i piedi di piombo.

@Unoqualunque. Non conosco il corso di Fabio Bonifacci. Proverò a cercare e leggere.

#44 Comment By Doarcissa On 18 novembre 2010 @ 22:55

Segnalo una curiosita`:

Nel libro “Il cervello, istruzioni per l’uso” c’e` un capitolo intitolato “La vista batte tutti gli altri sensi” in cui l’autore (John Medina) spiega che:

- “piu` l’input diventa visivo, piu` e` probabile che venga riconosciuto, e ricordato”;
- tra tutti i modi di presentare informazioni la forma scritta e` quella meno efficace;
- “[..] anche mentre leggiamo, quasi tutti cerchiamo di visualizzare cio` che sta scritto nel testo. ‘Le parole non sono altro che francobolli, vi consegnano un oggetto perche` voi lo togliate dalla carta’, amava dire George Bernard Shaw. Oggi, molta tecnologia neuroscientifica lo puo` confermare.”;

… show don’t tell, neuroscientificamente parlando. Con l’ fMRI e` possibile misurare l’attenzione suscitata da uno stimolo e si puo` testare la ritenzione mnemonica dell’informazione trasmessa. Due parametri abbastanza buoni per valutare la qualita` di un romanzo. A meno che non si ritenga buono un romanzo che non suscita interesse e viene presto dimenticato, cosa che accade quando lo stimolo non e` abbastanza visivo, quando si racconta e non si mostra.

Qui si trovano le fonti. Il libro e` molto interessante e molto divulgativo, un po’ neuroscience for dummies (perfetto per me, quindi!)

P.S. Bentornata, Gamberetta!

#45 Comment By Anonimo Qualsiasi On 18 novembre 2010 @ 23:08

Bell’articolo: divertente quanto utile! Grazie per aver condiviso. :-)

PS: “L’Attimo Fuggente” era ed è ancora un film rivolto alla borghesia conformista da riscuotere e risvegliare; ogni opera è da valutarsi nel suo contesto e nelle sue finalità o potrei benissimo buttare nel cesso ogni derivato di cultura orientale, dal momento che non c’azzecca niente col pensiero occidentale dal quale siamo formati come persone (o dovremmo essere stati formati come persone). Di certo, se Keating avesse cominciato a parlare di tolleranza e rispetto dell’altrui opinione, avrei cambiato canale… e non sei stata forse tu a dire che, in narrativa (e se sbaglio a portare lo stesso discorso anche nel campo del cinema), non importa tanto il cosa, quanto il come?
Il lancio dell’introduzione del libro di testo nel cestino e il salto sulla cattedra hanno funzionato. Perdona il macchiavellismo. :-)

#46 Comment By Emile On 18 novembre 2010 @ 23:23

@Gamberetta: no, nessun preconcetto di sorta. Semplicemente non c’è modo al mondo di definire con un valore MATEMATICO (e dunque assolutamente ESATTO e PRECISO) la bontà ad esempio di un libro.
I gamberi che tu distribuisci rappresentano il tuo parere su un’ opera, basato su elementi quanto più possibili oggettivi e pertanto solitamente molto attendibili; ma saresti pazza a pensare che se tu dai 7,5 al Ritorno dei Conigli Mannari questo vuol dire che quel punteggio rappresenta in effetti l’esatto PRECISO valore matematico dell’opera in modo indiscutibile, al punto che se qualcuno dovesse valutarlo 7,3 (ma anche 7,45 eh) avrebbe per forza commesso qualche “errore di calcolo” e via dicendo.
In altre parole NON ci sono tecniche puramente matematiche che, efficacemente impiegate, presa un’opera X portino sempre alla sua valutazione Y.
Se dai da risolvere un’equazione a 100 matematici avrai sempre la stessa risposta e, comunque, sarà facilissimo individuare eventuali errori, nati da qualche mero svista a livello di calcolo; se provi a far giudicare un libro da 100 super esperti in materia MAI sarà possibile ottenere sempre lo stesso risultato, e comunque MAI sarà possibile stabilire se quello “giusto” è A, B o C.
Poi c’è chi sostiene che l’intera vita di una persona sia riassumibile in una singola e complicatissima equazione in grado di prevedere anche il suo futuro e quindi si può pure ipotizzare che in realtà si possa arrivare a sviluppare delle regole talmente sofisticate di valutazione per un’opera che, applicate, garantiscano sempre lo stesso risultato annullando del tutto la “soggettività” del recensore, mettendo in condizione insomma di poter fare “2+2″ e tirare semplicemente le somme.
Non è escludibile a priori per carità (così come non è escludibile il discorso sull’ “equazione della vita”), ma di sicuro è tranquillamente escludibile che al momento sia anche solo vagamente possibile avvicinarsi ad un simile risultato; ergo anche volendo “avere fede” in un certo tipo di possibilità quella spiegazione rimane una cialtronata, così come sarebbe un illuso un tizio che, oggi, cominciasse a buttare giù calcoli su calcoli per tentare di completare l’equazione della sua vita e scoprire cosa gli riserva l’avvenire.

#47 Comment By Emile On 18 novembre 2010 @ 23:38

(Per inciso ho concordato col tuo “affascinante” proprio perché NON ho preconcetti di sorta a riguardo e, anzi, quel sistema intrigava anche me, l’idea di fondo è sicuramente interessante. Ma questo non toglie che è qualcosa di assolutamente NON applicabile alla realtà con la pretesa di avere risultati MATEMATICAMENTE esatti. Se da oggi al posto dei gamberetti ti mettessi ad usare grafici e valori matematici solo un gonzo potrebbe credere che in qualche modo le tue recensioni possano diventare “perfette”, o anche solo “più autorevoli”.E non è certo un insulto al tuo ottimo lavoro eh, spero che il senso sia chiaro.)

#48 Comment By GSeck On 19 novembre 2010 @ 00:05

@Gamberetta

Sui silenzi, quelli che ho sottolineato sono rilevanti perché devono mostrare una tensione nei personaggi. Forse potevo sottolinearla meglio.

Sul materiale dello Strumento, ho messo il “sembra” perché, in effetti, quello strumento è frutto della magia, non è di vero metallo. Ho persino pensato di usare la stessa forma ipotetica anche per gli Strumenti delle due fatine, ma mi sembrava che risultasse troppo pesante.

Pensavo che la testardaggine di Scintilla si notasse nella reazione al voto della maestra e, soprattutto, dalla sua reazione finale. Le ultime due frasi (Sono una stupida orgogliosa, e lei è la maestra. Almeno finché sono ancora giovane e inesperta.) volevano mostrare il suo progetto di non essere più una fatina che realizza i desideri ma una maestra.
Se non si è capito, evidentemente sono stato poco chiaro. Sono comunque soddisfatto perché il raccontino è stato giudicato positivamente.

#49 Comment By Tapiroulant On 19 novembre 2010 @ 00:09

@Anonimo Qualsiasi:

“L’Attimo Fuggente” era ed è ancora un film rivolto alla borghesia conformista da riscuotere e risvegliare

Se ho ben interpretato queste tue parole, mi stai dicendo che il pregio di questo film sarebbe ‘risvegliare’ le coscienze addormentate dei borghesotti ligi alla tradizione. Ummm… no. Non è vero. Questo è quello che il film vuole far credere.
La dimostrazione sta nello stesso comportamento dei presunti ‘risvegliati’ da questo film. Guardai questo film per la prima volta a scuola, penso al primo anno di liceo. Si può dire che la stramaggioranza dei miei compagni fossero (come me del resto) dei borghesi, figli di borghesi.
Ora, la reazione di un buon 85% di loro fu entusiasta. Sì, il combattimento del sistema! Sì, basta con le vecchie, stupide regole! Riportiamo al centro la coscienza e le emozioni del singolo individuo!
Cos’ha risvegliato, questo film, in loro? Nulla. Perché dopo la visione erano assolutamente identiche a prima. Una sola cosa era cambiata in loro: avevano trovato una giustificazione ideologica al loro sentirsi speciali, incredibilmente sensibili; al loro non aver voglia di studiare una cosa per dire che era sbagliata; alla superficialità del finto intellettuale che pensa di essere superiore della massa.
Le persone che adorano questo film, per intenderci, sono le stesse che vanno matte per Baudelaire, adorano L’insostenibile leggerezza dell’essere (senza averlo capito) e Il ritratto di Dorian Gray (idem), magari comprano il basco da artista maledetto e magari compongono poesie gotiche sul loro blog, o postano foto in bianco e nero di corpi nudi, o dipingono quadri astratti.
Per capire se un film ‘riscuote’ veramente, devi guardare chi sono i suoi cultori, e gli effetti che produce in loro. Questo film dà alla gente sopra descritta un falso senso di superiorità e li culla in una sensazione di unicità, di essere degli alternativi, dei geni, etc., per il solo fatto di provare Forti Emozioni o di avere una Grande Sensibilità (inserire altre frasi senza senso).
L’attimo fuggente, e quella scena in particolare, è sullo stesso piano delle pubblicità che dicono “Compra questo prodotto perché così ti distingui dalla massa”, “Tu sei unico e speciale, e per questo comprerai X”. E’ la retorica del tipo più squallido. Il fatto poi che questo film te lo facciano vedere a scuola, insistendo sui suoi valori educativi (!), ti fa capire quanto sia ‘sovversivo’ – quanto sia in realtà estremamente stupido e conservatore.

@Emile: Seguendo il tuo ragionamento, potremmo anche dire che i fisici sono dei cialtroni e hanno sbagliato tutto postulando l’esistenza del bosone di Higgs dato che non è ancora mai stato osservato. Come diamine possono costruire una teoria fisica basata su una particella mai vista, che solo dopo quasi 50 anni (con l’LHC) avranno la possibilità di verificare se esiste?
La scienza, così come l’indagine filosofica, non procede come dici tu. Spesso, l’intuizione che le cose possano andare in un determinato modo precede, e anche di molto, la dimostrazione scientifica. Io oggi non posso dimostrare che l’efficacia di una poesia o di una prosa sia misurabile matematicamente, ma posso ipotizzare che sia così e aspettare gli sviluppi in questo senso delle neuroscienze.
Anche se la mia ipotesi si rivelasse sbagliata, avrebbe avuto la funzione di indirizzare gli sforzi in una direzione, piuttosto che lasciarli a brancolare nel buio. Immaginare la poesia come una funzione matematica è di certo più utile e produttivo, per un autore, piuttosto che immaginarla come puro caos emotivo o intellettuale. Anche le teorie scientifiche che si sono rivelate errate hanno avuto una funzione, ossia di gettare la base per l’individuazione delle teorie corrette. Così potrebbe essere il modello Pritchard.

Detto questo, non mi è difficile immaginare come quel modello possa applicarsi ad esempio alla narrativa. Se ad esempio consideriamo che la qualità tecnica sia misurabile sulla base della nitidezza delle immagini che le parole della storia suscitano (come dice Gamberetta), allora si può matematicamente dimostrare che una storia è migliore di un altra. Preso infatti un campione di X persone, attaccatigli elettrodi al cervello (o quello che serve per la misurazione), e messogli in mano una serie di libri, si può misurare quelli che mettono più a suo agio la mente di ciascuna delle cavie, quelli che sviluppano immagini più nitide, e che meno richiedono il contributo del vissuto della cavia.
Avremmo così una valutazione matematica della qualità tecnica di un romanzo.

#50 Comment By Emile On 19 novembre 2010 @ 00:20

@Tapi: per piacere eh, quello era un libro SCOLASTICO dove si insegnava un metodo che in teoria sarebbe dovuto essere valido IN QUEL MOMENTO per analizzare le poesie.
Rifugiarsi nel “ehhh ma non puoi sapere se tra 200 anni ecc” non ha senso.

#51 Comment By Emile On 19 novembre 2010 @ 00:32

Che poi secondo la tua teoria se io scrivessi un saggio sui libri fantasy asserendo che il modo corretto per valutarli è contare il numero complessivo delle parole e vedere se è divisibile per sette favorirei comunque il “progresso” perché “getterei le basi per l’individuazione delle teorie giuste” e avrei dunque fatto del bene.
E a quel punto su che basi criticare il protagonista del film? Se anche ha detto solo cialtronate non potrà fare che bene!
Il punto è che un testo scolastico che debba spiegare come analizzare una poesia e illustri una teoria su come farlo assolutamente NON applicabile in quell’epoca è sul serio pura spazzatura, anche ammesso (e non concesso) che sul piano squisitamente teorico possa essere vera (ma sul piano teorico si può anche passare attraverso un muro di mattoni, con “un pò” di fortuna).

#52 Comment By Emile On 19 novembre 2010 @ 00:35

Dimenticavo, piccola precisazione: NON ho visto L’Attimo Fuggente, ergo non ho il minimo interesse “da fanboy” nel voler cercare di difendere quel passaggio. Per quel che ne so il film potrebbe essere spazzatura allo stato puro e non potrebbe importarmene di meno.

#53 Comment By Airon On 19 novembre 2010 @ 01:05

Ho sempre ritenuto Pritchard uno Strawman, ovvero un esempio volutamente esagerato per dare più credibilità al personaggio dalle tesi opposte (Keating). Usare un metodo scientifico per valutare la poesia è possibile e utile, ma quello proposto nel libro mi smbra francamente TROPPO semplicistico.

(ah, kudos per aver letto un’Eterna Ghirlanda Brillante)

* * *

ecco il mio compito a casa (oddio, a vederlo adesso mi sembra lunghissimo):

«Non posso inserirti tra le Guide senza l’introduzione della tua Madrina.»
E dagli. Terza volta.
«Madrina Mezzaluna è…» Lametta si morse il labbro «…vuole che me la cavi da sola. “Autonoma”, così ha detto.» tenne gli occhi bassi, sulla lucida scrivania di Fiammetta, sperando che le punte delle ali non tremassero.
«Mmm…» la fata Superiora la squadrò da sopra gli occhiali rettangolari, poi scor-se il modulo davanti a sè «Hai pensato a fare da Tramite, vedo? Servirebbe…»
«Ce l’ho!» le mani della fatina sparirono nella borsa a tracolla, rovistando. «L’ho preso a… voglio dire, la mia Madrina voleva che lo tenessi io.» posò sul banco di Fiammetta due mezzi gusci di noce levigati, una boccetta di inchiostro azzurro, tre pennelli, poi riprese a rovistare la borsa «É qui, adesso lo trovo!»
La fata Superiora prese tra indice e pollice la boccetta di inchiostro e la inclinò; il fluido restò immobile, tristemente secco. «Mezzaluna ti ha donato il Libro? Credevo avesse a cuore la tua indipendenza.» Fiammetta posò la boccetta e si pulì i polpastrel-li sul bordo della gonna, arricciando le labbra.
Acci… Beccata! Proprio la Superiora superpignola, uff…
«Sì, è che… voleva che fosse un regalo di addio, credo… eccolo!» Lametta spaz-zò con l’avambraccio la scrivania della fata e ci posò il Libro.
Fiammetta fece per aprire la copertina di corteccia e ritrasse le dita come se si fos-se scottata. Un sottile filo scuro si stendeva dal Libro al suo indice.
«Oh!» Lametta si morse il labbro «É… è il marrone, si dev’essere aperto.» due fazzoletti apparvero dalla tasca della camicia; ne porse uno a Fiammetta.
«Comunque, il Libro è a posto.» lo pulì sommariamente mentre Fiammetta strofinava l’indice nel fazzoletto. «E per di più l’ho studiato a fondo nel viaggio da Rada Drea a qui. Vuole testarmi?»
«Hai studiato il Libro senza la supervisione di una Madrina?» stavolta le ali di Lametta tremarono davvero.
«No, no!» scosse la testa mentre rimetteva le sue cianfrusaglie nella borsa «Intendevo che ho riletto le parti che avevo studiato con Madrina Mezzaluna. Diceva… diceva che sarei stata un buon Tramite. Sono portata per i viaggi.» sventolò uno dei due mezzi gusci di noce «sto preparando un mappamondo!» Lametta ruotò il guscio per mostrare il profilo della costa pacifica «Vede?»
Fiammetta si aggiustò gli occhiali e seguì l’indice della fatina. «Una crepa?»
«No, vede? É la costa degli Stati…» se la ricordava molto più fedele di come le appariva adesso. San Francisco si perdeva in un nodo che era stato levigato male.
Ma certo pensò mentre riponeva il guscio nella borsa quando stavo facendo San Francisco è passato quel calabrone giocherellone! Dovrei tornare a trovarlo, si annoiava così tanto con quegli gnomi che…
«Mi spiace, Lametta, ma se questa è la cura che hai del Libro non posso impiegarti come Tramite. Qui a Palco delle Farfalle abbiamo una tradizione di eccellenza da mantenere.»
«No, aspetti, la prego! Posso… farò qualunque cosa! I dentini! Certo sono qualificata per non svegliare un bimbo quando…»
Fiammetta si alzò dalla sedia «Non abbiamo richiesta di fatine dei denti aggiuntive, sono desolata. Puoi ripresentarti tra quattro mesi, quando… »
Maledetta farfallona arrogante «Quattro mesi! Ma nel frattempo cosa…» le ali sparirono in una macchia sfocata, battendo velocissime, e Lametta si alzò di pochi centimetri da terra «Cosa… Posso segnalare il polline alle api! Superiora, per favore…»
Gli occhi di Fiammetta si fecero due fessure nel vedere la fatina sollevarsi in posizione dominante. Pose il palmo destro verso l’alto, davanti alla bocca «Mi spiace, Lametta» soffiò la polvere in faccia alla fatina.
La fatina chiuse gli occhi istintivamente e udì un *POP!* ; quando li riaprì, non era più all’interno dell’ufficio tra le radici ma sui rami della sequoia millenaria, cinquanta metri più in alto.
Prepotente. Si riallacciò la borsa a tracolla. Bah. Proviamo a Salem.

#54 Comment By Emile On 19 novembre 2010 @ 01:10

@Airon: ma infatti è esattamente così.

#55 Comment By Spirito Giovane On 19 novembre 2010 @ 01:48

Intervengo in merito alla discussione che si è creata sul collegamento fra logica e “sentimento” o emozione dei testi o che dir si voglia. Forse non è così off-topic come alcuni potrebbero pensare, si collega perfettamente con il concetto del mostrare e del raccontare.

Ho visto l’Attimo Fuggente, ho rivisto più volte la scena descritta e fino ad un certo punto della mia vita l’ho considerata una pietra miliare della storia della cinematografia. Ma come ha affermato Giobix nei commenti, ho iniziato a pensare che il film fosse più incline a pubblicizzare una sorta di sentimento o di modo di vivere che dei veri e propri concetti poetici. Anche l’analisi di Gamberetta mi ha scosso, come sempre; ma suvvia, chi legge questo blog dovrebbe essere abituato al modo con cui Gamberetta tratta certe questioni e anche sul perchè. Io non leggo questo blog di certo perchè va sul sottile. Anzi, proprio perchè è così categorica e logica.
Alcuni hanno commentato: ma che senso ha trattare una materia “artistica” o comunque “umanistica” con concetti scientifici, con logica? Cosa c’entrano l’un con l’altro? Mi dispiace deludervi, ma umanistica e matematica sono due parti della stessa medaglia. Che cosa ne sapete dell’Informatica Umanistica? Cosa ne sapete dell’Oulipo? Andate a leggere e informatevi anche sui lavori di Calvino: il suo libro Le Città Invisibili si fonda su uno schema matematico che lui segue dettagliatamente per organizzare i vari capitoli. E Il Castello dei Destini Incrociati?
Le interazioni fra letteratura e matematica vanno al di là di quel grafico tracciato sulla lavagna che, concordo con Gamberetta, è originale. Credete che le Tre Corone abbiano scritto poesie basandosi solo sulle loro emozioni? Le poesie di Petrarca che ancora oggi suscitano emozioni sono anche il risultato di conteggi di ritmi, di sillabe, di figure retoriche. E Dante che ha fatto 14000 versi sempre e solamente con lo stesso schema? Solo emozione? Solo istinto? Datemi una Beatrice, se così fosse.

Non siete ancora convinti? Prendiamo un’altro esempio. Pensate alla musica. Pensate alla musica classica. Al di là che possa piacere o meno, credo nessuno possa dubitare del genio artistico di persone come Verdi, come Mozart oppure Rossini. C’è un’aria del Rigoletto che mi colpisce sempre per la sua genialità, Bella figlia dell’amore; nella seconda parte si intersecano il suono dei violini con quello delle quattro voci. Avete idea di quale difficoltà sia incrociare quattro voci differenti? Tenore, soprano, mezzosoprano e basso? Quel pezzo è stato fatto secondo schemi LOGICI, secondo REGOLE, secondo certi modelli. Eppure mi trasmette esattamente quello che voleva trasmettere Verdi: la frivolezza del Duca (non il Duca Duca XD), la rabbia di Rigoletto e della figlia e l’intento della sorella di Sparafucile.

Voi direte: e la parte umana? E il sentimento dove sta? Sta tutto lì, nel fatto che libri, musiche e tutto ciò che comunica le costruisce l’UOMO, non una macchina. E’ l’intervento dell’uomo, a mio parere, che cambia le cose. Cosa sceglie di raccontare, quali personaggi sceglie, quali parole, quali particolari, quali dialoghi. Ma dietro tutto ciò, per organizzare qualsiasi cosa che sia artistica, c’è sempre uno schema logico, matematico, razionale. C’è un disegno preliminare per ogni quadro: credo voi tutti abbiate studiato Da Vinci e con tutto il Codice Da Vinci di quesi anni dobbiamo sapere che l’Ultima Cena fu un’opera di difficile esecuzione, con tanto di tecniche particolari usate da Leonardo. C’è un soggetto e un trattamento per ogni film che poi diventa sceneggiatura: la sceneggiatura ha regole precise, un certo numero di battute per pagina, ogni pagina deve all’incirca essere un minuto del film, ogni dialogo deve essere riportato in un certo modo. E i movimenti delle macchine da presa? C’è una bozza o più bozze, scalette, studi, ricerche, analisi, scritture e riscritture quando si scrive. So che il Codice da Vinci è un’opera di fantasia, ma i documenti su cui si basa sono veri e all’inizio era un’opera storica; Dan Brown ha più volte citato i quaranta e passa errori storici del libro.

Cosa ha a che fare tutto ciò con il mostrare ed il raccontare? Credo di avere MOSTRATO, non le ragioni della mia posizione o di quella di Gamberetta, ma la realtà dei fatti: che nel mondo gran parte delle opere artistiche se non tutte le opere artistiche sono un concentrato di scelte dell’uomo e di schemi logici che l’uomo stesso mette in atto.
Mostrare è comprovare. Credo che uno scrittore debba sempre comprovare una certa veridicità dei fatti: che una storia sia credibile o meno. Riesco a capire che un mio amico la spara grossa quando parla di una trota da trecento chili e pretendo che non dica queste bugie. Io pretendo la stessa onestà da parte di uno scrittore. Altrimenti a questo mondo ogni persona che scrive una scempiaggine deve essere comunque considerato un genio, indipendentemente da ciò che scrive. Comprovare e mostrare un dettaglio che serve alla storia vuol dire dare informazioni certe al lettore. Che si scriva fantasy o fantastico non credo sia una scusa. Non potrò informarmi su come fare una magia, ma se voglio comunicare al lettore che quella che il protagonista ha di fronte è una sciamana, perchè non fare qualche piccola ricerca sullo sciamanesimo? Non perchè è verità trascesa, ma perchè prendere spunto dalla nostra realtà aiuta a donare a quel personaggio, la sciamana, una vera aura sciamanica; mi aiuta a centrare il bersaglio. L’obiettivo dello scrittore è evocare. Non c’è modo migliore di evocare qualcosa se non attraverso un’altra cosa che ha un legame con essa e con chi la osserva.

Spero di avere chiarito il concetto, non la posizione. Qui non credo sia il luogo e il momento per prese di posizione, ma per RAGIONARE su quali siano gli strumenti più adatti per scrivere e trasmettere esattamente ciò che ho in mente.

Umilmente,
Spirito Giovane

#56 Comment By Emile On 19 novembre 2010 @ 01:50

>ma che senso ha trattare una materia “artistica” o comunque “umanistica” con concetti scientifici, con logica? Cosa c’entrano l’un con l’altro?

E chi avrebbe sostenuto questo, scusa?

#57 Comment By Spirito Giovane On 19 novembre 2010 @ 02:17

@ Emile: si, sarebbe “alcuni potrebbero commentare”. Refuso mio: stavo cercando di immedesimarmi in coloro che mi avrebbero letto e mi sono collegato ad un commento che avevo interpretato male.

Umilmente,
Spirito Giovane

#58 Comment By Lidia On 19 novembre 2010 @ 06:45

@Gamberetta.
Rileggerò il pezzo. Sì, hai percepito bene, il tono del branetto voleva essere scherzoso, e finisco sempre per approfondire di più i rapporti fra i personaggi, che la descrizione degli stessi, delle loro caratteristiche. Mi sforzerò di pensare alla scena immersa in un clima più serio. Forse in questo modo la descrizione di Scintilla riuscirà più mostrata al di fuori dei dialoghi.

Ciao! (interessante, comunque, la discussione che si sta sviluppando).

#59 Comment By Cuk On 19 novembre 2010 @ 10:14

Io intervengo a favore della valutazione scientifica dell’arte.
Nel suo ultimo libro, The Moral Landscape, Sam Harris fa un discorso simile sostituendo però la legge morale all’arte.
il suo discorso (malamente riassunto) punta sul fatto che lo scopo della legge morale sia l’eliminazione della sofferenza, e quindi l’analisi del cervello (come siamo in grado di fare ora e soprattutto come saremo in grado di fare in futuro) può tranquillamente monitorare ciò che l’ambiente in cui un uomo vive (e quindi la legge morale che la sua società segue) provoca in termini di sofferenza o benessere. Quindi, per Sam Harris – e io massimamente condivido – legge morale è da desumere con metodi scientifici, non religioni o altri indimostrati vaneggiamenti.

Qui il discorso diventa: qual è lo scopo dell’arte? Stupire, provocare piacere, suscitare emozioni… io non lo so. Ma di sicuro il suo scopo provoca delle modificazioni nell’uomo, perchè è sull’uomo che l’arte deve agire. E tali modificazioni saranno sicuramente misurabili monitorando il cervello.
Sarà enormemente più difficile percorrere il percorso contrario: non dall’arte al cervello, ma dal cervello all’arte. Separare ogni singola attività cerebrale e attribuirla specificamente ad una data caratteristica dell’opera, beh… per questo bisognerà aspettare molto di più, temo.

Ciao

#60 Comment By Feleset On 19 novembre 2010 @ 12:52

Valutare l’arte seguendo la logica non è sbagliato, ma è solo metà valutazione. Con la logica si può valutare la tecnica, non le emozioni che un’opera provoca. Io credo alla misurazione scientifica delle emozioni, ma d’altra parte credo anche che questa sia diversa da individuo a individuo. Se mostri a un tizio un video con un’uccisione e misuri le sue emozioni scientificamente, non è detto che il “livello” sia identico a quello di un altro individuo a cui mostri lo stesso video. Anzi, non è quasi mai così. Quindi io continuo a ritenere che, nonostante la qualità tecnica di un libro sia oggettiva, la parte emotiva (legata più ai contenuti) sia esclusivamente soggettiva. Una persona può benissimo apprezzare un’opera scritta coi piedi che però la emoziona: semplicemente la apprezzerà solo da un certo punto di vista.
Io ho letto libri scritti molto bene che non mi hanno emozionato e libri scritti male che mi hanno emozionato. Sono scema? No, mi rendo conto che certi libri fanno oggettivamente schifo e che altri sono molto più validi, ma se una cosa non mi coinvolge non so che farci.

#61 Comment By Ste On 19 novembre 2010 @ 13:18

Ecco il mio compito… sono già in ginocchio sui ceci :)

Lametta stava osservando la fata dalle ali di farfalla che aveva innanzi, si sentiva le mani sudate e continuava a torcersele dietro a schiena, ogni tanto un ala si metteva a vibrare e solo con profondi respiri Lametta riusciva controllarla.
- E per quanto vorresti lavorare?
“E’ andata” pensò Lametta, le gambe quasi cedettero.
- Posso solo al pomeriggio, prima devo fare nuoto, conoscere gli insetti del bosco, dipingere – ad ogni voce che elencava Lametta si prendeva in mano un dito della mano..
- Una fatina impegnata… – disse scocciata la fata dalle ali di farfalla interrompendo Lametta.
- Eh già – “che maleducata interrompermi..”
- Guardando il tuo curriculum vedo che non sei riuscita a mantenere lo stesso lavoro per più di due giorni…
- Senta, il lavoro me lo dà o non me lo vuole dare?
La fatina dell’ufficio alzò lo sguardo e si abbassò gli occhiali per meglio guardare negli occhi quel’insolente che si ostinava a fissarla negli occhi.
- Ho solo due lavori al momento. Indicare alle api dove sono i fiori e un posto da fatina dei denti.
- Il secondo!
- Per questo ho bisogno dell’autorizzazione dei tuoi genitori ad andare nel mondo degli umani. Ce l’hai? O Se vuoi li chiamo..
“No! Se li chiama scoprono che non sono andata da Fio”
- Sono grande abbastanza e indipendente, non ho bisogno del loro permesso! – il tono si fece arrogante, l’ala di sinistra si mise a vibrare, il viso le si fece rosso, una mano si strinse a pugno.
- Allora metti una firma su questo foglio in cui ti assumi ogni responsabilità – disse la fata di collocamento porgendo a Lametta una foglia con alcune frasi incise sopra.
Lametta si chinò verso il sacco che teneva fra le gambe ed iniziò a frugarci dentro alla ricerca di qualcosa per firmare il foglio “uff quanta inutile burocrazia… ma proprio sta vecchia rimbambita doveva capitarm..” –Ahia! – Lametta ritrasse di scatto la mano dal sacco, e si portò un dito sanguinante alla bocca. Doveva essere stato lo spillo che aveva raccolto quel mattino… no quel mattino aveva raccolto un’elitra verde, lo spillo lo aveva preso la sera prima di andarsene di casa stufa dei rimbrotti dei suoi per il suo “disordine”… disordine come se collezionare oggetti fosse disordine, è una forma di arte e…
- Sto aspettando la sua firma fatina Lametta.
- Senta abbia pazienza lo vede che mi sono fatta male o ha bisogno di un nuovo paio di occhiali?
La fata di collocamento divenne rossa in viso, inspirò profondamente, riprese la foglia per l’autocertificazione.
- Ops! I lavori che le avevo proposto sono stati presi – uno strano sorriso seguì quelle parole.
Lametta smise di succhiarsi il dito strinse i pugni e si allungò verso la fatina che aveva di fronte.
- Lei è una vecchia mosca cieca! Ecco! Lo dica subito che le sono antipatica perché sono più bella e giovane di lei! Vecchia lucciola! Ci si strozzi con i suoi miseri lavori! Né lei né i miei avete ragione! – si sentiva il cuore in gola dalla rabbia e quasi faceva fatica a respirare la fata di collocamento chiamò due fatine per portare fuori dall’ufficio Lametta che come si sentì afferrare per le braccia iniziò a tirare calci ad ogni cosa e a cercare di liberarsi dalle due fatine.
- Maledette cimici! Lasciatemi! Tranquille che me ne vado!
Le due la lasciarono, Lametta si sistemò con le mani il vestito sulle gambe.
- Il tuo sacco! – disse una delle fatine buttandole ai piedi il sacco che si rovesciò riversando sul pavimento pezzi di plastica, legno, perline e altro.
Lametta mise tutto nel sacco e messeselo in spalla se ne andò borbottando tutti gli insulti che conosceva verso la fatina di collocamento.

#62 Comment By Mauro On 19 novembre 2010 @ 13:45

Tapiroulant

sono veramente contento che qualcuno condivida il mio disprezzo per quel film e per quella scena da mentecatti. Si può anche pontificare sul ‘contesto storico’ della vicenda, ma sta di fatto che quel film è tremendamente ideologico ed è servito ad orde di pseudo-intellettuali come giustificazione del loro atteggiamento da geni incompresi

Non è necessariamente una colpa dell’opera: Tolkien è stato usato come propaganda da un po’ tutte le parti politiche, non per questo la sua opera è un inno alla destra/sinistra/cattolicesimo/quel-che-è (nota: non parlo del valore dell’opera in sé, quello è un altro discorso).
Poi il film può piacere o no, ma che venga usato come bandiera della propria genialità incompresa non credo sia in sé motivo di demerito.

Feleset:

Se mostri a un tizio un video con un’uccisione e misuri le sue emozioni scientificamente, non è detto che il “livello” sia identico a quello di un altro individuo a cui mostri lo stesso video

Sicuramente, anche perché a parità di video/testo l’interpretazione può essere diversa; per esempio, cito dall’articolo sui dialoghi:

Michele puntò la pistola alla tempia di Carlo. Tolse la sicura. «Ridammi lo stereo.»

Ci sono dubbi sul fatto che Michele sia incazzato?

Risponderei “Sì”: una simile scena, quando l’ho letta, mi ha comunicato un Michele molto freddo: sa cosa vuole e cos’è disposto a fare per ottenerlo, ma non è arrabbiato. Del resto, puntare una pistola alla tempia di qualcuno per convincerlo a darci un oggetto non implica necessariamente che si sia incazzati.

Sull’articolo: concordo con chi ha detto che sarebbe stato interessante avere maggiori considerazioni sul “mostrare nascosto” in Twilight, ma comunque un lavoro molto interessante; al momento sto leggendo Word Painting (è iniziata la lunga serie di letture di libri consigliati qui e altrove…), e in ambito descrizioni dà consigli che s’incastrano bene anche in questo discorso.
Cercherò di fare i compiti a casa, ma prima vorrei fare quelli del secondo articolo… il che implica rileggerlo. Prima o poi, sperando di avere più tempo in futuro.
Prevedi un articolo sui punti di vista?

Gödel, Escher, Bach. Un’eterna ghirlanda brillante: aggiunto alla lista, mi è stato consigliato ormai troppe volte; solo, il grande dubbio: Inglese o Italiano? Un amico mi ha detto che già in Italiano non è semplicissimo, ma che la traduzione è ottima, quindi potrei arrischiare un ritorno alla lingua natia.
Se lo hai letto in Inglese, come lo hai trovato?

#63 Comment By Feleset On 19 novembre 2010 @ 13:57

@Mauro:

Sicuramente, anche perché a parità di video/testo l’interpretazione può essere diversa

Sì, questo è senz’altro uno dei fattori che giustificano una diversa percezione emotiva. Però c’è da dire che anche a parità di interpretazione le emozioni possono essere diverse: io posso emozionarmi molto vedendo una coppia che si bacia, un’altra persona può disgustarsi. Non è questione di interpretazione in questo caso: sia io sia l’altra persona pensiamo che il bacio sia la manifestazione dell’amore tra quelle due persone, ma mentre a me la cosa piace a un altro fa schifo (ho fatto un esempio, non è detto che a me un bacio emozioni per forza, eh).

#64 Comment By Sinclair On 19 novembre 2010 @ 14:35

Tanto per cominciare, il superfluo. Ossia, i complimenti per questo blog che, da sempre, offre spunti interessanti e articoli divertenti per tutti noi appassionati di fantastico e (spesso) dilettanti scrittori.
Venendo a noi, mi trovi d’accordo su tutto tranne che una parte della premessa di fondo: ossia che il raccontato sia necessariamente e indiscutibilmente un male. Di base considero la narrazione tecnica creativa. Da ciò ne deriva che, ferma restando l’esigenza categorica di non infrangere determinate regole ben definite e riconosciute (elemento tecnico), sarebbe una ingiustificabile autolimitazione escludere a priori il ricorso ad un qualsiasi “strumento” ritenuto opportuno dallo scrittore (elemento creativo.
Senza tale principio non avremmo avuto, ad esempio, lo stream of consciousness dell’Ulysses (a proposito, in quel caso Joyce mostra o racconta? O, ancora, percepisce?). E non obbiettatemi che non potremmo scrivere un romanzo fantasy o fantascientifico con lo stream of consciousness… Anzi, sarebbe un esperimento interessante.
Il problema da te enunciato ed esplcitato tramite regole ed esempi è però di fondamentale importanza e fai BENISSIMO – non “bene” – ad essere così categorica nelle tue asserzioni, proprio perchè ti trovi in un contesto “magistrale”. Stai dando lezione, stai suggerendo delle esercitazioni a chi ti legge e ti ha scelto consapevolmente come conoscitrice delle tecniche narrative.
In sede di riflessione, però, penso che vada riconosciuta una certa dignità al raccontato, anche al di là delle situazioni di sua preferibilità che tu hai giustamente citato.
Attenzione, però, perchè quella che non deve passare è l’equazione “raccontato = scorciatoia con la quale io scrittore esco da un ginepraio cavandomela con quattro frasette scialbe e banali”. Il mostrare è vedere, il raccontare deve essere percepire e non “dare una rapida occhiata e poi andare via”. La determinatezza è la regola generale dalla quale si parte, l’indeterminatezza è una scelta che l’autore compie, consapevole dei suoi svantaggi, quando egli lo ritenga opportuno.
D’altronde anche il mostrare sic et simpliciter ha i suoi problemi. L’ho notato per esempio in Martin. Le Cronache del ghiaccio e del fuoco sono pesantemente “mostrate”, e ciò ha spinto l’autore alla decisione radicale di scrivere i capitoli in base al punto di vista di un unico personaggio: in questo capitolo vedremo la vicenda con gli occhi di Tyrion, in quest’altro con quelli di Cersei, in quest’altro ancora con quelli di Catelyn. Da ciò ne deriva un romanzo di grandissima coerenza interna e forza evocativa, con tutti i dettagli ben definiti… ma anche una storia talvolta troppo frammentaria, con dilungamenti inutili e in generale un po’ troppo difficile da seguire.
Io direi che – una volta depurati dalla falsa idea che il fantasy è “carino”, “indefinito”, “sognato”, “libero”, “possiamo-scrivere-quel-che-ci-pare-perchè-sì” – dobbiamo apprendere un utilizzo ragionato degli strumenti a nostra disposizione.

Infine, un’ultima osservazione sulla querelle relativa all’Attimo Fuggente. La tua osservazione sul “vietato ai minori” è stata per me, che fin da subito sono rimasto affascinato da quella pellicola, fulminante.
E’ vero, ciò che viene detto nel film è pericoloso, se passa l’equazione “libertà di giudizio estetico e rinuncia alla critica tradizionale = io penso e dico quel che mi pare perchè sono libero e sono figo e sono io, e voi non siete…”. Purtroppo era il modo più banale e deviato di intendere il messaggio del film e, inesorabilmente, è stato così che è passato nelle menti dei più.
Andrebbe spiegato prima ancora e durante la sua visione, andrebbe considerato in tutti i suoi risvolti. Quindi i bambinetti che vogliono fare gli alternativi andrebbero accompagnati da dei genitori assennati che gli spieghino cosa intende il film, e non quello che loro vogliono sentirsi dire perchè gli piace di più.
La scena del Pritchard – peraltro per come è fatta ottimo esempio di “show, don’t tell” – non va intesa come un invito a bruciare libri senza leggerli “perchè, cioè, sì, sono di sistema e non sono alternativi… cioè, bella secco…”, quanto a rifiutare l’idea che sia possibile definire dei parametri scientifici a ciò che non è scientificamente misurabile in maniera univoca. Pritchard ha il torto di proporre un sistema di analisi chiuso e non confutabile (Popper lo avrebbe definito un sistema basato su “ipotesi ad hoc”), basato sulla scelta autoritaria di due non meglio definiti princìpi fondamentali (l’”importanza”!? e chi la può definire? Tolkien oggi è infinitamente più importante di quando pubblicò, perchè ha aggiunto al valore della sua opera l’essere divenuto punto di riferimento per un intero genere).
Sarebbe stato più corretto da parte sua utilizzare princìpi più generali come “denotazione” e “connotazione”, ma anche lì indicandoli come punti di riferimento e non – un po’ stupidamente – come assi cartesiani di un sistema.
D’altronde, però, Keating non si limita a dire ai suoi studenti “Pritchard è un’idiota, strappate il libro” senza leggere quella benedetta introduzione e senza visualizzarla sulla lavagna (indovinate un po’, anche lui mostra e non racconta).
Naturalmente però anche Keating sbaglia ed è questa la sua tragedia: il suicidio è effettivamente colpa sua, perchè ha imprudentemente inserito elementi di discontinuità in un contesto culturale monolitico e quindi intrinsecamente fragile (il ragazzo diceva balle ai suoi già prima di conoscere Keating, ma il professore gli ha dato la spinta per arrivare ad una crisi insanabile con le sue estreme conseguenze).
La libertà non prescinde dalle regole, anzi nasce da esse. Senza cadiamo nel caos e nell’homo homini lupus.
Rivoltiamo la scena in questione. Noi siamo tutti studenti del corso di tecnica narrativa applicata al fantastico. Entra Gamberetta, la nostra professoressa, si mette alla cattedra e chiede a uno di noi di leggere l’incipit di un romanzo della Troisi, che tutti ci hanno detto essere la speranza del fantasy italiano, un giudizio del quale in fondo anche noi siamo quasi convinti. Ce ne stiamo in silenzio tutti concentrati nell’ascolto, nascondendo qualche sbadiglio, quando all’improvviso lei dice: “Escrementi”. E ci invita a mandare al diavolo quelli che considerano il fantastico come un genere in cui non vi siano regole, che ritengono lo scrivere un dono infuso alla nascita e non una tecnica che si affina con l’esperienza e con il rispetto di determinati princìpi. Infine, tra lo stupore generale, urla: “E adesso strappate queste pagine. Via tutto il primo capitolo, che poi passiamo al resto”.
Ecco, è così che io vedo quella scena. ^__^
La letteratura può e deve essere spiegata con lo strutturalismo scientifico ma solo fino ad un certo punto, proprio come l’immaginazione può e deve aiutarci a postulare delle ipotesi nel campo dell’astrofisica solo fino a un certo punto. E in nessuno dei due campi possiamo arrogarci il diritto di poter spiegare tutto fino in fondo e in ogni caso. Spiegare molto certamente, quasi tutto probabilmente, ma tutto tutto tutto no. Siamo esseri umani, imperfetti e in preda alle emozioni. La stessa fisica a un certo punto si scontra con il buon Eisenberg…
E, per Cuk, in tutta franchezza se è questo che Harris intende come legge morale, allora è un pensiero aberrante. Suggerirei una bella lettura della Critica della Ragion Pratica di Kant. La legge morale non ha contenuto, e men che meno può essere valutata scientificamente “in termini di sofferenza o benessere”.
Ma per carità del Cielo e degli uomini! Sicuramente Goering, Goebbels, Heidrich e compagnia bella (abbiate pazienza, ho letto da poco La Svastica sul Sole…) se la spassavano a Berlino, erano in pieno benessere e un eventuale rilevatore dello stato emotivo sarebbe andato fuori scala… ma erano degli immorali, se non degli amorali.
La tragedia dell’uomo è che l’unica morale è il “devi perchè devi” ed è la tua coscienza che ti dice DI VOLTA IN VOLTA come tradurlo nella realtà. Ma hai il libero arbitrio, hai una conoscenza limitata (maledetti noumeni!), sei solo un essere umano, quindi a tua volta con un elemento noumenico all’interno… e puoi sbagliare. Non esistono scorciatoie scientifiche che ci spieghino tutti i nessi causali e le possibili conseguenze di uno stato d’animo. Comprenderemo la reazione chimica che ne è alla base, ma la nostra indagine non può certo dirsi conclusa lì. Cosa sottintende a quella reazione? Perchè in una persona essa è più robusta e in un’altra meno? Quali altre reazioni scatenerà? Perchè quel libro che tutti dicono essere così schifoso, che io razionalmente riconosco come pieno di errori di scrittura e sintassi, continua a piacermi? Queste cose NON le sappiamo e NON le sapremo mai. Perchè la nostra razionalità è troppo complessa e sfuggente per essere compresa nella sua interezza, anche quando si esplica nel momento estetico di una reazione emotiva allo stimolo determinato da un’opera d’arte.
Agiamo per approssimazioni, diamo comunque dei giudizi che servano da riferimento (a proposito, grazie per la recensione di Temeraire, mi hai fatto risparmiare un bel po’ di soldini facendomi capire cosa fosse che mi “suonava strano” nell’estratto di Amazon), manteniamo la nostra onestà intellettuale e stiamo pronti per i casi imprevisti e/o imprevedibili.
Le regole sono la nostra ancora per il giudizio e la creazione artistica, non la puntata conclusiva della nostra attività di interpretazione della realtà.

PS: Procedo a unire questo articolo agli altri e a rispedirmelo per il Kindle! ^__^

#65 Comment By Emile On 19 novembre 2010 @ 14:42

Io non capisco sinceramente come si sia arrivati al discutere su se sia giusto o meno valutare l’arte con la logica, come se davvero qualcuno qui la pensasse diversamente o che.

#66 Comment By Bakke On 19 novembre 2010 @ 14:58

A volte quando? Puoi alternare emozioni di un tipo a emozioni di un altro: Anna prima strangola l’orco, poi si rilassa in spiaggia. Ma sono due mostrare. Non vedo perché dovresti essere vago e debole.

Perché può servire, proprio per distanziare e differenziare le situazioni/sentimenti: dipende, appunto, dalle finalità estetiche.
Ne “Lo Straniero” di Camus, questa tecnica è usata perfettamente. Vengono mostrate con vigore le azioni del protagonista, soprattutto quelle fisiche, e presentati con termini vaghi/astratti gli “altri”, la massa di persone a cui lui è totalmente alieno, a cui non dedica attenzione.
In questo caso si usano termini meno precisi e più sciatti per esplicitare l’indifferenza, e sono sicuramente più adatti a “mostrare” le idee del protagonista. Insomma, è una sorta (…) di “dire-per-mostrare”; il che, mi rendo conto, è uno strappo che conferma la regola, ma è comunque una parziale alterazione della stessa.

Riguardo Murakami purtroppo non posso copiarti quelle pagine (sono 5-6, circa) però credo che il concetto ti sarebbe chiaro anche con la traduzione in italiano, perché è abbastanza evidente e ripetuto, al di là delle parole usate che non so quanto siano precise/fedeli. Insomma, non è un elemento che emerge dai dettagli (non solo).
So che i romanzi successivi/odierni (post-kafka sulla spiaggia) vengono tradotti per bene, questo è degli anni ’80, quindi non garantisco per la traduttrice.

#67 Comment By Gamberetta On 19 novembre 2010 @ 15:33

@GSeck.

Sui silenzi, quelli che ho sottolineato sono rilevanti perché devono mostrare una tensione nei personaggi. Forse potevo sottolinearla meglio.

Se devi sottolineare silenzio e tensione non devi dirlo! Pensa a un film western, al duello tra i pistoleri fuori dal saloon. Il regista non può entrare in scena con un cartello: “C’è silenzio e tensione!” (a meno che non sia un film comico).
Allora cosa fa? Inquadra la cenere che sta per cadere dal sigaro del messicano; inquadra la polvere che si solleva dalla strada e copre gli stivali; inquadra le dita che sfiorano il calcio della pistola; inquadra la goccia di sudore che scende lungo la fronte; e così via. Questi particolari concreti comunicano silenzio e tensione.

Sul materiale dello Strumento, ho messo il “sembra” perché, in effetti, quello strumento è frutto della magia, non è di vero metallo.

Capisco il tuo ragionamento. Non è sbagliato. L’ho fatto anch’io per diversi passaggi di Laura… ed è un errore. Che cerco di non ripetere più. La mancanza di nitidezza che provocano i “sembra” annulla qualunque vantaggio teorico. Metti il metallo, anche se non è proprio metallo. Tanto il lettore non può distinguere il “metallo” dal “sembra metallo”, rendi farraginosa la lettura e basta.

Le ultime due frasi (Sono una stupida orgogliosa, e lei è la maestra. Almeno finché sono ancora giovane e inesperta.) volevano mostrare il suo progetto di non essere più una fatina che realizza i desideri ma una maestra.

Al massimo lo raccontano. Non cambia molto se a raccontare è il narratore o un personaggio rimane raccontare. Un’espressione come: “Stupida orgogliosa” deve diventare qualcosa di visibile – per esempio la fatina prova a fare una magia ancora più grande di quella della maestra con risultati disastrosi.

@Airon. È più o meno lo stesso problema di Lidia. Il dialogo è anche buono, però è mostrata più un’interazione tra i personaggi che non le caratteristiche di Lametta che avevo raccontato.

Comunque:

Acci… Beccata! Proprio la Superiora superpignola, uff…

Questo è lo stesso errore che Eliot attribuisce a Shakespeare nell’Amleto: c’è troppa distanza tra le emozioni di cui parli e i fatti esterni. Fiammetta è “superpignola”? Non mi sembra. Rendila sul serio superpignola! Non so, un dialogo così:

«Voglio dire, la mia Madrina voleva che lo tenessi io e–»
«Reverenda Madrina.»
Lametta scostò una ciocca di capelli. «Sì, appunto. La Reverenda Madrina voleva che–»
«Zitta! Fammi vedere le dita.»
«Scusi?»
«Le dita.»
Lametta allungò le manine.
«Allora avevo visto giusto. Come ti permetti di presentarti a un colloquio senza dipingere le giuste stelle sulle unghie?»
«Ma io… sono giuste perché–»
«Ti ho chiesto di giustificarti? Rispondi a tono!»

A questo punto non c’è neanche bisogno che il personaggio parli di “superpignola”, ce ne accorgiamo da soli.

Lo stesso vale per le altre tracce di raccontato, che dovresti eliminare, tipo perché è lo scopo dell’esercizio. ^_^ Perciò via il “tristemente”, via il “sommariamente”, via i “cinquanta metri”, ecc. cerca sempre e solo di mostrare.

@Ste. Stesso discorso già fatto. Un dialogo mostra il rapporto tra i personaggi, più che gli eventi di cui si parla. Per esempio:

Guardando il tuo curriculum vedo che non sei riuscita a mantenere lo stesso lavoro per più di due giorni…

Stai raccontando che Lametta non riesce a tenersi un lavoro, non lo stai mostrando.
E poi troppi termini/espressioni astratte/generiche: “scocciata”, “insolente”, “arrogante”, “alla ricerca di qualcosa”, “rabbia”, “cercare di liberarsi”, “e altro”, “gli insulti che conosceva”.
Lo so che è difficile. Ma l’idea è proprio di mettersi lì e usare solo dettagli sensibili, visualizzabili.

@Sinclair. Martin ha scritto come ha scritto solo per ragioni commerciali. Si sta dilungando non perché la materia o la tecnica impiegata lo richiedano, si sta dilungando solo per vendere più libri.

Entra Gamberetta, la nostra professoressa, si mette alla cattedra e chiede a uno di noi di leggere l’incipit di un romanzo della Troisi, che tutti ci hanno detto essere la speranza del fantasy italiano, un giudizio del quale in fondo anche noi siamo quasi convinti. Ce ne stiamo in silenzio tutti concentrati nell’ascolto, nascondendo qualche sbadiglio, quando all’improvviso lei dice: “Escrementi”.

Solo che non è andata così. Ci sono decine di migliaia di parole di analisi prima che abbia definito escrementi i romanzi di Licia. E non ho mai invitato nessuno a strappare o bruciare i libri, al massimo invito a scaricarli con emule in modo che ognuno si possa fare la propria idea gratis.

#68 Comment By AryaSnow On 19 novembre 2010 @ 15:45

Il nome “Lametta” mi fa venire in mente sinistri pensieri…
Vabbè, anch’io ho provato a fare l’esercizio. Scusa se non è molto fantasy (e se fa un po’ schifo).

Appoggiata al banco del negozio, Lametta guardava la foto della preda. Occhi azzurri, lieve strato di barba, lineamenti proporzionati. Era quasi un peccato ucciderlo. “Quasi”, sorrise tra sé.
«Signorina.» La voce di una cliente le fece alzare lo sguardo. Un’elfa, con un nero tailleur probabilmente cucito su misura. In mano teneva una scarpa con occhielli in oro massiccio. «Cerco un trentotto».
Lametta fece sparire la foto nel taschino della divisa da commessa.
«Si sbrighi, sono di fretta.» L’elfa contrasse le labbra truccate di rosso scuro.
“Quanto nervosismo, per una che trasuda soldi,” pensò Lametta, ma si limitò a spiegare le ali da fata e levarsi da terra, fino a raggiungere la mensola in cima. Controllò le etichette sulle scatole di scarpe e scelse il paio giusto. Udì a malapena una vibrazione alle spalle. Il cellulare nella borsa. Dopo aver passato alla cliente le calzature da provare, volò a prenderlo. Per cercarlo dovette frugare tra caramelle e spillette colorate, badando a tenere nascosto il pugnale sul fondo. Era arrivato un messaggio dalla mamma: “Dove sei finita, tesoro? Torna a casa”. Se solo avesse saputo del suo passatempo speciale… Lametta scosse la testa.
«Al diavolo!» L’elfa scagliò la scarpa a terra. «E’ troppo stretta, che razza di misura mi ha dato?»
«Quella che mi ha chiesto lei». Prese la scatola e se la rigirò sul palmo della mano, volgendo l’etichetta verso l’interlocutrice. «Vede?»
L’altra strinse gli occhi nel tentativo di leggere il numerino. Dietro di lei, un nuovo visitatore si affacciò alla porta a vetri, si tolse gli occhiali scuri ed entrò. Lametta rimase a bocca aperta. Era lui la preda. Le stava sorridendo.
«Dal vivo sei ancora più carina, e questo negozio…». L’uomo percorse cogli occhi le pareti di marmo, l’antico lampadario composto da quattro ghirigori metallici. «… è uno spettacolo! Lo so, l’appuntamento era più tardi al pub, ma morivo dalla voglia di vedere dove lavori».
Lametta si tormentò una ciocca di capelli. «Che bella sorpresa! Non preoccuparti, il mio orario stava già per finire.» Sperava di avere un tono di voce credibile.
L’elfa si interpose tra loro. «Io sto aspettando le scarpe giuste».
Lametta prese la preda a braccetto, si infilò la borsa sulla spalla opposta, stando attenta a non rovinare le ali. «Mi scusi, oggi esco prima. Cerchi un altro negozio».
«Che sfacciataggine! Mi lamenterò col suo datore, può considerarsi licenziata.» Si allontanò con un ticchettio di tacchi.
Uscirono anche loro. In strada faceva molto più caldo, senza l’aria condizionata.
«Mi dispiace per il tuo lavoro. E’ colpa mia,» fece la preda.
«Tranquillo, stasera ti farai perdonare.» Gli ammiccò. «Ci divertiremo.»

#69 Comment By Sinclair On 19 novembre 2010 @ 16:03

Martin ha scritto come ha scritto solo per ragioni commerciali. Si sta dilungando non perché la materia o la tecnica impiegata lo richiedano, si sta dilungando solo per vendere più libri.

Possibile, come anche il fatto che non sappia più come uscire dai (parecchi) gineprai in cui si è cacciato… E’ un’ipotesi condivisa da molti e che tengo in seria considerazione, rafforzata dallo sconfortante ritardo di A Dance with Dragons. ^__^;;;

Solo che non è andata così. Ci sono decine di migliaia di parole di analisi prima che abbia definito escrementi i romanzi di Licia. E non ho mai invitato nessuno a strappare o bruciare i libri, al massimo invito a scaricarli con emule in modo che ognuno si possa fare la propria idea gratis.

Una prospettiva interessante, quella del mulo, non lo nego… ^__^;;
Ovviamente non ho mai pensato che tu te la cavassi sbrigativamente con le tue recensioni, che anzi considero uno dei punti di maggiore interesse e di più rigorosa riflessione dell’intero blog.
Al cinema una scena in cui Keating si mette ad analizzare con sufficiente completezza le tesi di Pritchard non avrebbe mai potuto funzionare. I media sono differenti e in quel frangente era necessario il “gran gesto” che ci descrivesse in pochi secondi il carattere, le idee, il modo di esprimersi del personaggio (anche da queste intensità, indubbiamente esasperate, discende la forza emotiva di un’opera).
E nulla mi toglie dalla testa che ritenere “sufficiente calcolare l’area totale della poesia per misurarne la grandezza” sia un’incredibile ingenuità. E’ il concetto di materializzazione insito nell’”area totale” che mi lascia interdetto, come non smette mai di stupirmi la capacità di noi essere umani di esprimere giudizi perfettamente sensati senza aver bisogno di definire un metodo unitario di analisi, per di più esprimendoli su soggetti che sfuggono all’applicazione di misurazioni oggettive.
Forse la nostra intelligenza è più “intelligente” di quanto pensiamo… ^__^;;;

#70 Comment By Mauro On 19 novembre 2010 @ 16:03

Feleset:

c’è da dire che anche a parità di interpretazione le emozioni possono essere diverse

Certo, per quello ho detto “anche perché a parità di video/testo l’interpretazione può essere diversa”.

Gamberetta:

Inquadra la cenere che sta per cadere dal sigaro del messicano; inquadra la polvere che si solleva dalla strada e copre gli stivali; inquadra le dita che sfiorano il calcio della pistola; inquadra la goccia di sudore che scende lungo la fronte; e così via

Questo però non inserisce il narratore esterno? Se i personaggi sono così concentrati sul duello, nell’attesa dell’attimo di sparare, difficilmente noteranno la polvere, la cenere del sigaro, e dettagli simili.

#71 Comment By Airon On 19 novembre 2010 @ 16:15

È più o meno lo stesso problema di Lidia. Il dialogo è anche buono, però è mostrata più un’interazione tra i personaggi che non le caratteristiche di Lametta che avevo raccontato.

Sì, me ne sono accorto poco dopo averlo postato.

Ho una domanda riguardo le correzioni. Il mostrare deve essere filtrato attraverso il cervello del POV, come dici quando fai l’esempio dell’architetto che pensa ad un palazzo in termini di metri.
A prescindere dal fatto che poteva (doveva) essere scritto meglio, per un personaggio permaloso è lecito definire “superpignolo” un altro che lo sia solo marginalmente?
Anche quel “tristemente” era stato messo per sottolineare l’opinione di Fiammetta su Lametta e il suo disordine.
Ora voglio sapere: ho sbagliato solo la forma, e tali opinioni è giusto che filtrino nel mostrare se scrivo con più eleganza, o è sbagliato proprio come concetto e devo ometterle? Quel “tristemente” va riscritto in modo migliore o brasato senza pietà?
Presumo che cambi da caso a caso, ma volevo la tua opinione su quando sì e quando no.

#72 Comment By Ste On 19 novembre 2010 @ 16:43

@ Gamberetta il mio problema (nel finale) sia stata la “paura” di scrivere qualcosa di troppo lungo.
In ogni caso messaggio ricevuto ‘^^

#73 Comment By Adriano On 19 novembre 2010 @ 16:59

Ed Ecco anche il mio compito per casa. Speriamo di prendere almeno la sufficienza!

Il buio della notte portò Lametta a incespicare sui gradini che conducevano alla porta incassata nel tronco della Vecchia Quercia facendola cadere bocconi sullo stuoino. La cinghia della borsa che aveva a tracolla si allentò e il contenuto si sparse giù per le scale fino al sottobosco.
“Porco Oberon,” sibilò contorcendo la bocca in una smorfia di stizza, “ho bevuto troppo succo di lampone!”
La Fatina afferrò il pomello con la destra e si tirò in piedi con un grugnito. Barcollò giù per le scale e cominciò a raccogliere le proprie cose nominandole via via che le rimetteva nella borsa: “Ecco la mia pietra runica… ecco il cappello-ghianda… ecco il rossetto al ribes…”
Una luce illuminò Lametta. “Ed ecco dove sei tu, sciagurata!” la interruppe una voce stridula.
La Fatina si voltò proteggendosi gli occhi con le mani e vide, in piedi sulla soglia, sua madre che la fissava con severità.
“Ti sembra questa l’ora di tornare?” l’apostrofò la genitrice, “Questa quercia non è un albergo!”
“Torno quando mi pare e piace, chiaro?” fu la risposta. “O forse preferiresti che non tornassi più?”
“Non dico questo,” ribadì la genitrice abbassando la voce, “solo vorrei sapere cosa fai là fuori tutta la notte…”
“Ho i degli affari,” spiegò Lametta con tono di sufficienza.
“Che affari?” la madre adesso sembrava incuriosita.
“Miei, nel caso ti fosse sfuggito!” tagliò corto la Fatina rimettendosi a raccogliere le proprie cianfrusaglie.
La Fata più anziana fece un profondo respiro. “Non essere sempre così ostile, Lametta. Non sei più tanto giovane che io ti debba sempre controllare, anzi, sei abbastanza grande perché possiamo essere amiche. Potremmo… Lametta mi stai ascoltando?”
La Fatina si raddrizzò dopo avere riposto nella borsa l’ultimo oggetto, una mandibola di scarabeo. “A dire la verità, no. Mi sono un attimo distratta a raccogliere le mie cose. Non doveva essere nulla di troppo importante.”
“Signorina, cosa ne diresti se decidessi di tagliarti i fondi una volta per tutte?” sbottò la madre.
“Direi che mi troverei un lavoro. Anzi, lo dico.” Lametta girò sui tacchi ondeggiando pericolosamente e si allontanò, ignorando l’ennesimo richiamo della madre.

***

Lametta marciò nella foresta buia con passi sempre più decisi, accompagnata dal tintinnio degli oggetti che aveva nella borsa, diretta alla radura dove aveva ballato con le sue amiche quella notte. I primi raggi del sole facevano capolino tra le cime degli alberi illuminando il cerchio di funghi deserto; c’era solo un piccolo Brownie dai radi capelli grigi intento a lucidare le cappelle delle Amanite.
“Dove sono tutti?” chiese lametta sbattendo le palpebre.
Il folletto non rispose e le voltò le spalle chinandosi su un fungo più basso degli altri.
“Dico a te, gnometto,” sbottò Lametta pestando un piede a terra, “dove è tutta la gente che festeggiava?
Il Brownie si voltò lentamente e si asciugò le mani sul grembiule marrone. “Sono un Brownie, signorina, non uno Gnomo,” esordì con voce gracchiante, “e la gente che ballava adesso è andata via, immagino a casa.”
“Bell’aiuto che mi dai, sguattero!” sbottò la Fatina.
Il Brownie si strinse nelle spalle sottili e tornò al proprio lavoro. Lametta rimase a fissarlo per alcuni istanti a braccia conserte, poi si allontanò dalla radura trascinando i piedi.

***

Era ormai mattina inoltrata quando giunse alla Collina Cava. Percorse lentamente tutto il perimetro dell’altura fino a vedere l’imboccatura di una caverna; un cartello scritto in tutte le lingue del Piccolo Popolo recitava “Ufficio di Collocamento” e, impettito accanto all’ingresso c’era uno Spriggan di guardia. Lametta osservò per un attimo i lineamenti della creatura: fronte bassa, naso bulboso, labbra gonfie e pelle grigiastra. Fece un sospiro profondo e passò accanto al guardiano diretta alla caverna. L’essere protese un braccio innaturalmente lungo e le sbarrò la strada.
“Posa la borsa prima di entrare,” le ordinò con un brontolio gutturale.
“Perché mai?” squittì Lametta cercando di evitare il contatto con lo Spriggan.
“Regolamento.”
“Ma… Ecco… Va bene, ma non toccare nulla, eh!”
Lo Spriggan afferrò la tracolla che Lametta gli porgeva e lasciò cadere la sacca sulle’erba vicino all’entrata. Il tintinnio degli oggetti fece rabbrividire Lametta. Sentendosi nuda, la Fatina penetrò nella galleria.

***

“Quindi, ricapitolando, nemmeno il lavoro di pulire il Cerchio delle Fate la mattina presto le va bene?” Il Pixie impiegato all’Ufficio di Collocamento si tolse gli occhiali e si pizzicò l’attaccatura del naso.
“Certo che no!” ribadì Lametta ritta in piedi davanti alla scrivania nell’angusto ufficio. “Avete già mandato uno Gnomo a fare quel lavoraccio!”
“Premesso che si tratta di un Brownie,” spiegò lentamente il Pixie, “quello che lei dice non è l’unico Cerchio di Fate della zona. Senza contare che l’addetto alle pulizie avrà ben diritto a un giorno libero…”
“E dateglielo! Io non posso mettermi a pulire dopo aver ballato tutta la notte! Sono qui da venti minuti e ancora non mi avete proposto un lavoro decente!”
“Veramente io le avevo proposto quel posto nella pelletteria di O’ Mallory, il Leprechaun…” ragionò il Pixie.
“Che guarda caso lavora anche i sabati e le domeniche, giusto? Quando le altre Fate vanno in città a festeggiare nascoste in mezzo agli umani. Ma vi pare che io alla mia età e con la mia cultura possa chiudermi in una stanza a fabbricare scarpe?”
“I Leprechaun lavorano all’aperto, a dire il vero…”
“Peggio! Esposta alle intemperie come una bestia! Ci sono altri lavori o no?”
“Ecco…” il folletto si guardò attorno smarrito, “per la verità ci sarebbe…”
“Cosa? Cosa!?”
“Un posto di facchino nelle miniere dei Duergar…” il Pixie fissò il foglio che aveva sulla scrivania e proseguì rivolto più a lui che alla Fatina. “In Cornovaglia.”
Lametta strinse i piccoli pugni fino a farsi penetrare le unghie nel palmo delle mani e guardò l’impiegato con gli occhi socchiusi. Il Pixie sollevò lo sguardo e accennò un sorrisetto: “Viaggio a carico del committente. Mi pare buono, no?”
La Fatina si voltò e uscì a lunghi passi dalla stanza. Proseguì verso l’uscita della galleria senza chiudersi alle spalle la porta.
“Se mi sbrigo posso raggiungere le amiche al Salone di Bellezza della Grande Roccia. Magari loro mi faranno un piccolo prestito per noleggiare una libellula questo pomeriggio… Che vita stressante!”

#74 Comment By Crush My Soul On 19 novembre 2010 @ 17:43

Nell’ultima settimana ho spulciato un pò il tuo blog, mi sembrava strano che non avessi ancora citato quella scena de “L’attimo fuggente”. Giusto per dire la mia, è molto più idiota lo schema del libro del gesto di Keating. Il film può essere letto come il tentativo da parte del professore di far ritrovare un pò di spirito dionisiaco agli alunni , schiacciati dalla disciplina dei genitori. In generale penso sia comunque un bel film, con ottimi picchi drammatici.

Comunque, una domanda. In alcuni passaggi parli del cosa e del come, ma non riesco a capire bene a cosa tu ti riferisca. Io sono dell’idea che il come, cioè lo stile (grossomodo), venga prima del cosa. Ovvio, sono entrambi importanti e si possono anche influenzare a vicenda; ma con uno stile ben elaborato si può riuscire a rendere un’opera interessante partendo da un’idea di base già vista, mentre è difficile che idee di partenza interessanti possano affascinare se trattate male. O no? Cioè magari hai detto la stessa cosa, solo non mi era molto chiaro.

#75 Comment By cutubulla On 19 novembre 2010 @ 18:13

Salve. Seguo da un bel po’ il blog, anche se ho scritto pochissime volte… Volevo solo dire che sono d’accordo con lo ‘show, don’t tell’ e che sia una regola importantissima, però secondo me non deve essere l’Unica e la Sola. Voglio dire che a volte il raccontato, ma il raccontato bene, può essere valido quanto il mostrato: penso a Pratchett e ad alcune sue similitudini o descrizioni tutt’altro che chiare o vivide, ma così curiose e… geniali, che mi hanno trasmesso emozioni forse più di quanto avrebbero potuto fare se fossero state mostrate. Ora non è che dico: “Raccontiamo tutto in modo assurdo, abbasso il mostrato!”: Solo, a volte potrebbero esserci delle eccezioni allo ‘show, don’t tell’ =P

#76 Comment By Gamberetta On 19 novembre 2010 @ 19:40

@Mauro.

Questo però non inserisce il narratore esterno? Se i personaggi sono così concentrati sul duello, nell’attesa dell’attimo di sparare, difficilmente noteranno la polvere, la cenere del sigaro, e dettagli simili.

Sì, ma nell’esempio di GSeck il punto di vista era appunto esterno: la fatina che guarda la tensione crescere tra i due ragazzi.

@Airon.

A prescindere dal fatto che poteva (doveva) essere scritto meglio, per un personaggio permaloso è lecito definire “superpignolo” un altro che lo sia solo marginalmente?

Sì e no. Faccio un esempio:

Lo gnomo sbatté il piatto di maccheroni sul banco. Tra il sugo spuntava lo spillone. Lametta allungò la manina, acchiappò lo spillone, lo pulì con l’orlo del grembiule e se lo infilò tra i capelli, sotto la cuffietta.
«Be’, mi è scivolato.»
«Be’ un corno! Se non me ne accorgevo tu portavi in tavola la pasta con gli spilli! Rischiavi di bucare la pancia di qualcuno!»
Lametta si strinse nelle spalle. «Quante storie.» Certo che è proprio un superpignolo.

L’ultimo pensiero è naturale (se voglio mostrare la visione distorta del mondo di Lametta)? Sì. Però se scrivo:

[...]
Lametta si strinse nelle spalle. «Quante storie. E poi guarda lì, prepari da mangiare con le unghie sporche.»

Ho espresso più o meno lo stesso concetto, ma senza ricorrere al “superpignolo” che, per quanto naturale, costringe comunque il lettore a un lavoro mentale.

Perciò il “superpignolo” ci può stare, ma si possono trovare soluzioni migliori – si devono trovare se l’esercizio è sul mostrare.

Anche quel “tristemente” era stato messo per sottolineare l’opinione di Fiammetta su Lametta e il suo disordine.

È da tagliare, e tra l’altro, ora che me lo spieghi, ti posso dire che è due volte un errore: primo appunto perché è un termine astratto; secondo perché, se il tristemente lo attribuisci a Fiammetta, è un cambio di punto di vista in mezzo a una scena – infatti io lo avevo attribuito a Lametta, che constata “tristemente” come i suoi averi siano ridotti male.
Ogni scena, un solo punto di vista. Se scegli quello di Lametta (come testimoniano i suoi pensieri), ogni parola è filtrata dal suo di punto di vista, non puoi introdurre il punto di vista di un altro personaggio.

@AryaSnow. Uhm, ma Lametta è fata o fatina. O è una fata o se è una fatina tutti gli altri personaggi e oggetti sono piccini in proporzione a lei. Comunque a parte questo “problema”, più o meno potremmo esserci. Sono mostrate diverse delle caratteristiche che avevo raccontato.

Non funziona:

Era arrivato un messaggio dalla mamma: “Dove sei finita, tesoro? Torna a casa”. Se solo avesse saputo del suo passatempo speciale…

È molto raccontato che Lametta è scappata da casa, non è mostrato. Non è mostrata Lametta che dorme sotto un ponte.

Un paio di dettagli di raccontato:

Un’elfa, con un nero tailleur probabilmente cucito su misura.

Il “probabilmente” è uguale al “sembra” che è uguale al “circa” e “quasi”. Tagliare. Tanto “cucito su misura” e “probabilmente cucito su misura” creano la stessa immagine mentale.

“Quanto nervosismo, per una che trasuda soldi,” pensò Lametta, ma si limitò a spiegare le ali da fata e levarsi da terra, fino a raggiungere la mensola in cima.

“ma si limitò” è raccontato. “fino a” anche (ok, questa è una minuzia, ma si sa che Gamberetta è superpignola).
Perciò puoi tagliare (“dispiegò le ali, si levò da terra, raggiunse la mensola in cima”), oppure puoi cercare di mostrare i concetti.
Non so:

“Quanto nervosismo, per una che trasuda soldi,” pensò Lametta. “Gli elfi, chi li capisce è bravo.” Scosse la testa. Dispiegò le ali e volò alla scaffalatura. Atterrò sulla mensola in cima, il fiato corto.

Notare che il pensiero della fatina è anche naturale, ma se si organizza il tutto in modo da evitare il “nervosismo” (e il mio “capisce è bravo”) sarebbe un punto di merito.

@Adriano.

Speriamo di prendere almeno la sufficienza!

Sì, c’è la sufficienza. E poi io sono buona, non sono come le vere maestre, quelle che costringono gli allievi a infilare le mani nella neve e poi picchiano sulle nocche gelate con il righello.

Hai mostrato quello che io ho detto di Lametta, ma lungo la strada hai lasciato un sacco di raccontato.

Per esempio:

[...] e cominciò a raccogliere le proprie cose nominandole via via che le rimetteva nella borsa: “Ecco la mia pietra runica… ecco il cappello-ghianda… ecco il rossetto al ribes…”

Se vuoi mostrare questa situazione sarebbe più:

La fatina si mise a quattro zampe. Le dita passarono tra l’ebra fradicia. Metallo freddo sotto i polpastrelli. Si chinò ad annusare. “Il rossetto al ribes”. Ficcò l’oggetto nella borsa. Raccolse un sassolino, lo avvicinò al viso. Strizzò gli occhi. “La mia pietra runica?”

E così via.

Oppure:

“Ho i degli affari,” spiegò Lametta con tono di sufficienza.
“Che affari?” la madre adesso sembrava incuriosita.

“spiegò”, “tono di sufficienza”, “sembrava incuriosita” è tutto raccontato.

Vediamo, come potrebbe essere meglio, per me basta solo tagliare e cambiare un po’ le battute:

“Ho degli affari, va bene? Affari che tu non puoi capire” disse Lametta.
“Di preciso, quali affari?”

Poi via via via tutti quegli avverbi. Devi tutti mostrarli, nessuno di quelli che hai lasciato ha ragion d’essere.

Un’ultima nota anche se non riguarda lo “Show don’t tell”: fa niente se ripeti i nomi dei personaggi, è meglio chiamare un personaggio sempre madre, che non “la genitrice” o “La Fata più anziana”, perché non sono sinonimi ovvi, il lettore deve fare fatica mentale per associarli allo stesso personaggio.
“Fatina” o “Lametta” va bene. “La madre” e “La Fata più anziana” sono troppo distanti.

@Crush My Soul.

[...] ma con uno stile ben elaborato si può riuscire a rendere un’opera interessante partendo da un’idea di base già vista, mentre è difficile che idee di partenza interessanti possano affascinare se trattate male. O no? Cioè magari hai detto la stessa cosa, solo non mi era molto chiaro.

In generale mi occupo poco del cosa, perché il cosa è una decisione insindacabile dell’autore. Se un autore vuole parlare di elfi o vampiri io al massimo posso dirgli che sono argomenti triti e che difficilmente potrà scrivere un romanzo originale, ma alla fin fine è una decisione sua.

Poi, se chiedi la mia opinione, io preferisco un romanzo originale scritto male a uno trito scritto benissimo. Ma è un’opinione teorica, perché in pratica chi riesce a mettere assieme idee originali di solito è anche abbastanza furbo da imparare a scrivere. Mentre chi ha uno stile balbettante di solito è anche perché ha poca esperienza e dunque nessuna o quasi possibilità di partorire idee originali.

Ma, ribadisco, è un discorso che lascia il tempo che trova. Ognuno scrive quello che gli pare, l’argomento è esclusivo appannaggio dell’autore. Però, una volta scelto il cosa, sul come si può discutere. Il come può essere studiato e chi vuole fare lo scrittore deve impararlo.

#77 Comment By Airon On 19 novembre 2010 @ 21:15

ok sul pignolo.

vado un filo OT

È da tagliare, e tra l’altro, ora che me lo spieghi, ti posso dire che è due volte un errore: primo appunto perché è un termine astratto; secondo perché, se il tristemente lo attribuisci a Fiammetta, è un cambio di punto di vista in mezzo a una scena – infatti io lo avevo attribuito a Lametta, che constata “tristemente” come i suoi averi siano ridotti male.

ho (forse erroneamente) immaginato la scena in modo cinematografico. Lametta è chinata a rovistare nella borsa; stacco su Fiammetta che guarda schifata l’inchiostro; Lametta riemerge dalla borsa e scena d’insieme.

Lametta, chinata sulla borsa, non può vedere Fiammetta. Come posso mostrare le reazioni di un personaggio esterno al mio POV, che sia presente ma non “inquadrato” al momento? Devo rassegnarmi a costruire la scena in modo diverso, o c’è un modo?
Ricordo un passaggio di “how to write a damn good novel II” in cui si suggerisce un trucco per POV che cambia rapidamente; ricordo male o esiste davvero?

#78 Comment By AryaSnow On 19 novembre 2010 @ 21:27

@Gamberetta: Ehm sì, la mia Lametta è una fata. La volevo grande quanto gli altri, così ho osato prendermi questa libertà. Comunque in effetti avrei anche potuto rendere tutti i personaggi delle creaturine piccole, e creare una mini ambientazione su misura per tutti^^

È molto raccontato che Lametta è scappata da casa, non è mostrato. Non è mostrata Lametta che dorme sotto un ponte.

Ah capisco, ci voleva proprio una cosa così diretta…
Però mi sa che per questo dovrei per forza aggiungere almeno un’altra scena, allungando il tutto. No?

Grazie della lettura!

PS: sul “probabilmente” sono stata indecisa fino all’ultimo. Sarà uno di quei casi in cui si cede alla tentazione di inserire una parola inutile, nel dubbio che serva :-P

#79 Comment By Andrea On 19 novembre 2010 @ 21:48

Ho provato con Scintilla, ma temo di non aver centrato appieno la descrizione e di essermi concentrato troppo sui dialoghi.

«Ecco fatto!» esclamò Scintilla, e fece un giro attorno alla gigantesca testa di pietra. «Come volevi tu, no? Ma avrai bisogno di altri vestiti. E di un letto più grande».
La testa mugugnò.
Scintilla si colpì in fronte. «Che sbadata! È ovvio che vuoi vederti!» Con uno schiocco di dita fece comparire uno specchio. «Ecco fatto» ripeté. Volò sulla testa e contemplò il riflesso. «Noterai che mi sono ispirata alle statue dell’Isola di Pasqua. Spaventose. E quindi anche tu sei spaventoso. Vedrai che domani a scuola quel bulletto scapperà via urlando».
La testa mugugnò ancora.
«Come?» Scintilla si librò vicino alla bocca. Poggiò l’orecchio sulla superficie ruvida e disse: «Ripeti. Scandisci bene».
«Mmm».
«Non ti stai impegnando molto». Scintilla scosse la testa. «Ho capito, ci devo pensare io. Ancora. Sarò anche la tua fatina madrina, ma dovresti provare a essere un po’ più indipendente. Pensa alle statue dell’Isola di Pasqua: hanno fatto strada, e non c’era nessuna fatina ad aiutarle. Che io sappia».
Schioccò di nuovo le dita. Le labbra si schiusero con lo stesso rumore di una cerniera.
«Scintilla!» Voce grossa e gutturale.
Scintilla volò fin sopra l’armadio e prese a studiarsi le unghie. «Sì?»
«Che ti avevo detto sui desideri?» sbottò la testa. «Eh? Che ti avevo detto?»
«Di avverarli, no?»
«No» rispose la testa. «Cioè, sì. Ti ho detto di non fraintendere e di non fare assurdità».
«Le teste dell’Isola di Pasqua non sono un’assurdità» disse Scintilla. Strinse le labbra e incrociò le braccia al petto. «È offensivo. Per me e per loro».
«Allora hai frainteso».
«No che non ho frainteso. Ho fatto esattamente quello che mi hai detto».
«Quando mai ti ho detto di trasformarmi in una testa di pietra?»
«No». Scintilla aggrottò la fronte. «Hai detto: “Voglio diventare grande e grosso, così gliela faccio vedere io a quel bulletto di merda”. E io ho detto: “Non dovresti usare queste parole”. E tu hai detto: “Fa’ come ti dico o ti chiudo in un cassetto per una settimana”. E io ho fatto come mi hai detto».
«Non…»
«No!» esclamò Scintilla. «Tu hai detto “grande”, e ora sei grande. Se saltassi toccheresti il soffitto. E poi hai detto “grosso”, e ora sei grosso. Pesi sicuro cento volte quanto pesavi prima. E, per concludere, per fargliela vedere a “quel bulletto di merda” ho immaginato intendessi fargli paura. E te lo ripeto, così sei spaventoso. Non c’è niente di più spaventoso delle teste dell’Isola di Pasqua. Se poi hai qualcosa di cui lamentarti, chiama pure il Comitato Fatine Madrine, ma non ti aspettare di…»
«Comitato Fatine Madrine!» tuonò la testa.
Lo specchio si frantumò e si dissolse. Scintilla avvampò, sbuffò e urlò: «Tu! Non ne capisci niente di desideri! Cercavo solo di aiutarti e tu… tu…»
Si aprì un portale di luce sul letto. Scintilla tornò sopra l’armadio, incrociò gambe e braccia e disse: «Vedrai. Vedrai che daranno ragione a me».

#80 Comment By Anonimo Qualsiasi On 19 novembre 2010 @ 23:49

@Tapiroulant

Premetto che sono un fautore e portare di un Io Sublime. :-D

Giudicare le intenzioni di un’opera cinematografica a partire dagli effetti e dalle forme con cui i suoi spettatori (siano essi una parte maggioritaria o minoritaria), mi pare piuttosto sbagliato.

Kubrik, ad esempio, tutto avrebbe voluto meno che i giovani si riversassero sulle strade per compiere efferatezze e vandalismo, quando realizzò Arancia Meccanica, ma a ben guardare ottenne proprio quella conseguenza. :-)
Ovvio che questo sia un caso limite, poi potremmo farne anche altri, se, ad esempio, io avessi una maggiore cultura cinematografica! XD

#81 Comment By Samuele On 20 novembre 2010 @ 00:37

Devo dire che il compito è stato veramente rognoso. Ma d’altronde se si vuole imparare qualcosa (e non è detto che ci sia riuscito…anzi). E’ la prima volta che mi capita di seguire un discorso serio sullo scrivere, per la maggior parte si tratta di incensature o stroncature che in ogni caso non portano da nessuna parte.
Si sente in questo blog che c’è la passione per quello che fai. Di questo vale la pena ringraziarti, sono pochi, pochissimi quelli che si farebbero un mazzo così argomentando perché e per come si scrive. Grazie.

Le ali traslucide erano macchiate in più punti di opaco e di fuliggine.
Scintilla cercò di non pensarci, ma più evitava di tornarci con il pensiero e più la sua testa ci si fissava, più e più volte. Aveva cercato di lisciarsele con le mani, le aveva sfregate nell’acqua fresca di rugiada, le aveva piegate e distese sperando che quell’onta scomparisse dai suoi occhi ma non c’era stato proprio nulla da fare. Erano là, macchiate e consumate e non appena la sua Fata Maestra si fosse accorta di quella cosa sarebbero stati guai.
Non che Scintilla avesse paura della punizione che le sarebbe stata assegnata: la cosa che temeva di più era la vergogna, il disagio che seguiva la scoperta di quanto aveva fatto stavolta. Scintilla iniziava sempre qualcosa su di giri e con le migliori intenzioni, ma quando aveva fatto tutto la Fata Maestra era là, con quello sguardo, a metà tra il compatimento e la più profonda disperazione, a ndirle che per l’ennesima volta aveva sbagliato tutto.
Fiammetta scrollò le spalle, con un leggero fremito delle ali. Il leggero movimento le procurò una piccola fitta di dolore bruciante: forse le ali non si erano soltanto macchiate quando aveva attraversato le fiamme. Eppure metteva tutta se stessa nel soddisfare gli altri, ma non per questo la cosa le veniva mai riconosciuta. O peggio: non sempre i suoi sforzi erano addirittura premiati da un lieto fine. Come quella volta che aveva aiutato il lupo a entrare nella casa di Cappuccetto Rosso. Quel povero lupo le aveva raccontato di essere rimasto chiuso fuori, al freddo. O quella volta che Cenerentola aveva dovuto partecipare al ballo e all’ultimo momento Scintilla si era proposta per sostituire la Fata Madrina che si era sentita male. Non era colpa sua se aveva smarrito il paio di scarpe in tinta con il vestito. O ancora quando la matrigna di Biancaneve era passata troppo tardi e aveva trovato chiuso al negozio di frutta e verdura. Scintilla era stata ben felice di poter essereutile, procurandole tutte le mele che voleva, povera vecchina disperata.
La giovane fatina, un’espressione trasognata in viso, passava la punta delle dita sulle labbra mentre contava le occasioni nelle quali era stato necessario il suo intervento. A ogni sorriso nel ricordo seguiva l’espressione amareggiata della consapevolezza che in qualche modo aveva fallito senza volerlo veramente e per questo la fata Maestra l’aveva ingiustamente ripresa.
Non era certo colpa sua se si impegnava a fondo in quello che faceva. L’unico problema era che non sempre si rendeva conto quando fosse il caso di intervenire o meno, ma con l’esperienza e una lunga pratica avrebbe imparato. Ne era sicura.
Per esempio: quei bambini, come si chiamavano? Grendel e Hemmental? O piuttosto Hansel e Gretel? Sì meglio in questo modo… avevano desiderato una casa di marzapane. Ci era voluto un po’ di tempo e parecchio del suo potere, ma alla fine Scintilla li aveva accontentati, finanche nel brillio dorato della maniglia che i bambini avevano subito ingordamente sgranocchiato, ancor prima di entrare. Era venuta proprio bene e del sapore giusto al vedere i sorrisi estasiati di quei due bambini, sorrisi tali da scaldarle subito il cuore. Per non parlare del brillio dei loro occhi! Stavolta aveva fatto il suo dovere da fatina fino in fondo.
Era entrata con loro pregustando già i complimenti che avrebbe ricevuto dalla Fata Maestra, almeno stavolta. lei non avrebbe pensato, al pari di Scintilla, di mettere finanche il carbone dolce nel caminetto.
Ma dentro alla casa c’era già qualcuno: una vecchia corpulenta che teneva ben attizzata una fornace di fuoco vero, di legna e non di carbone dolce. Chissà poi perché.
Per questo motivo una Scintilla imbronciata stava osservando da rispettosa distanza il fumo scuro che si levava dal comignolo. Le ali continuavano a farle male per la frustrazione: cosa aveva sbagliato stavolta? Forse le aveva sbattute troppo e troppo in fretta mentre usciva da tutto quel fumo acre e soffocante, grazie a una lastra di zucchero trasparente mancante alle finestre. Ma la fata Maestra sarebbe stata soprattutto molto contrariata quando avesse saputo come era cambiata la luce del giorno da quanto Scintilla si era appostata là fuori, aspettando invano che uscissero anche i bambini.

#82 Comment By Invernomuto On 20 novembre 2010 @ 01:15

Sì, oh oracolo, però il fatto che Anna debba stare in punta di piedi NON mi dice assolutamente niente riguardo all’altezza, perché, pur volendo mostrare che qualcuno sia più alto di lei, non abbiamo idea di quanto sia alta.
Come sa bene chiunque abbia qualche base scientifica, per ogni cosa è necessario un metro di riferimento universale, e come tu stessa ci hai ben ricordato, bisogna sempre specificarlo.

Esattamente come “valeva 40 monete” non ci rappresenta niente, sinchè non conosciamo il valore esatto ed oggettivo di una moneta, il fatto che qualcuno sia alto quanto Anna in punta di piedi NON ci descrive nulla sinchè non sappiamo, in modo chiaro ed oggettivo, quanto sia alta Anna.

Anna potrebbe essere alta 150cm nostrani, e di conseguenza chi si rapporta a lei sarebbe tutt’altro che “imponente”, ed anche volendo “mostrare” in precedenza l’altezza di anna paragonandola a, chessò, un tavolo, dovremmo per forza conoscere anticipatamente le misure dello stesso, e ad un certo punto di questa infinita catena di paragoni troveremmo necessario l’intervento esterno dell’autore che dia un metro oggettivo.

Esattamente come Michele, che ce l’ha grosso una mano e mezza, o una mano virgola settantacinque, ma DI CHI?
Perchè se io faccio un cerchio con le mie due mani, relativamente grandi, direi che Michele sviene ogni volta che ha un’erezione, dato che si ritroverebbe con un membro virile equino, se invece voglio immaginare le mani della protagonista, che potrebbe avere delle mani decisamente minuscole, non posso non immaginare un Michele ipodotato ed infelice.

Show don’t tell va anche bene, in alcune situazioni, e posso anche immaginare il fascino che può esercitare, ma è assolutamente innegabile che spesso e volentieri, in una storia, sia necessario l’intervento esterno (più subdolo possibile) dell’autore, che possa dare parametri oggettivi.

#83 Comment By Emile On 20 novembre 2010 @ 04:25

@Invernomuto:Il tuo esempio del pene e delle due mani è assolutamente non calzante; è vero che se prendiamo come mentro di riferimento le mani di un nano potremmo arrivare a misure imbarazzanti, ma è altrettanto vero che se qualcuno trova scritto in un libro di un membro “grosso come due mani” si immagina subito qualcosa da film porno, punto. Non conta nulla il disquisire su cosa teoricamente potrebbe anche significare un simile paragone in caso di mani super basse, conta che immagine ti dà una simile frase ed è quella che ho appena descritto.
E in linea generale Gamberetta ha perfettamente ragione, si può “mostrare” quasi qualunque cosa senza problemi (metto il “quasi” perché può essere che, in rari casi, non ne valga la pena per qualche motivo, come il fatto che il risultato finale non sarebbe granché).
L’esempio della tipa in punta di piedi non è perfetto “per se” (magari è lei ad essere piuttosto bassa) ed andrebbe rafforzato con altri uno/due episodi adatti a far risaltare l’altezza del personaggio, ma se ne possono pensare molti altri che invece renderebbero subito l’idea in modo chiarissimo.

#84 Comment By AryaSnow On 20 novembre 2010 @ 08:26

Per i motivi che ha già detto Emile, non c’è alcun bisogno di interventi del narratore.
Più che altro, di fatto in molti casi il raccontato fa parte dello stesso PdV scelto, non del narratore. “Intervento esterno” per me è quando si dicono cose che il PdV non può sapere e/o pensare. In ogni caso, resta il fatto che mostrare avvicina di più il lettore alla scena.

Io tendo a dare importanza anche a questo punto dell’articolo:

Ho già illustrato una ragione che può spingere a raccontare invece di mostrare: quando, considerato il punto di vista, raccontare suonerebbe più naturale.

Ecco.
Se Anna è il mio PdV e lei è stata in qualche modo colpita dall’altezza di Michele quando l’ha visto, dire che è alto in modo solo indiretto (“Michele si abbassò per entrare nella carrozza”) non rispecchia bene questo suo stato psicologico. Trovo calzante in questo caso dire “Michele era alto”, perchè nella realtà quando si vede una persona alta e si presta attenzione a ciò, capita di pensare proprio “X è alto”. Poi sì, anche in questo caso sarebbe bene comunque anche mostrare, in modo da rendere l’affermazione più concreta.

Non so… vorrei sapere se Gamberetta è d’accordo.

#85 Comment By Gamberetta On 20 novembre 2010 @ 11:12

@AryaSnow.

Però mi sa che per questo dovrei per forza aggiungere almeno un’altra scena, allungando il tutto. No?

Probabilmente sì. Ma fa niente. L’idea è di non sbrodolarsi: il che vuol dire non scrivere di più di quello che serve, ma se nel tuo scenario servono due scene, va benissimo due scene. Anche il mio esempio di Fiammetta, pur corto, aveva due scene (lei che esce dalla teiera, lei in giardino).

@Airon. Il pezzetto è questo:

«Ce l’ho!» le mani della fatina sparirono nella borsa a tracolla, rovistando. «L’ho preso a… voglio dire, la mia Madrina voleva che lo tenessi io.» posò sul banco di Fiammetta due mezzi gusci di noce levigati, una boccetta di inchiostro azzurro, tre pennelli, poi riprese a rovistare la borsa «É qui, adesso lo trovo!»
La fata Superiora prese tra indice e pollice la boccetta di inchiostro e la inclinò; il fluido restò immobile, tristemente secco. «Mezzaluna ti ha donato il Libro? Credevo avesse a cuore la tua indipendenza.» Fiammetta posò la boccetta e si pulì i polpastrel-li sul bordo della gonna, arricciando le labbra.

Siccome fino a quel punto il pdv è stato saldamente di Lametta, quando tu scrivi che “La fata Superiore ecc.” il lettore si immagina Lametta che, mentre fruga, con la coda dell’occhio segue i movimenti di Fiammetta. Quando arriva il “tristemente” lo attribuisce a Lametta.
Se d’altra parte scrivi esplicitamente che Lametta ficca il visino nella borsa (e dunque non può vedere Fiammetta), poi non puoi dire niente dell’altra fata. Il pdv che ti scegli a inizio scena è quello che ti porti appresso fino alla termine della scena, con i limiti del caso.
Però non è così grave. Qui avresti potuto dire, non so:

La fata Superiora prese tra indice e pollice la boccetta di inchiostro e la inclinò; il fluido restò immobile, secco. La fata Superiora aggrottò le sopracciglia. Gettò la boccetta nel cestino della carta straccia.

E pur mantenendo il pdv di Lametta (che sbircia mentre fruga) abbiamo lo stesso un’idea di quello che pensa Fiammetta delle cianfrusaglie.

Ricordo un passaggio di “how to write a damn good novel II” in cui si suggerisce un trucco per POV che cambia rapidamente; ricordo male o esiste davvero?

Io ricordo che Frey racconta che ci potrebbero essere dei trucchi per cambiare pdv in una scena senza infastidire il lettore, ma poi non mostra alcun esempio. Però ormai l’ho letto tempo fa e devo controllare.
In ogni caso rimarrebbe un’eccezione. Nel 99% dei casi se non cambi il pdv in una scena è meglio.

Con il cinema è più facile perché spesso il cinema adotta un pdv di narratore onnisciente. La telecamera non è legata a un personaggio per un’ora con tanto di pensieri (e invece questo tipo di cose succedono regolarmente nei romanzi), dunque i cambi di pdv sono molto meno traumatici – anche perché appunto spesso non sono veri cambi di pdv, è semplicemente il narratore che punta la telecamera verso un altro personaggio, ma la realtà continua a essere filtrata da lui, non dal personaggio.

@Andrea. Sì, come già visto con altri, è più mostrato il rapporto Scintilla – testa di pietra che non il carattere di Scintilla. Una sequenza avrebbe potuto essere:
* Scintilla è redarguita dalla Fata Maestra che le dice di non fare più magie finché non avrà imparato.
* Scintilla esce in strada, vede il ragazzo che viene picchiato dai bulli.
* Dato che Scintilla è al contempo testarda, orgogliosa e desiderosa di aiutare il prossimo, ignora la Fata Maestra e trasforma il ragazzo in pietra.
* Scintilla si rende conto di aver commesso uno sbaglio.
Mostrare il più possibile, e cercare di suscitare emozioni.

@Samuele. L’idea di attribuire a Scintilla disastri nelle fiabe è carina, ma il brano è tutto raccontato.
Pieno di espressioni tipo: “Non che Scintilla avesse paura della punizione che le sarebbe stata assegnata: la cosa che temeva di più era la vergogna, il disagio che seguiva la scoperta di quanto aveva fatto stavolta.” dove devi riuscire a rendere tangibili, attraverso situazioni concrete, i sentimenti. Non so, per la vergogna puoi mettere che le punizioni sono svolte in pubblico con le altre fatine compagne di Scintilla che la prendono in giro. In nessuno punto dovrei leggere che Scintilla si vergogna, però io dovrei provare quel sentimento.

O anche i ricordi delle fiabe, mostrali! E più efficace un passaggio mostrato che diversi racconti. Metti la scena con la strega davanti alla saracinesca abbassata del fruttivendolo, Scintilla che la vede, ecc. Oppure il Lupo a testa china seduto su un tronco con lo stomaco che brontola, Scintilla che lo vede, ecc.

L’idea è di calare il lettore nella storia. Senza raccontare da lontano.

@Invernomuto.

Sì, oh oracolo [...]

Come è spiegato nell’articolo, non ti interessa mai l’altezza assoluta. Non te ne fregerà mai niente se Michele è alto 2 metri e 10 o 2 metri e 14. Per la storia sarà importante se Michele ha difficoltà a trovare i vestiti (l’altezza in rapporto a pantaloni e camice), se Michele è in imbarazzo con le altre persone (l’altezza in rapporto alla fidanzata, al fratello, al collega), se Michele non riesce a dormire (l’altezza in rapporto ai materassi) o altro.
Non ti interessa se il carro armato pesa 20 tonnellate o ne pesa 21, ti interessa se è troppo pesante per attraversare il ponte o no. Così tutte le altre misurazioni.

#86 Comment By Giobix On 20 novembre 2010 @ 13:37

L’inquadratura cinematografica che riprende il pdv del personaggio è La “soggettiva”, e di solito dura pochi secondi alternata al pdv onnisciente.
Questo video dei Prodigy è quasi interamente girato in soggettiva, con un cambio al pdv onnisciente solo nei secondi finali
(attenzione: contenuti espliciti)
http://www.youtube.com/watch?v=StAbpvntNkA&feature=related

#87 Comment By Unoqualunque On 20 novembre 2010 @ 15:02

Va bene il mio compito?

Licia, in piedi sulla scrivania, aveva appena sfiorato con la punta della bacchetta magica il foglietto che stringeva fra le dita.
Scintilla ringhiò, balzò dal letto e saettò verso di lei con le braccia e le mani tese.
Licia guizzò verso la finestra e si adagiò sul davanzale; nascose il foglio dietro il sederino e fissò la compagna con un sorriso sprezzante.
“Maraka!” grido Scintilla dalla scrivania, e si morse il labbro. Sentì un liquido caldo bagnarle il mento.
Licia aggrottò le ciglia e scosse il capo. L’imposta delle finestra si spalancò e la colpì sulla schiena.
La fatina precipitò a terra, e il foglio fluttuò nell’aria.
Scintilla schizzò a recuperarlo prima che toccasse terra, poi strappò la bacchetta magica dalle mani di Licia che giaceva esamine. Toccò la carta con la bacchetta e vide dissolversi il racconto che la compagna aveva scritto per gli Uomini.
Spiccò il volo soddisfatta, ma urtò con la testa lo spigolo dell’imposta e le si annebbiò la vista.
Quando riprese i sensi, si trovò sdraiata a terra. Licia era scomparsa e al suo posto stava in piedi una fatina sconosciuta, completamente nuda, che le porgeva una rosa nera. Scintilla sollevò appena l’avambraccio, prese il fiore e mormorò: “Finalmente.””

#88 Comment By Invernomuto On 20 novembre 2010 @ 15:04

@Aryasnow: Questo intendevo, qualsiasi sia il tuo PdV, non è impossibile che sia il personaggio stesso a voler “raccontare” invece che mostrare, e, notando che questa posizione non era contemplata nell’articolo ho deciso di chiedere delucidazioni a Gamberetta, che probabilmente se l’è anche presa per l’ “oracolo”, che invece è un epiteto appropriato!

Penso che per quanto lo show don’t tell sia un metodo efficace, è anche vero che dipende effettivamente dal livello di accuratezza necessario alla storia.
Giustissimo sostenere che dire che “Bucefalo scuoteva la terra ad ogni movimento e qualsiasi stallone sembrava un puledro accanto a lui”, ma non trovo impossibile o “forzato” che uno dei generali di Alexandros poaa Spere, e riferire, che la bestia pesi 20 talenti (sì, sono anche unità di peso, oltre che monetarie).

Lungi da me voler commentare la velidità di un metodo contro l’altro (sono opinioni, e val la pena solo di discutere i fatti), chiedevo solo un chiarimento che mi è stato genitlmente dato da gamberetta, ovvero che il metodo è valido solo nel caso NON ci serva una misura assolutistica.

#89 Comment By Magdalena On 20 novembre 2010 @ 17:23

Ho una domanda, e mi scuso se è già stata data una risposta, ma i commenti sono tanti:
- in caso in cui si voglia scrivere un racconto/romanzo in forma epistolare, è inevitabile il raccontato o mi sbaglio?

Posto che è una forma vecchissima che non viene usata, credo, da secoli, ma che funziona ancora se rileggiamo i classici del genere, come ci si deve regolare secondo te?

Grazie in anticipo!

#90 Comment By tasso barbasso On 20 novembre 2010 @ 18:41

@Magdalena.

Posto che è una forma vecchissima che non viene usata, credo, da secoli,

Esistono diversi esempi di romanzi recenti e recentissimi che sono parzialmente o totalmente epistolari. In questo momento mi vengono in mente La scomparsa di Patò e La concessione del telefono, che io (per quel che può valere) considero i migliori libri di Camilleri insieme a Il birraio di Preston (tutti e tre non “montalbaniani”).

#91 Comment By tasso barbasso On 20 novembre 2010 @ 18:55

@Magdalena.

Mi pare che nel caso di un romanzo totalmente epistolare la distinzione tra “raccontato” “mostrato” non abbia senso: lì ci sono solo personaggi che si parlano, coerentemente, usando il proprio specifico linguaggio e attingendo alle propria conoscenza e visione della vicenda.

#92 Comment By We,Who fell in love with the sea On 20 novembre 2010 @ 19:50

Provo anch’io

“Aaaaaiii love you faaairy lalà lalala lllà ai love you faaairy lilì lilili lllì…”
“Pronto? Ah.Hm.Oh mio Dio,povera,agisco immediatamente.”
“Click. Tuuu tuuuu tuuuu”
Via delle Cascine 55,ore 22 e zero zero.
Si trascinò fino alla sedia; strinse le mani allo schienale e tirò con forza. Le gambe scorsero,a fatica,lungo i tagli nel legno. Aprì i pugni e si lasciò cadere,ma stette diritta: le profonde venature le causavano dolori alla schiena. Si piegò in avanti,poggiò i gomiti sul tavolo ed inforcò gli occhiali che teneva appesi al collo. Toccò i capelli,radi e bianchi, e si frugò nelle tasche del grembiule. Ne tirò fuori una foto,in bianco e nero,di un uomo,sulla sessantina,esile,occhi scavati,coppola in testa,camicia panciotto e farfallino.”Michele…ti prego torna da me,torna da me..”.Le si inumidirono ed arrossarono i piccoli occhi.”Michele…”si ripeteva,a bassa voce “Michele…” “Driiiiiiiiiiiin” La donna posò l’immagine,scosse la testa e si stropicciò gli occhi,afferrò nuovamente lo schienale e fece leva sul braccio. “Arrivo!” .La porta si trovava a pochi passi,così come il bagno e la camera da letto.” Chi è?” “Enel.” rispose una voce maschile,debole ma dal tono rassicurante.
“hahahahaha”.La donna era ignara che una piccola creatura,proprio in quel momento,stesse spanciandosi sopra l’armadio,rigorosamente in legno scuro,vicino il portone. L’esserino aveva i rossi occhioni fissi sulla scena,lucidi per le risa,due alette diafane che si muovevano veloci su e giù,un corpicino dalle fattezze umane,all’inpiedi,con un braccio teso,poggiato al muro,e l’altro piegato, che ne copriva la bocca con la mano.
“Si,subito” rispose la donna,girando la chiave.”Cara!” “AAAHHH!” La signora fece un balzò all’indietro e cadde sul posteriore,ma lo spavento era tale che non tolse gli occhi dal suo ospite”Amore,sono io! Non mi riconosci?”.Il tizio fece un passo avanti,barcollando,con le braccia tese,ma uno gli si staccò di netto e cadde sulle caviglie della donna “Ops!” “AAAAAHHHH!!” il contatto con l’arto marcio,secco e bluastro la paralizzò dalla punta dei piedi a quella dei capelli,esclusa la bocca.”Michele?! Non può essere! Oh Dio Oh Dio ti prego salvami!” pianse. “Si,sono io,sono tornato. Puzzo,è vero,e sono pieno di vermi,però sono io! Fatti abbracciare….” pianse anche l’uomo,con il braccio nuovamente teso. “Oops!” “AAAAAAAHHHHH!!!” Michele cadde rovinosamente sulla moglie,la quale perse i sensi,faccia a faccia con il defunto marito.”Ah,l’amour” Esclamò la creaturina che guardava la scena dall’alto,con un grande sorriso stampato sulle labbra e qualche lacrimuccia che le bagnava le piccole guance. “Aaaaaiii love you faaairy lalà lalala lllà ai love you faaairy lilì lilili lllì…” Mise una mano nel taschino destro dei pantaloncini ed estrasse un minuscolo cellulare
“Pronto?”
“Scintilla! Che diavolo hai combinato??” ringhiò una voce femminile,bassa e grave,dall’altro lato della linea.
“Ah,Maestra,ho reso felice una vecchia signora”. Rispose candidamente l’esserina
“Bene ma…come? Ricevo dei segnali di negromanzia proprio nella tua zona”
“hehe…beh…ho zombificato il marito”
“Tu..COSA??? Tu non sei una fatina,sei una INCOMPETENTE! Te l’ho detto mille volte,non si scherza con la negromanzia,è una cosa seria,diamine!”
“Ma…io…volevo solo farla felice…” miagolò Scintilla,che subito dopo perse la calma
“Uffa! Che noia che siete,voi e le vostre inutili regole,io voglio solo portare la felicità!”
“Cretina!” Urlò infuriata l’altra
“Così crei solo un sacco di casini! Per fortuna sei ancora debole nell’arte dei morti,basterà poco per far scomparire i tuoi guai.Mi raccomando,dopo teletrasporta la carcassa e vieni subito da me.SUBITO.”
La Maestra riattaccò e Scintilla rimise il cellulare in tasca.La fatina sbattè i pugni contro il muro e sbuffò; lasciò l’armadio e volò a terra ai piedi dello zombie,addormentatosi sulla moglie poco dopo che questi era svenuta. La piccola creatura incrociò le braccia e chiuse gli occhi.”Vade Retro Michele!” urlò. Riaprì gli occhi e saltò sulla testa della carcassa,si sedette e scomparve in un attimo,insieme al corpo.

#93 Comment By Solvente On 20 novembre 2010 @ 20:38

«Capo…emm…Signor Lumacone, c’è qui la signorina Lametta. Il colloquio delle 12…»
Il Capo addentò la bomba e staccò gli occhi dalla rivista. Schizzi di crema impiastravano la scrivania e le guance grassocce.
Muoveva gli occhi verso un punto indefinito dietro di lei.
Lametta sventolò le braccia su e giù, finché quello la inquadrò.
Rimase a fissarla a bocca aperta, il resto della bomba schiacciato tra le dita tozze. «Ma che cazz…E ‘sta cosa che sarebbe?»
«’Sta cosa sarebbe una fatina» bofonchiò.
L’uomo si alzò. Indossava una vestaglia rosso sbiadito, sopra boxer bianchi con i papaveri rossi. Granelli di zucchero si tenevano in equilibrio sul rigonfiamento della pancia.
Le veniva incontro con gli occhi porcini stretti a fessura. «Ma che cazz…»
Lametta tossicchiò e scandì: «Signore, capisco la sue perplessità, ma le assicuro che la taglia non costituisce intralcio nello svolgimento dell’impiego. La invito pertanto a non farsi fuorviare da preconcetti, e a giudicarmi in base…»
Quello si chinò in avanti. Teneva una mano sulla testa pelata, come se volesse sostenerla. «Ma che cazz…». L’alito puzzava di tabacco e crema pasticciera..
La fatina guardò il soffitto. Guardò il pavimento. Diede qualche calcio all’aria. «Signore, scorgo ancora un’ombra di dubbio sulle mie capacità. Le chiedo pertanto di poter dimostrare con i fatti…»

Non che le frasi standard da colloquio numero uno e numero due avessero funzionato fino a quel momento: quattro settimane di colloqui, e neppure uno straccio di lavoro.
Quella mattina poi…uno schifo.
Dal fioraio sembrava andasse bene: il vecchio l’ascoltava in silenzio, pulendosi gli occhialoni con la camicia, finché non aveva arrotolato il giornale e l’aveva rincorsa.
A nulla era valso esibire i documenti e giurare di non essere un’ape mannara. Alla fine aveva deciso di lasciargli l’illusione. Un po’ le spiaceva: la nonna non sarebbe stata felice per il suo spillone da balia conficcato nel collo dell’uomo.
Al Call Center, la tizia delle risorse umane si era addirittura dichiarata disponibile ad assumerla. Fatta salva una restrizione della paga proporzionale alla taglia ristretta.
Aveva declinato con un sorriso gentile, che aveva mantenuto il tempo necessario a far scivolare un piccolo palluffolo nel taschino dell’arpia. Ne portava sempre un paio con sé nella sacca portatutto: quegli animaletti simpatici e tenerissimi divorano il corpo dell’ospite dall’interno, con una lentezza proporzionale alla taglia ristretta.

«Ma che cazz…»
Alzò il tono della voce: «Signore, mi metta alla prova. Le garantisco che non se ne pentirà.»
Il Signor Lumacone si raddrizzò. Ora esibiva un sorrisetto scemo.
«Vabbè, vediamo la carrozzeria.»
Lametta digrignò i denti. Sentiva il viso avvampare. Posò a terra la sacca portatutto. Indugiò un attimo sulle spalline del prendisole. Le lasciò cadere. Sotto indossava reggiseno e mutandine di pizzo nero.
Il Capo fischiò. «Ahpperò! La forma c’è. Sentiamo la sostanza.»
La mano aperta dell’uomo le corse incontro. E le sbatté addosso.
«Ahi!»
«Ops. Mi sa che dovrò “testare” in altro modo.» Avvicinò il pollice e l’indice alle tette, e strinse.
«Ahia! Oh!»
«Ottima carrozzeria. Una Mini, direi.» Partì una risata sguaiata.
Autocontrollo. Autocontrollo. Autocontrollo.
«Forse si può fare. Vediamo…Servirà un mini-palo per la lap dance. Una matita?» Ancora sghignazzamenti. «Il difficile sarà far entrare le banconote negli slip.»
Lametta strinse i pugni e si conficcò le unghie nella carne.
Autocontrollo. Autocontrollo. Autocontrollo. Stupido mantra della stupida psico-fatina.
«Certo, il vero problema sarà nel privè: come fai a…» Chiuse la bocca, e se la pulì col dorso della mano. Col pollice indicò il davanti dei boxer. «Anzi, mostramelo.»
Il porco aveva ragione: mostrare è meglio che raccontare. Realizzò di aver raccontato fin troppo. Gamberetta l’avrebbe cazziata di brutto. E l’autore con lei. Si chiese se il pensiero del personaggio-punto-di-vista poteva essere mostrato, oppure fosse necessariamente un raccontato.
Quella domanda le fece balenare un’idea.
Sbatté le sopracciglia. «Si metta comodo, arrivo subito.»
Si infilò nella sacca. Ma dov’era? Eppure l’aveva usata proprio quella mattina, quando aveva deciso di tentare anche quell’ultima spiaggia.
La intravide sotto il conta-battiti-d’ali, proprio accanto alla spazzola per pulci.
«Eccola!» esultò.
Autocontrollo. Autocontrollooo! AUTOCONTROOOOOOLLOOOOOOO!
Volò canticchiando verso i papaveri rossi.
Gamberetta sarebbe stata fiera di lei: stava per mostrare al maiale come si era guadagnata il glorioso nome Lametta.

#94 Comment By Gamberetta On 21 novembre 2010 @ 01:14

@Unoqualunque. Onestamente non ho capito il brano. Cioè, ok, ma come si collega al tema dell’esercizio? È un tantino troppo criptico.

@Invernomuto.

[...] ma non trovo impossibile o “forzato” che uno dei generali di Alexandros poaa Spere, e riferire, che la bestia pesi 20 talenti (sì, sono anche unità di peso, oltre che monetarie).

Mettiamo pure che non sia né impossibile, né forzato. Rimane il problema di fondo che il lettore non è in grado di vedere i “20 talenti”. È come dire: “se ho un personaggio giapponese, non è normale che pensi in giapponese?” Sì, lo è. Ma se riporti i pensieri in giapponese non ti capisce nessuno. Qui lo stesso. Perciò se riesci a evitare i numeri è sempre un passo avanti, anche quando i numeri non sarebbero un vistoso errore.

@Magdalena.

in caso in cui si voglia scrivere un racconto/romanzo in forma epistolare, è inevitabile il raccontato o mi sbaglio?

Sì e no. Io posso scrivere così:

Ciao, Michele. Sai perché ti scrivo questa mail? Perché non ti immagineresti cosa ho combinato a seguire il tuo consiglio. Era martedì e stavo andando all’università quando…

[e qui scrivi la scena/le scene in prima persona con tutti i crismi della buona narrativa]

Perciò ti ringrazio ancora per il consiglio. A risentirci.
Anna.

In pratica c’è una sottile “cornice” di raccontato e poi c’è il mostrato. Però a questo punto dovresti domandarti: vale ancora la pena di usare l’artificio delle lettere? E forse la risposta sarà no.
Questo se è un romanzo. In un racconto il raccontato(…) può funzionare di più perché, se l’argomento è interessante, il lettore non fa a tempo ad annoiarsi. Per esempio prova a leggere “Exhalation” di Ted Chiang. Non sono proprio lettere, ma è il diario di uno scienziato alieno. Alla fine è un racconto persino emozionante. Tuttavia siamo ai limiti, se Chiang allungasse un po’ di più con questo stile penso che il lettore si stuferebbe.

@We,Who fell in love with the sea. Normalmente non sto lì a segnalare certe cose, però te le devo dire:
1) Metti gli spazi dopo la punteggiatura! Dopo il punto, la virgola, i tre puntini di sospensione, ecc. ci vuole uno spazio. Se appiccichi le parole alla punteggiatura diventa faticoso leggere.
2) Dividi i dialoghi con i giusti paragrafi, altrimenti è dura seguirti:

“Si,subito” rispose la donna,girando la chiave.”Cara!” “AAAHHH!” La signora fece un balzò all’indietro [...]

Dovrebbe essere:

“Sì, subito” rispose la donna, girando la chiave.
“Cara!”
“AAAHHH!” La signora fece un balzo all’indietro [...]

A parte questo, l’idea di base non è malvagia. Può essere adeguata per mostrare quello che era richiesto. Però devi scrivere con più calma. Mettendo i soggetti, e chiarendo meglio i passaggi.

“Aaaaaiii love you faaairy lalà lalala lllà ai love you faaairy lilì lilili lllì…”
“Pronto? Ah.Hm.Oh mio Dio,povera,agisco immediatamente.”
“Click. Tuuu tuuuu tuuuu”
Via delle Cascine 55,ore 22 e zero zero.
Si trascinò fino alla sedia; [...]

Un incipit così è difficile da capire. Meglio:

“Aaaaaiii love you faaairy lalà lalala lllà ai love you faaairy lilì lilili lllì…” squillò il cellulare.
La fatina Scintilla accostò il telefono all’orecchio. “Pronto?” La fatina annuì. “Ah. Oh mio Dio, povera. Agisco immediatamente.”
Click
Via delle Cascine 55, ore 22 e zero zero.
La signora si trascinò fino alla sedia [...]

Basta poco per rendere il testo più fluido. Non avere paura a ripetere i soggetti delle azioni. Meglio una ripetizione che un dubbio del lettore su chi-ha-fatto-cosa.

@Solvente. La prima parte è ok, ma il finale no. La scivolata verso la “meta-narrativa” è brutta. Mostra Lametta che taglia le palle al tizio. Non sarà una descrizione piacevole, d’altra parte hai scelto tu questa situazione e hai scelto tu di dare questo tono così cattivo al personaggio (vedi il “palluffolo”).
Manca poi che Lametta sia scappata da casa e i suoi molti impegni. Pazienza. Nel complesso non è scritto male. Se si escludono le ultime righe sono quasi tutti termini concreti. Bene.

Forse si può cercare di integrare meglio i ricordi, magari spezzando quel brano e inserendo i due colloqui precedenti in punti di versi. E così si eliminerebbe:

Non che le frasi standard da colloquio numero uno e numero due avessero funzionato fino a quel momento: quattro settimane di colloqui, e neppure uno straccio di lavoro.
Quella mattina poi…uno schifo.

Che è proprio brutto raccontato.
Ma sono piccolezze.

#95 Comment By Airon On 21 novembre 2010 @ 10:39

Ci ho riprovato, cambiando proprio scena (nota, il soggetto del mostrare è sempre Lametta, anche se il POV è Scintilla):

I riccioli biondi di Scintilla sventolavano sotto il frullare delle ali «Allora, com’è andata? Raccontami, raccontami!» la fatina svolazzò a ridosso della sua amica.
Lametta abbassò gli occhi e si strinse nelle spalle. Scrollò le ali dalla brina e posò a terra con un tonfo i borsoni che portava a tracolla; una nocciola intagliata a muso di scoiattolo rotolò fuori.
«Oh…» Scintilla fermò le ali e atterrò leggera «Dai… sono sicura che la prossima volta andrà meglio!» cercò lo sguardo di Lametta, ma questa si era lasciata sprofondare nel mezzo cocco imbottito, le ginocchia raccolte al petto e le ali avvolte a bozzolo. «Fiammetta mi ha urlato dietro ogni dieci minuti.» la voce usciva soffocata da dietro le ali «Non mi ha neanche pagato il giorno completo. Ha detto che le ho fatto perdere tempo e basta.»
Scintilla sistemò i borsoni dell’amica in un angolo, poggiando la nocciola scolpita a fianco, poi si sedette sul bordo della noce di cocco.
«Sono certa che esagerava… e non ti preoccupare se non ti ha pagato. Puoi restare qui quanto vuoi, lo sai. Giovedì è l’Equinozio: possiamo andare giù ai Campi Gialli a prendere un po’ di miele d’inverno!»
«Non ho soldi neanche per quello.»
«Oh…» la fatina bionda si morse la lingua «beh, lo compro io e te ne regalo un po’! Mezza noce di miele è tanta per me, comunque.»
«Sei un tesoro, Shee.» Lametta aprì le ali e stiracchiò un sorriso verso l’amica «Ma non voglio mandarti in rovina. Domani notte ho la prova con Madrina Meridiana.» tirò fuori dalla camiciola un frammento di carta «Se riesco a farmi dare tre notti la settimana come fatina dei denti, potrò finalmente cercarmi un posto mio.»
Scintilla prese il foglio dalle mani di Lametta «Via Mulini d’Oro 1? Ma…»
«Sì? Lo conosci? Hanno bambini tranquilli?»
«Sì, no, è… andrà tutto bene, davvero.»
Lametta si alzò in piedi «Shee, che c’è? È un bimbo pestifero? Hanno gattacci insonni?»
«É… Lamy, è l’orfanotrofio.» Scintilla abbassò lo sguardo e arrossì come se fosse colpa sua.
«Vecchiaccia malefica!» Lametta sferrò un calcio alla mezza noce di cocco, che iniziò a girare su sé stessa «Lo ha fatto apposta, lo so!»
«Ma no, è… è solo sfortuna! Farai un figurone comunque, ne sono certa!»
«Shee, l’orfanotrofio! Fatina dei denti all’orfanotrofio! Te la ricordi Madrina Lucilla? Esaurimento nervoso! Un bimbo ha cercato di staccarle l’ala destra. E questa mi ci manda per l’apprendistato!»
Scintilla tacque, mordendosi le labbra. Madrina Lucilla aveva volato in cerchio per un mese dopo l’incidente.
Lametta camminava su è giù per la stanza, le mani congiunte sulla nuca, la testa stretta tra gli avambracci, imprecando a bassa voce.
«Carogna, maledetta carogna marcia bastarda.»
«Lamy… Lametta» la fatina bionda fece per poggiare la mano sulla spalla dell’amica, ma questa la smanacciò via e si voltò di spalle.
«Lametta, ascolta. Andrà tutto bene.» aprì la porta della cucina, continuando a parlare ad alta voce «Adesso metto a scaldare un po’ di nettare di pesco.» versò il liquido in una ciotola, schioccò le dita e un fuoco azzurrino si accese sotto di essa. «Tu intanto ti calmi, la smetti di andare su e giù come una formica e ti siedi. Beviamo un sorso di nettare, poi magari lavori un po’ allo scoiattolo, ti va? Così ti distrai. Stanotte una bella dormita, poi domani rientro presto così ti auguro buona fortuna e vedrai che la prova andrà benissimo. Sono sicura che…»
Si interruppe nell’udire la porta sbattere. Tornò nel salotto e Lametta era sparita. Uno dei borsoni era aperto, la testa di scoiattolo rotolava sempre più lenta verso la parete opposta.
Scintilla si chinò sulla borsa. Mancava la fiocina da zanzare.
Ma sì, sfogati un po’, vai a caccia saggiò con le labbra il bordo della tazza, bagnandole appena di nettare caldo Madre Natura sa se domani sarai tu a dover evitare le grinfie dei bimbi.

meglio dell’altro?

#96 Comment By Unoqualunque On 21 novembre 2010 @ 11:34

@Gamberetta. Più che sforzarmi di rispettare il tema dell’esercizio, l’ho usato solo come spunto. Ho figurato in mente una scena e ho cercato di mostrarla. Ci sono riuscito?
Ah, c’è un intrusione del narratore, forse evitabile: dove dice “il racconto che Licia aveva scritto per gli Uomini”. Ho “forzato” un po’ per far capire che Scintilla, essendo orgogliosa, si era incazzata poiché Licia voleva scrivere storia per gli uomini al posto suo. Ho sempre odiato i “temi” imposti!

#97 Comment By Solvente On 21 novembre 2010 @ 12:14

Gamberetta: Sì, nel finale sono rientrato in “modalità esercizio”, e dal punto di vista del racconto, stona decisamente.

Un paio di cose che non so bene come gestire:
1) Come calibrare la soggettività del punto di vista. Certo, il punto di vista è per definizione soggettivo, ma a volte sembra che i giudizi del personaggio fagocitino l’oggettività della situazione, la rendano “troppo” personale. Non so, forse la questione è tenere la telecamera più sugli occhi del personaggio che nella testa, in modo da evitare un surplus di valutazioni personali.
2) Questione più banale. Quando interagiscono due o più personaggi, e il contesto (del dialogo o delle azioni) non chiarisce chi agisca, come evitare di dover precisare X dice/fa, Y dice/fa.

#98 Comment By Ari On 21 novembre 2010 @ 13:47

Buongiorno!
Seguo da molto tempo il blog ma non avevo mai commentato. Ho provato a svolgere l’esercizio.

Scintilla sbatteva le alucce dorate, zigzagando tra i cespugli. Sfiorò con la punta delle dita i petali di una rosa. Alzò lo sguardo. Un raggio di sole la colpì negli occhi. Chiuse le palpebre.
Quando le riaprì si trovò davanti il tronco di un albero.

SBAMM.
Strusciò sulla corteccia, roteò su sé stessa e atterrò col sedere sul fango. Il braccino destro aveva una ferita che partiva dal gomito e arrivava a metà avambraccio. Sanguinava. Scintilla passò la mano sinistra sul taglio.
Il palmo era impiastricciato di sangue e puzzava di ferro.

Scintilla si voltò di scatto. Un bambino era seduto accanto a lei e la osservava. Gli occhi erano arrossati e le guance bagnate. Stringeva le ginocchia al petto. Scintilla nascose le braccia dietro la schiena, si alzò in piedi e gli sorrise.
Si inchinò, sfarfallando le alucce.
Il bambino sbuffò.
scattò Scintilla alzando il mento.
Il bambino si strinse nelle spalle. Si pulì il moccio che colava dal naso con la manica della polo.
<Io una strega?!> Scintilla schizzò davanti al bambino. disse agitando l’indice.
Si accomodò su un ginocchio del bambino, lasciando penzolare una gambetta nel vuoto.
Il bambino sciolse l’abbraccio e stese la gamba libera. Le guance si erano asciugate.
Il bambino pinzò tra il pollice e l’indice le alucce dorate, e la posò a terra. Si alzò in piedi, si chinò in avanti e raccolse un filo di nylon. Lo arrotolò attorno al polso.

Il bambino camminava a testa bassa, calpestando ciuffi d’erba e fiori. Scintilla lo raggiunse, gli afferrò il colletto e lo strattonò.
Gli fece l’occhiolino. Il bambino sospirò.
Tirò su il polso ed esibì il filo ingarbugliato.
La fatina svolazzò attorno alla testa del bambino, planò verso i suoi piedi e poi tornò davanti a lui piroettando.
Il bambino accennò una risata.
Scintilla roteò gli occhi al cielo. Disse con una vocetta querula.
la interruppe il bambino. Indicò la cima di una quercia gigantesca.
Scintilla seguì la direzione del dito. “Lassù” era ad almeno venti metri di altezza. E non c’erano tracce di aquiloni. Doveva essere nascosto tra le foglie.
aggiunse il bambino.
Scintilla ravanò nel borsellino che teneva legato alla vita. Ne tirò fuori una bolla trasparente, dentro la quale c’era una lucetta che pulsava. Gli fece una linguaccia.
Il bambino rise e cominciò a correre verso l’albero.

La storia è banale ma volevo solo concentrarmi sull’esercizio. Mi sono accorta che i personaggi si muovono molto mentre parlano, ma ho descritto poco/niente l’ambiente in cui sono. E’ giusto o sbagliato? All’inizio c’è un po’ di descrizione, ma mi sembrava che ad aggiungere particolari in mezzo al dialogo ci si sarebbe deconcentrati da quello che stavano dicendo Scintilla e il bambino.

Approfitto del post per fare i complimenti a Gamberetta per il blog, e per segnalare un paio di refusi che ho trovato rileggendo alcuni articoli.

-”Dalle cronache alle guerre del mondo emerso”
Sotto l’immagine del libro di Mieville

così pare naturale a chiunque abbia letto Nihal che qualunque altro romanzo debba essere almeno un poco miglio.

—> meglio

-”Segnalazioni: Romanzi italiani dei mesi perduti”
Quarta frase

E il particolare deprimente è che i suoi romanzi sono trai i migliori

—> tra i

Grazie per l’attenzione! :)

#99 Comment By Ari On 21 novembre 2010 @ 13:53

Oddio mi sono accorta che mancano pezzi di dialogo! Dev’essere per via delle virgolette… Lo rimetto a posto, scusate ancora!

#100 Comment By Ari On 21 novembre 2010 @ 14:10

Rieccolo! Memorandum per il futuro: usare sempre l’Anteprima, prima di mandare messaggi…

Scintilla sbatteva le alucce dorate, zigzagando tra i cespugli. Sfiorò con la punta delle dita i petali di una rosa. Alzò lo sguardo. Un raggio di sole la colpì negli occhi. Chiuse le palpebre.
Quando le riaprì si trovò davanti il tronco di un albero.
«Aaahhh!!!»
SBAMM.
Strusciò sulla corteccia, roteò su sé stessa e atterrò col sedere sul fango. Il braccino destro aveva una ferita che partiva dal gomito e arrivava a metà avambraccio. Sanguinava. Scintilla passò la mano sinistra sul taglio.
«Stupido albero…» Il palmo era impiastricciato di sangue e puzzava di ferro.
«Cosa sei tu?»
Scintilla si voltò di scatto. Un bambino era seduto accanto a lei e la osservava. Gli occhi erano arrossati e le guance bagnate. Stringeva le ginocchia al petto. Scintilla nascose le braccia dietro la schiena, si alzò in piedi e gli sorrise.
«Mi chiamo Scintilla. Sono una fatina» Si inchinò, sfarfallando le alucce.
«Ah.» Il bambino sbuffò. «Una fatina»
«Cos’hai contro le fatine?» scattò Scintilla alzando il mento.
«Ma no, niente.» Il bambino si strinse nelle spalle. «E’ solo che se eri una strega mi potevi aiutare coi tuoi poteri…» Si pulì il moccio che colava dal naso con la manica della polo.
«Io una strega?!» Scintilla schizzò davanti al bambino. «Guarda che le streghe non esistono mica, sai!» disse agitando l’indice.
«Sono una fatina Perfettamente Qualificata, e ti darò tutto l’aiuto che ti serve!» Si accomodò su un ginocchio del bambino, lasciando penzolare una gambetta nel vuoto.
«No, grazie» Il bambino sciolse l’abbraccio e stese la gamba libera. Le guance si erano asciugate.
«Oh figurati, è un piac… ehi, aspetta! Perché?» Il bambino pinzò tra il pollice e l’indice le alucce dorate, e la posò a terra. Si alzò in piedi, si chinò in avanti e raccolse un filo di nylon. Lo arrotolò attorno al polso.
«Non hai detto che avevi bisogno di aiuto?»
Il bambino camminava a testa bassa, calpestando ciuffi d’erba e fiori. Scintilla lo raggiunse, gli afferrò il colletto e lo strattonò.
«Non me ne andrò finché non ti avrò aiutato, ok?» Gli fece l’occhiolino.
Il bambino sospirò.
«Papà mi ha regalato un aquilone.» Tirò su il polso ed esibì il filo ingarbugliato. «Ci stavo giocando, ma poi è finito su un albero e non ci so arrivare.»
«Ma non c’è problema: io posso volare!» La fatina svolazzò attorno alla testa del bambino, planò verso i suoi piedi e poi tornò davanti a lui piroettando. «Sarà uno scherzo per me trovarlo, fidati.»
«Volare?» Il bambino accennò una risata. «Ma prima ti sei spiaccicata! Non sei mica tanto brava.»
«Oh, per favore!» Scintilla roteò gli occhi al cielo. «Sembri la mia Superiora. “Scintilla, fatti aiutare dalle fatine più brave, perché sei troppo sbadata!”»
«E’ lassù» la interruppe il bambino. Indicò la cima di una quercia gigantesca.
Scintilla seguì la direzione del dito. “Lassù” era ad almeno venti metri di altezza. E non c’erano tracce di aquiloni. Doveva essere nascosto tra le foglie.
«Sempre se ce la fai…» aggiunse il bambino.
«Vado, vado!» Scintilla ravanò nel borsellino che teneva legato alla vita. Ne tirò fuori una bolla trasparente, dentro la quale c’era una lucetta che pulsava. «Certo che sei un bel tipo tu!» Gli fece una linguaccia.
Il bambino rise e cominciò a correre verso l’albero.

#101 Comment By Gamberetta On 21 novembre 2010 @ 15:26

@Airon.

meglio dell’altro?

Sì. Ma il problema di fondo rimane. Hai usato il buon dialogo per raccontare la situazione. L’hai mostrata pochissimo. L’abbozzo delle scene giuste c’è, scrivi le scene!
Non raccontare:

«Fiammetta mi ha urlato dietro ogni dieci minuti.» la voce usciva soffocata da dietro le ali «Non mi ha neanche pagato il giorno completo. Ha detto che le ho fatto perdere tempo e basta.»

Mostra! Comincia la scena con Fiammetta che tira un calcio alla sacca con le cianfrusaglie di Lametta e le grida: “Fuori di qui, sei licenziata!”. Mostra Lametta che raccoglie le sue cose, balbetta per chiedere la paga del giorno e Fiammetta le sbatte in faccia i suoi errori (come lo spillone nel piatto nell’esempio con lo gnomo).
E così via, fino alla fine.

Ma sì, sfogati un po’, vai a caccia saggiò con le labbra il bordo della tazza, bagnandole appena di nettare caldo Madre Natura sa se domani sarai tu a dover evitare le grinfie dei bimbi.

Mostra Lametta che sventra le zanzare e gongola al loro dolore!
Fa niente se metti più scene. Il consiglio è di non sbrodolarsi; finché mostri le scene che devi mostrare non è sbrodolarsi è scrivere quanto necessario.

@Solvente.

1) Come calibrare la soggettività del punto di vista. Certo, il punto di vista è per definizione soggettivo, ma a volte sembra che i giudizi del personaggio fagocitino l’oggettività della situazione, la rendano “troppo” personale. Non so, forse la questione è tenere la telecamera più sugli occhi del personaggio che nella testa, in modo da evitare un surplus di valutazioni personali.

La narrazione deve essere personale. Quello che devi evitare sono i giudizi del narratore, perché appunto implicano che il narratore è entrato nella storia, incrinando l’immersione. I giudizi (possibilmente impliciti) dovuti alla visione del personaggio vanno bene.
Esempio: Michele è un razzista e la storia è scritta dal suo punto di vista. Mostrerai per esempio che la notte va a bruciare i campi nomadi. Ma quando vede “un uomo di colore addetto alle pulizie”, cosa scrivi?
Se scrivi “uomo di colore addetto alle pulizie” apparentemente sei “neutro” in realtà sei entrato nella storia, hai spostato il punto di vista da Michele a narratore onnisciente. Perché in realtà Michele vede un “negro spazzino”. Ed è giusto così, perché la realtà è filtrata dal punto di vista di Michele.

Quello che non sempre va bene è quando i personaggi formulano giudizi espliciti. Ma non va bene non tanto per il giudizio in sé, ma perché i giudizi espliciti sono spesso astratti.

Con il punto di vista di Michele, magari in prima persona:

Anna è una maleducata.

E va anche bene, se è chiaro che è la “voce” di Michele e non quella esterna del narratore. Se però sei meno generico è meglio:

Anna è una di quelle ragazze che arrivano con un’ora di ritardo agli appuntamenti e non si scusano neanche.

#

2) Questione più banale. Quando interagiscono due o più personaggi, e il contesto (del dialogo o delle azioni) non chiarisce chi agisca, come evitare di dover precisare X dice/fa, Y dice/fa.

Ripeti che X fa e Y fa. I nomi dei personaggi sono “trasparenti”; a meno di eccezioni, il lettore non si accorge che li stai ripetendo. In ogni caso: meglio un “pedante” X fa e Y fa che non lasciare il dubbio che un’azione sia stata compiuta dal personaggio sbagliato. Se il lettore deve rileggere una frase o un paragrafo per dedurre chi ha fatto cosa è un errore molto più grave che non una ripetizione.

@Ari. Grazie per la segnalazione dei refusi, adesso correggo. Venendo all’esercizio: mi sembra che ne manchi un pezzo, o sbaglio? Hai mostrato che Scintilla è giovane/ingenua/svampita, hai mostrato che è ben disposta ad aiutare gli altri (sebbene la ferita sia eccessiva, se avesse davvero il braccio squartato, non credo si comporterebbe così), ma… non hai mostrato che l’aiutare il prossimo non è proprio l’attività che le viene meglio, né che sia orgogliosa e testarda.
Fino a quel punto va abbastanza bene, ma dovresti proseguire. Ti segnalo comunque:

«Oh, per favore!» Scintilla roteò gli occhi al cielo. «Sembri la mia Superiora. “Scintilla, fatti aiutare dalle fatine più brave, perché sei troppo sbadata!”»

Racconti che Scintilla non si fida delle fatine più esperte, ma non lo mostri.

“Lassù” era ad almeno venti metri di altezza.

Come spiegato nell’articolo i numeri sono meh, cerca di rendere l’altezza di “venti metri” senza dirlo esplicitamente.

#102 Comment By Samuele-Strikeiron On 21 novembre 2010 @ 15:45

Ho riscritto e ovviamente ho perso totalmente il controllo di dove andare a far parare la storia. Bah! Brutto segno. Poi ripensandoci l’assenza completa di dialoghi doveva essere un ottimo indizio per far capire che avevo solo raccontato. E’ che con i dialoghi fatico a trovarmici, mi dà l’impressione di perdere la fluidità. Comunque per ora mi è venuto questo:

Le ali traslucide erano macchiate in più punti di opaco e di fuliggine.
Scintilla provò a non pensarci, ma ogni volta la testa tornava sullo stesso punto. Lo distoglieva e ci ritornava. Di nuovo. E ancora. Lisciava le ali con delicatezza, anche se nemmeno l’acqua fresca di rugiada era capace di darle sollievo. Non serve, pensò, eppure non riesco farne a meno. Le piegò richiudendole e le ridistese, sperando che il dolore passasse ma quello continuò, sordo e martellante. Non solo: le membrane rimanevano macchiate e consunte. Cosa avrebbe detto la Fata Maestra?
“Cos’hai combinato stavolta?” le aveva chiesto qualche giorno prima, esasperata. La disapprovava e molto, anche. Si sentiva bene dal tono di voce che aveva usato durante la lezione.
Risatine leggere, come trilli di campanelli e il brusio di voci infantili nel sottofondo da parte delle altre fatine sue compagne di classe:
“Ma l’hai vista? Anche stavolta ha combinato una delle sue! Che stupida, inutile fatina apprendista”
“Che sciocca!”
“Ali pallide!”
Scintilla spalancò gli occhi al solo ricordo. Un rombo di sangue che dalle ali va alla testa. Un calore pulsante al volto che rende le ali pallide e fredde. E in quei momenti non riesci neppure più a volare, senti un peso che ti lega a terra e a quello che provi. Nessuna fatina esperta cade mai in questo errore.
La Fata Maestra le aveva guardato le ali con disprezzo e un sorriso cattivo:
“Non vorrai mica che le tue inutili emozioni ti leghino a terra? Siamo fatine solo perché capaci di volare, altrimenti tanto varrebbe che ti facessi tagliare le ali.”
Risatine sguaiate nella classe.
No quello non era giusto, pensò Scintilla.
Si era sentita in quel modo molte altre volte.
Come quando aveva incontrato quel grosso lupo, fuori dalla casetta di Cappuccetto Rosso.
Se ne stava là a tremare dal freddo e gli aveva fatto una gran compassione.
“Come mai sei qua tutto solo, buon Lupo?” aveva chiesto.
L’altro aveva risposto a fatica, le parole ingoiate dal battito dei denti per il freddo:
“So-so-n… sono rimas- sto chi-chi-chi-uso fuo-o-ri-ri”.
Nel silenzio il suo stomaco aveva cacciato un iperbolico brontolio.
Aveva freddo e fame. Aveva bisogno di lei.
Scintilla in quello era brava. Le si era scaldato il cuore: altroché ali pallide! Avrebbe fatto vedere loro di che razza di pasta di fatina era fatta!
“Ho aperto la porta a quel povero lupo, mica poteva morire dal freddo?” si era giustificata dopo con la Fata Maestra, che ancora la guardava in quel suo modo cattivo, davanti alla classe.
Risate, anche qui, nel sottofondo. Ali pallide. Sciocca. Ingenua. Un brusio maligno.
“Come puoi essere tanto stupida da cascarci ogni volta!? -le aveva chiesto, seccata- Abbiamo dovuto chiamare il cacciatore per tirare fuori la nonna dalla pangia di quel beone ingordo!”.
Dopo era stata la volta del vestito non smacchiato bene per il ballo di Cenerentola.
“Se non fossi intervenuta io, come sarebbe andata a finire, povera sciocca fatina apprendista?” aveva commentato sempre in classe la Fata Maestra.
Ali pallide era diventato il suo nomignolo, non più Scintilla.
Infine quella vecchina.
Scintilla era indaffarata a svolazzare di qua e di là per i suoi compiti, come suo solito. Non aveva visto la vecchina. Ma l’aveva sentita. Eccome… un dolore sordo e pulsante al cranio con un bernoccolo allucinante.
Il cestino della frutta era rotolato via dalle mani della vecchina.
“Ohi ohi ohi!” delirava mormorando, mentre le perfette mele rosse rotolavano come tante biglie nel canale di scolo della strada e da qui giù nelle capienti fogne, a perdersi galleggiando nelle acque puzzolenti.
Il moto vorticoso di tante stelle era appena scomparso da davanti agli occhi di Scintilla, quando si era avvicinata mortificata all’oggetto del suo scontro.
“Posso aiutarla?” aveva chiesto.
“Posso aiutarla, signora?” aveva ripetuto con apprensione, non ricevendo altra risposta che un composto piagnucolio.
“E come piccola mia? Ormai a quest’ora è tutto chiuso. Non senti le serrande dell’ortofrutta che già chiudono? Cosa porterò alla mia piccola bambina?” si lamentò la vecchia.
ll fruttivendolo davanti a loro calò rumorosamente l’ultima delle grate e con un sospiro di soddisfazione chiuse l’ultimo lucchetto. Notò appena quella barbona per terra che fingeva di star male. Sempre così fanno pur di avere un po’ di frutta gratis. E… ma stavolta non ci cascava.
Scintilla si era sentita in dovere. E se fosse stata la nonna di Cappuccetto Rosso? Doveva rimediare! Meglio che mai il fato le dava un’occasione per recuperare.
“Bian-ca-ne-ve!” compitò quasi urlando la Fata Maestra in classe, il giorno dopo. “Tu, stupidella che non sei altro avresti dovuto saperlo. Quella era la matrigna di Biancaneve! Non hai mai sentito parlare delle mele avvelenate? Ah ma già: gliele hai procurate tu! Stupidella Ali Pallide”.
Ali Pallide, con le iniziali in maiuscolo. Non più mormorato ma detto ad alta voce davanti a tutti. Da nomignolo era diventato il suo nome.
Lisciò le ali, ma il dolore sordo pulsava fino alla testa, fresco come il ricordo delle fiamme.
Era cominciato tutto con quel bambino, seduto a piagnuocolare sul bordo della strada più trafficata del regno. Nelle orecchie le risuonava ancora il il suo urlo disperato:
“Voglio la mamma! dove sono?”
“Ma nel paese delle fiabe, piccolino.” aveva cercato di consolarlo, mentre la sorellina più piccola la guardava, con gli occhioni sgranati. Lei era la più forte dei due e se ne stava in piedi accanto al fratello, senza dire nulla. Lui si chiamava Hansel e lei Gretel, o forse il contrario? Non ricordava più bene.
Lei era una fatina apprendista e quelli erano due bambini bisognosi. Non avrebbe mai potuto essere più fortunata. Letteralmente pendevano dalle sue labbra.
“Che ne dite bambini, se facessi per voi una bella casina, mentre aspettate di tornare a casa? magari una casetta di marzapane?” aveva proposto.
Il bambino aveva trattenuto il moccio tirando su rumorosamente con il naso e sollevando la testa con interesse, mentre la sorella faceva di sì vigorosamente con il suo piccolo capino, le lacrime fresche sulle guance.
Un’idea troppo buona, pensò ora Scintilla.
I bambini erano entusiasti. Correvano come grilli dentro quel piccolo capolavoro di polvere di fatina. Scintilla era entrata con loro.
Anche la strega sgattaiolata sul retro, senza farsi vedere da nessuno, li aspettava dentro con entusiasmo.
Senza alcun preavviso, un istante dopo che i bambini erano entrati in quel gigantesco capolavoro di marzapane, le fiamme avevano avvolto tutto crepitando voraci. Da dove si trovava ora Scintilla sentiva ancora il calore sul volto e gli schiocchi degli ultimi pezzi di marzapane che cedevano di schianto. Le urla le ignorava già da un po’, ma si erano notevolmente affievolite. La strega aveva smesso di ridere, forse aveva la bocca piena.
Cosa avrebbe detto la Fata Maestra stavolta?
In qualche modo sicuramente avrebbe commentato. Al pensiero il dolore sordo si annullò mentre le ali abbruttite si impallidivano e diventavano inerti: almeno così sentiva meno il dolore. Ci si sarebbe dovuta abituare.
La Fata Maestra aveva iniziato le loro lezioni così anni prima: “Questo, catre mie fatine è il mondo delle fiabe, ma anche qui talvolta le ali vengono tagliate alle fatine inesperte. Pensate sempre a questo.”.
E aveva sorriso. Un sorriso non dissimile da quella sua abituale espressione maligna.

#103 Comment By Giulia On 21 novembre 2010 @ 16:03

Ma ne L’Attimo Fuggente c’è Wilson!

Lo studente più interessato alla lezione del professor Keating è diventato Neurologo nell’ospedale di Doctor House ^_^
Bravo prof! Così si insegna agli studenti la Poesia!

#104 Comment By Airon On 21 novembre 2010 @ 16:59

Fa niente se metti più scene. Il consiglio è di non sbrodolarsi; finché mostri le scene che devi mostrare non è sbrodolarsi è scrivere quanto necessario.

ecco, io ho un terrore patologico di scrivere troppo, dopo anni di saghe fantasy interminabili guardo con sospetto tutto ciò che supera la 500 pagine (Martin a parte, ma come faccio ad abbandonare quel magnifico panzone?).
Analogamente, in un esercizio del genere ho cercato di mantenere corto il pezzo; dovendo dare una struttura al raccontino, l’inizio e la fine sono poco mostrate.

così come i professori cristano dietro a temi di 20 pagine, non volevo rovesciarti qui un fiume di parole.

#105 Comment By Airon On 21 novembre 2010 @ 17:00

Aggiungo:
mostrare l’inizio e la fine come hai suggerito avrebbe richiesto il POV diverso da Scintilla, e volevo appunto fare una scena unica.

#106 Comment By france On 21 novembre 2010 @ 17:10

Sono rimasto un po’ male per la reazione nei confronti del prof. Keating :( E’ evidente che misurare algebricamente una poesia è una stronzata che distoglie del tutto dal senso della stessa, e che porta esattamente al tipo di pregiudizi “i promessi sposi è stilisticamente perfetto”. La scena, vista nel background complessivo della situazione (giovani troppo repressi da una disciplina antiquata e retrograda) ha un senso che va oltre l’introduzione del libro – parte che Keating conosce bene e che è l’unica dell’intera antologia che va strappare. Nel corso del film spiegherà anche lui il show don’t tell “costringendo” un ragazzo a descrivere con minuzia di particolari ciò che prova anziché raccontare svogliatamente la situazione. Ma per arrivare a quello deve prima rendere i ragazzi in grado di provare emozioni e di scoprire la poesia da quel punto di vista. Prima di parlare di tecnica bisognerebbe far nascere perlomeno l’interesse per la materia: questo blog uno lo può leggere o meno, se gl’interessa la narrativa, se no leggerà un blog di sport immagino. Ma a scuola la conoscenza dev’essere trasmessa anche se vorresti fare tutt’altro, e in quest’ottica stimolare l’interesse all’inizio ti permette di ricevere molta più attenzione nel resto dell’anno.

#107 Comment By Unoqualunque On 21 novembre 2010 @ 17:32

Vediamo se stavolta sono rimasto in tema…anche se, più che altro, mi preme sapere se il “mostrato” è di buon livello.

Lametta svolazzò lungo il corridoio fino a raggiungere la porta che recava la scritta: “Commercialista.”
Abbassò la maniglia con un colpo di tallone e spinse il battente con la manina. Un folata di letame le fece arricciare il naso. In fondo alla stanza, un orango in giacca e cravatta era curvo a scrivere sopra una scrivania piena di carte. Lametta guizzò sul bordo del tavolo e lasciò cadere la sua borsa sopra una pila di scartoffie.
Per un attimo il commercialista levò il capo e osservò la fata, poi riprese a scrivere.
Lametta sbuffò e iniziò a rovistare nella borsa. Tirò fuori un campanello, una bambola, un ombrellino, e infine un foglio arrotolato, che spinse con il piede verso lo scimmione.
L’orango prese il foglio con la punta di indice e pollice, lo avvicinò e lo srotolò sulla scrivania.
Lametta arricciò di nuovo il naso nel vedere il suo curriculum sotto le sudicie mani della bestia.
Dopo qualche secondo, il commercialista lasciò che il foglio si ripiegasse su se stesso e tornò ai suoi documenti.
Lametta batté il piede sul tavolo, frullò le ali ed esclamò: “Allora?”
Fra un grugnito e l’altro, la scimmia articolò: “Sei assunta. Ma niente campanelli e bambole, qui dentro.”
Lametta ebbe una morsa allo stomaco e sentì il viso avvampare. Tirò fuori una matita dalla borsa, ne afferrò l’estremità con entrambe le mani e con la punta trafisse la testa della bambola che giaceva ai suoi piedi.
Uno schizzo di sangue fuoriuscì dall’occhio dell’orango, che stramazzò sul tavolo con un rantolo.
“No, stupida scimmia!” gridò Lametta e si avventò sul curriculum.
“Era la mia unica copia!” disse mentre osservava il foglio imbrattato di liquido rosso.

#108 Comment By france On 21 novembre 2010 @ 18:30

Il mio personale tentativo:

Scintilla aprì gli occhi e si toccò la testa. La fitta le bruciò il cervello, e la mano scivolò sul sangue. Ansimò, cercando di rialzare il braccio. Troppo faticoso. Aveva le cosce e le spalle gelide, e tremava. Colpa di quel c… quello stupido vento. Entrava dappertutto. DAP-PER-TUT-TO.
Cercò di rialzarsi, la gamba si torse, Scintilla gridò, crollando e rimanendo a terra senza respiro, da non riuscire nemmeno a piangere.
Cosa si fa in questi casi?
No.
Non avrebbe chiamato la Centrale. Non voleva passarci di nuovo. La pausa, le visite dallo psichiatra ogni settimana, i farmaci… ne aveva abbastanza di quella m… quella roba.
Premette il secondo petalo del Comunicatore. Suonava a vuoto. Premette il terzo.
Ma dove c… accidenti è, a quest’ora?! La mamma starà dormendo, ma Laccetto dovrebbe essere a casa! Se si vede di nuovo con quella t… antipatica di Fiammetta, gli strappo quel c…! …cuore indeciso che ha. E lo lascio. Ecco.
Sospirò e toccò il quarto petalo. Lo toccò subito di nuovo. No. Non lei. Sarebbe stato il peggio, davvero. Poteva già sentirla.
“te l’avevo detto, scem-tilla. Chi te lo fa fare? Vieni con me! Lasciali perdere, quelli!”
e bah, bah, bah. No, grazie.

però…
M… c… p… CHE DIAMINE!!

Pestò furiosamente il quarto petalo. Lametta rispose subito.
“CHI CAZZO E’ CHE SPACCA I COGLIONI, PORCA MERDA ASSASSINA?!? SONO LE TRE DI NOTTE, FOTTUTA TROIA!”
E buttò giù.
Scintilla contò fino a cinque. Poi pigiò di nuovo il petalo.
“ProntoLamettaciaoquantotempocomevatihosvegliatanooovero?sonounpochinoindifficoltàverrestiadarmiunamano?tipregotipregotiprego?”
“…”
“…”
“…”
“…”
“…Scem-tilla? sei tu? dimmi che non sei tu, ti prego.”
“…eeh… io…”
Lametta singhiozzò. “Sei tu. Dove sei? Mi vesto e arrivo.”
“All’incrocio tra… hmmm… un posto brutto e… buio… e un vicolo pieno di… hmm… gatti… che mi guardano tipo un topo.”
Lametta singhiozzò di nuovo e mise giù. Sopra ai gatti scoppiarono scintille colorate, poi un lampo di luce e un botto li mise definitivamente in fuga. Scrollandosi le ceneri sbrilluccicanti dall’impermeabilino grigio, Lametta planò a terra e squadrò l’ex compagna di classe.
Scintilla vide nei suoi occhi vera, sincera preoccupazione, le tremolò il labbro e scoppiò quasi a piangere.
“MA SEI SCEMA?!” le urlò contro Lametta, facendole la permanente istantanea.
Okay. Forse non era esattamente preoccupazione quella nei suoi occhi. Non tutta, magari. Ma un pochino ce n’era. Un pizzico. Di sicuro. Ehm.
“MA COSA CAZZO HAI FATTO?! MA COME TI SEI RIDOTTA?! MA… GUARDATI!”
Scintilla era in lacrime. Il che, più o meno, era la sua condizione normale, ma in genere i ghirigori pseudo-artistici del moccio sulla sua bocca non rientravano nel quadro.
Lametta si passò una mano sulla faccia e cominciò a contare. A quattrocentosessantatré non sembrava essersi ancora calmata a sufficienza, ma Scintilla cominciava a non sentire più le dita dei piedi, così osò interromperla con un singhiozzo tattico.
Lametta la fulminò con lo sguardo, ma aveva perso il conto e si chinò a studiarla.
“Vy beznadezhny? ideot malen?kaya shlyuhat”, disse mentre le passava la bacchetta di frassino zigrinata sulla gamba, e quella lentamente si girava nella direzione giusta mandando deboli schiocchi.
“Ooooh… come sei brava, Lametta. Non conoscevo quella formula, sai?”
“Perché non è una formula”, rispose svogliata Lametta, passando a studiare il cranio.
“E che cos’è allora?”
“Russo.”
“Oh.”
“…”
“…”
“…non vuoi sapere cosa significa?” le chiese Lametta con un sorriso inquietante che diceva: dimmi di sì, ti prego, e renderà sensata questa notte del…
Scintilla deglutì, cercando di costringersi a mentire.
“N… nnn…. nnnooouuu…”
“Patetica. Nemmeno questo.”
Finito il restauro, Lametta aiutò Scintilla a rialzarsi facendola appoggiare a sé, e s’incamminarono.
“Ahi.”
“…”
“Ahi!”
“…”
“AHI!!”
“Se non la pianti ti lascio qui e chiamo anche i gatti di prima!”
“Ma scusa, perché non ci porti via col trasferimento?!”
“Perché ho lavorato e sono stanca morta, idiota, e ho usato tutto quello che mi restava per venire qua e curarti!”
“Oh.”
“…EH!!”
La fatina bionda notò solo in quel momento che Lametta era in pigiama. Bé, quasi.
“Lametta…? Non hai… il tuo… solito vestito. Coi fiocchi. E il taffettà. Ehm” articolò a fatica , quasi strozzandosi per l’imbarazzo.
“Quello è solo la divisa del Goth Pub, Scem-tilla. Non è che lo indosso ventiquattr’ore al giorno.”
“Eeeh, ma… voglio dire… ora ti manca… più del vestito…” mormorò Scintilla indicandole le gambette nude sotto l’impermeabile e la maglietta del pigiama. E in particolare la zona scura dove finiva il pigiama e incominciavano le gambe.
Lametta sogghignò.
“Mi stai DAVVERO chiedendo cosa stavo facendo quando mi hai chiamata, Scintilla?”
Scintilla non capì. Ma colse il tono. E capì qualcos’altro: meglio non continuare su questa linea.
“…”
“…”
“…e comunque, cosa ti è successo? Ti hanno, tipo, stuprata dei dodicenni in gruppo quando hai rivelato loro che le fate esistono e che vivono per diffondere l’amore?”
“E’ SUCCESSO SOLO UNA VOLTA, LAMETTA! DAI!!”
Lametta scoppiò a ridere.
“Insomma, una fa un errorino, piccino picciò, una volta e poi…!”
“Perché, la volta del rubinetto per aiutare il tizio che stava impazzendo a causa dello sgocciolio…?”
“Come facevo a sapere che era GIA’ impazzito e che mi avrebbe rincorso con l’ascia che aveva appena usato per fare a pezzi la moglie?!”
“Bé, facendo caso a tutto quel SANGUE sparso per la casa, ad esempio!”
“Mi avevi detto tu che gli occhiali da sole fanno più figo!” borbottò Scintilla risentita.
“Esiste questo congegno magico innovativo super-potente che si chiama ‘interruttore-della-luce’…”
“Robaccia pagana! Non m’inchinerò mai al Dio Scienziato!”
“Dio Sc… maccheccazzo…”
“Lametta! Parla bene, perbacco!”
“Sei una piccola troia idiota senza speranza, Scintilla.”
“LAMETTA! MA INSOMMA!”
“E’ la traduzione di prima. In russo? Volevi saperlo.”
“IO NON L’HO MAI DETTO!”
“Ma l’hai pensato, però. Più di una volta.”
“Bé… ecco… in realtà…”
“Visto? Non ringraziarmi, non ce n’è bisogno.”
“Ah. Oh. Ehm… grazie, Lametta.”
“Sigh.”

FINE

#109 Comment By Ari On 21 novembre 2010 @ 19:14

@ Gamberetta:

Grazie delle correzioni! :)
I venti metri me li potevo risparmiare, e più che una ferita sanguinante potevo lasciarle un bel bernoccolo, in effetti…
Comunque l’esercizio è tutto lì. Scintilla non è adatta ad aiutare il prossimo perché troppo sbadata. Che sia testarda pensavo si capisse dal suo insistere ad aiutare il bambino nonostante quello avesse rifiutato. Ed è orgogliosa di essere una “Fatina Perfettamente Qualificata”, come sottolinea al bambino. Però se non sono risaltate queste caratteristiche, avrei dovuto marcarle di più…
Ripropongo la domanda che avevo fatto in fondo al primo post (quello senza dialoghi), che forse è passata inosservata. :)

Mi sono accorta che i personaggi si muovono molto mentre parlano, ma ho descritto poco/niente l’ambiente in cui sono. E’ giusto o sbagliato? All’inizio c’è un po’ di descrizione, ma mi sembrava che ad aggiungere particolari in mezzo al dialogo ci si sarebbe deconcentrati da quello che stavano dicendo Scintilla e il bambino.

Piccolo “Non-Proprio-In-Topic”:
Hai mai letto “Il più grande uomo scimmia del Pleistocene” di Roy Lewis? Lo stile non è il massimo, anche per via dell’eccessivo raccontare, però l’ho trovato divertente. :)

#110 Comment By Doc.Herbert West M.D. On 21 novembre 2010 @ 19:23

Domande : e se sto scrivendo un racconto ironico,in cui ad esempio si rompe la quarta parete?
In quel caso posso fregarmene almeno di alcune delle regole esposte qui e negli altri manuali ?
E se,per rendere la cosa più difficile,il sarcasmo è tongue-in-cheek,cioé non immediatamente afferabile da parte del lettore?

#111 Comment By Gurilla On 21 novembre 2010 @ 20:58

Ciao Gamberetta. Volevo ringraziarti e complimentarmi per il lavoro proposto che trovo molto utile, tanto da averlo suggerito all’interno del forum che frequento.

#112 Comment By Tapiroulant On 21 novembre 2010 @ 21:37

Questa volta ho provato anch’io a fare l’esercizio ^-^
Qualche punto mi lascia dei dubbi. Nel flashback ho usato ben tre tempi verbali – l’imperfetto, il trapassato prossimo e il passato remoto. L’ho fatto per dare più vivacità alla scena (il trapassato prossimo è faticoso da leggere come da scrivere, credo), ma non sono sicuro della resa. Inoltre ho anticipato la questione del lavoro a prima che Lametta scappasse di casa, più che altro perché la trama m’è venuta così e mi dispiaceva cambiarla. Spero che non sia grave!

Ed ecco l’esercizio:

Lametta ansimava. Il petto le bruciava ad ogni respiro, il sacco le pesava sulla schiena, e sentiva freddo alle punte delle dita. Planò su un ramo, e appena i piedi toccarono la corteccia, i muscoli le cedettero. Crollò in ginocchio con un gemito, e il sacco le scivolò giù dalla schiena sopra il ramo. Lametta vi si appoggiò contro e lasciò vagare lo sguardo tra le fronde degli alberi.
Guardava i rami e le foglie, e intanto si vedeva sfilare davanti le file di foglie essiccate – foglie seghettate, foglie aperte come il palmo di una mano, foglie a goccia, foglie tonde raccolte dalla superficie degli stagni, foglie verdi, gialle, rosse, marroncine – file e file intrappolate tra due lastre di vetro e appese alle pareti della cameretta. Vedeva la scatola del mahjong, una scatola di legno laccato poggiata in un angolo della scrivania, piena di tutti quei mattoncini pasticciati di simboli che non capiva, e lì accanto, disposti a casaccio, i falli di legno scolpito e il coltellino. Vedeva sé stessa seduta per terra, sul tappeto, a gambe incrociate, un pezzo di legno già levigato in mano e il coltello nell’altra; e sua madre che sbatteva la porta, e le gridava: “Perché non sei al colloquio?”.
Sotto la pressione del coltello, una strisciolina s’era staccata dal pezzo di legno. Lametta si era rigirata il fallo tra pollice, indice e medio, percorrendone le linee con lo sguardo. “Ci vado domani”.
“L’hai detto anche ieri!”.
“Ci vado domani”.
Lametta!“.
Silenzio.
“Deficiente! Hai venticinque anni!”.
“Non rompermi il cazzo” aveva risposto Lametta alzando lo sguardo sulla madre. Avvertì un sapore ferroso sulla punta della lingua, e si accorse di essersi morsa il labbro. “Non…?”; sua madre aveva sbattuto le palpebre. “Vai subito al colloquio, razza di…”.
E il fallo di legno l’aveva colpita sopra l’occhio, e un thud aveva riempito la stanza. Lametta aveva guardato il fallo cadere sul tappeto senza un rumore, e sua madre portarsi una mano alla tempia, gli occhi grossi come piattini da caffè, e poi aveva guardato la sua di mano, aperta, il braccio proiettato in avanti, non se n’era nemmeno accorta.
Avvertì un fruscio, e un rimescolio dietro la schiena. “Il sacco” pensò, e le venne a mancare l’appoggio. Cadde sulla schiena; qualcosa di appuntito che stava dentro il sacco le si conficcò tra le scapole. Strinse i denti, e sentì inumidirsi gli occhi. Agitò le ali e si girò su un fianco. Guardò il sacco; pendeva floscio sulle sagome appuntite di quelli che dovevano essere le mazze chiodate e i modellini di disco volante. La bocca del sacco era aperta e un’estremità pendeva giù dal ramo. “Ti odio” disse al sacco.
Si rimise in piedi, prese il sacco e si gettò giù. Distinse l’elefante di stoffa infilato di traverso in mezzo a un cespuglio, e più avanti, contro un tronco, il pendaglio della nonna. Raccolse l’elefante per la proboscide e planò a terra. Raccolse il pendaglio per la catenina e lo gettò nel sacco. Si guardò intorno. Toccò qualcosa con il piede – e abbassando lo sguardo, riconobbe il fallo appena abbozzato. Si chinò. Sull’estremità arrotondata del fallo, era ancora visibile la macchia di sangue – giusto uno schizzo.
“Lamettaaa…”.
La voce di sua madre. Lametta alzò gli occhi.
“Lamettaaaa! Torna a casa!”.
Infilò il fallo nel sacco, si sollevò sulle punte dei piedi e si gettò nel sottobosco.

#113 Comment By Gamberetta On 21 novembre 2010 @ 23:09

@Samuele-Strikeiron. Meglio. Gli episodi sono ancora parzialmente raccontati, ma in quanto ricordi potrebbero anche andare. Divertente l’idea che la matrigna di Biancaneve sia la nonna di Cappuccetto Rosso. ^_^

Se ne stava là a tremare dal freddo e gli aveva fatto una gran compassione.

Per esempio qui è metà è metà: il tremare dal freddo è mostrato, ma la compassione è raccontata. Prova a rendere la compassione senza dirla: descrivi il Lupo spelacchiato, le ossa che si intravedono sotto il pelo, i vestiti sporchi e strappati, gli occhi pesti e qualunque particolare che susciti “compassione”.

ll fruttivendolo davanti a loro calò rumorosamente l’ultima delle grate e con un sospiro di soddisfazione chiuse l’ultimo lucchetto. Notò appena quella barbona per terra che fingeva di star male. Sempre così fanno pur di avere un po’ di frutta gratis. E… ma stavolta non ci cascava.

Qui hai spostato il punto di vista da Scintilla al fruttivendolo. Confonde. Se vuoi comunicare che il fruttivendolo pensa che la matrigna finga di star male, mostralo: magari l’uomo le tira un calcio per farla rialzare.

Comunque meglio di prima, siamo molto più vicini al mostrare quello che avevo raccontato.

@Unoqualunque.

Vediamo se stavolta sono rimasto in tema…anche se, più che altro, mi preme sapere se il “mostrato” è di buon livello.

Il problema è che se non so cosa vuoi mostrare, non posso dirti se l’hai fatto. Tu potresti scrivere tutto raccontato e poi dire che volevi mostrare il pensiero di un autore fantasy nostrano, e sarebbe anche giusto.

Comunque, alcuni dettagli raccontati:

Per un attimo il commercialista levò il capo e osservò la fata, poi riprese a scrivere.

Come dicevo nell’articolo gli attimi sono inutili e i “poi” o li togli o li riempi:

Il commercialista levò il capo e osservò la fatina. Riprese a scrivere.

Oppure:

Il commercialista levò il capo e osservò la fatina. Si grattò la nuca. Riprese a scrivere.

#

Lametta sbuffò e iniziò a rovistare nella borsa. Tirò fuori un campanello, una bambola, un ombrellino, e infine un foglio arrotolato [...]

“iniziò a rovistare nella borsa” è raccontato. Meglio:

Lametta sbuffò. Ficcò le manine nella borsa, tirò fuori un campanello, una bambola, un ombrellino, e infine un foglio arrotolato [...]

Nel complesso è abbastanza ben mostrato, anche se non copre quello che io avevo raccontato di Lametta. Il finale non mi è del tutto chiaro: era un bambola voodoo?

@Airon.

ecco, io ho un terrore patologico di scrivere troppo, dopo anni di saghe fantasy interminabili guardo con sospetto tutto ciò che supera la 500 pagine [...]

Hai ragione. Se una persona ha bisogno di migliaia di pagine per delineare la sua storia, 90 su 100 è perché non sa scrivere, gli altri 10 sono scrittori professionisti che lo fanno per ragioni commerciali.
Però come già detto un conto è non sbrodolarsi, un conto è tagliare anche quello che andrebbe scritto (mostrando).

mostrare l’inizio e la fine come hai suggerito avrebbe richiesto il POV diverso da Scintilla, e volevo appunto fare una scena unica.

Scintilla e Lametta possono essere amiche e andare assieme dappertutto, stile Watson e Holmes.

@france. Ma hai scritto apposta male? In ogni caso mi sfugge il collegamento tra il brano e quello che io avevo raccontato.

@Doc.Herbert West M.D. Non sono un esperta in campo comico/umoristico. So che la presenza del narratore non è considerato un errore. Ma al di là di questo non saprei. È un ramo particolare della narrativa, e io non lo conosco abbastanza per dare consigli.

@Tapiroulant.

Qualche punto mi lascia dei dubbi. Nel flashback ho usato ben tre tempi verbali – l’imperfetto, il trapassato prossimo e il passato remoto. L’ho fatto per dare più vivacità alla scena (il trapassato prossimo è faticoso da leggere come da scrivere, credo)

In generale è una cattiva idea. L’imperfetto, come dice il nome stesso, è impreciso. È un’azione protratta nel tempo (“Michele alzava la testa”) che non è chiaro quando il lettore deve vedere conclusa. Va usato con parsimonia. Il trapassato è pesante da leggere. Al massimo può essere usato all’inizio di un ricordo per sottolineare che avviene in un tempo anteriore rispetto alla narrazione al passato, ma poi il ricordo lo scrivi con il passato non il trapassato.

Comunque. Ci siamo che Lametta se ne va da casa. Ci siamo che ha le cianfrusaglie. Però Lametta non lo cerca neanche un lavoro.
Alcuni particolari raccontati da mostrare:

Lametta!”.
Silenzio.
“Deficiente! Hai venticinque anni!”.

Il “Silenzio” è raccontato. Per mostrare che Lametta non risponde, mostra, non so, che abbassa il viso e taglia un’altra fetta di legno.

Lametta aveva guardato il fallo cadere sul tappeto senza un rumore, e sua madre portarsi una mano alla tempia, gli occhi grossi come piattini da caffè, e poi aveva guardato la sua di mano, aperta, il braccio proiettato in avanti, non se n’era nemmeno accorta.

Il “non se n’era nemmeno accorta” è raccontato. Nel caso specifico lo puoi tagliare senza danno, perché da come hai disposto gli eventi si capisce che il gesto di Lametta è stato “automatico”. Però l’uso continuo del trapassato rende il paragrafo faticoso, se lo metti al passato viene meglio.

La bocca del sacco era aperta e un’estremità pendeva giù dal ramo. “Ti odio” disse al sacco.

Meglio se Lametta tira un calcio al sacco o lo scuote come scuotesse una fatina rivale, piuttosto del “ti odio”.

@Ari.

Mi sono accorta che i personaggi si muovono molto mentre parlano, ma ho descritto poco/niente l’ambiente in cui sono. E’ giusto o sbagliato?

Non si può dire in assoluto. Però in questo caso specifico non mi ha dato fastidio. Il punto di vista è di Scintilla e non c’è niente nell’ambiente che attiri in particolare la sua attenzione, tanto da spingerla a descrivere, dunque nessuna particolare descrizione.

Piccolo “Non-Proprio-In-Topic”:
Hai mai letto “Il più grande uomo scimmia del Pleistocene” di Roy Lewis? Lo stile non è il massimo, anche per via dell’eccessivo raccontare, però l’ho trovato divertente. :)

No, non l’ho letto. Ma se lo scopo è divertire va bene anche il raccontato. Come l’esempio del regista: se il regista appare sul serio con un cartello fa ridere. Se far ridere era lo scopo è stata una buona idea.

#114 Comment By Ari On 22 novembre 2010 @ 00:20

@Gamberetta:
Capito, grazie! Per il libro, se hai tempo dacci un’occhiata: è carino, e non è nemmeno tanto lungo!

#115 Comment By Tapiroulant On 22 novembre 2010 @ 00:31

In generale è una cattiva idea. L’imperfetto, come dice il nome stesso, è impreciso. È un’azione protratta nel tempo (“Michele alzava la testa”) che non è chiaro quando il lettore deve vedere conclusa. Va usato con parsimonia.

Sono d’accordo. Nel mio caso penso che il problema non si ponga, perché se non ricordo male ho limitato l’imperfetto a Lametta che ricorda, per cui l’azione si interrompe nel momento esatto in cui cessa il flusso dei ricordi.

Il trapassato è pesante da leggere. Al massimo può essere usato all’inizio di un ricordo per sottolineare che avviene in un tempo anteriore rispetto alla narrazione al passato, ma poi il ricordo lo scrivi con il passato non il trapassato.

Ero indeciso infatti. Pensavo che il passaggio dal trapassato al passato remoto fosse più irritante per il lettore che non una narrazione tutta in trapassato, ma se mi tranquillizzi in quel senso, devo ammettere che anch’io preferisco la tua soluzione.

Meglio se Lametta tira un calcio al sacco o lo scuote come scuotesse una fatina rivale, piuttosto del “ti odio”.

Lo dici ai fini dell’esercizio o perché la scena ti sembra costruita male in generale? In realtà ho fatto quella scelta perché mi sembrava un gesto più ‘infantile’, più in linea quindi con il personaggio, che non semplicemente una reazione fisica. Dirò di più: non era una cosa programmata, ma a quel punto m’è venuto naturale fare agire Lametta così… Diciamo che è uno di quei casi in cui la trama sfugge dalle maglie dell’esercizio!

Sugli altri punti non ho nulla da dire, se non che condivido. Tranne una cosa, su cui vorrei discutere:

Il “Silenzio” è raccontato. Per mostrare che Lametta non risponde, mostra, non so, che abbassa il viso e taglia un’altra fetta di legno.

Ora, forse è una mia idiosincrasia, però il silenzio ha sempre avuto una forte visualizzazione fisica per me; un po’ come quelle scene a fermo immagine di Evangelion, dove i personaggi si guardano (o guardano per terra) e non dicono niente e non succede niente per alcuni secondi. Quando dico ‘silenzio’ è perché voglio dare un’idea di immobilità assoluta tra i personaggi (a parte i movimenti involontari ovviamente), una pausa di attesa nella situazione narrata. Fare agire ancora Lametta mi sembrava inadeguato.
Insomma, l’espressione ‘silenzio’ era per me un mostrato, e un mostrato più utile delle sue alternative. Se però ritieni ancora che dovrei toglierlo, potrei anche cambiare idea.

#116 Comment By france On 22 novembre 2010 @ 11:00

Gamberetta:

@france. Ma hai scritto apposta male? In ogni caso mi sfugge il collegamento tra il brano e quello che io avevo raccontato.

Accidenti. Non pensavo d’aver fatto così male o_O
Ho voluto rappresentare Scintilla come l’avevi descritta tu, ponendola in una sua situazione tipica: dopo aver appena cercato di aiutare qualcuno, con esiti catastrofici (per sé stessa più che altro).

Poco aderente al tema?

#117 Comment By Martin On 22 novembre 2010 @ 11:22

La tecnica narrativa, o artistica in generale, serva a chi scrive, o dipinge, compone etc…, non tanto a chi ne fruisce.
Penso che sia questo uno dei concetti a cui fa riferimento anche Enry.
Anche tu Chiara, coerentemente con quanto vai dicendo, non puoi non essere d’accordo che se un romanzo è scritto male (“non mostra ma racconta”) non produce l’effetto desiderato di coinvolgere il lettore.
E questo accade anche se il lettore non conosce nulla di tecniche narrative, il romanzo gli farà schifo e semplicemente non saprà perchè.
Se ribaltiamo, come viene spesso fatto, il discorso, si finisce per dire “il romanzo è scritto coi piedi e quindi mi fa schifo.
E questo mi sembra francamente assurdo, l’analisi deve seguire la “fruizione” (lettura) e non viceversa.
Anche perchè se è vero quello che vai dicendo da sempre, che ogni mancanza tecnica si traduce inevitabilmente in un fastidio che aggredisce il lettore, un libro scritto male non piacerà a nessuno.
Il discorso tecnico relativo alla poesia è invece piuttosto complicato perchè nel ’900 si è liberata da quasi tutte le sovrastrutture formali, a tal punto da diventare complicato parlare di regole tecniche.
Il che non vuol dire ovviamente che un’analisi non debba o non possa essere fatta, è vero proprio il contrario.
Conosco il libro di Hofstadter e sono consapevole che un approccio matematico ha applicazioni pressochè illimitate perchè la matematica è una chiave di lettura universalmente riconosciuta come tale, poesia ed “arte” incluse.
Ma bisogno altresì ammettere che ci sono espressioni artistiche che basano gran parte del loro valore sulle capacità evocative, tanto da renderle difficilmente analizzabili “razionalmente”.
Tornando in tema, questo non vale però per la narrativa di genere!
Spesso si dimentica che le tue considerazioni si applicano, parole tue, soprattutto alla narrativa fantasy, distinguo tutt’altro che trascurabile ma che viene sottovalutato da molti.

#118 Comment By Unoqualunque On 22 novembre 2010 @ 11:29

@Gamberetta.
Mi sembra che nel mio caso (e in quello di molti altri) la difficoltà non sia tanto nel “mostrare”, quanto nell’attenermi al tema, ovvero nel mostrare tutto ciò che tu avevi raccontato. Ad esempio nel caso del personaggio Lametta non so nemmeno di preciso in cosa ho mancato il bersaglio…
Comunque sì, l’innocente bambolina di Lametta era un gingillo wodoo.

#119 Comment By AryaSnow On 22 novembre 2010 @ 11:49

Se ribaltiamo, come viene spesso fatto, il discorso, si finisce per dire “il romanzo è scritto coi piedi e quindi mi fa schifo.

Non è detto. Il romanzo scritto coi piedi può piacere nonostante (e non a causa) della cattiva scrittura. Poi bisogna anche vedere quanto è esigente il lettore, e quanto peso attribuisce ai difetti e ai pregi. Però la cattiva scrittura resta una cosa negativa.

E questo mi sembra francamente assurdo, l’analisi deve seguire la “fruizione” (lettura) e non viceversa.

Però se ne capisci qualcosa di tecnica narrativa, un po’ viene spontaneo fare l’analisi anche durante la lettura, e non c’è per forza bisogno di un’analisi a posteriori per capire i motivi dello schifo. Molte cose le afferri al volo.

Comunque a me sembra che le considerazioni tecniche di Gamberetta siano applicabili più o meno a tutta la narrativa (poi esisteranno sempre delle eccezioni… ma sono appunto eccezioni!).
Infatti sono cose che vengono dette più o meno in tutti i manuali di scrittura creativa generici (e non certo solo in quelli dedicati al fantasy. Anzi, personalmente di manuali dedicati soprattutto al fantasy non ne ho mai letti).

#120 Comment By Ste On 22 novembre 2010 @ 12:10

Spero di essere risucito a sistemare il tutto.
So però che le passioni delal fatina sono raccontate, ma senza aggiungere altre scene (allungando il tutto) non avrei saputo come inserirle.

Lametta sollevò il proprio sacco giallo e lo infilò sul ripiano più basso
dello scaffale, fece un passo indietro e osservò il lavoro appena concluso.
“No, non ci siamo, una parte del mio sacco cade dalla mensola”, si avvicinò allo scaffale e si inginocchiò, la sua immagine venne riflessa dalle sfaccettature dei calici di cristallo che circondavano il suo sacco; la fatina allungò la mano verso la parte di sacco che penzolava, l’afferrò sentendo, attraverso la stoffa, i contorni irregolari del pezzo di elitra che aveva raccolto davanti al negozio; con gli occhi guardò da che parte spingere, alzò il gomito all’altezza del orecchio, inspirò e spinse verso sinistra. La sua mano urtò contro un calice che si inclinò appoggiandosi a quello accanto.
Lametta ritrasse la mano, inspirò profondamente e trattenendo il respiro afferrò lo stelo del calice.
- Etciù!!
Istintivamente si portò la mano alla bocca colpendo i bicchieri che vennero scagliati a terra riducendosi in frantumi in una tintinnio assordante; Lametta balzò in piedi, la mano con il calice alla bocca, gli occhi fissi sulla polvere di cristallo ai suoi piedi.
- Cosa è succ… – la calma voce del padrone che la sovrastava da dietro si interruppe.
- Vattene! – riprese urlando.
Lametta dallo spavento si chinò in avanti, incassando la testa nelle spalle; la mano si aprì lasciando cadere il calice che aggiunse polvere cristallina a quella già presente. Con la mano nuovamente libera afferrò il sacco e lo tirò a sé, assieme ad altri calici, si girò abbassandosi e corse fuori dal negozio, varcata la porta spiccò il volo tenendo con entrambe le mani il sacco giallo sotto di se.
Dopo aver superato alcune querce ed un ippocastano vide un ufficio di
collocamento, Lametta smise di sbattere le ali e planò fino all’ingresso.

****

Lametta osservando la fata dalle ali di farfalla che aveva innanzi,
continuava a torcersi le mani sudate dietro la schiena, ogni tanto un ala si metteva a vibrare e solo con profondi respiri Lametta riusciva controllarla e a tenerla ferma.
- E per quanto vorresti lavorare?
“E’ andata” pensò Lametta, le gambe quasi cedettero.
- Posso solo al pomeriggio, prima devo fare nuoto, conoscere gli insetti del bosco, dipingere – ad ogni voce che elencava Lametta si prendeva in mano un dito della mano.
- Una fatina impegnata… – disse espirando e a bassa voce la fata dalle ali di farfalla interrompendo Lametta.
- Eh già – “che maleducata ad interrompermi..”
- Guardando il tuo curriculum vedo che hai fatto diversi lavori…
Lametta arrossì in viso e abbassò lo sguardo ripensando al passato, tornò a fissare gli occhi della fatina di collocamento.
- Senta il lavoro me lo dà o non me lo vuole dare?
Lametta vide la fatina dell’ufficio alzare lo sguardo sopra le spesse lenti degli occhiali che portava sulla punta del naso, lo sguardo di Lametta si fissò in quegli occhi scuri che aveva di fronte, si sentì lo stomaco torcersi, il ritmo del cuore accelerò. Lametta strinse i pugni, sserrò la mascella e sostenne lo sguardo della fata che aveva di fronte.
- Ho solo due lavori al momento: indicare alle api dove sono i fiori e un posto da fatina dei denti.
- Il secondo!
- Per questo ho bisogno dell’autorizzazione dei tuoi genitori ad andare nel mondo degli umani. Ce l’hai? O Se vuoi li chiamo..
“No! Se li chiama scoprono che non sono andata da Fio, e magari scoprono anche che ho dormito dentro una bottiglia”.
- Sono grande abbastanza e indipendente, non ho bisogno del loro permesso! – Lametta alzò il tono di voce, le ultime parole le gridò con voce acuta, l’ala di sinistra si mise a vibrare, il viso le si fece rosso, una mano si strinse a pugno, l’altra artigliò il bordo del tavolo.
- Allora metti una firma su questa foglia in cui ti assumi ogni responsabilità. – disse la fata di collocamento porgendo a Lametta una foglia con alcune frasi incise sopra.
Lametta si chinò verso il sacco che teneva fra le gambe ed iniziò a frugarci dentro alla ricerca di un pezzo di carbone per firmare il foglio “uff quanta inutile burocrazia… ma proprio sta vecchia rimbambita doveva capitarm..” –Ahia! – Lametta ritrasse di scatto la mano dal sacco, si portò un dito sanguinante alla bocca. Doveva essere stato lo spillo che aveva raccolto quel mattino… no quel mattino aveva raccolto un’elitra verde, lo spillo lo aveva preso la sera
prima di andarsene di casa stufa dei rimbrotti dei suoi per il suo “disordine”… disordine come se collezionare oggetti fosse disordine, è una forma di arte e…
- Sto aspettando la sua firma fatina Lametta.
- Senta abbia pazienza lo vede che mi sono fatta male o ha bisogno di un nuovo paio di occhiali?
La fata di collocamento divenne rossa in viso, inspirò profondamente, espirò dal naso rumorosamente e riprese la foglia per l’autocertificazione.
- Ops! I lavori che le avevo proposto sono stati presi – un sorriso seguì
quelle parole.
Lametta smise di succhiarsi il dito strinse i pugni e si allungò verso la
fatina che aveva di fronte.
- Lei è una vecchia mosca cieca! Ecco! Lo dica subito che le sono antipatica perché sono più bella e giovane di lei! Vecchia lucciola! Ci si strozzi con i suoi miseri lavori! Né lei né i miei avete ragione! – si sentiva il cuore in gola, faceva fatica a respirare, le mani ripresero a sudarle, la fronte aggrottata le dava un leggero pizzicore al naso e agli occhi.
- Sicurezza! – chiamò la fata di collocamento alzando un braccio.
Due fatine apparvero accanto a Lametta, come si sentì afferrare per le
braccia iniziò a tirare calci alla scrivania e alle sedie presenti, girò il
busto da un lato e dall’altro, si contorse per scivolare via dalla presa delle due fatine della sicurezza, ma queste tenendola saldamente per le braccia e per le ali la sollevarono di peso, Lametta diede un calcio allo stinco di quella di sinistra la quale per reazione le strinse con maggior vigore l’ala.
- Ahia! Maledette cimici! Lasciatemi! Sporche zanzare succhia-sangue avete
vinto… mi calmo. – Lametta smise di contorcersi e rimise i piedi per terra.
Le due fatine la portarono fuori dall’ufficio e la lasciarono, Lametta si
sistemò con le mani il vestito sulle gambe che nella breve colluttazione era salito sopra le ginocchia spiegazzandosi.
- Il tuo sacco! – disse una delle fatine buttandole ai piedi il sacco giallo che si rovesciò, ne uscirono una perlina verde e blu che cozzò contro la mezza elitra di una coccinella, un tovagliolo a righe nere con infilzato uno spillo sporco di sangue e un frammento giallo di plastica.
Lametta si chinò a terra e con mano tremante raccolse le sue cianfrusaglie rimettendole una a una nel sacco che si mise in spalla, fece due salti e con il braccio destro si sistemò il sacco fra le ali, si girò mise la testa nella sala d’aspetto dell’ufficio e gridò:
- Siete tutte delle vecchie lucciole cianotiche, sottospecie di zanzare
cimiciose! Le vostre madri se la sono fatta con le formiche..
Le due lucciole della sicurezza si girarono e si diressero alzando le mani verso di lei, Lametta tirò fuori la lingua per tutta la sua lunghezza, si piegò leggermente sulle gambe e saltò verso l’alto librandosi in volo.

#121 Comment By ??? On 22 novembre 2010 @ 12:12

@Gamberetta

Ho finito l’articolo. In effetti, dei tre, è quello più utile.
Ho riletto quel che ho scritto per il concorso del Duca e ho trovato più di un errore di questo tipo.
Non penso sia tra gli scritti peggiori, ma poteva essere meglio. Peccato. Staremo a vedere.

E stavolta col mio esercizio non sono riuscito nemmeno a far continuare le avventure del Duca. Vabbe’, amen.

Eccolo. Grazie in anticipo per il commento.

Un alito di vento gelido si riversò dentro la cavità della quercia.
Lametta si svegliò con un sussulto e si rannicchiò in posizione fetale.
Autunno di merda.
Si strusciò le mani su gambe e braccia per scaldarle e stiracchiò le ali.
Si alzò.
Lo stomaco le borbottò.
Lametta aprì il borsone e vi frugò dentro: il libro del corso di pozione d’amore, il tutu, la spilletta dei Kyoto Gay Love, un bottone umano.
Niente: i biscotti erano finiti.
Fuori, l’orologio della stazione segnava le 12:42. All’ingresso l’ elfo con la barba incolta e senza le braccia stava già chiedendo l’elemosina. Uno gnomo in gessato e bombetta si fermò a guardarlo. Scosse la testa ed entrò nell’atrio dell’edificio.
Lametta sbuffò, un sorriso sulla labbra.
Sfigato.
Lo stomaco borbottò di nuovo.
Colazione.
Lametta mise il borsone a tracolla e spiccò il volo. Attraversò il parco ed entrò nella stazione. C’era poca gente: tre streghe che facevano la calza, un uomo-cane che leggeva un giornale slavo e il suo marmocchio che giocava con la PsP. Lo gnomo di prima si era seduto sul lato opposto agli altri e stava trafficando col cellulare.
Lametta raggiunse le macchinette delle merendine ed entrò nella prima buchetta del resto.
Vuota.
Nella seconda appena cinque cents.
La terza come la prima.
Entrò nella quarta: sessanta cents.
Bingo!
Presa la moneta, la inserì nella prima macchinetta e selezionò una Fiesta.
La merendina rimase incastrata nella spirale di metallo.
Lametta si sentì stringere in una morsa gelida.
«No! No! Cazzo!»
Picchiò contro il vetro, ma la merendina non si mosse.
Lametta si passò le mani sul volto e sospirò. Tirò un ultimo calcio alla macchinetta e volò verso la bacheca degli annunci, lì accanto: come al solito era stracolma di carta.

Cercasi donna delle pulizie esperta in telecinesi…
Vendo scopa magica usata pochissimo…
Avete visto questa fat…
Imparare il mesmerismo? E’ facile con i…

Lametta sentì una fitta al cuore. Trattenne il respiro e tornò indietro con gli occhi.

Avete visto questa fatina? Si chiama Lametta, ha 18 anni ed è scappata di casa.
L’ultima volta che è stata vista indossava dei jeans e una maglietta con la scritta
The Next Big Star!

Seguiva una sua foto quando ancora aveva i capelli viola.

Se l’avete vista contattateci al 00534 99567
Qualsiasi informazione utile verrà ricompensata in cristalli di luna.

Mi stanno ancora cercando
«Ehi, signorina, ma quella sei tu!»
Lametta sentì un’altra fitta.
Si girò.
Papà? Mamma?
Il marmocchio dell’uomo-cane la fissava, le orecchie ritte in testa e la lingua a penzoloni. Con la zampa destra indicava la foto.
Lametta respirò sollevata. Si schiarì la voce e poggiò le mani sui fianchi.
«Ma come ti permetti? Io sono molto più bella di così!»
Il marmocchio appoggiò la testa sulla spalla destra.
«Davvero?»
«Certo! Sei cieco per caso? Vattene, va!»
Lametta prese l’annuncio dalla bacheca e lo strappò in due.
Sotto ne apparve un altro.

Sei una ragazza carina, solare, simpatica e la voglia di fare non ti manca?
Perché non lavorare con noi nell’ambiente raffinato del ristorante “Al Gatto Impiccato”.
Ci trovi in Via Morte Rossa, 102 Tel. 00534 229813

Ehi, questo può fare al caso mio!
Lametta prese l’annuncio e si voltò.
Il marmocchio era ancora lì. Scodinzolava.
«E allora? Che mi guardi a fare? Ti ho detto di andartene, stupido pulcioso!»
Il marmocchio chinò la testa e guaì, trascinandosi verso il padre. L’uomo-cane piegò il giornale in due, allarmato. Fissò Lametta e snudò le zanne.
Lametta schizzò fuori dalla stazione più veloce che poteva.

* * *

Il ristorante “Al Gatto Impiccato” era appena fuori città, all’interno di una villa del Cinquecento con un grosso giardino disseminato di statue in marmo bianco.
Lametta c’era stata qualche anno fa per il compleanno di Fiammifero, quello stronzo impasticcato e doppiogiochista.
Fiammifero… come si sta nelle Terre d’Estate? Neanche un’anima viva, eh?
Lametta rise.
Entrò in volo nel salone d’ingresso. Dietro il bancone della reception un puttanone d’elfa vestita avvolta in un tailleur nero e camicia bianca si aggiustò gli occhiali e sorrise.
Un sorriso falso.
«Benvenuta al Gatto Impiccato. Desidera?»
Lametta sfoggiò il suo sorriso migliore.
«Salve, ho visto questo annuncio e vorrei avere qualche dettaglio sul lavoro.» Diede all’elfa il biglietto e quella lo lesse e smise di sorridere.
«Ah, sì, questo. Be al momento sono aperte più posizioni. Tu che sai fare, tesoro?»
«Be, io so cantare, suonare il piano e ballare » Lametta atterrò sul bancone, aprì la zip del borsone e ne vuotò il contenuto: il libro del corso di pozioni d’amore, un pacchetto di assorbenti interni con applicatore, una spilletta e il canzoniere dei Kyoto Gay Love, i vestiti puliti e quelli da lavare.
Lametta agguantò gli assorbenti e li nascose nel borsone. Poi frugò tra i vestiti e trovo il suo tutu.
«Vede? Ho il tutu verde. Quarto livello di danza druidica!»
L’elfa la guardava con gli occhi sbarrati. Di certo era rimasta impressionata.
«Capisco.» Si spinse gli occhiali sul nasino rifatto. «Senti tesoro, e non è che per caso sai anche fare la cameriera o lavare i piatti? Ci servirebbe qualcuno per i sabato sera.»
Lametta ponderò la domanda. Era un trabocchetto, ovvio.
«Be’, guardi il Sabato sera io vado in disco a ballare, e il Martedì, Giovedì e Venerdì ho il corso di danza druidica, quello di canto e quello di pozioni d’amore. Ma, comunque, perché dovreste assumermi per cavolate come servire ai tavoli o lavare? Io posso essere l’anima del locale. L’attrazione che richiama i clienti. Senta questa canzone. L’ho scritta io: Mi ami perché sono perfe-»
L’elfa l’afferrò, tappandole la bocca. Le fece male alle ali.
Lametta si contorse. Che cazzo aveva in mente quella troia? Come si permetteva di trattarla così?
L’elfa si sistemò di nuovo gli occhiali e poi prese la roba sul bancone con la mano libera.
«Senti, cocca, mettiamo le cose in chiaro: qui si lavora seriamente. Non tolleriamo di essere presi in giro da ritardati che si credono artisti, chiaro?»
L’elfa aprì la porta con un colpo di fianchi e scaraventò Lametta e la sua roba fuori dal ristorante.
«E non farti più rivedere!»
Lametta le mostrò il medio, il volto rigato dalle lacrime.
«Vaffanculo vecchia troia rifatta. Sei buona solo a succhiar cazzi e prenderlo in culo! Aaaah! Troia!»
Tirò su col naso e scese a terra. Raccolse le sue cose e le rimise nel borsone.
Il mondo era pieno di inferiori stronzi.
Forse era meglio tornare a casa.

#122 Comment By ??? On 22 novembre 2010 @ 12:24

@Gamberetta

Argh Ho lasciato un vestita che andava tolto!

Quando hai letto vorrei parlarti del ricordo che ho messo apposta nella seconda parte del testo.

#123 Comment By Gamberetta On 22 novembre 2010 @ 14:39

@Tapiroulant.

Lo dici ai fini dell’esercizio o perché la scena ti sembra costruita male in generale?

In generale dipenderebbe da come hai mostrato il personaggio fino a quel punto. Il brano è troppo corto per dire se il “Ti odio” è la soluzione più naturale dato il personaggio.
Però se aggiungi una componente visibile è meglio. Anche perché puoi scegliere la sfumatura precisa che meglio caratterizza il personaggio. Adesso il “Ti odio” è neutro. “Ti odio” preceduta o seguito da un calcio (o solo il calcio) è un altro discorso. Il “Ti odio” mentre la fatina solleva un lembo del sacco e lo lascia ricadere è un’altra sfumatura. Il “Ti odio” solo mormorato mentre scuota la testa è un’altra sfumatura ancora.
Insomma può andare bene, ma si può far meglio.

Insomma, l’espressione ‘silenzio’ era per me un mostrato, e un mostrato più utile delle sue alternative. Se però ritieni ancora che dovrei toglierlo, potrei anche cambiare idea.

Come l’hai scritto tu quel “silenzio” era più: “Lametta non rispose”. Se invece volevi dare l’idea della “realtà che trattiene il fiato”, del mondo che si zittisce in attesa degli eventi o qualcosa di simile (situazione comunque da usare con parsimonia perché molto retorica), dovevi costruire la situazione in modo da mostrarlo.
Non so: piove, lo stereo manda una canzone a basso volume, il gatto raspa sulla porta di casa, Lametta fa rumore intagliando il legno.
Quando arriva il “silenzio” scrivi che smette di piovere, la canzone finisce, il gatto si accoccola contro lo stipite e la lama che sta tagliando il legno si ferma a metà del percorso, con una scheggia sollevata ma non ancora tagliata.
A questo punto hai reso il “silenzio”.
Se scrivi solo “silenzio” semplicemente non funziona. A te magari comunica la sensazione giusta. Ad altri no. Perché è il problema della scatoletta “graziosa”: tu evochi il fermo immagine di Evangelion, un altro al “silenzio” evoca un film muto con Charlie Chaplin. Dunque cerca di non costringere alle evocazioni, mettendo direttamente i particolari giusti.

@france. Al di là del tema, se nell’articolo è spiegato che certe espressioni vanno evitate e poi tu scrivi (enfasi mia):

Ansimò, cercando di rialzare il braccio. Troppo faticoso. Aveva le cosce e le spalle gelide, e tremava. Colpa di quel c… quello stupido vento. Entrava dappertutto. DAP-PER-TUT-TO.
Cercò di rialzarsi, la gamba si torse, Scintilla gridò, crollando e rimanendo a terra senza respiro, da non riuscire nemmeno a piangere.

Io rimango un attimo perplessa. Così come la quantità industriale di puntini di sospensione. Già spiegato più di una volta che le pause vanno mostrate, i puntini di sospensione sono l’autore che dice: “Qui c’è un pausa”. È brutto.
Sei anche “entrato nella storia”, perché passaggi così:

Okay. Forse non era esattamente preoccupazione quella nei suoi occhi. Non tutta, magari. Ma un pochino ce n’era. Un pizzico. Di sicuro. Ehm.

O così:

Scintilla era in lacrime. Il che, più o meno, era la sua condizione normale, ma in genere i ghirigori pseudo-artistici del moccio sulla sua bocca non rientravano nel quadro.

Non mi sembrano proprio pensieri di Scintilla, ma del narratore.

@Ste. Meglio di prima. La prima scena rende abbastanza l’attaccamento di Scintilla al sacco giallo e le conseguenze per il lavoro. Forse però dovevi spendere qualche parola in più per descrivere il contesto, perché non è molto chiaro che negozio sia (bar? cristalleria? articoli regalo?), sembra una scena che si svolge nel vuoto.
Per l’aggiungere scene, come detto ad altri: mettine quante ne servono. Prima si scrive il necessario, poi, se è scivolato dentro anche il superfluo, si taglia.

@???.

E stavolta col mio esercizio non sono riuscito nemmeno a far continuare le avventure del Duca.

Un dramma

Comunque non è venuto male. Non è brillante, però hai mostrato quello che dovevi e in generale l’hai fatto con buona padronanza. Sono quasi tutti termini/espressioni concrete. La maestra approva.

Ti faccio notare qualche sfumatura:

«Ma come ti permetti? Io sono molto più bella di così!»

Puoi rendere meno generico il “più bella”, non so:
– Io sono molto più alta di così!
– Io ho le tette più grosse!
– Io ho i capelli color verde smeraldo, non viola vomito di orco!

L’uomo-cane piegò il giornale in due, allarmato.

Allarmato è raccontato. Se vuoi mostrare metti che ringhia, allarga le narici, sbatte la coda, ecc.

Lametta schizzò fuori dalla stazione più veloce che poteva.

Schizzare già implica il (raccontato) “più veloce che poteva”. Altrimenti come al solito devi mostrare la sensazione di velocità (i vestiti che si sollevano e le cartacce che volano via per lo spostamento d’aria? ^_^)

[...] all’interno di una villa del Cinquecento con un grosso giardino disseminato di statue in marmo bianco.

Grosso è troppo generico (e poi che significato ha “grosso” se il punto di vista è di una fatina?); nel caso specifico puoi semplicemente togliere, ché bastano le statue.

Lametta ponderò la domanda.

Raccontato. Lametta si gratta sopra l’orecchio. Conta sulla punta delle dita i giorni della settimana. O qualche altro gesto che implichi il “ponderare” senza dirlo.

Quando hai letto vorrei parlarti del ricordo che ho messo apposta nella seconda parte del testo.

Il ricordo sarebbe Fiammifero? In effetti lascia un po’ il tempo che trova, specie: “Fiammifero… come si sta nelle Terre d’Estate? Neanche un’anima viva, eh?”

#124 Comment By ??? On 22 novembre 2010 @ 15:26

@Gamberetta

Un dramma…

Eh, sì, quant’è vero! Magari col prossimo esercizio mi rifaccio. Lol!

La maestra approva.

Evvai! Champagne! No, seriamente, la valutazione positiva mi tira su il morale dopo aver notato gli errori nel racconto per il concorso…

Non è brillante.

Ecco, cavolo! Cosa manca di preciso? Per brillante intendi originale, il tono o cosa? A me piaceva molto il primo pezzo. Mi ero ispirato a Swanwick…

Ti faccio notare qualche sfumatura:
L’uomo-cane piegò il giornale in due, allarmato.
Allarmato è raccontato. Se vuoi mostrare metti che ringhia, allarga le narici, sbatte la coda, ecc.

Grazie per le correzioni. Questo è ciò che rimane del raccontato quando scrivo. I pezzetti di frase raccontati prima o dopo il mostrato relativo al passaggio. E che a volte (non in questo caso) aggiungo perché mi suona meglio il ritmo della frase.

Ad esempio questo:

Lametta si sentì stringere in una morsa gelida.
«No! No! Cazzo!»
Picchiò contro il vetro, ma la merendina non si mosse.
Lametta si passò le mani sul volto e sospirò. Tirò un ultimo calcio alla macchinetta e volò verso la bacheca degli annunci, lì accanto: come al solito era stracolma di carta.

prima era:

Lametta si sentì stringere in una morsa gelida.
«No! No! Cazzo!»
Picchiò contro il vetro, ma la merendina non si mosse. Sconsolata, si passò le mani sul volto e sospirò. Tirò un ultimo calcio alla macchinetta e volò verso la bacheca degli annunci, lì accanto: come al solito era stracolma di carta.

Vedrò di eliminarli con l’esercizio.

Questo, però, mi porta a un’altra domanda che volevo farti da un po’.

Ho notato che quando scrivo rispettando le regole al meglio finisco per avere dei testi col nome del protagonista ripetuto più e più volte a inizio frase. L’ho notato anche nel romanzo di Angra, ma solo in qualche punto.

So che il nome è “trasparente”, ma come posso fare per ridurre il problema? L’unica cosa che mi viene in mente è alternare con altro, ad esempio in questo caso Lametta con Fatina, ma non so se sia una buona soluzione. Ce ne sono altre?

Il ricordo sarebbe Fiammifero? In effetti lascia un po’ il tempo che trova, specie: “Fiammifero… come si sta nelle Terre d’Estate? Neanche un’anima viva, eh?”

Si esatto, l’ho messo apposta, non tanto per l’esercizio, ma per chiederti qualche precisazione sul raccontato nei ricordi.

I flashback vanno evitati, lo so.

Quando c’è un flashback lungo che non posso togliere perché è importante per la storia lo trasformo in scena e mostro, non è un problema.

Ma quando è corto?

Ad esempio:

Tra il capitolo 1 e il 2 sono successe delle cose minori che non voglio mostrare, ma che voglio raccontare, magari per approfondire un argomento o dare risposta a qualche domanda che potrebbe avere il lettore, in modo che abbia la sua risposta e si riimmerga nella scena.

E’ ok mettere del raccontato?

Lo vedo fare spesso a Konrath.

Es:

Fine capitolo 1

il tenente Daniels corre al bagno per lavarsi via il veleno che le è stato spruzzato in faccia.

Inizio capitolo 2

Quando mi svegliai in ospedale la faccia e gli occhi mi bruciavano. I dottori mi avevano fatto uno “scrub” fino all’osso e dato del collirio xyz.

Insomma, così, ma un po’ più lungo e scritto bene. Che mi dici?

Grazie ancora.

#125 Comment By Artemis On 22 novembre 2010 @ 18:36

Ecco il compitino. Io ci ho provato! ^^

Lametta inspirò profondamente l’aria frizzante e trasparente, di cristallo, e si stirò facendo scricchiolare leggermente la colonna vertebrale. Le sue ali vibrarono nervose, scrollandosi di dosso le gocce di condensa e si ripiegarono sulla schiena. Rabbrividì e sorrise, soddisfatta, ai campi verdeggianti che le si estendevano ai lati.
- Benvenuta in Irlanda- mormorò a sé stessa.
Proseguì lungo il sentiero lastricato, schivando le persone che strette nei loro cappotti invernali passeggiavano, le coppiette che si davano baci schioccanti sulle panchine e vecchietti che gettavano briciole di muffin al piccolo pubblico di piccioni e scoiattoli. Un cancello in ferro battuto segnava l’uscita da quel parco. Oltrepassatolo, lasciò cadere la pesante borsa a tracolla che portava in spalla, che cadde con un tonfo sul marciapiede, e si massaggiò la clavicola con una mano, muovendo il braccio avanti e indietro.
- Ahi- si lamentò. La cinghia le aveva lasciato una brutta traccia rossa sulla spalla, che bruciava.
Un ragazzino che le arrivava al mento la urtò, ridendo e facendo strada ai suoi compagni, su costosi pattini a rotelle argentati.
- Hey, tu! Fai attenzione!
Si sporse per afferrarlo per la camicia a quadretti, assaporando il momento in cui avrebbe affondato le dita su quelle morbide guance di bambino, e gliele avrebbe tirate fino a farlo strillare di dolore e paura.
Le sue dita gli sfiorarono il bordo della camicia ma quello sfuggì alla sua presa, e Lametta si sbilanciò in avanti. Si aggrappò con una mano al freddo lampione, impedendosi di cadere, ma lasciando sfuggire dalle tasche degli oggetti che caddero tintinnando sulla pietra.
- Merda- borbottò la fatina. Si chinò e afferrò un paio di binocoli, due batterie scariche, un cellulare dallo schermo scheggiato, le chiavi della camera dell’albergo che si era dimenticata di restituire, un portachiavi, delle monete spagnole, una clessidra con la sabbia verde, che stava tutta sul palmo della mano, un pennarello blu, delle conchiglie e alcuni cioccolatini al cocco rivestiti in carta dorata.
Si voltò verso la borsa, incespicando e minacciando di cadere ancora, e aprì la cerniera. Le sue guance si arrossarono mentre il binocolo resisteva alle sue mani che premevano perché si scavasse un angolino fra i teli da mare, i libri di Freud, i gomitoli di lana e tutto quello che si era portata dietro.
- Ahia!
Ritrasse la mano e se la portò alla bocca. Si succhiò il dito che si era punta con un ago per cucire.
Il cellulare cominciò a vibrare contro la sua coscia.
- Accidenti!- si alzò in piedi e si frugò le tasche.
Trovatolo, premette il tasto rosso al punto di farlo quasi collassare all’interno dell’apparecchio, mordendosi un labbro.
- Ancora tua madre?- domandò Alisea, facendola sobbalzare.
- Non venirmi alle spalle così, scema!- sbraitò la fatina.
Alisea toccò terra coi piedini calzati in stivaletti neri e lucidi. Ripiegò le ali di un verde fluorescente e sorrise.
- Ormai neanche mi offendo più.
- Brava! Vuoi un applauso?- Lametta si mise a braccia conserte e guardò altrove.
- No. Comunque- si guardò attorno velocemente – visto che bel posto? Non ci guarda nessuno!
I lineamenti di Lametta si fecero meno rigidi.
- In effetti. Credo che qui siano così abituati a noi che…- lasciò in sospeso la frase. Tolse la batteria al cellulare e sfilò la sim. Sotto lo sguardo di Alisea la lanciò nel cestino.
- Che fai?- chiese quella.
- Così non mi possono più chiamare né intercettare le telefonate.
- Non arriverebbero a tanto- commentò Alisea e distese le ali – ti saluto, eh! Ho un appuntamento galante.
- In culo alla balena- rispose Lametta, a voce alta perché l’altra, ormai in volo, la sentisse. Prese la borsa in spalla, sentendosi bruciare la schiena per la fatica, e riprese a camminare a zig zag, strascicando le suole sull’asfalto, e guardando le vetrine illuminate dei negozi.
Cercasi cameriera
Diceva un cartello, posto in basso a destra, sulla vetrina di un ristorante francese. Lametta si fermò e scrutò all’interno. Vedeva ben poco, solo il proprio riflesso e quello della strada, ma la luce arancione, calda e confortante, del ristorante, e le scariche elettriche di dolore che le dava la borsa, gonfia e con la cerniera tesa, la invogliarono a entrare.
***
- Lametta, giusto?- chiese il responsabile.
- Sì signore.
- Monsieur Tirinnanzì- si presentò.
“è francese tanto quanto io sono un troll” pensò Lametta, soffocando una risatina alla vista di quella zucca pelata illuminata dalle luci al neon dell’ufficio. Strinse gli occhi lacrimanti.
- Hai fatto la cameriera altre volte?- chiese il Tirinnanzì.
- Sì- rispose la fatina, dimenandosi a disagio sulla sedia, che protestò cigolando.
- Sempre nei ristoranti?
- No, solo nei bar- sporse leggermente le labbra e le sue gote si arrossarono appena.
- Ti sei trovata bene?
- Insomma- rispose quella – mi hanno cacciato perché…- si morse un labbro – perché…- dimenò le gambe .
- Fa’ nulla- rispose l’uomo.
Lametta sospirò e alzò lo sguardo, sorridendo.
Il proprietario arrossì e il suo sguardo vagò sulla scollatura della camicia della fatina.
- B-bene. Puoi iniziare subito.
Lametta balzò dalla sedia e afferrò nervosamente il grembiule verde bottiglia che l’uomo le stava porgendo.

#126 Comment By kaos On 22 novembre 2010 @ 19:34

Ho una domanda:

Nel caso di concetti non visuali come si fa a descrivere e non raccontare?

Ad esempio se il nostro eroe sente un buon profumo come si fa a “descrivere” un buon profumo?

Ad esempio se la procace Katia, a cui il nostro eroe vorrebbe mostrare il suo attizzafuoco, fa un buon profumo come si dovrebbe agire per descrivere tale profumo? Oppure potrebbe essere ritenuto un particolare insignificante?

O come si potrebbe descrivere una canzone molto bella o una voce armoniosa? O fastidiosa?

Per un odore nauseante qualche idea ce l’avrei, dal momento che le vittime di tale odore potrebbero portarsi una mano al volto per coprirsi il naso, o, se gentiluomini di vecchio stampo, il classico fazzoletto profumato alla lavanda.

Ma appunto in casi di roba piacevole che non susciterebbe una reazione cosi’ accentuata? O qualcosa che alla fine non suscita sensazioni non ha senso di essere citata perche’ appunto non suscita sensazioni neanche nel lettore? Pero’ se togliessimo qualcosa come il profumo, non renderemo meno reali i nostri personaggi?
Se ad esempio voglio dire che la bagascia della locanda aveva “un profumo da due soldi” per appunto sottolineare che fosse una bagascia e non una escort di alto bordo, e’ una soluzione accettabile o non va bene perche’ “profumo da due soldi” e’ un’intrusione del narratore?

In genere mi viene difficile pensare come descrivere delle sensazioni che non sono visive o che non suscitano nei personaggi delle reazioni visive ma piu’ che altro psicologiche.

#127 Comment By france On 22 novembre 2010 @ 22:08

@Gamberetta: innanzitutto grazie dei chiarimenti.

@france. Al di là del tema, se nell’articolo è spiegato che certe espressioni vanno evitate e poi tu scrivi (enfasi mia):

Ansimò, cercando di rialzare il braccio. Troppo faticoso. Aveva le cosce e le spalle gelide, e tremava. Colpa di quel c… quello stupido vento. Entrava dappertutto. DAP-PER-TUT-TO.
Cercò di rialzarsi, la gamba si torse, Scintilla gridò, crollando e rimanendo a terra senza respiro, da non riuscire nemmeno a piangere.

Io rimango un attimo perplessa.

In effetti ho anche tagliato e rimontato un bel poò la parte iniziale per mostrare il più possibile, ma non sapevo davvero come altro esprimere certi concetti. Ad esempio, quando sei così stanco, prostrato, che dici al braccio “ehi, alzati”, ma quello non si alza. Da lì il continuo “cercare”. CERCHERO’ (xD) di studiare un sistema migliore =)

Così come la quantità industriale di puntini di sospensione. Già spiegato più di una volta che le pause vanno mostrate, i puntini di sospensione sono l’autore che dice: “Qui c’è un pausa”. È brutto.

Anche qui, non sapevo come fare altrimenti… mannaggia, altri puntini. Non me ne libero. Pensandoci, probabilmente fanno parte del mio modo di parlare e esprimermi in generale. Bisogna che mi sforzi di levarmeli di torno.

Sei anche “entrato nella storia”, perché passaggi così:

Okay. Forse non era esattamente preoccupazione quella nei suoi occhi. Non tutta, magari. Ma un pochino ce n’era. Un pizzico. Di sicuro. Ehm.

O così:

Scintilla era in lacrime. Il che, più o meno, era la sua condizione normale, ma in genere i ghirigori pseudo-artistici del moccio sulla sua bocca non rientravano nel quadro.

Non mi sembrano proprio pensieri di Scintilla, ma del narratore.

Invece erano proprio suoi al 100% :/ Cosa da chiarire, evidentemente. Ho usato quando potevo il corsivo per esprimere i pensieri di Scintilla, o perlomeno i pensieri “consci”, diretti. Essendo suo il POV, le sensazioni, le intuizioni ecc. le ho lasciate in regular pensando che si sarebbe capito comunque. Devo ripulire un po’ il tutto :/

Grazie ancora! Ci lavorerò un po’ domani ^_^
(non so come fai ad analizzare e commentare criticamente così tanta roba, cmq. Io sbatterei la testa al muro).

#128 Comment By Gamberetta On 23 novembre 2010 @ 00:16

@???.

Ecco, cavolo! Cosa manca di preciso? Per brillante intendi originale, il tono o cosa? A me piaceva molto il primo pezzo. Mi ero ispirato a Swanwick…

Premesso che il brano è adeguato all’esercizio e non scritto male – se fosse l’incipit di un romanzo proseguirei a leggerlo – manca un po’ di atmosfera. Mancano dettagli che rimangano impressi. E secondo me non c’è abbastanza conflitto. I personaggi devono soffrire! La merendina che non scende non basta. Infine la realtà non è abbastanza filtrata dal punto di vista.
Non so, prendi questo passaggio:

C’era poca gente: tre streghe che facevano la calza, un uomo-cane che leggeva un giornale slavo e il suo marmocchio che giocava con la PsP. Lo gnomo di prima si era seduto sul lato opposto agli altri e stava trafficando col cellulare.

Senti che è descritto da una fatina affamata e scappata da casa? No. Quali particolari noterebbe la fatina? Magari le briciole di sfogliatelle alla mela appiccicate al muso dell’uomo-cane; forse il portafoglio dello gnomo che gli sta per scivolare fuori dalla tasca; forse il gatto nero accovacciato tra le streghe che la segue con gli occhi.
Ma neanche Swanwick riesce sempre a essere così acuto. Non pretendo la brillantezza.

So che il nome è “trasparente”, ma come posso fare per ridurre il problema?

Dipende: se scrivi in terza persona con una telecamera “lontana” non c’è niente da fare, devi per forza ripetere il soggetto, altrimenti il lettore può avere dubbi su chi-fa-cosa ed è peggio. Se però scrivi con una telecamera molto vicina, nella testa del personaggio, puoi descrivere le sensazioni senza specificare il soggetto che le prova, perché il lettore sa che è il personaggio:

Fiammetta era stesa sul letto. La fatina aprì gli occhi.

Diventa:

La coperta ruvida le gratta le ali e la nuca. La luce del sole di mezzogiorno le ferisce gli occhi.

Come del resto hai fatto tu stesso quando scrivi:

Lo stomaco le borbottò.

E come potresti fare per esempio qui:

Lametta sentì un’altra fitta.

Scrivendo:

Un’altra fitta allo stomaco.

(o dov’era la fitta).

E’ ok mettere del raccontato?

Sì, per brevi ricordi non muore nessuno. Fermo restando che, come al solito, se inserisci particolari concreti è meglio:

Mi ricordo quella volta che siamo andati al ristorante con Fiammifero e lui si è comportato da scemo.

Meh!

Mi ricordo quella volta che siamo andati al ristorante con Fiammifero e lui ha rovesciato l’insalatiera sulla testa del cameriere.

Meglio. Passabile.
Comunque io di Konrath ho letto Origin e non era scandaloso, ma era anche ben lontano dall’essere scritto bene.

@Artemis. Dunque ci siamo che Lametta ha un’ossessione per le cianfrusaglie che si porta dietro. Si può intuire che sia scappata da casa (anche se bisogna fare uno sforzo di immaginazione, non è proprio mostrato), invece non è mostrato che ha problemi a trovare/mantenere un lavoro.
C’è una buona percentuale di termini concreti rispetto ai termini astratti e questo va bene. La scrittura alle volte è un po’ farraginosa, anche se non c’entra specificatamente con lo “Show don’t tell”, per esempio:

Si aggrappò con una mano al freddo lampione, impedendosi di cadere, ma lasciando sfuggire dalle tasche degli oggetti che caddero tintinnando sulla pietra.

Troppi concetti in una sola frase. Meglio spezzare: Si aggrappò con una mano al lampione. Gli oggetti le sfuggirono dalle tasche. Caddero e tintinnarono sulla pietra.

Prese la borsa in spalla, sentendosi bruciare la schiena per la fatica, e riprese a camminare a zig zag, strascicando le suole sull’asfalto, e guardando le vetrine illuminate dei negozi.

Dove ci sono quelle “e” metti un punto. Prese la borsa e la schiena brucia è un concetto. Riprendere a camminare strascicando i piedi è un altro concetto. Guardare le vetrine è un terzo concetto.

@kaos. Con i profumi/odori si usano le similitudini, cercando di non farle troppo fantasiose. “Profumo da due soldi” a parte che è cliché, è così così. Devi trovare qualcosa di concreto che si avvicini a quel profumo: sterco, urina, alcool, ammoniaca, canfora, cassonetto aperto, ecc.
Dopodiché in generale hai ragione, è (molto) difficile rendere i profumi e i sapori. Però raccontarli serve a poco: se scrivi che Katia ha un buon profumo non comunichi niente e pagina dopo il lettore se ne è già scordato, dunque o riesci a mostrare direttamente o indirettamente il buon profumo di Katia oppure è più semplice togliere l’accenno e amen.

#129 Comment By ??? On 23 novembre 2010 @ 09:48

@ Gamberetta

– se fosse l’incipit di un romanzo proseguirei a leggerlo –

Comunque io di Konrath ho letto Origin e non era scandaloso, ma era anche ben lontano dall’essere scritto bene.

Mi fa molto piacere. Il mio obbiettivo è vivere ANCHE scrivendo. Mi rinfranchi un po’. Una volta finita la specialistica, parto per bene.

Magari posso chiederti un commento a ciò che ho scritto per il concorso del Duca dopo che si sapranno i risultati e avrò sistemato gli errori che trovo? Se si può, eh!

Per il resto:

questo

manca un po’ di atmosfera. Mancano dettagli che rimangano impressi.
Non so, prendi questo passaggio:
C’era poca gente: tre streghe che facevano la calza, un uomo-cane che leggeva un giornale slavo e il suo marmocchio che giocava con la PsP. Lo gnomo di prima si era seduto sul lato opposto agli altri e stava trafficando col cellulare.
Senti che è descritto da una fatina affamata e scappata da casa? No.

e questo

se scrivi in terza persona con una telecamera “lontana” non c’è niente da fare, devi per forza ripetere il soggetto, altrimenti il lettore può avere dubbi su chi-fa-cosa ed è peggio. Se però scrivi con una telecamera molto vicina, nella testa del personaggio, puoi descrivere le sensazioni senza specificare il soggetto che le prova, perché il lettore sa che è il personaggio:

son problemi legati, se non del tutto una cosa sola: mancanza di pov con telecamera più vicina. Capisco.

Ma, domanda: avevo letto in un manuale che la cosa migliore sarebbe variare la distanza della telecamera perché sennò il lettore si abitua e si annoia. Mi confermi? O sei per il più vicina è meglio è?

Next:

E secondo me non c’è abbastanza conflitto. I personaggi devono soffrire! La merendina che non scende non basta.

Ok. Qui mi era venuto in mente solo quello e la “lite” col bambino. Di solito cerco sempre di far finire una scena peggio di come è iniziata (per il protagonista, ovviamente).

E infatti volevo chiederti: dopo il mostrare di che parlerai? Farai mai una “checklist” per le scene: come possono iniziare, cosa dovrebbe contenere, come dovrebbe finire, etc, etc?

Grazie di tutto.

Con questi esercizi mi sento passo passo più vicino a combinare qualcosa di buono.

#130 Comment By tasso barbasso On 23 novembre 2010 @ 10:00

@Sinclair.

Ho letto con attenzione il tuo intervento e devo dire che, pur nella sua estrema brevità, lo trovo sorprendentemente interessante e completo (anche se vedo che hai preferito sorvolare su taluni aspetti più propriamente retorici del pur importante articolo di Gamberetta). Una curiosità: quando nel tuo secondo post scrivi:

non smette mai di stupirmi la capacità di noi essere umani di esprimere giudizi perfettamente sensati senza aver bisogno di definire un metodo unitario di analisi, per di più esprimendoli su soggetti che sfuggono all’applicazione di misurazioni oggettive.
Forse la nostra intelligenza è più “intelligente” di quanto pensiamo…

Ti riferisci anche (oltre a tutto il resto che è intuibile) alle tante premesse e implicazioni del “paradigma olografico”?

#131 Comment By Gamberetta On 23 novembre 2010 @ 11:48

@???.

Mi fa molto piacere. Il mio obbiettivo è vivere ANCHE scrivendo. Mi rinfranchi un po’. Una volta finita la specialistica, parto per bene.

Ma come spiegato nell’articolo sul fantasy italiano, il fatto che tu sia più o meno bravo non ha alcuna importanza. E per quanto riguarda autoproduzione/ebook non credo in Italia sarà una strada percorribile ancora per molti anni – nel senso che lo puoi fare, ma non ci guadagni certo da vivere.

Magari posso chiederti un commento a ciò che ho scritto per il concorso del Duca dopo che si sapranno i risultati e avrò sistemato gli errori che trovo? Se si può, eh!

Se potrò leggerò i racconti e commenterò di mia volontà. È inutile che ti prometta che leggerò il tuo in particolare quando non lo so.

Ma, domanda: avevo letto in un manuale che la cosa migliore sarebbe variare la distanza della telecamera perché sennò il lettore si abitua e si annoia. Mi confermi? O sei per il più vicina è meglio è?

Io sono per il più vicino meglio è, non a caso ho cominciato a scrivere in prima persona e non credo tornerò indietro. Ovvio poi che se la fatina è sempre e solo ossessionata dal mangiare può diventare noioso, però non sarà così: dopo pranzo, saziata, noterà altri particolari. Se è felice né noterà altri ancora, se è triste altri e così via.

E infatti volevo chiederti: dopo il mostrare di che parlerai? Farai mai una “checklist” per le scene: come possono iniziare, cosa dovrebbe contenere, come dovrebbe finire, etc, etc?

L’argomento più probabile sarà il punto di vista. Oppure il world-building. Sulla costruzione delle scene non ho ancora in cantiere niente, per ora.

#132 Comment By ??? On 23 novembre 2010 @ 12:12

@ Gamberetta

Ma come spiegato nell’articolo sul fantasy italiano, il fatto che tu sia più o meno bravo non ha alcuna importanza. E per quanto riguarda autoproduzione/ebook non credo in Italia sarà una strada percorribile ancora per molti anni – nel senso che lo puoi fare, ma non ci guadagni certo da vivere.

Lo so. E infatti punterò alla seconda opzione più che ai canali tradizionali, e lo farò in Inglese: laurea in lingue, padre e morosa madrelingua.

Se potrò leggerò i racconti e commenterò di mia volontà. È inutile che ti prometta che leggerò il tuo in particolare quando non lo so.

Ok. Grazie comunque vada.

Io sono per il più vicino meglio è, non a caso ho cominciato a scrivere in prima persona e non credo tornerò indietro.

Capisco. Io non ho provato la prima persona più di tanto. Ma se ben realizzate prima e terza dovrebbero essere uguali. In un manuale ricordo che proponevano come esercizio scrivere in terza e girare in prima e viceversa per vedere quanto ci si atteneva al pov.

Mi sembra un buon consiglio.

L’argomento più probabile sarà il punto di vista. Oppure il world-building. Sulla costruzione delle scene non ho ancora in cantiere niente, per ora.

Ok. Resto in attesa. Questi sono gli articoli che mi interessano di più.

Grazie ancora.

Ciao!

#133 Comment By Tapiroulant On 23 novembre 2010 @ 12:22

@Gamberetta: Ti ringrazio! Soprattutto per la faccenda del ‘silenzio’, davo per scontato che la parola suscitasse una sensazione abbastanza unanime, ma se fosse stato così non mi avresti nemmeno fatto l’osservazione.
Per amor di precisione, devo dire che non intendevo nemmeno ‘il mondo che trattiene il fiato’, ma una situazione più, diciamo, intermedia: un momento di staticità nella storia, non perché effettivamente il mondo si sia fermato, ma perché i personaggi non fanno niente (per vari motivi a seconda della situazione: sono in attesa, o pietrificati, o esanimi, etc.). Ho citato Evangelion perché sapevo che l’avevi visto; in realtà è una tecnica che ho visto usare varie volte, sia negli anime che nei film (non so se hai visto Funny Games: una scena che mi ha colpito è la scena lunghissima, a camera ferma, con la protagonista che tenta di liberarsi dopo che gli psicopatici sono usciti di casa. Ecco: nella parte iniziale della scena, la telecamera è ferma, i personaggi sono fermi, insomma tutto è fermo, tranne che si sente il respiro di lei, e la cosa dura anche una decina di secondi credo).
In effetti mi rendo conto che è una tecnica cinematografica, più che altro, non semplice da trasporre in letteratura. Vorrei trovare il modo per renderlo, perché è un ‘concetto’ che mi piace molto. Ma per riuscirci, bisognerebbe evitare di riempire il vuoto di azioni con altre azioni (es. nel caso di prima, Lametta che taglia un’altra striscia).
Poi, nel caso preciso di quella scena con Lametta, la tua soluzione va benissimo.

@Zave e Siobhan: La mia impressione al termine di questi esperimenti, è che il tizio in termini di larghezza ce l’avrebbe troppo grosso, in termini di lunghezza troppo piccolo.
Forse l’unica soluzione all’enigma, è che la MacAlister è scema.

#134 Comment By Artemis On 23 novembre 2010 @ 15:29

@Gamberetta
Grazie per i preziosi suggerimenti, mi saranno molto utili^^ in effetti mi sono resa conto che lo stile non è certo scorrevole, però ho puntato soprattutto sul mostrare e il fatto che mi sia costato una certa fatica non è un buon segno, vuol dire che mi devo esercitare di più.
Grazie ancora, ti leggo sempre^^

#135 Comment By Il Guardiano On 23 novembre 2010 @ 20:07

ok…ho provato pure io.
è la prima volta in assoluto che scrivo qualcosa e l’ho fatto più che altro per pura curiosità.
Sono convintissimo che sia una cagata ma dopo qualche ora “sprecata” così tanto vale postarla lo stesso e almeno sapere dove e come ho sbagliato.
Ho scelto Lametta e so già che alcune cose le ho mancate in pieno come ad esempio il fatto che è scappata di casa…non mi è venuto in mente niente per mostrarlo tranne che un flashback (che non saprei come inserirlo) o una scena a parte che comunque non saprei come costruirla. boh…

“Certo signora. Come le ho detto, noi vendiamo solo prodotti di qualità” disse Lametta. Prese il barattolo di “Bomba Picccante”, si stampò sulla faccia il miglior sorriso a 32 denti che riuscì a fare e riprese “noi usiamo solo prodotti di prima scelta, allevati nelle nostre campagne.”
“Si, ti credo, ragazza. Ma allora perché la data di scadenza è stata cancellata e riscritta a mano?” disse l’anziana fatina, con un evidente accento straniero. Turisti del cazzo, venite per divertirvi o per a rompere le palle a me?
“Oh, so cosa sta pensando ma non si preoccupi. L’Ufficio Centrale Fatine Pulite è molto severo da queste parti.” Lametta mise il barattolo sul bancone e gli lanciò sopra della polvere. Si sentì uno sfrigolio e il barattolo sparì in una nuvoletta di fumo rosa. ” Sa, coi tempi che corrono anche io sarei sospettosa…”
“L’Ufficio Centrale Fatine Pulite esiste anche qui?” chiese la fata fissandola negli occhi.
“Certo signora.” il sorriso, il sorriso “Qualità è la nostra parola d’ordine; noi abbiamo una storia secolare in questo campo” rispose Lametta. Si girò, chiuse gli occhi, inspirò a pieni polmoni e sbuffò, senza badare a non farsi sentire; si abbassò per prendere un altro barattolo dallo scaffale e notò un acaro della polvere un po’ troppo cresciuto. Si, Ufficio Fatine Pulite… fece un sorrisino e lo schiacciò. Prese il baratto, si alzò e lo mostrò alla signora. “ecco, tenga” disse …brutta vecchia!
“Come faccio a esser sicura che non mi stai prendendo in giro, che non è lo stesso vasetto di poco fa?”
Conta fino a cento. Sii gentile. Rispondi con garbo.
“Come è possibile, non ha visto che l’ho appena preso?” disse Lametta; aveva stretto gli occhi e serrato le labbra; le ali iniziarono a vibrare.
Uno. Due. Tre.
“Io ho visto solo che ti sei girata e hai fatto qualcosa lì sotto…”
Quattro. Cinque. Sei.
“…e poi sentiti. Quando ero piccola io ce lo sognavamo di rispondere così alle Fatine più grandi…”
Sette. Otto. Nove.
“…se mancavamo di rispetto…”
“Ma io non ho mancato di risp…” Lametta non fece in tempo a finire la frase
“Zitta!”gridò la tricheca.
Dieci. Undici. Dodici.
Il sopracciglio destro iniziò a tremolare, sempre di più. Le ali iniziarono a muoversi più velocemente.
“Siete sempre lì a lamentarvi, voi giovani! E a interrompere!”
Tredici. Quattordici. Quindici.
Le mani di Lametta iniziarono a muoversi da sole. Dapprima strinsero il bancone, poi iniziarono a cercare la sua borsa.
Sedici. Diciassette. Diciotto. La borsa.
Non sentiva più cosa stava blaterando, vedeva solo le labbra della vecchia stronza aprirsi e chiudersi, quei denti finti che sembrava stessero per essere sputati da un momento all’altro. La borsa, dove diavolo è la borsa?
“E stammi a sentire” urlò la tricheca.
Diciannove. Venti. Ventuno.
La cercò anche con gli occhi. La vide. Era a un passo di distanza. Doveva prenderla. Si mosse. Un passo, solo un passo.
“Ti sto parlando, dove pensi…” urlò la signora ma la porta d’ingresso si aprì e una fatina corpulenta attirò l’attenzione della fatina anziana e di Lametta. No, anche questo no. La mia borsa, dove sono le mie cose.
“Lametta!” gridò e anche la vecchia fatina sembrava stupita della forza di quell’urlo. Eh, già…Stronza Numero Due, ti presento la Stronza numero Uno, mia madre! pensò Lametta.
“Lametta! Che diavolo stai facendo qui? Giuro che appena torni a casa ti ammazzo di palate! E tuo padre, quel pover’uomo! Ti rendi conto di come lo hai fatto star male? Per poco che non gli prendeva un colpo quando ha scoperto che la sua adorata figlia è scappata di casa! Adorata, poi! Altro che adorata” fece una pausa per riprendere fiato; inspirò profondamente e riprese “io non so come fa ad avere bistecche sugli occhi…”
Ventidue. Ventitrè. Trentatrè.
La fatina anziana, alla vista di quella scena, sembrò quasi indispettita. Lametta la vide diventare rossa in viso. Notò che a piano a piano anche il collo e la punta delle ali diventavano rosse e si concesse un sorriso.
“Lametta!” Urlò Pinnetta. “Ti fa ridere il fatto che il signor Hopkin, quel brav’uomo, ancora viene a casa a cercarti perché vuole pagato quel vaso che gli hai rotto? Io glielo avevo detto che era una cattiva idea assumerti!”
Quarantatrè. Cinquantatrè. Sessantatrè.
Allungò la mano, prese la borsa. Eccola…
Sentì tirare, si girò di scatto e vide la vecchia, quella stronza, che tirava. La prima cosa che pensò fu: sta scoppiando! Già si stavano formando le fossette agli angoli della bocca, quando la vecchia diede un’altro strattone. La borsa si lacerò e il contenuto cadde a terra. Le mie cose!
Non sentiva più niente, non vedeva più niente. Gli occhi le si erano riempiti di lacrime. Guardò verso la madre. Stava continuando a blaterare, blaterare, blaterare. Muoveva le labbra; si scaldava; agitava una mano, poi l’altra. E non accennava a difenderla. Le parve quasi di vedere soddisfazione sulla sua faccia. Forse quello era addirittura un sorriso.
Si girò verso la Puttana e vide che stava sorridendo. Brutta stronza fottuta! Le tremavano le mani, calde lacrime le rigavano le guance. Doveva fare qualcosa. Doveva prendere le sue cose prima di tutto.
Si tuffò a terra e iniziò a cercare.
Il vecchio gomitolo di lana, la pietra a forma di cuore, la conchiglia, un pezzo di legno a forma di fungo.
Altre lacrime scendevano a macchiare il pavimento. Doveva raccogliere tutto e scappare, ecco cosa doveva fare.
Raccolse un pezzo di vetro rosso a forma di cuore, lo prese e si tagliò. Si accorse del taglio solo quando vide ghioccioline di sangue macchiare il pavimento. Guardò la mano e il sangue e sentì la sua rabbia montare.
Cercò di non pensarci, doveva solo trovare le sue cose. Solo quelle avevano senso. Individuò, al bordo destro del suo campo visivo, una bambola di pezza; si mosse per recuperarla. Spostò il ginocchio destro per bilanciare meglio il peso e vide una mano calare sulla bambola. La vecchia aveva fatto il giro del bancone e ora si trovava lì d’avanti a lei, con la sua bambola nella mano sinistra e un sorriso di merda stampato sulla faccia di cazzo. Osservò le rughe agli angoli delle labbra formare due piccole ragnatele. E la guardava anche dall’alto in basso.
Lametta si ricordò d’essere carponi. Scattò in piedi. Le parve che la signora non fosse più tanto sicura. La vecchia aprì la bocca per dire qualcosa, allungò la mano con la bambola.
Lametta fece un passo verso la signora, alzo la mano destra e calò il vetro sulla mano della signora.
La vecchia gridò; Lametta vide che si guardava la mano, i suoi occhi era strabuzzati dal dolore.
Si guardò intorno.A sinistra vide la madre. Sembrava sotto shock. Aveva smesso di parlare. Forse solo ora ha smesso di parlare. Sei contenta? Mi hai fatto arrivare a questo.
Fissò sua madre.
“Ti odio!” urlò e le lanciò il vetro contro. Non aveva intenzione di colpirla ma il vetro si tagliò una guancia di Pinnetta. Lametta vide la madre toccarsi il taglio e portarsi agli occhi le dita insanguinate.
I loro sguardi si incrociarono. Lametta spostò lo sguardo a destra e vide la signora che si stringeva la mano ferita con l’altra mano. Aveva smesso di gridare, si accorse Lametta. Anche la vecchia la fissava.
Non sapeva che fare. Prese una busta dal bancone, raccolse le cose che era riuscita a recuperare, si girò verso la porta. Addio, mamma!
Uscì.

PS col post di prima ho fatto un casino con i dialoghi, boh…
Gentilmente, Gamberetta, potresti cancellarlo?

#136 Comment By Lya On 23 novembre 2010 @ 21:23

Grazie per l’articolo Gamberetta. Credo che lo riguarderò molte volte. =)

#137 Comment By Deuor On 23 novembre 2010 @ 21:28

Ritengo che questa tecnica sia una buona tecnica, ma non deve essere usata sempre, perché anche il raccontato alcune volte “va mostrato”. Leggere i manuali serve se vuoi che qualcuno pubblica il tuo libro, perché da lì apprendi qualcosa che tu (riferito al soggetto che vorrebbe pubblicare un libro) non conosce e di conseguenza apprende qualcosa utile per far si che il suo libro venga pubblicato. Bisogna usare anche aggettivi e avverbi perché questi danno maggiore idea dell’azione che compie un certo soggetto. Quando parlo di avverbi, parlo soprattutto di avverbi di tempo alla fine, poi, dopo ma non devono essere usati esageratamente.
Poi, questa sempre è una mia idea; la persona che legge un libro che gli interessa per la trama e personaggi, allora è un libro scritto bene nonostante sia stato scritto con il raccontato, perché è l’autore che è capace di scrivere anche se non sa usare tecniche. Per farti esempio molti sono gli autori che usano il raccontato ma non è detto che il raccontato stufi.
[Es. Era una bella mattinata di ottobre. Un’allegra Anna si stava recando al suo prestigioso lavoro presso una rinomata ditta di tostapane.]
Io qui non avrei cancellato bella mattinata perché mi fa capire che è una mattinata in cui il sole splende, cioè il narratore trasmette immagini al lettore.
Concordo con te quando dici che inserire frasi irrilevanti come questi Un piatto di maccheroni fumanti era già pronto in tavola e la grattugia era accanto, ad attendere soltanto Bryan per una sventagliata di formaggio. sia da principianti. Lo show don’t tell è più efficace del raccontato.

#138 Comment By Gamberetta On 23 novembre 2010 @ 23:39

@Il Guardiano. Se è davvero la prima volta che provi a scrivere narrativa direi che è venuto bene. Ok, non è che sia proprio bellissimo, ma per essere un primo tentativo è molto incoraggiante. Il punto di vista ravvicinato di Lametta non è malvagio, suona abbastanza naturale.

Visto che parliamo di “Show don’t tell”, ti segnalo qualche svista:

“Ma io non ho mancato di risp…” Lametta non fece in tempo a finire la frase
“Zitta!”gridò la tricheca.

Puoi tagliare “Lametta non fece in tempo a finire la frase”, è mostrato direttamente dalla frase dopo, inutile ribadirlo.

Le mani di Lametta iniziarono a muoversi da sole. Dapprima strinsero il bancone, poi iniziarono a cercare la sua borsa.

Qui è raccontato. Vedi i due “iniziarono” e il “Dapprima [...] poi”. Potrebbe essere meglio:

Le mani di Lametta strinsero il bordo del bancone. Dov’è la borsa, dov’è la borsa? Le dita tastarono il ripiano.

Ho trasformato l’intenzione in pensiero. È una buona strategia se hai scelto di mettere la telecamera nella testa del personaggio.

La fatina anziana, alla vista di quella scena, sembrò quasi indispettita. Lametta la vide diventare rossa in viso. Notò che a piano a piano anche il collo e la punta delle ali diventavano rosse e si concesse un sorriso.

“sembrò quasi indispettita” è raccontato. Non dare giudizi (anche se velati dal “sembra”): scrivi che la fatina anziana diviene rossa in viso e le si arrossano punta delle ali e collo, si capisce che si è alterata. “si concesse un sorriso”: “concesse” è una sbavatura di raccontato: basta solo “e sorrise”, senza concessioni.

#139 Comment By Il Guardiano On 24 novembre 2010 @ 04:36

hummm…incoraggiante anche se non penso che scriverò mai. Ho una pecca che si chiama “fantasia” :P

riguardo ai “sembrava”.
è sbagliato in questo caso perché qui si sta provando ad usare la tecnica o è sbagliato in generale, secondo te?
Nei libri lo trovo spesso e mi sembrava un modo abbastanza buono per cercare di descrivere le sensazioni degli altri personaggi e in più ha il “pregio” di filtrare la realtà attraverso gli occhi del POV.
Ho anche spulciato il libro che sto leggendo trovando spesso questa “tecnica del sembrare”.
Beh, grazie del tempo speso :)

#140 Comment By Olorin On 24 novembre 2010 @ 11:19

@Gamberetta

L’argomento più probabile sarà il punto di vista

e nel merito ti prego di essere rigorosa ancor più del solito, se possibile. Ultimamente mi capita di interrompere qualsiasi lettura non appena il narratore ‘taca a ‘switchare’ da una parte all’altra, come se fosse rimasto incastrato nel teletrasporto dell’Enterprise, maneggiato da un bambino di tre anni…

#141 Comment By Gamberetta On 24 novembre 2010 @ 12:33

@Il Guardiano.

riguardo ai “sembrava”.
è sbagliato in questo caso perché qui si sta provando ad usare la tecnica o è sbagliato in generale, secondo te?

Dipende dai vari casi. In generale un personaggio può pensare:

Michele sembra nervoso.

Anche se sarebbe meglio mettere:

Adesso Michele mi stacca la testa a morsi.

Però questo non deve diventare una scusa per non mostrare: se scrivo che Michele “sembra felice”, “sembra incazzato”, “sembra preoccupato”, ecc. è perché il personaggio punto di vista ha notato qualche dettaglio nel comportamento di Michele che lo ha indotto a quel pensiero. Bene: mostra i dettagli. In tanti casi (come nel tuo brano) il sembra precedente o successivo risulta superfluo, perché i dettagli comunicano già chiaramente il sentimento.
Dunque il “sembra qualcosa” può essere usato, ma se mancano i dettagli concreti o viceversa i dettagli concreti sono presenti e già chiari, è un (piccolo) errore.

Poi ci può essere anche un uso ironico: del tipo che Michele sta massacrando una scolaresca a colpi di spranga e il personaggio pensa che Michele “oggi sembra un po’ nervoso”. Ma questo uso rientra nelle eccezioni.

#142 Comment By Puls3 On 24 novembre 2010 @ 13:32

Ottimo capitolo. Mi cimenterò anch’io con le fatine, sarà divertente, soprattutto perché scrivo favole (anche se non hanno per protagoniste fatine che si chiamano Fiammetta, bensì lupi, ma potrei considerarlo. Sì, le mie favole sono delle boiate, ma hanno il pregio di non avere pretese.).

Vorrei solo dare il mio modesto parere (sì, sono ironica N.D.A.), su un paio di punti: il raccontare è “passato di moda”, diciamo così. “Ma Lovecraft è un genio e racconta!”, è solo una questione di forma mentis. Non sono del tutto d’accordo. Concordo pienamente che il racconto guadagna 800 punti ogni volta che una fatina muore si mostra qualcosa piuttosto che raccontarla; io che sono una logorroica, però, abituata a mostrare anche quando un personaggio starnutisce, ho dovuto fare l’esercizio contrario in vita mia, altrimenti rischiavo di scrivere l’Ulisse anche per raccontare delle avventure di William il Gatto Nero. Da lettrice appassionata di fantascienza conosco l’importanza di essere precisi, descrittivi, “visionari”, ma ammiro profondamente lo stile di alcuni grandi del genere che ad un analisi del genere verrebbero stroncati. Eppure funzionano e funzionano ORA. Ti prendono, per citare te, per la collottola e ti tirano nel racconto, anche quando delegano alcune parti al raccontato.
Noto anche che solitamente funziona quando la “telecamera” è molto vicina agli occhi del protagonista. Un’altra scrittrice che ammiro (e qui mi aspetto il vaffanculo, ma pazienza) è la Rowling, anche lei lascia “raccontare” molto ai personaggi, ma mantiene in effetti il punto di vista su Harry.
Insomma, a me non dispiace la sintesi, quando è spostata sul personale.

Non sono d’accordo poi sulla sicurezza con cui tacci di affermare stronzate chi apprezza Manzoni o alcuni suoi particolari passaggi. Ok, tutti sappiamo che è una tortura, io non lo amo particolarmente e quindi sono neutrale, ma la nostra letteratura qualcosa di positivo gli deve. Non sono una che apprezza qualcosa solo perché orde di professori dicono che “è bella”, ma va anche tenuto conto del fatto che ad apprezzarlo non sono certo i cerebrolesi della Meyer, è gente preparata. Terrei un margine di dubbio alle mie considerazioni, in questo caso, pensando se magari non entrano un po’ troppo i gusti personali nel giudizio.
Mi piacerebbe approfondire con te questo punto.

E richiedere il poster della Fatina Lametta, che è una discreta gnokka.

#143 Comment By Puls3 On 24 novembre 2010 @ 13:35

Perdonate le ripetizioni e gli eventuali errori, ma l’argomento mi interessa molto e ho pensato di commentare anche con un piede sulla porta per andare a lavoro…

#144 Comment By Mauro On 24 novembre 2010 @ 17:39

Gamberetta:

Dipende dai vari casi. In generale un personaggio può pensare:

Michele sembra nervoso.

Anche se sarebbe meglio mettere:

Adesso Michele mi stacca la testa a morsi.

Però questo non deve diventare una scusa per non mostrare: se scrivo che Michele “sembra felice”, “sembra incazzato”, “sembra preoccupato”, ecc. è perché il personaggio punto di vista ha notato qualche dettaglio nel comportamento di Michele che lo ha indotto a quel pensiero [...]
il “sembra qualcosa” può essere usato, ma se mancano i dettagli concreti o viceversa i dettagli concreti sono presenti e già chiari, è un (piccolo) errore

Quando mi trovo davanti a qualcuno nervoso/incazzato/ecc., mi capita di pensare semplicemente “Sembra nervoso/incazzato/ecc.”; l’andare sempre su cose come “Adesso Michele mi stacca la testa a morsi” mi sembra innaturale.
Quanto scrivi mi fa pensare che lo consideri (quasi?) sempre un errore, per quanto piccolo: è un errore sia che manchino i dettagli, sia che siano presenti e chiari; resta la possibilità che i dettagli siano presenti e non chiari, cosa che però (correggimi se sbaglio) sarebbe da risolvere chiarendo i dettagli, sempre per la questione del mostrare chiaramente.
Posto che capita che si vedano dettagli che fanno pensare “È nervoso”, descrivere i dettagli e scrivere quel pensiero del personaggio punto di vista non potrebbe anche essere giusto (non un piccolo errore: proprio giusto)?

#145 Comment By Gamberetta On 24 novembre 2010 @ 18:23

@Puls3.

Eppure funzionano e funzionano ORA. Ti prendono, per citare te, per la collottola e ti tirano nel racconto, anche quando delegano alcune parti al raccontato.

Solito discorso: non funzionano perché sono raccontati, funzionano nonostante siano raccontati. Lo stile non è tutto, si possono scrivere buoni romanzi anche con uno stile zoppicante, tuttavia se lo stile fosse migliore gli stessi romanzi sarebbero ancora più belli.

Non sono d’accordo poi sulla sicurezza con cui tacci di affermare stronzate chi apprezza Manzoni o alcuni suoi particolari passaggi.

Un conto è apprezzare, lì non ho niente da dire. Una persona è liberissima di credere che I Promessi Sposi sia il più bel romanzo del mondo.
Un altro conto è fare affermazioni come quella riportata. Se tu mi dici che stilisticamente I Promessi Sposi sono perfetti stai dicendo una stronzata. Poi il romanzo ti può piacere lo stesso, buon per te, ma i difetti oggettivi rimangono.

[...] ma va anche tenuto conto del fatto che ad apprezzarlo non sono certo i cerebrolesi della Meyer, è gente preparata.

È una contraddizione di termini: se una persona preparata dice che I Promessi Sposi sono perfetti non era una persona preparata o sta raccontando una bugia. Se invece la persona preparata parla solo di apprezzamento personale, del suo gusto, be’, problemi suoi. Vorrà dire che è preparata ma ha gusti discutibili.
E detto questo, no, non ho voglia di approfondire il discorso sul Manzoni. Non mi piace, non mi interessa, e attira frotte di troll che spostano la discussione off topic. Non è neanche così importante: Manzoni o Lovecraft sono solo esempi, il problema non è tanto loro, quanto di un atteggiamento di esaltazione acritica che specie in Italia uccide sul nascere qualunque discussione seria sulla narrativa.

Puoi trovare un’immagine a più alta risoluzione di Fiammetta, qui.

@Mauro. Se i dettagli sono chiari è un errore.

Anna si mangia le unghie, si alza, prende una rivista dal tavolino, sfoglia due pagine, la ributta sulla pila, tira un calcio al cestino della carta straccia, si siede, si mangia le unghie dell’altra mano, apre il cellulare, lo chiude. «Perché non chiama quel disgraziato? Perché non chiama?»
Michele pensa che Anna sia nervosa.

Se non sei ironico apposta è brutto. Il pensiero di Michele fa ridere anche se non dovrebbe.

In più c’è il punto, più volte sottolineato nell’articolo, dei termini astratti. Io faccio esempi esagerati per rendere l’idea, magari sostituire “nervoso” con “Adesso Michele mi stacca la testa a morsi” non è naturale in quella situazione, ma forse “Adesso Michele mi spacca la faccia”, “Adesso Michele si mette a urlare”, “Adesso Michele scappa in camera e non vuole più la cena”, potrebbero esserlo.

#146 Comment By Mauro On 24 novembre 2010 @ 18:56

Gamberetta:

faccio esempi esagerati per rendere l’idea, magari sostituire “nervoso” con “Adesso Michele mi stacca la testa a morsi” non è naturale in quella situazione, ma forse “Adesso Michele mi spacca la faccia”, “Adesso Michele si mette a urlare”, “Adesso Michele scappa in camera e non vuole più la cena”, potrebbero esserlo

Certo, il mio discorso voleva essere un altro: capita anche che si pensi – o si dica – semplicemente “Michele sembra nervoso” (tipo: “Michele sembra nervoso, oggi; chissà cos’è capitato”); il tuo punto è nella narrativa (almeno in quella di cui parli) sarebbe meglio evitare simili cose, anche se sono realistiche?

#147 Comment By Unoqualunque On 24 novembre 2010 @ 19:46

Forse è solo una questione di gusto personale, ma la scelta di questo “mosrtare etremo” non mi convince sotto alcuni di vista.
Un esempio (forse non molto esplicativo, ma al momento non mi viene in mente nulla):

“La scimmia posò la penna, scrutò la fatina, poi riprese a scrivere”

è effettivamente mostrata meglio in questo modo:

“La scimmia posò la penna e scrutò la fatina. Riprese a scrivere”

però non mi suona benissimo. Ho come l’impressione di portare avanti un periodare “a singhiozzi”, troppi punti, troppe pause. E’ vero che la vaghezza e la futilità di quel “poi” della prima frase conduce al “raccontato” piuttosto che al “mostrato”, ma è vero pure che la narrativa non è solo purezza tecnica, ma anche piacere della lettura…”musicalità” …sbaglio? Senza contare che, almeno nel mio caso, troverei di gran lunga più semplice portare avanti un “mostrato puro”, traboccante di periodi composti da brevi frasi coordinate, separate dal punto, piuttosto che sforzarmi di conferire al testo anche una certa fluidità. Credo sia giusto puntare a un equilibrio…un “mostrato perfetto” rischia, secondo me, di rendere il ritmo della narrazione troppo freddo, schematico, monotono, benché impeccabile da un punto di vista tecnico. Mi rendo però conto che questo equilibrio non è alla portata di un principante…per cui tanto meglio un freddo mostrato, piuttosto che una monnezza.

#148 Comment By Unoqualunque On 24 novembre 2010 @ 19:49

Correzione al precedente post. La frase corretta è : “non mi convince sotto alcuni punti di vista”.
Il tasto “anteprima” dovrebbe essere obbligatorio prima di “invia” …eheh (esagero?)

#149 Comment By Gamberetta On 24 novembre 2010 @ 21:59

@Mauro. Già detto nell’articolo:
– se la telecamera è dentro la testa del personaggio,
– se “sembra nervoso” è un pensiero naturale,
– se non ci sono alternative concrete migliori,
allora si può mettere.

In un dialogo per l’espressione in esame la faccenda è leggermente diversa: può darsi che il personaggio voglia comunicare all’interlocutore che Michele è nervoso ma senza entrare in dettagli. Può essere una situazione realista. Meno quando l’espressione la pensi.

@Unoqualunque. Se il punto è una pausa troppo lunga puoi usare la virgola o il punto e virgola:

La scimmia posò la penna, scrutò la fatina, riprese a scrivere.

#

La scimmia posò la penna, scrutò la fatina; riprese a scrivere.

O puoi trasformare il poi in un’azione:

La scimmia posò la penna, scrutò la fatina, si grattò la nuca. Riprese a scrivere.

E anche qui puoi variare la punteggiatura:

La scimmia posò la penna, scrutò la fatina, si grattò la nuca, riprese a scrivere.

La storia del ritmo può essere vera, ma ci sono molte soluzioni oltre al “poi”. Se cerchi ne trovi quasi sempre una migliore.

#150 Comment By Puls3 On 25 novembre 2010 @ 00:27

Gamberetta@
Sul Manzoni? No! Per carità divina, non intendevo sul Manzoni! Preferisco vivere.
Come ho già spiegato, non lo amo neanche particolarmente, figuriamoci che mi frega di difenderlo. Al massimo posso contestare che chi vi trova qualità stilistiche sia un pirla impreparato, perché non arriverei a tanto neanche io e non penso che di letteratura ci si capisca qualcosa solo qui, anche se riconosco una ingiusta tendenza all’”intoccabilità delle icone sacre”, che bene non fa.
Certo, se si afferma che qualcosa è la perfezione si dice SEMPRE una stronzata: niente è perfetto.
Intendevo sul discorso mostrare/narrare, perché trovo sia quasi del tutto vero quel che spieghi… ma non mi convince completamente che sia IL metodo necessariamente migliore. Trovo lo sia al 90% o completamente in alcuni generi, come la narrativa d’azione, ad esempio. Per quanto riguarda il fantastico mi trovo a dover fare una divisione personale tra fantasy e fiabesco. Scrivendo favole occasionalmente e leggendone moltissime, non di rado preferisco la narrazione alle “scene” visive per ragioni di atmosfera: il narrato, in questo caso, richiama l’atmosfera delle fiabe tradizionali e lo trovo più adatto. Può essere, allo stesso modo, un “trucco” da utilizzare ad arte.
A volte mi è capitato di considerare un romanzo o racconto troppo lento per l’eccessiva descrizione delle situazioni/scene. Certo, in quel caso, può essere stato un uso improprio. Il fatto è che, ma è un canone personale ovviamente, se riconosco l’efficacia di una tecnica e l’importanza fondamentale delle basi, non mi sento mai di fare il “processo alle intenzioni” ad una tecnica. Come il discorso Lovecraft, che aveva indubbiamente molti difetti, o chi per lui: perché pensare che se avesse usato la tecnica odierna il racconto sarebbe stato “meglio”? Chissà. Io so che così funziona e, a parte pensare che avrei evitato molte cose l’avessi scritto IO, non sono del tutto certa se privo del suo particolare stile narrativo sarebbe stato effettivamente migliore o mi avrebbe coinvolto nello stesso modo.
Devi perdonarmi, io sono di approccio molto diverso, tendo a non pensare mai che qualcosa sia vero/buono/cattivo ecc. in assoluto ed anche fastidiosamente al dubbio, per questo morirò avvelenata un giorno e per giunta dal mio migliore amico.

Grazie per la gigantografia, avevo sbagliato fata, ma tanto le fate sono tutte discretamente gnokke.

:D

#151 Comment By tasso barbasso On 25 novembre 2010 @ 09:44

Qui c’è un problema di metodologia. Si discute la questione utilizzando alternativamente un metodo genericamente scientifico o il buon senso. In questo modo si spalanca involontariamente la porta alle distorsioni dialettiche e non si raggiunge l’obiettivo, ossia non si riesce ad aumentare la quantità di conoscenza condivisa sull’oggetto osservato.
È chiaro che volendo portare un qualsiasi principio alle sue estreme conseguenze, volendolo cioè rendere assoluto e universale, si va inevitabilmente a sbattere contro il noto limite della scienza stessa: l’autoreferenzialità. Naturalmente i meccanismi autoreferenziali possono essere molto utili (le innovazioni scientifiche e tecnologiche derivano tutte da quello, e perfino le stesse opere dell’arte sono il risultato di ricerche autoreferenziali: v. Douglas Hofstadter e molti altri prima e dopo di lui), ma sappiamo che non possono essere utilizzati per tentare di pervenire a norme generali, assolute e che abbiano un carattere di verità.
Quindi prima di tutto dobbiamo decidere se vogliamo parlare di letteratura in termini empirici (buon senso, gusto, soggettività, credenze, ecc.) oppure in termini scientifici (logica formale, regole generali, validazione e falsificazione, ecc.), in secondo luogo non possiamo fare a meno di considerare che perfino se arrivassimo a definire una vera teoria scientifico-artistica o scientifico-letteraria (cosa che in verità non è ancora stata fatta), ne ricaveremo assunti del tutto astratti e validi esclusivamente all’interno del loro stesso sistema di riferimento. In altri termini, così come accade perfino nella “vera” scienza, anche (e a maggior ragione) una ipotetica teoria sulla narrazione letteraria (validità delle tecniche, giudizio sulla qualità delle opere, ecc.) troverà il suo limite massimo nella dimensione di proposizioni astratte e non significanti, ossia indecidibili sul piano logico. Ecco perché la scienza e l’arte sono attività sostanzialmente assimilabili. Di conseguenza una teoria dell’arte, così come la teoria scientifica, non può dirci cosa sia vero o perfetto. Da questo punto di vista, ciò che più si addice ad un ragionamento sui caratteri dell’arte (e in verità anche sulla scienza) – evitando le distorsioni ideologiche prodotte da questa specie di complesso, di cui soffre la scienza, che deriva dal non poter enunciare il “vero” – è la speculazione estetica.
Ovviamente tutto questo non toglie che le tecniche dell’arte siano gli unici strumenti con cui ciascun uomo, attraverso la propria sensibilità (individuale, soggettiva, unica e irriproducibile) può costruire un’opera; ma quello che il “creatore dell’arte” non potrà mai fare, è addivenire a principi di formazione artistica che, in ultima analisi, si possano definire come oggettivamente più perfetti di altri. L’unica cosa che si può e si deve fare, è utilizzare le tecniche, le opere e la speculazione sulle opere, come strumenti di una soggettiva ricerca del “bello” (o della “perfezione”, se si preferisce). Per quanto riguarda la diatriba sulla definizione di opera di “buona qualità”, questo mi sembra un falso problema: non ci serve (e non è logicamente possibile, come si diceva sopra) costruire una teoria generale che ci permetta di formulare a priori i caratteri della perfezione artistica; di conseguenza non avremo mai a disposizione un modello di riferimento universale che ci aiuti a determinare il grado di perfezione dell’opera. La perfezione artistica (così come la validità della proposizione scientifica) non è un carattere intrinseco all’opera stessa (con buona pace del non più “utilizzabile” positivismo logico e di tutte le credenze ad esso collegate), ma è un fatto di relazione: qui non stiamo parlando solo di “bit” ma anche e soprattutto di schemi di interconnessione; parliamo cioè di un enorme numero di parametri a valenza multipla, collegati a soggetti (che oltretutto sono anche oggetti del modello di riferimento) le cui caratteristiche risultano perfino variabili nel tempo. Ripeto: questo è un problema di relazione e non di cosa in sé. Da questo punto di vista, paradossalmente (ma lo trovo anche affascinante), il mercato dell’arte è certamente più vicino ad una valutazione oggettiva dell’opera rispetto a qualsiasi teoria dell’arte. Questo è un punto di vista non utile a fini didattici e forse deleterio (anche se non è dimostrabile) per la “salute” della ricerca artistica, ma descrive molto bene la questione in termini di relazione.
Per quanto riguarda la speculazione sulle tecniche stesse, mi sembra naturale e inevitabile che queste vengano sempre utilizzate, per motivi pratici, nello stesso modo in cui si utilizza, per esempio, la matematica (o qualsiasi altro sistema di riferimento simbolico autoreferente) nelle scienze: “come se” fossero “vere” e “perfette”.
Io credo.

#152 Comment By tasso barbasso On 25 novembre 2010 @ 14:11

p.s.
Un solo esempio anche sul piano dialettico: alla proposizione «l’opera è relativamente “buona” (qualunque cosa si intenda) nonostante la tecnica usata sia “sbagliata”», si potrà sempre contrapporre la proposizione «ciò che noi vediamo dell’opera è precisamente quanto risulta dall’applicazione di una specifica tecnica». Tra le due cose c’è un rapporto di sostanziale identità. Infatti se provassimo a replicare una determinata opera “A” usando una diversa tecnica, non otterremmo la stessa opera modificata, ma un’opera “B”, che oltretutto si andrà a collocare in un diverso rapporto spazio/temporale con i soggetti che la osservano.
D’altra parte, anche se anche ci convincessimo di poter “rifabbricare” esattamente e interamente una specifica opera – inclusa, quindi, quella enorme massa di fattori che la collocano nello spazio e nel tempo (cosa difficile da immaginare anche in termini puramente teorici) – tranne che per un suo aspetto tecnico, per i motivi già detti sarà logicamente impossibile parlarne in termini di maggiore o minore perfezione. Quindi un’affermazione più sostenibile rispetto a quella di partenza potrebbe essere, ad esempio, «la tecnica usata è certamente in rapporto con gli infiniti modi di definire la qualità dell’opera, ma la natura di questo rapporto non è conoscibile se non nell’ambito di un sistema astratto autoreferenziale». In altri termini, un giudizio sulla capacità che avrebbe una tecnica di perfezionare l’opera, è necessariamente tautologico: esattamente come le proposizioni scientifiche.

#153 Comment By Francesco Barbi On 25 novembre 2010 @ 14:48

Molto bello anche questo articolo. Mi permetto qualche osservazione, spero costruttiva: di nuovo mi pare che tu abbia sentito l’esigenza di dimostrare che questa sia la via migliore (mi è piaciuta in particolare la terza motivazione, degna di nota e di eventuali approfondimenti) e tu ti sia concentrata molto sul come non scrivere. Forse potresti dare spazio anche alle difficoltà che si incontrano sposando lo “Show, don’t tell” a livello più “macroscopico”: la necessità di sintesi (o comunque l’incastro e la condensazione delle informazioni affinché la trama sia portata avanti), il recupero delle informazioni perse, i salti di scena e la gestione della cronologia degli eventi, giusto per dirne qualcuna.
Hai già accennato, o lo hai detto tra le righe, al fatto che la scelta di mostrare ricade inevitabilmente sulla gestione del PoV… Qualche tempo fa tu mi parlasti del non-stile. La sensazione è che invece adesso, man mano che pubblichi questi articoli, tu stia costruendo uno stile ben preciso, efficace e rigoroso. Ammetto di condividerne i punti salienti e sono convinto di averne anche abbracciato le caratteristiche, però non affermerei che sia l’unica via valida… Di certo la considero una via valida. Per ricollegarmi agli interessanti interventi di tasso barbasso, in effetti per me anche l’impostazione, le costruzioni e gli sviluppi che interessano e hanno interessato le scienze (persino la matematica) costituiscono una delle infinite vie che l’uomo poteva imboccare e ha imboccato… In questo sono incline a pensarla come i costruttivisti.

Ho visto che molti si sono cimentati nel compito a casa e mi è saltato subito all’occhio il fatto che per mostrare ciò che tu hai raccontato in 4 o 5 righe, ne sono state necessarie come minimo 40 o 50. D’altra parte, per mostrare quelle 5 o 6 cose, si deve costruire un contesto, immaginare la storia e il carattere dei personaggi, riflettere su ciò che li muove, ecc… Tutte informazioni che, se vengono mostrate, sono senza dubbio interessanti. Vengono fuori idee, immagini, suggestioni, e questo è il bello dello scrivere così. D’altra parte quando si scrive un racconto o un romanzo, c’è necessità di portare avanti la storia e non soltanto di descrivere situazioni, luoghi e personaggi. Secondo me, le difficoltà nascono e si superano cercando di trovare un ragionevole equilibrio (con elevata densità di informazioni).

Il compito a casa:

Lo schermo del computer è l’unica luce nel mio studio.
Un ticchettio alla finestra.
Sospiro. Mi alzo, le apro uno spiraglio. Lametta schizza dentro e vola sulla scrivania.
- Voglio un lavoro.
- Che?
- Part-time però.
- Part-time.
- Eh, be’, sì. Come sai, la mattina se ne va quasi tutta dietro ai fiori, e dopo pranzo devo gironzolare, rubare e fare i dispetti ai mocciosi. Mi rimane giusto un’oretta per classificare gli oggetti smarriti.
- Sì, smarriti. – Scuoto la testa. – Lametta, ma cosa stai dicendo?
- Che voglio un lavoro.
- Un lavoro. Dici sul serio?
- Part-time.
- Sì, ho capito. Part-time. Ma tu sei una fatina e le fatine…
- Sono scappata di casa.
- Ah.
- Già. Non dire niente.
- Va bene. – Mi liscio i baffi. – Non dico niente.
Lametta apre il sacchetto che porta in spalla e lo rovescia accanto al mouse. Sta ricontrollando, chissà quante volte l’ha già fatto, che ci sia tutto il bottino di stasera… un mozzicone di matita, due perline, un pezzo di spago, una mezza pasticca… Si è già fregata la mia gomma.
- Allora, per il lavoro? – chiede. Non mi guarda, fissa la pasticca fra le sue mani.
- Sì, già, il lavoro… Un lavoro…
- Part-time.
Cazzo se mi dà ai nervi, però.
- E quando lavoreresti se non hai mai tempo? Sei sempre a caccia delle tue cianfrusaglie…
- Non. Sono. Cianfrusaglie. La notte. Lavorerei la notte. Io non dormo mai.
Deglutisco.
- E va bene. Visto che sei così brava con le storie, ti assumo.

Il discorso delle cianfrusaglie non è proprio centrato. Ma a me piace così. E sono convinto che la flessibilità sia una buona cosa nello scrivere. Un po’ come avere un pezzo di marmo da scolpire. Si parte da un’idea iniziale, ma il risultato migliore (e forse anche il più vicino alla propria verità di quel momento) a mio parere lo si ottiene rimanendo pronti a rivedere continuamente la propria immagine mentale. Quando sfugge appena lo scalpello, quando ci si accorge che quella pietra impone le sue linee… Meglio approfittare dell’inatteso e cercare la propria nuova immagine, piuttosto che irrigidirsi in quella di partenza e rischiare un pastrocchio di correzioni.

#154 Comment By Gamberetta On 25 novembre 2010 @ 17:42

@Puls3.

Come il discorso Lovecraft, che aveva indubbiamente molti difetti, o chi per lui: perché pensare che se avesse usato la tecnica odierna il racconto sarebbe stato “meglio”?

Perché se vuoi imparare a scrivere bene devi analizzare quello che hanno scritto gli altri e capire dove sono stati bravi e dove no. Il giudizio globale (“funziona” o “non funziona”) può andare bene se sei semplice lettore. Se sei scrittore devi dire funziona per questa e quest’altra ragione e nonostante questo e quest’altro errore. Se avessi modificato qui sarebbe stato meglio, correggendo quell’errore probabilmente bisogna cambiare anche in quel punto e in quell’altro. Al limite ti metti lì e lo riscrivi per verificare se le tue ipotesi erano giuste.

@tasso barbasso. Le questioni filosofiche sono anche interessanti, ma all’atto pratico di chi vuole imparare a scrivere, non so bene quanto siano utili. Anche perché c’è pure chi dice che la vera Arte è pura estetica, pura astrazione slegata da ogni vicenda umana; se per esempio un romanzo è leggibile e comprensibile da chiunque non è Arte.
Posizioni affascinanti, ma poco utili.

@Francesco Barbi.

Forse potresti dare spazio anche alle difficoltà che si incontrano sposando lo “Show, don’t tell” a livello più “macroscopico”

È una contraddizione di termini: se ti accorgi che sei su un piano “macroscopico” vuol dire che stai sbagliando qualcosa. Lo “Show don’t tell” ti dice: scendi dal piano “macroscopico”, trasformalo in dettagli!

la necessità di sintesi (o comunque l’incastro e la condensazione delle informazioni affinché la trama sia portata avanti), il recupero delle informazioni perse, i salti di scena e la gestione della cronologia degli eventi, giusto per dirne qualcuna.

Niente di tutto ciò richiede per forza il raccontato. Puoi fare tutto in base al mostrare o tagliare, lasciando il raccontato come eccezione.
Tralasciando la necessità di sintesi perché è più un discorso commerciale (stare dentro tot pagine) che non di narrativa, le altre cose le mostri. Ci sono mille modi per mostrare le informazioni, non ci vuole niente a far capire che una scena è conclusa e un’altra comincia, basta pochissimo a far intuire quanto tempo è passato. Tutto da mostrare.

Venendo all’esercizio. Solito problema: un dialogo non è il massimo; vero, raccontano i personaggi e non il narratore, rimane raccontato.
In ogni caso, anche rimanendo nell’ambito del dialogo, bisogna affidarsi a particolari concreti. È fiacco scrivere:

– Sono scappata di casa.

Meglio:

– Puzzi.
La fatina afferra un lembo del vestitino. Avvicina il tessuto alla faccia. Storce il nasino. – Be’, vorrei vedere te a dormire in un canale di scolo sotto un ponte per una settimana.

Così come un pensiero quale:

Cazzo se mi dà ai nervi, però.

Può diventare:

Sorrido alla fatina. – Se continui a saltellare sulla tastiera, ti taglio le ali.
– Scherzi.
Sollevo le forbici. – No.

#155 Comment By Willie Pete On 25 novembre 2010 @ 17:47

Ottimo articolo!
Questo è il mio primo commento, anche se bazzico sul blog da poco dopo che chiudesse XD.
Sono abbastanza d’accordo su tutta la linea. Approvo l’intervento di Francesco Barbi: secondo me potresti approfondire le conseguenze macroscopiche dovute all’uso continuo del mostrato.

Ora provo a fare il compito:

- Dai, rilassati. Vuoi una sigaretta?
- Mi prendi in giro? Quella roba è più lunga del mio braccio!
Andrea sogghigna. Arrossisco.
- Eddài Tilli, non tenermi il broncio, avevi detto che non l’avresti più fatto! La prossima volta andrà meglio.
- Facile parlare quando non hai appena fallito la terza missione consecutiva!
Andrea sospira, fa un lungo tiro e alita fuori dalla finestra. Dal mio posto, seduta sull’astuccio della sua scrivania, scuoto la testa.
- Sai che ti fa male…
- Oh, andiamo! Al massimo ti chiederò di fare bibì bibò e mi darai due polmoni nuovi, no?
Sorride ancora.
- E va bene, ma poi fino alle sei non ne fumi più.
- Aguzzina…
- Piantala. Hai studiato matematica, almeno?
Andrea mi guarda attonito, poi comincia ad allargarsi il collo della camicia. Lo fa sempre, quando mi disubbidisce.
Sospiro.
- E va bene! Per questa volta bariamo, ma è l’ultima, chiaro?
Il sorriso di Andrea va da un orecchio all’altro. I suoi occhi strabuzzati lo fanno sembrale un bambino dell’asilo. – Sei un angelo, Tilli!
- No, sono una che non sa fare il suo lavoro.
- Non hai tipo una scuola, o qualcosa del genere? Voglio dire, esaudire desideri è un gran casino, se non ti spiegano cosa esaudire e cosa no…
Arrossisco di nuovo. Bisbiglio.
- Che hai detto?
- Mi hanno cacciata!
- Davvero? E perchè?
- La maledetta preside, quella befana insopportabile! Lasciamo perdere, va’…sempre a urlare: “tu non sarai mai una brava fatina, Farfalcampanula Scintilla !” Quanto la odio!
Andrea fa un ghigno appena accennato, e mi prende nella mano. Con la sinistra comincia a solleticarmi le ali.
- Oh… basta! E va bene, mi arrendo, non ti farò più il muso, ma adesso smettila! Ah ah… basta, per favore!

#156 Comment By Puls3 On 25 novembre 2010 @ 19:12

Gamberetta@ Ok, con questo m’hai convinta. La mia lancia a favore della tecnica narrata resta in alcuni casi, come quello già portato, ma ci tengo a specificare: solo se in effetti viene usato ad arte, almeno attualmente. Come la spezzo per qualsiasi sperimentazione consapevole.

#157 Comment By tasso barbasso On 25 novembre 2010 @ 19:34

@Gamberetta.

Le questioni filosofiche sono anche interessanti, ma all’atto pratico di chi vuole imparare a scrivere, non so bene quanto siano utili.

Appunto. Come dicevo, bisogna decidere se presentare la questione in termini logico-filosofici o in termini empirici. Nel primo caso andremo a naufragare (fino a prova contraria) sugli stessi scogli su cui si sono arenati i positivisti, nel secondo caso potremo “tornare con i piedi per terra” ma saremo costretti a rinunciare all’illusione della qualità oggettiva ed intrinseca dell’opera e, di conseguenza, all’idea che si possa ideare una tecnica in grado di rendere sempre l’opera oggettivamente più perfetta (o che esistano, simmetricamente, tecniche che di per sé e oggettivamente “corrompono” l’opera). Ma questo nulla toglie alla necessità di studiare, insegnare e imparare le tecniche di creazione dell’arte, ovviamente.

Anche perché c’è pure chi dice che la vera Arte è pura estetica, pura astrazione slegata da ogni vicenda umana; se per esempio un romanzo è leggibile e comprensibile da chiunque non è Arte.

Mai sentito dire. Comunque non c’entra con il nostro discorso.

#158 Comment By Tapiroulant On 25 novembre 2010 @ 20:51

@tasso barbasso:
Sono d’accordo con te, e del resto mi pare di aver discusso di questo anche con la stessa Gamberetta.
C’è in realtà una soluzione semplice alla questione. Invece di ricercare il fondamento oggettivo della propria posizione, imporla in modo puro e semplice: vale a dire, dare una propria definizione di cosa sia un’opera artisticamente degna, ed escludere tutto il resto. Ovviamente, per essere convincente, tale assunzione dev’essere accompagnata da argomentazioni ragionevoli; cionondimeno, si tratta comunque di un’assunzione arbitraria.
Tutto questo, Gamberetta lo fa già. Lei muove da queste assunzioni arbitrarie: un’opera è tanto migliore quanto più favorisce l’immedesimazione del lettore, tanto più facilmente le immagini si generano nella testa del lettore, e quanto più risulta assente la presenza fisica dell’autore. Sono posizioni ragionevoli? Sì. Sono posizioni fondate oggettivamente? No.
Ogni cambiamento (nell’arte come in altri campi) muove da posizioni simili. E’ oggettivo che poetare in volgare sia meglio che poetare in latino? No. Tuttavia è ragionevole, e la passione con cui Dante e altri autori hanno argomentato questa posizione ha contribuito al trionfare di questo modello sul vecchio. E’ oggettivo che il new weird sia migliore dell’high fantasy tolkeniano? No. Tuttavia, se molti buoni autori difenderanno questa posizione e produrranno buoni romanzi, questa posizione prenderà piede e potrebbe rimpiazzare la precedente.
I cambiamenti si ottengono mescolando la passione e il ragionamento, la scienza e la violenza; e colpendo i lettori nell’intelletto e nella volontà. Questo è l’unico atteggiamento utile.
I discorsi di filosofia stretta invece, alas, sono inutili, come giustamente osserva Gamberetta, e non producono cambiamenti. Interessanti, è vero, ma da farsi a tempo perso.
E’ questo che intendi dire con approccio ‘empirico’?

@Gamberetta:

È una contraddizione di termini: se ti accorgi che sei su un piano “macroscopico” vuol dire che stai sbagliando qualcosa. Lo “Show don’t tell” ti dice: scendi dal piano “macroscopico”, trasformalo in dettagli!

Penso che con “macroscopico” Barbi intendesse quello che diceva anche Flaubert: che va bene scrivere il romanzo concentrando l’attenzione scena per scena (piano macroscopico), ma in un secondo momento lo scrittore deve dare un’occhiata alla costruzione d’insieme (piano macroscopico); e nel caso, sacrificare la perfezione delle singole scene se questo può migliorare la perfezione del quadro d’insieme (problema tutt’altro che immaginario: a partire dal primo Ottocento, quasi tutti i grandi romanzieri se lo sono posto. Né è automatico che scene singolarmente costruite molto bene portino a un bel romanzo nel suo complesso). Comunque poi Barbi specifica il discorso nelle frasi successive, che tu hai citato.

#159 Comment By Tapiroulant On 25 novembre 2010 @ 20:52

Errata corrige:

che va bene scrivere il romanzo concentrando l’attenzione scena per scena (piano microscopico),

#160 Comment By Francesco Barbi On 25 novembre 2010 @ 21:39

Non mi sono spiegato bene. Per difficoltà a livello “macroscopico” intendevo quegli aspetti che ci si trova ad affrontare quando si sta scrivendo un racconto lungo o un romanzo seguendo in maniera stretta il principio dello “Show don’t tell”. Non nella descrizione della singola scena, bensì nell’architettura generale del libro. Perché se io voglio scrivere un libro mostrando sempre, devo fare delle scelte. Innanzitutto devo scegliere quali scene mostrare e quali posso evitare. Se ho a che fare con diversi personaggi, non posso seguirli tutti, sempre: spesso ciò che fanno non è interessante o essenziale per lo svilupparsi della trama e io deciderò di non mostrarlo. Ma, visto che presumibilmente quei personaggi non sono rimasti ibernati, dovrò in qualche modo recuperare le informazioni di ciò che hanno fatto o di quel che gli è successo nel frattempo.
L’esempio del viaggio in cui niente ha da succedere. Raccontarlo, sebbene possa costare poche righe, è bruttino, sono d’accordo. Far capitare per forza qualcosa, e spendere pagine per mostrarlo però non mi pare proficuo. Si genera quindi un buco, un salto temporale che non sempre è facile colmare, se si vuole mantenere l’ordine cronologico nel susseguirsi delle scene che riguardano i diversi gruppi di personaggi (le cui azioni potrebbero tra l’altro sovrapporsi sul piano temporale).
Insomma, secondo me, il discorso non è così banale e non si risolve con “Tutto da mostrare.” Sì, tutto da mostrare, ma alle volte si incontrano delle problematiche che il poter raccontare risolverebbe. Se non si vuole raccontare, allora c’è da pensare. Di più.

Venendo all’esercizio, stavolta non mi trovo d’accordo con i tuoi suggerimenti.

Nel primo caso, Lametta non si contiene e interrompe il suo interlocutore per fargli una confidenza, come se non vedesse l’ora di fargliela. La battuta rivela qualcosa del carattere della fatina e del rapporto che ha con l’umano. Infine mi sembra più realistica (se non altro per come ho immaginato io la fatina) rispetto alla reazione a mio parere piuttosto banale che mi hai proposto.

Anche il pensiero dell’uomo non mi pare fiacco. Mi sembra chiaro che ciò che gli dà fastidio sia l’ennesima puntualizzazione della fatina circa il fatto che vuole un lavoro sì, ma part-time. Mi pare di aver sottolineato a sufficienza la “questione part-time” perché il lettore possa condividere la sensazione di fastidio dell’umano. La tua proposta vanifica le parole e gli scambi di battuta che ho speso in precedenza e mostra una fatina e un umano un po’ stereotipati.

#161 Comment By Gamberetta On 25 novembre 2010 @ 23:05

@Willie Pete.

Questo è il mio primo commento, anche se bazzico sul blog da poco dopo che chiudesse XD.

Veramente hai lasciato già altri due commenti. ^_^

Venendo all’esercizio, sempre la solita faccenda: un dialogo tende a raccontare, se si vuole mostrare non sempre è la scelta migliore. Infatti se noti si parla di magie, ma nel corso della scena non se ne vede mezza. Così come si parla di Scintilla redarguita, ma non la si vede in lacrime di fronte alle altre fatine della classe.
Prendi anche qui:

- Facile parlare quando non hai appena fallito la terza missione consecutiva!

Puro raccontato. Anche se è un dialogo avresti dovuto provare a inserire qualche dettaglio, non so:

– Facile parlare, non sei tu la fatina che ha appena sfondato un tetto con un pescecane. Il bambino voleva un cagnetto, la ragazzina un pesciolino per l’acquario. Pensavo di farli felici entrambi…

Il dialogo è simpatico, ma non mostra molto.

@Francesco Barbi.

Sì, tutto da mostrare, ma alle volte si incontrano delle problematiche che il poter raccontare risolverebbe. Se non si vuole raccontare, allora c’è da pensare. Di più.

Come più volte è stato ribadito, mostrare è (molto) difficile. E dunque?

Nel primo caso, Lametta non si contiene e interrompe il suo interlocutore per fargli una confidenza, come se non vedesse l’ora di fargliela. La battuta rivela qualcosa del carattere della fatina e del rapporto che ha con l’umano.

E allora? L’esercizio era trasformare in mostrato quello che io ho raccontato. Non si parlava di rapporti con gli umani. Se io racconto:

Lametta è scappata da casa [...]

E tu “mostri”:

– Sono scappata di casa.

Sei molto vicino a prendermi per i fondelli.
E rimane fiacco. “Scappata da casa” è un’espressione troppo generica per esprimere quel concetto. “La mamma mi ha buttata fuori a calci”, “Ho perso le chiavi nella discarica”, “Le ruspe hanno spianato il quartiere”, qualunque cosa ha più particolari concreti.

Anche il pensiero dell’uomo non mi pare fiacco. Mi sembra chiaro che ciò che gli dà fastidio sia l’ennesima puntualizzazione della fatina circa il fatto che vuole un lavoro sì, ma part-time. Mi pare di aver sottolineato a sufficienza la “questione part-time” perché il lettore possa condividere la sensazione di fastidio dell’umano.

Se questo fosse vero – per me non lo è, ma assumiamo lo sia – non c’è bisogno che tu dica che l’umano è nervoso. Se l’hai chiaramente mostrato, è superfluo ribadirlo. Rimane poi il fatto che “nervoso” (“dà i nervi”) è un termine astratto e sarebbe meglio trasformarlo in concreto. Il punto è già stato più volte discusso nei commenti.

Dopodiché non è che voglia convincerti: a me non ne viene in tasca niente – pensala come vuoi, se sei convinto che quello che hai scritto sia un buon dialogo o che sia un esempio di mostrato, fatti tuoi – parlo per gli altri che seguono la discussione in modo che non venga loro in mente di imitarti.

#162 Comment By tasso barbasso On 25 novembre 2010 @ 23:13

@Tapiroulant.

Invece di ricercare il fondamento oggettivo della propria posizione, imporla in modo puro e semplice: vale a dire, dare una propria definizione di cosa sia un’opera artisticamente degna, ed escludere tutto il resto.

Certo, esattamente il classico procedimento autoreferenziale con cui ogni artista, dopo aver appreso la storia e le tecniche della propria arte (e non solo), modella il proprio linguaggio artistico. Poi ci si può raggruppare in scuole, seguire tendenze, formulare tesi e costruire sistemi più o meno convincenti, più o meno rigidi, più o meno adeguati alle singole specifiche “realtà” in cui si tenterà di utilizzarli (perché c’è anche il caso che il povero scrittore “X” non ci si ritrovi proprio a scrivere nel modo “Y”, e allora preferirà la tecnica “Z”, in quanto poco gliene cale che taluni sostengano che “Y” lo porterà certamente più vicino ad una fantomatica ed affascinante perfezione… ed è anche probabile che con “Z”, lui, ottenga risultati soggettivamente molto migliori di quanto avrebbe potuto tentando di utilizzare “Y”). Poi c’è ancora l’eventuale evoluzione: individuale, collettiva e storica. E chi più ne ha, per favore, più ne metta!

I discorsi di filosofia stretta invece, alas, sono inutili, come giustamente osserva Gamberetta, e non producono cambiamenti. Interessanti, è vero, ma da farsi a tempo perso.
E’ questo che intendi dire con approccio ‘empirico’?

Scusa, sinceramente non ho capito la domanda. La filosofia, di per sé, non mi sembra né utile né inutile, tutto dipende da come la si usa. D’altra parte la filosofia, intesa come ricerca della conoscenza, è dappertutto, è usata necessariamente da tutti (inclusi i divulgatori e gli insegnanti di tecniche narrative) ed è una delle poche cose che “producono cambiamenti interessanti”. Con “approccio empirico”, in questo specifico contesto, intendo semplicemente una modalità di pensiero e di azione che si muova su linee differenti (e per certi versi opposte) rispetto al puro razionalismo positivista. In termini meno astratti: una seria ricerca artistica, alimentata dallo studio e dalla pratica delle tecniche e sostenuta da una consapevole speculazione estetica (parlo della branca della filosofia), può far parte di un “approccio empirico”, ammesso che il tutto sia inquadrato nella consapevolezza del fatto che l’intero processo rimarrà pur sempre soggettivo ed autoreferenziale; puntare alla costruzione di opere oggettivamente e intrinsecamente perfette, in virtù di tecniche, sistemi e teorie dell’arte che si immagina come apportatori di perfezione oggettiva, in un quadro di “evoluzionismo dell’arte”, ecco, tutto questo non ha niente a che vedere con un approccio empirico, secondo me.

#163 Comment By Tom On 26 novembre 2010 @ 01:06

All’inizio non volevo fare l’esercizio perché so che le fatine esistono e ho paura che mi vengano a cercare.
L’esempio di tutti gli altri coraggiosi però mi ha convinto.

Ecco il mio brano:
Fiammetta sbatté le ali e prese lo slancio con le gambe. Spiccò il volo. Uno strattone sembrò staccarle i piedi e cadde in avanti, faccia e gomiti a terra.
“Ahi!”
Si mise in ginocchio e portò le mani alla bocca. Aveva la sensazione che qualcuno le avesse spappolato la mascella con un crick, ma i denti sembravano tutti al loto posto. Si buttò su un fianco e torse la schiena per guardarsi i piedi. Affondavano fino alla caviglia in una grande gomma da masticare rosa. Era viscida, appiccicosa e ancora umida. Fantastico.
“No, no, no…. No…” Era in ritardo. Non era possibile, era una maledizione. Non vedeva altre spiegazioni. Le parole di sua madre mentre se ne andava di casa le risuonarono in testa: “Vivere da sola? Ma se non sei nemmeno capace di scegliere i posti dove posarti!”. Ecco dimostrato che la vecchia aveva ragione. Odiava che le vecchia avesse ragione. Purtroppo la vecchia aveva sempre ragione, in un modo o nell’altro.
Qualcuno atterrò alle sue spalle.
“Oh, accidenti! Serve una mano?”
Fiammetta decisi di contare fino a dieci. Si arrese al tre.
“Che razza di domanda è? Ma va a quel paese.”
“Ah, sei tu Fiammetta…”
La voce sconosciuta volò via.
“No, no, no. Idiota, idiota, idiota”. Fiammetta aveva capito che non sarebbe mai arrivata in tempo al colloquio. Le serviva quel lavoro. Le serviva come l’aria.
Si infilò le mani tra i capelli e rovistò. Incontrò e ignorò la moneta bucata, l’anello umano, il filtro di sigaretta che usava come cuscino. Alla fine le dita si chiusero sulla spilla da balia che portava attaccata a una treccia. Se la tirò in grembo e l’aprì. Quando la molla scattò l’ago le sparò in faccia una pioggia di frammenti di ruggine. Si passò una mano sugli occhi per eliminare la polvere. La ciocca di capelli che si era impigliata ai bracciali le finì in bocca. Con i nervi sul punto di spezzarsi si infilò due dita tra i denti e raschiò sulla lingua per eliminare i capelli. Al terso passaggio non li aveva ancora trovati. Il tempo intanto correva.
“Ma cazzo! Cazzo!”
Scalciò con forza, sbatté i pugni a terra, agitò le gambe. Sollevò la spilla da balia e la scagliò a terra, poi con un grido si portò le mani alla testa nel punto in cui la treccia le aveva tirato con forza.
“Uno, due, tre…”
Inspirò e espirò. Ripensò alle lezioni di yoga e svuotò la mente.
“Cazzo, cazzo, cazzo”.
Inspirò, espirò.
“…nove, ma cazzo! Dieci…”
Raccolse la spilla da balia e piantò l’ago arrugginito nella gomma, cercando di liberarsi i piedi.

#164 Comment By tasso barbasso On 26 novembre 2010 @ 08:04

Voglio chiarire (ulteriormente) una cosa. Con i miei ragionamenti non intendevo negare la validità di determinate tecniche narrative (magari in favore di altre) e tanto meno avevo l’obiettivo di creare dubbi sulla utilità dell’esercitazione proposta o sulla opportunità che il tutto si svolgesse in un “contesto magistrale” (come ben diceva qualcuno). Al contrario, il tutto mi sembra molto interessante e avanzato.
In realtà intendevo soprattutto aggiungere nuovi elementi alla discussione che si era aperta su alcuni argomenti di fondo (anzi, più che aggiungere direi rafforzare e precisare, dal mio punto di vista, una linea di pensiero già mostrata da altri), allo scopo di discutere ciò che mi sembrava discutibile. Il tutto, ovviamente, nella convinzione che precisare certe idee possa concretamente facilitare il lavoro dello scrittore di narrativa (inteso sia come creazione dell’opera che come ricerca letteraria).
Pr il resto, è naturale che chi si pone come insegnante insegni i dati di cui è a conoscenza, nella cornice del proprio (soggettivo) punto di vista, e chi si pone come apprendista (io compreso) studi la materia utilizzando anche la guida dell’insegnante. Non c’è altra via, direi.

#165 Comment By tasso barbasso On 26 novembre 2010 @ 12:24

Un ultima osservazione, per completezza e perché mi pare che date le necessità espositive avevamo dovuto sacrificare l’immediatezza di esempi concreti.
Segue un esempio sulla pittura (che io considero un’arte, con la “a” rigorosamente minuscola, quanto la letteratura di qualsiasi genere).
È pensabile che sulla base di una serie di ricerche scientifiche e osservazioni empiriche – dalle quali, nell’ambito di un certo schema di riferimento formale (ma sempre auto referente, come sappiamo), risulta che la pittura ad olio stimola maggiormente la percezione visiva rispetto ad altre tecniche, e partendo dal presupposto intuitivo (anche questo auto referente) che lo stimolo della percezione visiva abbia qualcosa a che vedere con un determinato concetto (pre-concetto, evidentemente) in merito alla qualità oggettiva dei quadri – noi siamo portati a sostenere che i quadri “migliori” siano quelli ad olio, e che nel caso si volesse usare una tecnica mista (sbagliato ma possibile, visto che ad alcuni pervertiti piacciono anche le cose sbagliate), si dovrà utilizzare quanto più olio possibile al fine di produrre in miglior quadro possibile. Di conseguenza un ipotetico pittore che si sentisse poco portato per l’olio, se non vorrà essere condannato per questa sua oggettiva mancanza – in virtù delle legge per cui sarebbe sbagliato produrre quadri imperfetti (si potrebbe addirittura parlare di immoralità, visto che conosciamo la differenza tra ciò che è oggettivamente più perfetto e ciò che lo è meno) -, dovrà necessariamente imparare a usare l’olio e dovrà usarlo il più possibile.
Ora, mi sembra evidente che un simile discorso sia non solo insostenibile sul piano scientifico, logico e ontologico (per i motivi che abbiamo già parzialmente mostrato), ma anche intuitivamente insensato e, probabilmente, deleterio.

#166 Comment By Gamberetta On 26 novembre 2010 @ 12:32

@Tom. Ho tolto gli spoiler dal tuo commento, d’ora in avanti usa gli spoiler solo se sono davvero spoiler. Le persone che seguono la discussione via feed non possono aprire gli spoiler, è fastidioso. Dunque usali solo quando sono davvero necessari.

Venendo all’esercizio e assumendo che parlavi di Lametta e non di Fiammetta: sono mostrate le cianfrusaglie, ma poco altro. Inoltre io ho raccontato che le cianfrusaglie ostacolano la ricerca di un lavoro, mentre qui le usa per liberarsi. Il fatto che Lametta sia scappata da casa o debba cercarsi un lavoro l’hai solo raccontato.

Qualche esempio più spicciolo di raccontato che può essere migliorato:

Si mise in ginocchio e portò le mani alla bocca. Aveva la sensazione che qualcuno le avesse spappolato la mascella con un crick, ma i denti sembravano tutti al loto posto.

Non è un brutto passaggio, però “aveva la sensazione” e “sembravano” attutiscono l’impatto della situazione.
Avrei scritto:

Si mise in ginocchio e portò le mani alla bocca. Quando Valvolina le aveva spappolato la mascella con il crick aveva fatto meno male. Passò l’indice lungo il profilo dei denti. Nessuno ballava.

#

“No, no, no. Idiota, idiota, idiota”. Fiammetta aveva capito che non sarebbe mai arrivata in tempo al colloquio.

È raccontato. Qui ci vuole davvero poco per mostrare:

L’orologio a cucù appeso alla parete batté le cinque. “No, no, no. Idiota, idiota, idiota”. Il colloquio era per le quattro!

#

Si infilò le mani tra i capelli e rovistò. Incontrò e ignorò la moneta bucata, l’anello umano, il filtro di sigaretta che usava come cuscino. Alla fine le dita si chiusero sulla spilla da balia che portava attaccata a una treccia.

Ho barrato le tracce di raccontato. Il brano funziona lo stesso ed è più elegante.

#167 Comment By Tom On 26 novembre 2010 @ 13:36

@Gamberetta:
Scusa per lo spoiler tag. Mi sembrava più comodo, non avevo pensato ai feed.

Sul testo:
Sì, ho sbagliato il nome, me ne sono accorto solo dopo. Grazie per i consigli sulla parte dei capelli, hai ragione. È anche vero che ho solo sfiorato il resto, ma credo sia dipeso dal dovermi limitare a poche centinaia di parole. Penso di poter mostrare anche le altre cose che hai raccontato, ma non credo che riuscirei a farlo in un paio di paragrafi.
Sul suggerimento dell’orologio a cucù, sì, mia culpa. Credevo che farla parlare fosse sufficiente a mostrare, il resto del passaggio è debole.

C’è una cosa però su cui però non mi hai convinto del tutto.

Avrei scritto:

Si mise in ginocchio e portò le mani alla bocca. Quando Valvolina le aveva spappolato la mascella con il crick aveva fatto meno male. Passò l’indice lungo il profilo dei denti. Nessuno ballava.

Ecco. Mi piace quando dici che passa l’indice sui denti, ma non sono d’accordo sul riferimento a Valvolina. Nella mia mente non le è mai successo. Non può semplicemente avene la sensazione? Esempio: mi viene un’emicrania e se chiudo gli occhi posso quasi vedere una scheggia di metallo che mi spacca la fronte. Non mi è mai successo, però. Come posso ricordarlo? Ne ho la sensazione, non il ricordo.

#168 Comment By Tom On 26 novembre 2010 @ 13:58

A proposito degli effetti che il mostrare ha su attenzione e memoria, di cui si parla nell’articolo, volevo proporre un libro che ho appena letto.
“Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla”, di Alexandr R. Lurija (1902-1977). Edito in Italia da Armando Editore.
L’autore era uno psicologo russo famoso che ha scritto, tra i tanti testi scientifici, vari libri in cui racconta alcuni dei casi clinici più interessanti. È famoso per essere stato il primo ad affiancare l’analisi della sfera umana a quella prettamente clinica nelle sui indagini.
Come dice il titolo, il libro parla di un uomo dalla memoria perfetta, un suo paziente. Questa memoria era basata su procedimenti visivi e sinestesici. L’uomo, in pratica, trasformava in immagini visive tutto ciò che acquisiva attraverso i sensi. Sentiva il sapore delle parole, vedeva il colore dei suoni, tutto lo portava a creare vividissime immagini concrete nella sua mente.
Dopo aver descritto la sua memoria, il libro parla della sua personalità, di come questa “diversità” influisse sul suo vivere sociale, dei vantaggi e gli svantaggi. Per esempio, l’uomo aveva difficoltà a leggere perché non riusciva a gestire le troppe immagini che gli si formavano in mente. Altre volte iniziava a leggere e costruiva nella sua testa la scena, poi, qualche riga dopo, si accorgeva che i dettagli non corrispondevano e andava in crisi, sentendosi costretto a ricominciare da capo.
Il libro è lungo un centinaio di paginette, lo si legge rapidamente.

#169 Comment By Gamberetta On 26 novembre 2010 @ 14:48

@Tom.

Nella mia mente non le è mai successo. Non può semplicemente avene la sensazione? Esempio: mi viene un’emicrania e se chiudo gli occhi posso quasi vedere una scheggia di metallo che mi spacca la fronte. Non mi è mai successo, però. Come posso ricordarlo? Ne ho la sensazione, non il ricordo.

Lì ho messo un ricordo perché, date le poche informazioni di contorno, se mettevo un crick “vero” poteva sembrare che la fatina era stata sul serio percossa.
Il problema del “sembra” è che è un giudizio: tu senti la scheggia che ti spacca la fronte, poi ragioni che non è possibile, e allora deduci che sia solo un’allucinazione (sembra che…) dovuta all’inteso dolore. Però in narrativa sarebbe meglio lasciare i giudizi al lettore. Confronta queste tre versioni della stessa situazione:

Anna ingoiò due pasticche di antidolorifico. Aveva un’emicrania così forte che le sembrava di avere la testa stretta in una morsa e la fronte perforata da un martello pneumatico.

#

Anna ingoiò due pasticche di antidolorifico. Le sembrava di avere la testa stretta in una morsa e la fronte perforata da un martello pneumatico.

#

Anna ingoiò due pasticche di antidolorifico. Aveva la testa stretta in una morsa e un martello pneumatico le perforava la fronte.

Nessuna versione è scritta male, tutte e tre sono basate su dettagli concreti. Tuttavia le prime due danno la sensazione che qualcuno ti stia raccontando; non sei proprio lì nella testa di Anna, le sei solo vicino mentre qualcuno ti spiega la situazione. La terza versione è più diretta. Non ci sono più intermediatori.
E volendo si può essere ancora più netti:

Anna ingoiò due pasticche di antidolorifico. La morsa le stringeva la testa, il martello pneumatico perforava la fronte.

***

Grazie per la segnalazione del libro, sembra interessante.

#170 Comment By Mauro On 26 novembre 2010 @ 15:44

Tom:

“Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla”

Avevo letto di un uomo con la stessa caratteristica, non so se lo stesso; arrivava a visualizzarsi delle storie, traendo immagini anche da formule scientifiche.
Aveva però il problema contrario alla norma: non riusciva a dimenticare le cose. Lo aveva risolto immaginando il ricordo scritto su una lavagna, e immaginando poi di cancellare la lavagna. Funzionava.
Ne parlava, se non ricordo male, Baddeley, in La Memoria. Come funziona e come usarla (ma è solo un accenno, non è un libro sul caso specifico).

#171 Comment By Willie Pete On 26 novembre 2010 @ 17:14

@gamberetta
ops scusa XD
Il mio è un account condiviso, lo uso con mio fratello e non sapevo che avesse lasciato altri commenti ^_^”
Grazie per il consiglio: ma se aggiungo dei dettagli come hai detto te, non sto allungando eccessivamente la broda? Sarebbero dettagli inutili, e tu dici sempre di evitarli.

#172 Comment By Tom On 26 novembre 2010 @ 20:50

@Gamberetta:
Grazie per i nuovi esempi, ho colto la differenza. Purtroppo non mi piace l’ultimo, quello che secondo te rende le cose più nette. Sinceramente preferisco il penultimo, ma è una questione di gusti.

@Mauro. Sì, è la stessa persona, ma il libro da me citato parla solo ed esclusivamente di lui.
Il non riuscire a dimenticare era diventato un problema molto serio. Gli creava problemi non solo quando doveva richiamare informazioni diverse, ma anche quando leggeva (per restare in tema). Ad esempio, se nel libro “A” si parlava di una stanza con un camino, a lui veniva in mente la stanza con camino che aveva costruito per il libro “B”, letto magari molti anni prima. E nella sua mente i personaggi del libro “A” si trovavano a interagire con quelli del libro “B”, perché le immagini erano talmente vivide che lui non riusciva a controllarle. Alla fine con grande sforzo si rendeva conto che qualcosa non andava, che la scena non aveva senso, e cercava di riordinare le cose. Non sempre ci riusciva.
Il trucco della lavagna comunque non funzionava molto bene, e dovette tentare molte strade diverse prima di riuscire a controllare i ricordi. Non imparò mai a dimenticare del tutto, ma almeno imparò a sopprimere i ricordi non necessari in una particolare situazione materiale. Il problema nella narrativa rimase fino alla fine.

#173 Comment By Lidia On 26 novembre 2010 @ 21:21

Ho pensato di non modificare il pezzo che avevo scritto, ma di scriverne proprio un altro. Il primo era un dialogo spiritoso tra Scintilla e la Fata Superiore Fiammetta.
In effetti, un dialogo può essere efficace per “mostrare” il rapporto tra due personaggi, o sottolineare le loro caratteristiche, magari già espresse, o da approfondire altrove. Ma per mostrare proprio queste caratteristiche… Meglio delle descrizioni. Ho pensato a una scena con meno dialogo. Questo è l’antefatto, insomma, del pezzo che avevo già scritto. Spero di esser riuscita a mostrare la giovane età di Scintilla, il suo orgoglio, la testardaggine, e i suoi primi dubbi sulla sua competenza. :)

“Mia madre è tanto malata…”
“Shh. Lo so, l’hai già detto. Ci penso io.”
Le manine fatate di Scintilla raccolsero una lacrima del ragazzo e la gettarono fra le radici di un cespuglio. Appena toccata terra, la goccia salata vibrò, si espanse, e prese la forma di un pezzetto di carta, fitto di numeri. Il ragazzo ci si gettò sopra, e si rialzò con le braccia coperte di graffi e una spina che gli spuntava dalle gengive. Rideva e sputava sangue. “Ho vinto tre milioni! Sono ricco!”
“Se hai ancora bisogno di aiuto per tua madre, non esitare a…” Lo schianto della porta la spedì in mezzo alle spine. Il ragazzo era corso nel concessionario, alla Ferrari più vicina. Scintilla provò a ronzare. Ci fu un rumore di carta strappata. Smise subito di muoversi. Le sue tenere alucce! Spuntate da tre mesi, ed erano già sbrindellate, ali da Fata Anziana!
“Ehm, scusa. Puoi finirla di giocare nei rovi? Qui c’è gente che ha degli impegni.”
Scintilla guardò su. Una fila di uomini e donne occupava il marciapiede.
“Un momento e sono da voi” ansimò.
“Il mio turno era alle 10:40. Sono già le 10:50.”
Una manina lucente, bianca come la sua, le batté su una spalla. “Di nuovo a dispensare Desideri da Pausa Caffé?”
Altre fatine la osservavano, riparate alla vista degli umani. Solo gli occhietti rossi e verdi e gialli ammiccavano attraverso l’intrico di foglie.
Scintilla cominciò a dondolarsi a destra, e a sinistra.
“Ti aiutiamo noi. Se rinunci alla tua Lista Desideri.”
Scintilla ignorò la mano protesa verso di lei; si trascinava in avanti, per liberarsi dalla spina a cui era attaccata per le ali come un gambero a uno spiedo.
“Ce la faccio da sola. E la Lista è mia.”
Risatine acute, che a un orecchio umano suonano sempre come cinguettii di uccelli stonati.
“Far evadere gente dalle carceri, accoppare la nonna per l’eredità, e fregare la ragazza al vicino cafone… Tientela pure la tua Lista.”
Scintilla sbuffò. “Certo. Ci ho messo tre mesi a compilarla.”
“Finirai nei guai.”
Un’ombra enorme e nera le zittì tutte. Scintilla intravide solo un bruscolo di pelle, sotto la mole di lardo tatuato del camionista.
“Ci muoviamo o no? Ho fame.”
La voce risuonò come una fucilata e la strappò dalla spina. Scintilla roteò e roteò nell’aria. Quando finì spiaccicata contro una manona sporca di grasso, cominciò a chiedersi se non era il caso di rivedere almeno uno o due punti della sua Lista.

#174 Comment By Gamberetta On 27 novembre 2010 @ 00:16

@Willie Pete.

ma se aggiungo dei dettagli come hai detto te, non sto allungando eccessivamente la broda?

No. Perché il fatto che Scintilla non sia tanto abile a esaudire desideri è uno dei punti chiavi che dovevi mostrare. Se tu fornissi un sacco di dettagli su come è vestita Scintilla o sulla sua ultima vacanza, sbaglieresti. Ma se parliamo del fulcro della questione potevi addirittura imbastire una scena con l’ultimo fallimento di Scintilla.

@Lidia. Va meglio, sicuramente questa scena è più mostrata dell’altra. Però si può fare di più. L’idea dev’essere che il più possibile non spieghi, sbatti in faccia la realtà al lettore.

Prendi la primissima riga:

“Mia madre è tanto malata…”

Ovvero? Cosa vede il lettore? Cosa vedi tu? Vedi una donna in un letto di ospedale attaccata al respiratore? Vedi una signora in carrozzina con gli occhi offuscati dalla cataratta? Vedi una mano tremante che cerca di aprire un barattolo di medicinali?
Qualunque sia la visione, scrivila!
Tu mi dirai che la madre malata non esiste. Fa niente. Tu metti la signora in carrozzina (o chi per lei), poi si capirà che non era la madre del disgraziato. Devi procedere per immagini, non per parole.

Lo schianto della porta la spedì in mezzo alle spine. Il ragazzo era corso nel concessionario, alla Ferrari più vicina.

A parte che è un po’ tirato via, non è che i concessionari Ferrari siano comunemente dietro l’angolo… in ogni caso, non dovresti spiegare. Non devi raccontare che il ragazzo è corso dal concessionari, devi mostrare l’auto che sgomma e il ragazzo che si sporge oltre il finestrino con in mano una bottiglia di champagne.

Risatine acute, che a un orecchio umano suonano sempre come cinguettii di uccelli stonati.

Qui sei entrata nella storia, dato che non credo proprio in quel momento Scintilla stia lì a pensare a cosa si possono paragonare le risatine delle fatine. E se invece ti interessava questo concetto, dovevi anche qui mostrarlo: mostrare il fastidio degli umani in fila al suono delle risate.

[...] cominciò a chiedersi se non era il caso di rivedere almeno uno o due punti della sua Lista.

È raccontato. Io ho scritto, nella presentazione dell’esercizio: “Scintilla [...] ha il vago sospetto che questo [realizzare desideri] non sia il mestiere più adatto per lei”, tu scrivi: “Scintilla cominciò a chiedersi se non era il caso di rivedere almeno uno o due punti della sua Lista [dei Desideri].”
Hai solo parafrasato.
Come si mostra? Non so, un umano le chiede un altro desiderio, Scintilla sta per realizzarlo, ha un ricordo dell’ultimo fallimento e chiede consiglio a un’altra fatina (poi magari non lo segue – è testarda).

#175 Comment By Kurdt On 27 novembre 2010 @ 06:10

Ho letto l’articolo, interessante, fondamentalmente sono d’accordo sullo “Show, don’t tell”, ma esageri un pò in alcuni punti e decontestualizzi alcune cose, franintendendole.

Partendo dal presupposto che a me l’attimo fuggente fa sanguinare i coglioni, e che appenderei Robin Williams per i capezzoli:

Nel video si parla di poesia; e, il libro che rompono, è un libro che afferma che per apprezzare e capire (non scrivere, nota bene) la poesia, devi conoscerne la metrica.

Non solo! aggiunge che la poesia possa essere piazzata in un ipotetico asse cartesiano, dove verra inserita e schematizzata, wow.

Comportarsi in questo modo con una poesia, fa perdere completamente il “sense of wonder” che l’autore ci ha faticosamente instillato, quindi fanno bene a strappare quelle pagine.

La tecnica serve, anzi, è fondamentale per scrivere, ma quel video non ha niente a che vedere con la battaglia che sostieni.

Detto questo ti rinnovo i complimenti per l’articolo.

#176 Comment By Kurdt On 27 novembre 2010 @ 06:13

Dimenticavo, strappano l’introduzione dell’autore appena letto (un fesso) non l’intera antologia.

#177 Comment By Lidia On 27 novembre 2010 @ 07:33

@Gamberetta.
(Sul concessionario. Ho per sbaglio mancato di inserire le due righe in cui il tipo si incamminava per la strada, come se cercasse qualcosa. Lo andava proprio a cercare, il concessionario Ferrari. Pardon!)

Comunque, grazie per i consigli e per aver letto e risposto subito ad entrambi i pezzi che ho postato.
Ora torno a scrivere il libro che sto terminando (e mi salvo nel file accanto i tre articoli sulla scrittura).

Buon lavoro.

#178 Comment By Lidia On 27 novembre 2010 @ 08:02

Ma no! Ho tutto il giorno per scrivere altro. Ora mi sono appassionata a questo esercizio, e non lo mollo finché non sono soddisfatta.

Beh, non è proprio per sbaglio che non ho inserito la storia della ricerca del concessionario. Ho avuto ripensamenti, perché mi dicevo: “Sì, ma come fa poi la gente ad essere in fila per i desideri proprio lì? Scintilla non lo sa dove la stia portando il tipo.”
Volevo togliere la fila di persone, non l’ho fatto, e alla fine l’effetto è che i concessionari F. spuntano dietro ogni angolo! Arg!
Facciamo così, scelgo un approccio diverso e la taglio lì!

Magari farò anche l’esercizio su Lametta. Quello che mi blocca è che non riesco proprio a visualizzare queste cianfrusaglie… Non vedo niente!

#179 Comment By Il Guardiano On 27 novembre 2010 @ 08:42

Purtroppo in questo periodo non ho molto tempo per stare al computer e scrivendo con l’iPhone non ho la possibilità di citare come in realtà vorrei/dovrei. Detto questo, vorrei dire la mia sullo “show, dont tell”. 
Gamberetta è stata “attaccata” (anche se non mi sembra la definizione esatta) perché riteneva inesatti alcuni passaggi degli svolgimenti dei sui esercizi. 
Innanzitutto, se ti cimenti in una prova del genere devi accettare le “direttive”, direttive scelte da Gamberetta. Poi puoi svolgere l’esercizio rispettando lo show dont tell o cercare di dimostrare che potrebbe funzionare diversamente. 
Se vi dico di sviluppare l’esercizio con questi dettagli: Finocchio è un ragazzo un po’ diverso. Ha un rapporto difficile coi genitori ed è scappato di casa perché non si sentiva accettato. Ora passa le sue giornate felice, contento e accettato dai suoi nuovi amici;
è stupido lamentarsi dicendo che si ritiene inutile mostrare la sua diversità o la sua felicità. È inutile dire che è meglio raccontarlo che mostrarlo; e se si decidesse di sostenere una tale affermazione, bisognerebbe anche dimostrarla ed essere convincente. Non basta “il secondo me è meglio così perché è un gusto personale” perché si esce dell’esercizio stesso e senza essere costruttivo. 
Un po’ come la maestra che dice alla classe, una volta imparata la regola della moltiplicazione, di svolgere l’esercizio 5×5 e un alunno se ne esce fuori dicendo che ha fatto 5+5+5+5+5 perché secondo lui in questo caso è più utile fare così. No…se l’esercizio è questo, deve essere svolto così. Poi quando ci sarà da risolvere una espressione ognuno potrà scegliere il metodo che ritiene migliore. 
Poi in linea generale si può discutere di quando si deve usare il mostrato e quando il raccontato. Ma mi pare che anche in questo caso Gamberetta sia stata esaustiva. Il caso in cui, citato da Francesco Barbi (che mi sembra una ottima persona, anche in base a quello che ho visto su anobii), ci sia una esigenza editoriale, mi sembra una scemenza. Se quelle pagine sono belle e utili, è giusto che vengano mostrate e affanculo l’editor e l’editore. Se ci sono altri casi, vorrei comunque conoscerli per una mia cultura personale. 
Scusate le ripetizioni ma è difficile avere una visione d’insieme dell’articolo e fare le correzioni su un display così piccolo. 

#180 Comment By Lidia On 27 novembre 2010 @ 09:52

Ecco il pezzo.

“Mi madre ha il Bifidus Activus.”
“Oh, poverina. E’ tanto grave?”
“Ha perso i capelli. E un occhio. Domani a mezzogiorno le si stacca un polmone.” Il viso del ragazzo scomparve, nascosto dietro una rivista di automobili.
“Shh. Ci penso io.”
Scintilla volò fino a lui, si insinuò fra le pagine e le labbra carnose. Le manine fatate raccolsero una lacrima dal mento e la gettarono fra le radici di un cespuglio. Appena toccata terra, la goccia salata vibrò, si espanse, e prese la forma di un pezzetto di carta, con sei numeri in grassetto. Il ragazzo ci si gettò sopra, e si rialzò con le braccia coperte di graffi e una spina che gli spuntava dalle gengive.
Rideva e sputava sangue. “Ho vinto tre milioni!”
Tornò a nascondersi dietro le pagine della rivista. Mormorava.
“Via Motta 37. Via Motta 37…”
Scintilla avvertì la propria felicità diffondersi come un liquido caldo, in ogni fibra delle sue tenere alucce, le cui code crebbero di almeno un centimetro. Ora le accarezzavano i polpacci, morbide come seta. Dieci Desideri. Le bastavano altri dieci Desideri e sarebbero maturate del tutto; un sfavillare di blu, rosso e oro, che l’avrebbe avvolta di giorno e di notte.
“Sei hai ancora bisogno di soldi per curare tua madre…”
“Ma smamma!”
Il ragazzo alzò la rivista, come per scacciare una mosca. L’ultima cosa che vide Scintilla, fu l’immagine sempre più grande di una Ferrari Testarossa, che precipitava su di lei.
“Ehm, scusa. Puoi finirla di giocare nei rovi? Qui c’è gente che ha degli impegni.”
Scintilla sbatté le palpebre e provò a ronzare. Niente. Era infilzata per le ali a una spina. Guardò su. Sul marciapiedi c’era una fila di donne e uomini.
“Un attimo e sono da voi” ansimò.
“Il mio Desiderio era per le 10:40. Sono già le 10:50.”
“Di nuovo a dispensare Desideri da Pausa Caffé?” Altre fatine la osservavano, riparate alla vista degli umani; i loro occhietti rossi, verdi e gialli ammiccavano, attraverso l’intrico di foglie.
“Ti salviamo noi. Però tu rinuncia alla tua Lista Desideri.”
Scintilla ignorò la mano protesa verso di lei; si trascinava in avanti, per liberarsi dalla spina a cui era attaccata come un gambero a uno spiedo.
“Ce la faccio da sola. E la Lista è mia.”
Dal cespuglio si alzarono delle risatine. Fra la gente, un mormorio di protesta.
“Cosa ti sei portata dietro” esclamò un uomo, “un passero col mal di gola?”
Le fatine risero ancora più forte. “Accoppare nonne per l’eredità e fregare la ragazza al vicino cafone… Tientela pure la tua Lista.”
Scintilla sbuffò. “Certo. Ci ho messo tre mesi a compilarla.”
Un’ombra enorme e nera le zittì tutte. Scintilla intravide solo un bruscolo di pelle, sotto la mole di lardo tatuato del camionista.
Una mano unta la strappò dalla spina.
“Voglio sapere se la mia Betta mi tradisce.”
Scintilla lanciò un’occhiata al cespuglio, dove una decina di puntini luminosi la scrutavano fra i rami. Ondeggiavano, come se le fatine stessero tutte scuotendo la testa. Avevano fatto così anche il giorno del Desiderio Numero 5: un vecchio voleva che si spargesse la voce che un Sabato pomeriggio lui era dal barbiere. Non ci aveva trovato nulla di male. Aveva pensato che il vecchio tenesse a esser considerato una persona ordinata. Cura personale, aveva detto lui. Alibi sconcertante, avevano concluso al processo, con tutte le impronte che aveva lasciato sul coltello con cui era stata fatta fuori la sua famiglia.
“Hm, e se ti dico che Betta ti tradisce proprio?” domandò Scintilla.
La mano le si strinse un po’ più intorno. Le sue ali scricchiolarono come vecchie imposte. Ancora dieci Desideri… Solo Dieci e sarebbero cresciute del tutto, pensò. Se non si fossero sbriciolate prima.

#181 Comment By tasso barbasso On 27 novembre 2010 @ 11:00

Scusatemi tutti se intervengo per l’ennesima volta, ma dopo le tante analisi mi sembrava giusto abbozzare anche una personale conclusione sull’argomento (pur sempre temporanea e apertissima a ulteriori contributi da parte di chi fosse interessato), anche in termini operativi.
Io sono convinto che la tecnica narrativa sia fondamentale quanto il contenuto stesso della narrazione, inoltre non direi mai che “una tecnica vale l’altra”. Io dico, per esempio, che la narrazione non diventa tanto migliore quanto più “mostrato” ci si mette al posto del “raccontato”, anche perché questa idea non mi sembra di per sé “vera” e “oggettiva” (oltre a non convincermi sul piano intuitivo). Inoltre dico che comportarsi come se la suddetta tesi fosse “vera” (ossia come se si trattasse di una “legge di natura”) non è utile.
Per spiegarmi meglio torno all’esempio della pittura. Un pittore potrebbe convincersi, magari sulla base di ipotetiche teorie scientifiche e osservazioni empiriche, che i quadri ad olio siano quelli più perfetti in termini di “prestazione pittorica”. Di conseguenza lo stesso pittore dovrebbe ritenere che la tecnica dell’olio sia l’unica in grado di consentirgli un “perfezionamento” della sua arte, il ché lo indurrebbe a dipingere esclusivamente quadri ad olio. Una posizione del genere è del tutto legittima e rientra pienamente in quella autoreferenzialità dell’arte di cui si diceva, ma avrà perlomeno altre tre (evidenti) caratteristiche:
1) È insostenibile sul piano logico-filosofico e, di conseguenza, la sua validità scientifica è “relativa” (come tutte le teorie scientifiche, del resto)
2) È obiettivamente limitante
3) Di conseguenza una simile convinzione (evidentemente ideologica) condurrà ad un “campo artistico” più ristretto.
Coerentemente con questa impostazione, una proposta operativa (al di là delle esercitazioni a tema imposto, che ovviamente saranno sempre tutte utilissime!) potrebbe essere: che lo scrittore si senta sempre libero di utilizzare quante più tecniche narrative possibile, ma sempre in coerenza con quelle che sono le sue caratteristiche (cultura, psicologia, esperienza, ideologie, gusti) e le sue intenzioni comunicative.

#182 Comment By Giobix On 27 novembre 2010 @ 14:44

Ecco il mio esercizio:

Sono impazzito, non c’è altra spiegazione. Stavo abbassando la
serranda dell’ufficio e ho visto entrare quella cosa svolazzante. Adesso è seduta sull’orlo del barattolo portapenne e mi fissa dondolando le gambe. Una fatina, ma non graziosa come fiaba comanda, questa ha un paio di ali lacere con scritto “Punx not dead” e una calzamaglia nera piena di buchi.
- Nome?
- Lametta.
- Sì, e poi?
-Lametta Lametta.
Si gratta i capelli, estrae un pidocchio e lo lancia sul questionario.
- Che schifo! – Scuoto il foglio e il pidocchio vola in fondo alla scrivania.
- Sto cercando di aiutarti, potresti almeno comportarti civilmente?
- Scusa. – Sbatte il tacco dello stivaletto sul barattolo, con forza. – Che palle, sembri mia madre.
- Hai pure una madre?
Mi guarda arrossendo. – Cosa vorresti dire?
- Niente, andiamo avanti. Domicilio?
- Mmh.
- Mmh?
- Mh!
- Dove abiti con tua madre, insomma. – Faccio un paio di respiri profondi e sorreggo la testa con le mani, ci vuole pazienza con le risorse umane (e non ).
- Non abito con mia madre.
- Sei maggiorenne?
Salta in piedi sulla scrivania. – Non sono affari tuoi!
- Devo scrivere la tua data di nascita. Niente dati, niente lavoretto part time.
Sbuffo, giro gli occhi verso il davanzale della finestra e un brivido mi scuote.
- Quella è roba tua? – Un sacchetto buttato nel mio vaso di fiori, e la violetta non si vede più.
- Uh? Certo, è la mia collezione di spille dei Sex Pistols, non volo mai in giro senza.
Raccolgo il sacchetto dal vaso e guardo la mia piantina spiaccicata.
- Prendi la tua roba e sparisci. – Digrigno i denti.
- Ah, io non me ne sono accorta. Cioè, e il lavoro?
- Il tuo lavoro è sparire prima che ti ficchi le spille nel culo una per una!
Svolazza davanti a me guardandomi dall’alto in basso – Quante storie per una viol… – Schiva il portapenne che finisce contro il muro e infila la fessura della porta da cui è entrata. Sento la sua pernacchia arrivare dalla strada insieme all’aria fresca della sera.

#183 Comment By Unoqualunque On 27 novembre 2010 @ 16:19

La storia del ritmo può essere vera, ma ci sono molte soluzioni oltre al “poi”. Se cerchi ne trovi quasi sempre una migliore

E’ proprio questo che mi fa dannare. Non trovo particolare difficoltà a mostrare una scena piuttosto che raccontarla…ma il risultato finale mi delude, e pure parecchio, sotto altri punti di vista. Anche inserendo delle azioni, al posto della punteggiature (virgole o punti poco cambia), come nell’esempio:

“La scimmia posò la matità, scrutò la fata, si grattò la testa: riprese a scrivere”.

non mi piace molto…
Forse non riesco a spiegarmi bene, ma ho come l’impressione che talvolta un efficiente “mostrato puro” possa diventare stucchevole.
Il raccontato, se utilizzato con sapienza, ha due pregi:
1) elimino quel fastioso ritmo a singhiozzi, quasi inevitabile nel mostrato
2) lascio spazio alla fantasia del lettore

A mio parere ci sono scene che vanno “mostrate” nella loro essenza nuda e cruda, ed altre che possono meglio funzionare raccontandole. Una narrazione divinamente “mostrata”, rischia di togliere al brano quel “calore”, quel “fascino”, quell’atmosfera, quella fluidità, che spesso solo con un’oculata aggiunta del raccontato si possono ottenere.

#184 Comment By Mauro On 27 novembre 2010 @ 17:34

Può essere che dipenda solo dall’abitudine, ma sotto certi aspetti mi ritrovo in quanto scrive Unoqualunque: facendo l’esercizio per il secondo manuale, ho cercato di mostrare quanto piú possibile (con che risultato è da vedere); ci sono però alcuni punti in cui ho volutamente raccontato (per esempio: “Il ragazzo si alzò, guardò l’immagine ormai sbiadita, poi si girò”), perché tutte le alternative (virgola, punto e virgola, azione, ecc.) mi convincevano di meno.
Ho anche notato che rimuovendo (quasi) tutti i “poi” e simili mi è venuta una narrazione molto piú “spezzata”, formata da piú frasi brevi; anche qui magari è questione d’abitudine, ma a rileggere il brano alcuni pezzi mi suonavano strani proprio per quello.

#185 Comment By Ylunio On 27 novembre 2010 @ 18:10

Ecco il mio compitino.

Lametta infilò entrambe le mani nello zaino posato ai suoi piedi, sulla ringhiera di metallo del balcone. I volantini bianchi (la scritta OFFERTE AI GRANDI MAGAZZINI FAIRY TALE glitterata brillò al sole) volarono da tutte le parti. Il Moscone sollevò le zampe anteriori, strofinandole per poi pulirsi la proboscide. Ripeté lo stesso gesto due volte, prima di ronzare: – Allora?-
Lametta sollevò il viso, soffiando per allontanare una ciocca di capelli che le era scivolata fino al mento. Socchiuse le palpebre. Spezzò a metà lo sguardo. Questa volta si lasciò scivolare dentro lo zaino fino alla cintola.
Il Moscone ronzò più forte. – Guarda che se non ce l’hai posso sempre procurarmela in un altro modo.-
Lametta emise un suono soffocato e si risollevò in piedi, svolazzando e mollando un calcio allo zaino che si chiuse su se stesso, accartocciandosi. La Fatina aveva il mento sporco di vernice rossa e un francobollo appiccicato alla manica, ma stringeva nella manina una palletta marrone dalla quale sbucavano fili d’erba rinsecchita. – Hai detto pecora, vero?-
Il Moscone si sollevò in volo con un piccolo saltello verticale e prese a far frullare le ali.
Lametta rimase immobile. Un sorriso disteso sulle labbra lilla e il braccio sollevato. Il Moscone si fece sempre più piccolo all’orizzonte. Lametta lanciò la palla di cacca di pecora oltre la ringhiera. – Vai a quel paese!- urlò, rossa fino alla punta delle ali.
Pecora. Mucca. Quale sarà mai la differenza? Schifosa coprofaga!
Lametta tornò ad accucciarsi sulla ringhiera, appoggiando la spalla e la tempia allo zaino. Gonfiò il petto in un respiro profondo. Fece scivolare la mano in tasca e contò con i polpastrelli cinque bottoni di plastica.
Prendevo di più da mamma con la paghetta. L’indipendenza non paga.
Si caricò lo zaino in spalla e cominciò a volare verso i grandi magazzini.
Si fermò una prima volta per raccogliere la capocchia di uno spillo. Verde. Mi mancava! E una seconda volta quando adocchiò qualcosa di scintillante fare capolino oltre l’orlo del marciapiede. Perse quota, avvicinandosi e sporgendosi in avanti. Si sistemò lo zaino sulla spalla sinistra, allungando la bretella, per liberare un angolo delle ali rimasto bloccato sotto la stoffa. Sentiva una fitta fastidiosa al centro della schiena. Tutto per cercare quella schifosa palla di cacca…
L’oggetto oltre l’orlo del marciapiede era senza dubbio la linguetta di una lattina. Lametta si tuffò con le manine protese. Strofinò il metallo contro la stoffa della tunichetta argentata. Posò lo zaino a terra e lo aprì. Fece cadere la linguetta in mezzo al resto, ascoltando il rumore tintinnante del metallo.
Rimase lì. Lasciava dondolare i piedini oltre l’orlo del marciapiede. Quella sembra proprio una pecora. La nuvola rispondeva alla sua occhiata. Lametta belò. La pecora bianca rimase in silenzio. Lametta si alzò in piedi, portò le mani ai fianchi e mostrò il medio alla nuvolapecora.
Un volantino portato dal vento le si appiccicò alla gamba.
Lametta si batté il palmo della mano sulla fronte. I volantini! Ecco cosa stavo facendo! Sollevò gli occhi. Schivò le nuvole e trovò la forma rotonda del sole tra i palazzi. La luce arancione del tramonto fece brillare i glitter dell’annuncio. Lametta tornò a sedersi. Sospirò. – Uno. Due. Tre.- Cominciò a contare le stelle.

#186 Comment By Gamberetta On 27 novembre 2010 @ 19:42

@Lidia. Direi che più o meno ci siamo. Scusa se non entro di nuovo in dettagli, ma se lo facessi poi sarei tenuta a commentare per la terza volta anche eventuali altri esercizi e non finirei più.
Se vuoi leggere un romanzo con alcuni punti in comune al tuo esercizio, dai un’occhiata a Fate a New York di Martin Millar. Ci sono diverse scene con una fatina che cerca di aiutare un violinista burbero e incapace, e il tizio la tratta pure male. Quasi come il tuo personaggio con l’immaginaria madre malata.

@Giobix. Siamo sempre lì: un dialogo non è il massimo per mostrare. Infatti la fuga da casa di Lametta si riduce a:

- Mmh.
- Mmh?
- Mh!

Che non mi mostra molto. Così come è solo raccontato che Lametta abbia bisogno di un lavoro. Vanno bene le cianfrusaglie e il brutto carattere della fatina (sebbene avendo l’altro personaggio un carattere peggiore, la maleducazione della fatina non risalta in particolare).
L’inizio del dialogo è inverosimile: o il tizio non ha mai visto una fatina e allora non procede così come se niente fosse, oppure ha esperienza di fatine e allora non pensa di essere pazzo quando ne vede una.

Ciò detto, non è nel complesso un brutto dialogo. C’è una buona interazione tra i personaggi e molti particolari concreti, però non è quello che avevo chiesto.

@Unoqualunque. / @Mauro. È solo abitudine. È lo stesso discorso di chi abusa dei puntini di sospensione, di chi mette aggettivi e avverbi perché “suonano meglio” e così via. Se partite dal presupposto che certe parole non esistono proprio, alla fine trovate soluzioni migliori mantenendo il ritmo che volete.
Poi(…) non dico di impazzire su ogni dettaglio. Va benissimo dire: “Non mi viene in mente niente di meglio in un tempo ragionevole, lascio l’espressione raccontata.” Ok. Ma avendo la consapevolezza che si poteva scrivere meglio. Se si parte dall’idea che è giusto anche così, si finisce a scrivere sempre in modo sciatto.
E bisogna tener presente che non si impara in un giorno: come spiegato nell’articolo sul fantasy italiano, in media occorrono 11 anni di studio ed esercizio per raggiungere un livello di decenza. Non è un problema sbagliare o avere difficoltà, è un problema pensare che gli errori non siano tali.
In particolare questo atteggiamento è deleterio:

2) lascio spazio alla fantasia del lettore

No. No. Mai. Il lettore ti dedica tempo e soldi proprio perché tu ci metta la fantasia. Se il lettore deve immaginare da solo usando la sua di fantasia non ha bisogno del tuo romanzo.

@Ylunio. Ho apprezzato che non sia un dialogo! ^_^
In generale mi piace che hai cercato di mostrare senza spiegare, però in alcuni casi sei stata fin troppo criptica. Per esempio:

Lametta rimase immobile. Un sorriso disteso sulle labbra lilla e il braccio sollevato. Il Moscone si fece sempre più piccolo all’orizzonte. Lametta lanciò la palla di cacca di pecora oltre la ringhiera. – Vai a quel paese!- urlò, rossa fino alla punta delle ali.
Pecora. Mucca. Quale sarà mai la differenza? Schifosa coprofaga!

Il collegamento non è così ovvio. Penso che dovevi mostrare il Moscone con un bottone di plastica nella zampa, pronto a consegnarlo a Lametta, però all’ultimo momento annusa l’escremento, ritrae la zampa e vola via.

Rimase lì. Lasciava dondolare i piedini oltre l’orlo del marciapiede. Quella sembra proprio una pecora. La nuvola rispondeva alla sua occhiata.

Dopo il dondolio dei piedini, falle alzare gli occhi al cielo. Altrimenti il lettore rimane spiazzato, crede ci sia una pecora sul marciapiede.

Segnalo un dettaglio, un piccolo errore presente anche in tanti altri esercizi:

Si caricò lo zaino in spalla e cominciò a volare verso i grandi magazzini.

Come diceva uno dei due quiz nell’articolo il “cominciare a” è raccontato. Nel caso specifico basta tagliare:

Si caricò lo zaino in spalla e volò verso i grandi magazzini.

Non c’entra direttamente con lo “Show don’t tell”, ma se fai a meno dei gerundi viene uno stile più efficace (e perciò anche più mostrato).

Lametta emise un suono soffocato e si risollevò in piedi, svolazzando e mollando un calcio allo zaino che si chiuse su se stesso, accartocciandosi.

Qui sembra che contemporaneamente Lametta si rialza, svolazza, calcia lo zaino. Meglio:

Lametta emise un suono soffocato e si risollevò in piedi. Volò davanti allo zaino e gli diede un calcio. Lo zaino si afflosciò.

Ho messo afflosciò perché una roba di stoffa mi dà più l’idea che si affloscia che non che si accartoccia.

#187 Comment By Giobix On 27 novembre 2010 @ 22:27

@ Gamberetta. Grazie del commento :)
Probabilmente ho avuto paura di scrivere troppo, da qui i problemi di dialogo raccontato e il fatto che il tizio sia subito odioso. L’idea richiedeva uno sviluppo più lento e graduale.
Provo a correggere la parte meno riuscita, anche se il punto di vista che ho scelto non è il più facile per mostrare la fuga da casa e il bisogno di lavoro.

- Niente, andiamo avanti. Domicilio?
- Mmh. Incrocia le braccia e abbassa lo sguardo.
- Mmh? Avvicino la faccia e un odore di vicolo e cassetta di gatto mi entra nel naso. Ha le guancine scavate e due cerchi blu attorno agli occhi. Non mangia e non ha un letto, questo è sicuro.

Adesso c’è qualche elemento concreto in più che mostra lo stato di bisogno di Lametta. Solo che questo punto finirei per cambiare tutto il proseguimento, mi farebbe troppa pena farla trattare in quel modo ^_^

#188 Comment By tasso barbasso On 28 novembre 2010 @ 10:28

Facciamo così, io metto qui l’ultima versione intera e senza cancellature e tu cestini tutto il resto. Pace.

Ieri le ali hanno cominciato a farmi male. Non so, dipenderà dal fatto che sto volando da giorni. È chiaro che potrei anche tenerle ferme, tanto il lavoro vero lo fa la polverina psichica, però mi piace farle vibrare. E poi così divento molto più logica, da un punto di vista umano. Quegli stupidi si spaventano facilmente e un umano spaventato è ancora più inutile. Idioti. Magari ne trovo uno particolarmente fesso che mi assume e si lascia fregare qualche bell’aggeggio. Dio che stanchezza. Se almeno non dovessi portarmi dietro la mia collezione di “tutti gli oggetti fisici della Terra in tutte le loro possibili varianti”! Comunque a casa non ci torno di sicuro, quindi gli effetti personali me li devo scarrozzare.
Per un istante perdo il controllo, vengo risucchiata da una distorsione temporale, la valigia si apre e un cucchiaino da neonato a forma di papero sparisce nel nulla. Uffa, questi dannati borsoni a compattamento ipotetico multidimensionale sono belli capienti, d’accordo, ma nessuno ha mai pensato di attaccarci un paio di maniglie decenti. Imbecilli. Recupero l’assetto e richiudo la valigia. Ah, eccone un altro, andiamo a vedere se vale la pena di provarci pure con questo. Mi butto in picchiata verso la superficie del mondo reale, devio verso la Terra, decelero fino alla velocità del suono (meglio non esagerare, nelle condizioni in cui mi trovo), faccio due capriole e mi fermo in piedi, con bella espressione impassibile, sul bordo del davanzale della seconda finestra da sinistra, facciata sud, al primo piano della villetta del signor Mario Rossi. Ho sempre avuto una preferenza per le facciate a sud. Oh-Oh, a quanto pare non sono arrivata per prima.
- Ciao Lamy, che ci fai qui?
È Buzzurellone, un microdrago viola al quale vorrei tagliare lentamente le ali a fettine sottili. Non da sempre, però, solo da quando lo conosco. Per un certo periodo ho anche pensato di tornare indietro nel tempo per cominciare a odiarlo a partire dall’origine degli universi (vantaggi di noi esserini fantastici), ma poi ho preferito concentrarmi sulla mia collezione.
- Buzzurellone, io comprendo che i draghetti viola, per di più microcefali, abbiano difficoltà di concentrazione, ma sono sicura che se tu negli ultimi 200 anni ti fossi esercitato, oggi sapresti pronuncia il nome “Lametta” in maniera decente.
- Certo, Lamy, come no, solo che oggi non ho voglia di sprecare fiato. Il discorso fra noi si sintetizza tutto nella seguente frase: questa zona la controllo io. Mi sono spiegato, Lamy?
Lo osservo facendo un elenco mentale di tutte le forme di tortura che conosco.
- Ascolta, Buzzurellone, sono disposta a dimenticare le idiozie che hai detto fin da quando hai cominciato a portare la tua superflua mole in giro per gli universi che bazzichi, incluse queste ultime parole, ma solo a condizione che tu sparisca immediatamente in una delle tue nuvolette puzzolenti.
- Non attacca, Lamy, l’ho visto prima io.
- Eccolo, scemo, stai zitto e impara!
Un ometto calvo emerge dal buio della stanza e si avvicina alla finestra. Avrà una cinquantina d’anni, indossa un gilet a quadri gialli su fondo verde (bleah!) e porta occhiali spessi. Ci vede, sbianca, ondeggia, arretra, si blocca, ride, diventa serissimo, si avvicina alla finestra e comincia ad armeggiare con la leva di apertura.
- Allora, bello, ce la fai o ti serve un manuale d’istruzioni? – urlo contro il vetro.
- Questo è tutto mio, cara Lamy.
- Se fiati ti disintegro.
Le imposte si aprono. L’ometto mette fuori la testa e ci guarda come se avesse visto un elfo e un troll mano nella mano.
- Allora, Rossi, io e il mio aiutante, qui – indico Buzzurellone – siamo venuti a darti una mano.
- Eh?
- Questo è perfetto – dico piano a Buzzurellone – forse ce n’è per tutti e due.
- Si, dicevo, il mio aiutante è un po’ stupido però si applica molto. Io poi, posso mettere a posto i cattivoni che ti danno fastidio senza neanche sgualcirmi il vestitino. Allora che fai, accetti?
- Ma io… veramente, adesso non… e poi c’è mia moglie, prima devo chiedere. E comunque…
- Senti, ciccio, ascolta la fatina, qui, che ti conviene parecchio a quanto pare – si intromette il draghetto.
- Si-len-zio! Allora Rossi, la gravità della tua situazione è intuibile: a parte la mogliettina sarai sicuramente lo zimbello di tutto l’ufficio.
- Chi te l’ha detto? – chiede il Rossi, assumendo un colore che ben rappresenta il suo nome.
- Lascia stare, bambino. Ecco il contratto – estraggo una pila di fogli in bianco dal borsone a compattamento ipotetico multidimensionale. Noto un po’ di apprensione sul faccione del Rossi – ma si, certo, appena ho un po’ di tempo lo finisco, intanto firma qui sotto.
- Ma siamo sicuri?
- Via, Rossi, non è mica per sempre. Io rimango… cioè io e il mio aiutante scemo rimaniamo qualche anno con te, ti raddrizziamo un po’ la vita di relazione, ti freghiamo qualche… cioè tu in cambio ci passi vitto e alloggio, e siamo tutti contenti. Ma lavoriamo solo quando ci pare, eh, sia chiaro. Qualche ora al giorno, non di più.
Mario Rossi trema. Porta la mano verso il taschino del gilet e tocca una delle sue tre penne d’ordinanza. Un orologio a parete sta ticchettando. Mario comincia a estrarre la penna. La lancetta dei secondi sembra un martello pneumatico. Mario ha la penna in mano. In quel momento entra nella stanza la signora Rossi. È più alta del marito, è più grassa e ha delle enorme mani nodose.
- Con chi parli, Mario?
- Io? No, no… niente, niente… è che…
Il draghetto schizza via con la velocità di un elettrone eccitato e scompare nel nulla. Io rimango con le braccia tese e i fogli bianchi stretti in mano. Le ante si richiudono in un lasso temporale che non raggiunge il decimo di secondo. L’infisso mi colpisce all’altezza dello zigomo sinistro, scivolo oltre il bordo del davanzale e precipito nella sottostante pianta di rose. Alcuni metri più in alto, i vetri di una delle finestre di casa Rossi stanno tremando.

#189 Comment By Gamberetta On 28 novembre 2010 @ 11:03

@Giobix. Visto che è un dialogo puoi anche far dire della fuga alla fatina, basta che le sue parole siano abbastanza concrete da comunicare qualche immagine al lettore. Non so:

– Domicilio?
– Sotto il ponte del fiume.
– Stai scherzando?
– No. Il terzo pilone della sponda destra ha una crepa dal terreno fino a mezza altezza. Io abito lì dentro. – La fatina si accende la sigaretta. – Meglio vivere sotto un ponte che con quella stronza di mia madre.

Che è ancora raccontato ma almeno si vede qualcosa. Però il punto è che comunque la giri un dialogo non è lo stesso di mostrare la fatina sotto il ponte.

@tasso barbasso.

È scritto in prima persona al presente indicativo, il che, in astratto, potrebbe essere un limite (errore?)

Il presente va bene con la prima persona. È la prima persona stessa a essere difficile da gestire, perché la prima persona dà sempre l’impressione che il narratore stia raccontando gli avvenimenti al lettore ad avvenimenti conclusi. Non è facile contrastare questa sensazione.

Infatti, nonostante la “voce” della fatina sia buona, i due paragrafi iniziali sono tutti raccontati. Se li tagli vedi che la scena funziona lo stesso – tanto dovevi mostrare che era scappata da casa, non raccontarlo.

Vari spunti di raccontato che si potrebbero mostrare:

Lo osservo facendo un elenco mentale di tutte le forme di tortura che conosco.

Diventa:

Gli cavo gli occhi. Gli strappo la lingua. Gli mozzo la coda e lo impicco con quella.

#

Finalmente ci vede, [...]

Diventa:

Appiccica il naso al vetro, sgrana gli occhi [...]

#

– Ma io… veramente, adesso non… e poi c’è mia moglie, prima devo chiedere. E comunque…

I punti di sospensione sono un raccontato. Meglio se riempi le pause, almeno alcune. Non so:

– Ma io. – China la testa, abbassa la voce. – Veramente, adesso non – Lancia un’occhiata alle spalle. – e poi c’è mia moglie, prima devo chiedere. E comunque…

#

- Chi te l’ha detto? – chiede il Rossi, assumendo un colore che ben rappresenta il suo nome.

Capisco che non vuoi mettere Rossi arrossisce, ma dato che l’hai già chiamato più volte ometto, basta dire:

L’ometto arrossisce. – Chi te l’ha detto?

#

È Buzzurellone, un microdrago viola al quale vorrei tagliare lentamente le ali a fettine sottili.

Qui il “lentamente” non è malvagio (per quanto possa essere poco malvagio un avverbio), però forse si può rendere più mostrato il sadismo implicito:

È Buzzurellone, il microdrago viola. Vorrei tagliarli le ali a fettine sottili. Con un coltello smussato e arrugginito.

#190 Comment By Francesco Barbi On 28 novembre 2010 @ 12:14

Leggendo alcuni interventi che hanno fatto seguito ai miei commenti, mi sembra di essere stato frainteso e sento l’esigenza di chiarire il mio punto di vista.
Sono entrato nella discussione perché avevo letto l’articolo e mi era piaciuto molto. Ho fatto l’esercizio per mostrare stima nei confronti di Chiara-Gamberetta e perché capita troppo di rado di mettersi in gioco.
Detto questo, qualche chiarimento sparso.

Per me il dialogo rientra a tutti gli effetti nel “mostrare”. Dall’articolo non avevo dedotto che Gamberetta potesse non essere del tutto d’accordo con questa affermazione. E cioè che ritenesse il dialogo un “mostrare” debole. Non avevo letto tutti i commenti precedenti al mio e dunque non sapevo che nella traccia ci fosse l’implicita richiesta di limitare il dialogo. Io ritengo il dialogo sempre e comunque appartenente alla categoria del “mostrare”. Tra l’altro nell’articolo sui dialoghi è detto esplicitamente che il discorso diretto è “mostrare”. Insomma, tutto ciò che viene detto attraverso il dialogo per me è mostrato (può essere orrendo, inefficace o un odiosissimo infodump, ma è mostrato).

Per quel che riguarda la mia risposta alle critiche di Chiara-Gamberetta, non mi sembrava di averla attaccata. O di aver avuto una reazione di cattivo gusto. A me pare di essermi semplicemente permesso, usando toni moderati, di non essere d’accordo con quanto da Gamberetta suggerito. Ripeto, leggendo l’articolo e la traccia, non avevo capito che il dialogo dovesse essere evitato, o quantomeno limitato. E, considerando il dialogo un qualcosa che rientra sempre nel “mostrare”, avevo preferito (come dichiarato prima di inserire l’esercizio) il realismo delle battute e una lunghezza limitata del pezzo. Insomma, non avevo capito che si dovesse cercare di estendere i principi del mostrare (come il dare immagini concrete) anche all’interno delle battute di dialogo. Al di là del fatto che in generale non lo condivido, non mi ero reso conto che l’esercizio chiedesse di fare anche questo.
Tra l’altro, come avevo già cercato di dire, secondo me una difficoltà insita nel mostrare sta nel dover condensare e nel tenere sotto controllo la lunghezza dei pezzi necessari a portare di poco avanti la trama o a dare solo qualche caratterizzazione a un personaggio. Per questo avevo dichiarato di voler scrivere un pezzo piuttosto corto. Ma anche questo, probabilmente, non era nello spirito dell’esercizio. Non me ne ero reso conto.
Comunque, ciò che mi ha un po’ irritato non sono state le critiche all’esercizio, bensì il fatto che io stessi dicendo anche altre cose che sono state fraintese o quantomeno ignorate.

Ad ogni modo, apprezzo molto quel che sta facendo Chiara-Gamberetta. Mi dispiace che sia sempre così difficile avere un dialogo sereno. Che ci crediate o meno, quella era la mia intenzione.

@Il Guardiano: Non ho mai sostenuto che sia preferibile raccontare piuttosto che mostrare. E ritengo che il pezzo che ho scritto sia “mostrato”.

Mi pare di aver motivato perché non fossi d’accordo con Gamberetta circa i suoi suggerimenti. Non mi sono limitato a dire “a me piace più così”.

Infine, non ho mai parlato di esigenze editoriali. Ma di esigenze personali. Necessità di chiunque, io credo, si trovi ad affrontare la stesura di un libro con l’intenzione di abbracciare lo “Show don’t tell”.

#191 Comment By Unoqualunque On 28 novembre 2010 @ 12:14

@Gamberetta.

No. No. Mai. Il lettore ti dedica tempo e soldi proprio perché tu ci metta la fantasia. Se il lettore deve immaginare da solo usando la sua di fantasia non ha bisogno del tuo romanzo.

Onestamente non riesco a condividere l’assolutismo di questa affermazione. A mio parere, in certi casi coinvolgere il lettore, lasciando che scivoli in un “piacevole immaginare”, non è affatto deleterio. Cosa diversa è comportarsi come gli scribacchini nostrani, che non sanno nemmeno la differenza fra fischi a fiaschi. Come spesso tu dici, l’importante è sapere ciò che si fa.
Ovviamente parlo di casi sporadici, da sfruttare con parsimonia e maestria, che non inficiano la regola “Show don’t tell” ma la perfezionano e, per così dire, ne smussano gli angoli.
In ogni caso, secondo me, parliamo di sfumature che, in quanto tali, ricadono nel campo della soggettività dei punti di vista. E’ chiaro che la regola cui tutti dovrebbe ispirarsi è MOSTRARE. Una regola che può ammettere sfumature ed eccezioni, se adottate con metodo ed intelligenza.

#192 Comment By Gamberetta On 28 novembre 2010 @ 14:02

@Unoqualunque.

Ovviamente parlo di casi sporadici, da sfruttare con parsimonia e maestria, che non inficiano la regola “Show don’t tell” ma la perfezionano e, per così dire, ne smussano gli angoli.

Questo è vero ma poco utile. Se parti da un’idea così non migliori mai. Parti dall’idea che non ci sono eccezioni, e riprendi a considerare le eccezioni solo quando hai abbastanza anni di esperienza.
Inoltre intendiamoci su “eccezioni”: significa che in un romanzo di 500 pagine c’è un-avverbio-uno, non un avverbio ogni due pagine (dialoghi esclusi).

@Francesco Barbi.

Tra l’altro nell’articolo sui dialoghi è detto esplicitamente che il discorso diretto è “mostrare”. Insomma, tutto ciò che viene detto attraverso il dialogo per me è mostrato (può essere orrendo, inefficace o un odiosissimo infodump, ma è mostrato).

Evidentemente mi sono spiegata male. Un dialogo è “mostrare” ma non di quello che si parla nel dialogo stesso, bensì è “mostrare” il carattere e i rapporti tra i personaggi coinvolti.
Quando Anna tira per la giacchetta la sua amica e le dice: “Hai visto Michele che gnokko?”, non stai mostrando Michele, neanche per sbaglio, stai mostrando il carattere di Anna e il rapporto che ha con l’amica.
È difficile in un dialogo mostrare sia il carattere dei personaggi sia l’argomento. Se Anna si mette lì a spiegare per filo e per segno l’aspetto di Michele, 9 su 10 ne verranno delle battute inverosimili.
Dunque se l’esercizio impone di mostrare che la fatina è scappata da casa, be’, è difficile farlo con un dialogo perché non è (solo) un problema di carattere o (solo) un problema di rapporti.
Ci si può barcamenare mettendo (come hanno fatto alcuni) un litigio tra la fatina e la madre. Però è tirata per i capelli, perché “cattivo rapporto con la madre” non implica necessariamente “fuga da casa”.

Insomma, non avevo capito che si dovesse cercare di estendere i principi del mostrare (come il dare immagini concrete) anche all’interno delle battute di dialogo.

Questo era solo per “salvare” il dialogo. Per cercare comunque di mostrare qualcosa nonostante il dialogo. Può darsi benissimo che le battute più naturali non siano le più mostrate, ma a quel punto hai scritto un dialogo che non ha niente a che fare con quanto avevo chiesto.

Comunque, ciò che mi ha un po’ irritato non sono state le critiche all’esercizio, bensì il fatto che io stessi dicendo anche altre cose che sono state fraintese o quantomeno ignorate.

Sono state ignorate perché già spiegate nell’articolo. O mi fai un esempio che richiede di particolare spiegazione per rientrare nella strategia “mostrare o tagliare”, oppure segui la strategia. Il fatto che sia (molto) difficile da seguire è stato detto.

Ad ogni modo, apprezzo molto quel che sta facendo Chiara-Gamberetta. Mi dispiace che sia sempre così difficile avere un dialogo sereno.

Ti spiego perché il dialogo non è sereno:
* Perché commenti senza aver letto i commenti precedenti.
* Perché scrivi un esercizio indecoroso.
* Perché contesti le critiche. Tuo diritto, ma poi la gente vede che sei un autore pubblicato e pensa che tu abbia ragione. Ma non è così. Secondo te i dialoghi funzionano in questa o quest’altra maniera, ma sbagli e basta. E, in tutta sincerità, non è che te lo dovrei dire io. Così come un articolo del genere avresti dovuto scriverlo tu o uno dei tuoi colleghi. Tra l’altro ci avreste messo molta meno fatica, perché la tecnica narrativa ovviamente la conoscete a menadito e avete letto dieci volte tanti manuali e testi di critica letteraria di quanti ne abbia letti io. O sbaglio?

#193 Comment By tasso barbasso On 28 novembre 2010 @ 14:11

@Gamberetta.

Ok, tu sei stata molto precisa. Grazie infinite! Aggiungo solo un paio di considerazioni e di domande su dubbi residui.

È la prima persona stessa a essere difficile da gestire, perché la prima persona dà sempre l’impressione che il narratore stia raccontando gli avvenimenti al lettore ad avvenimenti conclusi.
Non è facile contrastare questa sensazione.

E quindi? Bisognerebbe rinunciare alla prima persona o ci sono delle specifiche tecniche per “salvare” la narrazione (nota che nelle mie intenzioni si tratterebbe di un flusso di pensieri) fatta direttamente dal personaggio?

i due paragrafi iniziali sono tutti raccontati. Se li tagli vedi che la scena funziona lo stesso

Ma se taglio i paragrafi, mi verranno a mancare parecchie informazioni (Lametta è scappata di casa; si comincia a capire il suo carattere; la sua mania per l’accumulazione; il tipo di contesto fantastico; l’impostazione del tono); in che modo le recupero? Arrivo subito al dialogo e butto tutto lì dentro? E se si dove? Nelle battute o tra una battuta e l’altra?

“Lo osservo facendo un elenco mentale di tutte le forme di tortura che conosco”, diventa: Gli cavo gli occhi. Gli strappo la lingua. Gli mozzo la coda e lo impicco con quella.

Ok, sul principio sono d’accordo, anche se mi dispiace il fatto che in questo modo cambiano sia il senso che il tono della frase.

“Finalmente ci vede, [...]” diventa: Appiccica il naso al vetro, sgrana gli occhi [...]

Su questo mi ero già corretto (colpa mia, ti ho incasinata con le diverse versioni); era diventato semplicemente: “Ci vede, sbianca, ondeggia, arretra, si blocca, ride, diventa serissimo, si avvicina alla finestra e comincia ad armeggiare con la leva di apertura”. Il tutto rafforzato dal fatto che successivamente la fatina ha ancora il tempo di dire: “Allora, bello, ce la fai o ti serve un manuale d’istruzioni?”

I punti di sospensione sono un raccontato. Meglio se riempi le pause, almeno alcune. Non so: – Ma io. – China la testa, abbassa la voce. – Veramente, adesso non – Lancia un’occhiata alle spalle. – e poi c’è mia moglie, prima devo chiedere. E comunque…

Giustissimo.

Capisco che non vuoi mettere Rossi arrossisce, ma dato che l’hai già chiamato più volte ometto, basta dire: L’ometto arrossisce. – Chi te l’ha detto?

Qui ho un dubbio. Visto che la mia frase era comunque una forma “raccontato” (se non sbaglio), e oltretutto conteneva anche un (blando) effetto umoristico, perché eliminarla?

Qui il “lentamente” non è malvagio (per quanto possa essere poco malvagio un avverbio), però forse si può rendere più mostrato il sadismo implicito: È Buzzurellone, il microdrago viola. Vorrei tagliarli le ali a fettine sottili. Con un coltello smussato e arrugginito.

Questa obiezione l’avevo prevista e nell’ottica dell’esercizio sono perfettamente d’accordo, ma avevo deciso di lasciare l’avverbio sia perché non mi sembrava una “infrazione” grave (in genere, poi, gli avverbi non mi danno fastidio se usati con moderazione), sia perché in quel punto volevo ci fosse qualcosa di più breve. Comunque volendo fare una modifica preferirei dire, per esempio: “È Buzzurellone, un microdrago viola al quale vorrei sezionare le ali con cura”. Oppure: “È Buzzurellone, un microdrago viola al quale vorrei sezionare le ali al ritmo di una strisciolina al mese”… ecc. Che ne pensi?

Si può avere, oltre ad una risposta a queste osservazioni, anche un giudizio finale e complessivo sull’intero pastrocchio?
Tutto molto divertente, comunque. Grazie ancora!

#194 Comment By Unoqualunque On 28 novembre 2010 @ 14:17

@Gamberetta.

[...] riprendi a considerare le eccezioni solo quando hai abbastanza anni di esperienza.

Concordo…infatti precisavo: eccezioni da sfruttare con maestria. Il problema è capire quando si è divenuti abbastanza pratici da potersi permettere tali eccezioni.

Non c’entra niente, ma continuo a rimanere basito dalla quantità di roba che riesci a macinare, fra blog, università, libri, videogiochi etc.
Il tempo è da sempre il mio maggior problema, visto che pur non avendo un lavoro fisso, non trovo mai abbastanza spazi per le mie passioni (non hobby, passioni). Non capisco come tu possa riuscire, considerando i naturali limiti del fisico umano. In ogni caso, meriti un encomio per questo blog e per il tempo che investi su tutti noi. Grazie.

#195 Comment By Ylunio On 28 novembre 2010 @ 14:38

@Gamberetta

Grazie per i commenti e le critiche.
Per quanto riguarda il gerundio, ci sto lavorando. Purtroppo è una croce che mi porto appresso e sto cercando di smussare.
In generale, mi è piaciuto svolgere questo esercizio: l’ho trovato utile. Ho cercato di fare attenzione alle parole che usavo e al modo migliore di costruire le frasi. L’ho trovato di gran lunga più stimolante che scrivere di getto (o a forza di starnuti e risate).. :)
Adoro questa rubrica sui manuali, quindi volevo anche approfittarne per ringraziarti del fatto che continui a portarla avanti.

#196 Comment By x7969 On 28 novembre 2010 @ 16:41

Sono contento di aver trovato qualcun altro che ha avuto da ridire sull’Attimo Fuggente; non si fa mai abbastanza per contrastare i film “sulla crescita” di questo tipo…

#197 Comment By Diego On 28 novembre 2010 @ 17:30

Ho provato anch’io a fare il compito! Mi scuso per il ritardo e la lunghezza. Grazie in anticipo per qualunque commento!

***

Lametta tamburellava con le dita contro il bordo della scrivania. Lanciò uno sguardo verso l’uscita, dove i fiocchi di neve cascavano nella luce del mattino. Una fatina con uno scialle avvolto sui capelli grigi svolazzò davanti alle porte a vetri guardandosi intorno. Lametta deglutì, mentre una saetta di panico le risaliva la schiena. E’ lei! Come ha fatto ad arrivare qui?
Si girò di scatto, incassò la testa tra le spalle e dispiegò le ali bruciacchiate a mo’ di copertura.
«Ci vuole ancora molto?» domandò all’impiegato.
«Be’, faremmo molto prima se lei avesse con sé un curriculum, signorina Lametta.»
«Ce l’avevo.» Lametta sbatté la sua sacca sulla scrivania e ficcò la testa dentro. Ne tirò fuori un cd delle Fairy Girls, un carillon ammaccato, un tubetto di rossetto, una foto incorniciata di Orlando Bloom con una siepe di cuoricini disegnati a pennarello intorno alla testa, una palla di gomme da masticare usate. Gli oggetti finirono sopra le carte dell’impiegato. «L’avevo preparato quel dannato curriculum, giuro che ce l’avevo!» Afferrò la sacca dal fondo e la rivoltò. Sulla scrivania piovvero il suo diario segreto, un mazzo di chiavi, il tacco spezzato di una scarpina, un bambolotto privo del braccio destro, una collanina di plastica e una serie di braccialetti. In ultimo cascò fuori la sua bacchetta magica con il pomolo scheggiato. Lametta la fermò un attimo prima che rotolasse giù dal bordo della scrivania. Una spruzzatina di scintille arancioni piovve dalla punta della bacchetta e finì sul pavimento. «Credo che me l’abbia preso il mio fratellastro. Ha il vizio di fare certi scherzi.»
«Va bene, va bene, signorina, non importa. Metta via la sua roba, e faccia attenzione con quella bacchetta. Dunque, mi spieghi perché vorrebbe venire a lavorare da noi, alla Tooth Fairy srl.»
Era preparata per quella domanda!
«L’anno scorso ho aiutato lo zio Rufus,» disse Lametta con un gran sorriso, «ho portato la ghinea da scambiare col dentino del bambino umano. E zio Rufus mi ha fatto i complimenti! Insomma, ho molta esperienza nel settore. Sono sicura di esserci portata. Non so se glielo hanno detto, ma una ghinea è molto pesante. Io però non mi sono lamentata per niente!»
«Ha trasportato una ghinea tutta da sola. Capisco.» L’impiegato sospirò e segnò un appunto sul modulo. «Nessun’altra competenza specifica?»
Lametta sbuffò, fece una bolla con la gomma da masticare e la fece scoppiare, spargendo intorno odore lamponi. «Insomma, quante domande! Dall’annuncio mi sembrava che cercavate qualcuno.»
«Infatti siamo a corto di personale. E aggiungerei purtroppo. Un’altra cosa, signorina. Abbiamo qualche problema per quanto riguarda il suo abbigliamento. Il direttore tiene molto all’immagine dei dipendenti, e non credo che… ecco, che approverebbe quello.» L’impiegato accennò con la punta della matita verso la tutina verde di Lametta.
Lametta si diede un’occhiata. Uno strappo slabbrato le attraversava la coscia. C’erano tracce di sterpaglie e fango secco, e altre macchie più scure che non rammentava da dove fossero arrivate. L’orlo della tutina era tutto sfilacciato. Lametta si accarezzò la testa e si tolse dai capelli stopposi qualche pagliuzza di fieno. Ad essere proprio fiscali, sotto il profumo di gomma da masticare al lampone, doveva ammettere di sentire un vago odorino di fogna. «Va bene, va bene, ho capito. Vedrò di trovare una tuta nuova. Possiamo concludere, ora?» Lanciò un’altra occhiata verso l’uscita. «Io me ne devo andare, non posso certo perdere tutta la mattina qui.»
«D’accordo,» rispose l’impiegato. «A patto che si dia una bella ripulita, credo di poterle trovare un posto giù al magazzino di catalogazione dei denti, per cominciare. L’orario è dalle otto alle cinque, con un’ora di pausa. La fatina caporeparto si chiama – »
«Cosa?» Lametta sbiancò. «Ma neanche per sogno!»
«Prego?»
Lametta contò sulla punta delle dita. «Otto-cinque. Sta dicendo otto ore. Otto ore al giorno?»
«È l’orario standard dei nostri uffici. Dal lunedì al venerdì. Che cosa c’è che non va?»
«C’è che tutti i lunedì, mercoledì e venerdì mattina ho l’appuntamento al solarium, tanto per cominciare.» Lametta cominciò a radunare i suoi oggetti e gettarli nella sacca, le guance rosse e le narici frementi. «Il giovedì pomeriggio io e Scintilla andiamo a vedere le vetrine, e spero proprio che non sia così crudele da obbligarmi a rinunciare. Inoltre alle cinque fa buio, e mamma mi ripete sempre di non andare in giro con il buio. Non vorrà chiedermi di disubbidire a mia madre! No-no, non ci siamo. Diciamo invece che potrei concederle dalle undici alle dodici meno un quarto del mmm,» si fermò a riflettere con un ditino puntato sotto il mento, «martedì e giovedì. Che cosa ne dice? Perfetto, no?»
L’impiegato aprì la bocca per replicare, ma in quel momento un grido attraversò l’atrio della Tooth Fairy srl.
«LAMETTA!»
Lametta trasalì e si voltò ad affrontare la fatina che avanzava brandendo una bacchetta magica dalla punta incandescente, lo scialle umido abbassato sulle spalle e gli occhi ardenti d’ira.
«M-mamma…» disse Lametta.
«Piccola ingrata, ti ho scovata finalmente! Sono tre giorni che ti cerchiamo. Che cosa stai facendo qui?»
«Mamma, non mi – »
Un raggio rosso scaturì dalla bacchetta della nuova arrivata e la colpì all’ala destra. Lametta strillò. Si levò in volo, ma dalla bacchetta della madre fuoriuscirono sottili tentacoli verdi che le si avvinghiarono alle caviglie e la riportarono a terra.
«Che cosa succede?» berciò l’impiegato. «Si può sapere lei chi è? Non mi costringa a chiamare – »
«Silenzio!» disse la fatina. Schioccò le dita e la mandibola dell’impiegato si chiuse come una tagliola. Le braccia gli ricaddero inerti lungo i fianchi.
Lametta strappava i tentacoli, ma quelli ricrescevano con strabiliante rapidità. Nel giro di una manciata di secondi le sue gambe furono avvolte in un viscido sudario verde.
«A casa!» La madre s’incamminò verso le porte a vetri trascinandola. Lametta piangeva e si dibatteva senza successo. La madre si voltò a mostrarle un ghigno feroce. «Tuo padre ha fatto mettere le sbarre alle finestre, caso mai ti venisse in mente di riprovarci.»

#198 Comment By tasso barbasso On 28 novembre 2010 @ 18:23

Appiccica il naso al vetro, sgrana gli occhi [...]

No, scusa, avevi usato il brano sbagliato ma il concetto era giusto: il “ci vede” lo avevo lasciato e invece avrei potuto sostituirlo con la tua frase (costruita completamente con azioni che mostratno). Giustissimo.

#199 Comment By Gamberetta On 28 novembre 2010 @ 22:16

@Diego. Il solito: il dialogo non è il massimo per mostrare quanto avevo raccontato. Però almeno sei riuscito a inserire diversi particolari concreti. Direi che può essere sufficiente.
La scrittura è buona con quasi tutti termini concreti. Ci sono solo poche sbavature, facilmente correggibili semplicemente tagliando. Per esempio:

Lametta deglutì, mentre una saetta di panico le risaliva la schiena. E’ lei! Come ha fatto ad arrivare qui?

#

Lametta la fermò un attimo prima che rotolasse giù dal bordo della scrivania.

In costruzioni di questo tipo il “prima” può andare, anche se ai fini dell’esercizio si poteva scrivere:

La bacchetta rotola oltre il bordo della scrivania. Lametta la afferra al volo.

#

L’impiegato aprì la bocca per replicare, ma in quel momento un grido attraversò l’atrio della Tooth Fairy srl.
«LAMETTA!»

Magari mettendo “un grido ecc.” a capo.

Lametta trasalì e si voltò ad affrontare la fatina che avanzava brandendo una bacchetta magica dalla punta incandescente, lo scialle umido abbassato sulle spalle e gli occhi ardenti d’ira.

#

Lametta strappava i tentacoli, ma quelli ricrescevano con strabiliante rapidità. Nel giro di una manciata di secondi le sue gambe furono avvolte in un viscido sudario verde.

Meglio:

Lametta strappò i tentacoli, ma quelli ricrescevano. Il viscido sudario verde le avvolse le gambe.

Se invece vuoi sottolineare la “strabiliante rapidità” devi mostrare la lotta della fatina: lei che strappa un tentacolo, un altro che le stringe la caviglia, un secondo che le avvolge il piede, lei cerca di mozzarne un terzo a morsi, ecc.

Due altri dettagli:

Lametta tamburellava con le dita contro il bordo della scrivania. Lanciò uno sguardo verso l’uscita [...]

Devi dire che lanciò uno sguardo alle spalle, altrimenti non si capisce che Lametta è seduta davanti la scrivania, potrebbe essere seduta dietro.

Ne tirò fuori un cd delle Fairy Girls, un carillon ammaccato, un tubetto di rossetto, una foto incorniciata di Orlando Bloom [...]

Se il punto di vista è di Lametta, userà articoli determinativi:

Ne tirò fuori il cd delle Fairy Girls, il carillon ammaccato, il tubetto di rossetto, la foto incorniciata di Orlando Bloom [...]

E così via.

@tasso barbasso.

E quindi? Bisognerebbe rinunciare alla prima persona o ci sono delle specifiche tecniche per “salvare” la narrazione (nota che nelle mie intenzioni si tratterebbe di un flusso di pensieri) fatta direttamente dal personaggio?

La prima persona è ottima perché la telecamera nella testa del personaggio è la posizione migliore per mostrare. Però appunto è difficile da gestire.
Un’idea è ridurre al minimo l’uso dell’“Io” (anche implicito), come dicevo parlando dell’incipit di Finch. Cioè invece di:

Stringo la maniglia. Apro la porta.

Scrivo qualcosa tipo:

La maniglia è fredda sotto le dita. La porta si apre con un cigolio.

Ma è un discorso piuttosto lungo, entrerò più in dettaglio quando scriverò l’articolo dedicato al punto di vista.

Ma se taglio i paragrafi, mi verranno a mancare parecchie informazioni [...] in che modo le recupero?

Non le recuperi. Tanto l’esercizio era sul mostrare, che racconti o non dici niente è uguale. Se invece parli al di là dell’esercizio ovviamente devi aggiungere una o più scene – ma davvero non ci sono nei primi paragrafi informazioni vitali, il carattere della fatina emerge bene anche senza le note iniziali.

perché eliminarla?

Perché era una frase raccontata e contorta e non faceva ridere.

Comunque volendo fare una modifica preferirei dire, per esempio: “È Buzzurellone, un microdrago viola al quale vorrei sezionare le ali con cura”. Oppure: “È Buzzurellone, un microdrago viola al quale vorrei sezionare le ali al ritmo di una strisciolina al mese”… ecc. Che ne pensi?

Così così. Volendo essere più sintetici penso sarebbe meglio usare un verbo più “cattivo” di tagliare/sezionare, non so: “vorrei strappargli le ali”, “vorrei disossargli le ali”, “vorrei stracciargli le ali”, ecc.

Si può avere, oltre ad una risposta a queste osservazioni, anche un giudizio finale e complessivo sull’intero pastrocchio?

Al di là dell’esercizio: non è scritto male, la prima persona è tutto sommato buona – perché, come detto, la fatina ha una sua “voce” distinta e questo è fondamentale in prima persona; i dialoghi sono così così – c’è un po’ di infodump nelle battute tra fatina e draghetto, l’interazione con il signor Rossi non è molto coinvolgente, visto che in pratica lui non dice niente o quasi.
Direi sufficiente: se fosse un racconto potrebbe diventare decente solo con adeguato editing senza riscrivere da zero.

#200 Comment By tasso barbasso On 29 novembre 2010 @ 08:39

@Gamberetta.

Ok, capisco cosa intendi, più o meno. Grazie per l’analisi! Ora vorrei solo fare un paio di considerazioni e domande sui brani che non hai commentato e che andrebbero interamente cassati.

Se la prima frase della versione originale (Ieri le ali hanno cominciato a farmi male. Non so, dipenderà dal fatto che sto volando da giorni. È chiaro che potrei anche tenerle ferme, tanto il lavoro vero lo fa la polverina psichica, però mi piace farle vibrare) diventasse: “Dolore alle ali. Da quanto tempo? Uno o due giorni. Farle vibrare non servirebbe, basta la polverina, ma è così divertente”, il testo rientrerebbe nei parametri minimi del “mostrato”? Dovrebbe essere ancora più rigoroso? Potrebbe esserlo anche meno?

Una considerazione che qui potrei fare, è che nel nuovo testo il tono si trasforma completamente, diventa estremamente freddo e impassibile, oltre che estremamente serio (un po’ come Finch, in effetti). Questo è inevitabile, secondo te?

La frase successiva, poi (E poi così divento molto più logica, da un punto di vista umano. Quegli stupidi si spaventano facilmente e un umano spaventato è ancora più inutile), mi sembra ancora più complicato trasformarla in “mostrato”. Forse la cosa è tecnicamente possibile (?), ma anche in questo caso ho la sensazione che finirei con il “mostrare” qualcosa di diverso (ancora più diverso) da ciò che “dicevo”.

Ora una curiosità sulla filosofia operativa. Se tu fossi una editor professionale – si, lo so che il termine può essere discusso all’infinito e che genera automatiche polemiche, inoltre tu potresti rifiutare l’idea in sé, eccetera, ma ipotizziamo che tu abbia accettato di fare l’editing a pagamento di un romanzo – e ti ritrovassi tra le mani un’opera (diciamo fantasy o comunque di un genere prevalentemente d’azione) scritta solo parzialmente (diciamo molto al di sotto del tuo standard) secondo il principio del mostrare, in quel caso che faresti? Proporresti la riscrittura di intere parti, ti limiteresti a rendere “più mostrati” solo alcuni particolari tralasciando il resto, lasceresti perdere la questione del mostrato e ti occuperesti solo degli altri aspetti narrativi? E se l’autore, nel caso tu decidessi di intervenire sulla base del tuo principio (anche solo chiedendo la parziale riscrittura), non accettasse la tua visione della cosa?

#201 Comment By Diego On 29 novembre 2010 @ 17:49

@Gamberetta: grazie per il commento. Se fosse stato il brano di un romanzo o un racconto forse avrei preferito diluire le informazioni su Lametta invece di concentrarle tutte in un’unica scena, ma naturalmente qui faceva parte dell’esercizio. In questo senso avrei potuto fare di meglio (è vero che il dialogo diventa un po’ un escamotage). Per quanto riguarda le tue osservazioni, direi che concordo su tutto. Mi rammarica solo restare con la sensazione che se anche avessi riletto il brano cinquanta volte, forse non me ne sarei accorto. Ci sono errorini e sbavature che, non so come, mi diventano invisibili finché qualcuno non me li fa notare. E’ abbastanza frustrante, sigh… In ogni caso cercherò di applicare i concetti alle storie che sto scrivendo. Grazie mille ancora.

#202 Comment By Gamberetta On 29 novembre 2010 @ 19:45

@tasso barbasso.

“Dolore alle ali. Da quanto tempo? Uno o due giorni. Farle vibrare non servirebbe, basta la polverina, ma è così divertente”, il testo rientrerebbe nei parametri minimi del “mostrato”? Dovrebbe essere ancora più rigoroso? Potrebbe esserlo anche meno?

Io sto dicendo che in generale scrivendo in prima persona non è facile evitare la sensazione che il personaggio stia raccontando tranquillo in poltrona ad avvenimenti conclusi; dopodiché una strategia è quella che ho detto. Ma non è che automaticamente quella strategia trasformi il raccontato in mostrato.
I primi due paragrafi sono, non saprei come dire, intrinsecamente raccontati. Non hanno le caratteristiche del qui-e-ora come più avanti quando la fatina è davanti alla finestra insieme al draghetto. Se vuoi mostrare i primi paragrafi devi impostarli diversamente, calarli in un contesto (dov’è la fatina? che ore sono? costa sta facendo – a parte essere stanca?)

[...] ma ipotizziamo che tu abbia accettato di fare l’editing a pagamento di un romanzo – e ti ritrovassi tra le mani un’opera (diciamo fantasy o comunque di un genere prevalentemente d’azione) scritta solo parzialmente (diciamo molto al di sotto del tuo standard) secondo il principio del mostrare, in quel caso che faresti?

Se lavoro per una casa editrice dipende da considerazioni pratiche: cosa vuole la casa medesima, quanto mi paga, quanto tempo ho a disposizione per l’editing, chi ha per contratto l’ultima parola tra me e l’autore, ecc. Se invece lavoro freelance, non accetto in partenza di fare l’editing di un romanzo che più che editing ha bisogno di riscrittura.

E se l’autore, nel caso tu decidessi di intervenire sulla base del tuo principio (anche solo chiedendo la parziale riscrittura), non accettasse la tua visione della cosa?

Se, come di solito succede, l’autore ha l’ultima parola gli direi: affari tuoi. Io propongo i giusti cambiamenti/riscritture, se l’autore rimane sulle sue posizioni, problemi suoi. A me cosa importa?

#203 Comment By tasso barbasso On 29 novembre 2010 @ 20:23

I primi due paragrafi sono, non saprei come dire, intrinsecamente raccontati. Non hanno le caratteristiche del qui-e-ora

Ah, ecco. Quindi tu dici che nonostante in quei paragrafi vengano mostrate alcune azioni, queste sono piuttosto secondarie e si perdono in un contesto sostanzialmente astratto: non si svolge un’azione importante ai fini della trama; non si capisce dove si trovi o dove stia andando il personaggio; eccetera.
Quindi si potrebbe dire che questa tecnica, nella sua forma più pura, consiste nel mostrare esclusivamente azioni di personaggi oppure oggetti in diretta correlazione con l’azione dei personaggi?

p.s. Sono d’accordo con te sul fatto che il secondo paragrafo di quel testo dia l’impressione di essere una specie di diario personale scritto in un secondo momento, ma non mi sembra che questo valga anche per il primo. Il primo paragrafo sembra avere una natura diversa: potrebbe ricadere nella categoria del “diario” ma si avvicina molto ad un flusso di pensieri, trasmesso direttamente durante l’azione… Diciamo che il secondo paragrafo è un diario scritto in un secondo momento, mentre il primo è un diario registrato durante l’azione e poi ritrovato.
Comunque io ho la sensazione che anche la parte successiva potrebbe apparire come qualcosa che non avviene “qui e ora”; mi sembra che più che altro sia la presenza del dialogo diretto a cambiare la percezione temporale.

#204 Comment By tasso barbasso On 29 novembre 2010 @ 20:39

Errata corrige.

Invece di: “consiste nel mostrare esclusivamente azioni di personaggi oppure oggetti in diretta correlazione con l’azione dei personaggi?”

Doveva essere: “consiste nel mostrare esclusivamente azioni di personaggi, che siano rilevanti dal punto di vista della trama, oppure oggetti in diretta correlazione con l’azione dei personaggi?”

#205 Comment By dr Jack On 30 novembre 2010 @ 18:33

Una domanda veloce su una correzione.

Lametta deglutì, mentre una saetta di panico le risaliva la schiena. E’ lei! Come ha fatto ad arrivare qui?

Il punto di vista è Lametta.
Lametta possiede delle percezioni sensoriali che lo scrittore può usare per mostrare ciò che accade nella storia. Vediamo coi suoi occhi sentiamo dalle sue orecchie e tutto il resto.
La saetta che gli saliva per la schiena potrebbe essere una sensazione tattile (indotta da un’emozione).
La hai cancellata per questo motivo? Perché sarebbe come forzare un’emozione nel lettore? O per altri motivi?

Posso capire che la metafora “saetta” non piacesse, e anche il fatto che magari il dettaglio era di troppo, dopotutto Lametta deglutì può bastare per mostrare la reazione del personaggio.

Se invece escludi a priori un utilizzo del genere di una “sensazione tattile” per mostrare una reazione del personaggio (con PDV) ti chiederei se puoi darmi spiegazione più approfondita.

#206 Comment By Gamberetta On 30 novembre 2010 @ 19:47

@tasso barbasso.

Quindi si potrebbe dire che questa tecnica, nella sua forma più pura, consiste nel mostrare esclusivamente azioni di personaggi oppure oggetti in diretta correlazione con l’azione dei personaggi?

Nessuno ti vieta di descrivere dove si trovi il personaggio e l’ambiente che lo circonda, presupponendo che il personaggio stesso sia interessato. In fondo anche “guardare”, “esaminare”, “studiare”, “fissare”, “rilevare”, “ascoltare”, “annusare”, ecc. sono azioni. Solo che appunto non hai bisogno di dire esplicitamente che il personaggio le compie, basta che scrivi direttamente quello che vede, sente, annusa.

@dr Jack. Ho cancellato per tre motivi:
1) La saetta di panico che risale la schiena è una parafrasi del brivido di paura (lungo la schiena). È un cliché che più cliché di così non si può. Siamo a livello della lama che taglia nel burro e della ragazza bella come una rosa.

2) Nel più ampio ordine delle cose ci può stare che un personaggio parli del proprio “panico”, però dato che l’esercizio invitata a evitare i termini astratti, meglio eliminare.

3) Anche perché la somma di “deglutì” + “È lei!” con punto esclamativo comunica già a sufficienza il timore per la fatina con lo scialle.

#207 Comment By dr Jack On 30 novembre 2010 @ 20:16

@ Gamberetta:
Grazie per la risposta e in realtà comprendo il punto 1 e 3.
E’ il punto 2 che voglio capire meglio.

2) Nel più ampio ordine delle cose ci può stare che un personaggio parli del proprio “panico”, però dato che l’esercizio invitata a evitare i termini astratti, meglio eliminare.

Prendiamo il caso del bruciore di stomaco.
Lo stomaco può bruciare perché il personaggio ha bevuto un veleno e in questo caso sarebbe un dettaglio concreto.
Lo stomaco può anche bruciare dall’emozione (l’angoscia può perfino causare l’ulcera).
Ci sono cose come il groppo in gola, una sensazione di calore o il tremolio alle gambe che sono sia reazioni (io le interpreto concrete e non astratte, giusto?) sia rappresentazione di un’emozione.

Trascurando per un attimo che molte sono diventate cliché, volevo sapere se scrivere di queste sensazioni va bene come “mostrare”?
(sempre considerando che siano reazioni del personaggio con PDV)

#208 Comment By Gamberetta On 30 novembre 2010 @ 21:26

@dr Jack. Il bruciore allo stomaco, o il groppo in gola o le gambe che tremano sono dettagli concreti, li puoi scrivere senza problemi. Il problema è quando aggiungi la ragione: mi brucia lo stomaco per l’ansia, ho un groppo alla gola per la tristezza, le gambe mi tremano per la paura. Non ti fucila nessuno, però lo scopo di dire che ti tremano le gambe è proprio quello di comunicare la paura del personaggio. Se senti lo stesso l’esigenza di spiegarla esplicitamente o sei insicuro oppure non hai mostrato con la giusta precisione il tremore. Dunque o tagli o descrivi meglio.

#209 Comment By tasso barbasso On 30 novembre 2010 @ 22:35

@Gamberetta.

Nessuno ti vieta di descrivere dove si trovi il personaggio e l’ambiente che lo circonda (…). In fondo anche “guardare”, “esaminare”, “studiare”, “fissare”, “rilevare”, “ascoltare”, “annusare”, ecc. sono azioni.

Questo vuol dire che invece le riflessioni o le opinioni dei personaggi (ad esempio: “quel locale mi rende sempre triste” oppure “quel locale lo considero un posto triste, ma non saprei spiegare il motivo”), non sono inclusi in questo tipo di narrazione?

È corretto dire che la frase “Noto un po’ di apprensione sul faccione del Rossi”, tu la consideri un errore e la trasformeresti in una cosa tipo “Il faccione del Rossi si contrae, i suoi occhi si stringono”?

p.s. Se faccio troppe domande dimmelo tranquillamente!

#210 Comment By drJack On 1 dicembre 2010 @ 09:38

@ Gamberetta:
Sì, il mio dubbio era solo per il dettaglio concreto, che in pratica richiama un’emozione.
Mentre capisco che l’aggiunta della spiegazione sia astratta.
Tremolio delle gambe (dettaglio concreto va bene) per la paura (spiegazione di troppo).
Grazie per la precisazione.

#211 Comment By Gamberetta On 1 dicembre 2010 @ 11:18

@tasso barbasso.

Questo vuol dire che invece le riflessioni o le opinioni dei personaggi (ad esempio: “quel locale mi rende sempre triste” oppure “quel locale lo considero un posto triste, ma non saprei spiegare il motivo”), non sono inclusi in questo tipo di narrazione?

Il solito: le espressioni astratte non rendono molto. Possono andare, ma se scrivi: “questo locale mi ricorda la mia cella quando ero in galera”, riesci meglio a comunicare la tristezza/disagio.

È corretto dire che la frase “Noto un po’ di apprensione sul faccione del Rossi”, tu la consideri un errore e la trasformeresti in una cosa tipo “Il faccione del Rossi si contrae, i suoi occhi si stringono”?

Anche qui già spiegato che la prima non è scorretta, però è un po’ fiacca. Perché il lettore si chiede: “Ovvero qual era l’espressione sul faccione del Rossi?”
Perciò la seconda è migliore. Ma nel fluire dei pensieri in prima persona ci può stare la prima, la seconda o entrambe le espressioni. Con la consapevolezza che più stai vicino alla seconda (particolari concreti) più è una buona idea.

#212 Comment By tasso barbasso On 1 dicembre 2010 @ 14:28

@Gamberetta.

Il solito: le espressioni astratte non rendono molto (…). Ma nel fluire dei pensieri in prima persona ci può stare la prima, la seconda o entrambe le espressioni. Con la consapevolezza che più stai vicino alla seconda (particolari concreti) più è una buona idea.

Ok, ora mi sembra chiaro. Devo dire che questo modo di intendere la narrazione – parlo della sua forma “radicale” e di alcune applicazioni più “avanzate”, visto che i principi generali mi sembra siano in circolazione fin dalle origini della letteratura (per non parlare dell’uso e dello studio che se ne fa in altri campi, come in psicoterapia per esempio) – lo trovo interessante soprattutto per le sue implicazioni (e applicazioni) nel campo di una teoria generale della comunicazione. Mi sembra estremamente interessante già il fatto stesso che si possa pensare di costruire una teoria della tecnica narrativa che sia così rigorosamente ancorata (ossia “quanto più, tanto meglio”) a questo principio.

Intendo dire che mi piacerebbe indagare il principio narrativo (visto nella sua forma più “estrema”) dal punto di vista delle implicazioni genericamente antropologiche (soprattutto in termini di origini e conseguenze) e delle relative connessioni con il campo della espressività artistica. Un po’ più nel concreto: la tendenza letteraria a rappresentare personaggi e situazioni con una tecnica che escluda (quanto più possibile) un linguaggio astratto, impreciso o addirittura non oggettivo, è un fatto di enorme interesse al di là dei risultati artistici; ossia è interessante osservare le motivazioni e le conseguenze della diffusione di un visione che alla fin fine, di fatto, porta a rappresentare sempre meno la soggettività, l’astrattezza e l’imprecisione dei punti di vista di personaggi e narratore.

Che tu sappia, sono stati scritti dei saggi (magari nella forma dell’analisi multidisciplinare di una specifica opera) che affrontano l’intera faccenda in questi termini?

#213 Comment By tasso barbasso On 3 dicembre 2010 @ 08:19

Ehm… la risposta è implicita o ti è solo sfuggito il messaggio?

#214 Comment By Gamberetta On 3 dicembre 2010 @ 10:37

@tasso barbasso. Mi sono dimenticata di rispondere, ma comunque la risposta è no. Non conosco nessun saggio specifico che parli del problema nei termini che tu indichi.

#215 Comment By tasso barbasso On 3 dicembre 2010 @ 20:09

@Gamberetta.

Grazie per la risposta. Se avrò tempo farò una ricerca sull’argomento.

#216 Comment By Mauro On 3 dicembre 2010 @ 22:43

Scintilla, scelgo te! Ecco il mio esercizio; anticipo che ho una domanda (nulla di particolarmente rilevante), ma aspetto di leggere il giudizio.

‘Questa volta ce la farò’. Scintilla volò verso la ragazza in lacrime e si posò accanto a lei; strinse tra la mani il topazio che aveva al collo e chiuse gli occhi.
La ragazza rideva sottobraccio a un ragazzo. L’acqua del mare le bagnava le gambe. Si stringeva a lui, mentre il Sole si abbassava sull’orizzonte.
Scintilla riaprì gli occhi. ‘Questa volta è facile’. Si tolse il topazio e lo alzò. ‘Lei. Lui. Mare. Insieme’.
Uno squillo. La ragazza stava guardando il cellulare, il pollice sospeso sopra il tasto di risposta. Un’auto sfrecciò lungo la strada. Una nuvola di polvere investì Scintilla.
“Pronto?” La ragazza tirò su col naso. “No…” Si asciugò le lacrime. “Sì!” Stava sorridendo. ‘Bene’, pensò Scintilla con un sorriso. “Voglio dire…” la ragazza si alzò “quando?” Si attorcigliò una ciocca di capelli attorno a un dito. “Certo! Allora ci vediamo Sabato!”
La ragazza chiuse il cellulare e si allontanò correndo.
‘È stato facile! La Madre non potrà dire nulla!’

“Hai capito cos’hai fatto?” chiese la Madre. Scintilla tremò.
“Ho solo… aiutato una ragazza. Ho realizzato il suo sogno!” ‘Anche se mi avevi detto che non ero in grado!’
La Madre la guardò impassibile. Scintilla si strinse nelle braccia e abbassò gli occhi; il fuoco crepitava nel camino. Scintilla rialzò la testa, e fissò l’altra. ‘Non ho fatto nulla di male’.
La Madre fece scorrere una mano sul bordo di una cornice di lucido legno scuro, e la girò. Nello specchio, una ragazza seduta su un letto stava piangendo, il viso appoggiato alle ginocchia; una donna le teneva una mano sulla spalla. Ogni tanto apriva la bocca, poi la chiudeva senza dire nulla e scuoteva la testa.
“Lei è Silvia. È – era, fino al tuo intervento – la ragazza di Luca, il ragazzo di stamattina”.
Scintilla cadde sulle ginocchia. Aprì la bocca, la richiuse. Scosse le ali. ‘Non di nuovo…’
“Io…”
“Sei brava a realizzare i loro sogni, ma non capisci ancora le conseguenze di ciò che fai”. Il pianto della ragazza echeggiava nella stanza. “Devi ancora aspettare”.
“Quanto? Sono qui da cinquant’anni! Quando potrò aiutarli anch’io?”
“Non hai neanche duecento anni; sei giovane, Scintilla, avrai tempo per aiutarli. Ma prima devi capire come farlo”. La Madre allungò una mano. “Ora…”
Scintilla portò una mano al topazio e fece un passo indietro. “No…”
“Te lo ridarò, quando sarai pronta; ma ora non hai il diritto di tenerlo”.
“Risolverò tutto! Starò più attenta! La mia pietra…” La parete le premette contro la schiena.
“Starai più attenta e mi darai il topazio. Poi aspetterai nella tua stanza, mentre risolviamo quello che hai fatto”.
Scintilla abbassò lo sguardo. Con le lacrime agli occhi si sfilò la pietra e la porse di fronte a sé. La catenella lasciò le dita.
Scintilla si girò e corse nella sua stanza.

‘Quella… quella… ma cosa vuole da me?’
Si infilò sotto il letto, estrasse la borsa, la gettò sul materasso e ci frugò dentro.
‘Come se lei non avesse mai sbagliato.’
L’anello. Il libro. ‘Ma dov’è? Dov’è?’ Una mela.
‘E posso ancora tornare indietro.’
Gettò la borsa contro il muro. “Ma dove diavolo è finito!” Si avvicinò alla parete e rovesciò la borsa. “Era qui, sono certa che è qui…” borbottò.
Si alzò. Sentiva il freddo del rubino sul palmo. Se lo mise al collo e sorrise.
‘E ora, Madre, vediamo, chi ha ragione.’

Scintilla guardò la Luna e fece un respiro profondo. Si diresse verso la finestra. La ragazza dormiva, un sorriso sul volto.
Scintilla appoggio una mano al vetro e sospirò. ‘Scusami. Per prima, e per ora’. Strinse il rubino e chiuse gli occhi.
La ragazza era sola, appoggiata contro un muro. Dall’altra parte del parco Silvia e Luca stavano ridendo, seduti sull’erba.
‘Lei. Loro. Separati. Insieme’.
Aprì gli occhi. Una luce rossa le filtrò dalle mani e illuminò il viso della ragazza. ‘È meglio che dimentichi. Dimenticherete tutti, così sarà come se non fossi mai intervenuta’.
La guardò. Un gufo le passò accanto. Scintilla si allontanò volando.

Scintilla stava guardando il cielo seduta sul bordo del tetto dell’Accademia, sulle ginocchia un giornale con degli annunci cerchiati. La fatina cercava nelle stelle i profili dei ragazzi che aveva visto quel giorno.
“Sai come si chiama?”
Scintilla cadde e si afferrò al bordo.
“Madre…”
La Madre le porse una mano. “Vieni su”.
Scintilla distolse lo sguardo e accettò l’aiuto; si sedette di fianco all’altra.
“Stella”.
“Cosa…” La guardò.
“Stella. La ragazza che hai provato ad aiutare. Si chiama Stella”.
Scintilla alzò lo sguardo al cielo.
“Volevo solo renderla felice”.
“Lo so. E così anche stanotte”.
Scintilla si girò di scatto. “Io…”
“Ma sei andata troppo indietro, non ricordava nemmeno averlo conosciuto. La tua pietra è il topazio, non il rubino. Rubino che ora deve tornare in magazzino, in attesa di chi potrà usarlo”. La Madre tese una mano.
Scintilla abbassò lo sguardo. ‘Due volte in un giorno…’ Diede la catenina all’altra, la pietra ancora in mano. Delle nuvole coprirono la Luna. Scintilla sospirò, e lasciò il rubino.
“Non ti preoccupare per lei, ho rimesso le cose a posto”.
Scintilla si abbracciò le ginocchia. “Forse…” guardò il giornale “dovrei smetterla. Ci sono tante altre cose che potrei fare, anche meglio di come faccio ora”.
La Madre la guardò. “Tu sei brava a realizzare i sogni, devi solo avere la pazienza d’imparare a capire come farlo”. Le mise una mano sulla spalla, si alzò e se ne andò.
Scintilla rimase a guardare le stelle; quando il Sole illuminò la cima dei monti all’orizzonte, raccolse il giornale e tornò nella sua stanza.

#217 Comment By Gamberetta On 4 dicembre 2010 @ 22:03

@Mauro. Nota tipografica: non usare le virgolette alte per i dialoghi e gli apici per i pensieri, ci si confonde facilmente.

Detto questo mostrato è mostrato, però è troppo poco mostrato. Nel senso che non è che ci sia del raccontato da trasformare in mostrato, mancano proprio dei dettagli.

Mancano sia a livello “terra terra” sia a livello di storia. A livello più basso avresti dovuto spendere qualche parola per definire le situazioni. Per esempio all’inizio quando passa la macchina si rimane un attimo perplessi, perché non era chiaro che la ragazza fosse all’aperto. Sarebbe bastato aggiungere qualcosa tipo: “[...] verso la ragazza in attesa alla fermata del tram” perché la scena fosse molto più chiara.

A livello di storia è dura capire quello che succede. Ok, non spiegare, ma solo se il mostrato è auto evidente. Quando scrivi:

Nello specchio, una ragazza seduta su un letto stava piangendo, il viso appoggiato alle ginocchia; una donna le teneva una mano sulla spalla. Ogni tanto apriva la bocca, poi la chiudeva senza dire nulla e scuoteva la testa.

Io posso intuire che qualcosa sia andato storto, ma cosa? È troppo vago (e infatti io avevo immaginato che lui era annegato, non avevo capito che era un tradimento – se c’è un tradimento, perché appunto non è palese, lo deduco solo dall’apparire di punto in bianco di un’altra ragazza).
Così pure:

Si diresse verso la finestra. La ragazza dormiva, un sorriso sul volto.

Io penso: WTF? Ma se prima stava piangendo come una fontana? Ah, no, è una ragazza diversa! Ma da dove sbuca?
Infine:

Scintilla distolse lo sguardo e accettò l’aiuto; si sedette di fianco all’altra.
“Stella”.
“Cosa…” La guardò.
“Stella. La ragazza che hai provato ad aiutare. Si chiama Stella”.
Scintilla alzò lo sguardo al cielo.
“Volevo solo renderla felice”.
“Lo so. E così anche stanotte”.

Semplicemente non ho capito. Perché il fatto che la seconda ragazza si chiami “Stella” indica che Scintilla abbia sbagliato la magia?

Non è scritto male a livello di stile ma devi mettere molti più dettagli.

#218 Comment By Mauro On 4 dicembre 2010 @ 23:11

Sono stato decisamente meno chiaro di quanto pensassi…

Gamberetta:

non usare le virgolette alte per i dialoghi e gli apici per i pensieri, ci si confonde facilmente

Prima erano virgolette e corsivo, ma poi ho spostato il corsivo sugli altri pezzi per chiarire che erano i sognicome visti da Scintilla; ora vedo come modificare la cosa (magari uncinate e apici).

posso intuire che qualcosa sia andato storto, ma cosa? È troppo vago (e infatti io avevo immaginato che lui era annegato, non avevo capito che era un tradimento – se c’è un tradimento, perché appunto non è palese, lo deduco solo dall’apparire di punto in bianco di un’altra ragazza)

Nessun tradimento; l’idea che avevo – e che evidentemente ho fallito completamente nel comunicare – era questa: ci sono due ragazze – Silvia e Stella – e Luca.

Inizio storia: Scintilla vede Stella piangere (nella mia idea in strada, ma hai ragione: non ho dato nessun elemento per comunicarlo), si concentra e tramite il topazio vede il suo sogno: lei in riva al mare con un ragazzo (ma, me ne rendo conto ora, avrei dovuto mettere qualcosa di piú chiaro a indicare che stava piangendo per qualcosa legato a lui; la telefonata per me era chiara, ma probabilmente solo perché imaginandola sapevo anche l’altra metà). Lo realizza e lei viene chiamata da lui, che le dà un appuntamento.

Seconda scena: la Madre fa notare a Scintilla che Luca aveva già una ragazza, Silvia, che è stata mollata perché per la magia il ragazzo ha deciso di mettersi con Stella. Il senso della frase della Madre – “Lei è Silvia. È – era, fino al tuo intervento – la ragazza di Luca, il ragazzo di stamattina” – è quello.

Terza scena: questa almeno direi che è ovvia.

Quarta scena: la ragazza che sorride è Stella; mi sono chiesto se fosse chiaro, poi ho lasciato cosí sperando che l’assenza del nome fosse sufficiente: non si sa come si chiama, mentre si sa che l’altra si chiama “Silvia”, quindi se avessi voluto riferirmi a lei avrei scritto: “Silvia dormiva, un sorriso sul volto”. Temevo che qui non sarebbe stato chiaro, ma la cosa è peggiorata dalla poca chiarezza dei pezzi precedenti.

Quinta scena: “Stella” non indica il fallimento della magia, non ha un significato particolare (è il primo nome che mi è venuto in mente); l’idea era che la prima magia avesse fatto mettere insieme Luca e Stella, ma Scintilla, nel farla, non si era chiesta se lui stesse già con qualcun altro; la seconda serviva a far dimenticare quanto accaduto, in modo da riportare la situazione a com’era prima che Scintilla intervenisse, ma lei ha esagerato e la ragazza ha dimenticato troppo (“sei andata troppo indietro, non ricordava nemmeno averlo conosciuto”).

Buono che a livello di stile e di non raccontare va bene; ora cerco di riscriverlo in modo che sia piú chiaro (ma tanto piú chiaro).

#219 Comment By Mauro On 4 dicembre 2010 @ 23:17

Un’aggiunta: che la ragazza nello specchio fosse un’altra voleva essere indicato anche dal fatto che viene descritta come “una ragazza”; se fosse stata quella della mattina, essendo (almeno nelle mie intenzioni) Scintilla il punto di vista avrebbe pensato a lei come a “la ragazza” (eventualmente “la ragazza di stamattina”).

#220 Comment By Gamberetta On 4 dicembre 2010 @ 23:21

@Mauro. Il problema di fondo è che nella prima scena chiami il personaggio “ragazza”. Nella seconda scena dici: “Nello specchio, una ragazza seduta su un letto stava piangendo” e a questo punto per il lettore è lo stesso personaggio di prima. Da qui tutti gli equivoci.

Aggiunta perché ho letto adesso il tuo secondo commento: la ragazza piange con il viso appoggiato alle ginocchia, io ho pensato che Scintilla non la riconoscesse subito come la ragazza di prima, non fin quando la Madre conferma accennando al ragazzo.

#221 Comment By Mauro On 4 dicembre 2010 @ 23:49

Vero, hai ragione; non ci avevo pensato. Ci sto lavorando, vedo di togliere quell’equivoco.
C’è una questione su cui sto ragionando: per com’è scritto ora, si capisce che la parte in corsivo è il sogno di Stella e che Scintilla lo realizza? O è meglio che lo specifichi in qualche modo?

#222 Comment By Mauro On 5 dicembre 2010 @ 02:50

Seconda versione; ho risolto il dubbio sul sogno: a prescindere che si capisca o no ho deciso di specificare che Scintilla vede e realizza il sogno della ragazza, perché altrimenti il testo è troppo legato alla traccia dell’esercizio (se il lettore non sa che Scintilla realizza i sogni, non è detto – anzi – che capisca cos’è la parte in corsivo). Mentre lo scopo dell’esercizio, per come lo vedo io, è mostrare a prescindere dalla conoscenza della traccia.
Per il resto, a parte alcuni rimaneggiamenti e l’inserimento di un paio di dettagli per dire dove si svolgono le scene, visto che gli equivoci derivano dalla confusione tra Stella e Silvia mi sono concentrato sull’evitarla; per farlo ho fatto due cose:

• Ho spostato “stamattina” da dopo lo specchio (“il ragazzo di stamattina”) a prima; visto che l’appuntamento è: “Ci vediamo Sabato”, quindi plausibilmente almeno due giorni dopo (altrimenti sarebbe “oggi” o “domani”), e che sono ancora nello stesso giorno, non si sono ancora visti. Quindi l’appuntamento non può essere andato male.
• Ho inserito: “Si attorcigliò una ciocca di capelli biondi attorno a un dito” e “una ragazza bruna“.

Non ero certo che il primo punto sarebbe bastato, quindi ho inserito anche il secondo.

‘Questa volta ce la farò’. Scintilla volò verso la ragazza in lacrime seduta sul marciapiede e si posò accanto a lei. ‘Prima cosa: visualizzare il sogno’. Strinse tra la mani il topazio che aveva al collo e chiuse gli occhi.
La ragazza rideva sottobraccio a un ragazzo. L’acqua del mare le bagnava le gambe. Si stringeva a lui, mentre il Sole si abbassava sull’orizzonte.
Scintilla riaprì gli occhi. ‘Questa volta lo realizzerò bene’. Si tolse il topazio e lo alzò. ‘Lei. Lui. Mare. Insieme’.
Uno squillo. La ragazza stava guardando il cellulare, il pollice sospeso sopra il tasto di risposta. Un’auto sfrecciò lungo la strada. Una nuvola di polvere investì Scintilla.
«Pronto?» La ragazza tirò su col naso. «No…» Si asciugò le lacrime. «Sì! Voglio dire…» si alzò «quando?» Si attorcigliò una ciocca di capelli biondi attorno a un dito. «Certo! Ci vediamo Sabato!» Stava sorridendo. ‘Bene’, pensò Scintilla con un sorriso.
La ragazza chiuse il cellulare e si allontanò correndo.
‘È stato facile! La Madre non potrà dire nulla!’

La Madre era ferma al centro della stanza. «Hai capito cos’hai fatto stamattina?». Scintilla tremò.
«Ho solo aiutato una ragazza. Ho realizzato il suo sogno!» ‘Anche se mi avevi detto che non ero in grado!’
La Madre la guardò impassibile. Scintilla si strinse nelle braccia e abbassò gli occhi; il fuoco crepitava nel camino. La fatina rialzò lo sguardo, e fissò l’altra. ‘Non ho fatto nulla di male’.
La Madre fece scorrere una mano sul bordo di una cornice di lucido legno scuro, e la girò. Nello specchio, una ragazza bruna seduta su un letto stava piangendo, il viso appoggiato alle ginocchia; una donna le teneva una mano sulla spalla. Ogni tanto apriva la bocca, poi la chiudeva senza dire nulla e scuoteva la testa.
«Lei è Silvia. È – era, fino al tuo intervento – la ragazza di Luca, il ragazzo del sogno».
Scintilla cadde sulle ginocchia. Aprì la bocca, la richiuse. Scosse le ali. ‘Non di nuovo…’
«Io…»
«Sei brava a realizzare i loro sogni, ma non capisci ancora le conseguenze di ciò che fai». Il pianto della ragazza echeggiava nella stanza. «Devi ancora aspettare».
«Quanto? Sono qui da cinquant’anni! Quando potrò aiutarli anch’io?»
«Non hai neanche duecento anni; sei giovane, Scintilla, avrai tempo per aiutarli. Ma prima devi capire come farlo». La Madre allungò una mano. «Ora…»
Scintilla portò una mano al topazio e fece un passo indietro. «No…»
«Te lo ridarò, quando sarai pronta; ma ora non hai il diritto di tenerlo».
«Risolverò tutto! Starò più attenta! La mia pietra…» La parete le premette contro la schiena.
«Starai più attenta e mi darai il topazio. Poi aspetterai nella tua stanza, mentre risolviamo quello che hai fatto».
Scintilla abbassò lo sguardo. Con le lacrime agli occhi si sfilò la pietra e la porse di fronte a sé. La catenella lasciò le dita.
Scintilla si girò e corse nella sua stanza.

‘Quella…’ s’infilò sotto il letto ‘quella…’ estrasse la borsa ‘ma cosa vuole da me?’ Gettò la borsa sul materasso e ci frugò dentro.
‘Come se lei non avesse mai sbagliato’.
L’anello. Il libro. ‘Ma dov’è? Dov’è?’ Una mela.
‘E posso ancora risolvere tutto’.
Gettò la borsa contro il muro. «Ma dove diavolo è finito!» Si avvicinò alla parete e rovesciò la borsa. «Era qui, sono certa che è qui…» borbottò.
Si alzò, il freddo del rubino sul palmo. Se lo mise al collo e sorrise.
‘E ora, Madre, vediamo, chi ha ragione’.

Scintilla guardò la Luna e fece un respiro profondo. Si diresse verso la finestra. La ragazza dormiva, un sorriso sul volto.
Scintilla appoggiò una mano al vetro e sospirò. «Scusami. Per stamattina, e per ora». Strinse il rubino e chiuse gli occhi.
La ragazza era sola, appoggiata contro un muro. Dall’altra parte del parco Silvia e Luca stavano ridendo, seduti sull’erba.
‘Lei. Loro. Separati. Insieme’.
Aprì gli occhi. Una luce rossa le filtrò dalle mani e illuminò il viso della ragazza. «È meglio che dimentichi. Dimenticherete tutti, così sarà come se non fossi mai intervenuta».
La guardò. Un gufo le passò accanto. Scintilla si allontanò volando.

Scintilla stava guardando il cielo seduta sul bordo del tetto dell’Accademia, sulle ginocchia un giornale con degli annunci cerchiati. La fatina cercava nelle stelle i profili dei ragazzi che aveva visto quel giorno.
«Sai come si chiama?»
Scintilla cadde e si afferrò al bordo.
«Madre…»
La Madre le porse una mano. «Vieni su».
Scintilla distolse lo sguardo e accettò l’aiuto; si sedette di fianco all’altra.
«Stella».
«Cosa…» La guardò.
«Stella. La ragazza che hai provato ad aiutare. Si chiama Stella».
Scintilla alzò lo sguardo al cielo.
«Volevo solo renderla felice».
«Lo so. E così anche stanotte».
Scintilla si girò di scatto. «Io…»
«Ma sei andata troppo indietro, non ricordava nemmeno averlo conosciuto. La tua pietra è il topazio, non il rubino. Rubino che ora deve tornare nella Sala delle Gemme, in attesa di chi potrà usarlo». La Madre tese una mano.
Scintilla abbassò lo sguardo. ‘Due volte in un giorno…’ Diede la catenina all’altra, la pietra ancora in mano. Delle nuvole coprirono la Luna. Scintilla sospirò, e lasciò il rubino.
«Non ti preoccupare per lei, ho rimesso le cose a posto».
Scintilla si abbracciò le ginocchia. «Forse…» guardò il giornale «dovrei smetterla. Ci sono tante altre cose che potrei fare, anche meglio di come faccio ora».
La Madre la guardò. «Tu sei brava a realizzare i sogni, devi solo avere la pazienza d’imparare a capire come farlo». Le mise una mano sulla spalla, si alzò e se ne andò.
Scintilla rimase a guardare le stelle; quando il Sole illuminò la cima dei monti all’orizzonte, raccolse il giornale e tornò nella sua stanza.

#223 Comment By Gamberetta On 5 dicembre 2010 @ 14:05

@Mauro. Meglio. Ma anche con la storia dei capelli è faticoso distinguere le due ragazze. Io proporrei che all’inizio Scintilla, mentre vola verso la ragazza, controlla un appunto che si era presa: “Stella – problemi di cuore” o qualcosa del genere. Così la puoi chiamare Stella invece che ragazza. Perché ancora, qui:

La ragazza dormiva, un sorriso sul volto.

Il lettore deve star lì a ragionare per capire quale ragazza sia. Se c’è il nome è meglio. Inoltre Silvia potrebbe essere la “fidanzata” di Luca invece della sua “ragazza”, così riduci ulteriormente le ragazze.

Un’altra cosa è che non sembra Scintilla abbia fatto chissà quale danno: prima piangeva Stella, poi piange Silvia. Se non interveniva c’era comunque una ragazza disperata. Secondo me Silvia dovrebbe tagliarsi i polsi o una roba del genere, altrimenti l’errore della fatina è molto opinabile.

A parte questo, dal punto di vista dello “Show don’t tell”, non c’è molto da dire. Puoi tagliare diversi punti di sospensione senza danno, tipo:

Scintilla portò una mano al topazio e fece un passo indietro. «No…»

Basta che dici No. Punto. Se vuoi che non suoni così netto metti qualche altra battuta: “No. Ti prego.”
Qui:

‘Quella…’ s’infilò sotto il letto ‘quella…’

Metti quello che è (stronza?). Ché se siamo nella mente del personaggio non c’è censura.

Parlando in generale ti consiglieri di aggiungere qualche altro dettaglio alle descrizioni. Per esempio quando dici che la ragazza è seduta sul marciapiede suona strano se per quella strada sfrecciano le macchine; oppure quando la Madre “era ferma al centro della stanza” e poi manipola lo specchio: suona strano perché di solito gli specchi sono appesi alle pareti.

#224 Comment By Mauro On 5 dicembre 2010 @ 15:13

Gamberetta:

Silvia potrebbe essere la “fidanzata” di Luca invece della sua “ragazza”, così riduci ulteriormente le ragazze

Ho volutamente evitato “fidanzata”; senza un motivo particolare, semplicemente non m’ispira. Ora vedo se riesco a rimuovere l’equivoco in un altro modo (magari inserendo il nome di Stella all’inizio, come suggerivi); in caso serva sostituirò anche quello.

Un’altra cosa è che non sembra Scintilla abbia fatto chissà quale danno: prima piangeva Stella, poi piange Silvia. Se non interveniva c’era comunque una ragazza disperata. Secondo me Silvia dovrebbe tagliarsi i polsi o una roba del genere, altrimenti l’errore della fatina è molto opinabile

La cosa bella è che nella prima versione (non inviata qui) Scintilla si auto-giustificava esattamente in quel modo: ‘E non ho sbagliato. Ho realizzato un sogno. E dopo non c’erano piú persone tristi di prima’ (poi l’ho sostituito con ‘E posso ancora tornare indietro/risolvere tutto’ perché la prima versione la faceva apparire – almeno a me – piú stronza di quanto non volessi).
Comunque sí, il punto che sollevi è sicuramente giusto; però nel caso di Stella la situazione era pregressa a Scintilla, nel caso di Silvia è dovuta direttamente a lei; inoltre, l’errore di Scintilla non è (solo) in quello che ha causato a Silvia, ma nel non aver nemmeno pensato che potesse esserci qualcuno già legato a Luca. Se avesse fatto la stessa cosa sapendolo sarebbe stata una scelta (giusta o sbagliata, ma almeno scelta); senza saperlo, è una mancanza (almeno, dal mio punto di vista).
Ci ragiono, ma in questo caso potrei lasciarlo cosí.

‘Quella…’ s’infilò sotto il letto ‘quella…’

Metti quello che è (stronza?). Ché se siamo nella mente del personaggio non c’è censura

Nessuna censura: semplicemente, me la immaginavo talmente arrabbiata da non riuscire a trovare il termine; narrativamente è brutto?

quando dici che la ragazza è seduta sul marciapiede suona strano se per quella strada sfrecciano le macchine; oppure quando la Madre “era ferma al centro della stanza” e poi manipola lo specchio: suona strano perché di solito gli specchi sono appesi alle pareti

Sí, mi ero immaginato uno specchio stile questo.
Per le macchine… mi è capitato di sedermi diverse volte su un marciapiede (separato dalla carreggiata da un parcheggio lato strada, da una pista ciclabile, ecc.), non credevo suonasse strano.

Faccio passare un po’ di tempo, cosí da lasciar sedimentare la cosa, poi torno a lavorarci su.

#225 Comment By Gamberetta On 5 dicembre 2010 @ 20:24

@Mauro.

Nessuna censura: semplicemente, me la immaginavo talmente arrabbiata da non riuscire a trovare il termine; narrativamente è brutto?

Il problema è che il lettore deve fare lui lo sforzo di riempire quei puntini di sospensione. Se lo fai tu gli risparmi la fatica.

#226 Comment By Sky Eventide On 5 dicembre 2010 @ 20:47

E’ uscito un romanzo (presentato persino a Lucca Comics) definito la prima saga yaoi fantasy in Italia. Meno male che non leggi più fantasy italiano, perchè ti sarebbero venuti i crampi. Dico sul serio.
E’ una cosa assurda che pare che la questione del “show, don’t tell” se la sia ficcata nel deretano e lì sia rimasta per fare bellezza. Mi sono letta il primo capitolo on-line su internet e sembra una barzelletta. XD Privo di logica, con inforigurgito (ho usato la parola nella mia recensione e t’ho citata, spero non disturbi), raccontato da cima a fondo, anatomia ignorata, medicina ignorata, uso di termini ad minchiam senza saperne il significato, caratterizzazione piegata ai voleri dell’autrice per poter fare le cosiddette scene erotiche. Ed una di queste scene è l’unica che possa definirsi quantomeno decente. Con condimento di ragazzino allupato perchè è “yaoi”.
Tanto per farti sapere che hai ragione nel dire che gli scrittori di fantasy in Italia fanno cagare e che certuni sono stupidi perchè commentano certe boiate come “meravigliose”. Come se tu non lo sapessi già, temo.
Comunque, grazie infinite del manuale, mi è utilissimo.

#227 Comment By Gamberetta On 5 dicembre 2010 @ 21:08

@Sky Eventide.

E’ una cosa assurda che pare che la questione del “show, don’t tell” se la sia ficcata nel deretano e lì sia rimasta per fare bellezza. Mi sono letta il primo capitolo on-line su internet e sembra una barzelletta.

Va bene, dai, soffriamo, qual è il link?

XD Privo di logica, con inforigurgito (ho usato la parola nella mia recensione e t’ho citata, spero non disturbi)

No, anzi, mi fa piacere. Se “inforigurgito” si diffonde sono contenta, penso sia una buona traduzione di “infodump”.

#228 Comment By Ylunio On 5 dicembre 2010 @ 22:46

Ho cercato “romanzo yaoi fantasy” su google ed ecco qua http://axaly.wordpress.com/capitolo-1/

#229 Comment By Angra On 6 dicembre 2010 @ 01:31

Be’, più o meno mi sembra nella media. Su FantasyMagazine prenderebbe 4 stelle.

#230 Comment By Airon On 6 dicembre 2010 @ 09:54

Be’, più o meno mi sembra nella media. Su FantasyMagazine prenderebbe 4 stelle.

insomma… non seguo fantasymagazine, ma questo mi sembra ampiamente sotto la produzione fantatrash media: Il Re Nigga, che già è scarso, è scritto meglio (il captitolo online, almeno).

Questo pare una fanfiction di fascia medio-bassa (e sappiamo bene come yaoi e fanfiction vadano mano nella mano).

#231 Comment By Angra On 6 dicembre 2010 @ 10:55

@Airon:

Così a una prima occhiata mi sembra allo stesso livello di Garmir l’Eclissiomante o La Profezia di Arsalon. Ok, non proprio nella media, ma non al disotto del livello minimo di ciò che viene pubblicato da editori importanti.

#232 Comment By Gamberetta On 6 dicembre 2010 @ 11:09

@Airon. Se parliamo in termini assoluti, il capitolo è brutto, il libro non avrebbe dovuto essere pubblicato, ecc. Se parliamo in confronto alla produzione degli ultimi tempi in ambito italiano è nella media. Forse addirittura un filo sopra la media.
Per esempio è scritto meglio de L’Evocatore che su FantasyMagazine ha preso 4 stelle su 5. Qui un estratto.

#233 Comment By Sky Eventide On 6 dicembre 2010 @ 15:38

E’ proprio quello che è stato linkato.
Sarà pure nella media per la produzione nostrana, ma a me fa cagare. XD Vabbè che non leggo fantasy nostrano da tanto tempo (anzi, non leggo fantasy da tanto e basta, l’ultima cosa è stato un fantasy umoristico di Terry Pratchett), am quel coso è veramente terribile. ò_ò Se mi metto a cercare fanfiction di qualche buona autrice di yaoi su EFP, trovo cose decisamente migliori. Quello è una fyccyna con gnokki.
Ah, mi sa che la casa editrice è a pagamento, perchè mi è parso di capire dalla pagina su facebook del libro (sì, esiste) che chi lo vuole leggere deve ordinarlo alla libreria. Tecnicamente non succederebbe se la casa editrice fosse “normale”, no? Non ho controllato nel sito, comunque, quindi sono io che suppongo.

#234 Comment By Airon On 6 dicembre 2010 @ 16:30

Sarà pure nella media per la produzione nostrana

il punto di Angra e Gamberetta è proprio che la media nostrana fa cagare.

Peraltro, a giudicare dall’estratto, Amon mi sembra meglio di questa fyccyna – meglio nel senso “un’unghia rotta è meglio di un calcio nelle palle”.

* * *

Gamberetta non so dove metterti questa domanda, non voglio fartela via mail perchè magari possono rispondere anche altri, sposta nella Fogna se vuoi: conosci fantasy per ragazzini (10/11 anni) di qualità decente? Per ragazzini intendo “senza morti cruente nè cinismo a palate – scrittura semplice e grossomodo divertente”.

Ai tempi lessi il primo Artemis Fowl – che è carino – e soprattutto Le 13 vite e mezzo del Capitano Orso Blu, che ritengo geniale (e apprezzabile anche dai più grandi). Altre segnalazioni con le caratteristiche richieste?

#235 Comment By Ylunio On 6 dicembre 2010 @ 17:02

Personalmente di quel yaoi fantasy non sono riuscita a leggere neanche tutto il primo capitolo. Fisicamente e mentalmente non ci sono riuscita: troppo, troppo brutto.
Quoto chi dice che esistono fanfic scritte meglio.
In ogni modo non credo che si tratti di una casa editrice a pagamento. Su facebook l’autrice va dicendo un po’ ovunque quanto questa casa editrice creda in lei e nella sua saga (sono quattro libri se non sbaglio ç_ç), quindi non penso si faccia pagare. Poi magari sono ingenua io ed è solo un modo per l’autrice di farsi pubblicità..

C’è anche chi dice di aver letto il libro sei volte e di aspettare con ansia il seguito.
Quindi mi chiedo.. se il pubblico italiano è fatto così e vuole leggere queste cose (questi libri vendono), una casa editrice che vuole vendere non si trova nelle condizioni di dover pubblicare roba del genere per avere delle entrate?
La casa editrice, in quanto azienda e non associazione culturale, ha il dovere di educare il lettore alla buona letteratura, o semplicemente quello di guadagnare più soldi possibili a fine mese?
Ieri, parlando di questo, ho fatto un paragone con i caseifici che usano il latte andato a male per risparmiare ed essere più competitivi sul mercato. Solo che nel caso dei libri, non solo la letteratura che vendono queste case editrici è *marcia*, ma sembra che al pubblico questo marcio piaccia! Più del latte fresco!

#236 Comment By Gamberetta On 6 dicembre 2010 @ 17:54

@Sky Eventide.

Ah, mi sa che la casa editrice è a pagamento, perchè mi è parso di capire dalla pagina su facebook del libro (sì, esiste) che chi lo vuole leggere deve ordinarlo alla libreria. Tecnicamente non succederebbe se la casa editrice fosse “normale”, no?

Succede anche per le case editrici “normali” se sono piccole. Non sono molte le case editrici che hanno distribuzione fisica in libreria. I librai non tengono i libri di tutti, accettano solo quei libri che hanno una realistica possibilità di vendere. Se la casa editrice è piccola e l’autore uno sconosciuto esordiente, i librai si rifiutano di prendersi in carico il romanzo.
Ho guardato il sito della casa editrice: non si può dire se sia a pagamento o no. Non ha molti libri in catalogo (e questo è positivo: le case editrici a pagamento hanno cataloghi enormi, perché più pubblicano meglio è per loro), d’altra parte è anche una casa editrice in circolazione da poco.

@Ylunio. Nel caso particolare può essere che ci sia una nicchia di lettori appassionati di yaoi che non vedono l’ora di comprare un romanzo yaoi in italiano. Può essere una valida operazione commerciale, al di là della (scarsissima) qualità. Un piccolo editore dubito che abbia i soldi per comprare i diritti e tradurre un romanzo yaoi giapponese.

@Airon. Consigli di lettura: Wells? Twain? Verne?
Poi non saprei. I miei genitori mi hanno sempre lasciata libera di leggere quello che mi pareva, non mi hanno mai comprato libri che io non avessi chiesto. Perciò non sono mai entrata nell’ottica delle fasce di età. Comunque Leviathan penso potrebbe andare bene. C’è molta azione ma di gente che muore pochissima, non c’è cinismo ed è grossomodo divertente.

#237 Comment By Airon On 6 dicembre 2010 @ 18:17

Consigli di lettura: Wells? Twain? Verne?
Poi non saprei. I miei genitori mi hanno sempre lasciata libera di leggere quello che mi pareva, non mi hanno mai comprato libri che io non avessi chiesto. Perciò non sono mai entrata nell’ottica delle fasce di età. Comunque Leviathan penso potrebbe andare bene. C’è molta azione ma di gente che muore pochissima, non c’è cinismo ed è grossomodo divertente.

Sì, ma se mia cuginetta mi chiede Deltora o robe così, non vorrei presentarmi con Twain. Volevo prendere uno dei romanzetti tristi che mi chiede e un romanzetto decente ma della stessa linea. Per proporle autori un po’ più interessanti avrò tempo e modo.

ok per Leviathan

#238 Comment By Mario Falco On 7 dicembre 2010 @ 15:37

Al sesto rintocco Lametta sollevò le mani dall’acqua lurida e le osservò.
I polpastrelli erano grinzosi e arrossati, il dorso screpolato.
Le facevano un po’ male, come se le ossa si fossero stancate di stare attaccate l’una all’altra.
Si tolse il grembiule, lo conficcò nello stipetto che le avevano assegnato, prese il borsello di cuoio, lo mise a tracolla stropicciandosi un’ala e sbattè lo sportello.
Marciò verso l’ufficio del signor Molanchenus. Entrò senza bussare.
L’ometto, pochi capelli bianchi e occhiali spessi, alzò lo sguardo dal registro che stava compilando.
-Me ne vado. Mi dia i miei soldi.
-Va… va bene. Dammi l’indirizzo e te li spe…
-No, li voglio ora!
Non poteva di certo dirgli che non ci sarebbe tornata, a casa, non voleva correre il rischio che quel vecchio impiccione contattasse i suoi genitori.
-D’accordo. Dammi solo un secondo per fare i conti. Nel frattempo siedi pure.
Lametta sentì tutta la stanchezza della giornata che la schiacciava.
Rimase in piedi.
Molanchenus la guardò ancora per qualche istante, poi:
-Va bene, come preferisci. Vediamo. Sei stata con noi quattro pomeriggi. Hai lavato cinque coscienze sporche il primo giorno, dieci il secondo – tra cui quella di un marito infedele, complimenti – nove il terzo… e oggi?
-Oggi – esitò Lametta – dieci.
“Stupida! Perché non hai detto venti? Non avrebbe mai controllato!” pensò.
Molanchenus contò dieci piccole perle, le mise in un sacchetto, lo chiuse stringendo il laccio e lo consegnò a Lametta.
C’erano due perle in più del pattuito.
Lamettà balbettò un -G…grazie. – si voltò per nascondere le sue guance rosse e uscì infilando il sacchetto nel borsello.
Appena fuori fece una corsetta, un saltello e si librò in volo.
Nell’aria fresca la stanchezza e il peso sul cuore sembrarono più leggeri.
“Non è tardi, potrei passare a prendere un libro dalla biblioteca. L’ultimo che ho letto è stato ‘Il cielo d’Irlanda’ due settimane fa. Ah, è anche a teatro in questi giorni. Chi sa se si trovano ancora i biglietti per nullatenenti? Dovrei conservare i soldi per il concerto dei Legnosa. Forse dovrei andare a nuotare allo stagno, rafforzarmi: il lavoro fisico mi distrugge! No, niente biblioteca, teatro, concerti o attività fisica, devo cercarmi alla svelta un altro lavo-”
Il suo sguardo fu attirato da un bagliore rosso sul bordo del sentiero.
Fece un’ampia manovra e atterrò.
Pescò dall’erba un rubino. Poteva essersi staccato dall’anellino di una bimba. Riempiva tutto il palmo di Lametta. I suoi occhi ora brillavano come la piccola pietra.
La infilò nel borsello. Che la risputò fuori.
Lametta raccolse il rubino e lo cacciò nel borsello serrando le labbra e aggrottando le sopracciglia.
Di nuovo la pietra saltò fuori, come lanciata da… da… da una fatina dispettosa!
Lametta inarcò un sopracciglio e tirò fuori dal borsello una bambolina di stoffa (che aveva sin da quando era bambina), un bottone di madreperla (grande come una sveglia, nelle sue manine), una biglia, una vite degli occhiali, un seme di mela dipinto, un pettine di legno, uno specchietto…
Presto il bordo della strada fu coperto di oggetti da cui Lametta sapeva di non potersi separare.
Rimise tutto ordinatamente dentro il borsello, il rubino per ultimo. Niente da fare.
Tirò di nuovo fuori tutto, rimise tutto di nuovo dentro in un ordine diverso. Il rubino rimase fuori.
Diede un calcio al borsello: -Sei uno stupido borsello magico o cosa? Millus Coranovic ci metteva dentro i gatti che ammazzava quando andava a caccia, nel suo borsello magico, e tu non riesci a contenere due oggettini? Sei stupido, stupido, stupido e inutile!
Sedette sul bordo della strada, i gomiti poggiati sulle ginocchia, il broncio poggiato sui pugni.
Si rese conto che ormai era tardi per andare a cercare un lavoro.
Una lacrima le scese lungo la guancia.

#239 Comment By Gamberetta On 7 dicembre 2010 @ 21:29

@Mario Falco. In generale è abbastanza mostrato (a parte qualche sbavatura, vedi più avanti), però non sono sicura che mostri quello che io ho raccontato. In particolare se mostri che il lavoro di Lametta è così duro (per l’altro l’idea di lavare le coscienze è carina), è normale che voglia licenziarsi. Non traspare per niente il suo brutto carattere. Non si ha l’impressione che la fatina non trovi un lavoro per colpa sua, si ha l’impressione che voglia solo evitare di essere sfruttata.
Per esempio, nello scambio:

-Me ne vado. Mi dia i miei soldi.
-Va… va bene. Dammi l’indirizzo e te li spe…

Il datore di lavoro sembra timido in maniera inverosimile, mentre Lametta è solo decisa, non dimostra un brutto carattere.
Confronta con:

– Me ne vado da questa fogna! – Lametta si strappò un brandello viscido di coscienza che le era rimasto appiccicato alla manina. Lo sbatté sulla scrivania del signor Molanchenus. Schizzi di acqua sporca bagnarono il viso paffuto dell’uomo. – E adesso dammi i soldi che mi devi, grassone!

Il marciare verso l’ufficio e l’entrare senza bussare mi sembrano troppo poco, specie dopo che hai mostrato la fatina con le ossa a pezzi.

Altri dettagli:

Non poteva di certo dirgli che non ci sarebbe tornata, a casa, non voleva correre il rischio che quel vecchio impiccione contattasse i suoi genitori.

Io avrei messo un più mostrato pensiero della fatina, qualcosa come: “Ci manca solo che questo vecchio impiccione chiami i miei genitori!”

Molanchenus la guardò ancora per qualche istante, poi:

Niente di scandaloso, ma dato il tipo di esercizio, forse potevi riempire questa pausa (guardare + poi) con un gesto concreto. Magari il togliersi gli occhiali e pulirseli?

Il suo sguardo fu attirato da un bagliore rosso sul bordo del sentiero.

Basta che dici: “Qualcosa brillava di rosso tra l’erba sul bordo del sentiero.” O anche solo: “Bagliori rossi tra l’erba, sul bordo del sentiero”. Visto che poco prima eravamo nella mente della fatina, il riferirsi allo sguardo diventa pleonastico, basta mettere direttamente quello chela fatina vede.

[...] come lanciata da… da… da una fatina dispettosa! [...] (che aveva sin da quando era bambina) [...] (grande come una sveglia, nelle sue manine)

Questi suonano più come interventi del narratore che non pensieri di Lametta. Io eviterei.

Presto il bordo della strada fu coperto di oggetti da cui Lametta sapeva di non potersi separare.

Raccontato, in particolare la seconda parte. Mostra, non so, che un bottone mezzo arrugginito rotola verso il tombino e Lametta si butta per acchiapparlo quasi finendo nella fogna. E poi lo coccola come fosse l’Unico Anello. E mentre fa questo per poco non perde una piuma spelacchiata, con suo grande terrore. A questo punto sappiamo che non si può separare dalle cianfrusaglie.

#240 Comment By Mario Falco On 8 dicembre 2010 @ 00:04

@Gamberetta
Grazie mille per l’analisi dettagliata.
Questo esercizio è molto utile, secondo me.

#241 Comment By Sky Eventide On 8 dicembre 2010 @ 21:04

Okay, mi sono cimentata coi compiti a casa. XD Ecco qui l’eccitante storia di Lametta.

La casina dentro il vetro ha il tetto rivestito di neve, una piccola lanterna di fronte alla porta e un manto bianco che ricopre il prato. Qualche grosso chicco candido ricopre anche gli abeti al fianco dell’abitazione.
Lametta tiene il viso sbiaccicato contro il vetro nel tentativo di vedere bene nella penombra della camera. La casina ha delle tendine di pizzo alle finestre, piccoli cespugli disposti simmetricamente attorno al vialetto ed un albero addobbato a festa è piantato al suo fianco. Non può non desiderar sapere chi ci abita, chi è stato chiuso in quella bolla trasparente, costretto a vivere in un piccolo mondo innevato.
E’ talmente graziosa, talmente piccina che le sta facendo dimenticare il suo lavoro.
Si desta come da una fantasticheria e stacca la faccia dal vetro, che seppur contenga della neve, non è affatto freddo. Ruota su se stessa e scruta dall’alta mensola la camera buia, simile ad una voragine, le mani piantate sui fianchi.
Le coperte del letto sono gonfiate in un bozzolo dove un’enorme umana dorme rannicchiata. Lametta stringe gli occhi e si lancia nel vuoto, le ali da libellula ronzano sostenendola. Scende a scatti verso il letto stretto e lungo; il piumino imita un prato con fiori sorridenti e dotati di occhi dalle ciglia lunghe che per qualche motivo brillano al buio. Assurdo, non esistono fiori così.
Lametta sorride solo quando la chioma scomposta fa capolino da sotto la coperta.
Vola fino al comodino e si avvicina con passi silenziosi verso il letto, le dita già arcuate come se dovesse artigliare e graffiare, ma l’apparizione di un’altra fatina proprio sul comodino la fa trasalire. La sua compagna è sdraiata in una posizione rigida sul legno del comò e Lametta emette un’esclamazione acuta. E’ morta!
Annaspa fino al corpo sdraiato e ne solleva la testa. « Oh, Oberon! Titania! Stai be… »
Il suoi occhi dilatati ne incontrano un paio spento e piatto. Dipinto sulla plastica.
Conosce la plastica, l’ha già vista in altre case. Le case umane sono piene di plastica. E quella fatina a cui sta sollevando la testa è tutta di plastica, dalla testa ai piedi, a parte vestiti di stoffa e capelli.
Lametta si solleva con uno scatto, le braccia si irrigidiscono attorno ai suoi fianchi e le mani sono strette a pugno. La maledetta umana la pagherà per averla ingannata: farà il suo lavoro meglio del solito.
Ma non prima di aver privato la fatina di plastica di quella sua meravigliosa gonnellina azzurra…
Si getta sulla finta fatina e stacca con uno strappo la gonna; è brillante ed il bottoncino somiglia ad un diamante. La adora, anche se pare veramente piccola per lei.
Corruga le sopracciglia e arriccia la bocca mentre si piega in avanti per infilare i piedi nell’indumento e quindi far passare la gonnella sopra le zue calzette a righe. Sbuffa nel tirarla oltre le ginocchia. Quando arriva alle cosce ed inizia a sentirsi un salame strizzato inizia dare strattoni ostinati. Deve passare. Non è vero che deve dimagrire, è la fatina finta che è anoressica. Deve passare!
Grugnisce ma un rumore più profondo la fa bloccare. L’umana ha emesso un suono basso e roboante.
Lametta si ricorda del limite di tempo, il fottuto limite di tempo.
Tira giù la gonnellina e la calcia via, pur a malincuore per quanto la stesse trovando adorabile e tanto simile ad una pietra preziosa.
Frulla le ali e arriva sin sul cuscino, dove gli stivaletti affondano. In precario equilibrio si avvicina alla enorme testa dell’umana e con un ghigno affonda le mani nelle ciocche scure dei suoi capelli.
Ne prende due e le annoda, si diletta nel fare un fiocco, altre due le confonde assieme finché i capelli somigliano ad una matassa in cui rischia di restare impigliata lei stessa. Si tira indietro e risale il cuscino gattoni, senza risparmiarsi sbuffi e imprecazioni; quando è sulla sommità ed ha la testa con la sua chioma alla sua mercè torna a dedicarsi al suo lavoro. Si impegna nel riportare alla mente i nodi complicati sul libro di istruzioni e comincia a sconvolgere nuove ciocche: le lega, le arruffa, le cotona, alcune volte fa piccoli fiocchi. Si cimenta in un complicato nodo con quattro ciocche di capelli, di cui ripete i passaggi nella memoria, cerca di farne passare una in un anello formato dalle altre due e legato dall’ultima, che poi deve nuovamente legaere alla prima e quindi tirare…
Uno ronzio alla finestra la distrae. Subito ha di fronte Liliana. Il suo capo la fissa con gli occhi stretti e le braccia incrociate, ronzando sopra la testa dell’umana. Batte due dita sull’orologio da polso.
« Lametta, il tempo! Vuoi stare tutta la notte in una sola camera?»
Lametta sbuffa e rotea gli occhi. « Cazzo. »
« Prego? »
« Questo coso » calcia la matassa di capelli ed il nodo ormai disciolto « ha tantissimi capelli! Se ci metto tanto non è colpa mia! »
Liliana le volta di fronte e le punta un dito in faccia. « Non direi proprio che il numero di capelli c’entri, ti ho monitorata, hai perso del tempo con una bambola delle Winx e con una palla di neve! »
Lametta, ancor prima di ribattere, gira gli occhi sgranati verso la casetta nel vetro. « La casina, ci vive qualcuno? » domanda, protendendosi estasiata dalla parte della mensola.
« Razza di incapace, non hai mai visto una palla di neve? Ma a scuola cos’hai imparato? »
Lametta si riprende e aggrotta le sopracciglia. E’ un fottuto problema se a scuola non c’è andata ed è scappata da casa?
Odia il suo capo. Odia il part-time. Chi ha voglia di passare le nottate ad annodare capelli? Chi ha voglia di prendere ordini da quella dannata vecchia con la cellulite?
« Basta! » strilla. L’umana mugugna e fruscia sotto la coperta. Liliana trasale e si ritrova Lametta librare di fronte a sé. « Basta! Odio i capelli degli umani! Hanno dei colori orrendi! Banali! Mai nessuno con un bel blu oltremare, verde pisello, rosa fucsia! E tu… » si sporge paonazza verso Liliana «tu ti vesti da schifo! Mi licenzio! »
Lametta scatta verso la finestra, felice della faccia sconvolta di Liliana, ultima immagine che ne avrà, e fugge fuori nel buio, libera. E disoccupata.

#242 Comment By Sky Eventide On 8 dicembre 2010 @ 21:10

* c’è un errore di battitura. “Liliana le vola di fronte” non ” le volta di fronte”. XD

#243 Comment By Gamberetta On 9 dicembre 2010 @ 00:55

@Sky Eventide. La fascinazione di Lametta per le cianfrusaglie è ben mostrata – magari si poteva inserire un altro sguardo della fatina alla palla di vetro, mentre è occupata a legare i capelli. Le altre cose (cattivo carattere, scappata da casa, difficoltà con il lavoro) sono un po’ tirate via, concentrate nelle ultimi righe.
Il brano è in buona parte mostrato, ma ha bisogno di un editing generale. In molti punti si ha l’impressione della presenza del narratore, quando basterebbe poco per far sparire la sua presenza.
Per esempio:

Non può non desiderar sapere chi ci abita, chi è stato chiuso in quella bolla trasparente, costretto a vivere in un piccolo mondo innevato.

Io avrei inserito direttamente i pensieri della fatina:

Chissà chi abita nella sfera di vetro? Gnomi. Ha letto su Internet che gli gnomi adorano i paesaggi innevati. La fatina picchia le nocche sul vetro, la porticina della casetta rimane chiusa. Forse è il nido di una famiglia di folletti?

#

Si desta come da una fantasticheria e stacca la faccia dal vetro, che seppur contenga della neve, non è affatto freddo.

Anche qui, si può rendere meglio se entri nella testa della fatina:

La fatina stacca la faccia dal vetro. Sulla casetta nevica, ma il vetro non è freddo, è piacevole appoggiare la guancia sulla superficie della palla. Basta, basta fantasticare! Devo pensare la lavoro. Accarezza la sfera, le dita scivolano sul vetro, la neve brilla, si posa sui davanzali delle piccole finestre. Perché devo lavorare? Stupido lavoro!

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Le coperte del letto sono gonfiate in un bozzolo dove un’enorme umana dorme rannicchiata. Lametta stringe gli occhi e si lancia nel vuoto, le ali da libellula ronzano sostenendola. Scende a scatti verso il letto stretto e lungo; [...]

Ho cancellato tre aggettivi generici che non aggiungono niente e anzi sono parzialmente in contraddizione: se l’umana è enorme, il letto non può essere stretto.

[...] il piumino imita un prato con fiori sorridenti e dotati di occhi dalle ciglia lunghe che per qualche motivo brillano al buio.

Quel “per qualche motivo” che ho cancellato sembra innocente, ma comunica l’insicurezza dell’autore: “Ehi, brillano al buio, non lo so neanch’io perché, è così! Per qualche motivo!” Non ti giustificare! ^_^ Brillano al buio e basta.

Vola fino al comodino e si avvicina con passi silenziosi verso il letto, le dita già arcuate come se dovesse artigliare e graffiare [...]

Se sei nel punto di vista di Lametta, lo sai perché hai le dita arcuate, dunque non sarà “come se dovesse”, sarà: “le dita già arcuate, pronte ad artigliare e graffiare” (ma il graffiare lo toglierei, perché Lametta non ha intenzione di graffiare – credo).

La adora, anche se pare veramente piccola per lei.

Inutile raccontare quando il paragrafo dopo mostri che la gonna non è della misura giusta.

Tira giù la gonnellina e la calcia via, pur a malincuore per quanto la stesse trovando adorabile e tanto simile ad una pietra preziosa.

Come si può mostrare l’astratto “malincuore”? Magari:

Tira giù la gonnellina e le dà un calcio. La raccoglie, la rigira tra le mani. Stupida gonna, perché non sei della mia misura? Il bottoncino brilla come una gemma. Lametta lo strappa e lo infila in tasca. Meglio di niente. Getta lo gonna giù dal comodino.

E così via. Spesso si ha l’impressione che tu osservi la fatina e poi riporti – ovvero racconti – quello che le succede. Cerca di tenere la telecamera più vicino/dentro di lei. Come detto non sono “errori” capitali, ma più ci si abitua a scrivere mostrando, meglio è.

Infine una nota extra: attualmente la convenzione vuole di togliere le “d” eufoniche, se la vocale è diversa. Perciò: non “ed avere”, ma “e avere”; non “ad usare” ma “a usare”; naturalmente se la vocale è uguale, la “d” rimane: “ed esco”. Dunque:

[...] scalcia la matassa di capelli ed il nodo ormai disciolto [...]

#244 Comment By sara On 9 dicembre 2010 @ 12:11

Ci ho provato, mah!

Scintilla, da dietro la finestra, si voltò e vide Christine illuminarsi in viso, gridava e saltellava per quello che le era apparso dinanzi, proprio ciò che desiderava: delle scarpette rosse che avrebbe voluto indossare per recarsi alla festa di Michael, alla quale era stata invitata per il suo compleanno. Di famiglia povera, non poteva permettersi gran lussi. Non sapeva in che modo erano apparse, subito si spaventò dell’evento inconsueto, ma, presa dall’emozione, ormai non le importava più. Erano li, nuove di zecca e pronte per essere indossate. Si sarebbe risparmiata l’umiliazione di fronte agli altri invitati se si fosse presentata con le sue scarpette, malconce e dal colorito ormai sbiadito. Questa volta sarebbe stata la più bella.
Con una risatina soddisfatta, Scintilla prese il volo e rimuginò su ciò che era appena accaduto. Era felice e la giornata era cominciata per il verso giusto, come sempre quando si proponeva di aggiustare qualche piccola “faccenda” tra gli umani, soprattutto i più piccoli rappresentanti, così dolci e fragili ai suoi occhi. Aveva i capelli neri e lunghi che le ricadevano sulle spalle, gli occhi color nocciola e l’incarnato di un bianco perlato; portava un vestitino color porpora, che ben si accordava con il colore delle sue ali, di un rosa tenue.
Leggera come una piuma, giunse al suo villaggio. Persa nei propri pensieri, venne interrotta da gridolini concitati, e dai toni familiari intuì subito che si trattasse delle altre fatine del villaggio, che lei conosceva bene. Percorrendo la strada in direzione delle grida, riuscì a scorgere da dietro un albero Meg, Lucy e Lizzie, tre fatine più alte di lei e con le ali più ampie. Meg era bionda, coi capelli raccolti in una coda e gli occhi azzurri come il mare, un altrettanto azzurro vestito e le ali color del cielo. Una vera bellezza e un’aria altezzosa data dalla consapevolezza del suo piacevole aspetto. Più piccola di Meg , sia fisicamente che anagraficamente, Lucy era una fatina che covava del rancore nei confronti di madre natura: ciò che era stato elargito a Meg, a lei era stato tolto in gran misura. Capelli neri e corti, folti sopracciglia e occhi neri come la pece, in un viso squadrato e puntiglioso. Di nero vestita e dalle ali di un bianco lucente, unico elemento del suo aspetto di cui andava fiera. La terza, quella che più si avvicinava all’età di Scintilla, aveva dei capelli rosa e gli occhi viola, le sue ali erano di una rosa mai visto, che al sole pareva risplendere. Destinata a essere una bellezza altrettanto sconvolgente quanto Meg, non aveva un’aria di superiorità, ma era molto dolce e ingenua.
Scintilla rimase ad ascoltare in silenzio, per riuscire a cogliere quale fosse l’argomento di cui stavano parlando. Senti ben poco, le tre fatine parlavano in tono sommesso e Scintilla capì soltanto alcune parole qua e là, ma abbastanza per capirne il senso generale. Stavano provando alcuni incantesimi e discutevano su quale fosse il modo migliore per eseguirli, tra uno starnazzo e l’altro.
Seccata , Scintilla si allontanò di soppiatto: non doveva svelare la sua presenza.
Allontanatasi abbastanza, tirò un sospiro di sollievo. Non voleva essere colta a spiare, come era già successo.
La sfuriata di Meg le era bastata e non voleva essere più umiliata di fronte a tutto il villaggio.
Si voltò a guardarsi indietro, per un attimo pensò di ripercorrere il sentiero e chiedere alle fatine di essere accolta tra loro, magari le avrebbero insegnato tutto quel che sapevano, magari avrebbero accettato! Ci penso un attimo, ma rifiutò subito quell’idea: avrebbe fatto da sola e sarebbe diventata molto più brava di loro. Non aveva bisogno del loro aiuto.

#245 Comment By Doc.Herbert West M.D. On 9 dicembre 2010 @ 13:50

Prima parte:Scintilla.
‘Rallenta,Scintilla,rallenta…non ho più i miei trecent’anni!’
‘Oh,vogliate perdonarmi,Nutrice…forse vado troppo forte!’
Per quanto glielo permise l’assetto di volo,Scintilla incassò la testa sulle spalle,mentre le sue ali presero il battito d’un gabbiano.
Nutrice ne sorrise
‘Non importa,cara,è già tanto che tu m’abbia scelta come madrina per la tua prima missione da apprendista’,mentre le altre non l’avrebbero scelta né per la seconda né per tutte le missioni a venire,avrebbe voluto soggiungere.
‘Oh,fin quando dovevo scambiare dentini da latte per soldi,potevo fare anche da sola,ma perla mia prima missione è stato un onore scegliere voi,così ricca d’esperienza…’
Nutrice sospirò.
‘Sarebbero anni,più che esperienza,ad onor del vero…tietti pronta,comunque,siamo sulla verticale dell’obiettivo!’
Scintilla accennò di sì,e chiuse le ali a bozzolo intorno al suo corpicino come le avevano insegnato.
Cadde a piombo.
§
‘Quota cento piedi!Apri,apri o ti schianterai!’
La voce di Nutrice le giunse attraverso il vento liquido dell’accelerazione.
Aprì le ali,ed il muro d’aria,compattata dalla pressione,la travolse.Il respiro le si mozzò,e le orecchie esplosero.
‘Terribile,vero,cara?Le prime volte son così…’
‘E d-dopo?’
‘Anche peggio…!’
Non se la sentì di sorridere alla battuta di Nutrice,mentre fra le lacrime distinse qualcosa del suo obiettivo : un arcigno edificio in mattoni dal tetto in ardesia.
‘Regio Collegio di Arrecht,quanti ricordi…Via,è il momento dell’incantesimo!Fumus!’
‘Fumus!’
Ora entrambe nuvolette,fluttuavano,piano per piano,davanti alle finestre.
‘Qui nulla…qui fanno lezione..qui hanno un’ora di buco…qui nemmeno…Uh,ve’,qui fanno un compito!Qual miglior occasione di questa per aiutare i nostri protetti?Vieni,entriamo!’
Di quei discorsi legati al mondo degli umani Scintilla non aveva capito una parola,ma obbedì.
S’infiltrarono in una fessura,e si trovarono in uno stanzone,dove trenta ragazzi erano chini su fogli riempiti di quelli che le parsero scarabocchi senza senso.
‘Latino!E costui parrebbe bisognoso del nostro aiuto!’
Scarabocchi senza senso,però,mai quanto quelli del ragazzo indicato da Nutrice,lerciati da cancellature,sgorbi e macchie d’inchiostro.
‘Problemi,Steiner?’
Un altro umano ora si rivolgeva al ragazzo chiamato Steiner.
Il suo odore di qualcosa com’erba pipa colpì Scintilla,come anche il suo tormentare fra le mani un’asticella di frassino.
Non le piacque.
‘Sì,signor professore!La vostra versione è…’
‘È,Steiner?Difficile,forse?’
La bacchetta schioccò sul banco come una fucilata.
‘Se i Commentarii di Cesare in versione semplificata ti sembrano troppo difficili,farai bene a ripetere l’anno,Steiner!’
Il professore gli diede le spalle.
Un tonfo,e la testa del ragazzo crollò sopra il foglio,stretta fra i pugni.
‘Al diavolo!Ora intervengo!Rev…’
‘Ferma,Scintilla!Non è il caso…’
‘Ah,no!?Se non ora,quando?!Revelatio!’
E prima che Nutrice potesse fare alcunché,Scintilla gli si manifestò.
§
‘Ciao,Steiner!Vengo per…’
‘aiutarti’ le morì sulle labbra,mentre il calamaio di lui volava dal banco addosso a lei.
Una lama di dolore le attraversò le ali;perse l’assetto;precipitò.
Nutrice la raggiunse che singhiozzava,raccolta su di sé.
‘Ma perché,perché?!Gli altri non reagivano così,se mi scoprivano!!!’
‘Perché erano bambini,ecco perché!Poi,cara,tu ti presenti così,vestita di tela di ragno,tutta scosciata in minigonna-una vecchiona come me,in cuffia e gonnellone,gli avrebbe fatto ben altro effetto!Ora,sù,àlzati…’
Scintilla s’aggrappò al braccio portole da Nutrice.
‘Steiner!!!Cos’è questo macello?!?’
‘No,signor professore,è che ho tentato di prendere una falena…’
‘Le tue osservazioni entimologiche tienitele per te!Dopo il compito aiuterai i bidelli a pulire!Ed ora,al lavoro!’
Nutrice sghignazzò allo scambio di battute fra il professore e Steiner.
‘Falena!A quest’età,le uniche fatine a cui può credere sono quelle dell’assenzio!’
Scintilla abbassò gli occhi.
‘Su,cara,non mortificarti!Fà il tuo incantesimo,quello per cui t’ha accolto così bene,e ricorda:mai farsi vedere dagli umani al di sopra dei dieci anni!’
Obbedì.
‘Infusio sapientiae!’
Videro i suoi occhi illuminarsi,e lui stracciare il foglio lordo di errori e prenderne uno nuovo dalla cartella,su cui la mano di lui corse da una riga all’altra senza esitare.
Aveva funzionato.
‘Bene,possiamo andare…ce la fai a volare?’
Scintilla assentì,ma come sbattè le aluccie strambò a destra.
Una smorfia di dolore si disegnò sul suo volto.
‘Probabile che te rimarrano i segni a lungo,cara…Fumus!’
‘Fumus!’
Di nuovo nuvolette,uscirono per la fessura di prima.
Si ritrasformarono,e Nutrice le cinse col braccio sinistro la vita.
Spiccarono il volo abbracciate.
‘Ma chi me lo fa fare?!?’
Già sorvolavano i tetti e le guglie di Arrecht,quando sbottò così.
Nutrice ne rise.
‘La tua natura,cara,la tua natura…’
S’innalzarono nel cielo azzurro di mezzogiorno,sinché non divennero che due puntini.

#246 Comment By Mauro On 9 dicembre 2010 @ 17:37

Un dubbio:

Gamberetta:

In molti punti si ha l’impressione della presenza del narratore, quando basterebbe poco per far sparire la sua presenza.
Per esempio:

Non può non desiderar sapere chi ci abita, chi è stato chiuso in quella bolla trasparente, costretto a vivere in un piccolo mondo innevato.

Io avrei inserito direttamente i pensieri della fatina:

Chissà chi abita nella sfera di vetro? Gnomi. Ha letto su Internet che gli gnomi adorano i paesaggi innevati. La fatina picchia le nocche sul vetro, la porticina della casetta rimane chiusa. Forse è il nido di una famiglia di folletti?

La parte sottolineata è comunque un intervento del narratore, giusto?

#247 Comment By UnoCheLeggeIlFantasy On 9 dicembre 2010 @ 18:32

@Mauro
Non so se sbaglio ma ciò che tu hai sottolineato, mettendo il verbo alla 1° persona singolare, ossia “ho”, e modificando il brano facendo rientrare nel discorso diretto tutto quel “ho letto su….” si modifica quel che basta per eliminare la presenza del narratore, certo poi sembra che la fatina stia parlando con qualcuno, ma può anche benissimo parlare da sola.
Gamberetta correggimi se erro ^^

#248 Comment By Mauro On 9 dicembre 2010 @ 19:57

Io l’avrei inserito nel pensiero (Chissà chi abita nella sfera di vetro? Magari gnomi, ho letto/so che adorano i paesaggi innevati), però la parte dopo “Magari gnomi” mi sa di intervento del narratore tramite il personaggio, perché Lametta sa come mai le viene quell’ipotesi anche senza stare a pensarlo.

#249 Comment By Gamberetta On 10 dicembre 2010 @ 01:05

@sara. Non ci siamo. Hai ancora raccontato quello che io avevo già raccontato, solo usando più parole, l’hai mostrato pochissimo. Come spiegato nell’articolo, devi riuscire a dare concretezza ai concetti astratti.
Non puoi scrivere:

La sfuriata di Meg le era bastata e non voleva essere più umiliata di fronte a tutto il villaggio.

Devi scrivere:

Meg afferrò Scintilla per il collo. La sbatté contro il tronco dell’albero. «E allora, mi sono spiegata?» Alle spalle di Meg si erano radunate le altre fatine del villaggio. Dietro il velo delle lacrime, Scintilla intravide Lucy, e Lizzie, e l’insegnante della scuola e lo gnomo pasticcere e…
Le dita di Meg strinsero più forte. «Mi sono spiegata sì o no?»
«Sì, sì» balbettò Scintilla.
Meg la lasciò andare. «Bene. Allora puoi metterti in ginocchio e chiedermi scusa.»

Così come non puoi scrivere:

Di famiglia povera, non poteva permettersi gran lussi. Non sapeva in che modo erano apparse, subito si spaventò dell’evento inconsueto, ma, presa dall’emozione, ormai non le importava più.

Devi mostrare Christine che si avvicina titubante alle scarpette, si asciuga il moccio che le cola dal naso con le dita, le pulisce sui vestiti sporchi e strappati. Si china a raccogliere le scarpette, ma subito si ritrae, si guarda intorno, il rumore di un gatto che fruga tra la spazzatura la fa trasalire, ecc. ecc.
La “povertà” o lo “spavento” devono diventare visibili. È tutto lì il succo. E lo so che non è facile. ^_^

@Mauro. Sì e no. In terza persona puoi sempre sostenere che ci sia un intervento del narratore. Però “Lametta ha letto su Internet che gli gnomi adorano i paesaggi innevati” mi sembra abbastanza vicino perché possa essere sentimento della fatina senza intermediari.

@UnoCheLeggeIlFantasy. Per evitare che in prima persona sembri che la fatina parli con qualcuno bisognerebbe cambiare un po’, invece di: “Ho letto su Internet, ecc.”, forse è meglio: “Gli gnomi adorano i paesaggi innevati. Lo dice anche il sito ufficiale del Piccolo Popolo”, dove siccome sono pensieri miei è sottointeso che tale sito l’ho letto.

@Doc.Herbert West M.D. Di solito non mi formalizzo su certi dettagli, ma devi cominciare a usare gli spazi dopo la punteggiatura, oppure diventa faticoso leggerti.
Salvo eccezioni, la regola è: [parola][punteggiatura][spazio][parola]
Dopo la virgola, il punto e virgola, il punto, il punto esclamativo, i due punti, ecc. devi mettere uno spazio. Le parole tutte attaccate sono difficili da seguire.

Un’altra considerazione generale: hai la tendenza a non specificare chi parla. È vero che non mettere i dialogue tag (vedi articolo 2 dei Manuali) è più elegante, ma se poi il lettore ha difficoltà a capire chi dice cosa non è una buona idea, meglio aggiungere i “disse Michele” e i “rispose Anna”.

Entrando nel merito: è mostrato che Scintilla sia felice di aiutare il prossimo. Meno le altre caratteristiche: che non le sembra il lavoro adatto a lei e che è testarda.

Un paio di sbavature riguardo lo “Show don’t tell”:

[...] trenta ragazzi erano chini su fogli riempiti di quelli che le parsero scarabocchi senza senso.

Come già detto altre volte, i “sembrare” e “parere” vanno usati con parsimonia. In questo caso basta scrivere:

[...] trenta ragazzi erano chini su fogli riempiti di scarabocchi.

Gli scarabocchi per loro natura sono senza senso.

Il suo odore di qualcosa com’erba pipa colpì Scintilla,come anche il suo tormentare fra le mani un’asticella di frassino.
Non le piacque.

Due considerazioni: il “qualcosa” si può togliere, come spiegato poco sopra. “Il suo odore di erba pipa”, tanto il lettore non può distinguere il “qualcosa come erba pipa” dall’erba pipa.
Seconda considerazioni: il “Non le piacque”. Ora, come fai a rendere che alla fatina non piace l’asticella di frassino? Magari così:

Scintilla nascose le manine nelle tasche del vestito. Anche la sua insegnante alla Scuola dei Buoni Propositi usava un’asticella di frassino. Con quella picchiava le nocche delle fatine che sbagliavano gli esercizi di matematica. Finché le fatine non piangevano.

#250 Comment By sara On 10 dicembre 2010 @ 09:58

Effettivamente non ho messo nessun dialogo, però la sfuriata nel mio racconto non è avvenuta in quel momento ma in un passato recente, e Scintilla vuole evitare una seconda sfuriata. Bene, comunque grazie, devo dire che è molto più difficile di quel che pensavo! Grazie mille dei consigli, era la prima volta e mi saranno molto utili ^_^

#251 Comment By Mauro On 10 dicembre 2010 @ 17:38

Gamberetta:

In terza persona puoi sempre sostenere che ci sia un intervento del narratore. Però “Lametta ha letto su Internet che gli gnomi adorano i paesaggi innevati” mi sembra abbastanza vicino perché possa essere sentimento della fatina senza intermediari

Andrebbe parimenti bene dire “Lametta si chiede chi abita nella palla”? Nel secondo caso il verbo – presente – può essere reso direttamente facendoglielo chiedere (Chissà chi ci abita), mentre nel primo – passato – no (salvo mettere una scena prima in cui si fa vedere che lo legge), ma non so se questo basta ad allontanare la telecamera.

#252 Comment By Mauro On 10 dicembre 2010 @ 18:23

Ho scritto una versione cercando d’incorporare tutti i tuoi suggerimenti; se preferisci non correggere/commentare di nuovo com’è scritto non è un problema, comunque lo scopo dell’esercizio è raggiunto. Lo mando piú che altro in caso t’interessasse vedere il risultato.

‘Stella’. Scintilla infilò l’appunto in tasca. ‘Questa volta ce la farò’. Volò verso la ragazza in lacrime seduta sul marciapiede e si posò accanto a lei. ‘Prima cosa: visualizzare il sogno’. Strinse tra la mani il topazio che aveva al collo e chiuse gli occhi.
Stella rideva sottobraccio a un ragazzo. L’acqua del mare le bagnava le gambe. Si stringeva a lui, mentre il Sole si abbassava sull’orizzonte.
Scintilla riaprì gli occhi. ‘Questa volta lo farò bene’. Si tolse il topazio e lo alzò. ‘Lei. Lui. Mare. Insieme’.
Uno squillo. La ragazza stava guardando il cellulare, il pollice sospeso sopra il tasto di risposta. Un’auto passò lungo la strada.
«Pronto?» Stella tirò su col naso. «No…» Si asciugò le lacrime. «Sì! Voglio dire…» si alzò «quando?» Si attorcigliò una ciocca di capelli attorno a un dito. «Certo! Ci vediamo Sabato!» Stava sorridendo. ‘Bene’, pensò Scintilla con un sorriso.
Stella chiuse il cellulare e si allontanò correndo.
‘È stato facile! La Madre non potrà dire nulla!’

La Madre era ferma al centro della stanza illuminata da un camino, di fianco a una cornice di lucido legno scuro.
«Hai capito cos’hai fatto stamattina?». Scintilla tremò.
«Ho solo aiutato una ragazza. Ho realizzato il suo sogno!» ‘Anche se mi avevi detto che non ero in grado!’
La Madre la guardò impassibile. Scintilla si strinse nelle braccia e abbassò gli occhi; il fuoco crepitava nel camino. La fatina rialzò lo sguardo, e fissò l’altra. ‘Non ho fatto nulla di male’.
La Madre fece scorrere una mano sul bordo della cornice, e la girò. Nello specchio, una ragazza incosciente su un letto d’ospedale; una donna, seduta al suo fianco a capo chino, le teneva una mano.
«Lei è Silvia. È – era, fino al tuo intervento – la fidanzata di Luca, il ragazzo del sogno. Ha inghiottito una confenzione di sonniferi, quando è stata lasciata».
Scintilla cadde sulle ginocchia. Aprì la bocca, la richiuse. Scosse le ali. «Io…»
«Sei brava a realizzare i loro sogni, ma non capisci ancora le conseguenze di ciò che fai. Devi ancora aspettare».
«Quanto? Sono qui da cinquant’anni! Quando potrò aiutarli anch’io?»
«Non hai neanche duecento anni; sei giovane, Scintilla, avrai tempo per aiutarli. Ma prima devi capire come farlo». La Madre allungò una mano. «Ora…»
Scintilla portò una mano al topazio e fece un passo indietro. «No. Ti prego, no».
«Te lo ridarò, quando sarai pronta; ma ora non hai il diritto di tenerlo».
«Risolverò tutto! Starò più attenta! La mia pietra…» La parete le premette contro la schiena.
«Starai più attenta e mi darai il topazio. Poi aspetterai nella tua stanza, mentre risolviamo quello che hai fatto».
Scintilla abbassò lo sguardo. Con le lacrime agli occhi si sfilò la pietra e la porse di fronte a sé. La catenella lasciò le dita.
Scintilla si girò e corse nella sua stanza.

‘Quella…’ s’infilò sotto il letto ‘quella…’ estrasse la borsa ‘quella strega! Ma cosa vuole da me?’ Gettò la borsa sul materasso e ci frugò dentro.
‘Come se lei non avesse mai sbagliato!’
L’anello. Il libro. ‘Ma dov’è? Dov’è?’ Una mela.
‘E posso ancora risolvere tutto’.
Gettò la borsa contro il muro. «Ma dove diavolo è finito!» Si avvicinò alla parete e rovesciò la borsa. «Era qui, sono certa che è qui…» borbottò.
Si alzò, il freddo del rubino sul palmo. Se lo mise al collo e sorrise.
‘E ora, Madre, vediamo chi ha ragione’.

Scintilla guardò la Luna e fece un respiro profondo. Si diresse verso la finestra. Silvia giaceva immobile sul letto.
Scintilla appoggiò una mano al vetro e sospirò. «Scusami. Non volevo farti questo». Strinse il rubino e chiuse gli occhi.
Silvia era stesa sull’erba. Luca rideva al suo fianco. Il Sole illuminava il prato coperto di fiori. Dall’altra parte del parco, Stella sedeva sola.
‘Lei. Salva. Loro…’ Scintilla deglutì ‘Separati’.
Aprì gli occhi. Una luce rossa le filtrò dalle mani e illuminò il viso della ragazza. «Sarà come se non fossi mai intervenuta. Vorrei che potessi perdonarmi».
La guardò. Un gufo le passò accanto. Scintilla si allontanò volando.

Scintilla stava guardando il cielo seduta sul bordo del tetto dell’Accademia, al suo fianco un giornale con degli annunci cerchiati. La fatina cercava nelle stelle i profili dei ragazzi che aveva visto quel giorno.
«Hai deciso cosa fare?»
Scintilla cadde e si afferrò al bordo.
«Madre…»
La Madre le porse una mano. «Vieni su».
Scintilla distolse lo sguardo e accettò l’aiuto; si sedette di fianco all’altra e alzò gli occhi al cielo.
«Volevo solo aiutarla».
«Lo so. E così anche stanotte».
Scintilla si girò di scatto. «Io…»
«Ma non sei riuscita a visualizzare tutto. La sorella ricordava ancora cos’era successo. La tua pietra è il topazio, non il rubino. Rubino che ora deve tornare nella Sala delle Gemme, in attesa di chi potrà usarlo». La Madre tese una mano.
Scintilla abbassò lo sguardo. ‘Due volte in un giorno…’ Diede la catenina all’altra, la pietra ancora in mano. Delle nuvole coprirono la Luna. Scintilla sospirò, e lasciò il rubino.
«Non ti preoccupare per loro, ho rimesso le cose a posto».
Scintilla si abbracciò le ginocchia. «Forse…» guardò il giornale «dovrei smetterla. Ci sono tante altre cose che potrei fare, senza rischiare di fare del male a qualcuno».
La Madre la guardò. «Tu sei brava a realizzare i sogni, devi solo avere la pazienza d’imparare a capire come farlo». Le mise una mano sulla spalla, si alzò e se ne andò.
Scintilla rimase a guardare le stelle; quando il Sole illuminò la cima dei monti all’orizzonte, raccolse il giornale e tornò nella sua stanza.

#253 Comment By Doc.Herbert West M.D. On 11 dicembre 2010 @ 13:51

‘Che male,porca merda!’
Aveva picchiato la testa contro l’intelaiatura della finestrella,tradita da quella bava di vento e dal peso fra le ali che le aveva impedito di scuffiare.
Il sacco sulla schiena dondolò,gonfio di pioggia e di roba.
Non le importò-aveva trovato dove atterrare,e forse dove stare.
‘Eeehh!?’
Sgranò gl’occhi quella vescica di lardo,non appena la vide entrare in camera.
Non lo biasimò;aveva appena violato la prima delle Regole nel Rapporto cogli Umani,quella di non mostrarsi a quelli al di sopra dei dieci anni d’età.
‘Eh,no,puttana della miseria!!!Due volte in una settimana è davvero troppo!!!’
Due volte…cosa?!?
Stavolta fu lei a sgranare gli occhi.
‘Ehy,bimbo,c’hai già conosciute?’
‘Sì,tu…lei…quella falena…9 a Latino…il prof Wittenstein…’
Sbuffò a quel farfugliare.
‘Ehm,okay,bimbo,lo prendo per un sì…’
Slegò il sacco e sciorinò sul davanzale il contenuto,che precipitò anche sul pavimento : tomi,libercoli e pergamene;alambicchi,provette e mortai;bacchette di frassino,di betulla e di olmo;astrolabi,sestanti e carte astrologiche;spade,ascie ed alabarde elfiche…
Si diede una manata sulla fronte.
‘Porca mignotta!Ho lasciato la polvere d’unicorno nel Regno Fatato!’
‘Nel…cosa?’
I suoi occhi fiammeggiarono.
‘Senti,bimbo,non ho voglia di discuterne,d’accordo?!’
Vide il tizio alzare le mani.
‘Ah!Fà pure!Figùrati che voglia ho io di parlare con un’allucinaz…’
Reductio!’
Un mucchietto di panni finì a terra,e sotto di esso una forma non più grande d’un topolino si dibatteva.
‘Ordunque,si potrebbe sapere da Vostra Grazia il Suo nome e cognome,stronzate a parte?’
Cinguettò.
‘Steiner,Lamberto Steiner!’
Squittì la voce da sotto gl’abiti.
‘Lametta,tanto piacere…Restauratio!’
Sghignazzò,quando vide Steiner di nuovo nei suoi abiti,ma colle mutande come corona ed i calzini come manopole.
Si sdraiò sopra il cuscino del letto.
‘Cazzo,finalmente un letto vero!Altro che i ponti di Borgo Elfo!’
Steiner lasciò a mezzo la rivestizione dei calzini,alzò la testa ed aggrottò le sopracciglia.
‘Borgo….Elfo?Perché,esistono anche loro?’
Alzò le spalle.
‘Se esistiamo noi,bimbo…’
‘Uau!E sono come quelli dei videogiochi?’
Rise.
‘Cioé,dei biondoni alti due metri?No,hanno la mia altezza…però rimangono comunque dei fottuti nazisti!Non fanno altro che combattere fra di loro o contro le altre creature del Regno Fatato!’
‘Guerre?Come quelle dei film?’
I suoi occhi si velarono,mentre gl’indicava la cicatrice che correva lungo l’ala sinistra e la spezzava a metà.
‘No,lì si muore sul serio,stronzetto…’
Ruggì.
Lui sbiancò ed alzò le mani.
‘Ok,ok,non sclerare…ma perché,scusa,sei finita nel loro esercito di fottuti nazisti?’
‘Pagavano,pagavano bene,come i Nani per lavorare nelle loro miniere…’
E gli mostrò le mani.
Steiner le prese fra indice e pollice,e sentì come un pezzo d’osso sotto le dita,per quanto erano callose e scabrose.
Lo vide scuotere la testa.
‘Ma,scusa,tu sai usare la magia,no?E allora perché,anziché ridurti a questo, non fai apparire i soldi,il cibo.i vestiti…?!?’
Sospirò.
‘Diciamo che quando mi sono presa una luuunga vacanza dal Palazzo delle Fate ero un po’ indietro con le lezioni di magia,ok…?’
‘Ah,e quindi?’
Ghignò.
‘E quindi?Quindi mi trasferisco armi e bagagli qui da te,almeno per un po’!
Sarai sempre meglio,Lambe,di quei mocciosi da cui quella vecchia bagascia della Regina voleva spedirmi…’
Steiner s’illuminò in volto ;ridacchiò e s’inchinò.
‘Posso esprimere il primo dei miei tre desideri?’
Lametta sorrise e s’inchinò a sua volta.
‘Vai,bimbo,sono al tuo servizio…’
§
Arrecht,15 Aprile-Lo stimato professore Arturo Willenstein,insegnante di Latino presso il Regio Ginnasio della nostra città,ha dato ieri uno spettacolo di sé quantomeno curioso in Via dei Tigli,mostrandosi completamente nudo alla cità lì riunita per lo struscio serale…
Steiner buttò sul letto la ‘Gazzetta di Arrecht’:che Willenstein fosse stato arrestato,portato in ospedale e messo a riposo anzitempo lo sapeva già grazie alla Radio Scarpa della sua e di altre classi.
Oltre che per altri motivi…
Si rivolse verso la casa delle bambole di sua sorella.
‘Grazie,Lametta!’
Trillò una voce da dentro.
‘Prego,Lamberto!’

#254 Comment By Rickyricoh On 11 dicembre 2010 @ 20:33

Ciao gamberetta,
Innanzitutto complimenti per l’articolo, forse il più approfondito mai letto via internet sull’argomento.
Un rischio però che potrebbe cogliere un tuo inesperto lettore è quello di esagerare col mostrato. Un uso eccessivo del suddetto infatti può risultare pesante tanto quanto quello del raccontato. Certo tu stessa metti in guardia dal pericolo del soffermarsi sull’inutile, alla boscoquieto, ma non è solo questo. Ci sono momenti in cui un raccontato è più efficace, anche per spiegare momenti importanti, ma in cui dire troppo e “concretizzare” farebbe perdere incisività a un momento narrativo. Un e poi lo uccise al momento giusto può benissimo essere migliore del mostrare specificamente ogni azione, se l’effetto voluto è quello di stupire il lettore.
Poi siamo d’accordo che la normalità debba essere l’uso del show don’t tell, e che il ricorso ai raccontati debba limitarsi solo ai precisi e rari momenti in cui davvero servono.
E’ chiaro comunque che, vista l’attuale situazione in cui gli scrittori che pubblicano sono ignoranti come la citata Elisa Rosso, sia molto più utile il tuo articolo che il mio commento, e finché la tendenza non sarà invertita farai bene a battere forte su questo tasto.
***
Riguardo al dibattito su Dead Poets Society invece la penso diversamente.
Inciso che Weir è uno dei più sottovalutati registi viventi, autore almeno di un capolavoro assoluto come Picnic ad Hanging Rock e di molti altri ottimi film, che non c’entra nulla ma volevo dirlo lo stesso, credo però che con la scena citata tu sia troppo severa.
Bisogna capire il contesto delle azioni del prof, in cui l’insegnamento era totalmente sbilanciato sulla metrica e sulle regole, come se non esistesse altro, tanto da prendere come esempio quelle teorie sulla geometrizzazione della poesia. Al giorno d’oggi un novello Robin Williams farebbe più un discorso rovesciato, incentrato sul rispetto delle regole poetiche e contro l’inflazione di spazzatura giustificata solo dalla “creatività dello spirito artistico libero”. Un po’ quello che fai tu in ambito narrativo sul fantastico, se posso permettermi.
Non bisogna infine dimenticare che è un film: un prof che insegna passione e meraviglia è un personaggio migliore di uno che riconduce tutto a coordinate cartesiane, almeno cinematograficamente. Come scrivi tu nelle premesse un film non è educazione, non imparo a scrivere poesie guardando L’attimo fuggente.

Chiudo e ti faccio ancora i complimenti per i manuali, davvero utili e piacevoli. A proposito, sai già se e quando ci sarà il prossimo?

#255 Comment By Rachele On 11 dicembre 2010 @ 20:46

Elena aprì e gli occhi e la prima cosa che vide fu una piccola luce che le danzava davanti agli occhi. Tastò il muro alla sua destra finchè non trovò l’interruttore e accese la luce.
“Ah!”
Davanti a lei una donna alata in miniatura sbatteva velocemente gli occhi grandi metà del viso e agitava avanti e indietro i piccoli piedini senza dita.
Si stropicciò gli occhi con la mano destra e con il braccio sinistro strinse a sè il peluche rosa a forma di coniglio. “Sto sognando?”
La donna in miniatura emise un suono simile a tante monete che cadono e passò una piccola mano a tre dita tra i corti capelli blu.
“Ma no sciocchina! Sono vera come quel tuo pigiama con le pecorelle.”
La bambina abbassò lo sguardo sul suo pigiama come per cercare conferma, poi tornò a fissare la sua interlocutrice a bocca aperta.
Galleggiava in aria senza sbattere le ali, che però emettevano una forte luce chiara, la luce che aveva visto quando si era svegliata.
“Sei… S-sei una fatina?”
L’altra rise di nuovo “Più o meno… cerco lavoro. Mi chiamo Lametta e sono qui per un colloquio come trovatutto.”
“Eh?”
Lametta sbuffò e soffiò su una ciocca di capelli che le era caduta sulla faccia per rimetterla a posto.
“Una trovatutto! Qualcuno che ti trova le cose perse!”
Elena strinse ancora più forte il peluche “Non ne ho mai avuta una, non sapevo nemmeno che esistessero.”
“Be’ ” e si mise a volteggiare attorno alla testa di lei “un motivo in più per assumermi, no?”
La bambina fece una smorfia, dopodichè annuì con la testa.
La sua nuova trovatutto sparì e dopo nemmeno un secondo riapparve con in mano due borse che la facevano piegare in due e dalle quali spuntavano catene, boa piumati e altri oggetti che non aveva mai visto, ma tutti colorati e dalla forma bizzarra.
“Cos’è quello?”
Lametta gettò i bagagli sul comodino di fianco al letto, tolse una bambola dalla sua culla e vi si accoccolò dentro.
“Niente.”
Elena si mise seduta su letto. Con il dito medio tracciava una linea invisibile sul copriletto e sbatteva ripetutamente i talloni tra di loro.
“Non dirmi niente. Perchè hai quei bagagli?”
Un mormorio “Uff… perchè a casa non ci torno. Mamma dice sempre che riempio la tana con roba inutile.”
“Ma… ”
“Ma cosa? Insomma, io ti trovo le cose e tu mi dai vitto e alloggio.”
“Però…”
“Però? Ma, però, non sai dire altro? Ti devo anche insegnare l’italiano?”
“Ehi!”
Elena si alzò dal letto, prese Lametta per le ali e le puntò contro l’indice. “Non trattarmi male! Sarò una bambina, ma sono sempre più grande di te!”
La scuotè con forza, quando la trovatutto le mostrò la lingua e scomparse di nuovo, insieme ai suoi bagagli.
“Permalosa! Con quel carattere chi ti prende!”

#256 Comment By Gamberetta On 12 dicembre 2010 @ 19:32

@Rickyricoh.

Chiudo e ti faccio ancora i complimenti per i manuali, davvero utili e piacevoli. A proposito, sai già se e quando ci sarà il prossimo?

Credo che il prossimo sarà a gennaio. Forse. In questi giorni ho l’influenza e non riesco a combinare molto, poi c’è Natale, e un sacco di cose da fare.

@Doc.Herbert West M.D. Come ti ho spiegato nel commento precedente devi usare la giusta spaziatura con la punteggiatura. Non ho voglia di farmi venire mal di testa a leggerti, è come se scrivessi in sms o in viola fosforescente su fondo viola.

@Rachele. Uhm, ci sono le cianfrusaglie e parzialmente il brutto carattere di Lametta, però, come già più volte detto, in un dialogo è difficile mostrare situazioni come “scappare da casa” o “in cerca di lavoro”.

Particolari raccontati che si potrebbero mostrare:

La sua nuova trovatutto sparì e dopo nemmeno un secondo riapparve con in mano due borse che la facevano piegare in due e dalle quali spuntavano catene, boa piumati e altri oggetti che non aveva mai visto, ma tutti colorati e dalla forma bizzarra.

– Il “dopo nemmeno un secondo” si può tagliare senza danno: “La sua nuova trovatutto sparì e riapparve con in mano ecc.”
– “altri oggetti [...] colorati e dalla forma bizzarra” li devi descrivere. Può essere che la bambina non li riconosca, e allora va bene non chiamarli per nome, però così offri pochino al lettore. Magari Lametta ha con sé una sfera di cristallo nella quale lottano pupazzi fatti di stuzzicadenti a cavalcioni di scarabei o forse una trottola che proietta ologrammi di agrumi parlanti. O quello che vuoi. Dare concretezza alla bizzarria è il bello di una storia fantasy.

Poi ci sono tutta una serie di dettagli che non sono gravi ma che potrebbero essere resi meglio, per esempio:

La scuotè con forza, quando la trovatutto le mostrò la lingua e scomparse di nuovo, insieme ai suoi bagagli.

Il quando introduce un’inutile pausa raccontata. Meglio:

La scuoté con forza. La trovatutto le mostrò la lingua e scomparve insieme ai suoi bagagli.

#

Con il dito medio tracciava una linea invisibile sul copriletto e sbatteva ripetutamente i talloni tra di loro.

Se usi l’imperfetto la ripetizione dell’azione è implicita nel verbo, perciò l’avverbio puoi tagliarlo senza remore.

La bambina fece una smorfia, dopodichè annuì con la testa.

Il dopodiché magari puoi renderlo con un pensiero:

La bambina fece una smorfia. Ma forse sarà divertente avere una fatina per casa, pensò. Annuì con la testa.

#

Lametta sbuffò e soffiò su una ciocca di capelli che le era caduta sulla faccia per rimetterla a posto.

Direi che non c’è bisogno di specificare.

[...] e indietro i piccoli piedini senza dita.

Direi o “piccoli piedi” o “piedini”, doppio diminutivo credo sia eccessivo.

#257 Comment By Doc.Herbert West M.D. On 12 dicembre 2010 @ 22:40

@ Gamberetta
Chiedo scusa : è quel cesso a pedali del mio PC che formatta male.
Provvedo a risistemartelo con la punteggiatura ricontrollata a mano…

#258 Comment By Doc.Herbert West M.D. On 12 dicembre 2010 @ 23:30

‘ Che male , porca merda ! ‘
Aveva picchiato la testa contro l’intelaiatura della finestrella , tradita da quella bava di vento e dal peso fra le ali che le aveva impedito di scuffiare .
Il sacco sulla schiena dondolò,gonfio di pioggia e di roba .
Non le importò-aveva trovato dove atterrare,e forse dove stare .
‘ Eeehh !? ‘
Sgranò gl’occhi quella vescica di lardo,non appena la vide entrare in camera.
Non lo biasimò ; aveva appena violato la prima delle Regole nel Rapporto cogli Umani,quella di non mostrarsi a quelli al di sopra dei dieci anni d’età .
‘ Eh , no , puttana della miseria !!! Due volte in una settimana è davvero troppo !!! ‘
Due volte…cosa ?!?
Stavolta fu lei a sgranare gli occhi .
‘ Ehy,bimbo,c’hai già conosciute ? ‘
‘ Sì , tu … lei … quella falena … 9 a Latino … il prof Wittenstein … ‘
Ci avesse capito una parola di quel farfugliare !
Alzò le braccia .
‘ Ehm , okay , bimbo,lo prendo per un sì … ‘
Slegò il sacco e sciorinò sul davanzale il contenuto , che precipitò anche sul pavimento : tomi , libercoli e pergamene ; alambicchi , provette e mortai ; bacchette di frassino , di betulla e di olmo ; astrolabi , sestanti e carte astrologiche ; spade , ascie ed alabarde elfiche …
Si diede una manata sulla fronte .
‘ Porca mignotta ! Ho lasciato la polvere d’unicorno nel Regno Fatato ! ‘
‘ Nel … cosa ? ‘
I suoi occhi fiammeggiarono .
‘ Senti , bimbo , non ho voglia di discuterne , d’accordo ?! ‘
Vide alzare le mani al tizio .
‘ Ah ! Fà pure ! Figùrati che voglia ho io di parlare con un’allucinaz … ‘
Reductio ! ‘
Un mucchietto di panni finì a terra , e sotto di esso una forma non più grande d’un topolino si dibatteva .
‘ Ordunque , si potrebbe sapere da Vostra Grazia il Suo nome e cognome , stronzate a parte ? ‘
Cinguettò .
‘ Steiner , Lamberto Steiner ! ‘
Squittì la voce da sotto gl’abiti .
‘ Lametta , veramente tanto piacere … Restauratio ! ‘
Sghignazzò , quando vide Steiner di nuovo nei suoi abiti,ma colle mutande come corona ed i calzini come manopole .
Si sdraiò sopra il cuscino del letto .
‘ Cazzo , finalmente un letto vero ! Altro che i ponti di Borgo Elfo ! ‘
Steiner lasciò a mezzo la rivestizione dei calzini,alzò la testa ed aggrottò le sopracciglia .
‘ Borgo … Elfo ?! Perché,esistono anche loro ? ‘
Alzò le spalle .
‘ Se esistiamo noi,bimbo … ‘
‘ Uau ! E sono come quelli dei videogiochi ? ‘
Rise .
‘ Cioé , dei biondoni alti due metri ? No,hanno la mia altezza … però rimangono comunque dei fottuti nazisti ! Non fanno altro che combattere fra di loro o contro le altre creature del Regno Fatato ! ‘
‘ Guerre ? Come quelle dei films ? ‘
I suoi occhi si velarono,mentre gl’indicava la cicatrice che correva lungo l’ala sinistra e la spezzava a metà.
‘ No , lì si muore sul serio , stronzetto … ‘
Ruggì .
Lui sbiancò ed alzò le mani .
‘ Ok , ok , non sclerare … ma perché , scusa , sei finita nel loro esercito di fottuti nazisti ? ‘
‘ Pagavano , pagavano bene , come i Nani per lavorare nelle loro miniere … ‘
E gli mostrò le mani .
Steiner le prese fra indice e pollice,e sentì come un pezzo d’osso sotto le dita,per quanto erano callose e scabrose .
Lo vide scuotere la testa .
‘ Ma , scusa , tu sai usare la magia , no ? E allora perché , anziché ridurti a questo , non fai apparire i soldi , il cibo ,i vestiti … ?!? ‘
Sospirò .
‘ Diciamo che quando mi sono presa una luuunga vacanza dal Palazzo delle Fate ero un po’ indietro con le lezioni di magia , ok … ? ‘
‘ Ah , e quindi ? ‘
Ghignò .
‘ E quindi ? Quindi mi trasferisco armi e bagagli qui da te,almeno per un po’ !
Sarai sempre meglio , Lambe , di quei mocciosi da cui quella vecchia bagascia della Regina voleva spedirmi a far da asciugamocci … ‘
Gli occhi di Steiner s’accesero .
‘ Toglimi questa curiosità : io ti ospito anche , ma è una cosa gratuita o … ? ‘
Lametta fece spalluccie .
‘ O . Non ho rinnegato le leggi del Piccolo Popolo fino a questo punto , ma t’avverto , Steiner , che non sono la tua schiavetta … ‘
Steiner ridacchiò e s’inchinò .
‘ Compreso ! Posso esprimere , allora , il primo dei miei tre desideri ? ‘
Lametta s’inchinò a sua volta con un ghigno .
‘ Vai , bimbo , sono al tuo servizio … ‘

*

Arrecht , 15 Aprile – Lo stimato professore Arturo Willenstein , insegnante di Latino presso il Regio Ginnasio della nostra città , ha dato ieri uno spettacolo di sé quantomeno curioso in Via dei Tigli , mostrandosi completamente nudo alla cità lì riunita per lo struscio serale …
Steiner buttò sul letto la ‘ Gazzetta di Arrecht ‘ : che Willenstein fosse stato arrestato , portato in ospedale e messo a riposo anzitempo lo sapeva già grazie alla Radio Scarpa della sua e di altre classi .
Oltre che per altri motivi …
Si rivolse verso la casa delle bambole di sua sorella .
‘ Grazie , Lametta ! ‘
‘ Prego , Lamberto ! ‘
E dall’interno giunse un trillo : la risata di Lametta .

#259 Comment By Taminia On 27 dicembre 2010 @ 19:38

- Tirìn? Tirìn?
La fatina verde si svegliò di soprassalto.
- Ma che… Lametta, si può sapere cosa sta succedendo?
Lametta sorrise, maliziosa.
- Ho trovato un nuovo lavoro!
Tirìn la fissò negli occhi.
- Non tentare di prendermi in giro. Non sono mica tua madre, che hai sempre abbindolato come se niente fosse!
- Dico sul serio, brontolona. Ho trovato un impiego come fotografa!
- Mmh, Lametta? Da quando ti interessi alla fotografia?
La fatina gialla svolazzò per la stanza, volando a gambe incrociate.
- Da oggi. Mi sono accorta solo ora che il mio futuro è nello scatto. Ho ripreso la vecchia macchina fotografica di zia Chantal…
- Pensavo che avessi buttato via quella roba. E sarebbe anche ora che ti liberassi di tre quarti delle tue cianfrusa… Ahi!
Lametta estrasse la mano dall’ala di Tirìn, che aveva trapassato da parte a parte. Non era pericoloso, ma doloroso sì.
- Se sono scappata di casa non è stato certo per farmi comandare a bacchetta da una fatucola come te. Siamo solo coinquiline, ricordalo. Devo andare al lavoro, addio.
Volò fuori dalla stanza.
- Brava, vai a farti licenziare in giornata come l’ultima volta!
Lametta non si voltò. Tirìn continuò a sbraitare per tutta la strada da percorrere per il suo ufficio.

#260 Comment By pu*pazzo On 29 dicembre 2010 @ 20:10

quanto è interessante questo articolo! io purtroppo non conoscevo affatto queste regole, ma devo dire che un po a naso, leggendo moltissimi libri, ci ero arrivato … solo che ho un po di perplessità che spero qualcuno di voi possa chiarirmi :) (non sono molto sveglio XD)
allora sono concorde sul fatto show don t tell etc …ok! però ad esempio …io ho scritto (senza velleita pubblicatorie, solo cosi) un libro fantasy … è molto lungo e infatti sto cercando di ridurlo un po’. Però mi sono accorto che “mostrare” è infinitamente piu lungo che “raccontare” … e quindi mi chiedo se esistano casi in cui è meglio raccontare… ad esempio quando si cambia scena, o è passato del tempo,o ancora sono accaduti fatti secondari, non fondamentali per la storia o poco interessanti, ma ugualmente utili a far capire il contesto delle prossime scene etc insomma in questi casi non si rischia di cadere nel prolisso mostrando tutto? e allora che si fa? si racconta? o è preferibile “tagliare” del tutto? non si rischia di rendere poco accessibile la storia tagliando degli eventi, seppur magari non troppo incisivi?
scusate non mi sono spiegato bene, lo so … ho il cervello attorcigliato oggi ç__ç

faccio un esempio: prendiamo un libro che parla di michele e del suo lavoro di imbianchino. Michele andando al lavoro ha un incidente con la macchina che noi MOSTRIAMO accuratamente. A causa di questo dovrà rimanere a letto per un mese. Ecco io “a naso” il mese di convalescenza, a meno che non capitino fatti importanti ai fini della storia, lo riassumerei con un “raccontare” …mentre riprenderei il “mostrare” quando lui torna al lavoro e viene licenziato a causa dell’incidente … è giusto? se non lo è come la risolvereste? lo tagliereste? ma non sarebbe “spiazzante” tagliare un mese intero per il lettore?

grazie mille per i consigli :)
grazie mille :)

#261 Comment By pu*pazzo On 29 dicembre 2010 @ 22:11

provo anche io a fare l’esercizio ^__^

Lametta si grattò i capelli rossi, bloccandosi di colpo.
“ecchecavolo!” esclamò sbuffando
il voalabus era passato in anticipo, come al solito!
Eccolo, era li che sgusciava via tra il traffico mattutino, lasciandola a piedi proprio il giorno del colloquio!
la fatina infilò la mano nella enorme borsa che portava a tracolla, estraendone un orologio a cipolla. Lo scosse accanto all’orecchio con veemenza.
“maledetto aggeggio, si è di nuovo fermato! sibilò socchiudendo gli occhi verdi.
Proprio in quel momento una fata impellicciata la scontrò con il grosso sedere, facendole cadere la borsa.
Chiavi, anelli, pulzitreni magici, libri di necromanzia druidica e un intero set da poker con tanto di fiches, rotolarono qua e là sul marciapiede, fermando l’andirivieni della folla.
“noo! stia attenta a dove va!” gridò rabbiosamente Lametta alla fata impellicciata, che si voltò a guardarla con aria offesa.
“stia attenta lei! io andavo per la mia strada!”
la fatina digrignò i denti, trattenendo l’istinto di saltare al collo di quella grassona, e si chinò a raccogliere la sua preziosa roba.
“hey tu moccioso, quello è mio lascialo stare!” abbaiò ad un fatino che si era avvicinato al suo acchiappatrucioli.
Fece in tempo a sollevare la testa, per rendersi conto che aveva appena perso il volabus. Un altro.
Sospirò, sedendosi amareggiata sul marciapiede.
perche andava sempre tutto storto? eppure lei ce la metteva tutta per trovare un lavoro part time decente e una sistemazione degna di questo nome!
Trasalì quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla.
“lametta quanto tempo!”
Un giovane fatino con spessi occhiali le sorrideva tendendole la mano.
Lametta aggrottò le sopracciglia e si alzò in piedi, rifiutando l’aiuto.
“Gorillo! che ci fai qui in città?”
Lui si strinse nelle spalle, ficcando le mani in tasca.
“non mi dire che … no … non è possibile! ti manda LEI vero?”
Gorillo tossicchiò imbarazzato
“lametta devi capire che tua zia è molto preoccupata! senza contare nonna Arolda, non fa che fare e disfare la stessa sciarpa da quando sei scappata da casa!”
La fatina lo guardò per un momento con la bocca semiaperta. Poi alzò le braccia.
“mavaffanculo, te e la nonna Arolda!” disse mentre spiccava il volo verso la palestra. Aveva perso il colloquio ormai, ma non voleva certo perdere la sua lezione di fit spinning tegolato!

#262 Comment By Gamberetta On 31 dicembre 2010 @ 07:15

@Taminia. Alle solite: il dialogo in sé non è malvagio, ma come già ripetuto diverse volte, un dialogo mostra più il carattere dei personaggi che non l’argomento oggetto del dialogo medesimo.

L’inizio è un po’ confuso, con quel “Tirìn” che non è subito chiaro sia un nome. Sarebbe il caso cominciare una scena mettendo subito in chiaro chi sia il personaggio punto di vista. Per dire:

Lametta chinò il viso sulla fatina addormentata. – Tirìn? Tirìn?

Più avanti non è subito chiaro che Tirìn è la fatina verde e Lametta quella gialla. Inoltre una fatina gialla o verde è perché ha la pelle di quel colore? Non è ovvio. Nel caso di Lametta si può aggiungere il dettaglio in un altro punto. Per esempio:

Lametta svolazzò per la stanza. Le ali brillarono di riflessi gialli.

#

Tirìn continuò a sbraitare per tutta la strada da percorrere per il suo ufficio.

Qui non è chiaro: l’ufficio è di Tirìn o di Lametta? Perché il “suo” si riferisce al soggetto della frase, in questo caso a Tirìn.

@pu*pazzo. Come detto nell’articolo, la soluzione migliore è mostrare, e se ci si accorge che il mostrato risulta noioso si taglia. Se si scelgono le scene giuste da mostrare, il lettore capisce senza problemi i collegamenti.

[...] mentre riprenderei il “mostrare” quando lui torna al lavoro e viene licenziato a causa dell’incidente … è giusto? se non lo è come la risolvereste? lo tagliereste? ma non sarebbe “spiazzante” tagliare un mese intero per il lettore?

Sì, di solito è giusto saltare il mese di convalescenza. Tuttavia nessuno ti vieta di inserire una breve scena con la nonna che va a trovare Michele mentre è a letto. Così appare chiaro al lettore cosa sia successo. Se la fai breve e il dialogo è in sé buono, può essere una scena degna anche se magari non è una scena vitale per la storia.
Oppure puoi creare una situazione nella quale suoni naturale per Michele raccontare quello che è successo: per esempio se lo mostri che esce di casa la mattina presto per andare al lavoro, non sarebbe stonato un pensiero nel quale rimugina sul mese a letto. Mese noioso, ma almeno la mattina dormiva fino a tardi.

Parlando in generale: è vero che il mostrare è più lungo del raccontare, ma l’idea di fondo è che tu mostri solo l’essenziale per la storia. Di Michele mostri incidente, eventuale convalescenza, ripresa del lavoro se sono elementi importanti per la vicenda. Se la vicenda si incentra sul fatto che Michele è un vampiro, probabilmente quanto sopra è tutto da tagliare e basta.

#

Venendo all’esercizio. Vanno bene i problemi causati dalle cianfrusaglie. È raccontato che Lametta cerchi un lavoro e sia scappata da casa.

Dal punto di vista tecnico devi stare attento ai gerundi. In italiano di solito implicano contemporaneità, ed è raro che un personaggio compia due azioni assieme.

Lametta si grattò i capelli rossi, bloccandosi di colpo.

O si gratta o si blocca. Inoltre “di colpo” è inutile, è implicito nel verbo.

la fatina infilò la mano nella enorme borsa che portava a tracolla, estraendone un orologio a cipolla.

Sono due azioni separate: infilò la manina, estrasse un orologio a cipolla. Già che sono qui: “enorme” è generico, quanto devo immaginarla grossa una borsa enorme per una fatina? Probabilmente non è “un orologio” a cipolla, ma è “l’orologio” a cipolla. Il punto di vista è della fatina, e lei sa di quale orologio si tratta.

Chiavi, anelli, pulzitreni magici, libri di necromanzia druidica e un intero set da poker con tanto di fiches, rotolarono qua e là sul marciapiede, fermando l’andirivieni della folla.

Qui oltre al gerundio c’è il problema che “fermare l’andirivieni” è raccontato. Mostra il libro di negromanzia che allunga un artiglio e fa inciampare una fatina, mostra un folletto che si fionda su un anello che luccica e viene travolto da uno gnomo in bicicletta, mostra un fatino che si tuffa sulle fiche credendole soldi veri, e così via.

la fatina digrignò i denti, trattenendo l’istinto di saltare al collo di quella grassona, e si chinò a raccogliere la sua preziosa roba.

Magari “trattenendo l’istinto” si può rendere con un pensiero: “Se la cicciona apre ancora la bocca le salto al collo!”. Non credo che Lametta pensi ai suoi preziosi ammennicoli come “roba”.

Gorillo tossicchiò imbarazzato

L’imbarazzato lo puoi togliere è implicito nel gesto.

La fatina lo guardò per un momento con la bocca semiaperta. Poi alzò le braccia.

Meglio: “La fatina lo guardò con la bocca socchiusa. Alzò le braccia.”

#263 Comment By IlBianConiglio On 31 dicembre 2010 @ 23:03

Premetto che non ne so molto di fatine, folletti et similia, ma volevo comunque mettermi alla prova. Ah, vista l’ora: buon anno a tutti.

“Tocca a me.”
Non era una domanda, e il tono era tutto meno che gentile.
Il folletto alzò la testa dal modulo che stava compilando. Gettò un’occhiata alla fatina che avanzava con passo deciso al suo tavolo.
‘Oh no, è di nuovo lei!’
L’avrebbe riconosciuta anche in mezzo alla folla delle bancherelle di piazza Maroppa: lo yo-yo che penzolava attaccato al dito indice, la cordicella tutta sfilacciata e piena di nodi; le scarpine da ginnastica con i lacci colorati gialli e rossi (la destra) e bianchi e fucsia (la sinistra); i calzoncini con le tasche rigonfie, da una sporgeva quello che sembrava essere un fischietto, dall’altra la testa di un pupazzetto di peluche, un pinguino forse; la camicia verde con il taschino ricolmo di penne dai tappi mangiucchiati, spille con lo smile e… per tutte le pentole d’oro! Erano cotton-fioc quelli?
“Bene. Mi siedo.”
E si sedette. I campanelli che teneva legati al collo scatenarono una tempesta di din don dan.
‘Sopportiamo anche questa…’
“Signorina Lametta!” Salutò lui fingendo allegria. “Cosa posso fare ancora per lei?”
La fatina soffiò nel bubble-gum che stava masticando, la bolla si gonfiò in fretta. Scoppiò a pochi centimetri dal naso adunco dell’impiegato dell’ufficio di collocamento.
“Indovina, naso-a-punta. Secondo te perchè sono qui?”
‘Di certo non per una lezione di buone maniere…’
“Signorina Lametta, lei è stata licenziata tre volte…”
“Cose che capitano.”
“… solo nell’ultima settimana.” Completò il folletto, sospirando. La sua attenzione era stata attirata dal cappello a punta della fatina: era verde, e aveva infilate delle penne di fagiano e di cornacchia all’apice.
‘Ma non lo sa che la moda Peter-pan è passata da tempo?’
Lametta inclinò lo schienale della sedia e gettò entrambi i piedi sulla scrivania. La suola della scarpa di destra era bucata, e il foro non era nemmeno tanto piccolo.
“Andiamo, Jesper, so che tu puoi fare miracoli. Un lavoro ci sarà pure, no? Che so, un desiderio da esaudire, un moccioso da aiutare…”
“Be’, ci sarebbe il figlio dei Gorazzi. Ha assoluto bisogno di una fatina, contavamo di mandargliene una questo pomeriggio…”
“Questo pomeriggio ho il corso di teatro, non si può fare.” Disse, perentoria, come se spettasse a lei decidere.
“Allora domani sera: il comune sta organizzando una spedizione per catturare le lucciole da usare nella festa di Corasso.”
“Domani sera… domani sera… Non posso! Ho lezione di cucina.”
Il folletto scosse la testa, rassegnato.
“Lametta, parliamoci chiaramente: lei vuole un lavoro o no?”
Lei tolse i piedi dalla scrivania. Passandosi una mano fra i capelli castani giocherellò con un ricciolo. Il folletto notò che aveva le unghie sporche e mangiucchiatte.
“Certo che lo voglio…”
“E allora deve impegnarsi: le do un’ultima possibilità. Martedì: un lavoro per Mastro Foglia, accetta?”
Lametta abbassò gli occhi, ci pensò su un attimo.
Sospirò.
“Va bene, accetto.”
“D’accordo, allora. Le arriverà la documentazione a casa entro la fine della giornata. L’indirizzo è sempre quello?”
La fatina tossicchiò.
“Ehm… no.”
“Non abita più coi suoi? E dove si è trasferita?”
Lei alzò le spalle.
“Un po’ qui, un po’ lì… dove capita insomma. Sai, per i miei ero diventata un peso… Senti, Jesper, non puoi darmele subito le scartoffie?”
Il folletto annuì, comprensivo. Si chinò e raccolse una pila di fogli. La sfogliò rapidamente fino a raggiungere la pagina che gli interessava.
“Ecco qua. E mi raccomando, impegnati questa volta!”
“Come sempre, naso-a-punta!” Rispose lei, cogliendo al volo il pezzo di carta e infilandoselo nella tasca dei pantaloni, dietro al pinguino. Poco prima di andarsene si tolse la cicca dalla bocca e la attaccò sotto al tavolo.
“Speriamo di non vederci più, Jespy!”
Il folletto scosse la testa e tornò ai suoi moduli
‘Il tre per cento…’
Con la mano cercava la penna, senza trovarla. Alzò il capo, si guardò in giro, aprì il cassetto della scrivania. Niente. Poi si ricordò delle biro che Lametta teneva nel taschino della camicia; non ne aveva forse una in più quando se ne era andata?
‘Speriamo di non vederci più, Lametta…’

#264 Comment By pu*pazzo On 1 gennaio 2011 @ 22:00

grazie per la risposta molto esauriente! in effetti quella della scena all’interno di un periodo poco importante (magari inventandosi qualche evento piu interessante o divertente) è un ottima idea!

sono anche molto d’accordo sugli appunti che mi hai fatto per l’esercizio (specie suglia ggettivi inutili, ci casco sempre :( )
…tranne una cosa che non ho capito: il fatto del gerundio! ammetto che io lo uso spesso, e lo faccio perche tento di dare un idea di contnuità e movimento “filmico”alla storia ..specie nei dialoghi (nei quali lo uso moltissimo) infatti ho notato che raramente, quando si parla, si sta fermi immobili. Generalmente le persone mentre parlano fumano, muovono lo sguardo, le mani, si piegano, tossiscono, si grattano il naso etc etc forse usando questi gerundi distraggo l’attenzione dal dialogo? (in teoria il mio intento sarebbe proprio quello di creare pathos prima del dialogo, per attirare maggior attenzione, ma magari ottengo l’effetto contrario ^^’) anche sulla frase da te corretta sono rimasto un po stupito perche se avessi scrito “lametta si grattò i capelli mettendosi le dita nel naso” ok è un erroraccio …perche o le mani le hai in testa o nel naso XD però in quel caso ..se uno si gratta la testa può anche contemporaneamente smettere di camminare/volare …o no? insomma non capisco se il mio errore è generico (= non si devono usare troppi gerundi perche rende la lettura difficoltosa e pesante o altro) oppure specifico (= non si possono fare due azioni contemporaneamente) la seconda cosa mi trova un po’ in disaccordo (con tutta l’umiltà del caso dato che io sono digiuno di regole di scrittura ;))

grazie mille per il tuo aiuto ! (magari conoscessi una persona come te che mi potesse aiutare a revisionare le mie scribacchiate …invece mi tocca rompermi la testa contro il muro sempre sulle solite cose XD)

#265 Comment By Taminia On 2 gennaio 2011 @ 09:40

In effetti hai ragione per la storia della fatina colorata, ho commesso l’errore di considerato il brano come se facesse parte di un contesto. Il “suo”, avrò considerato scontato che Lametta andasse in un negozio o ad un evento per fare la fotografa, non in un ufficio.
Terrò conto dei consigli e degli ottimi appunti ;)

#266 Comment By Gamberetta On 3 gennaio 2011 @ 07:17

@IlBianConiglio. Una nota tipografica: se usi le virgolette alte per i dialoghi, non usare le virgolette singole per i pensieri, ci si confondo facilmente. Usa il corsivo per i pensieri.

Il dialogo non è scritto male, ma è il solito problema di fondo di molti esercizi: è mostrato il carattere di Lametta (e questo va bene) e del folletto (e questo è neutro), il fatto che la fatina sia scappata da casa o abbia problemi a tenersi un lavoro è solo raccontato.

Comunque ci sono molti dettagli concreti, il livello della scrittura è decente.
Alcune note:

“Tocca a me.”
Non era una domanda, e il tono era tutto meno che gentile.
Il folletto alzò la testa dal modulo che stava compilando.

Scritta così sembra che a parlare sia stato il folletto. Se una battuta è ambigua, conviene specificare il soggetto (Lametta in questo caso).

[...] da una sporgeva quello che sembrava essere un fischietto [...]

Tanto il lettore non può distinguere “un fischietto” da “quello che sembra un fischietto”.

“Signorina Lametta!” Salutò lui fingendo allegria. “Cosa posso fare ancora per lei?”

Visto che sei nella testa del folletto, puoi forse usare un pensiero per rendere la falsa allegria.

«Signorina Lametta!» Il folletto sorrise. «Cosa possa fare ancora per lei?» Hai bisogno di qualcuno che ti rispedisca a casa a calci? Basta chiedere!

#

La fatina soffiò nel bubble-gum che stava masticando, la bolla si gonfiò in fretta. Scoppiò a pochi centimetri dal naso adunco dell’impiegato dell’ufficio di collocamento.

Dato che il punto di vista è saldo nella testa del folletto, puoi scrivere: “Gli scoppiò davanti al naso” o “Scoppiò davanti al naso del folletto”. Non ti preoccupare di specificare la storia dell’ufficio collocamento, si capisce. Poi toglierei i pochi centimetri: date le dimensioni di fatine e folletti, pochi centimetri non è tanto vicino.

Passandosi una mano fra i capelli castani giocherellò con un ricciolo.

Giocherella con il ricciolo senza passarsi la mano tra i capelli, perché ha in testa il cappello a punta.

Lametta abbassò gli occhi, ci pensò su un attimo.
Sospirò.

È sottointeso dai due gesti che ci pensa un attimo.

La fatina tossicchiò.
“Ehm… no.”

Qui basta spostare le frasi per mostrare la pausa: “«Ehm.» La fatina tossicchiò. «No.»”

Il folletto annuì, comprensivo.

Inutile. Al massimo potresti provare a inserire un pensiero:

Il folletto annuì. Ma questa è l’ultima volta che aiuto una fatina svampita, lo giuro sulla bacchetta magica della nonna!

@pu*pazzo. Il problema del gerundio in generale l’ho spiegato nelle FAQ, qui.
In particolare per quanto riguarda i dialoghi, è verissimo che durante il dialogo ti muovi, ma non è detto che lo fai proprio mentre pronunci le battute (per esempio di sicuro non puoi parlare e tossire allo stesso tempo). Per maggiori dettagli ti rimando al manuale appropriato, qui.
Il problema di fondo del gerundio è che è vago. Se io scrivo che Anna si siede, il lettore vede Anna che si siede. Se scrivo “sedendosi” l’azione è sospesa nel tempo. Anna ha finito o no di sedersi?
Nella gran parte dei casi, si può togliere il gerundio a favore di maggiore precisione. È raro che una persona sul serio compia due azioni allo stesso tempo e sia importante sottolineare questo fatto.

#267 Comment By Francesco Terzago On 3 gennaio 2011 @ 16:29

Cara Gamberetta,
solitamente sono piuttosto d’accordo con quanto scrivi ma questa volta, nel vederti citare Eliot come IL modello da seguire ho avuto una mezza sincope.
Una persona non iniziata alla lettura della poesia di Eliot ci capirà poco o nulla, e il suo lavoro saggistico ci ha precipitato nell’abisso, assieme a quello di molti altri suoi contemporanei, del post-modernismo (ha fatto del male alla poesia solo quanto Bloom e il suo ‘canone’) potevi mettere Carver, che ha presente molto più di Eliot, a mio avviso, i limiti della letteratura.

Il problema in poesia è proprio che solitamente si determina il valore di un’opera esclusivamente in base all’apparato critico che la riguarda e da chi questo è stato steso (cioè a un messaggio persuasivo di corredo), come per la bibbia dei cattolici dove senza esegesi non si va da nessuna parte (sic). Nel mondo latino l’opera poetica ormai non può più sussistere autonomamente, non vorrei che questo accadesse anche alla narrativa. Se hai tempo dai un’occhiata all’ultimi almanacco del Lo Specchio: carta da mandare al macero.

Magari in poesia si parlasse di show don’t tell ecc.. Ma non è così. Parlando del nostro paese i poeti non hanno idea di che cosa sia un manuale di scrittura creativa e vanno avanti senza raccontare niente, questo certo, perché in parte il pensiero imperante è sì – mal interpretato – quello che viene espresso nella scena dell’attimo fuggente che ci hai ri-mostrato ma, soprattutto, per lo stra-potere non della critica intesa come gli uomini che si dedicano alla critica, ma alla critica intesa come credo, e la critica come credo si avvale non degli strumenti della linguistica testuale, della pragmatica e via discorrendo, per giudicare una poesia, ma di quelli tipici della tradizione della storiografia letteraria (e in Italia parlare di tradizione letteraria va di pari passo con il parlare di demoni che possiedono il poeta nell’atto creativo, sbandierare il fatto che la poesia sia qualcosa di divino, sostenere che non si può insegnare a fare poesia e fregnate simili; o dall’altra parte nel dire che si comprende un certo tratto psicologico del Pascoli dal fatto che utilizza parole con tante i: queste cose a casa mia sono, nella migliore delle ipotesi, religione).

Così non importa che un poeta racconti, mostri, persuada; parli di cose di cui è giusto parlare o della sua unghia incarnita, che venda o che venga letto, interessa solo che sia l’ultimo germoglio di un albero, di quell’albero, che Eliot definisce proprio come poesia. O, per finire, che faccia parte del gruppo letterario in voga o che è ‘protetto’ da, per fare un esempio tra tanti, Nazione Indiana.

Per il resto, complimenti come sempre.

#268 Comment By Gamberetta On 3 gennaio 2011 @ 20:05

@Francesco Terzago. Mi devo essere spiegata male. Quello che ho detto riguardo a Eliot è:
1) Lui è un poeta mentre Robin Williams no. E non mi pare ci siano dubbi.
2) Eliot sostiene l’importanza nell’arte – nell’arte in generale non solo nella poesia – di un principio che lui chiama diversamente ma che in pratica è lo “Show don’t tell”.
3) Ho apprezzato il fatto che abbia giudicato Shakespeare in base a un ragionamento (applicazione di un criterio), non in base ai gusti, all’istinto, o a quello che dicono gli altri. Magari ha preso una cantonata, magari no. Non me ne intendo abbastanza per giudicare, però mi sembra che il modo di procedere di Eliot in quel saggio sia corretto. Molto più corretto di chi giudica Shakespeare (o Manzoni) un genio “perché sì”.

Inoltre Eliot era solo una risposta a Robin Williams e a certa retorica. Lo scopo dell’articolo è aiutare gli (aspiranti) scrittori di fantasy e fantascienza, ed Eliot c’entra fino a un certo punto. Io invito a leggere i manuali di Scott Card o David Gerrold, non la saggistica di Eliot.

Dopodiché sulla critica alla critica letteraria in Italia siamo d’accordo.

#269 Comment By pu*pazzo On 3 gennaio 2011 @ 20:29

grazie, mi ero perso queste faq O__O (adesso me le leggo tutte XD) comunque ho capito piu o meno che intendi, cercherò dove è possibile di sostituirlo, e di “semplificare” (parola che dovrei tatuarmi sulla fronte come buon proposito del 2011!!)

#270 Comment By IlBianConiglio On 3 gennaio 2011 @ 20:56

Per prima cosa grazie delle correzioni. E poi:

Riguardo il fischietto: ho messo ‘quello che sembrava essere’ perchè, usando il punto di vista del folletto, era verosimile che questo non riconoscesse l’oggetto come un fischietto. E’ lo stesso motivo per cui ho concluso col ‘forse’ la frase: ‘un pupazzo di peluche, un pinguino forse’.

Riguardo il raccontare la fuga di casa: hai ragione, l’ho raccontata. Ho cercato di mostrare la difficile condizione economica di Lametta descrivendo il buco nella scarpa e le unghie sporche e mangiucchiate, ma forse non ho sottolineato abbastanza questi dettagli (che, devo dire, si potrebbero benissimo essere persi nella descrizione generale dell’abbigliamento di Lametta).

Riguardo il cappello e il passarsi la mano fra i capelli: questo è l’errore che più mi rode di aver fatto. A mia discolpa posso dire di aver scritto prima della mano che passa fra i capelli e poi, volendo inserire la battuta del folletto su peter-pan, aver messo il cappello a punta, anche per una maggiore caratterizzazione del personaggio.
Rileggendo meglio e con maggiore attenzione avrei notato l’errore. Forse. Per il momento so solo di averlo commesso.

Riguardo il corsivo: ovviamente hai ragione.

#271 Comment By AndreaFurlan On 11 gennaio 2011 @ 16:47

MI permetto un commento che penso pochi apprezzeranno…
Tra raccontare e mostrare la scelta migliore è… soggettiva.
Ebbene la penso così. Certo, ci sono dei limiti alla soggettività, ma bene o male possiamo dire che è così.

Ad esempio non trovo difficoltà a immaginarmi un’armeria ad esempio.

“PROTAGONISTA entrò in un’armeria arredata alla meno peggio, vecchia e con armi scadenti. In più, c’era una puzza terribile che riempiva le narici di PROTAGONISTA.”

Questo è raccontato e a me va benissimo.
Mi spiego meglio. Non si capisce da cosa puzzi l’armeria. Ma di certo non da cavolfiore. Mentre scorro l’occhio sul testo mi verrebbe spontaneo pensare che puzzi da chiuso, da ruggine.
Il fatto è che buona parte del lavoro lo fa la nostra fantasia.

D’altra parte, e qui poniamo il limite, non si può raccontare la stanza dove il protagonista passerà mezzo romanzo, ad esempio se il protagonista è un alchimista e prepara le pozioni in quella stanza. E’ un luogo continuamente frequentato nel romanzo ed è bene che la fantasia venga (almeno parzialmente) frenata dall’autore.

A tal proposito date un occhio a questa pagina. E’ il blog di un editor e l’articolo è ispirato proprio a Gamberetta e al suo Manuali-3:

http://laveraeditoria.splinder.com/post/23649593/mostrare-raccontare-fregarsene

Ciao a tutti

Andrea di ilgiovanescrittore.wordpress.com

#272 Comment By Gamberetta On 11 gennaio 2011 @ 17:31

@AndreaFurlan.

Ad esempio non trovo difficoltà a immaginarmi un’armeria ad esempio.

“PROTAGONISTA entrò in un’armeria arredata alla meno peggio, vecchia e con armi scadenti. In più, c’era una puzza terribile che riempiva le narici di PROTAGONISTA.”

Questo è raccontato e a me va benissimo.

A te andrà benissimo, ma scrivere così è poco rispettoso di chi ti dedicasse tempo (ed eventualmente soldi). Non importa se l’armeria è un ambiente di passaggio o il fulcro della storia, le “armi scadenti” o l’“arredata alla meno peggio” o la “puzza terribile” non si scrivono. Ti documenti e scrivi con precisione (compatibilmente con il punto di vista) qual è l’arredamento, quali sono i problemi con le armi, di quali odori si tratta.
Arthur Hailey per scrivere un paio di paragrafi ambientati in un’officina, si è fatto assumere come meccanico una settimana. Non esiste l’andare a spanne, esiste lo scrivere con competenza.

Il fatto è che buona parte del lavoro lo fa la nostra fantasia.

No. Se il romanzo è scritto come si deve, il lettore non deve lavorare. Se il lettore deve affidarsi alla sua di fantasia siamo di fronte a un testo scadente (almeno dal punto di vista stilistico). Credevo che questo punto fosse stato illustrato a dovere.

#273 Comment By france On 11 gennaio 2011 @ 18:19

@Andrea Furlan

Se quel blog è davvero di un redattore che lavora presso una Casa Editrice, capisco bene com’è che in italia gira tanta spazzatura.

#274 Comment By AndreaFurlan On 11 gennaio 2011 @ 18:19

Bè allora Gamberetta, come detto prima, la questione è che questa cosa è appunto parzialmente soggettiva.
Anche perché c’è differenza tra l’armeria di passaggio e l’armeria dove PROTAGONISTA passa mezzo romanzo.
C’è differenza perché da quello che mi hai insegnato tu, e ti ringrazio per questo, se si mostra (quindi anche dettaglia) l’armeria di passaggio si cade anche nell’inforigurgito. O no?

Ciao

Andrea di ilgiovanescrittore.wordpress.com

#275 Comment By AndreaFurlan On 11 gennaio 2011 @ 18:21

@france
che sia davvero di un editor non te lo so dire.
Comunque perché dici questo? Mette alla luce tante relatà finora mai provate (che io sappia).
Dai uno sguardo agli altri suoi articoli.

Ciao
Andrea di ilgiovanescrittore.wordpress.com

#276 Comment By ??? On 11 gennaio 2011 @ 19:48

@ Andrea Furlan

Stai confondendo due concetti.

Prendiamo l’armeria (quella che vuoi):

1) Mostrare

Marco aprì la porta dell’armeria ed entrò. Una zaffata di muffa e aria stantia l’avvolse. La polvere lo fece tossire.
Sulle rastrelliere non c’erano che alabarde arrugginite e coperte di ragnatele. Alle pareti erano appesi tre scudi di legno marcio e due balestre senza la corda.

Qui non sto vomitando informazioni a caso. Semplicemente sto descrivendo (un po’ a cazzo, perché improvvisato) in che stato è l’armeria.

2) Infodump

Marco aprì la porta forgiata dai nani di MIxatul cinquemila anni prima ed entrò nell’armeria abbandonata di Xatos, il Signore Maledetto, re degli orchi di Jababa, morto per mano di Rezal il prode. Sulla rastrelliera, tra alabarde impolverate e spadoni a due mani, scintillava la Lama di Luna, la spada di cristallo etereo infusa del potere di Feal, dea della giustiza. Marco l’afferrò. La sollevò in aria e urlo a pieni polmoni: “Evvai! Sono salito di livello!

Qui ci sono un sacco di Info a Cazzo (infodump), ovvero tutto ciò che è spiegazione superflua e non è presente in scena.

Come vedi è diverso dal mostrare!

#277 Comment By Gamberetta On 11 gennaio 2011 @ 20:23

@AndreaFurlan. Io posso scrivere:

Anna andò al supermercato e comprò il latte.

Può essere un breve raccontato perché ho bisogno di comunicare questo dettaglio ma sarebbe pesante costruirci una scena attorno.
Tuttavia se scrivo:

Anna andò al supermercato. Un negozio arredato alla meno peggio, impestato da una puzza terribile, che vendeva prodotti scandenti.

Sto sbagliando. I casi sono due: o il fatto che il supermercato sia misero ha rilevanza per la storia, e allora devo mostrare, oppure non ha importanza, e allora perché devo specificarlo? Per infastidire il lettore? Perché, come spiegato passo passo nell’articolo, questo tipo di “descrizioni”, infastidiscono. Costringono il lettore a uscire dalla storia per dare lui concretezza ai dettagli troppo vaghi.

L’inforigurgito è un’altra questione. È il vomitare informazioni, non il fornire i naturali dettagli che il personaggio punto di vista rileverebbe. Altro esempio, oltre a quello che ha già fatto ???:

Anna entra nel supermercato. Il supermercato dei signor Piagoni, nipote del più celebre Piagoni Luigi, è il più grande della cittadina. Aperto da cinque anni, ha costretto alla chiusura la macelleria, il fruttivendolo e la pasticceria. I prezzi sono bassi, soprattutto per quanto riguarda gli insaccati. Buona la scelta delle birre e dei vini, in particolare i vini rossi.

Questo qui sopra è inforigurgito.

Anna entra nel supermercato. Gli scarafaggi scappano via davanti alle sue scarpe, si nascondono tra le scatolette di carne di topo, impilate per terra. Uno strato di polvere e unto ricopre le vetrate, alle pareti scrostate sono attaccate pubblicità ingiallite del dentifricio Fratelli Banditi. Il ventilatore appeso al soffitto è fermo, ragnatele si stendono tra le pale. L’aria puzza di verdura marcia e di sudore.

Questo è il personaggio punto di vista che si ritrova a descrivere un ambiente che lo colpisce.

#278 Comment By Il Guardiano On 11 gennaio 2011 @ 20:41

Anonimo Informato è un blaterone… Secondo me scrive giusto per fare qualcosa…magari lo fa a lavoro invece di fare l’editor ehehhhehehhe

#279 Comment By Marco Albarello On 11 gennaio 2011 @ 22:35

Trovo che il mondo della narrativa fantasy sia “stupefacente”! Ci sono più anonimi qui che che in un raduno di mafiosi pentiti. xD
Ci sono anonimi editor che discutono di anonimi critici i quali vengono letti da anonimi lettori e da anonimi autori, per non parlare dei ghostwriter. O_o
Ed il bello è che non stiamo facendo nulla di illegale! A volte mi chiedo dove abbia sbagliato ad usare il mio nome e cognome veri. xD
Sembra quasi che non stiamo parlando semplicemente di letteratura e libri, ma di droga.
“Se il mondo fosse chiaro, l’arte non esisterebbe.” (Il mito di Sisifo, Albert Camus)

«Jack allora, l’hai provato?»
«Certo, amico mio.»
«E com’è? Com’è? Su dai dimmi!»
«Ti fa fare un bel trip e il suo effetto è prolungato.»
«Wow! Su dai ti prego, fammi fare una tiratura, solo una!»
«Non essere sciocco Malcom, deve ancora essere raffinato, allo stato attuale è troppo grezzo e rischiamo di perdere qualche cliente durante l’uso, tu non vuoi questo vero?»
«Non sia mai, no no no, più spacciamo bene questa roba, più soldi ci facciamo! Chiamo subito Ghostwriter e glielo faccio tagliare per bene.»
«Bravo. E mi raccomando, se qualcuno ti chiede qualcosa, il nostro pusher è un colombiano. Devi assolutamente convincere i compratori che la qualità del nostro spacciatore sia alle stelle, altrimenti sentiranno puzza di contraffazione.»
«Che fortuna che ho ad avere un intermediario intelligente come te! Ma non hai paura che la polizia possa scoprire i nostri traffici? Sai, c’è quel nuovo detective che chiamano Gamberetta, dicono che abbia gli occhi ovunque, cammini all’indietro e non le sfugga niente!»
«Non dire sciempiaggini, so che da quando è in circolazione i nostri traffici si sono ridotti, ma non sarà certo questo a poterci fermare. Conosco il suo punto debole, tutti ne hanno uno, il suo adorato coniglietto Grumo.»
«Vuoi dire che…?»
«Ho intenzione di farlo rapire e ricattarla, vedremo poi se continuerà a rivelare al mondo le nostre malefatte.»
«Sei un genio Jack, sei un fottuto genio!»
«Smettila di lusingarmi e pensa piuttosto a versare i soldi sul mio conto, non temere, stiamo per pubblicare un bestseller e nessuno potrà fermarci questa volta.»

“I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, autentica è invece la realtà sociale ed ambientale che li produce” (Le mani sulla città, Francesco Rosi). xD

#280 Comment By Ylunio On 11 gennaio 2011 @ 23:38

@AndreaFurlan

Il punto, da quello che ho capito, riguarda per te il *livello di dettaglio* di una data descrizione.
Il discorso è piuttosto semplice e – come ha detto Gamberetta – non c’entra col fatto che il luogo che stai descrivendo sia di passaggio o quello nel quale si svolgono la maggior parte delle scene del tuo romanzo.
Ho scritto l’inizio di un racconto lungo che mi era venuto in mente, ambientandolo in una cucina.
Non ho descritto nel dettaglio la cucina, ho evitato di dire di che colore fossero i pavimenti, o le mattonelle, quale fosse il modello della macchina a gas e la forma del tavolo.. ho detto genericamente “cucina” perché a me stava bene che il lettore immaginasse la prima cucina che gli venisse in mente. Poi ho sporcato quella sua cucina con i dettagli che per me, e per la storia, erano importanti: l’odore, le macchie di sangue, le finestre chiuse e così via dicendo.
La cucina poteva essere la mia cucina, o la tua cucina, o una qualunque cucina, ma diventava esattamente la cucina della quale volevo parlare, nel momento in cui aggiungevo i dettagli importanti.
Se in quella cucina non fosse successo nulla di più che “Marco andò in cucina a bere un bicchiere d’acqua, si affacciò alla finestra e vide etc. etc….”, non avrei avuto bisogno di aggiungere niente perché non sarebbe stato rilevante per la storia.

Il punto è questo..
Il modello della cucina è importante per la storia? Sì? Allora lo dico..
No? Allora neanche la nomino. Ovviamente in cucina ci sarà una macchina a gas, ma che motivo c’è di tirarla in ballo senza motivo?

Che nell’armeria ci sia puzza di sangue e ferro è importante per la storia? Sì? Allora lo dico. E lo dico io, perché magari per il lettore quella armeria puzza di.. buh.. cuoio, chiuso e sudore di troll..
Se non è importante.. perché tirare in ballo l’odore?

E così via dicendo..

Non dobbiamo lasciar fare al lettore il lavoro che è dello scrittore.
E la fantasia del lettore sarà maggiormente stuzzicata da una scena descritta bene che da una scena abbozzata della quale si ritrova a riempire i buchi.
Anche perché non è detto che i lettori di fantasy abbiano tutti una spiccata immaginazione :P
E quello che voglio fare, quando leggo, è immergermi in un mondo fantastico che *io* non riesco a immaginare. A questo servi tu, mio caro scrittore.. :)

#281 Comment By AndreaFurlan On 12 gennaio 2011 @ 01:10

@???
E’ la stessa cosa.
Hai fatto due esempi, ed in entrambi c’è inforigurgito, solo che nel primo hai vomitato poca roba, nel secondo hai vomitato tutta la vodka della serata.

Ora, ho ironizzato un poco. Però sempre di inforigurgito si tratta.

Andrea di ilgiovanescrittore.wordpress.com

#282 Comment By AndreaFurlan On 12 gennaio 2011 @ 01:15

@gamberetta

E io cos’ho detto?
Tutte queste informazioni, che sia un supermercato, un’armeria o i cessi della stazione di Padova (molto brutti, ve lo dice un padovano) possono non servire.
A meno che appunto non si tratti del cesso dove PROTAGONISTA passa mezzo romanzo. A quel punto qualche dettaglio in più lo metto.
Forse gamberetta non ci siamo intesi. Ma il tuo ultimo messaggio è esattamente quello che intendevo dire io.

O forse sono un pò bevuto visto che sono appena tornato da una festa

Che dire?
Saluti sinceramente amichevoli a tutti

Andrea di ilgiovanescrittore.wordpress.com

#283 Comment By ??? On 12 gennaio 2011 @ 12:05

@ Andrea Furlan

Hai fatto due esempi, ed in entrambi c’è inforigurgito, solo che nel primo hai vomitato poca roba, nel secondo hai vomitato tutta la vodka della serata.

Rileggi gli esempi miei e di Gamberetta. Stai ancora confondendo le due cose.

Quello che dici riguardo alla descrizione di un “ambiente di passaggio” e un “ambiente dove si svolge gran parte del libro” non ha molto senso.
Ha un suo peso, sì, ma non cambia la VERA differenza cioè quella tra:

Mostrare e Infodump

MOSTRARE:

Vedi il mio primo esempio.

Il tuo personaggio entra in un luogo qualsiasi. Lì vedrà oggetti, sentirà odori e suoni.

Tutto quello che percepisce NON E’ INFODUMP.

Poi, certo, non serve menzionare proprio tutto quello che vede o sente od odora, ma solo le cose necessarie.

INFODUMP:

Vedi il mio secondo esempio.

Tutte le informazioni che l’autore ritiene ERRONEAMENTE che servano al lettore, qui in grassetto.

Marco aprì la porta forgiata dai nani di MIxatul cinquemila anni prima ed entrò nell’armeria abbandonata di Xatos, il Signore Maledetto, re degli orchi di Jababa, morto per mano di Rezal il prode.

Spero d’esser stato più chiaro. A volte mi spiego male (^///^). Ciao

#284 Comment By AndreaFurlan On 12 gennaio 2011 @ 12:34

@???
Ora è più chiaro ^^
Uff, ci siamo riusciti, ne siamo venuti fuori:)
Scherzi apparte son d’accordo parzialmente con l’ultimo post. Parzialmente perché sostengo la soggettività e In My Humble Opinion ritengo che comunque in un’armeria di passaggio non siano necessari troppi dettagli

Ciao ragà
Andrea di ilgiovanescrittore.wordpress.com

#285 Comment By Il Guardiano On 12 gennaio 2011 @ 15:50

In una armeria di passaggio non è necessario stracciare i maroni per 5 capitoli. Mostrare l’armeria è differente. Quello non è ne infodump ne inutile.
Io sono dell’idea che mostrare quello che sente il personaggio sia positivo, aiuta l’immedesimazione. Parlare di quello che il personaggio non può sapere o non pensa/può pensare in quel momento (magari sta cercando di salvarsi perché un sicario gli dà la caccia e cerca rifuggio nell’armeria) è irritante perché ti sbatte fuori la storia.

#286 Comment By PlatinumV On 12 gennaio 2011 @ 19:48

Ciao, volevo chiederti qualche delucidazione su quanto hai scritto.
1) Tu dici che bisogna mostrare e non raccontare. E questo è sacrosanto. Però non posso fare a meno di chiedermi la dimensione e la pesantezza di un testo in cui tutto è sempre e solo mostrato. Ti faccio un esempio. Non so se hai mai avuto modo di leggere qualcosa di Cecilia Darth Thornton. Io ne ho letti 4 o 5 prima di arrendermi. Non posso dire che la signora non sia una che si documenta: dalle leggende celtiche, al tipo di spezie usate nelle cucine, per passare allo specifico sartiame di un’imbarcazione. Ma il punto è che un intero libro TUTTO così è assolutamente angosciante. Il personaggio principale entra in una cucina e inizia, giuro, ad elencare una pagina e mezza di tutto ciò che vede. Inizia con frasi tipo “alle pareti si allineavano bacili, pentole, casseruole, ecc, ecc, ecc”, fino alla lista completa di ogni cosa nella stanza. Certo, sta mostrando che ci sono molto cose, che la cucina è nel caos e che si è documentata su tutti i termini possibili e immaginabili, ma è una piaga mortale leggere i suoi libri! A parte il tipo di descrizione-elenco, che è una sfida al buonsenso e un sadismo nei confronti del lettore, ma bisogna anche considerare che al lettore, francamente, non frega un cavolo di sapere tutto ciò che c’è in cucina! Questo per intendere che a volte, se i miei personaggi stanno camminando da giorni e giorni in una landa desolata, posso descrivere qualche scena, qualche aneddoto, ma 185 di narrazione di ogni scorpione che passa farebbe suicidare i lettori in blocco. Quindi ti chiedo: da come è espresso l’articolo pare che tu sia contraria al 100% al raccontare, ma non penso sia esattamente questo ciò che pensi. Puoi spiegarmi meglio, per favore?
2) Riprendendo il tuo esempio della scatola “graziosa”, io tendo ad essere fin troppo maniacale nelle mie descrizioni (ok, non a livello della Dart Thornton!), perché ho una scena precisa in mente, come se vedessi un film, e pretendo che il lettore se la ricrei quanto più possibile uguale nella sua testa. Ammetto che il risultato mi piace. Poi prendo un libro, anche libri carini, eh!, leggo cose tipo “entrò nella stanza, che era arredata semplicemente con un letto, un armadio e due comodini, e attese con pazienza” e resto perplessa. Insomma, io avrei spiegato dov’erano disposti i mobili, la luce che entra dalla finestra che forme disegna sul muro, l’odore di bucato delle lenzuola, la temperatura gelida, il colore di muri e pavimenti, ecc… questo fa sì che il lettore ricrei nella sua mente ciò che c’è nella mia, ma spesso mi chiedo se in questo modo la mia narrazione non ne risulti appesantita. Insomma, chi se ne frega di com’è fatta la stanza! Certo, però anche se non è fondamentale, io vorrei che i miei personaggi si muovessero in un mondo dai contorni definiti… ecco, la mia domanda è: qual è secondo te il limite fra “mostrare” ed “essere pedanti”?
3) Sono anche curiosa di sapere cosa ne pensi dello stream of consciousness… A focalizzazione sul personaggio, amo analizzare una scena da diversi punti di vista e ovviamente per questo non si possono “mostrare” i pensieri: la scena è successa ed è stata mostrata e poi i vari personaggi ne commentano mentalmente la loro idea. Ovviamente in questo caso bisogna raccontare cosa se ne desume, le considerazioni, le opinioni, ecc. Come si situa questo nel “show, don’t tell”?
Grazie. Sono una che si fa un sacco di pare mentali per ‘ste cose :-P
V
PS: mi pare che tu non abbia recensito nessun suo libro, quindi non so se ti è già capitato di leggerlo, ma in caso ti consiglio caldamente Tad Williams, il Ciclo delle Spade. Quell’uomo ha uno stile stupendo per quanto mi riguarda.

#287 Comment By AndreaFurlan On 12 gennaio 2011 @ 20:59

@ilguardiano
allora. RIpeto ancora cercando di essere ancor più chiaro.
Per me il mostrare e non raccontare non sempre è fondamentale. Nel senso che, in situazioni di passaggio non è necessario, altrimenti in un romanzo, visto che si trovano centinaia di luoghi di passaggio, bisognerebbe sempre mostrare tutto, cioè descrivere il luogo anche quando, SECONDO ME, un pizzico della nostra fantasia può subentrare benissimo al testo.
Il rischio, SEMPRE SECONDO ME, di testualizzare sempre è quello di cadere nell’infodump, inforigurgito, chiamatelo come volete.

Ciao a tutti
andrea di ilgiovanescrittore.wordpress.com

#288 Comment By Il Guardiano On 12 gennaio 2011 @ 21:31

Evidentemente NON vuoi capire la differenza tra INFODUMP e DESCRIZIONE. Non lo vuoi fare volontariamente, perché sennò non si spiega. Ma va bene così.

#289 Comment By Gamberetta On 12 gennaio 2011 @ 21:34

@PlatinumV.

1) Non ho letto i romanzi della Darth Thornton, dunque nel caso specifico non saprei. Però una descrizione-elenco è sbagliata in sé: anche se decido di mostrare ogni singolo punto del mio elenco, dovrei farlo in maniera dinamica, non appunto facendo un listone. Se devo parlare di una cucina, di utensili e ingredienti, descriverò il personaggio mentre prepara una torta. Dirò che mescola con un cucchiaio il latte, l’albume e il succo di mandarino in una pentola sul fuoco. Quello che voglio dire è che il problema con la Darth Thornton potrebbe non essere quello che mostra troppo, ma quello che mostra male.
Per la landa desolata: taglia! È così semplice. Mostra mentre si incamminano nella landa, poi comincia il capitolo successivo con “un mese dopo” e mostra mentre arrivano alla città di FuoriLaLandaDesolata.
Se viceversa nella landa desolata succede qualcosa, allora lo mostri. Ma non c’è problema di noia perché appunto staresti descrivendo un evento significativo. Chiediti: perché voglio parlare della landa desolata? Se c’è una ragione, mostrala. Se invece è solo un passaggio obbligato per andare da un punto all’altro, be’, taglia il più possibile.
Come spiegato nell’articolo: il ridursi a raccontare è l’ultima alternativa. Non dico che sia sempre sbagliato, ma spesso si ottiene un effetto migliore semplicemente tagliando e riprendendo a mostrare quando ne vale la pena.

2)

qual è secondo te il limite fra “mostrare” ed “essere pedanti”?

In generale il limite è legato al personaggio punto di vista. Se io sono Anna che entra nella sua stanza, non mi metterò a descriverla, suona innaturale. Dirò solo che butto le chiavi sul comodino e mi stendo a letto.
Se però io sono Michele che entra per la prima volta nella stanza di Anna, allora è probabile che sarà più attento ai dettagli e dunque ne uscirà una descrizione più particolareggiata.
Il mostrare non raccontare, è legato al come, non al cosa. Vuol dire che se il personaggio nota che c’è “un cattivo odore”, io non posso cavarmela così, ma devo dire che c’è, non so, “odore di canfora”. Ma il personaggio potrebbe non notare alcun odore (perché per esempio ha il raffreddore) e allora il particolare non lo metto. Quali particolari mettere dipende da te, ma se decidi di inserirli devono essere mostrati.
Io posso scrivere che Anna si mette in tasca la scatoletta. Va benissimo. Se però si mette in tasca la scatoletta graziosa non va più bene. Perché quel “graziosa” indica che il personaggio punto di vista ha prestato attenzione alla scatoletta, ma allora devo mostrare in che cosa si concretizza questa attenzione, non posso cavarmela raccontando.

3) Dipende da cosa si intende per “flusso di coscienza”. Se lo intendi in senso “tradizionale” (come compare in Joyce per esempio), direi che è solo un artificio letterario e nient’altro. Non ha verosimiglianza, non è vero che le persone pensano in quel modo. Personalmente eviterei, tranne rari casi.
Se invece per “flusso di coscienza” si intende il naturale (verosimile) flusso dei pensieri di un personaggio, è un legittimo modo di esprimersi, specie in prima persona.

Ovviamente in questo caso bisogna raccontare cosa se ne desume, le considerazioni, le opinioni, ecc. Come si situa questo nel “show, don’t tell”?

Che forse è tutto da tagliare. ^_^ Se i personaggi hanno considerazioni, opinioni, ecc. rispetto a una scena, vuol dire che erano presenti. Magari si può far trasparire le loro idee dalle azioni e dal dialogo, senza bisogno di questa analisi successiva.

P.S. Di Tad Williams ho letto “Il Canto di Acchiappacoda”. Carino.

#290 Comment By PlatinumV On 12 gennaio 2011 @ 21:47

Grazie per le tue risposte, mi sono state molto utili. Posso suggerirti di provare con qualcos’altro di Tad Williams? Direi che “Il canto di Acchiappacoda” è la macchia della sua produzione letteraria. Purtroppo in italiano è stato tradotto solo il Ciclo delle Spade (che è stupendo), ma mi pare che tu non abbia affatto problemi con l’inglese, quindi magari potresti anche leggere la saga di “Otherland”, che è di fantascienza. Il suo inglese è davvero complesso (diciamo che quell’uomo ama la ricercatezza lessicale spasmodica) ma le trame sono assolutamente splendide.
Buone letture
V

#291 Comment By Marco Albarello On 13 gennaio 2011 @ 05:37

@Gamberetta
A proposito di mostrare, come vengono “visti” nel genere fantasy i libri con immagini? Tento di chiarire il mio pensiero. Da sempre, oltre che scrivere, la mia passione è stata creare con diversi programmi tutto ciò che mi passava per la testa. Mi addentrai nel tunnel con il primo RPG Maker creando piccole avventure grafiche stile final fantasy. ^^
Poi con il tempo arrivò The Movies e mi persi letteralmente a dare vita a film con le trame più strampalate. Curavo tutto, faccia degli attori, set, battute, montaggio, ci facevo perfino il doppiaggio con il microfono. xD

In seguito uscì Spore e giù anche lì a creare cose folli e bizzarre grazie al suo programma interno, come per esempio: Veicoli o creature. Il programma di editor di quel gioco è stupendo sia per quanto riguarda la genetica che la meccanica! Ti permette un’infinita di combinazioni, tutto sta alla fantasia di chi lo usa! (Esempio)
Poi uscì The Sims 3 e anche lì ci persi le mie belle giornate a realizzare edifici e persone: Edifici. Adoro spingere sempre al massimo il programma che adopero, per questo mi espansi in lungo e in largo, odio i limiti.

Ed infine arrivai a trovare questo: CINEMA 4D. Fu amore a prima vista *-*Lo uso per creare delle immagini che poi voglio mostrare nei miei libri sottoforma di testo per facilitarmi il compito e per divertimento. Ma ad un certo punto mi sono chiesto: “non mi conviene mettere direttamente l’immagine?” “Non è più efficace?” Esempio: Mettiamo che io voglia mostrare l’astronave che usa un mio personaggio e inoltre far vedere al lettore esattamente come trova la terra vista dalla sua posizione. Se io gli mostro questo: Esempio. Raggiungo ugualmente un buon risultato? E soprattutto senza sprecare fiumi di parole? Oppure mettiamo che io voglia mostrare una creatura mai vista dal vivo come se il personaggio la vedesse su un documentario: Esempio. Così potrebbe andare bene? O ancora, dare una panoramica della città dove vive: Esempio. Insomma cose di questo tipo. Posso inserire queste immagini in un romanzo fantasy senza snaturare ciò che è? Oppure il lettore penserà che sono pigro per scrivere e penserà che cerco scappatoie o si distrae eccessivamente dalla lettura?

A prescindere dalla risposta che spero arriverà, mi sto divertendo un mondo a scrivere fantasy! ^_^ Finalmente posso dare libero sfogo alla mia creatività. “Io voglio passare ad un livello successivo, voglio dare vita a ciò che scrivo.” (Abiura Di Me, Caparezza).

#292 Comment By Gamberetta On 13 gennaio 2011 @ 10:30

@Marco Albarello.

A proposito di mostrare, come vengono “visti” nel genere fantasy i libri con immagini?

Penso come sono visti negli altri generi? Non ho idea, non ho mai prestato particolare attenzione agli aspetti “estetici” dei libri.
In quanto a inserire immagini: devono essere solo un di più, se il lettore per capire la storia deve per forza fare riferimento all’immagine, esuliamo dall’ambito della narrativa. Sarà un fumetto, una “graphic novel” o qualchecosaltro. Tu devi descrivere l’astronave assumendo che non ci siano immagini. Se poi le immagini ci sono, tanto meglio(?). Se la storia dipende dalla presenza delle immagini è altro rispetto alla narrativa.

#293 Comment By Il Guardiano On 13 gennaio 2011 @ 12:02

@marco:
Io leggo narrativa per “le parole”… se voglio immagini ci sono fumetti, quella specie di telenovelle stampate che fanno molto anni 80 o al massimo la TV e il Cinema.
Se leggo è perché mi piace leggere quel che scrivi, e immaginarlo.

#294 Comment By Marco Albarello On 13 gennaio 2011 @ 14:00

Claro, grazie per le risposte. :)

#295 Comment By Aldebaran On 13 gennaio 2011 @ 15:28

Ciao :)

Avrei un dubbio sulla differenza tra infodump e digressione.

Esempio:
“Iniziò a recitare la formula dell’unica magia che conosceva. Gliel’aveva insegnata suo padre quando era bambina, per permetterle di lavorare nei campi anche di notte.

Senza l’informazione in grassetto, il lettore si chiederebbe perché è l’unica magia che conosce. Inserirlo in una dialogo sarebbe inverosimile, mostrarlo impossibile 8salvo usare un flashback, cosa che danneggerebbe la linearità della storia).

Non solo: il fatto che sia l’unica magia che la protagonista conosce è una informazione necessaria. Senza, ci sarebbe un grosso problema di verosimiglianza (Tizia è rinchiusa: conoscendo altre magie sarebbe potuta scappare, no? Il lettore si chiederebbe questo).

Quindi, cosa dovrei fare?
La frase sopra è da considerarsi infodump, e quindi errata? O è una semplice digressione? E qual’è la differenza tra le due cose?

#296 Comment By france On 13 gennaio 2011 @ 16:29

Bè, c’è una differenza, innanzitutto? Le digressioni possono andar bene in un saggio, in narrativa andrebbero evitate…

Unire le due frasi? “cominciò a recitare la formula del vecchio padre, quella per lavorare la notte. D’altronde era l’unica che sapeva!”

E’ solo un’idea, eh.

#297 Comment By Gamberetta On 13 gennaio 2011 @ 17:12

@Aldebaran. La frase ci può stare. È un po’ inforigurgitosa, ma non in maniera grave. È la parte prima che suona male: “Iniziò a recitare la formula dell’unica magia che conosceva” è tutto raccontato. Mostrami la magia (e magari inserisci le informazioni sul padre come pensieri del personaggio):

Caterina distese le braccia, le mani aperte, i palmi verso l’alto.
«Stella stellina dalle millecento punte.» Scintille colorate danzarono sui polpastrelli, accesero l’aria di luce blu.
«Dai tuoi milletrecento raggi–» Le scintille affievolirono e si spensero.
Caterina si morse il labbro inferiore. Conosco una sola magia e la sbaglio sempre!
Inspirò a fondo. «Dai tuoi millequattrocento raggi.» Le scintille rinacquero.
«Fai sgorgare la luce dei milleseicento colori.» Milleseicento. Era sicura. Quando papà le aveva insegnato aveva insisto sul quel punto. Milleseicento, mi raccomando. Altrimenti ti bruci le dita!
Le scintille si condensarono in una sfera di fiamma che levitò sopra Caterina e rimase sospesa a mezzaria.

E ovviamente sarebbe il caso di descrivere meglio di così e mettere in scena una magia più originale.

#298 Comment By Aldebaran On 13 gennaio 2011 @ 18:33

Confusa, si girò vero la porta. Era chiusa: una barriera magica la proteggeva da ogni tentativo di scasso e non si sarebbe dissolta fino alle prime luci dell’alba.
Laura si soffermò a pensare qualche istante.
Ma certo notò i frammenti dello specchio di Marco, che erano ancora sparsi sul pavimento. La luce.
Facendo attenzione a non tagliarsi, ne prese alcuni con una mano. In quel momento le sembrò di sentire la voce di suo papà. Attenta alla posizione, mi raccomando. Se sbaglierai, la luce non rischiarerà abbastanza la notte e noi non potremo lavorare i campi.
Il viso di Laura mutò in una smorfia di dolore. Ricacciò indietro le lacrime, alzò la mano all’altezza degli occhi, distese il palmo.
Inspirò a fondo, e chiuse gli occhi. Sentì l’energia irradiarsi in ogni suo brandello di carne, piccole scariche elettriche diramarsi come un fiume in piena. Poi, l’energia eruttò dal suo corpo.
Laura riaprì gli occhi. Un raggio di luce lunare penetrò dalla finestra ed entrò nei frammenti di specchio, facendoli risplendere di luce propria.
Non è abbastanza.
Chiuse di nuovo gli occhi e scagliò i frammenti a terra.
Un bagliore accecante riempì l’aria.
Riaprì gli occhi. Ha funzionato
La barriera magica si era dissolta. Laura scattò fuori
Ce l’ho fatta.

Così com’è?

#299 Comment By Mauro On 13 gennaio 2011 @ 18:45

Domanda: a leggere i tuoi messaggi, l’idea che traspare è che la (non-)descrizione proposta dell’armeria non vada mai bene e che il raccontato vada tagliato, qualora possibile, preferendogli una serie di passaggi tra un mostrato all’altro.
Ho finito da poco di leggere Word Painting (inizia la scalata ai manuali!), dove la McClanahan parla – riassumendo enormemente – dei pregi dei passaggi tra mostrato e raccontato, e viceversa, e di come il raccontato serva a ralletare il ritmo, laddove il mostrato lo accelera. Arriva a dire che per mantenere la tensione si deve (must) alternare tra mostrare e raccontare.
Cosa ne pensi della sua posizione?

#300 Comment By pu*pazzo On 13 gennaio 2011 @ 19:20

Mauro@ io qui parlo da lettore …ignorante e spicciolo! Devo dire che certe parti raccontate non mi dispiacciono, ma solo se sono brevi e si riferiscono a scene che sarebbero ridondanti e pesanti da essere mostrate.

Aldebaran @ io sinceramente non trovo fastidioso quel tipo di inforigurgito, è breve, conciso e non svolazza troppo su particolari!
per quanto riguarda la prima frase do ragione a gamberetta, è più divertente, specialmente la prima volta che appare nel libro, mostrare per bene come funziona quella magia ^^ (sempre opinione da lettore ehh)

Gamberetta@ io ho un dubbio (si, un altro!) .. dici giustamente che non bisogna usare gli avverbi perché raccontano invece di mostrare. Però talvolta io mi trovo in seria difficoltà a rendere un periodo fluido e scorrevole, musicale diciamo, senza usare avverbi :(
faccio un esempio.
“Giorgio si avvicinò lentamente a Giulia, guardandola intensamente negli occhi”

in questa frase ci sono millemila errori (2 avverbi+ un gerundio XD) … però come potrebbe essere resa?
cosi?
“Giorgio si avvicinò con passo lento a Giulia. La guardò intensamente negli occhi”
non mi piace… trovo questa frase ostica, si inciampa in quell’orribile locuzione “con passo lento” e il punto spezza il climax della scena …o sono io che ho una visione perversa ? XD
allora così?
“Giorgio si avvicinò a Giulia e incontrò i suoi occhi, sui quali si soffermò per molti secondi”
non mi piace:( il significato cambia (non si capisce l’andatura di Giorgio, che nel contesto potrebbe essere importante, inoltre la lungaggine del periodo annacqua la scena)

l’ultima prova, poi mi portano alla neuro .
“Giorgio camminò piano in direzione di Giulia e la guardò negli occhi.”
forse la meno peggio? però la trovo comunque meno “liscia”, musicale della prima …
che ne pensate? a parte che probabilmente non ho capito una mazza di niente XD

#301 Comment By Mauro On 13 gennaio 2011 @ 20:03

Qui c’è una risposta al “lentamente”, riferita al mio esercizio per il secondo manuale.

#302 Comment By Ylunio On 14 gennaio 2011 @ 00:45

@pu*pazzo

A seconda di quello che vuoi esprimere la scena può essere descritta in modi diversi.
Perché, ad esempio, Giorgio si avvicina lentamente?
Perché si è azzoppato una gamba durante uno scontro a fuoco o perché è semplicemente timido?
La scena va scritta in modo diverso a seconda dei casi ..

Per dire:

Giorgio mosse un primo passo. Giulia ricambiava il suo sguardo. Il ragazzo deglutì. Al secondo passò il ginocchio sinistro cedette sotto il suo stesso peso, mentre una tenaglia gli si chiudeva sul polpaccio, trapassandogli il muscolo.
Sentì la risata di Giulia ed ebbe la fugace visione delle sue guance arrossate e degli occhi pieni di lacrime, prima di accasciarsi.
- Un crampo alla gamba.- Giorgio strinse il pugno della mano destra, le nocche contro il pavimento polveroso. – Il solito, dannatissimo crampo alla gamba!-

#303 Comment By Gamberetta On 14 gennaio 2011 @ 10:24

@Aldebaran. L’impostazione generale è giusta, c’è da sistemare qui e là diverse cose (per esempio all’inizio invece di raccontare della barriera potresti mostrare che Laura cerca di aprire la porta e non ci riesce), ma più o meno ci siamo.

@Mauro.

Cosa ne pensi della sua posizione?

Che la McClanahan si sbaglia: il ritmo lo acceleri o lo rallenti a seconda di quello che mostri. Se vuoi rallentare inserisci una scena dove il personaggio si rilassa mangiando pasticcini, se vuoi accelerare metti un inseguimento in autostrada. Non vedo perché dovresti invece metterti a raccontare.

@pu*pazzo. Il problema di fondo è che non si capisce bene quali emozioni vuoi trasmettere. Se deve essere una scena romantica, come l’hai scritta non ha senso:
“Giorgio si avvicinò lentamente a Giulia, guardandola intensamente negli occhi.”
Immaginati Giorgio che si trascina in avanti e intanto fissa negli occhi Giulia. A me sembra un maniaco o uno zombie. Perché si avvicina lentamente? Certo non per timidezza, altrimenti non la guarderebbe negli occhi per tutto il tempo.
Se scrivi:
“Giorgio si avvicinò a Giulia. La guardò negli occhi.”
È già meglio.
Se invece vuoi insistere con il lentamente devi fare come ha suggerito Ylunio, ma la situazione diventa più che romantica ironica/divertente/vagamente patetica.
Ora, l’intensamente. Puoi cambiare verbo (per esempio appunto da “guardare” a “fissare”), ma insomma siamo lì. Il punto è che “guardare” e “guardare intensamente” comunicano al lettore la stessa immagine.
Se proprio vuoi rendere l’intensamente devi mostrare che Giorgio è così tanto interessato agli occhi di Giulia. Il che però diventa un problema perché a parlare di occhi si finisce subito nella retorica “Gli occhi di Giulia erano blu come il mare in tempesta”. Dunque io semplicemente(…) toglierei gli avverbi. Al massimo inserirei altri gesti: le prende le mani, le solleva il mento, l’abbraccia, le dà un pizzicotto o non lo so; oppure qualche riga di dialogo.

#304 Comment By Aldebaran On 14 gennaio 2011 @ 11:47

Ok, vedrò di sistemarlo meglio.
Grazie mille :D

#305 Comment By pu*pazzo On 14 gennaio 2011 @ 21:52

gamberetta: in realtà siccome in tv c’era un vecchio film mi sono ispirato e avevo immaginato una scena alla “via col vento” XD ” clark gable” si avvicina lentamente con sguardo malandrino e passo da “io ce la so” verso la fanciulla, la rovescia come un calzino e la bacia appassionatamente XD
in questo caso comunque sono piuttosto per tagliare, eliminando proprio l’avverbio, piuttosto che, per spiegare una parola, utilizzare mezza pagina ! non si scade nel prolisso e si rischia di annoiare il lettore? Non nel caso che citava giorgio, ma nel caso mio, dove la lentezza è semplice “atmosfera” e non è causata da un evento particolare (come la timidezza, l’aver subito un impianto cyberpunk o l’essere posseduti da un bacellone alieno XD) . Insomma mostrare va benissimo, però secondo me non bisogna esagerare giusto? altrimenti si “infrange” la regola della semplicità! Se dico “lucia sorrise” rendo già abbastanza l’idea … non serve (credo) che io scriva ” lucia piegò gli angoli della bocca verso l’alto, mostrò gli incisivi bianchi e socchiuse gli occhi ricolmi di gioia” ditemi se sbaglio ehhh ;)

#306 Comment By france On 15 gennaio 2011 @ 10:25

Bè, una delle regole d’oro della narrativa è proprio “taglia tutto ciò che è inutile”. E Mostrare si può farlo con poche o con molte parole.
“Lucia sorrise” è ok.
“Lucia sorrise, felice”, quadra già meno.
“Lucia sorrise, pensando a quando lui l’aveva messa a pancia sotto e…” è molto più dettagliato, e stai MOSTRANDO i pensieri di Lucia, non raccontandoli.

#307 Comment By Symbolic On 15 gennaio 2011 @ 14:27

@ France
Ma “mostrare” i pensieri per alcuni teorici della creative writing (vedi seguaci di Spembaum, come Palahniuk e Clevenger) rimane una scrittura fiacca. Sempre meglio l’azione, a qualsiasi altra cosa.

Molti autori hanno fatto del “pensò” una bella risorsa di narrativa, ma rimane un’arte abusabile. L’esposizione dei pensieri è cugina di secondo grado del raccontare.

C’è da dire che si parla di fiction e fantastico e non di letteratura avanguardista.

Dico per dare il mio contributo. Questo blog è pieno di attrattiva.

#308 Comment By Gamberetta On 15 gennaio 2011 @ 15:33

@pu*pazzo. Infatti, va benissimo tagliare gli avverbi e basta. La mezza pagina la scrivi se l’avverbio non era solo “atmosfera” ma aveva un significato più profondo.

@Symbolic. Il problema è quando i pensieri “spiegano” le azioni. Perché quando l’azione è chiara diventano inutili e se l’azione è ambigua forse sarebbe meglio descriverla meglio invece di mettere un pensiero che la spieghi.
Però i pensieri in sé non sono sbagliati. Anzi, se tu scrivi in prima persona o in terza persona con telecamera ben dentro la testa del personaggio, tutto è pensiero del personaggio. Non dovresti poter distinguere tra azioni e pensieri. Infatti il “pensò” si usa solo in rari casi, lo scrittore un minimo abile gestisce il punto di vista in modo che appaia chiaro che quelli sono pensieri del personaggio senza bisogno di doverlo rimarcare (così come non ha bisogno dei “guardò” legati alle descrizioni: appare ovvio che la descrizione è quanto sta vedendo il personaggio punto di vista).

#309 Comment By france On 15 gennaio 2011 @ 15:47

Se vuoi immedesimazione, mostrare le sensazioni, e quindi i pensieri, del personaggio è inevitabile, penso. Poi se non ti piace il verbo “pensò” basta fare alla King e mettere il discorso in corsivo.

#310 Comment By Symbolic On 15 gennaio 2011 @ 18:01

@Symbolic. Il problema è quando i pensieri “spiegano” le azioni. Perché quando l’azione è chiara diventano inutili e se l’azione è ambigua forse sarebbe meglio descriverla meglio invece di mettere un pensiero che la spieghi.
Però i pensieri in sé non sono sbagliati. Anzi, se tu scrivi in prima persona o in terza persona con telecamera ben dentro la testa del personaggio, tutto è pensiero del personaggio. Non dovresti poter distinguere tra azioni e pensieri. Infatti il “pensò” si usa solo in rari casi, lo scrittore un minimo abile gestisce il punto di vista in modo che appaia chiaro che quelli sono pensieri del personaggio senza bisogno di doverlo rimarcare (così come non ha bisogno dei “guardò” legati alle descrizioni: appare ovvio che la descrizione è quanto sta vedendo il personaggio punto di vista).

Ineccepibile.
Il mio era un contributo estemporaneo. Ritengo che sia importante riflettere quando si usa il pensato, e domandarsi se quello che vogliamo rendere in chiaro arricchisce la scena o un nostro bisogno di raccontare che camuffiamo da “mostrato”. Un tipo di considerazione che vale per molti altri elementi.

Un altro commento estemporaneo:
Questo blog da voce a uno dei migliori movimenti dedicati alla scrittura creativa che abbia mai visto in Italia. E sono trattati temi che trascendono di molto la letteratura fantasy, new weird o steampunk. SIETE UN MOVIMENTO ARTISTICO.

Errata Corrige:
Tom Spanbauer non Spembaum, o come accidenti l’avevo chiamato.

#311 Comment By Symbolic On 15 gennaio 2011 @ 18:05

@france
Se vuoi immedesimazione “pensò” è una delle opzioni, Non l’unica attuabile.
La mia affermazione non intendeva evidenziare un’errore.

#312 Comment By Estelin On 28 gennaio 2011 @ 01:33

…Wow. Voglio dire, è davvero illuminante. Diciamo che solitamente tendo a evitare il “tell” istintivamente (perché rileggendolo poi non mi piace), ma altre volte mi ci lascio andare. Come hai detto, scrivere è in effetti faticoso. Comunque ci vuole tanta esperienza per imparare a scrivere in modo perfetto…non condivido tanto il fatto che l’autore fantasy italiano standard è ignorante: purtroppo si tratta della formula del successo, c’è chi ha avuto la fortuna di inventarsi una storia che vende, e così è, ma magari non significa che sia un ignorante o che scriva malissimo. Certo, ci sono libri che sono nati per vendere e non per fare vera letteratura, e sono d’accordo che qualitativamente siano inferiori, ma non significa che siano in blocco da buttar via. Uno non li compra, e stop…
Se un giorno pubblicassi qualcosa, chissà cosa dirai del mio modo di scrivere! Mi rifaccio per tempo recuperando un po’ di teoria: non ho affatto pregiudizi sui manuali, anzi… la tecnica fa sempre bene…

#313 Comment By Mauro On 4 febbraio 2011 @ 11:31

Esempio tratto da Characters & Viewpoints:

if characters are searching for vital information, and it takes a day of poring over files and books, [in a movie] we need only a montage of short clips of mountains of books, armloads of files, weary-looking actors getting bleary-eyed from reading — thirty seconds of film time. This is the filmic equivalent of “telling.” In fiction, you would have covered the events of the search even more economically, by saying, “They went through nineteen file drawers, paper by paper. They cracked open books that had ten years of dust on them. Even after all that searching, they almost missed the answer when they found it.” There it is — a day compressed into three sentences.

It would be ridiculous to show all that searching instead of telling it. While the fact that they worked hard to get the information is important to the story, it isn’t important that the reader actually experience it. Instead, the storyteller gives them enough information to let them know that the search happened, that it wasn’t easy. Then the storyteller relies on the audience’s memory of similar hard research in their lives, or their imagination of how hard it must be or how boring it would be to do all that reading. In this case the right advice is “Tell, don’t show.” That is the narrative technique, to tell what happened without taking much time

Mi pare analogo al tuo sull’informarsi per scrivere con cura un articolo, ma la tua conclusione è opposta a quella di Card; c’è qualche differenza sostanziale che mi sfugge o semplicemente non concordi con Card?

#314 Comment By Gamberetta On 4 febbraio 2011 @ 14:41

@Mauro. Premessa: l’esempio di Michele che scrive articoli accuratamente era appunto solo un esempio. Avrei potuto scrivere che Michele combatte gli zombi mutanti spaziali temerariamente o che in moto si comporta spericolatamente; il punto non è il contenuto, il punto è trasformare l’avverbio in dettagli concreti. Il fatto che certi dettagli concreti possano risultare noiosi (come una ricerca bibliografica) è un altro problema.

In linea generale Scott Card ha ragione: quando un’attività è noiosa/ripetitiva raccontarla invece di mostrarla può essere una soluzione efficace. Tenendo però sempre presente che si può tagliare, e spesso è meglio. Io posso mostrare Michele che all’alba entra in biblioteca, poi mostro Michele a cena con gli occhi gonfi e i polpastrelli tagliuzzati che spiega ad Anna le sue scoperte.
Ma il vero problema della scena di ricerca bibliografica non è quello, il vero problema è l’idea in sé. Una ricerca bibliografica non ha posto in un romanzo perché non è fonte di conflitto. Dunque o riesci a inserirci un conflitto (la biblioteca è infestata dai fantasmi, il libro che serve a Michele è in prestito a un membro della yakuza appena arrestato, ecc.) oppure tanto vale lasciar perdere la biblioteca (raccontata o no). Meglio ripensare la trama e trovare un modo più interessante per Michele per recuperare le informazioni che gli servono.

Dove Scott Card sbaglia è quando dice:

Then the storyteller relies on the audience’s memory of similar hard research in their lives, or their imagination of how hard it must be or how boring it would be to do all that reading.

Che è il solito “affidarsi alla fantasia del lettore”. E non funziona. Non funziona per quanto già spiegato nell’articolo (non è detto che tutti i lettori associno una ricerca bibliografica alla noia: Michele mentre era così impegnato ha conosciuto Anna e si sono fidanzati!), e non funziona perché il mondo cambia. Una persona a caso: me stessa. Io non ho mai svolto una ricerca bibliografica “tradizionale” in vita mia. Non sono mai stata a frugare tra le schede con gli indici di una biblioteca per poi riempirmi il tavolo di volumi. Non ho idea di quanto possa essere noioso, se lo è. So per certo che farlo via Internet è divertente, tanto che perdo ore e ore a frugare tra gli ebook anche quando ho già le informazioni che mi servono. Dunque se un autore vuole comunicarmi la fatica e la noia del personaggio e si affida alla mia esperienza è epic fail.

Ma ribadisco il punto fondamentale: quando mi trovo per le mani una situazione potenzialmente noiosa (tanto che medito se non sia il caso di raccontarla) dovrei domandarmi se è proprio così vitale inserire quella situazione. Magari si può trovare una nuova scena (da mostrare) che svolga lo stesso compito senza che ci sia il rischio noia. E mi spingo a dire che se si parla di fantasy/fantascienza una soluzione di questo tipo la si trova sempre.

#315 Comment By Mauro On 9 febbraio 2011 @ 17:09

Bene; seconda parte del ragionamento: Card, parlando dell’esempio che ho portato prima, sostiene che A lot of information that is important to the story is still not important enough to be worth a whole scene e che sarebbe ridicolo mostrare quella scena, perché sebbene sia importante per la storia che abbiano lavorato duramente per informarsi, non è importante che i lettori provino quell’esperienza.
Il discorso s’innesta sulla differenza tra mostrare, raccontare e ignorare, dove mostrare è quello che lo scrittore fa di meno (almeno, secondo Card), pur essendo la cosa che prende più spazio.
Se quello che m’interessa è inserire nella storia che i personaggi hanno lavorato per informarsi (magari perché altrimenti logicamente non avrebbero saputo quel tipo d’informazioni), ma non m’interessa far vedere i particolari di come lo hanno fatto, porsi come card può avere senso, o invece se ha quell’importanza nella storia allora va mostrata?
Se ho capito bene (correggimi se sbaglio), tu sostieni che si dovrebbe o mostrare la scena, se è importante per la storia; o tagliarla, se non lo è.

#316 Comment By Gamberetta On 10 febbraio 2011 @ 12:56

@Mauro.

Se ho capito bene (correggimi se sbaglio), tu sostieni che si dovrebbe o mostrare la scena, se è importante per la storia; o tagliarla, se non lo è.

Fondamentalmente sì. E dico anche di usare un minimo di furbizia: se scopro che diviene passaggio fondamentale per la storia una ricerca bibliografica o mi viene in mente una maniera per renderla emozionante, oppure ripenso la trama. Non mi pongo il problema di raccontare scene noiose/ripetitive perché costruisco la trama in modo che non ce ne siano.
Dopodiché è il solito discorso: non è che se uno racconta (specie in situazioni che si prestano, come nell’esempio di Card) viene fucilato, può andare bene, però deve avere la consapevolezza che si poteva fare meglio.

#317 Comment By Invernomuto On 10 febbraio 2011 @ 19:30

Mauro, penso che la soluzione migliore per risolvere il tuo amletico dubbio sia questa.

Hai letto il manuale scritto da Card e contenente le sue opinioni, hai letto anche le opinioni di Gamberetta, ora sta a te decidere quale sia quella giusta e quale sia quella sbagliata.

Fortunatamente, il mondo della scrittura non ha solo una striminzita strada oltre la quale tutto è sbagliato, chi mostra -non sbaglia-, chi racconta -non sbaglia-, chi decide di fare qualcosa che non piace a Gamberetta, Card, Obama o Dio -non sbaglia- ma segue semplicemente la sua strada.

Gli unici errori, nella narrativa, sono quelli grammaticali o di consecutio temporum, è ridicolo lasciarsi fuorviare da chi pensa che possa esistere un “errore di stile” in quello che non gli piace.

Io, personalmente, sono dalla parte di Card, c’è quello che va mostrato, poi i fatti minori che vanno raccontati e poi ciò che viene ignorato completamente.

Immagini un mondo pieno unicamente di libri mostrati e senza narratore onnisciente e privi di descrizioni numeriche perché “sono astratte”?

Sarebbe il paradiso di Gamberetta, ma certamente l’inferno per molti altri.

Non dimenticate mai, che nonstante vengano passati per fatti, quasi tutti i consigli espressi nel blog non sono altro che le opinioni e le scelte personali di Gamberetta.

#318 Comment By Mauro On 11 febbraio 2011 @ 17:31

Gamberetta:

se scopro che diviene passaggio fondamentale per la storia una ricerca bibliografica o mi viene in mente una maniera per renderla emozionante, oppure ripenso la trama. Non mi pongo il problema di raccontare scene noiose/ripetitive perché costruisco la trama in modo che non ce ne siano

Ottimo, grazie.

Invernomuto:

Hai letto il manuale scritto da Card e contenente le sue opinioni, hai letto anche le opinioni di Gamberetta, ora sta a te decidere quale sia quella giusta e quale sia quella sbagliata

Questo sicuramente, ma prima preferisco approfondire ancora l’argomento, perché pur avendo letto il libro di Card non è che lo conosca; ora che ho tre punti di vista (Card, Gamberetta, McClanahan) ci ragiono un po’ su, ma credo che leggerò altro in materia.

#319 Comment By Aldebaran On 7 marzo 2011 @ 16:47

Ciao.

Gamberetta, avrei un piccolo problemino.
Nel descrivere dei combattimenti, mostrare rallenta l’azione creando una sorta di effetto Matrix. Non è molto bello.
Se l’azione è lenta, allora ok. Ma se è un’azione molto veloce e frenetica, mostrare sarebbe come fare la telecronaca dei movimenti di un colibrì.
Ho trovato una domanda simile nell’articolo sulle descrizioni. La risposta è stata di dare dei nomi alle mosse.
Però in un romanzo serio, e quindi non una parodia degli anime giapponesi, non mi piace per niente. Mi suona un po’ ridicolo.
E ad ogni modo, nella storia non posso inserire una scena verosimile in cui vengono dati dei nomi alle mosse o si studiano etc etc

L’unica soluzione che ho trovato è di raccontare, in modo da non perdere la velocità. Per attenuare il raccontato, prima mostro degli attacchi, e poi li racconto. Il lettore ha ancora in mente gli attacchi mostrati, per cui nel raccontato dovrebbe vedere cose simili, ma più veloci.
Ad esempio:

La prima stoccata arrivò piuttosto alta e M. fu costretta a fare alta anche la parata; il suo polso subì la forza di G.
Dannazione!
M. indietreggiò. La stoccata successiva arrivò rapida, ma riuscì a schivarla spostandosi verso destra; il maestro la anticipò con una falciata, che M. evitò a mala pena.
Devo contrattaccare
Provò un fendente con il polso girato, diretto allo stomaco, ma G. lo schivò. Allora decise di attaccarlo con una serie rapida di colpi, ma andarono tutti a vuoto.

o

M. impugnò la falce con una sola mano, la poggiò sulla spalla destra, piegò le ginocchia e falciò da destra in alto a sinistra in basso. Ruotò il busto e i piedi per assecondare il movimento.
Un’arma niente male. È molto leggera, ma sembra anche resistente.
La impugnò con entrambe le mani e ripeté il movimento.
M. ghignò.
Portò la falce all’altezza dei fianchi e provò un taglio lineare, da destra a sinistra. Nel farlo, roteò il busto e portò l’asta dietro la schiena.
Riprovò gli stessi attacchi, ma stavolta con grande agilità e potenza.
Il suo sguardo era impetuoso.
Iniziò a saltare e piroettare in aria, sbudellando nemici invisibili. Mulinava la falce, tracciava spirali, balzava con la grazia di una ballerina. Danzava sulle punte e fendeva l’aria con attacchi rapidi e violenti. I suoi capelli turbinavano come fiamme al vento.

Che te ne pare?

#320 Comment By Aldebaran On 7 marzo 2011 @ 16:56

Dimenticavo: ho controllato in tutti i miei manuali di scrittura. Non ho trovato nulla in merito alla descrizione di azioni molto rapide.

Ps: so che fra un po’ pubblicherai un articolo sul Punto di Vista e la sua gestione. Nel manuale della Gotham Writers’ Workshop si accenna anche all’uso della seconda persona. Cosa ne pensi in merito?

#321 Comment By Gamberetta On 7 marzo 2011 @ 21:42

@Aldebaran.

Che te ne pare?

Non lo so. Nel senso che tu prima hai proposto un pezzo, poi un altro, ma non è lo stesso pezzo con stili diversi, sono due situazioni distinte.
Comunque il secondo è migliore (anche se non manca qualche errore), ma appunto è difficile fare un confronto dato che nella prima scena c’è un combattimento, nella seconda un tizio che si allena da solo.

Ora, in generale il problema della velocità nel duello. Direi che si risolve cercando di usare meno parole possibile e verbi appropriati. Per esempio, la tua prima frase:

La prima stoccata arrivò piuttosto alta e M. fu costretta a fare alta anche la parata; il suo polso subì la forza di G.

È un po’ “lenta” perché un po’ raccontata. Io proverei:

La lama saettò da destra. Maria parò all’altezza degli occhi. L’impatto le piegò il polso [anime], le scintille la accecarono[/anime].

#

M. indietreggiò. La stoccata successiva arrivò rapida, ma riuscì a schivarla spostandosi verso destra;

Potrebbe essere:

Maria indietreggiò. La spada del maestro fendette l’aria, lei schivò a destra.

#

[...] M. evitò a mala pena.

“evitò a mala pena” ed espressioni simili rallentano molto perché costringono il lettore a fermare il film per decidere cosa sarebbe il “mala pena”. È meglio dire, non so, che la punta della spada le sfiora la guancia, oppure che la lama strappa il vestito e graffia la pelle. Insomma dare concretezza al “mala pena”.

Allora decise di attaccarlo con una serie rapida di colpi, ma andarono tutti a vuoto.

Semplicemente(…) no. Non si “vede” niente. Fai andare a vuoto due colpi specifici ed è sufficiente per illustrare il punto.

Nel manuale della Gotham Writers’ Workshop si accenna anche all’uso della seconda persona. Cosa ne pensi in merito?

Che è meglio lasciarla perdere, almeno se si sta scrivendo un romanzo di genere. È troppo inconsueta, attira troppo l’attenzione sulla scrittura. Per un romanzo di literary fiction si può anche provare, ma per un romanzo di genere lascerei perdere. Tra l’altro non ho mai letto argomenti convincenti per cui la seconda persona potrebbe essere più efficace della prima o della terza.
Al massimo si può usare la seconda persona mentre si scrive in prima, quando è naturale che il personaggio voglia distanziarsi da certi pensieri.
Punto di vista di Anna in prima persona: “Io sono stata gentile con Michele e lui mi ha trattata da scema.” Magari il personaggio trova doloroso rinvangare l’episodio e allora invece del pensiero di cui sopra, pensa: “Tu sei gentile con gli uomini e loro ti trattano da scema.”
Ma rimane comunque un uso molto limitato.

#322 Comment By Aldebaran On 7 marzo 2011 @ 22:18

Infatti non doveva essere un raffronto. Erano due occasioni in cui, per risolvere il problema della velocità, ho mostrato.

Comunque, grazie mille. Ho capito il problema. E anzi, corro subito a sistemare i pezzi.
Grazie ancora :)

#323 Pingback By Mostrare o raccontare? On 9 marzo 2011 @ 05:04

[...] di lui ne ha parlato il blog Fantasy gamberi che l’ha definita una fondamentale tecnica narrativa. È un’esortazione agli scrittori [...]

#324 Pingback By La mappa definitiva del Giovane Esordiente « Werehare's Burrow On 13 marzo 2011 @ 14:53

[...] * Manuali 2: Dialoghi, ovvero (guarda un po’) consigli su come impostare un dialogo; * Manuali 3: Mostrare, sull’importanza e l’efficacia del mostrare rispetto al raccontare; * Il punto sul [...]

#325 Comment By On 17 marzo 2011 @ 11:27

Grazie per aver messo a disposizione gratuitamente la tua esperienza e il tuo sapere. Scrivere usando “tanto cuore e più tecnica” non è semplice e io in particolare sono solo agli inizi; spero però che fra non molto potrò sottoporre al tuo giudizio qualche passaggio del mio ultimo racconto.

“Show, don’t tell” è una regola basilare, grazie a questo precetto sono riuscita a concatenarne un altro, il primo che ho imparato: “lo scrittore scrive solo di ciò che sa”… Si trasforma però in una specie di incubo quando hai poche pagine a disposizione; raccontare a volte diventa un obbligo, senza contare che comunque non puoi per forza di cose descrivere tutto in maniera maniacale e precisa perchè il lettore si addormenta prima penso io.

In sostanza sono d’accordo con te su tutto direi, ho anche apprezzato molto il manuale sulle descrizioni e, credo, a questo punto troverò molto utile pure quello sui dialoghi.

#326 Comment By Pen² On 14 aprile 2011 @ 14:12

Mi sono innamorato della fatina Fiammetta. Dove posso saperne di più su di lei?

#327 Comment By alice On 24 maggio 2011 @ 20:00

Illuminante. E non sto scherzando. Sono così abituata a leggere (mezzi) articoli italiani che il cervello si è spappolato per la mole di spiegazioni per sviscerare un semplice concetto come lo Show don’t tell. Ed ora capisco di più il fastidio per molti romanzi che mi capitano sotto tiro…

Non sono d’accordo su tutto un paragrafo: la parte finale, con l’attimo fuggente e via dicendo. A volte non leggere un libro fa parte della propria costruzione culturale, anche se può apparire assurdo. Paragono col cinema, che conosco meglio della letteratura: la maggior parte degli scribacchini che si occupano dell’argomento ha letto manuali su manuali, è in grado di smontare per fotogrammi l’opera di un qualsiasi autore (Herzog, per fare un esempio che ti riproporrò più giù) ma molto spesso non ha VISTO la filmografia dello stesso (ma ancor più spesso nemmeno un miserissimo film). Mi spiego meglio: la tecnica può essere importante ma fino ad un certo punto. Un film che “segue le regole” non è per forza un buon film. Spingere i ragazzi a gettare nel cesso le critiche di Mereghetti – uno dei tanti critici osannati che probabilmente non guarda nemmeno le opere che recensisce – non è un simbolo reazionario, assegnato perché studiare è inutile. Diventa utile quando si trasforma in bacchettonaggine, se mi passi il termine, quando la tecnica supera la passione che l’arte può suscitare.
Ti faccio un esempio pratico: Incident at Loch Ness – torniamo al motivo per cui mi trovo qui – sarà sicuramente schifato da coloro che di “cinema ne capiscono” così come lo sono i vari b-movie (perché ingenui, spesso totalmente sbagliati, sia nelle sceneggiature che nelle inquadrature che nella narrazione). Eppure, certe pellicole riuscite male sono migliori di tanti presunti capolavoroni osannati dalla critica. E ancora: crediamo che esista quindi un’oggettività? Personalmente no. L’oggettività – e tiro in ballo un pensiero soggettivo assoluto per confutare l’oggettività – è il parametro troppo concreto con cui si tenta di avere sempre ragione discutendo di arte o lavori personali (la parola arte è abusata e la uso per definire la branca creativa dell’animo umano, non mi viene in mente un altro vocabolo adatto). Anche se ci sono dei parametri tecnici (e quindi oggettivi) per definire un’inquadratura, io che guardo un film non posso né devo soffermarmi in quella specifica analisi. Altrimenti perdo il piacere del film per innalzare invece l’arte del segaiolo intellettuale, quello che parla delle cose per darsi un tono e non perché le ama. E quindi no, non credo che il keating debba essere frustrato e lapidato e mandato a zappare. E’ un punto di vista, che mi sento di condividere non per supportare la crescita dell’ignoranza, ma per troncare ogni possibile manierismo, tutti quei “fascinazione dell’autore”, semiotica semiminchia con cui si riempiono la bocca molti di quelli che il cinema non lo amano ma lo studiano.

#328 Comment By Gamberetta On 24 maggio 2011 @ 21:16

@alice. Se guardi tra i primi commenti a questo articolo si parla abbastanza de L’Attimo Fuggente, perciò non aggiungo altro. Solo un dettaglio: non so come sia messa la critica cinematografica, in ambito letterario il 99% dei “critici” non ne sa assolutamente niente di tecnica narrativa. In particolare quelli che vanno avanti a paroloni, scimmiottando il vero linguaggio scientifico.

#329 Comment By Luthando On 28 giugno 2011 @ 17:57

Ho una semplice domanda cui magari è già stata data una risposta ma purtroppo non ho avuto tempo per leggere le 4 pagine di commenti.
Mi piacerebbe leggere libri il cui autore utilizza al 100% lo “show don’t tell”.
Ho letto i libri consigliati da gamberetta ma cerco qualcosa in specifico sull’argomento, diciamo un “esempio per tutti” dell’utilizzo di tale tecnica.
Ah e in italiano… se possibile…
Grazie.

@ gamberetta: complimenti per il tuo blog, utile, professionale e divertente.

#330 Comment By Gamberetta On 29 giugno 2011 @ 09:54

@Luthando. È molto raro trovare un romanzo che cerchi sempre di “mostrare”. Specie nell’ambito della narrativa fantastica, per un paio di ragioni: 1) in generale gli autori sono scarsi, o comunque danno relativo peso alla tecnica narrativa rispetto ad altri fattori; 2) mostrare sempre richiede un sacco di tempo e se devi scrivere un romanzo all’anno per vivere diviene difficile.
Comunque prova a guardare La Strada di McCarthy: specie le descrizioni sono sempre molto ben mostrare. Oppure c’è questo altro romanzo, che ho cercato di scrivere seguendo tutti i miei stessi buoni principi. ^_^

#331 Comment By Luthando On 29 giugno 2011 @ 19:58

¡Muchas gracias!

#332 Pingback By L’attimo opprimente « Lit Skeight 3.0 On 1 luglio 2011 @ 14:32

[...] oggi scopro che in un post del 2010 Gamberetta aveva ripreso la stessa scena. La sincronia tra le mie e le sue opinioni mi [...]

#333 Comment By Eosforo On 3 luglio 2011 @ 01:05

Ciao Gamberetta!
Una domandina: è più conveniente scrivere (e quindi mostrare) al presente o al passato?

Sinceramente “La cornice era rossa” tendo a preferirlo a “la cornice è rossa”.

E ancora, col presente non si distingue più il tempo continuato da quello momentaneo. E così “si morse la lingua” e “si morsicava la lingua” andrebbero entrambi come “i morde la lingua”.

D’altra parte in molte descrizione mi verrebbe più naturale l’uso del presente, che tra l’altro velocizza il ritmo e credo crei più suspense.

Ho letto “Le avventure della giovane Laura” e “S.M.Q”. Il primo è al passato, il secondo al presente, così come “Assault Fairies” che ho appena iniziato. Come mai queste scelte diverse? E cosa ne pensi dell’uso del passato e del presente?

#334 Comment By Gamberetta On 3 luglio 2011 @ 13:56

@Eosforo.

E ancora, col presente non si distingue più il tempo continuato da quello momentaneo. E così “si morse la lingua” e “si morsicava la lingua” andrebbero entrambi come “i morde la lingua”.

Il problema è che qui è “sbagliato” l’imperfetto. Il mordere è netto, la lingua se l’è morsa o non se l’è morsa. Al massimo si masticava la lingua, ma “morsicava” non funziona.
Comunque io uso il presente con la prima persona perché in prima persona tutta la narrazione sono in realtà pensieri del personaggio, e i pensieri sono sempre “in diretta”. Infatti anche in una narrazione al passato quando sono presentati in modo diretto i pensieri dei personaggi sono al presente (come sono sempre al presente i dialoghi diretti).
Esempio brutale:

Oggi è una bella giornata, pensò Anna.

Normale terza al passato, falla diventare prima persona e:

Oggi è una bella giornata.

La prima persona al passato ha senso solo quando c’è una cornice, per esempio sono pagine di diario o il narratore sta raccontando i fatti ai suoi amici. Ma se questa cornice non c’è trovo che sia molto più naturale il presente.

#335 Comment By Chris On 11 luglio 2011 @ 02:23

Premessa: ho letto solo un accenno di assault fairies e, pur riconoscendo la scrittura ottima, sono più legato ad un Fantasy tendente al classico che al fantascientifico. Per classico però non intendi elfi e nani, ma semplicemente privo di fatine in locali che bevono birra (anche se l’idea ha un suo fascino!)
Ho preferito una fata meno moderna, anche se atipica. A voi le critiche.

Scintilla sorrise alla vista della zattera travolta dall’ennesima onda e dell’uomo che annaspava in cerca d’aria nell’oceano. La tempesta vomitava pioggia come fosse una cascata di coltelli illuminati dai fulmini. “Questa è l’occasione giusta.”
La fatina, invisibile ai suoi occhi, lottò contro il vento furioso fino a raggiungere il marinaio. Portò una mano al cielo e la chiuse a pugno. La roteò sopra la testa e l’aprì di scatto, osservando il lazo immaginario schizzare fino alle nubi per afferrarle. Sorrise un’altra volta all’uomo in balia delle onde, pur conscia di non essere vista, e scagliò la tempesta verso l’orizzonte.
Il cielo si schiarì come una scena di teatro che si libera di un sipario nero e il vento si quietò. Il marinaio annaspò gemendo fra le onde tranquille e raggiunse una trave sufficientemente intatta da restare a galla. Scintilla annuì compiaciuta e intinse i piedini nell’oceano sereno. Gonfiò il petto d’aria salmastra.
«Lavoro discreto» disse una voce alle sue spalle.
Scintilla si voltò. Una fatina dalla schiena simile ad un boomerang e due occhiali identici agli occhi di un gufo sul volto tatuato di rughe stava scrivendo un appunto su di un piccolo taccuino. La lunga penna d’oca che danzava sulla carta.
L’apprendista diede uno sguardo all’uomo svenuto sulla trave, diretto verso la costa all’orizzonte. Tolse i piedi dall’acqua.
«Discreto? Un ottimo lavoro semmai!» esclamò con un sorriso da far invidia a un leone. Portava perfino una criniera simile come capelli.
La maestra borbottò un grugnito, poi arcuò le sopracciglia fino all’attaccatura dei capelli bianchi. «Immagino tu abbia spinto il vento a portare l’uomo fino a terra.»
«Già.»
«E che guarda caso una volta raggiunta vi trovi un aereo pronto a portarlo a casa com’era suo desiderio.»
Scintilla sorrise un’altra volta, danzando sull’acqua come un’efemera che non sa di trovarsi a tiro di una trota. La maestra la prese per mano e la fermò. «Seguimi»
Le due fate volarono a pelo d’acqua senza dire una parola, lasciando al proprio fortunato destino il marinaio che galleggiava inerte. Onde su onde regnavano sull’orizzonte come dune di sabbia.
Raggiunsero la tempesta che Scintilla aveva scacciato. Muri d’acqua si ergevano dall’oceano per attraversare la pioggia e i fulmini che spezzavano il cielo. Le fate intoccabili dai coltelli delle nuvole.
Scintilla si liberò della stretta della maestra e spalancò le piccole braccia. «Cosa c’è che non va stavolta? Il marinaio è salvo, il suo desiderio esaudito e la tempesta è lontana!»
La vecchia fata si tolse gli occhiali, li pulì sulla veste di pizzo nero, li inforcò sul naso e puntò col dito i cavalloni più alti. Un fulmine sullo sfondo rese il gesto simile al giudizio di un dio funesto. «È la tua promozione ad essere lontana, ragazza!»
Scintilla seguì il dito della maestra con gli occhi sbarrati. Un veliero stava vorticando nella tempesta come una mosca rinchiusa in un barattolo. Le urla dei marinai che frustavano l’aria assieme al martellare dei tuoni.
Scintilla si diede uno schiaffo. La maestra scosse il capo mentre con uno schiocco di dita metteva fine alla furia del cielo. La nave in lontananza riprese a solcare l’oceano come nulla fosse.
«Questa è la quinta volta che effettui l’esame, Scintilla Garbon» commentò la vecchia con le braccia conserte. «Quando avrai intenzione di seguire la testa anziché agire d’istinto?»
Scintilla sospirò. I piedini nuovamente intinti nell’acqua. «Sa, pensavo di iscrivermi al corso per i disastri naturali, credo di esservi più portata.»
La fata gobba ghignò. «Avresti senz’altro più possibilità, ma non credo che saresti felice.»
Scintilla la guardò mestamente, abbassandosi tanto da immergersi fino al ginocchio e sfiorare con le mani la superficie dell’acqua. «Forse ha ragione.»
La maestra annuì. Si avvicinò a Scintilla e la prese per mano. «Sarà per la prossima volta.»
Un bagliore illuminò l’oceano per un istante. Le onde rimasero sole.

#336 Comment By Gamberetta On 11 luglio 2011 @ 18:13

@Chris. In generale ci siamo: hai mostrato abbastanza, anche se la testardaggine di Scintilla è solo raccontata dal commento della maestra alla fine nel quale si dice che non è la prima volta che prova fallendolo l’esame.
Ti consiglio di leggere l’articolo del Manuali 1 sulle descrizioni, perché abusi di metafore e similitudini. Non solo tali metafore/similitudini sono spesso inutili, ma in alcuni casi sono anche dannose. Inoltre ti impediscono di scrivere al loro posto un mostrato efficace. Ti faccio qualche esempio:

Il cielo si schiarì come una scena di teatro che si libera di un sipario nero [...]

Se dici che il cielo si schiarì è già sufficiente. Ma se vuoi dare l’effetto, invece di mettere una similitudine che allontana il lettore dalla scena (perché non puoi impedire a chi legge di immaginare, e leggendo queste parole si passa dal guardare il cielo all’essere a teatro), puoi descrivere meglio, per esempio puoi dire che il cielo azzurro fende la coltre di nubi che si divide in due. Anche solo che le nuvole si disperdono. Insomma prima di affidarti a una metafora guarda se non puoi descrivere direttamente.

Onde su onde regnavano sull’orizzonte come dune di sabbia.

È sgraziato evocare nella mente del lettore la sabbia e il deserto se stai parlando dell’oceano. Rovini l’atmosfera.

Un veliero stava vorticando nella tempesta come una mosca rinchiusa in un barattolo.

Questa metafora è una delle meno peggio, in effetti il movimento della mosca intrappolata può rendere bene il movimento della nave. Però dato che siamo in un esercizio dedicato al mostrare, sarebbe meglio togliere la metafora e descrivere quello che effettivamente succede. Descrivi le onde che si abbattono sull’alberatura del veliero e spezzano le assi. Descrivi i marinai sbalzati in acqua. Descrivi la prua della nave che sparisce sotto le onde e riemerge.
In generale riguardati tutte le metafore/similitudini e pensa bene se non sia il caso di toglierle o di sostituirle con descrizioni più accurate. La metafora/similitudine deve essere l’eccezione, proprio quando non c’è altro modo per comunicare il concetto.

Ci sono poi altri punti in cui la storia non è in effetti mostrata, per esempio:

La fatina, invisibile ai suoi occhi, lottò contro il vento furioso fino a raggiungere il marinaio.

A parte che il punto di vista è della fatina, dunque basta dire che è invisibile, senza tirare in ballo gli occhi del marinaio, qui il “lottò” è fiacco, più raccontato che mostrato. Meglio dire che il vento scompiglia il capelli della fatina, le sbatacchia la gonna; gli spruzzi di acqua gelida le sferzano le guance; si protegge il viso con il braccio, ecc. Insomma fai vedere la lotta.

Il marinaio [...] raggiunse una trave sufficientemente intatta da restare a galla.

Anche qui: o mostri in dettaglio gli sforzi del marinaio per trovare questa trave in particolare, oppure tanto vale che rendi più semplice la situazione: “[...] si aggrappò a una trave.” È scontato dal gesto che la trave è intatta abbastanza da rimanere a galla.

Viceversa ho apprezzato che le emozioni delle fatine traspaiono da gesti concreti (come Scintilla quando si dà lo schiaffo), senza bisogno che tu racconti quali emozioni sono. Molto bene.
E come dicevo nel complesso non male.

#337 Comment By Chris On 11 luglio 2011 @ 19:50

Grazie mille di tutto. Ottimi consigli quelli dei manuali.
Spero che qualche autore italiano riesca a ridare vita al fantasy nostrano a tal punto da risvegliare in te il desiderio di recensirlo. Ma del resto, per il momento è meglio lasciar perdere.

Buone pescate di gamberi!

#338 Comment By Luthando On 30 luglio 2011 @ 20:32

Ciao Gamberetta!
Per prima cosa voglio dirti che sto studiando, sto studiando…
Ho cominciato con gli utilissimi consigli, gli appunti, insomma con i mini-manuali che hai pubblicato qui e man mano procederò con la lettura dei manuali interi…
Sto leggendo un certo Assault Fairies ;) e La Strada di McCarthy (da te consigliato). Purtroppo vivendo in un luogo di villeggiatura sull’oceano questo è il periodo peggiore per trovare del tempo per approfondire, leggere e scrivere, tutto va molto a rilento.
Ti farò sapere al più presto qualcosa su Assault Fairies, nel frattempo vorrei postarti un paio di cartelle per avere una tua opinione.
Di che si tratta?
Bè, come moltissimi “imbrattacarte appassionati di fantasy e sci-fi” ho scritto un romanzo, basandomi unicamente sulla mia esperienza come lettore. Pensavo che si potessero estrapolare dei modelli e delle “regole” dai classici di fantascienza, imparando a scrivere direttamente da quegli autori e da quei romanzi che negli anni mi hanno entusiasmato e che ho letto e riletto. Se mi è venuta voglia di rileggerli è perché nascondono dei segreti, no?
Ti dirò: nella mia ignoranza sulle tecniche narrative & co. in questo modo qualche regola me la sono data… Poi ho chiacchierato con gente, ho scoperto dei siti e dei blog che trattano l’argomento e inevitabilmente il mio modo di vedere l’intero universo della scrittura è stato stravolto… Per fortuna :)
Dunque le cartelle di cui ti parlavo sono le prime del mio romanzo in due versioni: PRIMA e DOPO.
La storia di cui tratta il mio romanzo continua a piacermi, si tratta di riscriverlo assecondando la mia nuova visione dell’universo.
Ti appiccico qui il PRIMA e il DOPO la dieta salutista. Se non pretendo troppo mi piacerebbe avere un tuo parere, poi continuerò da solo… no, non ti preoccupare, non farò il furbo: non ti posterò tutto il romanzo tre cartelle alla volta. Vorrei solo sapere da te se sto prendendo perlomeno la giusta direzione…
Se non hai tempo e/o voglia e/o ecc… non me la prendo mica, continuerò a studiare e a seguire il tuo blog. Thanx

Si tratta del prologo – LA GRANDE MACCHIA -

PRIMA
Era successo tutto troppo in fretta.
Nonostante la preparazione e il rigoroso addestramento speciale, Gizli Ajan non aveva avuto la prontezza e tanto meno il tempo di reagire in modo adeguato. Si era semplicemente abbandonato dall’istinto primordiale di sopravvivenza.
A dirla tutta non era nemmeno riuscito a capire cosa fosse accaduto là fuori, nello spazio aperto.
Solo ora, mentre la navetta fantasma Hayalet precipitava ad una velocità vorticosa, scavando un tunnel attraverso le nubi oscure e corpose della Grande Macchia, i recentissimi accadimenti gli riaffiorarono alla memoria come pulsazioni crepitanti e remote di luci e suoni, aggrovigliandosi e confondendosi con un sibilo acuto e con la serie di immagini caotiche che gli balenavano davanti agli occhi.
Cashus, uno dei suoi compagni, era appena morto a causa del tremendo urto contro la plancia di comando. La maschera di idrocristallo ossigenato che gli rivestiva il volto era andata in frantumi e la depressurizzazione incontrollata della cabina lo aveva ucciso. Il suo corpo sembrava quello di un fantoccio snodato gettato al suolo e sbatteva da una parte all’altra, assecondando i violenti scossoni dell’abitacolo.
Gizli Ajan, sballottato nel suo sedile imbottito e illuminato dall’intensa luce blu degli indicatori di stallo e di emergenza, era paralizzato. Non riusciva a reagire e non pensava ad altro se non a cosa fosse successo poco prima al di fuori dell’atmosfera del pianeta e a cosa gli sarebbe accaduto entro breve.
Nonostante la depressurizzazione dovuta allo scontro e all’avaria della strumentazione di bordo, causata dalle enormi interferenze magnetiche della Grande Macchia, avvertiva in un punto imprecisato dello stomaco, la fastidiosa pesantezza del senso di colpa per il proprio assoluto disinteresse nei confronti della terribile sorte toccata al compagno.
Il fosco ventre dell’immensa tempesta magnetica li stava inghiottendo. Attraverso il parabrezza offuscato, si poteva vedere solo un buio tentacolare nel quale ogni tanto si spalancavano delle immense zone di depressione, fenditure grandi quanto fosse oceaniche, che esplodevano in luci abbaglianti scarlatte e color rosso sangue.
Era tutto troppo frenetico per dar modo a Gizli Ajan di distinguere chiaramente cosa stesse accadendo fuori dall’abitacolo, nelle viscere della Grande Macchia. La sua mente era tanto smarrita e in preda al panico che più di una volta credette di intravedere nell’oscurità le sagome delle divinità appartenenti agli antichi miti pagani del suo pianeta, che narravano di lotte titaniche tra creature divine nei cieli.
Fu proprio in quegli attimi che l’addestramento venne meno, affondato nei recessi oscuri dell’incubo che lo circondava avvinghiandosi con le unghie alla sua pelle. Per fortuna una minuscola parte della sua coscienza ancora sobria riusciva ad aggrapparsi a pensieri più lucidi, seppur fuori luogo. Pensava quanto fosse bizzarro e ingiusto passare in meno di un istante dall’euforia più totale per la riuscita della missione a quella situazione tragica e disperata.
Insomma ce l’avevano fatta! Lui, Kraliyet e Crashus, i suoi due compagni, avevano portato a termine una delle missioni più temerarie e rischiose del Kral a?, la rete spionistica segreta del pianeta Bayt.
[...] segue il flash back. Tutto raccontato, è ovvio…

DOPO
Gizli Ajan sciolse gli occhi dalla stretta in cui li aveva imprigionati.
Una goccia di sudore colò dal sopracciglio sinistro e si insinuò repentina nella stretta fessura tra le palpebre.
L’iride si bruciacchiò, la vista gli si appannò.
Sbatté le palpebre con frenesia e l’azzurro brillante delle luci che rivestivano la console di comando si confuse in una nebbia cristallizzata che oscillava davanti ai suoi occhi.
Sobbalzava sul sedile, la tuta attutiva gli scossoni.
Sotto i guanti le mani erano intrise di sudore gelido. Erano stese davanti a sé, colte da un tremore incontrollato, come appartenenti a qualcun altro.
Riprese a vedere con più chiarezza. Un ammasso di spie e indicatori lo bombardò di luci che lampeggiavano a un ritmo frenetico.
Dispositivo per il volo intra-planetario, limitatore di incidenza, indicatore di stabilità, attenuatore di raffiche, tutti gli strumenti erano illeggibili. Erano impazziti.
La barra di comando, abbandonata a se stessa, tremava senza controllo.
I due indicatori di velocità e quota, allineati alla sinistra della barra di comando, non davano segni di vita. Sulla superficie di uno dei monitor brillavano le tracce appiccicose dei minuscoli frammenti di idrocristallo saltellanti, sporchi di un liquido carminio. Più in basso, sul bordo della console, si espandeva una grande chiazza di sangue fresco.
Gizli Ajan si voltò. Lo stomaco gli si compresse, come risucchiato dall’interno. Deglutì a fatica la bile che gli era risalita fino in bocca quando vide Cashus. Un fantoccio snodato che sbatteva da una parte all’altra della cabina di pilotaggio. La maschera di idrocristallo ossigenato era in frantumi, schizzata di rosso dall’interno, il volto era tumefatto, squarciato e coperto di sangue.
Cashus è morto! Non c’è più. Quel corpo è lui…
Sul sedile accanto Kraliyet sobbalzava nell’imbracatura di sicurezza. La testa del compagno era china e scattava lungo il quadro di comando di fronte a sé, i guanti correvano con movimenti nervosi da un angolo all’altro del quadro, sfiorando gli strumenti di bordo.
A intermittenza le luci intense mettevano in evidenza la pelle lucida del volto, le gocce di sudore che crollavano dal naso, i muscoli contratti della mascella, le rughe stirate.
Kraliyet sollevò il capo e sgranò gli occhi. Le sue mani si paralizzarono.
Gizli Ajan seguì la direzione del suo sguardo. Là fuori le scie scure di nubi che avevano fino a quel momento solcato il parabrezza come serpenti di fumo erano svanite. Al loro posto si spalancò una fenditura immensa circondata da un muro denso di cumulonembi che mulinavano sospinti dalle correnti.
Un fulmine globulare scarlatto si allungò all’interno della fenditura. Un’esplosione furiosa coprì le vibrazioni dell’abitacolo e il fremito degli strumenti di bordo. Una luce scarlatta pulsò all’interno di una nube lontana e illuminò lo squarcio di un rosso vivido.
Altre scariche elettriche seguirono rapide la prima. L’avvallamento oscuro si trasformò in una fitta foresta di fulmini rosso vivo. Tuoni e lampi gonfiavano le nubi tutt’intorno.
« Fai qualcosa, rovine sacre! » strillò Kraliyet.
Gizli Ajan si voltò verso il compagno che lo stava fissando. Gli occhi fuori dalle orbite, le narici pulsanti.
Scrollò la testa e tornò a concentrarsi sul quadro di comando di fronte a sé.
Non poteva succedere. Il durissimo addestramento l’aveva preparato ad affrontare situazioni del genere.
Stiamo precipitando, rovine sacre!
Strinse i denti, sbatté i pugni sulla console e afferrò la leva di comando.
Cashus è morto…
Non poteva essere vero. Solo poco tempo – pochissimo tempo prima – stavano festeggiando. Erano sulla rotta verso casa.
La leva di comando era rigida, gli dolevano i muscoli per le sollecitazioni. Il parabrezza si oscurò di nuovo, scie di fumo scuro ne solcavano la superficie. Erano riaffondati nel ventre della tempesta magnetica.
Stavano precipitando eppure non riusciva a non domandarsi che cosa fosse accaduto là fuori, nello spazio aperto.
[...] sarà seguito da un flash back, il più mostrato possibile ;)

Muchas gracias
¡Hasta luego!
Luthando

#339 Comment By bebbo On 3 agosto 2011 @ 01:12

solo una domanda: ma tu stai sostenendo che raccontare e non descrivere sia “brutto” o che sia “sbagliato”?
perchè se sostieni che sia brutto (giudizio soggettivo, su cui sono spesso d’accordo) ci sta tutto,
se invece sostieni che sia sbagliato, non sono per nulla d’accordo.

#340 Comment By Gamberetta On 3 agosto 2011 @ 12:35

@Luthando. Mi spiace, troppo lungo, non ho tempo. Do un parere solo sugli esercizi proposti nell’articolo.

@bebbo. Termini come “giusto” o “sbagliato”, “bello” o “brutto” spesso si usano per sintetizzare, ma non sono i termini corretti per inquadrare la questione. Riprendendo un esempio di qualche centinaio di commenti fa, io posso scrivere:
1) C’era un animale pericoloso. [raccontato]
Oppure:
2) C’era un serpente. [mostrato]
È dimostrato sperimentalmente che la 2) ha un impatto maggiore sul cervello di chi legge. Più una situazione è mostrata più è emozionante. Perciò se il mio scopo è spaventare/turbare chi legge devo puntare alla 2), se invece non voglio farlo va bene la 1). Qual è il giusto, sbagliato, bello, brutto? Quello che vuoi, però se ti interessa trasmettere al meglio le emozioni la 2) è la scelta corretta.

#341 Comment By bebbo On 3 agosto 2011 @ 12:59

Comunque sia, mi dispiace ma non sono d’accordo con la tua lezione.
Dirò di più: mostrare tutto risulta eccessivo e troppo pesante, il raccontare a volte alleggerisce alcune situazioni specialmente quando non necessitano di essere fissate a lungo nella mente del lettore.

Credo che sia scontato che quando introduci un personaggio e lo descrivi non puoi limitarti a dire “era vecchio” ma devi mostrarne la barba bianca,le rughe e così via. Se però durante un dialogo ti limiti a dire “No- rispose rabbiosamente” e non mostri utilizzando ad esempio “No- disse sbattendo un pugno sul tavolo”, non si può considerare un errore, e magari è più funzionale al racconto (magari il personaggio ha solo un tono di voce adirato ma non è un tipo violento, scriverei quindi “no- disse con tono adirato” ma secondo la tua visione potrei scrivere solo “no porco cazzo!” o “no maledizione”, quindi non potrebbe esistere un personaggio che si esprima semplicemente con un “No” che suoni, di per se, rabbioso, e questo è semplicemente sbagliato!).

Il mostrare è meglio per certe cose, ma ridurre tutto un romanzo a “immagini tradotte in parole” non è una regola, può essere al massimo una regola per accontentare il tuo personale gusto. Io personalmente lo trovo anche de-letterarizzante a volte.

Alcuni passaggi “raccontati”, se messi nei punti giusti e se contengono il giusto genere di informazioni talvolta danno un attimo di tregua al mio cervello che non si sovraccarica di informazioni per così dire fisiche.

Inoltre puoi citare tutti i manuali del mondo, ma l’unica regola fondamentale rimane: piace ciò che piace. Aristotele e Orazio non sono la bibbia, sono stati criticati parecchie volte nel corso della storia, anche se loro suggeriscono che è meglio una descrizione dinamica, o il mostrare, non significa che sia per forza così, non è una “regola”.

Piace ciò che piace: licia troisi può anche scrivere da cani secondo te, ma secondo altri scrive bene. E non ne farei tanto una questione di stupidità o scarsa cultura come se tu fossi una delle ultime detentrici del vero sapere su come si costruisce la narrativa. Tu predichi come si costruisce il genere di narrativa che a te piace, puoi anche sostenere che nel nostro periodo storico sia l’unica accettabile, ma non puoi spacciare il tutto come regola universale!

Io apprezzo la crociata per “educare al buon gusto” ma non se fatta basandosi solo su tecnicismi il cui utilizzo “totale” è quantomeno discutibile (le eccezioni in cui consenti l’utilizzo del raccontato non sono abbastanza,a mio avviso) .Quando attacchi una trama debole o un passaggio incoerente è ben diverso.

Qui sei arrivata a sostenere che il narratore onnisciente non può esistere

Seguire il principio dello “Show don’t tell” implica rinunciare al narratore onnisciente

ma questo è chiaramente sbagliato, io posso decidere di procedere col mio narratore onnisciente e non sto “sbagliando” sto facendo una scelta stilistica che tu non gradisci, i fan di licia troisi magari si, si meritando di essere definiti idioti solo per questo? preciso che non so se la troisi usi un narratore onnisciente o meno, è solo un esempio.

In attesa di risposta un saluto

#342 Comment By bebbo On 3 agosto 2011 @ 13:00

dico subito che il commento 341 l’ho scritto prima di leggere il commento 340!

#343 Comment By bebbo On 3 agosto 2011 @ 13:13

in riferimento al comento 340:

allora posso completamente concordare sulle tue lezioni, però da come sono scritte e da come è scritto anche il resto del blog mi pare questo concetto (e cioè che qui si boccia e si promuove in base al tuo gusto e non in base a delle supposte regole universali) non sia per niente chiaro!

Inoltre può essere lo scrittore che in un determinato contesto vuole lasciare la situazione fumosa e indefinita , ad esempio “Antonio non prestò particolare attenzione alla gabbia alla sua sinistra all’interno della quale si trovava qualche genere di animale pericoloso” è chiaro che è lo stesso Antonio a non curarsi del contenuto della gabbia e a giudicare gli animali pericolosi in un unico gruppo , in quel dato momento non gli interessa se si tratta di un leone o un cobra, probabilmente perchè in quel momento sta pensando ad altro. Io ,scrittore, voglio che il lettore avverta esattamente questo, la mancanza di attenzione per quel dettaglio. In questo caso ciò che ho scritto non può essere bollato come “errore” e personalmente non trovo questo esempio (anzi, diciamo questo genere di scrittura, non questo esempio in particolare) “brutto” , e sicuramente è più che legittimo.

#344 Comment By Gamberetta On 3 agosto 2011 @ 13:43

@bebbo. L’esempio che hai fatto non ha molto senso: se Antonio non presta particolare attenzione come fa a sapere che gli animali sono pericolosi? Come minimo deve aver prestato abbastanza attenzione da riconoscerli.
In realtà succede questo:

Antonio camminava lungo il corridoio, contando sulle dita. Devo comprare il latte, comprare il burro. Dalle gabbie alla sua sinistra giungevano latrati e il rumore di artigli che graffiano le sbarre. E passare in pasticceria. Antonio spalancò la porta con il simbolo di pericolo biologico e uscì.

E detto questo se pensi davvero che:

Inoltre puoi citare tutti i manuali del mondo, ma l’unica regola fondamentale rimane: piace ciò che piace.

Mi sembra inutile discutere, dato che ogni affermazione ha lo stesso valore di ogni altra. Se hai trovato qualcosa di utile e/o interessante nell’articolo bene, altrimenti pazienza. Ciao.

#345 Comment By bebbo On 3 agosto 2011 @ 15:01

scusami ma hai fatto un cambiamento radicale che non c’entra niente, se dobbiamo cambiare completamente la storia è un conto, qua siamo su un singolo breve semplice passaggio, non voglio che antonio pensi a cosa deve comprare,non voglio che il lettore perda tempo a concentrarsi sui latrati etc,è una fase di passaggio sbrigativa, voglio solo che il protagonista sia disattento

“Antonio non prestò particolare attenzione alla gabbia alla sua sinistra all’interno della quale si trovava qualche genere di animale pericoloso”

prima cosa Antonio non è tenuto ad aver prestato attenzione agli animali all’interno, sono io narratore che dico che sono pericolosi, lui ha la testa per aria, nel momento in cui da narratore suggerisco che si tratta di “qualche genere” non meglio specificato significa che lo stesso antonio non ci fa caso. Seconda cosa per ovviare al problema che dici tu basta aggiungere un “probabilmente”.

“Antonio non prestò particolare attenzione alla gabbia alla sua sinistra all’interno della quale si trovava probabilmente qualche genere di animale pericoloso”

che mi lascia il dubbio, forse erano animali pericolosi o forse no, ad Antonio è parso di avvertire in qualche modo che fossero pericolosi ma potrebbe anche sbagliarsi. Chissene frega, è un passaggio veloce che è volutamente lasciato indefinito
-perchè non importante,
-perchè il lettore è stanco di me che gli mostro ogni minimo particolare
-perchè vogliamo far uscire antonio più velocemente dal laboratorio/zoo quello che è
-perchè io scrittore non voglio che il lettore si emozioni adesso, voglio prenderlo completamente di sorpresa la scena dopo

Ripeto tu hai tutto il diritto di preferire un autore che ti “mostra” tutto, ma il giudizio si ferma qua, a qualcosa di assolutamente personale e che non può essere portato a prova di “errore” a solo a prova di “ciò che a te non piace”.

Questo non è assolutamente chiaro in questo blog e molta gente che legge non lo capisce.

se pensi davvero che:
“Inoltre puoi citare tutti i manuali del mondo, ma l’unica regola fondamentale rimane: piace ciò che piace.”
Mi sembra inutile discutere, dato che ogni affermazione ha lo stesso valore di ogni altra.

Mi sembra chiaro che sia così nel momento in cui si parla di gusti e non di regole: non parliamo di congiuntivi (che possono essere giusti o sbagliati) ma narratori onniscienti o meno che sono scelte stilistiche che vanno sempre bene, che possono piacere o meno.

Se hai trovato qualcosa di utile e/o interessante nell’articolo bene, altrimenti pazienza. Ciao.

si ho trovato qualcosa di utile e sono interessato ad approfondirla, se ti va, certo nessuno ti obbliga, ma questo tono da simpatia portami via proprio non me lo spiego, vabbè, ciao

#346 Comment By Il Guardiano On 3 agosto 2011 @ 16:11

Nell’esempio fatto da Gamberetta, si usa un punto di vista nella testa del personaggio, molto dentro. Mi sembra dunque naturale come lo ha descritto lei. A questo punto pero mi chiedo: perché ha fatto caso al simbolo di pericolo biologico sulla porta e non ha fatto una piega?

Col tipo di narratore di bebbo non vedo il problema a rimanere sul vago in quel modo… Fermo restando che quel particolare non deve avere la massima importanza per la storia e che quel determinato topo di pov venga usato per tutta la narrazione. Altrimenti mi sentire preso in giro dallo scrittore, mi tiene all’oscuro

#347 Comment By Angra On 4 agosto 2011 @ 11:14

@bebbo:

Brevemente: 2 + 2 = 5 è sbagliato non perché qualche intellettuale capriccioso ha deciso che fa 4, ma perché un ponte progettato da uno per cui 2 + 2 = 4 dà più garanzie di funzionare come deve.

Una storia è più coinvolgente se il lettore può immergervisi tramite i sensi di un personaggio POV che sta all’interno della storia, lo è di meno se la storia è vissuta tramite il filtro di un narratore che sta fuori dalla storia.

Poi può essere che il piacere nella lettura di un particolare testo non sia nella storia in sé ma nella voce di un narratore strepitoso creato da un autore molto bravo, ma in questo caso siamo fuori dall’ambito della narrativa di genere alla quale sono orientate le lezioni di Gamberetta.

#348 Comment By Ste On 4 agosto 2011 @ 13:06

“Antonio non prestò particolare attenzione alla gabbia alla sua sinistra all’interno della quale si trovava qualche genere di animale pericoloso”

prima cosa Antonio non è tenuto ad aver prestato attenzione agli animali all’interno, sono io narratore che dico che sono pericolosi

E’ assolutamente incoerente.
Se Antonio è distratto non può sapere che animali ci sono nella gabbia: pososno essere koala o tigri del bengala
Se los a il narratore che viene a dirmelo, perchè non mi dice che sono giaguari invece di dirmi solo “pericolosi”.
Inoltre se mi dici che a sinsitra c’è una gabbia, ha una qualche importanza per la storia altrimenti dovresti dirmi anche cosa c’era alla sua destra. Nuovamente se Antonio è distratto non vede nè a destra nè a sinsitra, oppure dà una rapida occhiata alla gabbia, ma in tal caso vede quali animali ci sono. Se non li conosce non può sapere che sono pericolosi, potrebbe dedurlo dalle loro caratteristiche (zanne, dimensioni, ecc) ma il narratore DEVE in questo descrivere gli animali.
L’unica alternativa è togliere l’aggettivo pericolosi.
Sono in uno zoo è naturale che ci siano gabbie con dentro degli animali. Quali? Che ne so, sono distratto.
Insostanza equivale a dire se la frase “Io dico sempre bugie” sia la verità o una bugia

Quanto alle regole, al piace, alla libera scelta… equivale ad andare contromano e contestare la multa perchè è una propria libera scelta. “Agente non può multarmi, lo so che stavo andando contromano, è una mia scelta, a me piace rischiare di fare un frontale”

#349 Comment By bebbo On 4 agosto 2011 @ 19:22

@angra

Una storia è più coinvolgente se il lettore può immergervisi tramite i sensi di un personaggio POV che sta all’interno della storia, lo è di meno se la storia è vissuta tramite il filtro di un narratore che sta fuori dalla storia.

Posso anche concordare ma è una cosa personale e ,soprattutto, è una scelta il volere rendere una parte coinvolgente o meno! non posso concordare sul ritenere ERRORE scegliere uno stile diverso (magari anche solo parzialmente all’interno di un racconto). Qua ,sulla basa dell’utilizzo del lettore onniscente o sulla base del “raccontare e non mostrare” si dice: scrivi male, chi ti legge è un idiota.
L’unica regola che potrei accettare è : mostrare è più coinvolgente, raccontare lo è di meno. Ciò non significa che DEVI SEMPRE mostrare e non raccontare, anzi a me pare che se mostri sempre ti giochi subito tutte le cartucce e quando è il momento di accellerare non ti rimane altro che la trama.

@ste

“Antonio non prestò particolare attenzione alla gabbia alla sua sinistra all’interno della quale si trovava qualche genere di animale pericoloso”
prima cosa Antonio non è tenuto ad aver prestato attenzione agli animali all’interno, sono io narratore che dico che sono pericolosi

E’ assolutamente incoerente.

noneeeee, è solo “diverso”

Se Antonio è distratto non può sapere che animali ci sono nella gabbia: pososno essere koala o tigri del bengala

quanti livello di distrazione possono esistere nell’essere umano? antonio potrebbe anche solo aver notato di sfuggita un cartello di pericolo, o aver sentito qualche rumore prodotto da animali pericolosi, o ricordare che il giorno prima in quel punto c’era la gabbia delle tigri a tre teste. Antonio è distratto e , per un motivo o per un altro (motivo di cui a me scrittore in questo momento non frega nulla di rendere partecipe il lettore) “avverte” questo piccolo particolare.

Se los a il narratore che viene a dirmelo, perchè non mi dice che sono giaguari invece di dirmi solo “pericolosi”.

perchè al narratore in quel momento non frega nulla di dirti che c’era una giaguaro con la testa grande come un pompelmo e 12 macchie lungo il dorso di cui una a forma di pistola. Non gliene frega niente probabilmente perchè vuole tagliare ciò che è inutile ,però allo stesso tempo vuole mantenere te lettore all’interno dell’atmosfera in cui si muove Antonio (sbadaggine non totale). Definire questo stile “sbagliato” o “incoerente” è impossibile! Il massimo che potete dire è che non vi piace, ma la differenza è tanta eh.

Inoltre se mi dici che a sinsitra c’è una gabbia, ha una qualche importanza per la storia altrimenti dovresti dirmi anche cosa c’era alla sua destra.

Da lettore sei tu che devi capire il significato di quell’informazione “buttata lì”. Il significato dell’informazione “superficiale” e “raccontata” è quello di far capire al lettore in maniera veloce e leggera l’atmosfera in cui si muove il protagonista, voi siete invece fissati con questo tipo di scrittura “analogica” legata completamente al mostrare che è necessaria in alcuni punti del racconto, ma non sempre! a volta una scrittura ,diciamo così “metalogica” che non suggerisce direttamente l’immagine ma ti cala in qualche modo ,indirettamente, nell’atmosfera è altrettanto utile se non migliore!

Nuovamente se Antonio è distratto non vede nè a destra nè a sinsitra, oppure dà una rapida occhiata alla gabbia, ma in tal caso vede quali animali ci sono.

ma perchè cambiate sempre tutto quel che si scrive? chi ha detto che antonio non vede a destra e a sinistra?antonio è solo distratto, vede tutto, avverte la presenza di tutto come quando una persona cammina per il marciapiede ed è normalmente sovrapensiero ma nonostante questo riesce a evitare di andare a sbattere a un palo che si trova lungo la sua strada ,magari non ha notato se si trattava del palo della luce o di un semaforo o di un palo che sorregge un cartello stradale, ma intanto ha evitato “un qualche genere di palo”.

Se non li conosce non può sapere che sono pericolosi

Primo, nessuno ha detto che non li conosce, magari sono cobra e leoni e draghi tutti mischiati insieme e lui li conosce, solo che in quel momento li classifica così “qualche genere di animale pericoloso”, secondo in parecchi casi anche animali sconosciuti possono essere identificati come pericolosi o meno, tanto per dire vedi zanne e fauci anche se non hai mai visto il gatto mannaro della manciuria lo classifichi come pericoloso.

, potrebbe dedurlo dalle loro caratteristiche (zanne, dimensioni, ecc)

ah ok, appunto,

ma il narratore DEVE in questo descrivere gli animali.

ma non è assolutamente vero, il narratore non vuole darti nessuna informazione su questi animali, se non che sono forse pericolosi. Tanto per vedere che genere di informazioni ti fornisce questo velocissimo e “mimetizzatissimo” particolare faccio un paio di esempi: potrebbe aiutarti magari a farti l’idea di dove lavora antonio (un posto con animali pericolosi), potrebbe farti vedere che antonio è un tipo che non ha paura degli animali, o che è immerso in una routine quotidiana per cui non ha bisogno di assicurarsi dei particolari o chissà cos’altro vuole dirti il narratore. Il tutto senza rincitrullirti di particolari e lasciando che si proceda più velocemente verso la prossima scena in cui , lì si, vuole svelarti che in realtà antonio proviene da un altro pianeta chiamato vegeta e aveva il compito di sterminare tutti gli esseri umani.

L’unica alternativa è togliere l’aggettivo pericolosi.
Sono in uno zoo è naturale che ci siano gabbie con dentro degli animali. Quali? Che ne so, sono distratto.

ma anche no! a me narratore fa utile dirti che , tòh, antonio passa con nonocuranza vicino ad animali pericolosi.

Insostanza equivale a dire se la frase “Io dico sempre bugie” sia la verità o una bugia

qui non ti seguo :P

Quanto alle regole, al piace, alla libera scelta… equivale ad andare contromano e contestare la multa perchè è una propria libera scelta. “Agente non può multarmi, lo so che stavo andando contromano, è una mia scelta, a me piace rischiare di fare un frontale”

scusami ma l’esempio non calza per nulla, le regole da seguire per scrivere sono : concordare soggetto e verbo, utilizzare questo tempo se ti riferisci a un azione passata, quest’altro se stai esprimendo una condizione necessaria affinchè si realizzi un fatto o meno, etc. Dopodichè nel raccontare ognuno usa il metodo che trova migliore (a livello estetico, a livello di “comprensione”, a livello di “immedesimazione del lettore” etc).
Ora ,assunto che qui ci si riferisce solo a un certo genere di narrativa*ENORME ASTERISCO*(che comunque non esclude sperimentalismi etc, ma questa è giusto una nota perchè non vedo nessun esperimento tra ciò che è stato recensito da gamberetta) anche in questo genere di narrativa NON C’E’ la regola che bisogna SEMPRE (ribadisco, ho visto le eccezioni di gamberetta e non le reputo sufficienti) mostrare e non raccontare.
Mi sta benissimo che voi diciate “io mi baso su questo,per ME è meglio questo” ma è una regola VOSTRA, che si rifà al VOSTRO gusto (col quale tra l’altro sono spesso d’accordo).
Però è una differenza enorme , soprattutto quando sulla base di questo si stabilisce chi sa scrivere (e non “chi sa scrivere secondo voi”) e chi no (e con questo non voglio difendere tutti i recensiti di Gamberetta, sicuramente qualcuno che davvero non sa scrivere c’è).

In sostanza io trovo che mostrare/raccontare possono essere entrambi usati in momenti diversi (che non sono solo quelli citati da gamberetta), sono entrambi legittimi ed il loro utilizzo o meno non è ,di per se, tacciabile come fonte di cattiva scrittura o meno se non a livello di opinione personale (non regola).

*ENORME ASTERISCO* se è così davvero però, non tirate in mezzo Manzoni e Eco eh

#350 Comment By Il Guardiano On 4 agosto 2011 @ 22:29

@angra

Poi può essere che il piacere nella lettura di un particolare testo non sia nella storia in sé ma nella voce di un narratore strepitoso creato da un autore molto bravo, ma in questo caso siamo fuori dall’ambito della narrativa di genere alla quale sono orientate le lezioni di Gamberetta.

A questo punto vorrei sapere cosa si intende per “narrativa di genere”.

Questo è quello che dice Wikipedia:

La narrativa di genere è la narrativa (romanzi, racconti) scritta con l’intento di rientrare in uno specifico genere letterario al fine di compiacere gli appassionati di quel genere. Nell’editoria contemporanea, genere è un termine elastico usato per accomunare opere con similitudini di personaggi, temi e situazioni, ad esempio il giallo, il romanzo rosa, l’horror, che si sono dimostrati attraenti per particolari gruppi di lettori. I generi si evolvono, dividono e combinano, man mano che i gusti dei lettori cambiano e gli autori cercano nuovi modi per raccontare storie. Per varie ragioni, la letteratura di genere è spesso considerata “di bassa qualità”, in contrapposizione “all’alta qualità” della narrativa letteraria.

Invece di fugarli, i dubbi sono aumentati. Io non leggo narrativa letteraria. Eppure, concordando che un POV ben saldo e un mostrato invece del raccontato sono ottime tecniche, non ho problemi a immedesimarmi o trovare grande piacere nella lettura di un libro non particolarmente mostrato o N.O.

L’altra alternativa è che per “narrativa di genere” si intende un tipo di narrativa estremamente di nicchia, dove evidentemente voi siete specializzati. Una narrativa dove il Narratore Onnisciente è un errore e il raccontato è un orrore.
Probabilmente verrò fanculizzato garbatamente dicendomi che per poter parlare di scacchi devo essere un campione di scacchi poter parlare di questi argomenti dovrei prima leggere i manuali.
Qualcuno – avrei voluto leggerli tutti, ma il tempo non me lo permette – l’ho letto, ma non ho trovato questo integralismo… anzi.

Ora vado a leggere altri cento manuali, sicuro che verrò invitato a leggerne altri duecento fino a quando non concorderò.

@Bebbo:

potrebbe aiutarti magari a farti l’idea di dove lavora antonio (un posto con animali pericolosi), potrebbe farti vedere che antonio è un tipo che non ha paura degli animali, o che è immerso in una routine quotidiana per cui non ha bisogno di assicurarsi dei particolari o chissà cos’altro vuole dirti il narratore.

Che è più o meno un suggerimento dato in uno dei manuali tanto sbandierati.
Se un personaggio passa centinaia di volte di fronte a una casa – per quanto spettrale possa essere – se non c’è un motivo particolare, il personaggio quasi non la noterà alla faccia del mostrato.

Però è una differenza enorme , soprattutto quando sulla base di questo si stabilisce chi sa scrivere (e non “chi sa scrivere secondo voi”) e chi no (e con questo non voglio difendere tutti i recensiti di Gamberetta, sicuramente qualcuno che davvero non sa scrivere c’è).

Beh… non è solo in base a queste cose che a uno scrittore gli viene messa l’etichetta “non sa scrivere”.
Dando per scontato che non ci siano cretinate logiche, la caratterizzazione dei personaggi è un criterio abbastanza oggettivo per valutare la bravura di uno scrittore. Un personaggio poco realistico è un personaggio poco realistico aldilà dell’immedesimazione o dei gusti del lettore.

#351 Comment By Lela On 4 agosto 2011 @ 22:42

Commento poco ma volevo dare anch’io il mio contributo sulla questione.
Se mi dovessi imbattere in un “qualche genere di animale pericoloso” la domanda che mi faccio subito è “cioè?” Il problema è che non mi sono distratta io dalla lettura, perché la mia attenzione è calata o mi è venuto in mente che ho lasciato aperto il gas, ma è l’autore che mi sta buttando fuori dalla storia, deviando la mia attenzione su particolari che, come dici tu Bebbo, in quel momento non hanno importanza. E allora perché menzionarli? Se ora non serve non vedo perché far nascere nel lettore domande che poi non hanno risposte.
Con questo non voglio dire che devi scrivermi un trattato sugli artigli delle tigri, solo che un minimo di informazioni ci vogliono per evitare che mi senta sbalzata fuori dall’immersione della lettura.
Detto questo, la soluzione che presenti tu di aggiungere un “probabilmente” è ancora più disastrosa: se stai usando un narratore onnisciente non puoi buttarmi lì un “probabilmente” come se niente fosse… Se non lo sai tu che sei il narratore onnisciente lo devo sapere io che sto leggendo il tuo libro riga per riga?! Questo, secondo me, infastidirebbe ancora di più (che poi vabbè, l’avverbio -mente sia da evitare come la peste è un altro discorso!).
Per tutta questa parte:

potrebbe aiutarti magari a farti l’idea di dove lavora antonio (un posto con animali pericolosi), potrebbe farti vedere che antonio è un tipo che non ha paura degli animali, o che è immerso in una routine quotidiana per cui non ha bisogno di assicurarsi dei particolari

ok, ma stavamo parlando solo della frase in sé e non di tutto il contesto! Messa così va bene, è un particolare come un altro, ma credo che allora vada rivista l’intera frase proprio per evitare che l’attenzione cada su un dettaglio inutile.

#352 Comment By bebbo On 5 agosto 2011 @ 01:12

@ Lela

Se mi dovessi imbattere in un “qualche genere di animale pericoloso” la domanda che mi faccio subito è “cioè?” Il problema è che non mi sono distratta io dalla lettura, perché la mia attenzione è calata o mi è venuto in mente che ho lasciato aperto il gas, ma è l’autore che mi sta buttando fuori dalla storia, deviando la mia attenzione su particolari che, come dici tu Bebbo, in quel momento non hanno importanza. E allora perché menzionarli? Se ora non serve non vedo perché far nascere nel lettore domande che poi non hanno risposte.
Con questo non voglio dire che devi scrivermi un trattato sugli artigli delle tigri, solo che un minimo di informazioni ci vogliono per evitare che mi senta sbalzata fuori dall’immersione della lettura.

te lo puoi anche domandare “e cioè” ma non avrai risposta perchè l’autore ha stabilito di esprimersi con vaghezza. Esprimersi con vaghezza è un modo legittimo di esprimersi dell’autore. Non sta scritto da nessuna parte che l’autore deve fugare tutti i dubbi di chi legge, voi potete dirmi che voi lo preferite, benissimo, è legittimo, ma è tutto qua, un vostro gusto.
Inoltre il motivo per cui è scritto così in maniera sbadata c’è (è proprio voluto!), e tu che sei una lettore attento che non vuole solo la pappetta pronta ma che cerca di cogliere autonomamente ciò che l’autore semina, lo trovi anche facilmente. Io nel mio commento precedente ho fatto degli esempi, potrebbero esserci anche altre motivazioni.

Detto questo, la soluzione che presenti tu di aggiungere un “probabilmente” è ancora più disastrosa: se stai usando un narratore onnisciente non puoi buttarmi lì un “probabilmente” come se niente fosse… Se non lo sai tu che sei il narratore onnisciente lo devo sapere io che sto leggendo il tuo libro riga per riga?! Questo, secondo me, infastidirebbe ancora di più

si che posso: io narratore onniscente ti sto dicendo che in fin dei conti per la nostra storia non fa una gran differenza quale animale pericoloso fosse . Mi puoi dire che cancella la mimesi, che ti suona male, che non ti piace, ma non che è semplicemente “sbagliato”.

(che poi vabbè, l’avverbio -mente sia da evitare come la peste è un altro discorso!).

anche questo è un tuo gusto personale, non va presentato come regola.

Per tutta questa parte:

“potrebbe aiutarti magari a farti l’idea di dove lavora antonio (un posto con animali pericolosi), potrebbe farti vedere che antonio è un tipo che non ha paura degli animali, o che è immerso in una routine quotidiana per cui non ha bisogno di assicurarsi dei particolari”

ok, ma stavamo parlando solo della frase in sé e non di tutto il contesto! Messa così va bene, è un particolare come un altro, ma credo che allora vada rivista l’intera frase proprio per evitare che l’attenzione cada su un dettaglio inutile.

no no no, tutte queste possibilità scaturiscono da quella semplice frase, quindi citandoti queste possibili interpretazioni della frase non sto cambiando discorso! Siamo esattamente sul punto! Una frase raccontata e “incoerente” (più giusto sarebbe dire che non la capite o non la volete capire in nome del vostro purismo gamberettiano) da comunque un ampio ventaglio di spiegazioni.

@Il Guardiano

@Bebbo:

“Però è una differenza enorme , soprattutto quando sulla base di questo si stabilisce chi sa scrivere (e non “chi sa scrivere secondo voi”) e chi no (e con questo non voglio difendere tutti i recensiti di Gamberetta, sicuramente qualcuno che davvero non sa scrivere c’è).”

Beh… non è solo in base a queste cose che a uno scrittore gli viene messa l’etichetta “non sa scrivere”.
Dando per scontato che non ci siano cretinate logiche, la caratterizzazione dei personaggi è un criterio abbastanza oggettivo per valutare la bravura di uno scrittore. Un personaggio poco realistico è un personaggio poco realistico aldilà dell’immedesimazione o dei gusti del lettore.

logicità della storia, parere sull’originalità della trama e sulla caratterizzazione dei personaggi mi stanno benissimo come criteri (come detto mi stan bene anche questi altri che i gamberettisti difendono, a patto che se ne facciano metri personali e non universali) ed in effetti la caratterizzazione dei personaggi lascia pochissimo spazio alla soggettività, quindi si, ti posso dare ragione, ma io non condanno in tutto e per tutto il gambero-pensiero, anzi molte cose le trovo sacrosante, ma questa riduzione della narrativa alle sacre regole del manuale è sbagliata e riduttiva, e la conversione di molte menti che ha attuato questo blog è anche un po’ preoccupante.

#353 Comment By Il Guardiano On 5 agosto 2011 @ 08:27

quindi si, ti posso dare ragione, ma io non condanno in tutto e per tutto il gambero-pensiero, anzi molte cose le trovo sacrosante, ma questa riduzione della narrativa alle sacre regole del manuale è sbagliata e riduttiva, e la conversione di molte menti che ha attuato questo blog è anche un po’ preoccupante.

Questa mi sembra una esagerazione. Anche perché, penso io, dopo la fase iniziale del “wow, che figata sta storia delle regole… Sono super iper nega giuste” c’è la fase del “beh, ma secondo me non è proprio così”.

In fondo Platone e aristotele erano maestro e allievo.
Eppure Aristotele prese tutt’altra strada.
La mia prof di filosofia diceva: il miglior allievo non è chi porta avanti il modo di pensare del maestro ma chi, grazie agli strumenti del mastro, trova un proprio modo di pensare.

#354 Comment By bebbo On 5 agosto 2011 @ 10:01

@Il Guardiano

quindi si, ti posso dare ragione, ma io non condanno in tutto e per tutto il gambero-pensiero, anzi molte cose le trovo sacrosante, ma questa riduzione della narrativa alle sacre regole del manuale è sbagliata e riduttiva, e la conversione di molte menti che ha attuato questo blog è anche un po’ preoccupante.

Questa mi sembra una esagerazione. Anche perché, penso io, dopo la fase iniziale del “wow, che figata sta storia delle regole… Sono super iper nega giuste” c’è la fase del “beh, ma secondo me non è proprio così”.

In fondo Platone e aristotele erano maestro e allievo.
Eppure Aristotele prese tutt’altra strada.
La mia prof di filosofia diceva: il miglior allievo non è chi porta avanti il modo di pensare del maestro ma chi, grazie agli strumenti del mastro, trova un proprio modo di pensare.

ah ma io spero sia come dici tu eh, mi pare di vedere però che qua si sia invece instaurato il fanatismo gamberettiano , e lo vedo soprattutto da due cose: 1-dai commenti 2-dal modo di porsi di gamberetta in post e commenti a dir poco “cattivo”, come se non ci fosse un margine (legato appunto al fatto che non sono sempre “regole” a essere violate, ma a volte solo il “gusto” per cui si può dare parere negativo ma non puoi definire idiota incapace etc).
insomma non c’è possibilità: è si è gamberettiani e giusti o si è troisiani e deficenti, e poi ovviamente l’aggressività rassicura chi non ha ben chiare le proprie idee per cui un sacco di amatori cadono dalle nuvole e si convertono a gamberetta perchè , azzo, è così sicura e ha anche i manuali!!! non può essere che sia lei la prima a esagerare!

#355 Comment By Angra On 5 agosto 2011 @ 11:13

@Il Guardiano:

Non devi leggere altri cento manuali, devi solo leggere con attenzione – se ti interessa l’argomento – invece che andare a cercare materiale per far polemica. Negli articoli di Gamberetta, e nelle risposte alle domande sugli articoli, troverai detto che in alcuni casi è meglio raccontare. Il tempo della narrazione – regoletta pratica – dovrebbe accelerare quando non succede niente e rallentare quanto più il ritmo delle azioni si fa veloce. Se ci sono undici ore di viaggio in treno durante le quali non succede niente e il protagonista si limita a sonnecchiare, queste undici ore vanno risolte con tre righe di raccontato. La battaglia finale invece, quella che stiamo aspettando da duecento pagine, non potrà risolversi in tre righe raccontate. Il lettore dovrà vivere ogni colpo di spada e schizzo di sangue, altrimenti l’autore ha fallito. Questo non è fanatismo, non è essere rigidi, è semplice buon senso.

A meno che, come dice @bebbo:

è una scelta il volere rendere una parte coinvolgente o meno!

Sì, ed è una scelta sciagurata se quella parte dura più di tre righe. Altrimenti ci mettiamo anche una copertina orribile e una bella fascetta “Fiasco totale in 30 Paesi” per andare sul sicuro. Ripeto: vale per la narrativa (=personaggi preferibilmente interessanti che portano avanti una trama preferibilmente interessante). Se siamo nel campo della literary fiction il viaggio in treno di undici ore durante il quale non succede niente può anche essere tutto il romanzo.

Chiudo qui perché mi sembra davvero di stare a discutere se sia meglio rompersi una gamba o mangiare una torta.

#356 Comment By Il Guardiano On 5 agosto 2011 @ 11:49

Il lettore dovrà vivere ogni colpo di spada e schizzo di sangue, altrimenti l’autore ha fallito. Questo non è fanatismo, non è essere rigidi, è semplice buon senso.

Ma qui si parla di casi limite e di cretinate.
In un libro “normale” alcune parti raccontate (che non devono essere per forza 11 ore di tremo) mi vanno benissimo.
Riprendendo l’esempio della casa dell’orrore, se il protagonista ci passa centinaia di volte nemmeno la nota. E non la mostra. Come uno che lavora in un laboratorio non nota gli animali feroci che fanno da cavia. Punto. Non c’è niente di male in questo.
E’ semplice buon senso.

#357 Comment By Angra On 5 agosto 2011 @ 12:20

Un libro “normale” per me è un libro in grado di mantenere vivo l’interesse dalla prima all’ultima pagina. Le parti noiose non vanno né mostrate né raccontate, vanno tolte. Tranne in rari casi, come le 11 ore di treno da risolversi comunque in tre righe, non esiste una ragione per la quale la scelta di raccontare in modo generico possa essere migliore di quella di mostrare dettagli concreti. Gli articoli di Gamberetta portano degli esempi. Puoi fare altrettanto? Trovare, ovunque tu voglia, una scena che mostra dettagli concreti che potrebbe migliorare se riscritta raccontando?

#358 Comment By dr Jack On 5 agosto 2011 @ 13:13

Oggigiorno non abbiamo la prova scientifica certa che lo show don’t tell funzioni (anche se qualcuna indiziaria molto convincente ce l’abbiamo), ma ehi, lo show don’t tell è ragionevole, se ne parla da un sacco di tempo e sembrano tutti d’accordo.
Io ho letto una marea di manuali e anche lì sono tutti d’accordo.
Vai su google, cerca “Show don’t tell” e vedrai che i dissidenti… o meglio vedrai… non li vedrai, almeno non nelle prime 3 pagine di ricerca, ma da qualche parte esisteranno.

“Le regole dello show don’t tell non funzionano” è una frase da noob. (E la dicevo anch’io ai bei tempi quando vivevo nell’ignoranza.)
Se poi non si riesce a capire lo show don’t tell…
… anzi. Io non ci credo.
E’ troppo semplice.

il fanatismo gamberettiano

e

insomma non c’è possibilità: è si è gamberettiani e giusti o si è troisiani e deficenti, e poi ovviamente l’aggressività rassicura chi non ha ben chiare le proprie idee per cui un sacco di amatori cadono dalle nuvole e si convertono a gamberetta perchè , azzo, è così sicura e ha anche i manuali!

Adesso lo show don’t tell viene messo in dubbio perché lo dice Gamberetta che è una kattivona?
Eh basta. Smettiamola.

Con questo non voglio dire che sia scorretto discutere o mettere in dubbio lo show don’t tell. Ma prima di farlo sarebbe meglio avere un minimo di autorità in materia, dimostrare di aver letto almeno 3 o 4 manuali o quantomento avere una teoria precisa e testata con varie fonti.
Altrimenti rimarranno solo frasi da noob offeso dall’atteggiamento di Gamberetta.

#359 Comment By Lela On 5 agosto 2011 @ 13:57

@ Bebbo
Guarda, non è mia intenzione convincerti di niente. Tu puoi benissimo scrivere così e avere le tue motivazioni, io d’altra parte segnalare mancanze o lacune quando leggo cose che non mi convincono.
Detto questo, non si tratta del “gambero-pensiero” come lo definisci tu: non è che perché l’ha detto Gamberetta allora è cosa buona e giusta, non si sta qui a subire bovinamente tutto quello che dice lei. Come altri ti hanno detto ci sono davvero tanti manuali che ne parlano, che lei ha studiato e riportato. Non è una cosa che si è inventata lei ieri sera e ci ha scritto sopra un post.
Io ho fatto dei corsi, ho studiato, e mi hanno insegnato le stesse cose. E no, il corso non era tenuto da Gamberetta in persona, né tantomeno si studiava il “Manuale 3 – Mostrare” che trovi qui sopra!
Poi, come ti dicevo prima, liberissimo di non essere d’accordo, ci mancherebbe. Però ti prego di non insultare l’intelligenza di tutti quanti parlando di “fanatismo gamberettiano”, grazie.

#360 Comment By bebbo On 5 agosto 2011 @ 14:19

@ dr Jack

caro dr jack, mi pare proprio che tu non abbia capito assolutamente nulla di ciò che ho detto. Ma andiamo con ordine.

Oggigiorno non abbiamo la prova scientifica certa che lo show don’t tell funzioni (anche se qualcuna indiziaria molto convincente ce l’abbiamo),

Che “funzioni” non lo sto mettendo in dubbio, e questo è abbastanza chiaro se rileggi i miei commenti. Anzi se ti rileggi il mio commento 349 lo dico chiaro e tondo. te lo riporto qua:

L’unica regola che potrei accettare è : mostrare è più coinvolgente, raccontare lo è di meno

.
Da qua a dire che quando racconti “sbagli” e non “scrivi una cosa che a me non piace” ce ne passa parecchio.

ma ehi, lo show don’t tell è ragionevole, se ne parla da un sacco di tempo e sembrano tutti d’accordo.
Io ho letto una marea di manuali e anche lì sono tutti d’accordo.
Vai su google, cerca “Show don’t tell” e vedrai che i dissidenti… o meglio vedrai… non li vedrai, almeno non nelle prime 3 pagine di ricerca, ma da qualche parte esisteranno.

ma guarda che non è vero, e se tu ti sei letto mille manuali che dicono così hai letto spazzatura o hai letto male i manuali. I manuali non dicono “sempre e solo show, mai tell” i manuali dicono “se usiamo questo abbiamo questo effetto, se usiamo quest’altro abbiamo quest’altro effetto” poi sta a te decidere quando usarli. Se l’autore decide di usarli in un certo momento può essere che lui vuole che in quel momento il lettore non badi troppo a quel dettaglio. Tu puoi essere d’accordo o meno ma non puoi tacciarlo di “aver sbagliato.

“Le regole dello show don’t tell non funzionano” è una frase da noob. (E la dicevo anch’io ai bei tempi quando vivevo nell’ignoranza.)

ahahah, ma per favore :P, per prima cosa non ho detto una cosa del genere, e in secondo luogo non crederai che tu e chi altro si è letto un manuale passi per critico letterario vero?

Se poi non si riesce a capire lo show don’t tell…
… anzi. Io non ci credo.
E’ troppo semplice.

Più ti leggo più sono convinto che non hai letto o compreso i miei interventi

il fanatismo gamberettiano

e

insomma non c’è possibilità: è si è gamberettiani e giusti o si è troisiani e deficenti, e poi ovviamente l’aggressività rassicura chi non ha ben chiare le proprie idee per cui un sacco di amatori cadono dalle nuvole e si convertono a gamberetta perchè , azzo, è così sicura e ha anche i manuali!

Adesso lo show don’t tell viene messo in dubbio perché lo dice Gamberetta che è una kattivona?
Eh basta. Smettiamola.

vedi, anche questo pezzo, non c’entra niente!
1-lo showdontell non è messo in dubbio, è messo in dubbio il fatto che non si riconosca all’autore la libertà di usare il tell quando gli pare a lui per i motivi che pare a lui ,solo perchè voi , legati al linguaggio che mostra e basta, non riuscite a capire le implicazioni di quel raccontato (è chiaro che non è sempre così eh, a volte la critica è fatta con ragione). Su questo voi vi basate per dire “non sai scrivere,sei un idiota, chi ti legge è un idiota” mentre dovreste al massimo dire “a me non piace come scrivi”.
2-Il fatto che Gamberetta sia una Kattivona non era buttato lì ad cazzum, il termine “cattivo” riferito al modo di porsi gamberetta e virgolettato voleva significare “duro” “acido” “aggressivo” e così via, ed è innegabile, e mi pare di aver letto di sfuggita in qualche post che a gamberetta non frega nulla di ciò che questo comporta, vale a dire dell’essere definita acida dura aggressiva. L’aver definito il suo modo di porsi in quella maniera era collegato a un mio ragionamento per il quale quando ci si comporta così si ha generalmente più presa sulla massa dei lettori. Per fartela breve e semplice: generalmente si segue un leader che si dimostra sicuro di ciò che dice e che non teme smentite. Ciò non toglie che detto leader può comunque dire/fare cazzate.

Con questo non voglio dire che sia scorretto discutere o mettere in dubbio lo show don’t tell. Ma prima di farlo sarebbe meglio avere un minimo di autorità in materia, dimostrare di aver letto almeno 3 o 4 manuali o quantomento avere una teoria precisa e testata con varie fonti.

ahahahah scusa, devo “dimostrare” ??? ma dai! e poi cosa mi qualifica come “non noob” ?? l’aver letto i manuali ?? ahahaha ma daaaai!!! :PPP ma non farmi ridere :PPPP

tra l’altro, piccolissima parentesi, ma tu pensi che i veri critici letterari non si spancino dalle risate a vedere ALCUNE delle cose lette qui?

Altrimenti rimarranno solo frasi da noob offeso dall’atteggiamento di Gamberetta.

guarda io non sono licia troisi o qualche altro recensito ferito in incognito, trovo semplicemente sbagliate alcune cose dette da gamberetta, come già detto.

#361 Comment By bebbo On 5 agosto 2011 @ 14:32

@ Lela

ci metti poco a sentirti offesa eh! Comunque guarda, sento di doverti delle scuse: ho dato per scontato che usando il termine “gamberetto-pensiero” e “fanatsimo-gamberettiano” non stessi considerando gamberetta come ideatrice di queste idee ma come seguace che, in questo blog, se ne fa portavoce. Diciamo che volevo solo sintetizzare, tutto qua, ma ero davvero convintissimo che fosse superscontato.
Detto ciò, se tu non sei stata “convertita” ma hai sempre e solo pensato così, non hai motivo di sentirti tirata in ballo visto che io non ho fatto nomi (e , ti parrà strano ma davvero non ho “nomi” in testa). Questa mi pare più che altro la classica coda di paglia.

che poi, lo so bene che non vuoi convincermi, e non mi pare di aver affermato il contrario, neanche io voglio convincere nessuno, discuto così, tanto per discutere visto che l’argomento mi interessa e non mi son trovato d’accordo.

@Angra

è una scelta il volere rendere una parte coinvolgente o meno!

Sì, ed è una scelta sciagurata se quella parte dura più di tre righe

Si, ma questo è un PARERE, non una REGOLA. E’ su questo che non concordo (al massimo si può parlare di “regola per scrivere come piace a me” ma mi sembrerebbe un cavillo intellettuale)

Chiudo qui perché mi sembra davvero di stare a discutere se sia meglio rompersi una gamba o mangiare una torta.

Questo mi pare il problema principale, siete limitati al vostro tipo di scrittura che è “mangiare una torta” mentre il resto è solo “rompersi una gamba”, più calzante sarebbe dire “mi sembra davvero di stare a discutere se sia meglio mangiare una torta alle fragole(che piace a me) o mangiare una torta al limone(che mi fa schifo, però oh, sempre una torta è, c’è anche a chi piace)”.

#362 Comment By dr Jack On 5 agosto 2011 @ 15:22

Che “funzioni” non lo sto mettendo in dubbio, e questo è abbastanza chiaro se rileggi i miei commenti.

I commenti li ho letti.
Le tue ragioni funzionano, ed è meglio seguire le regole show don’t tell.

Siamo d’accordo quindi. A posto così. Colpa mia.

per prima cosa non ho detto una cosa del genere, e in secondo luogo non crederai che tu e chi altro si è letto un manuale passi per critico letterario vero?

Dipende da cosa intendi con il termine critico letterario.
Se per critico letterario intendi pinco pallino che decide di esprimere le proprie personalissime impressioni perché lui è un gran fico allora no. Non mi aspetto abbia letto nessun manuale.
Io quelli li chiamo noob saccenti intellettualoidi.

tra l’altro, piccolissima parentesi, ma tu pensi che i veri critici letterari non si spancino dalle risate a vedere ALCUNE delle cose lette qui?

Solo loro? Anche a me il sarcasmo di Gamberetta fa ridere. Riesce a spiegare concetti importanti anche buttando nel discorso battute interessanti.

O forse stavi parlando di noob saccenti altri individui? Il riso abbonda sul loro viso.

#363 Comment By bebbo On 5 agosto 2011 @ 15:39

ecco qui passi al “prenderci in giro”, ad esempio fai finta di non capire che ciò che fa ridere non è il sarcasmo ma alcune opinioni, detto ciò ti saluto visto che questo genere di schermaglie con questi “fraintendimenti” sono da livello di scuola e a me non interessano.
Ultimo appunto: il metro per misurare la preparazione di qualcuno in un dato campo al momento nel mondo occidentale non è la lettura di un manuale ma al massimo il possesso di una laurea.

#364 Comment By dr Jack On 5 agosto 2011 @ 15:53

detto ciò ti saluto visto che questo genere di schermaglie con questi “fraintendimenti” sono da livello di scuola e a me non interessano.

Hai iniziato tu con il fingere di fraintendere.
Nei tuoi messaggi si legge chiaramente che secondo te le regole dello show don’t tell non fuzionano.

Esprimersi con vaghezza è un modo legittimo di esprimersi dell’autore. Non sta scritto da nessuna parte che l’autore deve fugare tutti i dubbi di chi legge, voi potete dirmi che voi lo preferite, benissimo, è legittimo, ma è tutto qua, un vostro gusto.

Frase che confligge del tutto con:

Che “funzioni” non lo sto mettendo in dubbio, e questo è abbastanza chiaro se rileggi i miei commenti.

Io ho frainteso volontariamente. Quindi è vero. Non sono migliore di te :p.

Ultimo appunto: il metro per misurare la preparazione di qualcuno in un dato campo al momento nel mondo occidentale non è la lettura di un manuale ma al massimo il possesso di una laurea.

Anche qua siamo d’accordo. Tra una laurea e la lettura di un manuale sono d’accordo.

Tra una laurea e lo studio di una marea di manuali è evidente il contrario.

Credere davvero alla gente associata alle case editrici che si spaccia per critico letterario perché ha una laurea per me è un insulto all’intelligenza.
Quindi se per te ho reagito in maniera esagerata il tutto viene da qua. Sentirmi dire che questi “veri critici” ridono di Gamberetta è ridicolo e offensivo.

La credibilità si conquista sul campo (e con campo inteno un luogo dove è possibile il contraddittorio, come internet), e non sventolando un titolo di studio o sponsorizzazioni di case editrici.

#365 Comment By bebbo On 5 agosto 2011 @ 19:46

@dr Jack

detto ciò ti saluto visto che questo genere di schermaglie con questi “fraintendimenti” sono da livello di scuola e a me non interessano.

Hai iniziato tu con il fingere di fraintendere.
Nei tuoi messaggi si legge chiaramente che secondo te le regole dello show don’t tell non fuzionano.

ancora dimostri di non aver capito ciò che ho scritto. Guarda te la faccio molto breve: è tutta una questione di come chiamare qualcosa, se “regola” o “gusto personale”.

“Esprimersi con vaghezza è un modo legittimo di esprimersi dell’autore. Non sta scritto da nessuna parte che l’autore deve fugare tutti i dubbi di chi legge, voi potete dirmi che voi lo preferite, benissimo, è legittimo, ma è tutto qua, un vostro gusto.”

Frase che confligge del tutto con:

“Che “funzioni” non lo sto mettendo in dubbio, e questo è abbastanza chiaro se rileggi i miei commenti.”

assolutamente no, ti faccio un disegnino:
° le regole funzionano
° show=+ coinvolgente
° tell=- meno coinvolgente (cioè + vago)
° esprimersi con vaghezza è legittimo per chi scrive.
Dov’è il conflitto?

Io ho frainteso volontariamente. Quindi è vero. Non sono migliore di te :p.

io non ho frainteso niente volontariamente come invece hai fatto tu per “giocare a sfottere”, tu hai messo la discussione sul piano delle prese in giro, però davvero adesso finiamola qua perchè non c’entra niente col resto del discorso.

Ultimo appunto: il metro per misurare la preparazione di qualcuno in un dato campo al momento nel mondo occidentale non è la lettura di un manuale ma al massimo il possesso di una laurea.

Anche qua siamo d’accordo. Tra una laurea e la lettura di un manuale sono d’accordo.

Tra una laurea e lo studio di una marea di manuali è evidente il contrario.

c’è quella piccola differenza chiamata “esame”. quando ottieni una laurea hai provato a esperti che hai capito ciò che hai studiato. quando ti studi un manuale per conto tuo, no. Anche se dici che ne hai studiati tanti tanti. Ciò significa che puoi leggere tutti i manuali che vuoi, continui a non avere credenziali “reali”. Non che le credenziali reali servano a commentare su questo blog, ma sei stato tu a dirmi che devo “provare” qualcosa.

Credere davvero alla gente associata alle case editrici che si spaccia per critico letterario perché ha una laurea per me è un insulto all’intelligenza.
Quindi se per te ho reagito in maniera esagerata il tutto viene da qua. Sentirmi dire che questi “veri critici” ridono di Gamberetta è ridicolo e offensivo.

mai parlato di gente che lavora per le case editrici o di qualcuno in particolare se non di un ideale VERO critico letterario,o per farla breve uno del settore . Non c’entra niente se poi nel settore trovi anche incompetenti (come dappertutto), è chiaro che l’esempio teorico è una persona realmente preparata.

#366 Comment By dr Jack On 6 agosto 2011 @ 12:35

La “gente del settore” si è dimostrata una credenziale di NON in grado di soddisfare le richieste del pubblico.
Se non sei d’accordo su questo non hai seguito gli ultimi tre anni di vicende sul web.

Guarda te la faccio molto breve: è tutta una questione di come chiamare qualcosa, se “regola” o “gusto personale”.

Parlare di gusti è parlare del sesso degli angeli.
C’è gente a cui piace la literary fiction. Niente da dire, ognuno può fare quello che preferisce.
Quando scrivi per il pubblico di narrativa di genere le cose cambiano.
Il fatto che tu non comprenda questo altro elemento basilare, e che anzi utilizzi i “gusti” come ariete d’assalto per difendere i tuoi ragionamenti mi spinge a ritenerli irrilevanti.

assolutamente no, ti faccio un disegnino:
° le regole funzionano
° show=+ coinvolgente
° tell=- meno coinvolgente (cioè + vago)
° esprimersi con vaghezza è legittimo per chi scrive.
Dov’è il conflitto?

Se stai affermando che è giusto raccontare in tell perché è più vago stai affermando che le regole dello show don’t tell non fuzionano.

Tra l’altro…
Essere vaghi è importante, violare la regola dello show dont tell è sbagliato (fino a prova contraria ancora da dimostrare).
Il fatto che consideri la possibilità di usare il raccontato per “essere vaghi” è tutta una tua idea.
Si può essere vaghi con il mostrato. E tra l’altro l’essere “vaghi” è la base della suspense. E quindi richiesto.
Il raccontato al massimo si può usare per velocizzare o tagliare parti noiose della storia, NON con lo scopo di essere vaghi.

#367 Comment By bebbo On 6 agosto 2011 @ 14:07

La “gente del settore” si è dimostrata una credenziale di NON in grado di soddisfare le richieste del pubblico.
Se non sei d’accordo su questo non hai seguito gli ultimi tre anni di vicende sul web.

io non ho la pretesa di sapere se “la gente del settore” faccia tutta schifo o meno, come in ogni professione ci sarà chi è bravo e chi no. Tu generalizzi, e lo fai pure sulla base del “web”, io sinceramente non riesco neanche a credere si possa ragionare così

Parlare di gusti è parlare del sesso degli angeli.
C’è gente a cui piace la literary fiction. Niente da dire, ognuno può fare quello che preferisce.
Quando scrivi per il pubblico di narrativa di genere le cose cambiano.
Il fatto che tu non comprenda questo altro elemento basilare, e che anzi utilizzi i “gusti” come ariete d’assalto per difendere i tuoi ragionamenti mi spinge a ritenerli irrilevanti.

cioè tu sostieni che quando si tratta di “narrativa di genere” c’è un solo metodo e non ci sono gusti? lo cosa mi farebbe parecchio sorridere quindi spero di aver capito male

assolutamente no, ti faccio un disegnino:
° le regole funzionano
° show=+ coinvolgente
° tell=- meno coinvolgente (cioè + vago)
° esprimersi con vaghezza è legittimo per chi scrive.
Dov’è il conflitto?

Se stai affermando che è giusto raccontare in tell perché è più vago stai affermando che le regole dello show don’t tell non fuzionano.

no, rispiego:
show= + dettagliato
tell= – dettagliato
– dettagliato = + vago
tant’è che se devo scrivere a proposito un viaggio di 11 ore in treno uso il tell, risparmio molti dettagli, faccio più in fretta.

Tra l’altro…
Essere vaghi è importante, violare la regola dello show dont tell è sbagliato (fino a prova contraria ancora da dimostrare).
Il fatto che consideri la possibilità di usare il raccontato per “essere vaghi” è tutta una tua idea.

err…… come dire….. no.

Si può essere vaghi con il mostrato

e chi l’ha messo in dubbio?

Il raccontato al massimo si può usare per velocizzare o tagliare parti noiose della storia, NON con lo scopo di essere vaghi.

volendo lo si può usare anche per quello, come mostrato negli esempi precedenti

#368 Comment By dr Jack On 6 agosto 2011 @ 17:01

io non ho la pretesa di sapere se “la gente del settore” faccia tutta schifo o meno

La credenziale “gente del settore” è negativa.
Tu chiaramente credi il contrario e usi la strategia “ma alcuni di loro sono bravi, non biosgna generalizzare”.
Non nego questa possibilità. Posso solo dire che si nascondono bene.

tell= – dettagliato
– dettagliato = + vago

Innanzitutto con il tell non dai meno dettagli IN GENERALE. Con il tell offri meno dettagli SENSORIALI / di Azione.

Al contrario il tell riguardo a capire cosa succede è MENO vago.
Tell = spiegare cosa succede.
Show = mostrare cosa succede.
Indovina tu quale è il più chiaro (meno vago) per comprendere cosa sta succedendo.

Non a caso il tell viene consigliato quando non si trovano alternative per contenere più dettagli irrilevanti in meno spazio.

cioè tu sostieni che quando si tratta di “narrativa di genere” c’è un solo metodo e non ci sono gusti? lo cosa mi farebbe parecchio sorridere quindi spero di aver capito male

Proprio non ce la fai a ragionare senza usare i “gusti” come motivazione? Va bene.
Io non mi ritengo abbastanza esperto per comprendere i gusti di una così vasta comunità come il pubblico della narrativa genere; quindi ascolto i professionisti internazionali che consigliano lo show don’t tell.

Se tu sei così bravo da comprendere questi gusti di genere e conosci tecniche ancora più avanzate che neanche i professionisti di tutto il mondo riportano allora io non sono abbastanza esperto per discutere con te.

#369 Comment By Il Guardiano On 6 agosto 2011 @ 22:57

@dr jack

Io non ti capisco.
Tempo fa parlammo, da qualche parte nel tuo blog, della Hobbs e della sua prima trilogia dell’assassino.
Io mi lamentavo per la frequente carenza di mostrato in parti fondamentali della storia… come ad esempio la prima uccisione/battaglia dell’assassino.
Mi lamentavo perché è stata liquidata con 5 righe e un (cito a memoria) “quel giorno ne uccisi dodici”.
Stranamente tu invece la difendesti, dicendo che, tutto sommato, non c’era niente di male sia in questo episodio, sia in altri.
Ora invece ti sento difendere a spada tratta lo showdonttell.
A questo punto devo pensare che hai cambiato giudizio anche su romanzi come quelle dell’assassino?

Non solo, continui a fraintendere la storia dei gusti.
E’ sbagliato, per me, raccontare parti importanti della trama, per quanto possano esistere persone che non lo ritengono un errore.
Non è sbagliato raccontare alcune parti.
Una scena come quella degli animali pericolosi non è sbagliata in nessuno dei due modi in cui è stata proposta: è una fottutissima questione di gusti, dannazione.
Gusti, cazzo. Non c’entrano le regole e le regolette del mostrare/raccontare. E non c’entra la litterary fiction.
A me una scena del genere piace perché è questione di gusti… e a te non piace perché è questione di gusti.
Questo, soprattutto se si tratta di una scena non centrale, non può essere considerato un errore oggettivo.

#370 Comment By dr Jack On 7 agosto 2011 @ 13:47

@ Il guardiano

Io mi lamentavo per la frequente carenza di mostrato in parti fondamentali della storia… come ad esempio la prima uccisione/battaglia dell’assassino.

E io affermavo che dal mio punto di vista quelle parti non erano così fondamentali.
Non stavamo parlando di show don’t tell, stavamo discutendo se era applicabile questo concetto già detto da Gamberetta e già rimarcato da Angra:

Negli articoli di Gamberetta, e nelle risposte alle domande sugli articoli, troverai detto che in alcuni casi è meglio raccontare.

E si potrebbe ricollegare a quanto dici:

A me una scena del genere piace perché è questione di gusti… e a te non piace perché è questione di gusti.
Questo, soprattutto se si tratta di una scena non centrale, non può essere considerato un errore oggettivo.

Se io sono un appassionato horror e tu sei un appassionato fantasy potremmo avere gusti diversi riguardo a quali scene tagliare con il tell.
Questo non invalida la regola dello show don’t tell, anzi è un’applicazione della regola a un certo genere di narrativa.

—————————-

Possibile contestazione: ma è quello che stava dicendo bebbo!
Mi hanno accusato di non averlo letto. Al contrario. Ho analizzato i suoi messaggi.
- Se usi il tell la storia avrà meno dettagli e rende tutto più vago -> troppo frantendibile con la suspense. -> Affermazione corretta: se usi il tell inserirai meno dettagli azion/canale sensoriale. Il tell in linea di massima offre PIU’ informazioni in modo MENO coinvolgente.
- Si può usare il tell con l’intento di essere vaghi -> atteggiamento scorretto. -> Affermazione corretta: puoi usare il tell per saltare parti noiose della storia.
- Io faccio parte di un gruppo di gente che ride di voi, e noi siamo sostenuti da “la gente del settore” -> e grazie al cazzo.
- Base del ragionamento di bebbo: Io ho ragione perché i gusti sono vari. -> No comment.

#371 Comment By Il Guardiano On 7 agosto 2011 @ 20:39

E io affermavo che dal mio punto di vista quelle parti non erano così fondamentali.
Non stavamo parlando di show don’t tell, stavamo discutendo se era applicabile questo concetto già detto da Gamberetta e già rimarcato da Angra

Dando per scontato che tutti qui ritengono lo Show più coinvolgente del Tell, mi puoi spiegare come puoi dire che una scena come quella descritta da bebbo sia sbagliata perché, indipendentemente dai gusti, è raccontata e non mostrata e la prima uccisione di un assassino può essere semplicemente raccontata e giusta?
Per me, la prima uccisione (soprattutto di una decina di persone) è centrale per qualunque individuo. Tu no. Per te può esser raccontata. Solo voglia di polemica o incoerenza?

Questo non invalida la regola dello show don’t tell, anzi è un’applicazione della regola a un certo genere di narrativa.

E chi lo ha mai detto… in nessuno dei commenti viene affermata una cosa del genere.

- Si può usare il tell con l’intento di essere vaghi -> atteggiamento scorretto. -> Affermazione corretta: puoi usare il tell per saltare parti noiose della storia.

Ancora questione di gusti.

Il fatto è che io posso dire che è sbagliato una punteggiatura, un apostrofo e via dicendo.
Posso dire che è scorretto che un personaggio si comporti come un cretino senza una motivazione esplicita o velata.
Ma non come usare lo Show e il tell.
Al massimo posso dire: qui, io, per rendere meglio la tensione avrei fatto così.

#372 Comment By bebbo On 7 agosto 2011 @ 23:47

La credenziale “gente del settore” è negativa.
Tu chiaramente credi il contrario e usi la strategia “ma alcuni di loro sono bravi, non biosgna generalizzare”.
Non nego questa possibilità. Posso solo dire che si nascondono bene.

siamo sempre lì, per te la “gente del settore” fa schifo, io non lo so e quando parlo di gente del settore mi riferisco a “uno che ne capisce che ha studiato e che con quel lavoro ci vive” e do per scontato si tratti di una persona preparata.
Tra l’altro tutta questa cagnara non serve a nulla perchè io mi riferivo a un critico letterario non a quello che ha pubblicato questo o quel romanzo di questo quell’autore pietoso.
Quel che volevo direè: uno esperto (puoi metterci da umberto eco al tuo vicino di casa,non me ne frega niente) passa di qua e per certe cose scritte si mette a ridere

tell= – dettagliato
– dettagliato = + vago

Innanzitutto con il tell non dai meno dettagli IN GENERALE. Con il tell offri meno dettagli SENSORIALI / di Azione.

estigà? non cambia il mio discorso

Al contrario il tell riguardo a capire cosa succede è MENO vago.
Tell = spiegare cosa succede.
Show = mostrare cosa succede.
Indovina tu quale è il più chiaro (meno vago) per comprendere cosa sta succedendo.

Non a caso il tell viene consigliato quando non si trovano alternative per contenere più dettagli irrilevanti in meno spazio.

è quello che sto dicendo io, e aggiungo solo: l’autore usa show e tell quando gli pare, se a te non piace quando li usa sei liberissimo di dire che non ti piace come scrive, non che commette un errore nello scrivere.
tutto qui, molto molto semplice.

Proprio non ce la fai a ragionare senza usare i “gusti” come motivazione? Va bene.

guarda leggendo questo pezzo mi è venuta voglia di smettere di risponderti, faccio l’ultimo tentativo: certo che “non ce la faccio a non ragionare senza usare i gusti come motivazione” perchè questa è la motivazione di cui parlo fin dall’inzio, perchè mai dovrei cambiarla? O____O sto sostenendo solo e unicamente questo: uso show qua tell là o show là e tell qua, non è un errore, è solo il mio stile, non ti piace?bene, dimmi che non ti piace non che “sto sbagliando”.

Io non mi ritengo abbastanza esperto per comprendere i gusti di una così vasta comunità come il pubblico della narrativa genere; quindi ascolto i professionisti internazionali che consigliano lo show don’t tell.

Se tu sei così bravo da comprendere questi gusti di genere e conosci tecniche ancora più avanzate che neanche i professionisti di tutto il mondo riportano allora io non sono abbastanza esperto per discutere con te.

ma a me non me ne frega nulla di sapere cosa gradisce chi , sto solo sostenendo che quando uno scrive in un certo modo diverso da quello che tu gradisci, ciò non significa che stia commettendo un errore, ma solo che non condividete lo stesso gusto.

ora che mi auguro sia chiaro, se hai qualcosa da dirmi riguardo a questo bene, se ancora dobbiamo stare bloccati su cose che non ho detto, mi limito a invitarti a rileggere ciò che ho già scritto.

#373 Comment By bebbo On 7 agosto 2011 @ 23:50

aggiungo solo una cosa, nel commento 372 nella parte grassettata inizialmente volevo solo mettere in risalto il fatto che ti stessi contraddicendo poi ho cambiato idea e ho dimenticato di toglierlo, quindi il grassetto dove dici che il tell è meno vago NON è ciò che ho detto io, ma quello dove dici che il tell è usato per bla bla bla si.

#374 Comment By bebbo On 8 agosto 2011 @ 00:03

Possibile contestazione: ma è quello che stava dicendo bebbo!
Mi hanno accusato di non averlo letto. Al contrario. Ho analizzato i suoi messaggi.
- Se usi il tell la storia avrà meno dettagli e rende tutto più vago -> troppo frantendibile con la suspense. -> Affermazione corretta: se usi il tell inserirai meno dettagli azion/canale sensoriale. Il tell in linea di massima offre PIU’ informazioni in modo MENO coinvolgente.
- Si può usare il tell con l’intento di essere vaghi -> atteggiamento scorretto. -> Affermazione corretta: puoi usare il tell per saltare parti noiose della storia.

fin qua non c’ho capito nulla

- Io faccio parte di un gruppo di gente che ride di voi, e noi siamo sostenuti da “la gente del settore” -> e grazie al cazzo.

io faccio parte di che? O.o ma scusa che hai bevuto??? dove ho scritto che io faccio parte di un gruppo o chissà che?

- Base del ragionamento di bebbo: Io ho ragione perché i gusti sono vari. -> No comment.

ecco appunto, si arriva al punto (cioè che usare dove mi pare il metodo che mi pare ,show o tell, è una questione di stile mio personale per cui non condivisibile ma non bollabile come errore) e ti nascondi dietro a un “no comment”. E sai perchè? perchè ovviamente non puoi dire niente, non puoi classificare una cosa del genere come “errore” ma solo come “brutto” ed il brutto è soggettivo , mentre l’errore, quello è oggettivo .

#375 Comment By dr Jack On 8 agosto 2011 @ 01:08

@ Il Guardiano

Per me, la prima uccisione (soprattutto di una decina di persone) è centrale per qualunque individuo. Tu no.

Questo è un altro argomento. Si tratta di cliché e altre questioni.
Non ne parlo qua per non inquinare ulteriormente il topic.

Questo non invalida la regola dello show don’t tell, anzi è un’applicazione della regola a un certo genere di narrativa.

E chi lo ha mai detto… in nessuno dei commenti viene affermata una cosa del genere.

Se siamo tutti d’accordo con le spiegazioni di Gamberetta è inutile stare ancora a discutere.

@ bebbo

io faccio parte di che? O.o ma scusa che hai bevuto??? dove ho scritto che io faccio parte di un gruppo o chissà che?

Io ho letto questa tua frase:

tra l’altro, piccolissima parentesi, ma tu pensi che i veri critici letterari non si spancino dalle risate a vedere ALCUNE delle cose lette qui?

Dal tono della frase ho pensato che condividessi l’opinione di questo gruppo di ridaroli e ne facessi quindi parte.
Se non è cos’ va bene. Fa niente. Colpa mia.

– Base del ragionamento di bebbo: Io ho ragione perché i gusti sono vari. -> No comment.

ecco appunto, si arriva al punto (cioè che usare dove mi pare il metodo che mi pare ,show o tell, è una questione di stile mio personale per cui non condivisibile ma non bollabile come errore) e ti nascondi dietro a un “no comment”.

Hai ragione. Non posso contraddirti. Se giustifichi un ragionamento con “a qualcuno può piacere” non posso negarlo.
A qualcuno può piacere qualsiasi cosa.
Guarda Zwei che si diverte a leggere fantatrash :p.
Sono certo che ci sia di peggio.

Per il resto chissenefrega, tanto da quanto dici io non capisco quello che vuoi dire e tu non capisci quello che dico.
Tanto vale smetterla.

#376 Comment By Gamberetta On 11 agosto 2011 @ 16:04

Questo articolo avrei voluto scriverlo io, ma negli ultimi giorni ho avuto alcuni problemi personali e non ho potuto occuparmene. Poco male, il Duca ha scritto un ottimo pezzo.

#377 Comment By giovanni On 12 agosto 2011 @ 18:26

Vorrei ringraziarti per aver scritto questo manuale,mi ha aiutato a capire molte cose nonchè ispirato più di quanto mi aspettassi.
Grazie.

#378 Comment By Bard On 13 agosto 2011 @ 20:18

Ciao Gamberetta, seguo il tuo blog da poco ma lo trovo molto ben fatto e pieno di idee interessanti.
Belli gli articoli sulla scrittura, questo in particolare mi ha fatto riflettere su risvolti tecnica narrativa/lettore a cui non avevo mai pensato.
Ecco qui il mio compito, faccio le scuse in anticipo per la lunghezza… per il resto mi rimetto alla tua clemenza ^__^!

Lametta guardò la porta a vetri del negozio con trepidazione. L’insegna luminosa recitava ” Punto Fairybet”, ogni lettera un tubicino pieno di polvere fatata. Subito sotto, sulla porta a vetri, un altra scritta con lettere adesive ” Punta sul tuo Unicorno vincente!”.
Ci siamo, pensò, sono arrivata finalmente! Sbuffò. Aveva camminato per mezza giornata sotto un sole cocente cercando quel maledettissimo Punto Fairybet. Il sudore le imperlava la fronte e il vestito le si incollava addosso, sulla schiena era così bagnato che lo avrebbe potuto strizzare. Fortuna che era nero, le chiazze non si vedevano troppo. Inoltre puzzava da morire.
Non che prima fosse ridotta tanto meglio, ad essere sinceri. Non faceva un bagno decente da quando si era chiusa alle spalle la porta di casa, piano piano, trascinandola con delicatezza centimetro per centimetro per evitare di fare rumore e svegliare quei tiranni dei suoi genitori. Quanto aveva pregustato quel momento, quando il vento notturno della libertà le aveva scompigliato i capelli…
Capelli che ora erano unti e pieni di forfora, e gli ricadevano in ciocche sudaticce sulla fronte.
Li scostò con un gesto stizzoso. Prese un paio di respiri profondi e cercò di fare qualcosa per l’unico problema che poteva risolvere: l’odore rancido che emanava. Afferrò il vecchio zaino pieno di buchi che conteneva i suoi pochi effetti personali e ci infilò un braccio dentro, rovistandolo alla ricerca del deodorante. Quando le sue mani si chiusero sul freddo tubetto cilindrico lo estrasse e si spruzzò addosso una generosa dose di “Profumo di rose fatate”. Aaaahhh, ora andava molto meglio.
Si diede un’ultima sistemata davanti alla vetrina del negozio: si riavviò i capelli arruffati e li fermò con le sue spille preferite, quelle a forma di testa di coniglietto rosa. Mise in ordine i suoi bracciali con le apette al braccio sinistro a con le paperelle sul destro, le sua collana di conchiglie, quella col pendente a forma di teschio zannuto e quella con le palline spugnose di tutti i colori.
Dopodiché afferrò lo zaino ed entrò a larghi passi, con un sorriso sicuro stampato in faccia. L’unico particolare che tradiva il suo nervosismo erano le sue ali che sbattevano velocissime producendo un flap flap flap a dir poco fastidioso.
L’interno della ricevitoria era completamente bianco, sedie bianche, muri bianchi, e uno sportello bianco dove un giovane folletto aveva la bocca spalancata in uno sbadiglio titanico, tanto che Lametta pensò che se non si fosse messo la mano davanti alla bocca gli avrebbe visto fin dentro lo stomaco. In alto, in un angolo, uno schermo trasmetteva una corsa, Unicorni bardati che correvano con la lingua penzoloni, sollevando nuvole di polvere a ogni falcata.
Il posto era vuoto a parte lei, e il folletto non l’aveva notata tant’era impegnato, così si avvicino con lentezza allo sportello. Speriamo che vada meglio dell’ultimo colloquio, pensò. Più che cacciata si poteva dire che l’ultima volta l’avevano proprio calciata fuori. Si ricordava ancora dell’elfo calvo, col volto gonfio e paonazzo, che gli sbraitava addosso sputacchiando saliva ovunque: – Così impari a chiamarmi pelato, stronza!-
Schiarendosi rumorosamente la gola, Lametta riuscì ad attirare l’attenzione del folletto, che si riscosse così all’improvviso che per poco non cadde dalla sedia. Si riprese subito, però, e la guardò dalla punta dei piedi a quella dei capelli almeno un paio di volte, con gli occhi che facevano su e giù, su e giù, come se non capisse bene cosa aveva davanti.
Alla fine sbottò con una vocetta stridula: – Guardi, sicuramente ha sbagliato posto. Il servizio Fate ed Elfi Bisognosi è giusto un isolato più avanti.-
Cosa? Va bene che non era il suo aspetto migliore, ma come si permetteva quel bastardo di insultarla in quel modo? Le salì il sangue al cervello, sentì che diventava rossa di rabbia e strinse le mani a pugno così forte che le nocche scricchiolarono.
Però non poteva giocarsi un altra occasione. Non subito almeno. Cercò di calmarsi, ma il meglio che gli riuscì fu di dire con voce roca: – Sono qui per l’inserzione sul sito della Fairybet, per il posto da commessa part time- trattenendosi a stento dall’urlare.
-Ah. Molto bene.- Il folletto inarcò le sopracciglia scettico, e la squadrò di nuovo arricciando il labbro, con aria vagamente disgustata.
Cazzo, se mi guarda di nuovo gli spacco la faccia a questo maiale! Lametta immaginò con piacere il suo pugno che si schiantava sul naso a punta del folletto, il crac della cartilagine che si rompeva…
-Allora, dimmi come ti chiami e quali sarebbero i tuoi orari ideali di lavoro.-
La fata si riscosse dalle sue fantasie in tempo per rispondere: -Mi chiamo Lametta, e mi piacerebbe lavorare di lunedì il turno di mattina, anche martedì di mattina, mercoledì no che la sera ho un corso di teatro postmoderno, poi giovedì non posso proprio tutto il giorno, sa, sono cantante di un gruppo Fairypunk, venerdì la sera, che la mattina ho da fare al corso di disegno e…-
Si fermò, perplessa. Il folletto maiale la fissava con gli occhi sgranati. Per quale motivo poi? Aveva pur diritto a coltivare i suoi hobby, le piaceva cantare con gli Straccions, il suo gruppo, radunarsi nel puzzolente garage di Sghembo e fare un po’ di casino. Inoltre non aveva certo intenzione di rinunciare al corso di teatro, era innamorata del maestro, un elfo con due baffetti davvero postmoderni ed uno sguardo magnetico, né tanto meno a quello di disegno, che doveva iniziare proprio quella settimana. Aveva speso i suoi ultimi risparmi per iscriversi!
-Beh comunque sia- disse il folletto dopo aver deglutito- non sono io a decidere. Devi scrivere le tue preferenze qui- estrasse un foglio di carta pieno stampata da un raccoglitore e glielo porse,indicando col dito un riquadro bianco.
-Poi metti una firma qui e qui e mi fai vedere il documento per l’autenticazione.-
Oh, no! Col documento avrebbe capito subito che non era maggiorenne!
Mentre cercava una scusa plausibile per non consegnare la sua carta d’identità, con le ali che le frullavano velocissime sulla schiena, il folletto le disse ridacchiando: – Ti avverto subito però: se vieni a lavorare qui dovrai vestirti in modo più… come dire… consono.-
Le ali si fermarono all’istante. -Perché, cos’ha il mio modo di vestire che non va?-
-Beh non sei molto professionale con quel vestitino- continuò l’altro – e poi sei piena di chincaglieria! Quella collana orribile, per esempio…-
CRAC
Il braccio si era disteso, il pugno era entrato nel foro circolare nel vetro dello sportello e aveva colpito in pieno il naso del folletto, che era caduto all’indietro dalla sedia con tonfo sordo.
Quando si rialzò era rosso in volto e si teneva il naso con le mani sporche di sangue.
-Baledetta buttana- biascicò -Esci di gui!-
Per tutta risposta Lametta gli diede un altro pugno.
Maledetto maiale, gli sta bene!
Uscì impettita dal negozio, seguita dalle urla del folletto.
Dannazione, tutto daccapo…

#379 Comment By Strikeiron On 20 agosto 2011 @ 16:56

Non ci avrei mai creduto Gamberetta, ma su queste cose… anche se il tempo passa mi sento un po’ bulldog. Ho avuto un po’ di casini, ma è arrivato il pomeriggio in cui mi sono COSTRETTO a riprendere in mano un vecchio scheletro nell’armadio.

Le ali traslucide erano macchiate in più punti di opaco e di fuliggine.
Scintilla provò a non pensarci, ma ogni volta la testa tornava sullo stesso punto. Lo distoglieva e ci ritornava. Di nuovo. E ancora. Lisciava le ali con delicatezza, anche se nemmeno l’acqua fresca di rugiada era capace di darle sollievo. Non serve, pensò, eppure non riesco farne a meno. Le piegò richiudendole e le ridistese, sperando che il dolore passasse ma quello continuò, sordo e martellante. Non solo: le membrane rimanevano macchiate e consunte. Cosa avrebbe detto la Fata Maestra?
“Cos’hai combinato stavolta?” le aveva chiesto qualche giorno prima, esasperata. La disapprovava e molto, anche. Si sentiva bene dal tono di voce che aveva usato durante la lezione.
Risatine leggere, come trilli di campanelli e il brusio di voci infantili nel sottofondo da parte delle altre fatine sue compagne di classe:
“Ma l’hai vista? Anche stavolta ha combinato una delle sue! Che stupida, inutile fatina apprendista”
“Che sciocca!”
“Ali pallide!”
Scintilla spalancò gli occhi al solo ricordo. Un rombo di sangue che dalle ali va alla testa. Un calore pulsante al volto che rende le ali pallide e fredde. E in quei momenti non riesci neppure più a volare, senti un peso che ti lega a terra e a quello che provi. Nessuna fatina esperta cade mai in questo errore.
La Fata Maestra le aveva guardato le ali con disprezzo e un sorriso cattivo:
“Non vorrai mica che le tue inutili emozioni ti leghino a terra? Siamo fatine solo perché capaci di volare, altrimenti tanto varrebbe che ti facessi tagliare le ali.”
Risatine sguaiate nella classe.
No quello non era giusto, pensò Scintilla.
Si era sentita in quel modo molte altre volte.
Come quando aveva incontrato quel grosso lupo, fuori dalla casetta di Cappuccetto Rosso.
Se ne stava là a tremare dal freddo e gli aveva fatto una gran compassione.
“Come mai sei qua tutto solo, buon Lupo?” aveva chiesto.
L’altro aveva risposto a fatica, le parole ingoiate dal battito dei denti per il freddo:
“So-so-n… sono rimas- sto chi-chi-chi-uso fuo-o-ri-ri”.
Nel silenzio il suo stomaco aveva cacciato un iperbolico brontolio.
Aveva freddo e fame. Aveva bisogno di lei.
Scintilla in quello era brava. Le si era scaldato il cuore: altroché ali pallide! Avrebbe fatto vedere loro di che razza di pasta di fatina era fatta!
“Ho aperto la porta a quel povero lupo, mica poteva morire dal freddo?” si era giustificata dopo con la Fata Maestra, che ancora la guardava in quel suo modo cattivo, davanti alla classe.
Risate, anche qui, nel sottofondo. Ali pallide. Sciocca. Ingenua. Un brusio maligno.
“Come puoi essere tanto stupida da cascarci ogni volta!? -le aveva chiesto, seccata- Abbiamo dovuto chiamare il cacciatore per tirare fuori la nonna dalla pancia di quel beone ingordo!”.
Dopo era stata la volta del vestito non smacchiato bene per il ballo di Cenerentola.
“Se non fossi intervenuta io, come sarebbe andata a finire, povera sciocca fatina apprendista?” aveva commentato sempre in classe la Fata Maestra.
Ali pallide era diventato il suo nomignolo, non più Scintilla.
Infine quella vecchina.
Scintilla era indaffarata a svolazzare di qua e di là per i suoi compiti, come suo solito. Non aveva visto la vecchina. Ma l’aveva sentita. Eccome… un dolore sordo e pulsante al cranio con un bernoccolo allucinante nello scontro e nel sottofondo qualcuno che sbraitava.
“Levati da qua miserabile stracciona che mi rovini la clientela.!”
Il fruttivendolo era uscito dal negozio con occhi spiritati e voltava la testa di qua e di là. Vedendo la vecchia davanti a lui camminò a grandi falcate, le mani tese in avanti.
Ma la vecchia era più veloce. Si levò rapidamente dalla sua traiettoria, mentre l’uomo esaperato tirava prima un calcio e poi un altro. Prese l’aria: la vecchia era più veloce e più furba. Sempre appena fuori mira. Preso dall’esasperazione l’uomo avanzò più veloce e tirò una nuova scarica di calci, più con frustrazione che con convinzione. Ebbe fortuna: centrò il cestino che la vecchia teneva tra le mani e quello rotolò via sul selciato.
“Ohi ohi ohi!” delirava mormorando la vecchina, mentre le perfette mele rosse rotolavano come tante biglie nel canale di scolo della strada e da qui giù nelle capienti fogne, a perdersi galleggiando nelle acque puzzolenti.
Il moto vorticoso di tante stelle era appena scomparso da davanti agli occhi di Scintilla, quando si era avvicinata mortificata all’oggetto del suo scontro.
“Posso aiutarla?” aveva chiesto.
“Posso aiutarla, signora?” aveva ripetuto con apprensione, non ricevendo altra risposta che un composto piagnucolio.
“E come piccola mia? Ormai a quest’ora è tutto chiuso. Non senti le serrande dell’ortofrutta che già chiudono? Cosa porterò alla mia piccola bambina?” si lamentò la vecchia.
ll fruttivendolo davanti a loro aveva precipitosamente preso la ritirata, approfittando dell’attimo di distrazione per calare le grate delle vetrine chiudere l’ultimo degli innumerevoli lucchetti, facendo scattare tutte insieme le numerose serrature magiche.
“Maledetta vecchia, così impari.” sottolineò al riparo sicuro della grata con un ghigno beffardo.
Lei sembrò nemmeno rendersene conto, se nopn fosse per il fatto che Scintilla aveva creduto per un attimo di intravedere uno scintillio nei suoi occhi. Ma probabilmente si era sbagliata.
Scintilla si era sentita in dovere. E se fosse stata la nonna di Cappuccetto Rosso? Doveva rimediare! Meglio che mai il fato le dava un’occasione per recuperare.
“Bian-ca-ne-ve!” compitò quasi urlando la Fata Maestra in classe, il giorno dopo. “Tu, stupidella che non sei altro avresti dovuto saperlo. Quella era la matrigna di Biancaneve! Non hai mai sentito parlare delle mele avvelenate? Ah ma già: gliele hai procurate tu di nuove! Stupidella Ali Pallide”.
Ali Pallide, con le iniziali in maiuscolo. Non più mormorato ma detto ad alta voce davanti a tutti. Da nomignolo dispregiativo era diventato il suo nome.
Tutti la evitavano ora.
Lisciò le ali, ma il dolore sordo pulsava fino alla testa, fresco come il ricordo delle fiamme.
Era cominciato tutto con quel bambino, seduto a piagnuocolare sul bordo della strada più trafficata del regno. Nelle orecchie le risuonava ancora il il suo urlo disperato:
“Voglio la mamma! dove sono?”
“Ma nel paese delle fiabe, piccolino.” aveva cercato di consolarlo, mentre la sorellina più piccola la guardava, con gli occhioni sgranati. Lei era la più forte dei due e se ne stava in piedi accanto al fratello, senza dire nulla. Lui si chiamava Hansel e lei Gretel, o forse il contrario? Non ricordava più bene.
Lei era una fatina apprendista e quelli erano due bambini bisognosi. Non avrebbe mai potuto essere più fortunata. Letteralmente pendevano dalle sue labbra.
“Che ne dite bambini, se facessi per voi una bella casina, mentre aspettate di tornare a casa? magari una casetta di marzapane?” aveva proposto.
Il bambino aveva trattenuto il moccio tirando su rumorosamente con il naso e sollevando la testa con interesse, mentre la sorella faceva di sì vigorosamente con il suo piccolo capino, le lacrime fresche sulle guance.
Un’idea troppo buona, pensò ora Scintilla.
I bambini erano entusiasti. Correvano come grilli dentro quel piccolo capolavoro di polvere di fatina. Scintilla era entrata con loro.
Anche la strega sgattaiolata sul retro, senza farsi vedere da nessuno, li aspettava dentro con entusiasmo.
Senza alcun preavviso, un istante dopo che i bambini erano entrati in quel gigantesco capolavoro di marzapane, le fiamme avevano avvolto tutto crepitando voraci. Da dove si trovava ora Scintilla sentiva ancora il calore sul volto e gli schiocchi degli ultimi pezzi di marzapane che cedevano di schianto. Le urla le ignorava già da un po’, ma si erano notevolmente affievolite. La strega aveva smesso di ridere, forse aveva la bocca piena, visto che diceva qualcosa, ma Scintilla non aveva ben capito.
Sembrava dicesse marscmellou… o qualcosa del genere.
Cosa avrebbe detto la Fata Maestra stavolta?
In qualche modo sicuramente avrebbe commentato. Al pensiero il dolore sordo si annullò mentre le ali abbruttite si impallidivano e diventavano inerti: almeno così sentiva meno il dolore. Ci si sarebbe dovuta abituare.
La Fata Maestra aveva iniziato le loro lezioni così anni prima: “Questo, care mie fatine è il mondo delle fiabe, ma anche qui talvolta le ali vengono tagliate alle fatine inesperte. Pensate sempre a questo.”.
E aveva sorriso. Un sorriso non dissimile da quella sua abituale espressione maligna.

#380 Comment By Strikeiron On 20 agosto 2011 @ 18:44

Chiedo clemenza… EDIT la versione precedente. C’erano alcuni erroracci grossolani…

Le ali traslucide erano macchiate in più punti di opaco e di fuliggine.
Scintilla allontanò le mani di scatto, ma anche non toccandole la sua testa tornava sullo stesso punto, come una trottola impazzita. Lo distoglieva e ci ritornava. Di nuovo. E ancora. Ancora lisciava le ali con delicatezza, anche se nemmeno l’acqua fresca di rugiada che c’aveva spruzzato sopra era capace di darle sollievo. Non serve, pensò, eppure non riesco farne a meno. Le piegò richiudendole e le ridistese, sperando che il dolore passasse ma quello continuò, sordo e martellante. Non solo: le membrane rimanevano macchiate e consunte. Cosa avrebbe detto la Fata Maestra?
“Cos’hai combinato stavolta?” le aveva chiesto qualche giorno prima, esasperata. La disapprovava e molto, anche. Si sentiva bene dal tono di voce che aveva usato durante la lezione.
Risatine leggere, come trilli di campanelli e il brusio di voci infantili nel sottofondo da parte delle altre fatine sue compagne di classe:
“Ma l’hai vista? Anche stavolta ha combinato una delle sue! Che stupida, inutile fatina apprendista”
“Che sciocca!”
“Ali pallide!”
Scintilla spalancò gli occhi al solo ricordo. Un rombo di sangue che dalle ali va alla testa. Un calore pulsante al volto che rende le ali pallide e fredde. E in quei momenti non riesci neppure più a volare, è come un peso che ti getta a terra e a quello che provi. Nessuna fatina esperta cade mai in questo errore basilare.
La Fata Maestra le aveva guardato le ali con disprezzo e un sorriso cattivo:
“Non vorrai mica che le tue inutili emozioni ti leghino a terra? Siamo fatine solo perché capaci di volare, altrimenti tanto varrebbe che ti facessi tagliare le ali.”
Risatine sguaiate nella classe.
No quello non era giusto, pensò Scintilla.
Si era sentita in quel modo molte altre volte.
Come quando aveva incontrato quel grosso lupo, fuori dalla casetta di Cappuccetto Rosso.
Se ne stava là a tremare dal freddo con il pelo arruffato e questo più di tutto le aveva fatto una gran compassione.
“Come mai sei qua tutto solo, buon Lupo?” aveva chiesto.
L’altro aveva risposto a fatica, le parole ingoiate dal battito dei denti per il freddo:
“So-so-n… sono rimas- sto chi-chi-chi-uso fuo-o-ri-ri”.
Nel silenzio che era seguito il suo stomaco aveva cacciato un iperbolico brontolio.
Aveva freddo e fame. Aveva bisogno di lei.
Scintilla in quello era brava. Le si era scaldato il cuore: altroché ali pallide! Avrebbe fatto vedere loro di che razza di pasta di fatina era fatta!
“Ho aperto la porta a quel povero lupo, mica poteva morire dal freddo?” si era giustificata dopo con la Fata Maestra, che ancora la guardava in quel suo modo cattivo, davanti alla classe.
Risate, anche qui, nel sottofondo. Ali pallide. Sciocca. Ingenua. Un brusio maligno.
“Come puoi essere tanto stupida da cascarci ogni volta!? -le aveva chiesto, seccata- Abbiamo dovuto chiamare il cacciatore per tirare fuori la nonna dalla pancia di quel beone ingordo! E fortuna tua che era tutta intera.”.
Con la fame che aveva non c’era da stupirsi pensò Scintilla, quietamente.
Dopo era stata la volta del vestito non smacchiato bene per il ballo di Cenerentola.
“Se non fossi intervenuta io, come sarebbe andata a finire, povera sciocca fatina apprendista?” aveva commentato sempre in classe la Fata Maestra.
Ali pallide era diventato il suo nomignolo, non più Scintilla.
Infine quella vecchina.
Scintilla era indaffarata a svolazzare di qua e di là per i suoi compiti, come suo solito. Non aveva visto la vecchina. Ma l’aveva sentita. Eccome… un dolore sordo e pulsante al cranio con un bernoccolo allucinante nello scontro e nel sottofondo qualcuno che sbraitava.
“Levati da qua miserabile stracciona che mi rovini la clientela!”
Il fruttivendolo, buon uomo in genere, era fuori dal negozio con occhi spiritati e la testa che viaggiava di qua e di là. Con grandi falcate raggiunse la vecchia le mani tese in avanti, come per strozzarla.
Ma la vecchina era più veloce. Svicolò rapidamente dalla traiettoria, mentre l’uomo esaperato tirava prima un calcio e poi un altro. Ancora prese l’aria con frustrazione: giusto nel posto dove si trovava la malefica vecchia un attimo prima. Ma lei era più veloce e più furba, lo sapeva. E si teneva sempre appena fuori mira.
Non appena si dissiparono le stelline vorticanti attorno al suo bernoccolo Scintilla osservò affascinata la rapida schermaglia di colpi e di schivate. Un altro calcio, un altro e un altro ancora, sempre a vuoto. L’uomo avanzò più veloce e furibondo ed ecco una nuova scarica di colpi. Ebbe insperata fortuna: centrò il cestino che la vecchia teneva tra le mani e quello rotolò via sul selciato.
“Ohi ohi ohi!” delirava mormorando la vecchina, scuotendo le mani, mentre le perfette mele rosse rotolavano come tante biglie nel canale di scolo della strada e da qui giù nelle capienti fogne, a perdersi galleggiando nelle acque puzzolenti.
Scintilla, presa da compassione si avvicinò alla vecchia, seduta scompostamente come un mucchio di stracci sul selciato.
“Posso aiutarla?” aveva chiesto.
“Posso aiutarla, signora?” aveva ripetuto con apprensione, non ricevendo altra risposta che un composto piagnucolio.
“E come piccola mia? Ormai a quest’ora è tutto chiuso. Non senti le serrande dell’ortofrutta che già chiudono? Cosa porterò alla mia piccola bambina?” si lamentò la vecchia.
E come a sottolineare le sue parole il fruttivendolo davanti a loro, presa la ritirata, calò le grate delle vetrine e chiuse l’ultimo degli innumerevoli lucchetti, facendo scattare tutte insieme le numerose serrature magiche.
“Maledetta vecchia, così impari.” sottolineò al riparo sicuro della grata, con un ghigno beffardo.
Lei sembrò nemmeno rendersene conto, se non fosse per il fatto che Scintilla aveva creduto per un attimo di intravedere uno scintillio nei suoi occhi. Ma probabilmente si era sbagliata.
Scintilla si era sentita in dovere. E se fosse stata la nonna di Cappuccetto Rosso? Doveva rimediare! Meglio che mai il fato le dava un’occasione per recuperare.
“Bian-ca-ne-ve!” compitò quasi urlando la Fata Maestra in classe, il giorno dopo. “Tu, stupidella che non sei altro avresti dovuto saperlo. Quella vecchia era la matrigna di Biancaneve! Non hai mai sentito parlare delle mele avvelenate? Ah ma già: gliele hai procurate tu di nuove! Stupidella Ali Pallide”.
Ali Pallide, con le iniziali in maiuscolo. Non più mormorato ma esclamato ad alta voce davanti a tutti. Da nomignolo dispregiativo era diventato il suo nome.
Tutti la evitavano ora.
Lisciò le ali, ma il dolore sordo pulsava fino alla testa, fresco come il ricordo delle fiamme.
Era cominciato tutto con quel bambino, seduto a piagnuocolare sul bordo della strada più trafficata del regno. Nelle orecchie le risuonava ancora il il suo urlo disperato:
“Voglio la mamma! dove sono?”
“Ma nel paese delle fiabe, piccolino.” aveva cercato di consolarlo, mentre la sorellina più piccola la guardava, con gli occhioni sgranati. Lei era la più forte dei due e se ne stava in piedi accanto al fratello, senza dire nulla. Lui si chiamava Hansel e lei Gretel, o forse il contrario? Non ricordava più bene.
Lei era una fatina apprendista e quelli erano due bambini bisognosi. Non avrebbe mai potuto essere più fortunata. Letteralmente pendevano dalle sue labbra.
“Che ne dite bambini, se facessi per voi una bella casina, mentre aspettate di tornare a casa? magari una casetta di marzapane?” aveva proposto.
Il bambino aveva trattenuto il moccio tirando su rumorosamente con il naso e sollevando la testa con interesse, mentre la sorella faceva di sì vigorosamente con il suo piccolo capino, le lacrime fresche sulle guance.
Un’idea troppo buona, pensò ora Scintilla.
I bambini erano entusiasti. Correvano come grilli dentro quel piccolo capolavoro di polvere di fatina. Scintilla era entrata con loro, deliziata dalla loro meraviglia.
Che la chiamassero Ali Pallide ora, che ci provassero!
Anche la strega sgattaiolata sul retro, senza farsi vedere da nessuno, li aspettava dentro con entusiasmo.
Senza alcun preavviso, un istante dopo che i bambini erano entrati in quel gigantesco capolavoro di marzapane, le fiamme avevano avvolto tutto crepitando voraci. Da dove si trovava ora Scintilla sentiva ancora il calore sul volto e gli schiocchi degli ultimi pezzi di marzapane che cedevano di schianto. Le urla le ignorava già da un po’, ma si erano notevolmente affievolite. La strega aveva smesso di ridere, forse aveva la bocca piena, visto che diceva qualcosa, ma Scintilla non aveva ben capito.
Sembrava dicesse marscmellou… o qualcosa del genere.
Cosa avrebbe detto la Fata Maestra stavolta?
In qualche modo sicuramente avrebbe commentato. Al pensiero il dolore sordo si annullò mentre le ali abbruttite si impallidivano e diventavano inerti: almeno così sentiva meno il dolore. Ci si sarebbe dovuta abituare.
La Fata Maestra aveva iniziato le loro lezioni così anni prima: “Questo, care mie fatine è il mondo delle fiabe, ma anche qui talvolta le ali vengono tagliate alle fatine inesperte. Pensate sempre a questo.”.
E aveva sorriso. Un sorriso non dissimile da quella sua abituale espressione maligna.

#381 Comment By bebbo On 2 settembre 2011 @ 13:43

@drjack

Hai ragione. Non posso contraddirti. Se giustifichi un ragionamento con “a qualcuno può piacere” non posso negarlo.
A qualcuno può piacere qualsiasi cosa.
Guarda Zwei che si diverte a leggere fantatrash :p.
Sono certo che ci sia di peggio.

il punto è ancora quello: puoi dire “è brutto” non “è sbagliato” e la differenza per me è tanta

Per il resto chissenefrega, tanto da quanto dici io non capisco quello che vuoi dire e tu non capisci quello che dico.
Tanto vale smetterla.

vabbè si chiacchera tanto per chiaccherare quindi tanto vale smetterla e tanto vale continuare

#382 Comment By Giacomo On 6 settembre 2011 @ 18:07

Gamberetta, non pensi di aver esagerato col povero professor Keating dell’Attimo Fuggente? Lui voleva dare ai suoi alunni un modo di vedere la poesia distante dall’aspetto tecnico, perciò non c’è nulla per cui criticarlo, anzi.

Tu giustamente dici: sarebbe da picchiare a sangue, perché insegna che non è la lettura tecnica della poesia a colpire, ma istintuale. Sulla luna non si vola con i buoni sentimenti, ma con un’astronave, un oggetto creato con la tecnica.

è tutto vero, senz’altro, verissimo anzi, ma a meno che non abbia capito male, non credo che il professore avesse intenzione di spiegare ai propri alunni come scrivere una poesia, piuttosto di come leggerla

Se come scrittore e/o critico letterario viene spontaneo leggere un libro e analizzare il modo in cui scritto, scovandone gli errori, come lettore medio viene invece spontaneo semplicemente “vivere” il romanzo.

Lo dici anche tu più volte: il romanzo va scritto in modo che la scena sia mostrata, e la scena va mostrata affinché il lettore veda esattamente cosa accade, provi esattamente cosa accade.

Anche quando dici che il lettore dovrebbe vivere una sorta di sogno, è normale che si svegli e non si goda la storia se anziché leggere con istinto sia portato ad analizzare il libro.

Con questo voglio dire che il professore voleva insegnare a leggere, non a scrivere. A vivere, non ad analizzare.

Questo manuale è volto a far capire quanto uno scrittore sudi per creare anche solo una frase mostrata anziché raccontata. Uno scrittore può impiegare persino un’ora per scrivere una buona frase, e quella frase sarà veramente buona se il lettore la leggerà in una manciata di secondi (se non, a volte, meno di uno).
Ma allora, diamine, se io come scrittore riuscissi a raggiungere, come risultato, il pieno coinvolgimento del lettore, ne sarei maledettamente felice.

Gli alunni lì erano abituati a sorbirsi studi su studi di tecnica poetica, imparando come si scrivevano ma non come si vivevano le poesie. Ed è vero, ci vuole tecnica per scrivere, ci vuole tecnica per far sì che gli altri vivano un racconto o una poesia, ma il professor keating non voleva insegnare a scrivere, ma a leggere.

Dunque perché far sdraiare sul selciato il professore e pestargli la testa sotto lo stivale?

Se ovviamente, però, il suo intento fosse stato di insegnare a scrivere con l’istinto, diamine… sarebbe da prenderlo a calci davvero!

#383 Pingback By Mostrare o non mostrare, questo è il dilemma « Fantascrivendo On 7 settembre 2011 @ 11:19

[...] (per dirla all’inglese lo “show, don’t tell”). I post del caso sono qui, qui e qui. Per una carrellata più ampia potete fare riferimento anche a questo post. Veniamo ora [...]

#384 Comment By Captan Razzo On 16 novembre 2011 @ 11:32

“Show don’t tell” è un concetto da scartare.
Non avere pregiudizi contro questa teoria, cerca di leggerla con distacco.

“Mostrare” (sulle pagine di un libro) significa esclusivamente presentare un’illustrazione, una foto, un video. Il “mostrato” non esiste nei testi scritti privi di illustrazioni. Qualsiasi cosa gli esseri umani mettano per iscritto è sempre una cosa raccontata.
Se tu apri un libro ti vengono “mostrate” delle parole, ma se tu leggi le parole, può darsi che esse creino in te delle immagini. Se nella tua mente quelle parole creano immagini, questo dipende dal fatto che nel cervello umano esiste un meccanismo di costruzione delle immagini mentali, molto complesso, sviluppatosi per motivi di sopravvivenza durante l’evoluzione della razza umana: l’uomo che basandosi su un avvertimento (cioè su un racconto fatto solo di parole) non riesce a raffigurarsi visivamente il pericolo in arrivo, né a raffigurarsi altrettanto visivamente un progetto di schema per sventare il pericolo, non sopravvive.
Dunque il problema dello scrittore che voglia “mostrare” qualcosa non sta affatto nel “mostrare”, (cosa possibile solo se unisse un’illustrazione al testo) bensì nel “come” raccontare ciò che vuole mostrare, ovvero nell’usare il meccanismo del racconto per mettere in funzione (nel lettore) il meccanismo di costruzione mentale delle immagini.
Quando si afferma che esistono il “raccontato” e il “mostrato”, in realtà si confonde il racconto didascalico col racconto oggettivo. Il racconto didascalico è come la musica da film, che ti dice “qui devi provare paura” oppure “qui devi prepararti a ridere”. Il racconto oggettivo fornisce fatti e lascia che sia tu a decidere quali emozioni provare. Ma non per questo il racconto oggettivo è “mostrato”, perché entrambi sono forme raccontate.
La didascalia è un’etichetta emotiva appiccicata a qualcosa: un aggettivo appiccicato a qualcuno, una musica appiccicata a una scena da film, le lacrime sulla faccia di chi ti racconta un avvenimento.
Esempio: “Michele è vecchio” secondo te è raccontato, mentre “Michele ha la barba bianca, la faccia coperta di rughe e cammina gobbo appoggiandosi al bastone” sarebbe mostrato. Ma in realtà anche la seconda cosa è raccontata. Tu avresti dovuto dire che la prima frase è una didascalia: l’etichetta emotiva “vecchio” appiccicata a Michele. Mentre la seconda frase è un misto di dettagli oggettivi e dettagli mirati a creare emozioni, quindi parzialmente non didascalica. Qui il concetto “show don’t tell” mostra chiaramente la corda proprio nella seconda frase, dove in base ad esso si dovrebbe allora dire che c’è un’indefinibile mescolanza di “raccontato” e di “mostrato”. L’analisi che indico io è invece più chiara, ed è questa: tutte e due le frasi sono “raccontate”, ma la prima in modo didascalico, e la seconda in modo misto di elementi didascalici e non didascalici.
Il giapponese che tu citi, Sugimori Nobumori, viene da te interpretato in modo erroneo: Nobumori non condanna chi racconta senza “mostrare”, bensì condanna chi racconta in modo didascalico, cioè condanna il narratore che col suo atteggiamento “dice” al pubblico quali emozioni deve provare, e che (nel suo esempio) ignora i fatti oggettivi. Nobumori vuole che siano solo i fatti narrati a produrre le emozioni, dunque ciò che lui rifiuta è il didascalico, non il “narrato”. Inoltre avresti dovuto notare che Nobumori ci presenta una posizione troppo estrema, cioè un narratore che fa soltanto il didascalico puro, perchè nella realtà nulla impedirebbe a un narratore di fare un miscuglio di didascalico e non didascalico (lo “show and tell” diresti tu), cioè di piangere e chiedere al pubblico di piangere, mentre nello stesso tempo racconta fatti molto oggettivi e dettagliati.
In altre parole “mostrare e non raccontare” è un dogma impreciso, che può solo creare confusione e obiezioni. E’ un dogma che, per chiarezza, si dovrebbe abbandonare a favore dei termini “didascalico” e non “didascalico”. Del resto, a dimostrare che lo “show don’t tell” è qualcosa di equivoco sono in genere gli scrittori stessi, che all’atto pratico sbattono la faccia contro situazioni in cui non capiscono come o perchè lo “show” possa sconfinare o mescolarsi così assurdamente nel “tell” o viceversa. I critici letterari affermano che esistono “eccezioni”, o che fra il mostrato e il raccontato esiste il “dire”. Questo significa che sono confusi. Nel “didascalico e non didascalico” non esistono eccezioni: una frase è didascalica, oppure non lo è. E il cosiddetto “dire” è un miscuglio di elementi didascalici e no, dove la frase didascalica e quella non didascalica si possono unire nello stesso discorso in modo del tutto naturale (per quanto sia meglio evitare la prima) senza originare alcun conflitto di definizioni, perché la prima è sempre distinguibile dalla seconda.

#385 Pingback By Gli Autopubblicati #01: Ucronie Impure | Tapirullanza On 18 novembre 2011 @ 08:41

[...] l’unico discrimine, la cura è Gamberi Fantasy; in particolar modo date un’occhiata a questo articolo sul Mostrare.Torna su Share this:TwitterFacebookLike this:LikeBe the first to like this post. Questo articolo [...]

#386 Comment By Captan Razzo On 18 novembre 2011 @ 12:14

Scusa, amico di “Tapirullanza”, ma tu mi rimandi a leggere daccapo “Manuali 3″, se non sbaglio. È così?
Orbene, sappi che “Manuali 3″ comincia con un esempio impreciso.
Quando Gamberetta (che io stimo moltissimo) scrive che Michele ha “barba bianca” “faccia rugosa” e “cammina col bastone” ci offre non tre particolari concreti come afferma, bensì tre stereotipi della vecchiaia. Lo stereotipo è anch’esso un genere di etichetta emozionale, ed è per questo che dico che c’è qualcosa di didascalico in questa frase.
Gamberetta avrebbe dovuto portare l’esempio in questo modo:
“Michele è vecchio” questo è raccontare.
“Michele ha 80 anni” questo è mostrare.
In questo caso io ammetterei la seconda frase come esempio di vero “mostrare”, salvo poi a ripetere contro questa frase l’obiezione che ho fatto nel post precedente contro lo “Show don’t tell”. Ovvero che anche questo è un “raccontare”.
Ora, se Michele fosse un ottantenne con la barba nera, la faccia liscia, e camminasse dritto, oltre magari ad aver una vista da falco, un cuore di ferro e l’abbonamento alla Marcialonga, e Gamberetta volesse rivelare che sta parlando di una persona anziana, cosa potrebbe “mostrare”? Cioè quali fatti potrebbe portare perché la seconda frase dell’esempio “mostri” senza alcuna etichetta Michele come persona anziana? Non le resterebbe che scrivere “Michele ha giocato a briscola con Mussolini”, o qualcosa di simile. E così facendo scoprirebbe l’equivoco della teoria dello “show don’t tell”, perchè per “mostrare” Michele come persona anziana lei deve “raccontare” che Michele ha giocato a briscola con Mussolini. Cioè, come ho detto nel precedente post, se non si acclude una fotografia al testo, per mostrare un’immagine in forma di parole la si deve raccontare. Senza il tell, non c’è lo show.
Allora il giusto consiglio all’aspirante scrittore è piuttosto questo: “Evita le descrizioni inutili, le divagazioni, e le premesse troppo circostanziate”. E ai seguaci del “show don’t tell” dico: non abbreviate queste undici parole in una formuletta di tre parole, che non corrisponde al meccanismo della costruzione delle immagini mentali e della loro comunicazione dallo scrittore al lettore.

#387 Comment By Gamberetta On 18 novembre 2011 @ 13:36

@Captan Razzo. Se Michele è un ottantenne con la barba nera, la fascia liscia, ecc. non è un ottantenne. Tutto lì. Dunque l’esempio che porti non ha senso. E se Michele ha davvero l’aspetto di un ventenne a ottantanni, allora lo mostro facendo vedere che ha i canini affilati, visto che sarebbe un vampiro e non un essere umano.
“Michele ha 80 anni” non è mostrato, sono solo parole. Non esiste un’immagine per “80 anni”. E detto questo, per piacere, per piacere, per piacere, prima di commentare leggi bene l’articolo e magari anche le opere citate, dato che sono tutte liberamente consultabili. Grazie.

#388 Comment By Captan Razzo On 18 novembre 2011 @ 17:57

Gamberetta,
ho già letto i tuoi articoli, e li trovo interessanti. Ti chiedo di ricordare che buona parte della comunicazione fra lo scrittore e il lettore avviene anche fra altre due entità: il subconscio dello scrittore e il subconscio del lettore. La scienza attuale non consente allo scrittore di avere una conoscenza nè un controllo su quello che esce dal suo subconscio e su ciò che farà uscire dal subconscio del lettore, e senza una ferma base d’appoggio scientifica ogni teoria deve ritenersi esposta alla critica. E soprattutto cercare di nutrirsi di ogni critica.
Ad ogni modo, quando scrivo “Michele ha 80 anni” non ti presento “soltanto parole”, bensì un fatto. Che questo fatto non contenga immagini, come mi fai notare, è evidente. Ma è altrettanto evidente che genera immagini, per quanto standardizzate. Ti chiedo di rileggere nel mio primo post ciò che dico (per forza molto brevemente) sul meccanismo di costruzione delle immagini evolutosi nel cervello umano. Secondo me è abbastanza chiaro che il “mostrato” esiste allo stato puro solo quando esibisci un’illustrazione, altrimenti esiste solo come conseguenza di come e cosa si “racconta”.

#389 Comment By Captan Razzo On 18 novembre 2011 @ 20:18

Scusa, Gamberetta.
Ho chiuso il post precedente troppo in fretta, prima di dirti quanto apprezzo la tua pazienza e la tua competenza. E prima di aggiungere un’altra osservazione. Nel leggere il tuo breve inserto su Roberta Cardato e la Croce di San Germano, mi sono reso conto che dovevo criticare il “mostrare” anche da un altro punto di vista, cioè questo.
Poniamo il caso che a leggere dell’incidente di Maria fosse un mussulmano: costui si sentirebbe irritato nel sentir menzionare gli alberi di Natale e la croce. Poniamo che a leggere dell’incidente di Maria fosse un agente di assicurazioni: lui sarebbe disgustato al pensiero che la donna sia salita su una scala senza aver firmato una poliza. Se a leggerlo fosse un giovane che ha perso la madre per un incidente domestico, sarebbe costretto a prendere un Valium. Se fosse un ciarlatano di professione si farebbe una risata. Se fosse un cinico penserebbe: ecco cosa può succedere a una sempliciotta. E chi più ne ha più ne metta, mentre lo scrittore stava lì a preoccuparsi di fare lo “show” invece del “tell”. Come a dire che le belle teorie ti fanno ingranare la quarta, quando invece non sai cosa ti aspetta al prossimo incrocio. O no?

#390 Comment By Dan On 19 novembre 2011 @ 12:18

Da parte mia sono più che convinto che l’arte del narrare sia una vera e propria dote, un talento, per intenderci, e nessun talentuoso è mai stato soggetto a delle regole; questo tanto per rinsavire coloro che suppongono di trarre dalla regola dei vantaggi squisitissimi su ciò che non possono in alcun modo ottenere, ‘ché persino la grazia, si ritira…
I talenti sono una cosa seria, e ognuno ha il suo/i suoi, ed è bene sfruttare quelli giusti. Questo non nella speranza di non vedermi scrittori nascere, tutto al contrario: nella speranza di vedermi nascere quelli giusti.
Ed esaminando i talenti, lì in che modo le regole possono essere valide, se ogni talento è mondo a sé…? Ultimamente G. consiglia letture come Flatlandia, e in che modo le regole si possono o debbono applicarsi ad un rigore estetico decisamente fuori linea col proprio mondo…? Ogni mondo e ogni libro ha delle regole a sé; ricorrere a un vocabolario o a un altro, equivale pennellare quel mondo con certi canoni e certi altri, con certi gusti e certi altri, ma qui il mostrare o raccontare centra poco o nulla. Potrei narrare (specie se s’è letto T con Zero di Calvino) una storia secondo il pensiero d’uno stelo d’erba, essendo il fiato d’un gigante, il cuore di una farfalla, l’essenza d’un lungo rapporto sessuale, il mare in tempesta, e chi più ne ha più ne metta. Su questi manuali la prima regola da stabilirsi è: per scrivere il mondo che dico io, nel modo in cui io me lo figuro.
La narrativa è arte del pensiero nel necessario, e il necessario è il necessario, non si può davvero stabilire dov’è che sia; solo una ragione e un cuore pulsante, possono, ma così come siamo tutti diversi e amiamo in modo diverso, allo stesso modo scriviamo in modo diverso e siamo dotati di storie che hanno diverse necessità…
Avere uno sguardo critico significa sbarazzarsi dei propri canoni per entrare in ogni mondo, non certo forzare i mondi secondo i propri gusti estetici, o finirei per disconoscere anche Dante, Petrarca e Boccaccio.
Il fatto che oggi si scriva più o meno tutti uguali, non è neanche lontanamente una giustificazione, perché nel simile siamo anche noi, ma quante differenze passano fra mori, castani e biondi? Eppure non c’innamoriamo di tutti… Al limite un critico potrebbe dire come avrebbe dovuto scrivere il tizio se avesse tenuto fede alle regole di principio stabilite dal suo incipit, ma non come avrebbe dovuto scrivere se fosse stato me. Sarebbe un tantino presuntuoso, nonché fuori da ogni regola estetica dell’arte; il rapporto da farsi è con la pittura, dove i critici entrano con più facilità nel mondo dell’artista, lo sviscerano e tentano di esaltarne le qualità… Perché con l’arte del pensiero non deve avvenire lo stesso, mi chiedo…? Solo perché le parole sono concrete e numericamente date, solo perché esistono regole grammaticali (che poi puntualmente cambiano il proprio ordine, e spesso anche grazie allo stesso intervento degli autori)?
Potrei scrivere miriadi di fiabe con Michele è vecchio, e se Michele è vecchio, e la vecchiaia di Michele non è narrata, Michele può essere il lettore, ad esempio, che in ugual modo dovrà immaginarsi -non ce l’ha sotto gl’occhi- la propria vecchiaia. Chi lo dice che fra le varie ipotesi il N. non possa figurarsi anche questa…?
La narrativa è nell’immagine da quando le storie sono il più delle volte nell’immagine… ma il narrare è arte antica, è arte da focolare… e la fiaba non ha mai avuto di questi problemi: sapevo benissimo com’era Cappuccetto Rosso anche senza aver mai visto un suo disegno. Ero interessato a cosa faceva C. R., e quale era la sua storia. Il solo descrivere ha più affinità col mestiere del detective, ed è distante anni luce da ogni principio d’interpretazione e immedesimazione. E questo sì che sarebbe fuori la necessità stessa del narrare…

#391 Comment By Captan Razzo On 19 novembre 2011 @ 17:44

Dan,
tu sei un poeta. Sono tentato di invitarti a mettere in rete un video nel quale tu reciti il tuo post, e io ti accompagno col piffero. Che ne pensi, riusciremo a convincere Gamberetta a ballare intorno a noi vestita da fatina?

#392 Comment By Hendioke On 21 novembre 2011 @ 02:13

Nel suo primo post secondo me Capitan Razzo dice la verità. La sua spiegazione di differenza fra narrare e mostrare è molto approfondita e convincente, non vi vedo errori di sorta.

Nel secondo post invece, Capitan Razzo, il tuo esempio è sbagliato non perché non sia il mettere a disposizione del lettore un fatto oggettivo ma perché cozza con la teoria del mostrare seguita da Gamberetta in un differente punto (che tu invece non tieni da conto): la visuale del lettore sulla storia.

Secondo la tecnica narrativa seguita da G. tutto quello che l’autore trasmette al lettore dev’essere filtrato da un personaggio (non necessariamente lo stesso per tutto il libro) detto “Punto di vista” dal cui punto di vista, giustappunto :D, il lettore segue il dipanarsi della storia.

Quindi i fatti riportati al lettore devono essere quelli esperibili o noti al personaggio.
Se il personaggio incontra Michele per la prima volta, secondo questa tecnica, lo scrittore non può scrivere “Michele ha 80 anni”, al massimo può scrivere “A Mario (il Personaggio PdV) sembrò che Michele avesse almeno 80 anni” oppure può descrivere al lettore cosa Mario vede di Michele lasciando che da questi elementi il lettore deduca che è vecchio.

Seguendo le teorie seguite da G. è lecito mostrare l’anzianità di Michele scrivendo “Michele ha 80 anni” solo se il personaggio PdV SA, è a conoscenza del fatto che, Michele ha 80 anni).

Vi è però una verità ulteriore. Gamberetta va oltre questa teoria del personaggio PdV e sostiene che qualsiasi rappresentazione, per muovere emotivamente il lettore nel modo più efficace possibile, deve essere il più possibile aderente ai dettagli sensoriali di quanto si va narrando.

Quindi la critica prima di G., io credo, è che il narratore (colui che introduce Michele nell’esempio dell’articolo) non può riportare fatti che non siano noti al personaggio PdV (che nell’esempio potrebbe ben essere lo stesso Michele che sta venendo introdotto al lettore), e la critica seconda, sempre secondo me, è che i fatti che la teoria di Gamberetta ammette come atti a mostrare siano i fatti sensoriali.

Personalmente mi trovo più d’accordo con la tua teoria su cosa sia il mostrare, anche solo perché si ferma parecchi livelli sopra (in una scala che va dallo specifico al generico) la teoria di Gamberetta che spesso è così precisa da lasciare con grossi dubbi applicativi (devo mostrare sempre? Quasi sempre? Tutti i dettagli? Quasi tutti i dettagli? ecc.)

#393 Comment By Captan Razzo On 24 novembre 2011 @ 15:41

Scusa, Gamberetta, se torno sulla logica errata dello “show don’t tell”. Permettimi di usare altri tre dei tuoi stessi esempi (che hai messo più sopra in questa pagina) per dimostrarti che dove c’è la comunicazione in forma di parole il “mostrare” non esiste. Tu scrivi questo esempio:
—————————————————
Se io dico:
Qualcuno qualche volta ha provato la Croce Magica ed è stato meglio di prima.
Non convinco nessuno. Non convinco nessuno perché racconto. Perché i termini sono vaghi e generici.
Se dico:
Mi chiamo Roberta Cardato, ho ventiquattro anni, abito a Tresnate provincia di Varese. Tutto è cominciato il 24 dicembre, la vigilia. Ero in piedi sulla sedia per mettere la stella in cima all’albero di Natale, quando la mia gatta Birba mi è saltata tra le gambe. Ho perso l’equilibrio e sono caduta di schiena. Una botta terribile. Sono rimasta inchiodata a letto tutte le vacanze e il dolore non è passato. Medici, chiroterapisti, antibiotici, antinfiammatori: niente, non funzionava niente. Finché a San Valentino, il mio fidanzato, Mattia, non mi ha regalato la Croce Magica di San Germano. Appena l’ho presa tra le mani ho sentito un calore benefico. È bastato un giorno con la Croce al collo e già stavo meglio. Una settimana dopo ero guarita, in tempo per andare a sciare con Mattia! E adesso non ho più neanche paura di cosa succederà alla morte della Birba, perché grazie alla Croce Magica di San Germano, potremo sempre rimanere in contatto.

L’impatto è ben diverso. Non c’è più “qualcuno”, qualche volta”, c’è una storia concreta, specifica, precisa. L’effetto taumaturgico della Croce è mostrato in un contesto. E la storia di Roberta potrebbe essere la tua. Anche tu puoi guarire! Se hai 200 euro (pagamento in contrassegno, bonifico o via PayPal).
————————————————————–
Ma io devo farti notare che qui tu non hai rinunciato a “raccontare” per passare al “mostrare”. Qui tu hai rinunciato a raccontare, solo per scaricare sul personaggio Maria il compito di raccontare. E infatti Maria “racconta” fino a non poterne più. Racconta ciò che tu le fai raccontare. Con un’aggravante:
Permettimi di puntualizzare da cosa deriva, in realtà, la minore capacità di persuasione del primo brano della croce magica di san Germano, quello che tu definisci inefficace perchè “raccontato”. Questo brano contiene due elementi: un oggetto (la croce magica di san Germano) e una didascalia (fa stare meglio di prima) e quest’ultima in realtà è una semplice etichetta, quella che un imbonitore appiccica sul talismano per convincere un compratore.
Nel secondo brano invece (quello che tu definisci più efficace) lo scrittore/imbonitore è più astuto: si tira indietro e fa salire sul palco la sua manutengola Maria (una donna del pubblico, esente da sospetti) perchè “racconti” la sua esperienza personale al pubblico (i lettori).
In altre parole, non solo non c’è nessun “mostrare” ma tu stai insegnando che lo scrittore di questo brano dovrebbe rinunciare a fare l’imbonitore frettoloso perchè questo paga poco, mentre lodi lo scrittore che arriva a far uso di una complice (Maria) per imbonire il pubblico dei lettori. Se ci stai insegnando che un bravo scrittore deve essere un bravo imbonitore, ci sei riuscita.
Passiamo a un altro tuo esempio, (anch’esso più su in questa pagina) nel quale insegni come “evitare di raccontare” che Michele è alto. L’esempio che tu fai è questo:
———————————————–
Nel primo caso c’è poco da fare: bisogna imbastire una o più scene nelle quali l’altezza giochi un ruolo importante – per esempio si può mostrare Michele mentre gioca a basket.
Nel secondo caso, basta un pizzico di furbizia, basta “spacchettare” l’altezza in un’immagine concreta:

Michele chinò la testa salendo sulla carrozza della metropolitana.

Oppure, in maniera indiretta:

Anna si alzò in punta di piedi per baciare Michele sulle labbra.

Notare che potrebbero essere le carrozze particolarmente basse. O magari Anna è una nana. Ma ha importanza? In fondo non esiste un “molto alto” in assoluto, esiste un “molto alto” in rapporto alle porte o alle fidanzate; in rapporto alle taglie dei vestiti o ai letti degli alberghi.
—————————————————–
Ma anche qui mi sembra più che evidente che tu non stai “mostrando” Michele nell’atto di chinare la testa mentre sale sulla carrozza della metropolitana. Tu “racconti” che ha chinato la testa e ci è salito. Lo stesso per quanto riguarda la frase di Anna. Anche mentre lei bacia tu non lo “mostri”. Tu “racconti” che si è alzata in punta di piedi e ha baciato.
Passiamo al tuo esempio della porno-scrittrice Katie MacAlister. Tu affermi che per “mostrare” che è grosso lei fa bene a scrivere così:

“Mi sembri più grosso di quanto mi attendevo,” dissi, passandoci una mano intorno, e notando quanto era rimasto.
[...]
—————————————–
Anche qui devo farti notare che non c’è nessun “mostrare”. Perchè la scrittrice non fa altro che scaricare sul personaggio il compito di “raccontare”. E infatti il personaggio non si limita a “dire” che le sembra grosso, bensì prosegue “raccontando” quali erano le sue aspettative in merito.
Riassumendo: in questi esempi tu dici una cosa vera quando affermi la minore efficacia o capacità di persuasione di un brano rispetto all’altro. Ma questo non ti autorizza a dire che il brano più efficace è tale grazie all’applicazione dello “show don’t tell”. Entrambi, come abbiamo visto, sono forme raccontate.

#394 Comment By Dan On 24 novembre 2011 @ 17:17

Prima di parlare di come scrivere cosa, bisognerebbe scrivere tutto il cosa.
Nel senso che non si può parlare della narrativa così come si parlerebbe di formule matematiche per la grafica vettoriale… Un libro è quanto di più organico. Vincolarlo a delle regole, significherebbe non essere nel racconto, che ha sempre esigenze diverse, dinamiche, difficilmente afferrabili…
Non so se lo sapete, o se G. con la sua divisa è già riuscita nel suo intento: ma la N. non è matematica…
La razionalità va mandata affanculo.
Ed è esattamente ciò che differenziava me da un mio compagno di banco delle elementari, delle medie, dei superiori e dell’Accademia.
Non esistono formuline formulette, e chi le vuole, trovo molto più logico dire che non dispone di quella fantasia di cui vorrebbe per essere all’altezza della situazione -dei giganti che l’hanno preceduto, e che sono tutti lì impettiti a dire: sconfiggimi; ma il sasso non può essere una formula…
Il dinamismo vero il quale la N. incorre, può essere studiato e ricercato, ma non razionalizzato.
Al più si stilano due tre punti intorno ai quali una data corrente (estetica o di pensiero) si muove, ma interi manuali su come afferrare l’impalpabilità d’un pensiero, caspita! Mi chiedo quanti ictus si desiderino avere in una vita…
Alle persone che nello scrivere non esce nulla, non esce nulla semplicemente perché non è il loro ruolo quello dello scrittore, non perché non si servono di manuali.
Capire se mostrare (con un breve aneddoto) o meno, lo può sapere solo chi ha in mente e a cuore l’organico narrativo, l’economia del racconto, così come si può avvertire che il proprio pipo è ancora attaccato al linguine.
O questo, o niente…

#395 Comment By Cecilia On 24 novembre 2011 @ 17:45

La razionalità va mandata affanculo.

Ecco, questo è il modo perfetto per mandare affanculo un libro. Non ragionarci sopra, non dissezionarlo dove necessario. I GrandiCapolavori hanno anche venti o trent’anni di lavoro alle spalle, vai a spiegarlo all’Ariosto e ai suoi colleghi che dovevano “mandare affanculo la razionalità”.

Scusa, ma me l’hai davvero servita su un piatto d’argento.

#396 Comment By Dan On 24 novembre 2011 @ 20:37

Se sei un artista la razionalità fa già parte di te (non è che uno scultore, siccome martella, se la sfanculizza perché deve raggiungere il bello; ma se ad ogni martellata dovesse sfogliare un manuale, o capire se ha dato il colpo giusto al posto giusto…).
Direi che la stessa opera faccia già parte di te: la devi solo tirar fuori…
Puoi anche tirare in ballo la poesia anziché la prosa, il discorso gl’è l’istesso: non è la razionalità che ti spinge, a quel punto… ma è la fascinazione, verso il bello, che ti calamita… Ma il bello ha sempre trovato principi estetici diversi, senza mai rinnegarne alcuno.
E’ il principio stesso della Bellezza, che chiede agl’artisti degli sforzi creativi e di superamento, o non sarebbe Bellezza.
Per questo non concordo con chi fa d’un principio estetico il solo ed unico possibile e accettabile.
L’Amore e la Bellezza sono estremamente dinamici, e se non sorprendono lo stesso scrittore che scrive, a chi vorrebbero raccontarla…? Come on…!
Se qui già mi si dice: alt! Qualunque cosa tu scriva, non usare gl’aggettivi (come dire a un musico: da oggi niente be molle), mi sembra un precludersi inutile: che ne sai cosa vado a scrivere, dove vado a parare, dove mi porta (e non porto) l’opera…?
Non trovo mutazione e originalità, in queste teorie, né l’humus per trovarne.
Pensa se Dante avesse scritto l’Inferno con lo stesso principio del Purgatorio, e il Purgatorio con lo stesso principio del Paradiso.
Cerchiamo, poi, ove possibile, di non decontestualizzare: né le frasi (nessuna frase cogli il cuore d’un costrutto, ma il costrutto in sé: chi me lo farebbe di scrivere tanto, sennò?), né il fatto che scrivo qui e non da un’altra parte…

#397 Comment By Franek Miller On 24 novembre 2011 @ 23:01

nessuno dice non usare gli aggettivi. Nella narrativa di genere non sono il massimo per ragioni tecniche.
Per la scultura, mi spiace, sono uno studente d’arte e devo dirti ALT molto prima. Puoi stravolgere la composizione e l’anatomia quanto vuoi, ma prima devi STUDIARE anatomia e composizione. Stessa cosa per la pittura: non si spennella a caso e non si scalpella a caso. Si studia, si impara dalla tecnica degli altri e magari si sforna la propria.
Imparare è solo utile: ad esempio usando nei colori ad olio il bianco di zinco non otterrai mai un effetto coprente. Io non ti dico non usarlo, ma per alcune cose non va bene ed è meglio il bianco di titanio. O ancora: io non ti proibisco di passare nuove velature di colore quando le precedenti non sono ancora asciutte; sii però consapevole che probabilmente il colore si spegnerà o diventerà addirittura grigio. Se fa parte del tuo Processo Creativo e il grigio è il tuo colore preferito accomodati. Quindi anche aggettivi e strumenti narrativi vanno ponderati esattamente come in campo artistico. Come in ogni campo dove si debba avere una qualche competenza.

#398 Comment By Hendioke On 25 novembre 2011 @ 02:10

Credo che Franek abbia trovato la giusta via di mezzo.

Da una parte abbiamo Gamberetta.
Lei stessa ha sostenuto in alcuni articoli che le regole vanno conosciute così che poi le si possa infrangere con coscienza (posizione ora espressa da Franek), ma sembra essere una tesi minoritaria nella sua opera. Sembrerebbe, questa almeno è l’impressione che da a me e mi pare, da quel che vedo, a molti, che in realtà si sia andata sempre più arroccando su un complesso di regole molto articolato, molto rigido e insindacabile per cui o la narrativa presenta queste caratteristiche o è sbagliata.
Si tratta di una concezione in se e per se valida ma solo se si restringe al minimo la porzione di letteratura considerata e difatti la costringe a muoversi in un ambito ristrettissimo.
Gamberetta sarà bravissima ad analizzare il fantasy novel tecnicamente e di genere più verosimile e diretto ma non penso proprio abbia i mezzi per analizzare con la stessa efficacia un fantasy novel anche solo di poco discosto dal suo ambito come ad esempio il fantasy comico di Pratchett.

Dall’altra abbiamo Dan.
Tanta fiducia nella sensibilità dell’autore o nasconde qualche altra parte della sua idea di come si fa narrativa oppure è, per essere gentili, ingenuo.
Perché di geni in grado di prendere in mano la penna e produrre opere artistiche degne di questo nome ne nasce uno ogni tot secoli. Gli altri comuni mortali senza anni di pratica e dei solidi, e anche contrastanti fra loro perché no?, modelli di riferimento non arriveranno mai da nessuna parte.
Il mondo della narrativa come emerge dei suoi post mi suona un po’ come il mondo dove ciascheduno mette 10 parole in croce e può proclamarsi a diritto artista: un mondo triste dove 4 opere degne in croce si vedrebbero seppellite da un mare di dilettantismo paragonabile solo al mare magnum di Internet…

La visione di Franek, prima si imparano delle regole e poi ci si “gioca” sopra, anche infrangendole, inventandone di nuove, mi pare la più vera ed equilibrata

@Captan Razzo:
con questo tuo ultimo post mi hai fatto crescere forte e urgente una curiosità: ma per te quale sarebbe un esempio valido di mostrato? <.<

#399 Comment By Hendioke On 25 novembre 2011 @ 02:41

Ah, ho ridato una scorsa all’articolo e devo dire, ma forse è stato già detto, che il tuo tentativo, Gamberetta, di smontare la scena de “L’attimo fuggente” è un epic fail.

La scena parla di analisi della poesia con esempio i sonetti di Shakespeare
Tu controbatti argomentando riguardo la prosa e porti ad esempio una riflessione di Eliot sulla tragedia di Shakespeare.

Cazzo c’entrano? No, davvero, cazzo c’entrano? Adesso la poesia e la prosa rispondono alle stesse regole? Hai preso un grosso abbaglio, ma di quelli davvero colossali e spero sia una cacchiata che ti è sfuggita in fase di rilettura del pezzo.

E comunque le teorie di Pritchard sono sterco.
Se se lo sono inventato gli autori del film questo personaggio non si sono sforzati nel renderlo un critico di poesia verosimile; se è realmente esistito questa sua teoria dev’essere stata, spero, la cazzata di rito che molti, troppi, letterati devono inventarsi per arrivare alla cattedra: traguardo per il quale vale 10 volte tanto dire qualcosa di originale (per quanto abnorme nella sua imbecillità) che fare un serio ed onesto lavoro di analisi su teorie già note…

E quanto dice il personaggio di Williams è giustissimo se pensiamo che sta parlando a studenti che sono lì per apprendere qualsiasi mestiere tranne scrivere.
Le rime e le tecniche verranno poi (mi piace pensare che siano nelle lezioni che non vediamo nel film) ma se prima non gli insegni il valore della poesia non puoi sperare si interessino mai agli endecasillabi persone mandate lì a calci in culo per diventare economisti, ingegneri, economi e medici…

#400 Comment By Franek Miller On 25 novembre 2011 @ 02:58

tirando le somme gli articoli di G. sono utili, mi hanno fatto capire molti errori inconsapevoli. E mi han fatto tornare la voglia di scrivere, credo sia questo l’importante. ovviamente di coniglietti
Queste regole servono, da come le ho recepite, come base da cui partire e imparare. Poi magari evolversi. Se fossimo geni Se fossi un genio credo sarei impegnato a genialare e non qui. Posso capire il suo punto di vista per analogia: quando mi vengono richiesti pareri su disegni ripeto il solito mantra. Per favore studia l’anatomia. Non vuoi spendere in manuali? Esistono centinaia di nudi su deviantart. Dubito queste regole siano rivolte a chi di narrativa è esperto ma ai neofiti che si avvicinano al genere e, quindi, hanno da imparare. Poi ovvio che una volta avviato non devi rifare lo schemino del corpo umano ogni volta nelle arti e non devi tenere sotto mano il decalogo delle regolette in narrativa: ci si aspetta siano state assorbite.

#401 Comment By Cecilia On 25 novembre 2011 @ 09:28

Penso di poter sottoscrivere in toto gli ultimi due interventi di Frank Miller, specie il primo dopo quello di Dan. Le regole ti aiutano, fine del cinema. E per infrangerle prima devi conoscerle (bene) o farai una porcata nella maggior parte dei casi.
E bada Dan, che nei, pochi, manuali che ho letto io alcune costanti sono: le regole non possono sostituire il talento; le regole non sono i dieci comandamenti, ma consigli di gente più brava di te che vuol darti una mano, non c’è un unico e universale modo per scrivere un libro (e un bel ciao a tutti quelli che la menano col “si farebbero libri fotocopia!”).

#402 Comment By Hendioke On 25 novembre 2011 @ 09:52

Ciao ^^

Ammetterai che se prendessi le regole di tecnica suggerite dal manuale X e le applicassi acriticamente dal punto di vista stilistico i miei libri sarebbero delle fotocopie l’uno rispetto all’altro, intendendo per fotocopie dotati dello stesso identico stile.
E sarebbero fotocopie anche rispetto ai libri di un altro scrittore che applicasse acriticamente le regole del manuale X.

Se invece prendiamo i manuali per quel che sono: libri che insegnano fondamenti e non dogmi (e su questo vedo siamo molto d’accordo) non si corre il rischio ^^
Come sempre sta all’intelligenza dell’aspirante scrittore

P.S. Sono andato a cercarmi la scena da l’attimo fuggente in originale, per vedere se anche lì viene assunto come criterio l’Importanza e il risultato è che non solo anche nella versione originale uno dei due elementi è l’Importanza ma che l’altro è la Perfezione (stilistica), non l’efficacia come nella versione italiana.

A questo punto mi sa che si tratta di un for the lulz degli autori che devono essersi inventati il professore emerito XD

#403 Comment By Dan On 25 novembre 2011 @ 11:05

Regole: parliamo di regole, allora…
Lo sciòdontell: regola -ma perché regola??? vezzo no? Sennò Fontana è solo uno che si diverte a spazzar via le regole dell’anatomia: mi sembra un po’ poco- vecchia di circa 200 anni per stessa ammissione di G. …
E i conti davvero non mi tornano se si considera che lei, quanto molti indottrinati nella sua stessa scuola, come proprio s’evince da questo articolo, sono convinti che bisogna assolutamente aggiornarsi.
??? Ma stiamo scherzando? Mi scodinzolate davanti allo sciòdontell come se fosse stato scoperto ieri, e l’ingenuo sono io…?
Senza poi escludere il fatto che è pieno (proprio PIENO) ottocentismo; e Manzoni è anche sbeffeggiato…! Cavoli, l’ha inventato lui sto minchia di sciò…
Poi ognuno può anche credere che il giallo sia azzurro, ma qui mi sembra il delirio: regola vecchia diventa regola nuova. L’inventore della regola diventa spazzino (e si dice pure: io ne so più di lui… Con lo stesso sciòdontell sulla bocca…???).
Se per regole s’intende il naturale progresso delle correnti artistiche, allora, ammettendo un linguaggio militare al quale non sono avvezzo, io mi potrei direi il più interessato… ma qui mi si salta a pie’ pari tutto il ’900…!
Non c’è bisogno di leggere ‘sti manuali: aprite Hugo, lo scidontell è li.
Ma state comunque scegliendo regole (???) vecchie di duecento anni: Poe potrebbe sembrare avanti anni luce…
Il peggio è che le state sciorinando con l’entusiasmo d’un bambino che apre l’ovetto kinder.
Trovo tutto ciò molto ridicolo…
In merito allo studio: sì, ne sono d’accordo, io stesso non disdegnai l’esempio tempo addietro… ma bisogna credere fermamente che questi manuali, le cui regole sono oggettivamente datate, somiglino a un punto di partenza -sotto quali criteri? L’anatomia è vecchia di migliaia d’anni… Perché non partire da Omero, allora…? Se invece il punto di partenza deve essere -intendo- il più vicino possibile, allora né la regola, né gli esempi sono davvero calzanti, ma mi si studi approfonditamente le sperimentazioni ’60 e ’70: da lì parte tutta la narrativa di oggi… E’ stato un periodo fervidissimo, impossibile escluderlo, nemmeno pensando al F.
Ciò detto, reputo ognuno di voi abbastanza intelligente da credere a quel che più ritiene utile per il proprio cammino formativo.

#404 Comment By Franek Miller On 25 novembre 2011 @ 14:35

non per essere saccente ma per carità: studia.
Ti rendo noto che Pablo Picasso era un eccellente disegnatore con risultati fotorealistici, prima di sviluppare la propria tecnica e abbracciare il cubismo. Fontana non ha tagliato tele e Burri non ha bruciato acrilici in preda a una diarrea artistica. Si tratta sempre di processi creativi concepiti, evoluti e sviluppati partendo da una cultura di base.
Poi, la tua immaginetta dello scultore che non si preoccupa delle regolette prima di dare un colpo di martello è quanto di più campato per aria tu possa immaginare: nessuno scalpellerebbe un blocco di marmo in preda a orgasmi artistici. Da Michelangelo a Boccioni, tutti hanno sempre realizzato modellini preparatori in creta.
Il motivo è semplicissimo: il marmo costa un occhio. Quindi ogni colpo di scalpello non solo è governato da regole ma anche precedentemente impostato su un bozzetto in scala. Se tu vuoi martoriare blocchi marmorei a colpi di scalpello sei liberissimo; sulla linea di principio potrei no essere d’accordo ma figurati se ti fermo io.
Persino tra i contemporanei più eterodossi -uno a caso: Damien Hirst- c’è un ragionamento prima dell’opera. C’è una conoscenza. Credo che Hirst prima di tagliare a fettine una mucca (tipo PanBauletto) intera e di conservarla sotto formaldeide un minimo di ricerca tecnica l’avrà fatta. I suoi armadietti stipati di medicinali hanno dietro un processo logico e creativo ragionato: per quanto sia fuori dagli schemi “ottocenteschi” dubito che persino lui si abbandoni ai rutti creativi.

#405 Comment By Dan On 25 novembre 2011 @ 14:47

Permettimi di dire che sei in errore per il semplice fatto che s’è creata sta specie di orgasmo creativo contro tecnica (Dan vs G.): è uno stereotipo avanzato inutilmente, e si capisce che non hai badato alla sostanza dei miei post, che di carne al fuoco, a parte un po’ di esempi, ne mettono eccome…
Questa risposta mi sembra un modo per dire ne so di più, comincia a studiare. Grazie, lo farò. Ma il concetto rimane quello: che stiamo commentando sotto invenzioni datate… e per essere molto datate (troppo datate), se ne parla sin troppo e a tratti anche con troppa saccenza.

#406 Comment By Dan On 25 novembre 2011 @ 15:14

Vorrei essere più preciso, onde evitare di sforzare menti brillanti su commenti francamente inutili: quando dico che non ci si deve servire della razionalità, intendo dire che l’artista non è un pazzo.
La razionalità fa parte di un mondo ‘sano’, tanto creativo quanto non creativo. Le mani che si muovono su questa tastiera per scrivervi sono frutto d’una razionalità (altrimenti il risultato sarebbe okigjkdgkgjgk), e anche il ragionamento che vado a fare, sperando nell’intento di essere compreso, è meditato e razionalizzato… ma questo riguarda ogni singola azione umana; su quest’ovvio non volevo arrivare.
E’ ovvio che Howard si serviva di appunti, schizzi, bozze, e che ogni artista medita sin troppo abbondantemente sulle sue cose, qualunque sia il campo… ma per favore, non mi fate dell’asilo.
La razionalità, è uno sgabello, non è fine ma è mezzo; tuttavia, cavillose regole bombardate con tanto di spiegazioni dettagliate potrebbero imprigionare il campo d’azione che s’è voluto razionalizzare con altrettante cellette nelle quali le frasi debbono essere, per così dire, attentamente vagliate e ponderate. Queste singole celle sembrano essere frutto di lunghi lambiccamenti, e vengono esposte come a dire: chi n’è fuori, non ne sa niente…
E’ allora qui che mi sento tratto in ballo, non tanto per la mia modesta persona, quanto per coloro che amo e che davvero hanno agito secondo criteri totalmente distanti dalla cavillosa (e passatemi il termine: esagerata) razionalizzazione del ‘processo creativo’.
Attenzione, qui! E’ proprio del processo creativo che io parlo quando dico che la razionalità non deve aver più voce: deve subentrare, in questa fase, un automatismo ch’è proprio dell’esperienza e della persona del settore…
Se questo automatismo non c’è, il guaio è serio.
Un conto è avere una macchina da revisionare, un conto è averla senza motore.
Ende un giorno, quando gli chiesero, perché scrivi per bambini?
Rispose con una fiaba che a parer mio è calzante: c’era una volta un bruco che ballava benissimo, e tutta la foresta lo invidiava.
Un giorno il rospo, invidioso del suo ballo, scrisse una lettera al bruco: oh, bruco, come sei bravo! Davvero vorrei fare come te, ma spiegami: muovi prima la 32esima zampa, e poi la 73esima? O prima la 54esima e poi la 86esima…?
Il bruco lesse la lettera, e dovendo meditare sul suo ballo, da quel giorno in poi non fu più in grado d’eseguirlo.
Parlare di narrativa (di frasi evanescenti, estrapolate dal nulla) lo trovo esageratamente inutile; perché è chiaro che gli stessi esempi riportati da G. possono essere perfettissimi messi in un contesto adeguato.
L’esempio degli aggettivi: data una fiaba, sono stupendi, anche così come lei stessa li ha messi.
In un libro di S. King? Possono essere contesto cinico per un risvolto sanguinolento… e così via.

#407 Comment By Franek Miller On 25 novembre 2011 @ 15:25

Senz’altro molti precetti sono datati: il fatto che siano datati non ne preclude la validità. Ho letto i tuoi post e non dico che la tecnica debba bissare la creatività: credo che la creatività debba venire incanalata attraverso la tecnica. Entrambi gli estremi sono incompatibili con il mio modo di vedere le cose. Una tecnica senza talento è vuoto virtuosismo, una creatività senza preparazione non verrà mai espressa al meglio.
Saranno cose vecchie, dette e stradette come dici te eppure non sembri prenderle in considerazione. Eppure, dici tu, son proprio l’ABC. Perfetto, non potrei essere più d’accordo. Applicale. Se non avessi trovato i tuoi post in contraddizione con questo ABC non mi sarei certo scomodato a scrivere.
Hai scritto abbasso la razionalità. La mia risposta: stocazzo. Tutte le scelte devono essere consapevoli e quella dell’Artista Delirante è un’immagine-cartolina da blockbusters.
Hai scritto che sono precetti vecchi di secoli. Perfetto, ma questo significa che son validi da secoli con le evoluzioni del caso, sia chiaro. Lo show don’t tell sarà vecchio e stravecchio, ma non mi sembra che la Troisi apporti innovazioni artistiche ignorandolo o usandolo senza padronanza. La differenza, che è così elementare ma sembra proprio non venir colta, è tra chi ha una preparazione così vasta da innovare un genere e chi ha la pretesa di innovarlo per pigrizia.
La mia passione sono le illustrazioni: la stilizzazione (quindi riconfigurazione e stravolgimento delle regole) ne è uno dei cardini. Però per farlo devo conoscere anatomia, prospettiva, tecnica dei chiariscuri e dopo usarle a mio vantaggio. Tra l’altro basta conoscere il settore un minimo per capire che anche la stilizzazione è vecchia di millenni.
Poi fai l’esempio di Omero: qui stiamo parlando di narrativa di genere, cosa c’entra Omero? Come se io mi parlassi di pittura e tu mi tiri fuori Albini. E’ un architetto, cosa c’entra? Gli interventi contestualizzali, o inizierò a pensare che a te piaccia solo far arieggiare i denti.

#408 Comment By Franek Miller On 25 novembre 2011 @ 15:34

quanto alla favola del bruco, resta appunto una metafora la cui validità è tutta da dimostrare. E non vorrei essere sarcastico ma a me è venuto spontaneo pensare a questo:
http://www.youtube.com/watch?v=QLdWfvSAPX0

#409 Comment By Captan Razzo On 27 novembre 2011 @ 21:30

Cos’è oggi un romanzo? Per caso è la sceneggiatura di un film non ancora girato? Possibile che il critico, che crede di criticare un romanzo, stia solo rovistando nei pannolini di un pargoletto che sogna di diventare un film, da grande?
Una volta i letterati, arroccati a difesa della loro porta, proclamavano che la narrativa conservava ancora un vantaggio sul cinema: poteva offrire riflessioni e interpretazioni. Vero, il cinema aveva dalla sua la possibilità di offrire immagini, e in un’immagine c’è un’immensa quantità di bit d’informazione, visiva ed emotiva. Però, come replicavano disperatamente i letterati cercando di tenere quella palla lontana dalla loro area di rigore, qualsiasi immagine può essere interpretata in molti modi diversi se non è accompagnata da un minimo di spiegazioni e interpretazioni.
Così, grazie al cielo, al romanzo si concesse generosamente la possibilità di sopravvivere fino ai tempi supplementari, affermando che aveva almeno questa cosa in più rispetto al cinema.
Ma poi ecco che arriva il nostro amico americano: lo “show don’t tell”, sì proprio lui, più convincente del venditore di Enel Energia che bussa alla porta in un caldo mattino di primavera. E lo “show don’t tell” dice allo scrittore: no, tu devi mostrare immagini, perciò lascia perdere le spiegazioni, le descrizioni, la narrazione e tutte queste noiose lungaggini. Altrimenti non convinci o non piaci.
In altre parole, il saggio compilatore di manuali consiglia serenamente allo scrittore di gettare nel cesso proprio l’unica cosa che mette la narrativa in grado di contrastare in qualche modo la concorrenza del cinema.
Il suo consiglio è buono, certo, ma c’è un ma: anche così la pagina scritta contiene sempre pochissimi bit d’informazione rispetto all’immagine del film, e non darà mai lo stesso effetto visivo. Inoltre, per vestirsi modernamente di immagini, il romanzo si è spogliato di quelle vecchie mutande lunghe da nonnetto che sono le riflessioni e le interpretazioni, e che nelle lunghe sere d’inverno forse lo rendevano più caldo.
Ed è diventato cosa? Semplice: è diventato una sceneggiatura, in attesa di un regista che riempia questo scartafaccio di correzioni col pennarello e dica: “Si gira”. Con grande felicità dello scrittore seguace dello “show don’t tell”, perché quello che sogna davvero questo tipo di scrittore non è scrivere un romanzo, ma scrivere qualunque cosa purché diventi un film.

#410 Comment By Gwenelan On 27 novembre 2011 @ 22:39

@Captan Razzo: ma prima di commentare, hai letto almeno qualche manuale, sia di narrativa che di cinema/regia, per informarti un minimo? Perchè stai dicendo cose senza senso. Non è vero che “qualsiasi immagine può essere interpretata in molti modi diversi se non è accompagnata da un minimo di spiegazioni e interpretazioni”. Quando guardi un film capisci bene quel che succede su schermo, no? O hai bisogno di leggere delle spiegazioni da qualche parte O_o? Le spiegazioni e interpretazioni nel romanzo possono esserci benissimo, è *come* sono presentate che fa la differenza. “Show” non vuol dire “asettico” e “vuoto”. E non è “americano” (nell’articolo Gamberetta riporta date e luoghi, non devi leggere manuali per questo).
E per finire, no, non tutti gli scrittori che applicano lo show don’t tell vogliono scrivere “qualunque cosa purché diventi un film”.

#411 Comment By Captan Razzo On 28 novembre 2011 @ 00:42

La razionalità è l’unico strumento di cui l’uomo dispone per fare un po’ di luce nell’universo in cui si trova. Razionalità significa analisi e regole. I manuali di scrittura fanno parte di questa catena di necessità logiche, e negarne la validità può essere fatto solo da chi apprezza la metafisica, che non può spiegare niente, neppure se stessa.
Il linguaggio scritto è uno strumento di comunicazione adottato in alternativa alla comunicazione a voce, faccia a faccia. Di conseguenza deve sostituire con degli artifici tutti gli elementi del linguaggio vocale (toni, pause, enfasi, ecc.) e del linguaggio corporale che lo accompagna (gesti, espressioni, sguardi). Questi artifici devono essere forme convenzionali, perchè se un linguaggio non ha regole universali non può essere compreso nè usato come forma di comunicazione. Compito dei manuali è precisare ad elencare queste convenzioni della comunicazione scritta. Di queste convenzioni fanno parte molte tecniche di scrittura che si propongono l’obiettivo della chiarezza, e che vanno seguite con scrupolo allo scopo di far capire le cose senza malintesi. Ecco dove i manuali sono indispensabili, più che semplicemente utili.
Lo “show don’t tell” non illustra una convenzione bensì suggerisce una soluzione espressiva, un modo per ottenere un risultato migliore, cioè puoi applicarlo oppure puoi non applicarlo e in entrambi i casi il tuo linguaggio risulta comprensibile. Che poi il tuo linguaggio illustri meglio, o annoi, o illustri peggio, questo è un altro discorso. Resta il fatto che “show don’t tell” non è una convenzione del linguaggio scritto, e che di conseguenza non dovrebbe rientrare negli argomenti trattati dai manuali.
Il manuale non è un libricino di riflessioni personali, ma un testo scientifico che parla di regole precise e innegabili. Perciò, quando uno scrittore di manuali tratta un argomento estraneo alle convenzioni, significa che non ha capito entro quali limiti deve mantenersi.
In quanto a capire a volo il significato di un’immagine, se io vedo la foto di una donna insanguinata distesa ai piedi di un vampiro ho bisogno che qualcuno mi spieghi se è l’immagine di un film, o una foto reale scattata in Transilvania, oppure la foto di una visitatice caduta in terra al museo delle cere. Se tu, Gwenelan lo capisci da sola, senza bisogno della spiegazione, beata te. E circa il fatto di vedere il proprio romanzo trasformato in un film, a me risulta che gli scrittori americani sono dei veri professionisti e ci pensano prima ( e anche gli italiani) e che questa prospettiva è contemplata con molta precisione su tutti i contratti editoriali.

#412 Comment By Gwenelan On 28 novembre 2011 @ 10:12

Nei manuali di narrativa ci sono quelle tecniche che ti permettono appunto di “scrivere meglio la narrativa”. Gli strumenti per scrivere in maniera comprensibile te li dovrebbe dare la scuola, o un libro di grammatica e sintassi, ad ogni modo. Non sono ben sicura di aver capito quali sono gli “artifici” di cui parli, perché da un lato dici che di loro fanno parte di “molte tecniche di scrittura che si propongono l’obiettivo della chiarezza”, dall’altro parli di essere comprensibili, che sono due cose diverse.
Per le immagini:

se io vedo la foto di una donna insanguinata distesa ai piedi di un vampiro ho bisogno che qualcuno mi spieghi se è l’immagine di un film, o una foto reale scattata in Transilvania, oppure la foto di una visitatice caduta in terra al museo delle cere

Il tuo paragone era fra *film* e libri, non fra libri e fotografia/disegno/immagine. I film non sono delle sequenze di immagini statiche e magari anche slegate fra loro. In un film, a meno che non sia fatto coi piedi/volutamente ambiguo, lo capisci cosa succede nella scena che stai guardando.
Per gli scrittori che vogliono vedere i propri libri diventare film: buon per loro che ci pensano prima, io ho detto però che non a *tutti* importa, e sopratutto che non c’è connessione tra uso dello show don’t tell e trasposizione cinematografica.

#413 Comment By MakKo On 28 novembre 2011 @ 10:26

Io vorrei soltanto chiedere al Sig. Captan Razzo una cosa:
Ma tu chi sei?
Nei tuoi (noiosi, ma è un parere personale) post smonti (o cerchi di smontare, a mio avviso senza risultati), la teoria dello Show, don’t tell, ma SU CHE BASI? Pareri tuoi personali?
Non riporti mai alcuna fonte ne indichi a che titolo discuti tali argomenti e nemmeno prospetti su quali basi sforni certe affermazioni. Una cosa è se, ad esempio, sei un professore (o almeno studente) di lettere, insegnante di corsi di scrittura creativa, ecc, insomma se hai titolo per parlarne. Un’altra è se sei il panettiere sotto casa con l’hobby della lettura. Intendiamoci, ognuno può dire la sua, ma se uno ha una certa cognizione di causa, le sue affermazioni hanno di certo un peso diverso.
Gamberetta nei suoi articoli porta spesso citazioni a suffragio di quanto afferma (poi tu puoi anche dire che sono teorie datate, ma se sono ancora ritenute valide, la tua opinione personale sulla loro vecchiaia vale uno 0 tondo tondo).

@ Dan
Secondo i tuoi ragionamenti, Troisi, Mayer, Strazzulla e compagnia bella sono grandi autori (io ci metterei anche Dimitri, anche se alcuni qui lo considerano bravo…), poichè, da loro stessa ammissione (se cerchi un pò in internet, trovi interviste fatte loro dove sostengono cose come “non avevo mai scritto un libro, ne ho pure letti pochissimi… scrivere mi è venuto così, naturale!”) scrivere è un dono divino.
Beh, io non credo. E non solo io. E la dimostrazione sono proprio i loro libri. Sorvolando sulle storie (trame, idee, ambientazione, coerenza, ecc) che ognuno può apprezzare o meno, è palese come siano tecnicamente scarsi.
Io credo proprio che il talento, il verve creativo, il “tocco divino”, non servono a niente se non padroneggi le tecniche di base.
Di Pelè e Maradona, ce ne sono uno per generazione, quando va bene… Ma anche loro, volenti o nolenti, hanno dovuto piegare il loro innato talento alle tecniche base del gioco del calcio.

#414 Comment By Hendioke On 28 novembre 2011 @ 12:41

Secondo me Razzo e Dan stan facendo una confusione becca fra il principio dello “Show don’t tell” (la scena viva è più emozionante di quella statica) con le regolette minute del tipo (evita gli avverbi).
Stanno portando le regolette all’eccesso e criticando un quadro paradossale, e nel caso di Dan vi contrappongono un quadro altrettanto paradossale <.<

#415 Comment By Captan Razzo On 28 novembre 2011 @ 12:53

Gwenelan, ti ringrazio per la precisazione. È ovvio che nella breve lunghezza dei post fatichiamo a capirci. Inoltre capita di spiegarsi male, anche perché non si può ponderare sul post per qualche giorno, ma solo rileggerlo un paio di volte prima di spedirlo, e magari dopo ti accorgi di aver espresso poco felicemente certi concetti. Il tuo intervento, ad esempio, mi è stato utile in questa seconda fase.
In ogni modo, per quanto riguarda la comprensione delle immagini resto fermo nel dire che devono essere spiegate tutte quante. In certi film si sceglie di lasciare alla colonna sonora il compito didascalico di “dire” allo spettatore da quale angolazione emotiva interpretarle. La stessa scena può indurti o prepararti a interpretazioni drammatiche oppure al contrario comiche, a seconda della musichetta. E nel caso che la colonna sonora non ci sia, io non ho mai capito una situazione d’acchito, ma solo dopo che certi personaggi avessero aperto bocca, o che altre scene per quanto prive di voci avessero funto da premessa raccontata per introdurmi alla piena comprensione di ciò che solo gli occhi (e non la mente) vedevano in esse.
Makko. È ovvio che non intendo dire niente che possa togliermi la maschera del nick. Nei precedenti post affermo comunque una cosa che chiunque è in grado di dire con sicurezza, ovvero che per criticare la narrativa occorre conoscere a fondo discipline che vanno dalle neuroscienze alla semiotica, all’antopologia culturale e alla psicologia (ammesso che quest’ultima diventi mai una scienza). È escluso che una laurea in lettere o vaste conoscenze di filologia, o di linguistica, anche unite all’esperienza pratica di scrittore, possano autorizzare chiunque ad autonominarsi esperto di scrittura creativa e salire in cattedra per fare conferenze o scrivere manuali sulla comunicazione. Le scienze che ho nominato, in specie le neuroscienze, sono ancora bambine, e non esiste trattato di divulgazione scientifica che possa essere consultato per fare affermazioni sul funzionamento del subconscio, sulla meccanica di costruzione delle imagini nella mente umana, e in generale sulla comunicazione tra la mente dell’autore e quella del lettore. Secondo me occorrono ancora anni prima che la scienza arrivi a tanto. Nel frattempo è giusto fare le affermazioni che corrispondono alla logica della comunicazione e alle convenzioni riconosciute come tali in materia di linguaggio scritto, e bene fanno gli scrittori di manuali a farle. Altre affermazioni io non le ritengo supportate dalle attuali conoscenze scientifiche, perciò dico che sarebbe stato meglio non farle. Ti sembra presuntuoso questo atteggiamento? In ogni caso questo è il mio tentativo (noioso o no) di presentare ad altre persone un argomento su cui ritengo importante discutere. Serenamente, come spero che stia accadendo.

#416 Comment By Dan On 28 novembre 2011 @ 13:41

Fare una poesia o un lungo romanzo gl’è l’istesso…
Ma per la poesia esiste una scuola…? E da quando?
E davvero supponete che la prosa ne debba conoscere una?
E perché…? Non è forse, la narrativa, come proprio la poesia, l’arte di suggestionare per mezzo della parola…? E la suggestione, deve conoscere metodicità e convenzione…? Ma come? Conoscendole, non smetterebbe forse proprio di stupire e appunto suggestionare…?
Questo riguarda di certo ogni arte, ma io odio (odio proprio) tutto ciò che passa per la convenzione: i soliti marvel, i soliti nippomanga, i soliti film hollywoodiani, i soliti fantasy…
Amo, del mio occidente, la diversità degl’ingegni, di Dickens e d’Hugo, di Buzzati e di Calvino, di Tolkien e di Ende.
Non credo abbiano seguito manuali, ma solo la propria innata vena creativa… Questi manuali possono piacere a chi non disdegna le uscite in edicola sul fumetto: come fare il viso giapponese, come fare quello disneiano… Mettersi alla scuola dell’ovvio: lo sciodontell è regola romantica ch’è già nel dna delle persone, bambine di dodici anni ci stanno rubando il mestiere, in libreria… e no, davvero non credo che la Troisi sia priva di tecnica: il suo mondo non è privo di tecnica, ma di originalità.
Esporre qualcosa di originale equivale di certo anche a sperimentare un mezzo d’espressione più efficace del consueto: te lo richiederebbe la storia stessa…
E’ una convenzione dell’uomo moderno avere già tutto pronto, liofilizzato, un libretto delle istruzioni pronto per ogni evenienza; ma è un’ancora di salvataggio più pesante di quel che si pensa, perché la vita continuamente ci prova che non siamo mai sufficientemente adeguati e all’altezza della situazione. Nessun libretto, per quanto dettagliato, potrà mai spiegarci come ci si deve comportare in amore, o in ogni relazione sociale, o appunto di fronte all’enigma d’una storia da compilare fino in fondo… La stessa storia, a mio avviso, prevede, come un tunnel dell’orrore inesplorato, che tu la viva direttamente, per poi darne esperienza. Ma questo vivere non vuole orpelli di sorta, solo una mente sgombera che si lascia riempire di quel vissuto. Disciplinare l’arte, in qualche modo, può voler significare disciplinare l’amore e la vita; sappiamo ciò che non va fatto, ma ciò che va fatto, va fatto anzitutto perché è bello scoprirlo, e non perché è bello confermare e riconfermare e riconfermare le petulanze d’una regola sempre uguale a se stessa, e vincolante per lo stesso principio di vita e amore. Ciò che mi incuriosisce della narrativa (ciò che dovrebbe incuriosire chiunque, a mio avviso, o i diretti interessati), è sapere quante cose se ne possano ricavare, quante forme possa trovare, in quanti modi si possa esprimere.
Così come vita e amore possono essere uguali nella sostanza, ma diversi nella forma, così la narrativa può conoscere forme sempre diverse per indottrinarci con le medesime sostanze.
O qualcosa del genere… Mi piace Ende (eh sì: è il mio autore preferito) quando parla di idee-forma: un romanzo è un’idea forma; come una conchiglia, una chiocciola, un sasso… Si rischia il collasso delle idee, limitando dei confini formali per principio: di certo, molte storie non potranno essere contemplate, al suo interno, e chi ce lo dice che non siano proprio le migliori… Sempre Ende, parla spesso di superamento delle regole come unico principio artistico (delimitando a mio avviso il confine fra Arte e Artigianato: arte è ciò ch’è nuovo, inesplorato… e l’artigianato non fa altro che imitare ciò ch’è divenuto convenzione, senza trasporto e slancio, e rischiando praticamente nulla).
Un bacione sulla fronte a Captan Razzo per aver detto la verità: i libri in libreria divengono sempre più frigidi, lo scrittore si finge un automa…

#417 Comment By Gwenelan On 28 novembre 2011 @ 15:53

@Captan Razzo:
Tu dici

In certi film si sceglie di lasciare alla colonna sonora il compito didascalico di “dire” allo spettatore da quale angolazione emotiva interpretarle. La stessa scena può indurti o prepararti a interpretazioni drammatiche oppure al contrario comiche, a seconda della musichetta. E nel caso che la colonna sonora non ci sia, io non ho mai capito una situazione d’acchito, ma solo dopo che certi personaggi avessero aperto bocca

Ed è esattamente quello che intendevo :). Credo che sarebbe meglio fare un esempio concreto, ma non me ne vengono in mente al momento, quindi provo a spiegarmi così… anche a me capita di vedere film nei quali senza spiegazioni – cioè un personaggio che si mette e spiega – non si capisce bene cosa accade, ma 9 su 10 quella è una scena fiacca che avrebbero potuto sostituire con qualcosa di più elegante. L’estremo sono alcune telenovelas orride in cui vedi una scena chiarissima *e* pure spiegata (esempio classico: una madre torna a casa, non trova più sua figlia nella culla, si accascia, piange; da un lato un’amica dice: “Oh, no, sua figlia è scomparsa!” Ma và?). Insomma, se non si capisce, non è fatta bene. A meno che non sia volutamente una scena ambigua, che si chiarirà dopo. Usare lo show don’t tell non significa non far capire quel che accade, ma semplicemente farlo capire in modo più elegante e senza brutte intromissioni. La musica, e spesso anche semplicemente le inquadrature, nei film non equivale al “tell” dei romanzi, è comunque uno show :).

#418 Comment By Captan Razzo On 29 novembre 2011 @ 13:26

Gwenelan,
tu pensi che io stia dicendo che il consiglio “show don’t tell” è sbagliato. Non è così semplice. Ciò che io sto cercando di dimostrare è che è un consiglio “formulato” in un modo sbagliato. E nella sua formulazione imperfetta lo “show dont tell” genera confusione in quelli che cercano di applicarlo alla pratica. Anche Gamberetta ammette che confonde certi scrittori e induce altri a dire che ci sono delle eccezioni. Inoltre lei stessa si affanna a dare esempi di cosa sia lo “show don’t tell”, e questo fatto di avere bisogno di esempi è la conferma che la formula è incomprensibile per molti, e dunque espressa male. Pensiamo al teorema di Pitagora. Pitagora lo esprime con chiarezza, e subito esso diventa operativo per chi lo vuole usare. Pitagora non si affanna a dare esempi disegnando triangoli e quadrati. La sua immediata comprensione e la sua universale applicabilità alla pratica dimostrano che una vera teoria funzionante contiene in sè la logica che le consente di essere formulata con poche inequivocabili parole. Niente di tutto questo accade con lo “show don’t tell”.
Io non posso offrire un modo di correggere la formula “show don’t tell”, perchè stento molto a capire cosa voglia dire, e nessun esempio è riuscito a togliermi i dubbi.
Cercherò semplicemente di dimostrare che è una teoria caotica, con questo esempio. Potrei chiamarlo “Il giardino del dottor Jekyll”.
Poniamo che lo scrittore X voglia scrivere una cosa di questo genere: Un investigatore che cerca d’indagare sul dottor Jekill capita nella sua casa di campagna e scopre che dietro di essa c’è un grande giardino. Qui lo scrittore X comincia a raccontare in che modo l’investigatore vi si aggira, fermandosi a osservare nei dettagli la composizione floreale di ogni angolo, ogni aiuola, e l’aspetto delle piante che vi si trovano, la loro forma, il colore, e le sensazioni che destano all’occhio e alla mente, prima di proseguire il cammino e passare all’angoletto successivo.
Sicuramente questo giro descrittivo del giardino è un “tell”… ma lo è davvero?
Poniamo il caso che a metà di questo giro la presenza di strane piante porti l’investigatore ad accorgersi che non si sta aggirando in un semplice giardino, bensì dentro la mente dell’uomo che lo ha costruito, cioè nella mente del dottor Jekyll, e che ogni sua scelta vegetale dipinge un singolare risvolto della sua personalità, fino a rivelare quelle pericolose tentazioni represse che invece Mr. Hyde lascia esplodere orribilmente.
Se l’intuizione dell’investigatore è giusta, i paragrafi che fino a quel momento erano stati un semplice “tell” diventano all’improvviso un pregnante “show”, che ci “mostra” cosa sta nascosto in fondo alla mente di Jekyll e può emergere con furia nel pericoloso Hyde.
Allora io dico: se il “tell” si rivela per essere uno “show” solo quando l’intuizione dell’investigatore accende la luce sul significato, non è forse ovvio che lo “show” e il “tell” qui hanno avuto la stessa forma narrativa? Cioè, è occorso un intervento esterno (l’intuizione improvvisa) per fare al lettore la sorpresa di capire che le pagine lette fino a quel momento stavano solo in apparenza “raccontando”, mentre in realtà “mostravano”.
Ripeto, secondo me le contraddizioni sono troppe per mettere lo “show don’t tell” nei manuali. I manuali non possono essere raccolte di suggerimenti, ma devono informare sulle teorie che consentono al linguaggio scritto di comunicare a livello universale.

#419 Comment By Gwenelan On 29 novembre 2011 @ 14:04

Per la verità il giro nel giardino è show, non tell. A meno che il paragrafo descrittivo non sia tipo: “L’investigatore fece un giro del giardino: c’erano molte piante diverse”. Allora questo è tell. Lo show è quando si usano dettagli concreti, cioè quando mostri le piante invece di dire solo “c’erano piante”, e quando mostri l’investigatore che osserva le piante, ne tocca una, ecc, invece di dire: “l’investigatore esamina il giardino”. Allo stesso modo, se *mostri* l’intuizione, o il ragionamento, dell’investigatore che lo portano a capire che quello è il giardino di Hyde, allora è show. Se ti limiti a dire: “Guardando quelle strane piante capì di essere nel giardino di Hyde”, questo è tell, intuizione o non intuizione. Per questo dico che non hai letto con attenzione il post (senza atio e senza offesa); la differenza fra show e tell è che lo show è particolareggiato, usa immagini concrete e dettagli precisi, il tell è generico e riassunto. Poi, ci possono essere vie di mezzo, si può discutere su quanto strettamente vada applicato, ma la differenza è molto semplice. Il problema che si ha con lo show don’t tell è che è difficile applicarlo, non che la sua idea confonde. Qualcuno lo confonde di certo, te, per esempio, e non c’è nulla di male: quando io ho studiato Pitagora ero ben confusa dal teorema ^__^. Semplicemente l’ho imparato così com’è, ma lì essendoci la formula non è che dovevo esattamente “capirlo”. In matematica sono purtroppo negata.

#420 Comment By Captan Razzo On 29 novembre 2011 @ 18:59

Brava Gwenelan,
la tua osservazione sulla quantità di particolari “mostrati” apre uno spiraglio che mi sembra utile per andare a un chiarimento dello “show don’t tell”. Se il criterio di distinzione fra il “tell” e lo “show” è la quantità di particolari messi per iscritto bisogna subito osservare che una scena messa in forma scritta con un solo particolare è puro “tell” mentre la stessa scena ma costruita da un altro scrittore con cento particolari può essere definita, diciamo, puro “show”.
O possiamo anche dire: fra una scena particolareggiata e la stessa scena esposta in forma riassuntiva, lo scrittore potrebbe scegliere tutte le possibili gradazioni intermedie.
La cosa interessante a questo punto sono i novantotto scrittori che userebbero ciascuno un diverso numero dei particolari che stanno fra l’uno e il cento. E la domanda è: in quale posizione intermedia si può decidere che costruzioni scritte di genere “show” a forza di perdere particolari finiscono per diventare costruzioni riassuntive di genere “tell”? Possiamo dire che questo succede quando un particolare scrittore usa cinquanta particolari?
O forse è proprio qui che si comincia a vedere come una forma di scrittura molto ricca di particolari e una molto povera (e quindi riassuntiva) non sono in realtà due cose diverse, due scelte diverse come sembra presentarle “show don’t tell”, bensì tutte scelte intermedie. Tutti scalini più vicini alla base, o più vicini alla cima, di una stessa scala.

#421 Comment By Gwenelan On 29 novembre 2011 @ 21:31

Mi sembra che rendi la cosa più complicata di quanto non sia, messa così. Una scena mostrata *è diversa* da una scena raccontata, che i particolari concreti siano rispettivamente 100 o 80 e 20 o 0. Poi, se vuoi puoi considerare tutte le scene come “intermedie”, ma… all’atto pratico cosa cambia? Il punto rimane che mostrare è più effiace che raccontare, quindi ci si sforza di salire più possibile lungo la scala del mostrato (per arrivare all’80/100).

#422 Comment By Dan On 30 novembre 2011 @ 10:59

Secondo me si fa confusione con la grafica vettoriale: in un videogioco mostrare significa esporre quante più cose possibili, e quel mostrare equivale a sensazioni ed emozioni garantite, ma ciò non vale con l’arte della narrazione…
Uno scrittore come Borges (scrittore di soli racconti), fa del dire un attento mostrare: il suo passare con finta superficialità sulle cose, ne costituisce invece un attento dettaglio e un’attenta analisi.
Quei racconti possono essere frutto di moltissimi studi e applicazioni (Aleph e Finzioni).
Al contrario, uno scrittore che molto dice, può ironicamente farti perdere tempo per strizzarti un occhio e dirti: hai capito, no?, che posso andare avanti per ore e che il senso è quello…?
[pensiamo alla festa di compleanno di Bilbo: un continuo mostrare per dire non quanto interessante sia la festa, ma quanto noiosa sia la vita Hobbit se non ci fossero questi intermezzi, e come scalpitano per ogni quisquilla...].
Sono d’accordo col Razzo: come già dissi, per far si che G. esprima al meglio le sue teorie, dovrebbe, dato un libro, dato per certo che ognuno l’ha letto, dire: ‘qui secondo me l’autore poteva dilungarsi, qui meno, qui per niente’. Cioè: è l’economia del racconto, che stabilisce il ‘necessario’, e non l’arbitrarietà dello scrittore e delle sue fantasie. La finalità è il racconto della storia…
Ma state certi che non solo G., ma ogni buon lettore, può tranquillamente rendersi conto d’un mancato o eccessivo mostrare: un lettore bravo, a fine lettura, tramite il gusto che prova per la medesima, passa mentalmente al setaccio ogni virgola, soppesa ogni paragrafo, e vaglia la quantità e la qualità del detto. Di solito, però, quando si fa così, il gioco non ha funzionato: ogni buon libro dovrebbe ‘sparire’ dentro l’ultima parola, che riassume e ingloba ogni altra, e se a quella si dice, ‘che bello’, ogni virgola è al posto giusto.
Sono altresì convinto, come dice Razzo, che il mostrare (lo spendersi adeguatamente su qualcosa) non lo si possa teorizzare: ripeto che la narrtiva non risponde troppo alla logica della matematica, o se matematica è, ha calcoli infiniti e possibilità infinite, poiché cuore e mente tutto possono comprendere se predisposti alla comprensione. Sarebbe stupido dire: l’uomo ama questo, non quello, è predisposto a questo, non a quello. Siamo predisposti a tutto e amiamo tutto, purché degno d’amore o della nostra attenzione.

#423 Comment By Captan Razzo On 30 novembre 2011 @ 14:46

E’ vero, mostrando più particolari si riesce a essere più esplicativi. Ma allora bisognerebbe tradurre “show don’t tell” con: “Per mostrare molto, non devi mostrare poco”. Il che gli darebbe un aspetto ridicolo. Dunque non si può parlare solo del numero dei particolari “mostrati”. Invece, per esaminare lo “show don’t tell” bisogna tenere presente il significato. Ed è qui che questa formuletta vacilla molto.
Gamberetta ha detto che gli scrittori devono essere esortati a evitare l’astratto per preferire il concreto. E ha subito portato l’esempio “Michele è vecchio” per chiarire che secondo lei: “vecchio è astratto”. Io ho affermato che “vecchio” è un’etichetta emozionale, perfettamente lecita.
Gamberetta evidentemente trascura che ci sono due modi per esaminare la frase “Michele è vecchio”. La prima è il pensiero del positivismo logico, che nega la possibilità di fare un’affermazione del genere, soprattutto perchè “vecchio” è un termine relativo; quindi si è vecchi rispetto a certe persone e nello stesso tempo giovani rispetto ad altre. E il positivismo definisce dunque insensata questa frase, basandosi sulla sua ferrea logica.
Però c’è il secondo modo di esaminare quella frase, ed è l’accezione sociale dei termini, che (parliamo della società occidentale) è una convenzione innegabile e non va a toccare il positivismo logico nè per confermarlo nè per smentirlo, come due binari altrettanto ferrei che corrono paralleli. Secondo l’accezione sociale dei termini l’etichetta “vecchio” pone una persona nella categoria sociale della terza età, i cui confini (cioè l’età precisa dell’individuo) non richiedono la precisazione, e garantiscono come assolutamente lecita la possibilità di non precisare nè la sua età, nè rispetto a chi è vecchio.
Ora, perciò, se a pronunciare quella frase fosse un filosofo positivista che parla con un altro filosofo, è innegabile che Gamberetta sarebbe nel vero. Ma siccome bisogna presumere che non si tratti di un colloquio fra filosofi, è necessario accettare l’uso sociale del termine “vecchio”.
Lo stesso discorso si può applicare all’esempio successivo di Gamberetta “Michele era un ragazzo molto alto” dove lei definisce “alto” come generico, e a molte altre situazioni narrative che possono cadere sotto la stessa logica ingessata, visto che l’accezione sociale dei termini può benissimo essere scambiata per un modo di riassumere o restare nell’astratto.

#424 Comment By Dan On 30 novembre 2011 @ 16:10

G., prima di dire che ‘vecchio’ e ‘alto’ è sbagliato, dovrebbe dire Chi, afferma ciò: quale libro. Si deve partire da un contesto.
Ora, essendo in un sito F., posso supporre che lei voglia far intendere: nei libri F. bisogna esprimersi in questo modo, dove per questo modo lei lascia largamente trasparire, come dici tu, C. R., una mente quantomeno scentista e verista, disciplinata dal razionale -non una colpa: ma comunque molto più adatta allo steampunk che lei dichiara d’amare che ad altro.
Il F. puro, o purista, tuttavia (e io sono di questa scuola), discende dalla fiaba, ‘ché Draghi, Orchi et simila provengono tutti da lì. Né possiamo supporre che il F. ne potrà mai essere privo, o tratti fiaba e mito secondo altri canoni estetici ad essi relativi…
E’ Tolkien che li ha inseriti pienamente in un contesto Romantico, dunque verista e realista; ma, ammesso che non sia il livello canonico (il più in voga assolutamente, ma non l’unico possibile), ogni autore è libero d’esprimersi col vocabolario che vuole. Nello specifico, il termine generico si rifà ad un principio estetico asciutto e stringato, e comprensibile a tutti, ch’è proprio della fiaba, del mito e delle religioni; dunque, se proprio volessimo dirla tutta, è assai più gradita tale schiettezza che ogni altro genere di pedanteria e astrusità.
Non m’inoltro nello studio biblico, dove il termine semplice diviene ipertesto in grado di dare ad ognuno il suo… ma di certo, fiaba, mitologia ed epica non ragionano diversamente, e prevedono che l’ascolto della storia, non solo sia da parte delle persone più semplici, ma, come dire, che si divenga semplici nell’ascolto, aldilà che lo si sia o meno.
In fondo, il bello di alcune letture, come Lo Hobbit, Il Signore degli Anelli o La Storia Infinita, è proprio il ritornare un po’ bambini, liberarsi di fronzoli e orpelli che condizionano il nostro dire, abituarsi ad un linguaggio da focolare e da cuore puro e innocente… E’ partendo da questo assunto iniziale, imprescindibile, che la storia funziona, altrimenti non funziona.
Da questo punto di vista, come dissi presentandomi al sito, è sin troppo chiaro che Gamberi Fantasy non debba essere il suo vero nome: persone come me, tanto per rimanere in linea, rimarranno sempre dei pesci fuor d’acqua, o, nel peggiore dei casi, dei fermi contestatori, convinti o che si vogliano direzionare i gusti del F. verso altre sponde ripsetto a quelle più certificate dalla storia, o che vi sia un grossolano errore di fondo nel definire F. ciò che forse da esso si muove, ma per andare in tutt’altra direzione…

#425 Comment By Dan On 30 novembre 2011 @ 16:33

-Ed è qui che questa formuletta vacilla molto.
Gamberetta ha detto che gli scrittori devono essere esortati a evitare l’astratto per preferire il concreto.-

In merito a questo, io direi che la bocciatura della regola sia nei tempi di lettura: operazioni alla Paolini, che per un colpo vibrato di pagine ne spendono a fiumi, sono pedanterie gratuite che non hanno nulla a vedere con la narrativa.
Specie se lo scontro è veloce, una serie di ‘parò/stoccò/affondò/scivolò’, è molto più efficace che un lento mostrare, che farebbe molto ’300, insomma…
I mille dettagli vanno dati prima (di luogo, d’esercito, ecc.).
Quello che dico, ricorda molto quello che tu dissi, C. R.: le informazioni si sommano… e in effetti, il gioco della N. ha molto a che vedere col gioco della memoria. Bisogna fornire al lettore tutti gli strumenti, tutte le informazioni utili, per far sì che pervengano infine le immagini che prediligiamo.
Ma chi può dire quali non siano le strategie per un efficace mostrare…?
Pensiamo a ISdA, quando Gimli prende il cappello e si copre il volto alla notiza della morte del cugino: una sola frase e poi buio (fine capitolo) per indicare molto, molto di più di quanto non dica la frase stessa…
Cioè: ci sono strade alternative, assai più efficaci e gradite, del verboso dire, sennò lo scrittore è una specie di fisico della parola, un petulante azzeccagarbugli che non la pianta mai di sbrodolarsi addosso verbosità inutili e fastidiose. Dante ne uscirebbe sfigurato e come il meno descrittivo di tutti, quando invece rima e parole giuste hanno fatto sì che il suo cerbero sia il vero cerbero, il suo minosse il vero minosse…

#426 Comment By Gwenelan On 30 novembre 2011 @ 16:52

@Captan Razzo: Riguardo al “vecchio” e all’”alto”; prima di tutto, anche Gamberetta nell’articolo precisa che può dipendere dal punto di vista adottato. Se il POV della scena è, per esempio, una ragazza molto superficiale, o una bambina per cui tutti quelli dai 50 agli 80 anni sono “vecchi”, vedendo nonno Michele per la prima volta potrebbe pensare qualcosa tipo: “Era vecchio!”. E andrebbe bene lo stesso. Tolti questi casi particolari, il motivo per cui dire solo “vecchio” non va bene è che il personaggio punto di vista non vede un “appartenente alla categoria della terza età” generico, ma vede *quel* vecchio. E il fatto che sia vecchio lo nota da *quei* precisi particolari. Poi lui deduce che è vecchio, come fanno tutte le persone nel mondo, ma al lettore bisogna dare *quei* particolari così che lui (il lettore) giunga alla stessa conclusione – o magari no. Magari al personaggio POV Michele sembra vecchio e cadente ma a me sembra tutto sommato giovanile. Quindi sì, se mi dici “vecchio” io subito mi immagino un vecchio, certamente, però tu mi devi mostrare esattamente quel vecchio che intendi tu, che vede il tuo personaggio, non uno che mi devo inventare io :).

#427 Comment By Cercavoce On 30 novembre 2011 @ 17:09

@Gwenelan: esattamente. Io sto scrivendo secondo Show don’t Tell da un po’, e da un po’ di tempo sono passato allo studio del pov, perché finché si mantiene la telecamera sulla spalla non è facile, quando la metti nella testa del personaggio lo è di più.

Un po’ di tempo fa stavo studiando (anche adesso a dire il vero) un Pov con penetrazione nella mente del personaggio più profonda, cosa che mi avrebbe portato a scrivere termini astratti. In dubbio sulla validità o no della cosa, ho mandato una mail a Gamberetta. Vi riporto qui una parte.

Questo è quello che le ho chiesto, con annesso una parte del racconto.

Matt si appoggiò con i gomiti alla scrivania e si strinse la radice del naso fra indice e pollice della
mano destra, in cui teneva, tra medio e anulare, la matita. Temperata. Pronta a fare fuoco.
Sospirò, guardò quel maledetto foglio che aveva di fronte e sospirò di nuovo. Il bozzetto di un uomo armato di spada e pistola lo fissò di rimando, con quel sorriso del cazzo stampato sul volto e quelle ridicole ali meccaniche sulla schiena.
Uno schifo.
Prese il foglio, lo appallottolò e lo gettò nel cestino colmo di carta affianco alla scrivania. Prese dalla pila un altro foglio, se lo mise davanti, vi appoggiò la punta della matita e si bloccò. Si afferrò la
visiera del berretto con su scritto, bianco su rosso, il sacro nome della Marvel. Lo girò, così che la visiera gli scendesse sulla nuca.

Ora, i pensieri di Matt si vedono, però ho il timore di aver raccontato. “Pronta a fare fuoco” è corretto? “Maledetto foglio”, “Sorriso del cazzo” e “Ridicole Ali”? Insomma, maledetto, del cazzo e
ridicole sono ben lontane da essere espressioni concrete, così come “Sacro nome della Marvel”.

Come avrete capito, ho introdotto diversi termini astratti a causa del Pov profondo.

Questa è la risposta.

Sì, non sono espressioni concrete, ma nel caso specifico mi sembra fluiscano naturali, dunque va bene. Come dicevo nell’articolo del mostrare, le persone possono avere pensieri astratti, dunque non è sbagliato riportarli, basta non esagerare. Qui non esageri perché in fondo i termini meno concreti sono imprecazioni e intercalare, come se avessi inserito dei punti esclamativi. Dunque non preoccuparti, minuscoli “raccontato” di questo genere non sono “errori”.

Capite? Il punto non è “è un termine astratto, non va mai bene” il punto è quando i termini astratti soffocano i termini concreti. Tutte le tecniche narrative sono volte a far immedesimare il lettore, simili termini, pur essendo astratti, aiutano parecchio ad entrare nella testa del Personaggio Punto di Vista, dunque sarebbe stupido considerarli errori.

E poi si è già detto un migliaio di volte, le regole non sono gabbie o costrizioni, sono Strumenti. Sono armi nelle mani di uno scrittore esperto, armi che può utilizzare per lavorare al meglio.

Semplice, no? :D

#428 Comment By Cercavoce On 30 novembre 2011 @ 17:10

Edit: volevo dire “finché si mette la telecamera sulla spalla è facile” non “non è facile”.

Pardon

#429 Comment By Dan On 30 novembre 2011 @ 17:38

Purché a furia di parlare di telecamere, punti di vista ecc., non si rischi effettivamente il libro-mancata sceneggiatura… Dacché i risultati vertono proprio in questo senso, io e C. R., suppongo, abbiamo tutte le ragioni per esprimere i nostri dissensi e le nostre preoccupazioni.
Mi ricordo un incipit commovente…
Un tizio che entrava con un fascio di legna nel braccio destro, un bambino nel braccio sinistro (tenuto tipo cannone???).
Chiede se il bambino è della donna distesa al letto: non sa riconoscerlo (che devo intendere? Hanno bambini o no? Ne hanno davvero perso uno?).
Si avvicina alla donna: discosta leggermente il capello dicendole una cosa… Insomma, dettagli per arrivare ad un’immagine… ma la N. non s’esprime per immagini: se ne ricavano immagini, ma tramite l’assunzione d’una serie di verità o presunte verità, che non solo sono nell’immagine, ma, per dirla in soldoni, nella vita tutta.
Benigni dice per interpretare Dante: c’ha insegnato che per far poesia (o prosa) una sola cosa è necessario: Tutto…
Ed è proprio così: parlare d’immagini non è risolutivo, a meno che tu non voglia essere un regista.

#430 Comment By Gwenelan On 30 novembre 2011 @ 18:01

@Cercavoce: sì, esattamente quel che intendevo con l’esempio del vecchio nel mio commento :).

#431 Comment By Cercavoce On 30 novembre 2011 @ 18:05

Ma ascolti quel che diciamo o no? Le regole non sono gabbie, uno volendo può anche infrangerle se vuole ottenere qualcosa che seguendole non potrebbe ottenere, ma intanto conoscile, applicale per imparare. Il punto è questo.

Uno dei miei romanzi preferiti, se non il mio preferito, prende quasi a calci lo Show don’t Tell. è Il Gabbiano Jonathan Livingston. E comincia così “Era di primo mattino”

Un incipit che tratti del tempo è risaputo che sia un errore, e in seguito Bach, l’autore, non lo segue mica lo Sdt, ma io l’ho letto volentieri, perché comunque degli elementi concreti ci sono.

Tu hai appena ricordato l’incipit commovente, ma come l’hai ricordato? Con le immagini. Ti sei ricordato di quest’uomo che porta un bambino e un fascio di legna e che poi sposta un capello della donna… insomma, tu ti ricordi l’immagine, ti ricordi la scena.

Stessa cosa io con il Gabbiano Jonathan, mi ricordo le immagini, mi ricordo la scena, mi ricordo le parole. Mi ricordo la STORIA. E se tu e C.R. continuate a dire “non dev’essere una sceneggiatura” fate bene, perché non è per questo che io leggo. Io leggo perché le parole scritte seguono un altro modo d’imprimersi nella mente. Amo i film, ma amo ancor più i libri, e amo i libri che ti fanno riflettere su alcune cose, come appunto il gabbiano J.L., eppure capisco lo Show don’t Tell. Richard Bach non si è mai introdotto nella storia per parlare e far pensare il lettore, han fatto tutto i personaggi, i gabbiani del libro.

E poi, secondo me, c’è molta più intensità in un libro scritto con lo Sdt rispetto ad un film. è come se ti tuffassi dentro la storia, ancor meglio che in un film.

Altro libro che mi è piaciuto: le cronache di Narnia. QUasi tutto raccontato, ma ciò che mi causò Sense of Wonder (ebbi i brividi e mi misi a piangere dall’emozione, ma allora non sapevo cosa fosse, ora so che si chiama Sense of Wonder) fu una scena: il canto di Aslann che crea la terra.

Era scritto con lo Sdt? No. Se l’avesse fatto sarebbe stato meglio? Forse sì, forse no. Non lo so, a me piace lo stile fiaba, ma se vuoi far immedesimare ancor più il lettore segui lo SdT, e non solo quello.

#432 Comment By Dan On 30 novembre 2011 @ 18:59

-Le regole non sono gabbie, uno volendo può anche infrangerle se vuole ottenere qualcosa che seguendole non potrebbe ottenere, ma intanto conoscile, applicale per imparare. Il punto è questo.-

Per imparare l’ovvio… Ho già detto miriadi di commenti fa (sicuro che il sordo son io?) che questa regola è vecchia di 200 anni: non c’è bisogno di G. che la spieghi, ne siamo intrisi dalla testa ai piedi…
Semmai trovo molto più utile il contrario: delle persone che si cimentino nella parola generica, nella parola fiabesca… Mettersi nella scuola di ciò che già si sa, quanto può essere utile…? Ma se apro un Calvino, un Buzzati, un Ende, ecco che la mia mente è tutta orecchi, perché di certo quelle cose le saprò solo da loro…
Ciò detto, libero di credere che il mostrare ottocentesco sia una scuola imprescindibile per fare buona narrativa.

#433 Comment By Laurantoine On 30 novembre 2011 @ 19:57

Non direi che ne siamo intrisi dalla testa ai piedi.
Molti scrittori di oggi non la sanno applicare e si abbandonano a riassunti astratti di storie. Eppure vengono osannati come grandi scrittori.
Io stessa prima di conoscere Gamberetta mi abbandonavo al raccontato comodo e facile, ho imparato molto proprio grazie a lei.
Inoltre, i bizantinisimi su show don’t teli / diverse accezioni del didascalico mi sembrano sterili e inutili.
Pareri personali, sia chiaro.

#434 Comment By Captan Razzo On 30 novembre 2011 @ 21:19

Gamberetta ha dei grandi meriti e un’intelligenza luminosa. Ma non ha ancora pubblicato niente, e certe cose che sente con la testa non le sente con la pancia, dopo aver capito cosa significa essere scrittrice di professione e aver assaggiato il ripetuto alternarsi del successo e dell’insuccesso. Assumerla come insegnante è pericoloso. Il suo atteggiamento mentale è ancora quello dell’analisi mai disgiunta dalla rabbia esistenziale. Fra molti anni imparerà che il bisturi dell’analisi letteraria va manovrato con rispetto e compassione, altrimenti è macelleria. Circa il suo atteggiamento verso i manuali, lo trovo molto acquiescente, mentre dovrebbe invece lavorare per migliorarli. E’ contro la mala compilazione di certe regole che dovrebbe scatenarsi la sua capacità analitica, prima che contro gli scrittori imperfetti.

#435 Comment By Laurantoine On 30 novembre 2011 @ 21:43

Nel proporre i manuali Gamberetta ha nominato testi che secondo lei non trattano bene o in maniera abbastanza approfondita un argomento;inoltre ha steso questa breve guida personalmente.
Non vedo quindi tutto questo atteggiamento accondiscente.
Più che maestra, Gamberetta è una guida: consiglia sempre di leggere i manuali ed operare con spirito critico.
Seguendo i suoi suggerimenti ho esplorato il mondo, appunto, dei manuali e ho seguito un percorso mio, pur supportato dai suoi consigli.

Riguardo alla questione della pubblicazione o meno… siamo in Italia. Con gli scrittori che girano, mi chiedo come tu possa affermare quello. Conosco imbrattacarte per hobby che sarebbero davvero degni di pubblicazione, al contrario di altri nomi famosi.
:)

#436 Comment By Cercavoce On 30 novembre 2011 @ 22:52

@Dan: proprio intrisi siamo, di Sdt… davvero, se vado in libreria faccio fatica a trovare del raccontato…

Ovvio che le innovazioni sono necessarie, ovvio che Gamberetta non è dio in terra della narrativa, ma è altrettanto ovvio che un sacco di scrittori che si definiscono tali non sanno nemmeno che significhi Sdt, e come farebbero tali scrittori a cercare qualcosa di nuovo se non hanno le basi?

Qui sta il punto. Sperimentare è lecito e, oserei dire, necessario alla letteratura, ma prima di farlo bisogna imparare le basi. è sempre così, non c’è altro modo. Io dubito seriamente che Ende non avesse mai sentito nominare dello Sdt e di altre regole narrative.

#437 Comment By Cercavoce On 30 novembre 2011 @ 22:55

Assumerla come insegnante è pericoloso.

E chi la prende come insegnante? è solo una persona che sa di cosa sta parlando perché ha studiato, nient’altro. Chissà, magari fra un paio d’anni (ok, magari cinque o sei…) saprò più di lei e me ne fregherò del suo blog :D

#438 Comment By Dan On 1 dicembre 2011 @ 11:30

Cercavoce:

Senza dubbio Ende, in qualità di fanatico del Romanticismo, amava del medesimo, potremmo dire, la sua verbosità, il suo prolungarsi assuefacente e persuasivo… Da un certo punto di vista, il mostrare è ovviamente parte di lui, come parte di lui era l’intero Romanticismo.
Ma in questo mostrare ovviamente non bisogna calcolare un pizzico di pedanteria che i manuali lasciano trasparire; forse non l’ho inteso pienamente, ma dal modo in cui è esposto, mi sembra che il Lettore, sotto questa luce, ne uscirebbe come un uomo asfissiante, estremamente curioso di qualunque cosa…
E’ probabile che semplicemente G. non abbia espresso a dovere, o nei punti più salienti, questo vezzo stilistico… perché di ‘Michele è vecchio’ ce ne sono un bel po’, ne La Storia Infinita; so, ad esempio, come sono i pelleverde (credo di essermeli immaginati a dovere), ma se mi chiedi di descrivere minutamente il viso di Atreyu, eccolo lì che questa esigenza non viene affatto appagata,
Lo stesso si può dire di molte altre cose… Il punto è, come dissi, che sempre, a detta di Eco, grande filolofo e saggista, il libro è meccanismo pigro che vive del plusvalore del lettore. Ora mi sembra che da un po’ di tempo a questa parte, questo plusvalore sia vacillante, o proprio mancante… Non so se la cosa sia attribuibile a questa eccessiva richiesta del mostrare.
In linea di massima, in libri come ISdA o La Storia Infinita, il Romanticismo va a fondersi con la fiaba, e nella fiaba abbiamo sempre questa scrittura nel necessario, mai nel superfluo; troviamo anche la possibilità del racconto di essere ciò che il Lettore vuole… Ognuno avrà immaginato la sua Fantàsia o la sua Terra di Mezzo.
Tuttavia, credo che vi siano due motivi attribuibili alla mancanza d’un mostrare appagante per i vostri palati: il primo motivo è che molte persone, in effetti, non hanno nemmeno basi romantiche, ma semplicemente di soap opera, tv, cinema, manga, ecc.
Ne esce fuori Il Mondo Emerso, cioè un F. totalmente slegato dalla tradizione occidentale -e questo nel migliore dei casi; nel peggiore, penne che proprio non hanno alcuno slancio narrativo…
La cosa, in seconda istanza, può essere spiegata così: semplicemente, non è più la stagione del mostrare… Quando si parla di mostrare, non si parla solo di Romanticismo (sul quale spero ogni buon scrittore, volente o nolente, si poggi), ma di un aspetto pregnante del medesimo.
Ora è chiaro che, come dissi in precedenza, la stagione più prolifica in tal senso era l”800: nell”800, infatti, gli scrittori erano pagati a cottimo, e dovendosi arrovellare le meningi su cosa scrivere e quanto, diciamo così, ‘annacquavano’ un poco le idee con descrizioni e pedanterie d’ogni tipo.
Poi figurano le cosiddette liste: la lista è quella lungaggine di minute descrizioni d’un dato fenomeno, così da dare al lettore piena consapevolezza dell’entità del suddetto. Una famosa è nei Promessi Sposi, la lista delle leggi legate ai Bravi, che ci fa comprendere quanto poco siano tollerate le loro balordaggini…
La lista si può saltare, ma nel saltarla, si ha ancor più la consapevolezza di quanto sia enorme il fenomeno descritto.
Insomma: l”800 era un maestro di mostrare, di essere sempre un tantino miope e curioso, ed essere sempre una sorta di mosca della narrazione, che si posa su tutto e impazzita corre di dettaglio in dettaglio, senza che nulla sfugga…
Riproporre la cosa oggi, non so se funzioni o se dovrebbe: primo perché non c’è più quella paga a cottimo, dunque lo scrittore non è più nella necessità della lungaggine per trarne profitti. Secondo perché tutto ciò è stato spazzato via dal neo-realismo e dalle avanguardie.
Al contempo, riproporre questo vezzo stilistico oggigiorno, si corre il rischio di accentuarlo eccessivamente (perché l’occhio abituato all’immagine sarebbe ancora più curioso), con la conseguenza che un romanzo somigli molto di più ad una serie di picture che ad un racconto.
Cioè: che il narratore non sia più nella narrazione (fatta di verità consequenziali) ma solo ed unicamente nell’immagine, lasciata poi all’interpretazione dei singoli…
Mi sembra che, a riproporla oggi, questa regola possa far divenire il Lettore una sorta di ‘cieco pedante’, sempre curioso del superfluo e mai del necessario…
Ciò che meglio d’ogni altra cosa possiamo trovare in Ende, è la ricchezza della parola, la parola esatta, perfetta, pulita, al posto giusto e al momento giusto; ed è proprio l’attenzione che si chiede in un’epoca in cui, grazie all’assunzione di royalty in percentuale, lo scrittore può avere.
Assumere come regola la sola prerogativa di mostrare, insomma, mi sembra come avere un occhio malato, che non mette mai a fuoco; cioè, mette a fuoco tutto, e su questa mancanza di discernimento (di sfocatura lì dove ci vuole) fonda la propria malattia.
Intendo che se il mostrare è una lente d’ingrandimento che va a toccare i punti salienti d’una storia, allora questo mostrare è messo in calcolo da tutti, ma proprio da tutti -’ché nessun editore, per quanto inetto, pubblicherebbe una storia dove non figuri il duello finale, ad esempio.
Se invece è prerogativa del racconto, non credo ne sarò mai sufficientemente interessato… O forse sì, ma ecco, andrei a comprarmi Dickens: ultimamente sto leggento Il Circolo Pickwick, e guardate che finezza da parte dell’autore: per scrivere molto, questa vostra curiosità direi piuttosto scentista e analitica, la incarna nello strambo Pickwick, che sempre gira con un taccuino per segnare ogni inezia (buscandosele pure). Poi ci mette un tipo logorroico -che gli darà un bel po’ da scrivere…
Insomma: la verbosità e il dettaglio -fino al pedante- sono più che appagati. Ma siamo, come ripeto, in un contesto più che favorevole…
Comunque: ognuno ami della narrativa ciò che più vuole amare.

#439 Comment By Cercavoce On 1 dicembre 2011 @ 14:56

Ma anche le tecniche narrative dicono di non mostrare ciò che è inutile :D Nemmeno io ricordo il viso dei personaggi della storia infinita, semplicemente perché non vengono descritti così tanto. Solo, al massimo, quelle razze un po’ curiose vengono mostrate.

In realtà, lo Sdt è solo una delle tante regole, e molte altre regole, all’apparenza, paiono andare contro lo stesso Sdt. In realtà aiutano l’immedesimazione.

Ende scriveva con lo stile delle fiabe, come appunto dici tu, ed era amante del romanticismo, perciò il suo stile non era così accordato con lo Sdt, eppure non c’è dubbio che fosse molto più bravo (e originale, oserei dire, visto che prima della tecnica viene la storia) di molti scrittori odierni, specie italiani.

#440 Comment By Dan On 1 dicembre 2011 @ 17:46

Se così stanno le cose, direi che la formula sia del tutto impalpabile, per come è esposta…
Ho capito che non è un iper-mostrare, ma non ho capito bene cosa sia.
Un dio androgino a tre piselli…?

#441 Comment By Cercavoce On 1 dicembre 2011 @ 18:33

Eh? o.o

Non ho capito il tuo dubbio

#442 Comment By Franek Miller On 1 dicembre 2011 @ 18:38

Mai parlare con disprezzo della buona società, Algernon. Lo fanno soltanto quelli che non riescono a entrarvi.

credo sia valido anche per le regole della narrativa. Anzi per le regole in generale. Buttarla sull’animaeccore conviene solo a chi non è capace, chi non ha tecnica logicamente la disprezza: è la cosa più conveniente da fare.

#443 Comment By Dan On 1 dicembre 2011 @ 19:44

Beh, citazione memorabile, chi non la ricorda (e soprattutto, chi è quel mediocre democratico che non l’applica come un bravo Fantozzi); a guardar bene, però, fra le due idizie in gioco, credo indichi molto meglio la tua…

#444 Comment By Stefano On 1 dicembre 2011 @ 22:24

Però questa storia che un tempo gli scrittori allungassero i romanzi perchè scrivevano a cottimo… Cosa dovremmo pensare dei tipici cicli horror-romance-YA da 3000 pagine complessive? Delle grandi ed epiche saghe fantasy sulle 8000 pagine complessive? Sui thriller mozzafiato mai sotto le 400 a botta? Sui mattoni storici sulle 1400 pagine appaltati a legioni di ‘ricercatori’?
Mi è capitato di recente di leggere The Dome, di Stephen King, scrittore che ammiro ma che non frequentavo da tempo. Non male – meglio se avesse tagliato quel 700 pagine o giù di lì…
Insomma, i grandi romanzieri dell’Ottocento, al confronto, erano modelli di concisione.
In generale noto a volte spuntare in queste discussioni l’idea che oggi si scriva meglio di un tempo, che ci sia stato un ‘progresso’, ora che sappiamo le ‘regole’ e che un Elmore Leonard scrive meglio di un Honorè de Balzac e un George Martin meglio di Tolstoj perchè sono venuti dopo ed hanno potuto evitare i loro ‘errori’ – tipo che il ‘narratore onnisciente non si usa più’ e che ‘l’autore non deve inserire sue riflessioni nella storia’ etc etc etc – con la penna rossa e blu in mano. Nel romanzo (nell’arte in genere) non esiste progresso e, ammettiamolo, nemmeno regresso. Possiamo avere qualche difficoltà (ma davvero?) nell’immedesimarci in modi e idee del passato ma anche quelli del passato avranno le loro difficoltà a immedesimarsi nei nostri modi e idee – per non parlare di quelli del futuro che ci guarderanno con immotivata commiserazione…
Una cosa che la Gamberetta dovrebbe fare, per il bene dei suoi giovani fans, è occuparsi di qualche romanzo non di ‘genere’ o di un genere che non pratica di solito (che so, un romanzo d’amore o un giallo politico o un bildungsroman…), tanto per evitare di creare una generazione di scrittori-critici convinti che la letteratua sia tutta fantasy-horror-fantascienza-bizzarro e simili… Un’altra cosa che mi piacerebbe facesse sarebbe prendere un romanzo riuscito in cui si racconta bellamente e si mostra pochissimo (un esempio perfetto sarebbero i romanzi di Aldo Busi, sostanzialmente dei giganteschi monologhi narrati da un protagonista che dice sempre cosa pensa e prova di quel che vede, oppure, tornando indietro nel tempo, ‘Le Relazioni Pericolose’ di Laclos, un romanzo epistolare che provoca una specie di soffocamento claustrofobico e in cui non abbiamo nemmeno un accenno all’aspetto fisico dei protagonisti…)

#445 Comment By Franek Miller On 2 dicembre 2011 @ 08:19

@Dan
qui credo che coi paragoni possiamo piantarla. Per qualunque tipo di disciplina conoscere le regole è alla base di una produzione, che sia artigianale o artistica. Se TU hai voglia di lasciarti andare alla diarrea produttiva liberissimo di farlo. Figurati se ti fermo io. Questo non toglie utilità all’articolo e alle regole di base. Il mio campo è quello delle belle arti: ogni avanguardia è nata dalla rottura di qualche regola, ma gli autori appunto le conoscevano e le conoscono. Lo studio è alla base e se un giorno leggerò un tuo Capolavoro esente da qualunque regola, sarò il primo a mangiarmi le mie parole e ad ammettere la mia incompetenza. Fino ad allora la mia idiozia è tutta da dimostrare, la tua al massimo da constatare e archiviare.

#446 Comment By Dan On 2 dicembre 2011 @ 10:22

Ma per favore…
Ti poni già in un atteggiamento sbagliato.
Primo siamo fra colleghi, ‘ché vengo dalle Belle Arti anch’io; secondo, proprio nelle Belle Arti, se negl’anni ’60 entravi con dei pennelli ti cacciavano a pedate sul sedere…
S’era giunti alla massima comprensione che arte è tutto, e si può fare con tutto.
Le avanguardie storiche, disgregando le accademie (le scuole) in mille frammenti diversi, hanno anzitutto istituzionalizzato l’individualità dell’artista: ogni artista fa scuola a sé; ma sarebbe una bugia dire che questo non faccia parte di tutto il ’900 anche letterario.
Ormai, però, questa personalizzazione dell’arte è alle stelle, e che ancora mi si parli di scuole lo trovo quanto di più ridicolo, specie nella narrativa, che è arte del pensiero, quanto di più personale e quanto di più difficile da imbrigliare…
Fra l’altro, non vedo proprio come poter prendere queste cose per delle lezioni accademistiche, dacché in più punti (noto casualmente) del sito ultimamente le discussioni vertono su questo: una sola parola, una sola virgola, un solo silenzio, sanno raccontare più di mille file di righe messe insieme…
e se non accetti questo come dato di fatto non solo non capisci la narrativa, ma non capisci la vita, ‘ché da sempre un ti amo è sunto di miliardi d’attese, e ci fa battere proprio ciò che tu dici: il cuore, che è sede dei sentimenti ed è pertanto destinatario d’un buon libro, che ti piaccia o meno come verità.
Un bravo scrittore sa come farlo palpitare, o per l’emozione, o per la paura; un bravo scrittore sa quanti veleni, anestetici e antidoti iniettare.
Ma non si può parlare di narrativa senza parlare delle necessità d’una certa idea, così come non si può parlare degli strumenti della scultura slegata dall’idea base d’un artista.
E’ per questo ch’è a mio avviso tutto etereo e impalpabile, e che le idee esposte da G. possono funzionare solo per lei, e direi anche grossolanamente, perché può benissimo saltarle, o esserne indifferente. A questo punto mi si dirà: si può fare.
E allora io ritiro fuori il dio androgino: o è una regola, o non lo è (e allora assumeremo già un nomicino diverso, per identificarla), e se lo è, come tale, è imprescindibile. Se non lo è, tiro fuori le parole di Moretti: LE PAROLE SONO IMPORTANTIIII…! Non puoi dire ‘eh, ma si può pure saltare’, e poi dare larghi consensi ad essere torturati se non s’accettano alcune clausole -non ricordo tutte le simpaticherie che G. augura ad ogni regola, ce ne sono molte.
Ci sono sin troppe incongruenze di fondo, per far poggiare un dialogo su un terreno di condivisione…
Specie, etica e estetica non possono scindersi: sarebbe come parlare di una macchina senza vederne le prestazioni, senza motore, insomma.
Che in un sito si dia come regola base il non disquisire su religione e politica (che comunque possono riguardare un libro), può starmi bene; che si parli solo di tecnica no, perché il significato è un sasso in bocca al significante.
E c’è bisogno d’aspettare un mio capolavoro per essere d’accordo con questo…? Io credo che basti solo un briciolo d’obbiettività e buon senso…

#447 Comment By Dan On 2 dicembre 2011 @ 10:43

Poi inziamo a smentire le cazzate che forse ci sta: gli avanguardisti conoscevano le accademie…??? Ma chi? Picasso, a dodici anni…
Perché la fortuna delle avanguardie storiche nasce proprio dal fatto che Rousseau faceva il doganiere, Van Gogh non c’aveva una lira pe’ fa due, e così via…
N. c. s.: nun ci siamo…
La fortuna sta in ciò che solo all’epoca poteva passare per ignoranza: in realtà era una naturale evoluzione stilistica… che più non permette passi indietro, tant’è che dubito si venga presi solo in caso di mani estremamente eccellenti in fatto di verismo, oggi, nelle Accademie.
Purtroppo ‘sto ’900 nun ci entra in testa, nemmeno a spigne forte… ma anche lasciandolo lì dov’è, non credo Manzoni, Dante e Petrarca abbiano partecipato a delle scuole -se non di pensiero.
Caro mio: i veri scrittori hanno visto come fanno i salmoni, è stata quella, la loro scuola…

#448 Comment By Franek Miller On 2 dicembre 2011 @ 11:03

partiamo dal fatto che Picasso era un ritrattista eccezionale e questo ormai lo sanno anche le colf portoricane da motel. Spero la tua fosse ironia.
Seconda cosa, non sei riduttivo per primo tirandomi fuori i pennelli negli anni 60? E’ una stronzata. Seguo la performative art e a volte ho fatto qualche performance. Solo perché non avevamo in mano pennelli, scalpelli o spatole non è che è venuto in mente a qualcuno di farle a caso.
Le regole vengono assimilate e in seguito si può parlare di un metodo personale. Le regole, per come le vivo io, servono da tramite con un pubblico che ha diritto di fruire della produzione artistica. Se si gioca secondo schemi e regole diverse è difficile che possa essere di libera lettura. E l’arte nasce come comunicazione, un artista sa comunicare. Uno scribacchino no.
Non mi pare che G. si sia scagliata contro Grandi Scrittori, se togliamo Manzoni del quale però ha specificato di non avere preparazione storica, ma contro scribacchini della domenica. E’ arte quella? Quindi, a meno che non parliamo di Geni direi che il discorso l’artista non ha bisogno di regole ce lo possiamo comodamente risparmiare. Qui non si parla di arte ma di narrativa di genere. Questi strumenti sono dati in mano non a Grandi Artisti ma a chi si avvicina alla disciplina e HA bisogno di infarinatura. Quindi parlare di Arte con la A maiuscola in un articolo How To mi sembra fuori luogo.

#449 Comment By Dan On 2 dicembre 2011 @ 11:07

Avoja…
Resta il dettaglio che l’hai tirata fuori te (ecco: questo è mostrare, no?).
Vivete dei conflitti d’interesse che sinceramente non mi auguro…

#450 Comment By Franek Miller On 2 dicembre 2011 @ 11:28

Non l’ho tirata fuori io. Probabilmente chiederti di leggere i post precedenti è troppo, ma i primi commenti sono stati di persone che hanno esordito a passo di carica L’Arte non ha bisogno di regole.
Accostare l’Arte al moccio che viene pubblicato è come maritare il bambù con la legna.

#451 Comment By Dan On 2 dicembre 2011 @ 13:41

te vojo bbene…

#452 Comment By Laurantoine On 2 dicembre 2011 @ 15:07

A parte quotare Franek, mi limito a dire una cosa.
Nel mio piccolo, quando scrivo, tendo ad usare autonomamente le regole o i consigli che ho già assimilato -e a giudicare dalla reazione, si vede e il mio sbattimento dà frutti.
Se do in mano la penna a mio fratello -fa le superiori e non ha mai toccato un libro spontaneamente- e gli metto una traccia davanti, dicendogli che deve scrivere una cosa, uscirà un riassunto striminzito simile alla bozza più becera che potevo produrre anni e anni fa.
Se faccio lo stesso con mia nonna, si metterà a versare fiumi e fiumi di ricordi sfumati e sentimenti e quanto ha sofferto nella sua vita e quanto sta male.
Ma la storia, il compito vero, dov’è?
Se qualcuno non ha ben chiari in mente i concetti base della narrativa -appresi anche in maniera indiretta attraverso la lettura di buoni libri- non scriverà bene secondo i canoni contemporanei del termine.
Quindi, se di regole non si può parlare, lo si può fare di concetti: ritengo lo show, don’t tell un concetto base della buona narrativa.

Inoltre, Dan, il tuo periodare ha la straordinaria capacità di risultarmi astruso. Perdono :)

#453 Comment By Dan On 2 dicembre 2011 @ 15:22

Figurati.
Penso di dirlo nel posto giusto: http://www.youtube.com/watch?v=wh2aR_Rs_zk
Chiunque sia tedesco -o anche finendo nella foglia, nella speranza qualche pantegana lo sia- o italo-tedesco, o profondo studioso di lingua teutonica, sarebbe carino, per ognuno di noi, sapere come la pensa Michael Ende…

#454 Comment By Laurantoine On 2 dicembre 2011 @ 15:46

Sto ascoltando, ma 45 minuti di intervista sono un suicidio ed il mio tedesco non è perfetto.
Passo x)

#455 Comment By Captan Razzo On 6 dicembre 2011 @ 08:36

Forse la validità dello “show don’t tell” si potrebbe chiarire dicendo così:
“Show” è la scelta migliore.
Salvo un piccolo “ma”. Questa è una frase detta in modo “tell”.

#456 Comment By Dan On 6 dicembre 2011 @ 12:30

E’ chiaro che in una buona storia bisogna mostrare (in questo siamo tutti d’accordo, credo), il necessario: il racconto, cioè, deve seguire le file d’un ragionamento, d’un dialogo fra narratore e lettore, e in questo rapporto, in questo lungo dialogo, il narratore avrà la cura di far tutto per non sentirsi dire: ‘beh, ma qui com’è da intendersi? E qui? E cosa è successo a loro…?’; cioè, nel suo agire, deve evitare che il lettore sia assalito da forti dubbi e perplessità, e anche deve cercare che egli fruisca nel migliore dei modi possibili la storia.
La pigrizia stilistica che forse qui è sottintesa per dire del mostrare, a mio avviso va intesa nel caso in cui grandi pezzi di storia vengano smarriti per strada, o nel caso in cui cose assolutamente vitali vengano superate superficialmente…
C’è un esempio che amo citare: vidi Il Ritorno del Re al cinema.
Bel film, ma, uscito dalla sala, molte cose non mi tornavano…
Avevo la sensazione che il mio occhio avesse come smarrito qualcosa di importante, che quel senso di pace finale fosse stato compromesso da un matornale errore, e non capivo quale. E poi: ‘Ci sono!’.
S’è mai visto un film in cui non si vede la morte del cattivo…?
Il grande orco, dal viso storpio, che spesso s’inquadra e s’addita come capitano delle legioni nere -un bel tormentone- non l’abbiamo visto morire…
Ci rimasi molto male: una trilogia così ben eseguita, e un errore che nemmeno un teatrino salesiano saprebbe rifilarti con tanta distrazione.
Poi vidi la versione non tagliata, e lì mi capacitai: il lavoro aveva subito fortissimi tagli, ma tagli tanto alti da non poter essere scambiato per una versione definitiva…
Per quanto bello, quel film pecca, e di molto: non ci racconta come dovrebbe.
G. credo voglia pervenire, però, non alla struttura, ma all’attitudine stessa dello scrittore nell’atto dello scrivere; questo non lo trovo coretto, perché se c’è una cosa che amo degli scrittori è la loro diversità di stile, il proprio personale far fruire le giuste informazioni al lettore (la stessa vecchiaia di Michele, può essere resa in mille modi, in un racconto, non solo spiattellando la sua vera età); ecco allora che a me il suo mostrare non raccontare suona di più come uno sviscerare non raccontare. E questo è decisamente uno stile (magari bello, nelle sue mani), ma giammai un dogma.

#457 Comment By Eddy On 17 gennaio 2012 @ 14:01

Domanda sulla “telecamera”.
Personalmente, quando immagino le scene dei libri che leggo, difficilmente le immagino posizionando la telecamere sulla spalla o nella testa del personaggio punto di vista.
Prendo l’esempio di “Finch Incipit”: io la scena la vedo da un lato (quello destro per la precisione), nonostante il tentativo dell’autore di farmi immedesimare.
Non so se sia un mio limite, comunque non ha mai inficiato la mia capacità di emozionarmi di fronte a scene ben “mostrate”.
Ora la domanda: perché un uso della “telecamera” in stile cinematografico (riprese dall’alto, da dietro, da davanti, ecc…) dovrebbero rendere meno reale la scena?
Insomma, nei bei film io mi emoziono anche se il film non è girato in prima persona, anzi, di solito l’attore viene sempre inquadrato.
Oltretutto i tentativi di girare scene d’azione in soggettiva (vedi doom o the house of the dead) mi sono sembrati patetici fallimenti.
Attenzione: la domanda è seria, mi interessa capire.

#458 Comment By Gamberetta On 18 gennaio 2012 @ 11:47

@Eddy. Per il fatto che visualizzi mentalmente le scene sempre da un lato non saprei che dirti, a me non succede. Per esempio quando in Finch il personaggio afferra la maniglia della porta vedo la sua mano dall’alto come se la telecamera fosse nella testa del protagonista.
Detto questo non ne so abbastanza di cinema per fare un discorso serio sul perché certe tecniche funzionano in un’arte ma non in un’altra. Però Doom l’ho visto anch’io: lì non c’è una corretta prima persona, non dal punto di vista narrativo; in prima persona non inquadri quello che vede il personaggio – come invece avviene in quel film – “inquadri” i pensieri del personaggio in relazione a quello che sta vedendo. In altre parole la realtà percepita dal personaggio deve essere filtrata dal suo cervello prima di essere presentata al lettore. Può essere più coinvolgente perché non solo puoi mostrare una lancia che trapassa la pancia di un tizio, ma puoi anche mostrare le sensazioni del tizio mentre succede.

#459 Comment By Eddy On 18 gennaio 2012 @ 14:18

@Gamberetta
Non è che la vedo sempre da un lato, diciamo che la vedo più come in un film, con la “telecamera” che si sposta, che ruoto, che zooma…
Cpisco la parte riguardante il filtro emotivo, e sono pienamente d’accordo, ma credo che le sensazioni che prova il personaggio possano essere trasmesse dalle immagini che vede e dai pensieri che fa nonostante la telecamera non sia sulla sua spalla.
Poi, per mé funziona, per altri magari no.
Anche quando sogno, ad esempio, quasi sempre mi vedo in terza persona (senza contare che gli ultimi sogni che ricordo erano completi di colonna sonora, ma questa è probabilmente una mia malattia mentale).
Magari sono io che ho visto troppi film :-)
Tornando seri…
In molti esempi che fai te la prendi molto con l’uso di “all’improvviso”: dici che basta descrivere la scena senza usarlo e diviene ancor più improvvisa.
Ecco, se tu scrivi:

Michele stava leggendo il libro. Le parole scorrevano sotto i suoi occhi.
Lesse: “Alzati e cammina!”
Posò il libro e si alzò.

Secondo mé non è la stessa cosa di:

Michele stava leggendo il libro. Le parole scorrevano sotto i suoi occhi.
Lesse: “Alzati e cammina!”
All’improvviso posò il libro e si alzò.

Nella prima versione io lo vedo posare delicatamente il libro e alzarsi, nella seconda versione lo vedo lanciare il libro sul tavolo e scattare in piedi…
Nel secondo caso percepisco qualcosa di diverso, un senso di urgenza che nel primo non c’è. E questo anche se vedo la scena inquadrata di lato, capito cosa intendo?

#460 Comment By Gamberetta On 18 gennaio 2012 @ 14:39

@Eddy. Il problema è che senti la necessità dell’improvviso perché stai usando verbi troppo generici. Se scrivi che Michele “getta il libro e schizza in piedi”, o “butta il libro e scatta in piedi” è più improvviso che non con l’inserimento dell’improvviso. Confronta:

Michele scattò in piedi.

Con

All’improvviso Michele si alzò.

Nella prima è molto più improvvisamente in piedi che non nella seconda. Tu stesso dici che quando leggi dell’improvviso vedi che Michele invece di posare il libro lo lancia: bene, scrivi direttamente che lo lancia e così puoi tagliare l’improvviso ed evitare che il lettore faccia la fatica mentale inconscia di dedurre che “posare all’improvviso” = “lanciare”.

#461 Comment By Eddy On 18 gennaio 2012 @ 20:59

@Gamberetta
Ok, ora è molto più chiaro il concetto :-)
Mumble mumble…
Vado a meditare.

#462 Comment By Dan On 1 febbraio 2012 @ 11:58

Qualche tempo fa, Anna ha avuto un incidente e si è fatta male.

con:

Ieri Anna è scivolata. Le ruote del tram le hanno tranciato le dita delle mani.

In pratica: lo splatter è sempre da preferirsi… Ma chi è il malato di mente che ad un’amica, una fidanzata o una parente direbbe: ‘Sai, ieri un camion ha tranciato le gambe di Anna’…? E chi te lo dice che la sensibilità d’un lettore non debba MAI essere calcolata…?
Ancora una volta t’invito SEMPRE ad indicare il target di riferimento, il genere in questione (a mio avviso non centrerebbe una mazzaferrata col Fantasy; forse Stephen King, si permette certe libertà), il prima e il dopo rispetto alla frase, che se è giusta è anche obbligata.

Anna cominciò a studiare.

Sostituirlo con altre cose… ma se ‘Anna consulta il diario per sapere quali capitoli leggere’, Anna di fatto non sta cominciando a studiare: si sta preparando per lo studio, e tu che ci capisci più di me e tutti noi messi insieme, dovresti sapere che la cosa narrativamente parlando è moooolto diversa… Stai dando un’altra informazione, un’informazione molto precisa. Le informazioni precise non sono gratuite: debbono avere SEMPRE una motivazione di fondo, e se non la si trova, diventano come i suppellettili e i souvenir d’un’arredamento caotico.
Di fatto, non esprimo il concetto voluto, e possono addirittura risultare fuorvianti, né più e né meno che come i pensieri irrisolti della nostra mente (azioni programmate e non fatte, lasciate a metà, incompiute, ecc.)…

Se ‘Anna sottolinea i paragrafi del libro al capitolo giusto’, non voglio dire che Anna comincia a studiare, ma che Anna è meticolosa, forse di suo.
Se ‘Anna scarabocchia cuoricini lungo il bordo della pagina’, non voglio dire che Anna comincia a studiare, ma che Anna è, molto probabilmente, inguaribilmente innamorata… Concetto importantissimissimo, perché può deragliare un’intera storia (e comunque è diverso avere o non avere un personaggio innamorato).

In pratica: nessuna frase può rendere meglio il concetto che Anna cominciò a studiare della frase ‘Anna cominciò a studiare’. Un libro vive anche dell’esperienza del lettore: dacché immagino che non sia un burundi, che leggerà il mio scritto, può darsi che io scrittore faccia appello alle consuetudini che solitamente hanno portato ciascuno di noi a compiere quelle azioni vitali per iniziare lo studio…
E dacché si suppone essere prosa, e non poesia, ciò che vuoi rendere meglio, lo puoi dire tranquillamente in seconda istanza, nessuno te lo vieta…
Ma andare sempre in fondo, avere sempre una lente d’ingrandimento, può essere un rischio. E’ come se un fotografo pretendesse che la sua macchina fotografica cominciasse a mettere a fuoco TUTTO, a prescindere: ne deriva che tutto è soggetto e nulla è sfondo.
Si faceva nel fumetto Pulp anni ’80, come Ranxerox; oggi è un effetto un po’ patetico, troppo carnale e viscerale… che a mio avviso ha a che vedere col Fantasy tanto quanto una pila di fagioli o un mazzo d’asparagi. Ha molto più a che vedere con l’Horror -e, dati gl’esempi, non ne sei troppo distante- ma tu invece pretendi che sia lo standard del Fantasy e addirittura della narrativa in generale…

#463 Comment By Mao On 1 febbraio 2012 @ 13:18

In pratica: nessuna frase può rendere meglio il concetto che Anna cominciò a studiare della frase ‘Anna cominciò a studiare’. Un libro vive anche dell’esperienza del lettore: dacché immagino che non sia un burundi, che leggerà il mio scritto, può darsi che io scrittore faccia appello alle consuetudini che solitamente hanno portato ciascuno di noi a compiere quelle azioni vitali per iniziare lo studio…

E questo è l’errore del cattivo narratore. Costringere il lettore a immaginarsi da solo cosa fa Anna quando “comincia a studiare”. ^_^
Strano, perché qui sembrava avessi capito:

Se ‘Anna sottolinea i paragrafi del libro al capitolo giusto’, non voglio dire che Anna comincia a studiare, ma che Anna è meticolosa, forse di suo.
Se ‘Anna scarabocchia cuoricini lungo il bordo della pagina’, non voglio dire che Anna comincia a studiare, ma che Anna è, molto probabilmente, inguaribilmente innamorata…

Lo scopo è proprio rendere il personaggio vivido. Caratterizzarlo (anche e soprattutto) tramite le sue azioni. “Anna cominciò a studiare” è un’azione vuota, e di Anna non mi dice proprio niente. Me ne frego. Anna che studia guardando la tv invece mi dice che Anna è una ragazza a cui non importa niente di quella materia. Questo mi interessa.

E perdonami, ma il mostrato non centra una mazza con il genere. La regola vale sia per il fantasy sia per l’horror sia per l’erotico e per quello che ti pare. Non vedo proprio niente di splatter in Anna che disegna cuoricini sul bordo del foglio. Eh. ^_^
Ciao.

#464 Comment By Dan On 1 febbraio 2012 @ 15:31

Tu dici bene che in quel punto ho capito… Ma se ogni frase fosse un mero pretesto per andare a fondo o ancora più a fondo, il gioco può andare avanti all’infinito (se disegno cuoricini, veramente sottolineo molto di più che è innamorata, e non che studia: un bravo regista saprebbe dirtelo meglio di me; ma posso dire che scrive sotto i cuoricini Marco, che non è Giovanni, e che è magari sia il cugino che il compagno di classe, dunque suscito il dubbio d’un possibile incesto oppure no; e così via…).
Il punto è Quale Verità Tu Come Scrittore Ti Senti di Dover Mettere In Luce Per Dare Consequenzalità al Narrato. Non è detto che sia la più dettagliata possibile, quella giusta: l’ho detto anche prima, e mi sembra molto semplice, dipende come proseguo la frase, ma BOCCIARLA A PRIORI no, perché sennò questa è una scuola di stupidi… Anna cominciò a studiare; era svogliata.
Che c’è di male in questa frase? Il modo in cui cadono entrambe, il tono svogliato, è anche tautologico, mi sembra…
A te come lettore, poi, non è dato di avere troppe curiosità: non quelle che ti pare, solo quelle concesse dalla Curiosità primaria dello scrittore, che mette in luce quelle giuste… La scrittura e la regia sono una splendida dittatura, l’uncia bella e l’unica possibile. Puoi solo metterti in balia di questa dittatura, e dire che bel regno o che brutto regno… La mancata libertà che alcuni potrebbero rimproverarmi con questa asserzione, è proprio bocciata dal fatto che Anna me la posso immaginare come voglio, così come i suoi modi. La narrativa, da questo punto di vista, è l’arte più democratica che ci sia, ed è proprio questo suo cuore pulsante che mi sento di difendere.

Di fatto, insomma, è una frase semplice, e nella sua semplicità anche possibilmente necessaria. Ho capito che dite: evitiamo lo scrittore pigro… ma tolta la pigrizia, esiste un terzo passaggio: tornare alla semplicità, per condensare più eventi insieme e più esperienze insieme -di lettore- così che ad ognuno arrivi il suo…
Questo è molto più difficile ma molto più adulto.
E tutto questo bagaglio informativo essenziale, rischia d’andar perduto, se diamo per buono che non va MAI bene.
Si abbatte la fiaba, la favola e tutto ciò che ne consegue; Fantasy compreso, che vi deriva pienamente.
Specie, io trovo, si omette quell’ingrediente necessario che è il mistero, e che ogni buon lavoro dovrebbe contemplare in minima parte, almeno per il gusto della rilettura. Altrimenti diamo pure per buono che fra il libro e la tv passa solo questa differenza: la tv descrive molto molto meglio del libro…
Mentre il punto di forza della narrativa è proprio la cooperazione del fruitore, e questo te lo potrebbe giurare ogni esperto del settore.
In merito ai dettagli splatter, se lei li preferisce c’è poco da difenderla: li preferisce e basta… Non mi dice ‘andateci piano’, ‘vanno fatti in questo caso e in quest’altro no’, pertanto non sono autorizzato a credere che queste difese siano buone. Ha una predilezione per il macabro, che, siccome nel dettaglio, va sempre bene: questo si deduce dal suo dire, e questo capisco. Il fatto è che è Horror, non Fantasy, o se nel Fantasy, la cosa deve in qualche modo essere motivata… G. ama freddare tutto e tutti; è molto più Pulp che altro, e questi manuali, l’estensione dei suoi ragionamenti e dei suoi gusti privati.
Pulp con l’accezione moderna, da intendersi: non credo abbiamo le stesse letture (Howard, Lovecraft, ecc.)…

Per riassumere: la verità ultima che indica lo scrittore, è quella che arriva come informazione al cervello del lettore, e se il dettaglio ‘innamorata’ fa scaccomatto alla necessità di vedere Anna alle prese con lo studio, il racconto contemplerà Anna innamorata, a quel punto, aldilà che la cosa sia messa in luce tramite lo studio, una partita di tennis o gl’orsacchiotti rosa della carta igenica.

#465 Comment By Dan On 1 febbraio 2012 @ 15:55

E questo è l’errore del cattivo narratore. Costringere il lettore a immaginarsi da solo cosa fa Anna quando “comincia a studiare”. ^_^
Strano, perché qui sembrava avessi capito:

Se ‘Anna sottolinea i paragrafi del libro al capitolo giusto’, non voglio dire che Anna comincia a studiare, ma che Anna è meticolosa, forse di suo.
Se ‘Anna scarabocchia cuoricini lungo il bordo della pagina’, non voglio dire che Anna comincia a studiare, ma che Anna è, molto probabilmente, inguaribilmente innamorata…

Scua ma non capisco sul serio… Una semplice verità come il fatto che Anna studi, IN OGNI CASO deve essere farcita con altro, qualcosa che addirittura ne muti la sostanza…?
Potrei dire Anna studia matematica, ma se ai fini del racconto la matematica me la sbatto, Anna non la studia -non voglio dire che è pragmatica e calcolatrice: se apre il libro di matematica, la sola presenza del libro mi induce a credere che lo sia o possa esserlo.
Potrei dire che lo fa con dedizione, ma se non la desidero concentrata eviterò di dirlo.

Mi è capitato molte volte di sentire un regista che, alla domanda dell’attore: “Questa come la faccio?”, risponde: “Falla come ti viene”. Significa: è un preludio di cui ci interessa fino a un certo punto, l’importante è che si sappia che studi… E questo avviene miriadi di volte anche in narrativa. In questo caso, lo scrittore dice al lettore: immaginala come vuoi, non è importante…
E se il lettore non è un malato di mente Anna non studierà con le gambe sulla scrivania, la schiena nel vuoto e la testa sulla sedia; se non altro perché non si sentirà autorizzato a vederla in questo modo.
Mi sembra ci sia troppo studio di detto e pochissimissimo studio di non-detto, che è tanto importante quanto, se non molto più del detto…
E poi bisognerà che prima o poi che s’affronti seriamente il tema ‘figure retoriche’, che sono i VERI strumenti del narratore…
Inizierei dal protagonista de Il Postino: la metafora.

#466 Comment By Stefano On 1 febbraio 2012 @ 16:54

Mi viene in mente un racconto di Heinrich Von Kleist, ‘La Marchesa d’O.’, del 1808. E’ uno dei più famosi racconti in lingua tedesca. Una ventina di pagine fredde e misteriose, scomode e inquietanti.
Siamo nell’Italia del Nord ma ogni traccia di colore locale è assente: potremmo essere dovunque. Le città e i paesi sono indicati con le sole iniziali, come pure le persone – la Marchesa d’O., il Conte di F. – a meno che non vengano indicate con la qualifica: il Comandante, la moglie del Comandante, il Generale etc.
Descrizioni fisiche zero: del Conte e della Marchesa sappiamo che sono belli; di tutti gli altri nemmeno quello. Così pure le descrizioni d’ambiente, il minimo necessario per far muovere i personaggi.
L’azione si svolge durante una guerra non precisata (anche se la presenza di truppe russe in Italia indica abbastanza chiaramente il 1800, la campagna di Marengo). E’ durante l’assalto alla città da parte delle truppe russe che accade l’evento traumatico che mette in moto l’azione. L’evento è veramente pesante ma non ci viene mostrato in alcun modo; ci rendiamo conto di quel che è successo solo qualche pagina dopo e da quel punto della storia noi sappiamo e i personaggi, tranne uno, no. La storia è come essi, soprattutto la Marchesa, vengono a saperlo e come reagiscono.
In pratica un racconto di pura ‘situazione’, che assomiglia a un riassunto o un diagramma, ma che è incredibilmente efficace (ovviamente non può essere più lungo di quel che è) pur violando letteralmente TUTTE le regole della narrativa moderna. Da un lato ci dimostra che, a volte, si può giocare con le proprie regole; dall’altro ci ricorda la vecchia saggezza secondo cui le regole debbono essere conosciute bene per poterle infrangere con comodo.
(fra l’altro, concordo che la regola ‘show don’t tell’ funziona bene se non è usata troppo maniacalmente. Per esempio, dire di un personaggio che è ‘vecchio’ va benissimo, non è davvero una parola astratta dato che ogni lettore darà senza problemi un volto ‘vecchio’ al personaggio in questione)

#467 Comment By Dan On 1 febbraio 2012 @ 18:54

Interessante…
Forse si tratta d’una critica contro la frigidità analitica dei settecentisti, contro il verismo del ’700… Molto molto coraggioso, come tentativo romantico…
Suggerirei comunque, per ampliare la visuale in merito all”occhio narrativo’, di cui spessissimo si parla, ‘Esercizi di Stile’ di Queneau, traduzione di Eco: un fatterello asciutto e stringato ripetuto un centinaio di volte con stili sempre diversi, proprio per comprendere in quanti modi è possibile dire una cosa.
Esistono stili aulici, lusinghieri, gretti, blasfemi, stili che si focalizzano sul colore (si prenda Morckock, ad esempio), basati sulla recitazione di qualche personaggio spettatore diretto o indiretto, stili ironici, ecc. ecc. ecc.
Non dico che sia errore tutto ciò: nulla è errore, ma di certo questo criterio di scrittura non rappresenta un punto di partenza universale, ed io lo potrò gustare meglio in alcuni lavori e meno in altri…
Verrà fuori meglio con certe idee, meno con altre, per nulla con altre ancora. Ciò che critico non è la passione di G. (stimo profondamente chiunque sia capace di passioni): è una, a mio avviso, mancata obiettività di fondo; così come lei, col suo metro di giudizio, boccia ogni uscita e a volte libri molto importanti, così potrei fare io con i miei e voi coi vostri… ma è stupido. Iniziamo a capire che le persone sono quel che sono, e che ognuno avrà il suo stile personale e la sua capacità personale. Puoi al limite rimproverare di non averla portata alle massime conseguenze, ma è un altro paio di maniche…
Proprio non le riconosco la capacità di saper entrare nel mondo altrui: c’è molta (troppa) centralità in merito alle proprie idee e poca apertura… grave anche nel caso delle stroncature, perché potrò sempre obiettarle secondo queste scuse -non piccole.
Insomma: trapela troppo lei come scrittrice, e il critico è un mestiere (o un’attitudine) decisamente diversa, aldilà dei voti in pagella che si danno… L’obiezione d’un critico non è mai filtrata da un proprio personalissimo e puntiglioso punto di vista sull’arte in generale, e dunque le critiche che escono sono sempre le critiche d’una scrittrice che ama una certa scrittura che puntualmente non riconosce in ciò che compra. Ma questo fa parte di ogni scrittore o aspirante tale: Tolkien disse a Lewis: ‘temo che i libri che piacciono a noi dovremo scriverceli’… E avevano ragione, perché davvero non c’erano.

#468 Comment By Dan On 3 febbraio 2012 @ 10:08

Volendo solo un attimo avvalorare maggiormente il punto di vista di Stefano, mi sento di dire che effettivamente il rischio maggiore, e anche inaspettato, di questo stile lagato al mostrare, e dunque suppongo io a forti descrizioni e dettagli, è, ahimé, la pedanteria. La pedanteria è un vizio da sempre evitarsi, ed è bene ricordarlo, perché è giusto che d’un vantaggio stilistico si colgano pregi e difetti…
Se, come espone G., il pregio è suscitare nella mente del lettore, fedeli immagini da ricordarsi, il contro è o può essere la noia del lettore… ed è una noia da mettere in calco.
Si calcoli infatti che sì, la priorità è sempre a una storia e a una storia molto bella, ma nessun lettore è dotato di pazienza infinita, ed ogni scrittore sa fino a che punto forzarla, quando incoraggiarla, quando metterla alla prova, quando sottotorchio, quando rilassarla e lasciarla a riposo…
Pensiamo (pur se in un aspetto diverso) alla pazienza dello spettatore de Il Signore degli Anelli: dopo forti scontri, shock emotivi ecc., c’è sempre una chetarsi, che è terapeutica e utile anche per tornare sulle cose d’effetto… In termini di ‘fatica’, il fruitore d’un film l’esercita con la sopportazione d’immagini ‘forti’, truculente e stucchevoli -basti pensare che una signora canadese è morta alla vista della crocefissione di The Passion.
Il un libro, la ‘fatica’ è quasi sempre in termini di concentrazione e sopportazione delle trovate descrittive dello scrittore. Si fa presto a rompere la soglia, il patto silenzioso che stabilisce un rapporto prolifico fra le parti, e ad abbandonare un libro promettente a se stesso… Il patto che stabilisce il lettore medio (anche noi, se poi ci facciamo un autoesame) con lo scrittore, è più o meno questo: io ti concedo il mio tempo, ma tu farai in modo che non venga sprecato nemmeno un secondo, mi giuri che tutto ciò che dici mi sarà utile, e non sarà mai davvero superfluo… E in qualità di scrittori a questo patto bisogna tener fede.

Fermo restando che uno stile lo fiuto anzitempo, le trovate descrittive non dovrebbero mai esercitare il lettore più del previsto, e se lo faranno, lo scrittore l’avrà messo in calcolo come ‘cigliegina sulla torta’ (pensiamo alla guerra del fosso di Helm, lunga ma mai estenuante).
Se, ad esempio, l’incipit d’un libro mi vede alle prese con i cavalieri della tavola rotonda, solo un ‘cieco’ fan del mostrato spenderà le prime sette pagine col dirmi di ogni cavaliere, descrivendolo fedelmente affinché il lettore non si senta ‘smarrito’: in un racconto, un lettore si sente smarrito solo se non si racconta… Ai fini della narrazione, ad esempio, potrebbe essere del tutto superfluo sapere del passato di dodici cavalieri; descriverli tutti e dodici, come detto prima, assueferebbe con troppa facilità, e la fiducia iniziale è importante…
Personalmente partirei secco e deciso: “Non c’è più un attimo da perdere!” cominciò -e concluse- l’attempato Re. “Partire è ormai necessario: le legioni di Orchi oltre le nebbie sono oltre l’immaginabile!”.
Poi prenderanno parola altri, e magari, dopo un lungo discorso di tre pagine, del Re concludo solo che è attempato, che ha una corona vetusta sul capo e che la sua barba è screziata di grigio.
Sorvolo rapido sugli altri, deducendo che Percival è un po’ stempiato rispetto all’ultima volta (quale? Non si sa: il lettore ne trarrà una conseguenza), Lancillotto è meno bello d’un tempo e che gl’altri sono molto attenti, chi moro, chi biondo.
Cosa ho fatto? Ho indicato che il protagonista non è il gruppo un po’ arrugginito di Cavalieri, ma l’urgenza della loro Missione, e questo è molto più importante che ricalcare aspetti sui quali potrò tornare quando ci sarà tempo per farlo (ad esempio una cavalcata).
Inoltre non ho mancato di descrivere: ma l’ho fatto secondo un principio di sottrazione, non di addizione… Ho cioè sottratto dalla fantasia del lettore i dati che assolutamente non poteva far propri, non trascurando di fornirgli i principali. Molte volte si arriva ad un’immagine nitida d’un solo personaggio sprecando tutto il tempo della lettura, ma la proprità è sempre alla storia.
La creatività d’uno scrittore è nel comporre una storia riuscita, no nel creare immagini pittoricamente nitide, e il più volte possibili… Cosa si dice del Ponte di Kazadum, su ISdA…? Praticamente nulla, ma un lungo ponte di roccia nel vuoto è sufficientemente evocativo per trarre una forte immagine nel lettore…
E’ come, cioè, se le descrizioni si rendono necessarie ogni qual volta so, sento, deduco, che il mio lettore medio sarebbe totalmente spaesato, senza il mio ausilio, o privo dell’emozione che intendo conferirgli; ma non userò la penna per l’ovvio e per ciò che anche lui può sapere anche meglio di me. Perché se do del deficente (se gli dico che è un inetto privo di qualsivoglia immaginazione) è giusto che mi ridia del deficente…
A mio parere, parole sufficientemente cariche di significato, di storia, d’immaginazione collettiva, di vissuto arcaico, sono il più delle volte da lasciare a se stesse e all’esperienza che il Lettore privatamente ne ha conchiuso. ‘Drago’, ‘Magia’, e se si vuole anche ‘Torre’, ‘Bastione’, ‘Castello’, sono parole talmente cariche di esperienze personali che le intaccherò solo se ne troverò una vera motivazione… E’ assolutamente inutile aggiungere al Drago qualcosa (aveva un collo lungo-lungo, una bocca grande e aguzza di denti, era come un pipistrello gigante con un collo di lucertola; forse il bambino ha bisogno d’una conferma oggettiva del suo immaginario, ma per un adulto questa fatica non è solo superflua, è sciocca), a meno che non intenda dire, ad esempio, che sul muso, oltre alle scaglie, partivano piccoli e grandi corni d’avorio, sempre più grandi man mano che raggiungevano le due lunghe corna di cui era munito. Oppure se il Drago ha due mandibole, e dunque due bocche capaci di due fuochi…
Sulla magia, poi, quando se ne vogliono trarre delle conclusioni diverse rispetto a quelle che anche un bambino immaginerebbe, a mio avviso si fanno per lo più dei grandi buchi nell’acqua: fa chiasso, clamore, ma la magia in quanto tale, con l’accezione primitiva, non la si smuove…

Personalmente calcolo (e spero che ognuno calcoli) anche questo: io, acquirente della storia, esercito il mio diritto sulla storia proprio perché ne trarrò un’esperienza personale, e questa esperienza personale si nutre giocoforza della mia fantasia, caro scrittore, non solo della tua. Tu dovrai aiutare la mia, e non io infilarmi nella tua per adularti… Il prezzo l’ho pagato io, la fatica di leggere è la mia, e tu farai sì che questo viaggio non sia il tuo viaggio, ma il mio. Pertanto, con il prezzo di copertina ho diritto ad un mio sfogo immaginativo che troverà l’ausilio della tua e mia fantasia, in collaborazione; ricorda che i personaggi sono miei, perché l’ho comprati e perché nascono nella mia testa quando ne dici, pertanto baderai di non munirli di troppi orpelli che li legano esclusivamente alla tua. I miei diritti d’acquirente e ascoltatore sono proprio questi, e tu lascerai che io possa esercitarli.
Sappi che io ho già un’esperienza legata al vocabolario, alle parole, e tu avrai la cura di non frapporti sgarbatamente a questa esperienza: non intaccherai con trovate stupide le parole che compongono il mio immaginario, e ne avrai profondo rispetto; pertanto eviterai l’ovvio e il banale…

#469 Comment By Eddy On 6 febbraio 2012 @ 20:41

@ Dan
Guarda, io sono da poco arrivato a capire, almeno in parte, lo “show, don’t tell”. Dato l’esempio che hai portato sui cavalieri della tavola rotonda ne deduco che tu non l’hai capito.
Non è la quantità di dettagli a far funzionare questo stile, ma la tipologia degli stessi, nonché il punto di vista…
Raccontare vita, morte e miracoli dei dodici cavalieri durante il prologo sarebbe inutile, nonché contrario alla filosofia di questo stile, che privilegia il mostrare l’essenziale che serve a mandare avanti la storia stessa… quindi del tuo esempio è proprio sbagliato l’assioma…
Prova a leggere Assault Fairies ;-)

#470 Comment By Dan On 7 febbraio 2012 @ 12:38

Sì, ma io non mi rivolgo a quelli come te che l’hanno capito: so bene da me che lei non applica rigorosamente questi assiomi… Il punto è che leggendo questi manuali non traluce tutto ciò di cui parli, e tu stesso hai detto ‘l’ho capito da poco’… Il punto è questo: le intenzioni possono essere anche buone, e al limite vicinissime, se pur con un corpo diverso, alle mie o a quelle di chiunque… ma bisogna farsi capire. Da questi manuali non ne deduco molto rispetto all’esempio offerto, o comunque debbo calcolare ANCHE e SOPRATTUTTO il fraintendimento… perché un sito su scala internazionale è una responsabilità immensa; voglio volutamente rivolgermi a chi ha frainteso, scusa. Ciao!

#471 Comment By thyangel83 On 4 maggio 2012 @ 14:18

Ci ho messo un po’ a leggere tutti e 3 i Manuali con attenzione. Alla fine, posso commentare tutto con una sola parola: “Grazie.”
Spero soltanto di avere l’intelligenza sufficiente a metterli un po’ in pratica.

#472 Comment By Sandavi On 17 maggio 2012 @ 11:50

mi date un giudizio su questa frase, se vi sembra abbastanza mostrata?

Palya ne approfittò per rimettersi in piedi. Sputò sabbia, e pulì la faccia. Recuperò le sue cose e raccolse i pesci sparsi sul terreno, gettando occhiate fugaci al ragazzo intento a sfilare foglie-ago dai capelli. “Stupido gonfio tacchino, caprone puzzolente!” pensò, incapace di impedire alla sua bocca di piegarsi in un sorriso.

#473 Comment By thyangel83 On 17 maggio 2012 @ 15:46

@ Sandavi

Ti inoltro le mie considerazioni “a caldo”. Non è male. Però ho qualche appunto.
1) “pulì la faccia”. Un po’ indefinito. La sua faccia? O la faccia di chi?
Credo la sua e può darsi che letta in un contesto più ampio la frase abbia un senso compiuto. Io scriverei: “Raccolse le sue cose e si pulì la faccia”. Quel “pulì” potrebbe essere reso anche in modo più specifico, esempio: “si strofinò la fronte con la manica, liberando le ciocche di capelli dalla terra”. Ma non è per forza necessario dilungarsi così tanto. O meglio, dipende sempre dal contesto e dal senso che la scena riveste nell’insieme del racconto.
2) Idem per “cose”: non mi piace mai molto la parola “cosa” perchè è indefinita. Letta così, slegata dal contesto, la frase comunica poco. Magari però prima si è visto che in seguito a uno scontro in bicicletta la ragazza aveva rovesciato la borsetta, dalla cui cerniera aperta erano usciti un pettine, un assorbente e un pacchetto di chewing-gum. Allora “cose” diventa molto più chiaro. Anche in questo caso, la scena pare un frammento estrapolato da un contesto più ampio, pertanto andrebbe valutata nell’insieme del testo.
3) “pensò, incapace di impedire alla sua bocca di piegarsi in un sorriso.” Puoi riassumere in: la sua bocca si piegò in un sorriso.
C’è poi quel “gettando occhiate fugaci” che non mi convince tantissimo, comunque nel complesso il paragrafo non è male. Sarebbe interessante leggere lo stralcio in maniera un po’ più estesa…

In bocca al lupo per il racconto/romanzo!

#474 Comment By Sandavi On 17 maggio 2012 @ 17:25

@thyangel83
che bello avere un punto di vista oggettivo… il “si” me lo sono mangiato con contorno di fave. Per il resto accolgo i suggerimenti, lavorandoci è fantastico vedere come lo scritto diventa meno viscoso. C’è uno spazio nel blog dove pubblicare brani per non intasare le discussioni?

#475 Comment By Lawliet On 25 maggio 2012 @ 17:38

Gamberetta, avrei una domanda: in un racconto sarebbe meglio usare il presente o il passato remoto?
Nella maggior parte dei libri e racconti che ho letto era usato il passato remoto, eppure in alcune storie il presente dà più un’idea di immediatezza, però spesso il passato remoto appare più scorrevole.
Esempio buttato giù al volo:

“Stringo con più forza il violino. Luca mi fa venire voglia di infilargli l’intero archetto in gola quando usa quel tono.
-Abbassa la cresta, è ovvio che l’assassino non sia Matteo, ma Giulio.
Luca alza la testa, mi guarda, le sue unghie affondano nel bracciolo della poltrona.
-è inutile, ho vinto io.- ringhia. La voce non trema, ma la sua schiena è meno dritta. Riconosce che ho ragione. Premo le dita sulle corde e suono una singola nota con un movimento fulmineo.
-Hai sbagliato, come sempre.
Si alza e corre via, la seconda nota accompagna il rumore della porta che sbatte.”

“Strinsi con più forza il violino. Luca mi faceva venire voglia di infilargli l’intero archetto in gola quando usava quel tono.
-Abbassa la cresta, è ovvio che l’assassino non sia Matteo, ma Giulio.
Luca alzò la testa, mi guardò, le sue unghie affondarono nel bracciolo della poltrona.
-è inutile, ho vinto io.- ringhiò. La voce non tremava, ma la sua schiena era meno dritta. Riconosceva che avevo ragione. Premetti le dita sulle corde e suonai una singola nota con un movimento fulmineo.
-Hai sbagliato, come sempre.
Si alzò e corse via, la seconda nota accompagnò il rumore della porta che sbatteva.”

#476 Comment By Lawliet On 25 maggio 2012 @ 17:39

temo che la mia domanda di prima sia leggermente off-topic, ma mi sembrava l’argomento che più ci si poteva avvicinare

#477 Comment By Gamberetta On 26 maggio 2012 @ 10:50

@Lawliet. In prima persona dipende da come hai impostato la storia. Se la storia è in presa diretta con la telecamera nella testa del protagonista, una sorta di flusso di coscienza, io preferisco il presente. È più logico, visto che l’intera narrazione sono i pensieri del protagonista e anche se scrivessi al passato i pensieri diretti li metteresti al presente; ma appunto una prima persona come si deve richiede che la scrittura sia una concatenazione di pensieri diretti, dunque è più razionale usare il presente.
Inoltre il presente è più flessibile: quando per esempio il protagonista ha dei ricordi o ripensa a fatti della storia può usare il passato senza problemi mantenendo fluidità, se sei già al passato devi usare il trapassato che è pesante da leggere.
D’altra parte, se hai impostato la prima persona in modo tradizionale (ovvero con una cornice anche implicita: stiamo leggendo il diario del protagonista, gli appunti che ha lasciato in cella prima dell’esecuzione; oppure ancora il protagonista sta raccontando ai suoi amici o alla sua famiglia), non ci sono controindicazioni a usare il passato: il lettore è già stato avvertito che gli eventi non sono in tempo reale.
E per finire se ti viene più naturale scrivere in prima al passato anche se non c’è cornice fallo pure: ci sono comunque talmente tanti romanzi scritti così che il lettore è abituato e non si farà particolari problemi.

#478 Comment By Lawliet On 26 maggio 2012 @ 13:22

grazie mille :D

#479 Comment By Gwenelan On 10 giugno 2012 @ 04:32

Avrei anche io una domandina, forse troppo semplice… quando un personaggio “sente” qualcosa invece di vederlo, e deduce quel che accade con l’udito, o il tatto, come bisogna regolarsi per mostrare? Ovviamente, prendendo il pg che non vede come POV nella scena. Esempio semplice, un personaggio che origlia quel che accade nella stanza accanto – stanza che lui non ha mai visto. Se sente il rumore di qualcosa che viene trascinato sul pavimento e deduce che è una sedia, ad esempio, bisogna mettere tipo: “Qualcosa viene trascinato sul pavimento.”, oppure aggiungere anche la deduzione (“Qualcosa, forse una sedia, viene trascinata sul pavimento.”)? E nel secondo caso, “forse” andrebbe tolto? Sbaglio e non va bene in nessun modo? Se, invece, la stanza gli fosse molto familiare (tipo casa sua), sarebbe corretto scrivere direttamente: “Mia sorella trascina la sedia.” (sempre assumendo che il pg stia origliando e che noi lo sappiamo da qualche riga)?
Grazie :).

#480 Comment By Gamberetta On 14 giugno 2012 @ 16:39

@Gwenelan. Sì, è giusto come hai pensato: se il personaggio non può avere la certezza di quello che succede, è naturale che faccia delle ipotesi: sente il rumore di legno che gratta contro il pavimento e pensa a una sedia o magari a un comodino. Se invece conosce la stanza e riconosce il rumore, va bene dire direttamente che il rumore è quello della sedia o di quel che è.

#481 Comment By Gwenelan On 15 giugno 2012 @ 01:21

@Gamberetta: Grazie infinite :), è chiaro ora.

#482 Comment By Ludovico On 23 giugno 2012 @ 22:05

Ho appena finito di leggere tutti e tre i manuali. Non solo mi hanno insegnato cose nuove, ma hanno anche dato un ordine chiaro a pensieri e idee che già avevo, ma non riuscivo ad afferrare esattamente.
“Purtroppo” ho già terminato la prima stesura di un mio romanzo (il primo di tanti, spero!) e temo di aver usato troppo raccontato, soprattutto all’inizio. Ma vorrà dire che, magari dopo essermi riletto di nuovo i manuali, mi impegnerò più e più volte per sistemarlo a dovere. Grazie di questi preziosi consigli ^^

P.S: domanda, che c’entra poco o niente con il manuale. Sto leggendo Il piacere di D’Annunzio. Per scuola, ed è una sofferenza. D’Annunzio racconta, non mostra, almeno fino a dove sono arrivato (non so se magari mi mostrerà poi, tramite flashback o altri espedienti, quello che ha solo raccontato). E in più fa paragoni con cose astruse, nominando oggetti concreti (quasi) solo quando sono strani e conoscibili solo da intenditori d’arte (o di altre discipline). D’Annunzio fa tutto ciò perché era (almeno quando ha scritto Il Piacere) un mezzo-incapace o perché quando ha scritto ancora non aveva la possibilità, come dici in questo articolo riguardo ad altri autori, di mostrare e ridurre il raccontato?

P.P.S: Ma “Show, don’t tell” va tradotto proprio “Mostrare, non raccontare”? Perché ho l’impressione che il “raccontare” sia così sminuito; non dovrebbe, almeno in teoria, comprendere in sé il mostrare? Non sarebbe più esatto dire “Mostrare, non dire”? So che, in effetti, non rende più di tanto, ma domando proprio per curiosità.

Grazie ancora di tutto quello che hai scritto nei manuali e delle risposte che mi darai =)

#483 Comment By Gamberetta On 24 giugno 2012 @ 17:59

@Ludovico.

D’Annunzio fa tutto ciò perché era (almeno quando ha scritto Il Piacere) un mezzo-incapace o perché quando ha scritto ancora non aveva la possibilità, come dici in questo articolo riguardo ad altri autori, di mostrare e ridurre il raccontato?

Non ho più letto D’Annunzio dopo la scuola e dunque non lo conosco abbastanza bene per dare un giudizio. Però da quel che mi dici e considerando che Il Piacere è di fine ‘800 si poteva fare di meglio, perciò propendo più per il mezzo-incapace. ^_^

Ma “Show, don’t tell” va tradotto proprio “Mostrare, non raccontare”? Perché ho l’impressione che il “raccontare” sia così sminuito; non dovrebbe, almeno in teoria, comprendere in sé il mostrare? Non sarebbe più esatto dire “Mostrare, non dire”? So che, in effetti, non rende più di tanto, ma domando proprio per curiosità.

Sì, alcuni traducono il “tell” in questa espressione con il verbo italiano “dire”. Non è sbagliato, ma secondo me rende di più “raccontare”. Perché questo è il “tell” del “raccontami una storia!” (“tell me a story!”), ovvero il tradizionale: “C’era una volta una ricca principessa amata da tutti i sudditi del meraviglioso regno di ecc. ecc.” che è proprio il modo sbagliato di narrare.

#484 Comment By Ludovico On 25 giugno 2012 @ 13:03

Grazie delle risposte.
Mi è venuta in mente un’altra domanda. Quando si descrive un faccia (tanto per fare un esempio) si deve mostrare, non dire “Tizio aveva una faccia antipatica”. Ma dal momento che si descrive utilizzando il punto di vista di un personaggio, non sarebbe lecito dare voce anche alle sue reazioni di fronte a una persona, ad un evento?
Sì, magari si potrebbe far vedere che il personaggio, quando interagisce per la prima volta con Tizio, è abbastanza scontroso, ma magari il personaggio non interagirà mai con Tizio, lo vede solo passare per strada e fa caso a lui perché ha una faccia particolarmente antipatica, o particolarmente brutta per lui, o particolarmente qualche altra cosa.
Se una persona sta discutendo con un’altra, oltre alle azioni concrete della prima persona (che è il personaggio punto di vista), risulta inutile mostrare anche un pensiero del tipo. “Quanto è stupido!”?
O ancora: è inutile/sbagliato dire, nel mezzo di una situazione che, per esempio, mette in difficoltà Anna (personaggio punto di vista): “Odiava essere messa in difficoltà. Odiava perdere. Odiava quel tizio.”?

Alla fine le domande sono diventate tre xD
Comunque grazie ancora delle risposte, trovo tutto molto utile :)

#485 Comment By Ludovico On 25 giugno 2012 @ 13:07

Ok, mi ero scordato un pezzo. Riguardo alla prima domanda: una volta che ho descritto una scatoletta rosa, piena di brillantini, utilizzando il pov di Anna, non è lecito scrivere una cosa tipo: “Quanto era graziosa!”?

#486 Comment By Gamberetta On 25 giugno 2012 @ 16:23

@Ludovico. Per rispondere a tutte le domande: se scrivi, con il punto di vista mettiamo di Anna, che Tizio ha un faccia antipatica, non mostri la faccia di Tizio ma mostri la personalità di Anna. Se era questo che volevi fare va bene, se invece ti interessava trasmettere l’antipatia della faccia di Tizio non per Anna, ma in assoluto, non funziona molto.
E d’altra parte: quando Anna pensa che Tizio ha una faccia antipatica perché lo pensa? Quali dettagli glielo fanno pensare? Magari può valere la pena scriverli.
Perciò non è sbagliato, a patto di essere consapevole di cosa stai mostrando.
Così come non è sbagliato che un personaggio pensi che le battute del suo interlocutore sono stupide, sempre però sottolineando che stai mostrando come il personaggio formula i suoi giudizi, non stai mostrando un’oggettiva stupidità delle battute.
Per quanto riguarda la scatoletta rosa: va benissimo mettere il giudizio del personaggio, se vuoi mostrare come ragiona, ma essendo consapevole che lo fai per questo e non per descrivere la graziosità della scatoletta. Se ti viene naturale aggiungere “Quanto era graziosa!”, pensa bene se è perché il personaggio ragiona così o non è perché ti senti insicuro della descrizioni e senti il bisogno di ribadirla. Detto questo l’errore di mostrare & raccontare è il meno grave: se fai pronunciare al personaggio battute stupide e descrivi bene la scatoletta, il fatto di ribadire l’ovvio è solo una piccola ineleganza.

#487 Comment By Ludovico On 25 giugno 2012 @ 16:59

Grazie mille delle risposte! Non so quanti sarebbero disposti a seguire così tanti commenti con così tanta dedizione :)

#488 Comment By Dott.N. On 26 giugno 2012 @ 01:18

Gamberetta,
mi spiace disturbarti, ma vorrei chiederti consiglio su un buon manuale di tecnica di scrittura (cartaceo, italiano, e possibilmente di facile comprensione) , il più completo possibile e non necessariamente riguardante solo il fantastico, basta anche la tecnica rapportata a un generale senso di narrativa. Voglio, infatti, seguire il tuo consiglio di scaricare manuali gratuiti, ma mi piacerebbe anche avere una sorta di ” manuale/manuali primario/primari cartaceo/cartacei” solo a scopo di comodità di studio.

#489 Comment By Sandavi On 26 giugno 2012 @ 22:58

@Dr. N
http://fantasy.gamberi.org/tag/franco-gaudiano/ intanto questo lo ha segnalato la gamberetta, quindi penso che sia valido, anche se non l’ho letto.
Personalmente seguendo sempre i consigli di gamberetta mi sto dando ai manuali americani e andando per gradi, un testo per ciascun argomento, più o meno. Te li consiglio, con un minimo di sforzo ci guadagni enormemente.

#490 Pingback By Troppo “Mostrato”? « Werehare's Burrow On 8 settembre 2012 @ 19:24

[...] articolo completo e curato sul concetto di Mostrare – d’ora in avanti con la maiuscola, per indicare la [...]

#491 Comment By Ombra On 12 ottobre 2012 @ 19:34

Grazie. Devo dire che mi sono divertito a leggere questo manuale. È stato proprio divertente vedere tutti gli errori idioti che faccio di solito :) ho fatto l’esercizio anche se non sono soddisfatto. Eccolo:

Le ali smisero di battere, le gambe si afflosciarono, gli occhi si spensero. Lametta si lasciò cadere, atterrò dolce sui piedi, appoggiò la mano sul grande arbusto, si voltò, premette sul tronco con la schiena, si lasciò strisciare sulla sua superficie e rovinò a terra con il sedere.
«Basta» spalancò la bocca per rifiatare, portò il busto in avanti, si accarezzò le ali impolverate e incrociò le gambe.
«Basta, è da due ore che seguo queste cazzo di briciole, possibile che non riesca a trovare un lavoro? Fortuna che la strada era semplice. Un tubo che è semplice!»
Lametta fissò il gruppo di funghetti bianchi, tirò un sospiro a pieni polmoni, mostrò i denti e grugnì inferocita.
«Questo dannato bosco non l’avrà vinta!» si alzò con il broncio, si spolverò le ginocchia e si diede due pacche sul sedere.
«Forza!»
La fatina agitò le alette e si sollevò da terra luccicando. Puntò l’occhio sulle briciole di polvere di fata e proseguì per il bosco. Sorvolò una schiera di arbusti di rose canine facendo loro una linguaccia. Dribblò in extremis un grosso arbusto di quercia, ne aggirò un altro rischiando di spezzarsi un’ala, finì dentro una siepe di frasche, uscì fuori con tagli e strappi sui vestiti, si schiantò contro un ramo e rovinò a terra con il petto. Sputò fuori la terra ingoiata e gli occhi diventarono lucidi.
«Ma perché devono capitare tutte a me. Non ho una casa, non ho un lavoro, non ho neanche più i vestiti ormai, ho perso pure i miei fermagli e anche i braccialetti. E mi fa male dappertutto! Voglio morireeeeeee»
Lametta sgranò gli occhi togliendosi di dosso le lacrime. Aprì la bocca, premette sul terreno con le ginocchia e con le forze rimaste si alzò in piedi. Imbalsamata alzò le braccia, le portò in avanti, le portò al cielo. Nel suo volto si materializzò un sorriso.
«Urrà! È fatta! È fattaaa!» fece su e giù con le braccia saltellando sul posto e sfornando puntini luccicosi.
Presa da nuova linfa, la fatina si alzò in cielo e svolazzò sulla porta della casetta di fronte. Bussò due volte con tutta la sua forza. Nessuna risposta. Bussò di nuovo dando quattro cannonate. La porta venne aperta per metà da una vecchietta ingobbita con un naso a patata.
«Oh, chi abbiamo qui, una fatina. Sei qui per il lavoro part-time non è vero? Entra, entra pure…» disse la nonnina con un sorriso arcuato.

#492 Comment By lulu On 26 novembre 2012 @ 00:40

stasera stavo leggendo per l’ennesima volta questo interessante articolo e per l’ennesima volta mi è saltato agli occhi una bruttura spacciata per raffinatezza linguistica… ecco a voi:

“Anna entrò nella stanza. Poi si sedette. ” gamberetta dice che è sbagliato.

meglio scrivere:

Anna entrò nella stanza. Si chiuse la porta alle spalle. Si tolse la giacca. Andò alla scrivania e si sedette.

cos’è uno scherzo? paragrafi interi costituiti solamente da soggetto verbo complemento oggetto punto. Ommioddio. riprovate a leggerlo a voce alta, facendo sentire la potenza della pausa-punto.

veramente vi sembra un modo di scrivere decente o scorrevole? non lo è affatto! tantomeno da l’idea al lettore del mostrato. E’ solo un elenco puntato che posso accettare in 2° elementare o al massimo in un fascicolo di catalogazione presente in qualche vecchio ufficio polveroso.

provo a continuare sullo stesso stile, giusto per i più duri di comprendonio. leggetelo a voce alta.

Anna entrò nella stanza. Si chiuse la porta alle spalle. Si tolse la giacca. Andò alla scrivania e si sedette. Aprì il libro a pagina dieci . Si ficcò l’indice dentro al naso. Si alzò e andò alla finestra. scostò le tende e guardò fuori.

non prendiamoci in giro FA SCHIFO. Qualunque contenuto interessantissimo viene automaticamente ASSASSINATO da una forma del genere. mi ripeto: leggetevi gli ingredienti del vostro bagnoschiuma preferito e lo troverete senz’altro più intrigante XD

consiglio a gamberetta, da amica: lavora di più sulla forma, perché se davvero vuoi scrivere (e magari essere pure pagata ) hai davvero mooolta strada davanti ;)

#493 Comment By Emile On 26 novembre 2012 @ 13:42

A volte non riesco a capire se certi commenti sono in malafede o solo genuinamente STUPIDI.
Ma hai fatto lo sforzo di capire il senso di quel passaggio o era troppa la voglia di poter fare un bel reply dove poter sfottere un pò l’odiata G? (non perdere tempo a negare la tua antipatia nei suoi confronti visto che traspare da ogni singola virgola: e non c’è nulla di male se ti sta sulle palle, c’è MOLTISSIMO di male se questo ti porta a scrivere certe vaccate)

Gamberetta sostiene che QUESTO passaggio è sbagliato:

“Anna entrò nella stanza. Poi si sedette e prima di cominciare a studiare si infilò gli occhiali, dopo averli puliti. Fissò la copertina del libro di storia per qualche istante. Improvvisamente le venne voglia di mangiare un gelato, cosa che avrebbe fatto in seguito.”

e ad esso sostituisce

QUESTO

“Anna entrò nella stanza. Si chiuse la porta alle spalle. Si tolse la giacca. Andò alla scrivania e si sedette.”

innegabilmente 10 volte più scorrevole.

Quell’ “Anna entrò nella stanza. Poi si sedette. ” col “poi” cancellato indica semplicemente che, scrivendo in quel modo, la pausa non si percepisce e si può benissimo togliere direttamente il “poi” senza colpo ferire.

Lo ripeto: la frase che hai citato tutta disgustata (“Anna entrò nella stanza. Si chiuse la porta alle spalle. Si tolse la giacca. Andò alla scrivania e si sedette.”) NON era un’alternativa a “Anna entrò nella stanza. Poi si sedette. ” ma a “Anna entrò nella stanza. Poi si sedette e prima di cominciare a studiare si infilò gli occhiali, dopo averli puliti. Fissò la copertina del libro di storia per qualche istante. Improvvisamente le venne voglia di mangiare un gelato, cosa che avrebbe fatto in seguito.” , e se la versione di G non ti pare DECISAMENTE meglio di quella iniziale sei tu che ti stai prendendo in giro.

#494 Comment By Emile On 26 novembre 2012 @ 13:51

Ah, tanto per essere chiari: la frase “Anna entrò nella stanza. Si chiuse la porta alle spalle. Si tolse la giacca. Andò alla scrivania e si sedette.” personalmente non mi convince molto, io l’avrei modificata con “Anna entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle. Si tolse la giacca, andrò alla scrivania e si sedette.”

Questo tanto per chiarire che per me quella frase NON rappresenta Lo Stato dell’Arte e poteva in effetti essere resa più scorrevole.
Ma prima di avanzare una simile critica mi son preso la briga di leggere il passaggio “incriminato” e capire cosa G. stesse effettivamente intendendo.
Dire che la frase da me modificata suona meglio è una mia personale opinione basata su premesse REALI (“G. ha scritto X frase, per me quella X frase potrebbe essere resa più scorrevole”), dire come hai fatto tu che “G. ha sostituito una frasettina di mezza riga con una roba 10 volte più pesante” è una semplice BALLA (la realtà è TOTALMENTE opposta infatti), causata o da un difetto di comprensione macroscopico o da semplice malafede.

#495 Comment By lulu On 26 novembre 2012 @ 23:51

conosco molto bene questo articolo perché mi è stato utilissimo :) altrove ho già criticato “gli elenchi puntati” di gamberetta! con questo mio appunto volevo solo dimostrare che non è una svista passeggera la sua, come mi è stato più volte fatto notare, bensì proprio il suo modo di scrivere (nei suoi scritti è pieno di periodi del genere). poi che l’elenco degli ingredienti del bagnoschiuma di gamberetta sia lievemente meglio della frase ciatta precedentemente è innegabile, ma non è ugualmente accettabile in un libro (imho)

tanto per dire trovo la tua decisamente meglio XD

#496 Comment By Emile On 27 novembre 2012 @ 10:19

Se conosci molto bene questo articolo devo concludere che la tua “svista” era voluta? Che hai detto una BALLA sapendo di farlo, FINGENDO di capire che G. stesse “sostituendo” questo “Anna entrò nella stanza. Poi si sedette. ” con questo “Anna entrò nella stanza. Si chiuse la porta alle spalle. Si tolse la giacca. Andò alla scrivania e si sedette.”?
No perché ora arrivi fischiettando facendo finta di nulla dicendo in pratica “eh bhe ma cmq la frase di G era migliorabile quindi ho ragione lo stesso”, come se tutta la “logica” dietro al tuo precedente discorso non saltasse interamente per aria.

Una cosa è sostenere “sì, Gamberetta ha effettivamente migliorato NETTAMENTE la frase di partenza iniziale, ma si poteva fare ancora di meglio (ma questo non c’entra NULLA con le sue regole, ha semplicemente usato, secondo me, frasi un pò troppo corte in un contesto dove non funzionavano particolarmente bene), una cosa è sostenere “ahahaah visto le regole di G non funzionano, ha preso una frasettina di 4 parole in croce e guardate che ha combinato, studia carissima hhihihihihi XD” che, oltre a suonare tipo la “frecciatina” che potrebbe lanciare una bambina delle medie, è anche una TOTALE mistificazione della realtà.

#497 Comment By lulu On 28 novembre 2012 @ 01:20

lol… non hai capito nulla, va bene credi quel che vuoi. La discussione mi sta già annoiando, peccato, poteva essere un confronto interessante e intelligente ;)

aggiungo che non ho detto che ha nettamente migliorato…ho detto che era un pochino meglio, ma FA SCHIFO uguale. La verità è che gamberetta scrive periodi così brutti ovunque …nemmeno si accorge di quanto siano poco scorrevoli e forzati. Anzi crede siano “mostrare” L’ha scritto qui, l’ha scritto nel blog, l’ha scritto nel suo racconto etc etc

rileggendo questo articolo mi è saltato all’occhio che questa schifezza era presente anche in una frase di riferimento importante (per cui per forza di cose letta e riletta dall’autrice) ergo questi errori grossolani non sono un caso o una svista (come mi è stato detto in questo blog altre volte) , ma la normalità per lei!!!

aggiungo per chi poverino non ci arriva che correggere una cosa oscena con una cosa un pochino meno oscena è ugualmente sbagliato X°D

#498 Comment By Emile On 28 novembre 2012 @ 11:57

“lol non hai capito nulla”, ovvero “porc mi hai INCHIODATA AL MURO usando la logica, non ho la minima idea di cosa argomentare per uscire dall’angolino e mi metto a sparare frasettine ad effetto prive di qualsiasi contenuto per tentare di svicolare”

Non funziona, spiacente.

[“Anna entrò nella stanza. Poi si sedette. ” gamberetta dice che è sbagliato.

meglio scrivere:

Anna entrò nella stanza. Si chiuse la porta alle spalle. Si tolse la giacca. Andò alla scrivania e si sedette.

cos’è uno scherzo? ]

Non ho bisogno di rispiegare per l’ennesima volta perché il pezzo che ho appena quotato sintetizza perfettamente la totale idiozia e/o malafede del tuo primo reply, lo riporto alla luce giusto per ribadirlo di nuovo, che è tutta salute :)

#499 Comment By Gamberetta On 2 dicembre 2012 @ 19:48

@lulu. Il punto non è se le mie frasi siano scorrevoli o no, oppure se siano adatte o no frasi corte e semplici, il punto è trasformare il “poi” in qualcosa di concreto.
Quando scrivi:

Anna entrò nella stanza. Poi si sedette.

Vuoi segnalare al lettore una pausa tra l’azione di entrare nella stanza e l’azione di sedersi, per quello metti “poi”. Tuttavia il lettore come dovrebbe immaginare questa pausa? Cosa fa Anna durante quel “poi”? Sarebbe meglio scriverlo. Io ho fatto una proposta, ma niente ti vieta di riempire il “poi” come preferisci. Magari ti piace di più:

Anna entrò nella stanza e alzò la testa al soffitto, dove i ragni avevano intessuto decine di ragnatele dal lampadario arrugginito fino alla macchia di umidità nell’angolo sopra la finestra. Anna sospirò e si sedette.

D’altra parte se quel “poi” non aveva particolare significato, se non sottintendeva una pausa “interessante”, è inutile metterlo, e puoi scrivere:

Anna entrò nella stanza e si sedette.

Da notare che se persisti a scrivere:

Anna entrò nella stanza. Poi si sedette.

nessuno verrà a casa tua a morsicarti le caviglie e il 99,99% dei lettori non si accorgerà di niente di sbagliato, tuttavia tu stessa dovresti riflettere sul perché hai scritto quel “poi”. Magari scopri che fra l’entrare nella stanza e il sedersi Anna compie delle azioni che sarebbe bello riferire al lettore.

#500 Comment By lulu On 5 dicembre 2012 @ 01:20

come spesso accade i sudditi sono più realisti del re ;)

Gamberetta la tua risposta mi è piaciuta, e sono d’accordo con te e con la tua spiegazione. Resta il fatto che spesso non mi piace il tuo stile di scrittura ma questo non toglie nulla ai tuoi consigli che sono invece ottimi ;) ( alcuni capitoli di questo blog li so letteralmente a memoria ^_^)

poi il mio parere è sicuramente personale, ma credo che possa essere abbastanza condiviso, per cui facci un pensiero ;P

#501 Pingback By Segnalazioni del venerdì II – Il blog di Studio83 On 4 febbraio 2013 @ 13:40

[...] poi segnalare un articolo (Manuali 3) apparso un paio di mesi fa su Gamberi Fantasy, nel quale Gamberetta approfondisce, basandosi su [...]

#502 Comment By Pipkin On 7 febbraio 2013 @ 10:09

Ho letto tutte e tre le guide con moltissimo interesse, ti ringrazio per aver scritto tutto ciò. È stato un piacere leggerle!

#503 Pingback By Francesco Barbi – blog | Io sono libero? On 22 marzo 2013 @ 11:30

[...] Manuali 3 – mostrare su Gamberi Fantasy: http://fantasy.gamberi.org/2010/11/18/manuali-3-mostrare/ [...]

#504 Pingback By Manuali di scrittura (non miei) | Cal the Pal On 3 settembre 2013 @ 14:31

[...] Qualche riflessione sullo Show don’t Tell [...]

#505 Pingback By Madame Freida su Skan Magazine numero 13 | Herr Joe & Madame Freida On 22 ottobre 2013 @ 16:42

[…] da Gamberetta nei suoi millemila articoli (qui uno per tutti, e segnalo anche il paragrafo: Il mostrare e la verosimiglianza), per cui avere come protagonisti uomini nello spazio, alieni o elfi dei boschi non è una […]

#506 Comment By Donna Hawthorne On 1 gennaio 2014 @ 15:19

Ciao a tutti :)
Spero che qualcuno qui possa chiarire i miei dubbi sul mostrare, sperando non siano troppo stupidi (spero me lo perdonerete vista la giovane età e l’ignoranza abissale :D). Vorrei capire se il mio è un problema di documentazione o altro, e come potrei muovermi per risolverlo.
Come si può mostrare in maniera convincente qualcosa che pochi hanno sperimentato, a maggior ragione se quel ‘qualcosa’ provoca la morte dei suddetti (o l’isolamento a livello sociale, o il coma, o il ‘rimanerci’, o altre conseguenze che impediscono loro di raccontarla)? Come si possono descrivere in maniera realistica le sensazioni provate nel, che so, morire di decompressione esplosiva? Nell’essere vittime del fosforo bianco? Nel subire un’operazione chirurgica senza anestesia? Nel fare un placido bagno nell’azoto liquido o al circolo polare artico, nell’essere bruciati vivi? Nel ‘rimanerci sotto’ con gli acidi?
Ho esagerato, certo, ma anche, molto più semplicemente, come si mostrano le sensazioni di chi ha provato una determinata droga o farmaco? Per esperienza personale, la presenza di certi dettagli nel descrivere una sensazione (per esempio indotta da una droga) fa capire subito, a chi l’ha provata, se il narratore conosce ciò di qui parla. Allo stesso tempo una persona estranea non riuscirebbe mai ad immaginarsi quei dettagli (che quindi sono ciò che rende veramente realistica una scena). Spesso inoltre chi ha vissuto certe esperienze è restio a raccontarle, anche per motivi sociali (la ‘fratellanza’ nel gruppo di tossicodipendenti e l’opposizione nei confronti degli ‘altri’).
Come si può risolvere questo problema? Devo documentarmi più a fondo? L’unica soluzione è la fantasia (che però minerebbe la credibilità)? Qualcuno può aiutarmi?
Grazie

#507 Comment By Ste On 8 gennaio 2014 @ 14:55

Premetto che non ho ben capito la tua domanda.
Prendiamo l’esempio dell’azoto liquido.
Se a finirci dentro non è il protagonista, non è quello nella cui testa c’è la “telecamera” del racconto devi solo descrivere cosa gli accade esteriormente, chi lo vede, come tu stesso dici, non può sapere cosa “prova dentro”.
Se è il protagonista… bhè tanto muore e nell’azoto liquido non ha nemmeno il tempo di pensare (diverso è il caso del ghigliottinamento dove la testa rimane viva ancora per qualche secondo) quindi fine.
Nei casi meno drammatici, cerca e informati. E’ probabile che troverai ciò che cerchi. Però ricordati di distinguere ciò che accada al protagonista (POV) da ciò che gli accade attorno. Prendi te stesso, tu sei il protagonsita della tua vita: non puoi sapere cosa pensa quello accanto a te, puoi immaginarlo, ma non puoi saperlo.

#508 Pingback By Il Mercoledì degli Scatoloni, consigli agli scrittori, show don’t tell | È scrivere On 5 marzo 2014 @ 09:30

[…] Un divertente e completo campionario di esempi: http://fantasy.gamberi.org/2010/11/18/manuali-3-mostrare/ […]

#509 Comment By Donna Hawthorne On 20 maggio 2014 @ 17:44

Per fare degli esempi…come posso sapere qual è l’odore del crack, o come si svolge una scena realistica di contrattazione fra spacciatori, se non frequento l’ambiente? Come posso sapere cosa fanno tutto il giorno i senzatetto? In generale, come faccio a documentarmi circa quelle situazioni per cui non posso chiedere ai diretti interessati, e di cui non si trovano informazioni (che io sappia)?
Grazie :)

#510 Comment By Ly On 30 maggio 2014 @ 23:34

Donna, in realtà su tutte le cose che hai citato si possono trovare informazioni, anche abbastanza dettagliate.
Tu non vuoi andare a vivere con i senzatetto, né andare a fare passeggiate dalle parti in cui bazzica Pete Siringa (nemmeno io, se è per questo), ma c’è qualcuno che l’ha fatto. Ci sono documentari, reportage di giornalisti (gente il cui scopo era proprio quello di mostrarti la realtà com’è, fartela conoscere come se la stessi vivendo in prima persona) reperibili facilmente su internet, in biblioteca, in libreria. Certo, sono tutti “punti di vista” diversi dal tuo, sono documenti, ma bastano e avanzano (una volta che hai visto tutti quelli che sei riuscita a trovare, e hai trovato tutti quelli che fosse possibile rintracciare con i mezzi a tua disposizione) per farti conoscere certe realtà in modo da poterne scrivere onestamente, invece di inventare cose a caso usando il “cuore” e “l’anima” e il “sentimento” tanto cari a molti scribacchini.

Documentarsi non significa vivere qualcosa in prima persona, io posso documentarmi sulla Grande Guerra tanto da arrivare a conoscere al meglio le condizioni dei poveri cristi che l’hanno combattuta – non l’ho vissuta in prima persona (grazie al cielo), ma se scrivo si ipotizza che abbia una certa immaginazione e che sia almeno un pizzichino empatica, e saranno empatia ed immaginazione a supplire a ciò che manca.

Per quanto riguarda l’odore del crack, no, non lo conoscerai mai a meno che tu non vada dallo spacciatore di cui sopra a comprarne un po’ – ma a cosa serve l’odore del crack alla narrazione? Se non lo descrivi, ti diventa impossibile andare avanti nella storia, oppure i tuoi personaggi continuano ad agire indisturbati? Credo la seconda ;)

#511 Comment By Ly On 30 maggio 2014 @ 23:56

Aggiungo al mio commento precedente: finché si è giovani, o alle prime armi, ben vengano i documenti di cui ho parlato. Ma uno scrittore professionista e professionale, uno scrittore serio, DEVE fare un passo oltre. Laddove possibile, nei documenti va affiancata la ricerca diretta!
Non puoi andare a vivere per strada, ma puoi andare a parlare con i senzatetto.
Non puoi diventare uno spacciatore, ma puoi andare in una comunità a parlare con gli ex-tossicodipendenti.

Anche nel caso della Grande Guerra che ho citato si possono fare ricerche personali. Non potrò trovare nessuno che l’abbia combattuta, ma posso andare a casa dei figli e dei nipoti e parlare con loro, cosa raccontava il nonno? Ci sono foto, lettere, diari? Sono sempre documenti, ma l’autore se l’è andati a scovare invece di trovarseli in un libro.

In sintesi: bisogna alzarsi dalla sedia! La chiave è sempre quella. Internet aiuta moltissimo, e quasi su qualunque argomento, ma non può darti tutto, quasi su nessun argomento. Troppo facile (e troppo poco divertente!)

Ciò non toglie che vanno consultati tutti i documenti che si riescao a trovare, se c’è qualcosa che possa aiutarlo a saperne di più l’autore ha il dovere nei confronti dei lettori di studiarla per non scrivere fregnacce.

#512 Comment By Donna Hawthorne On 6 giugno 2014 @ 20:43

Hai dato una risposta a tutti i miei dubbi, grazie mille! :)

#513 Pingback By Le miracolose eccezioni della fisica nella fiction | Un fiume da un panno strizzato On 5 agosto 2014 @ 07:50

[…] sospensione dell’incredulità ha già parlato Gamberetta nel suo manuale sul mostrare: la sospensione deve essere conseguita, malgrado la presenza di un elemento irrealistico, ponendo […]

#514 Comment By Lucre On 30 ottobre 2014 @ 17:30

Ciao, grazie per questi manuali. Ho imparato tantissimo e tutt’ora torno a leggerli. Volevo chiederti un parere. Cosa ne pensi del paragrafo informativo ad inizio capitolo? Robin Hobb utilizza questo metodo nella Saga dei Lungavista, narrato in prima persona. Per spiegare al lettore determinati argomenti, che verranno magari trattati nei dialoghi del capitolo, scrive alcune informazioni attraverso il protagonista, salta un rigo e poi inizia il capitolo vero e proprio. Secondo te è una buona soluzione per informare il lettore o si rischia di annoiarlo?

#515 Comment By Beppe On 17 dicembre 2014 @ 16:25

Ciao Chiara, complimenti per il blog, volevo chiederti, nell’esempio della fatina fiammetta, quando tu scrivi.
“Il gatto, doveva essere stato il gatto. Il felino si era strusciato contro la teiera e aveva smosso il coperchio.”
Non era meglio scrivere.
“Il gatto, dev’essere stato il gatto. Il bastardo avrà smosso il coperchio strusciando contro la teiera.”
Come l’hai scritta tu non è un errore nella gestione del pdv.
Ti ringrazio in anticipo per la risposta.
P.S. chiedo scusa se ho detto una cacchiata.

#516 Pingback By Bacheca – Giuseppe Menconi Narrativa On 20 agosto 2016 @ 18:30

[…] Mostrare: http://fantasy.gamberi.org/2010/11/18/manuali-3-mostrare/ […]


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