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Garmir l’Eclissiomante – Capitolo 3

Pubblicato da Gamberetta il 20 dicembre 2008 @ 18:10 in | Comments Disabled

Garmir si risvegliò con la sensazione di avere una guancia umida e appiccicosa. Strinse gli occhi per abituarsi alla luce, poi si passò una mano sulla faccia per capire cosa fosse quella sostanza viscida.
Crinevento, il suo fedele destriero, glielo spiegò leccandogli anche l’altra guancia.
«Ahh, ma cosa sei, un cane?!» Garmir scattò in piedi e si asciugò con la manica della preziosissima tunica da eclissiomante. Quindi iniziò a svestirsi.
«Avevo già intenzione di cambiarmi, non mi serviva un motivo in più!» sbottò.
Crinevento lo squadrò, come a dire «non te l’ho chiesto io di pulirti con la manica.»
Garmir scosse il capo divertito e si mise i vestiti da viaggio.
Pantaloni resistenti, una maglia di canapa e un mantello con cappuccio.
Poi sellò Crinevento, montò in groppa e lo spronò al galoppo.
Arrivò al Cerchio delle Rocce Verdi, luogo in cui aveva appuntamento con i suoi compagni di viaggio, prima di mezzodì.
C’erano sette enormi pietre di basalto, poste in circolo, le cui ombre disegnavano figure misteriose sull’erba fresca; ogni pietra monolitica era ricoperta da una spessa coltre di muschio color smeraldo. Si diceva che crescesse soltanto su quelle particolari pietre, e che al suo interno abitasse uno spirito benevolo, in grado di
portare la felicità. Garmir non sapeva se fosse vero, ma sentiva che quel luogo era permeato di una forza magica, antica quanto il mondo.
Scese da cavallo e si avvicinò tenendo Crinevento per le briglie, ma subito si arrestò. Un ragazzo sui vent’anni, dai lunghi capelli biondi e con gli occhi azzurri, stava al centro del Cerchio. Indossava vestiti comuni come i suoi, ma il mantello blu con il simbolo di una goccia era il chiaro segno che si trattava di un idromante.
Garmir sgranò gli occhi.
«Kipam?»
Il ragazzo si girò verso di lui e rimase di sasso.
«Garmir?»
L’eclissiomante annuì, lasciò Crinevento e corse verso il suo amico d’infanzia che lo accolse a braccia aperte ridendo.
«Ah, ah! Figlio di un kravonk!» esclamò l’idromante. «Da quanto tempo?!»
«Tanti anni, Kipam, tanti anni!» Garmir si staccò dall’abbraccio:
«Mi sei mancato, amico!»
«Anche tu. Non sai quanto.» I due maghi si strinsero gli avambracci in segno di saluto. «Mio padre non mi lasciava uscire da quella dannata scuola.»
«Era ancora convinto di poter fare di te il nuovo Gran Consigliere Oceanico?»
«Convintissimo», Kipam sorrise. «Non aveva ancora capito che era una causa persa.»
«Allora come hai fatto ad andartene?»
«È venuto un messo degli eclissiomanti e mi ha detto che dovevo andare al Cerchio delle Rocce Verdi e che da lì mi sarei dovuto recare nelle Terre Innominate per salvare il mondo. O qualcosa del genere.»
«E tu cosa gli hai risposto?»
«Che avrei accettato qualsiasi cosa ma che dovevano trovare un modo per farmi uscire di lì.»
«Gli hai detto subito sì?»
Garmir era sconcertato. Perfino lui, che era abituato a eseguire tutti gli ordini che gli venivano impartiti, si era mostrato titubante. Le Terre Innominate erano pericolose, popolate di creature ostili, non era una missione da prendere alla leggera.
«Mi conosci, no? Non ce la facevo più a stare là dentro. Voglio dire, niente divertimento, niente spazi aperti, niente ragazze! Niente ragazze, capisci?»
Garmir rise. Aveva afferrato il motivo principale della sua fuga.
«E poi», continuò Kipam, «pensavo che quell’eclissiomante non dicesse sul serio. Invece il giorno dopo ritorna e mi annuncia:
“Signor Loreki, lei è ufficialmente libero di andarsene. Si ricordi però che è vincolato alla promessa fatta e che deve recarsi al Cerchio delle Rocce Verdi nella data stabilita”.»
«Non posso crederci.» Garmir scosse la testa: «Com’è possibile che sia riuscito a convincere tuo padre? Lo conosco abbastanza da sapere che è irremovibile».
«Gli hanno dato un documento firmato sia dal Maestro del Sole che della Luna il quale mi autorizzava a lasciare la scuola. Sapevo che mio padre lo avrebbe stracciato e mi avrebbe trattenuto con qualche incantesimo, però…»
«Però?» lo incalzò Garmir.
«Però l’ho protetto con un incantesimo di mia invenzione. Ti ricordi il “mantieni-la-parola”?»
«Oh…» Garmir scoppiò in una risata fragorosa e Kipam lo imitò. «Non posso credere che… ah ah! Non ci credo!»
«Invece è proprio così! Non appena il mio vecchio ha letto il documento dicendosi disposto ad accettarlo, il “mantieni-la-parola” si è attivato. Quando lo ha preso in mano per stracciarlo è stato avvolto da una cortina di ghiaccio ed è rimasto ibernato!»
«A quel punto sei scappato?»
«Naturale. Ho preso in prestito il suo cavallo e ho viaggiato sin qui. Sono un giorno in anticipo. A proposito, tu che ci fai qui? Fai parte dello stesso gruppo di pazzi avventurieri?»
«Sì. Sono a capo della spedizione.»
«Ottimo!» esclamò Kipam. «Così mi spiegherai in che guaio mi sono cacciato! Prima, però, mettiamoci comodi.»
Garmir uscì dal Cerchio seguito da Kipam, poggiò la sua sacca ed estrasse tutto l’occorrente per montare una tenda.
«Spaziosa quella borsa», commentò Kipam, ma Garmir non sembrò farci caso, intento com’era a capire come creare un riparo.
«Non potresti aiutarmi invece di startene con le mani in mano?» lo ammonì dopo alcuni goffi tentativi.
«Non ci insegnano a montare le tende alla scuola!»
«Non ce n’è bisogno.»
«Come no!» ribatté l’eclissiomante, sarcastico. «E cosa pensi di fare qui fuori? Guarda il cielo!»
Una massa di nuvole gonfie di pioggia si stava addensando, pronta a scatenarsi in un nubifragio.
«Non posso fermare la pioggia», commentò Kipam sprezzante, «ma posso creare un riparo migliore di una tenda. Sta’ a vedere.»
Kipam si diresse nuovamente all’interno del Cerchio.
«Ti consiglio di seguirmi, e porta anche il tuo cavallo.»
«Si chiama Crinevento.»
«Bell’animale. Oh, a proposito…»
Kipam fischiò e dagli alberi emerse un cavallo nero che si avvicinò al trotto.
«Lui è Nottefonda», spiegò Kipam, «il destriero di mio padre.»
Quando tutti furono all’interno del Cerchio, Kipam piantò i piedi bene in terra e levò la mano sinistra verso l’alto con l’indice teso.
«Che la rugiada diventi cristallo!» pronunciò.
Subito l’umidità dell’aria si condensò sul suo dito creando una goccia che, quando fu abbastanza grande, invece di scivolare si solidificò in una sfera.
«Questo incantesimo non ha alcun utilizzo normalmente, ma io ne ho trovato uno», si vantò l’idromante, poi puntò l’indice verso terra e recitò: «Ascoltami, Dea dei venti di pioggia, danzatrice nel sacro ballo, unisci alla terra rozza la purezza del cristallo!»
Un raggio partì dalla sfera collegandola al suolo. Quindi, con lo stesso raggio, Kipam disegnò un ampio cerchio attorno a loro, facendo dissolvere la sfera subito dopo con un rapido movimento della mano. Dove il raggio aveva sfiorato il terreno si era creata una striscia rilucente.
«Tranquillo, tra poco ho finito… Purezza, Ricoprici!»
Kipam saltò all’interno del cerchio, che venne subito sormontato da una cupola di cristallo trasparente.
«Be’, non dici niente?»
Garmir era rimasto senza parole. In poco tempo l’idromante aveva creato dal nulla una magnifica cupola, che proteggeva dal freddo e dalle intemperie, permettendo però di continuare a guardare il cielo. Il rifugio perfetto.
«Kipam, sei un genio della magia! Credo che nessuno ci abbia mai pensato.»
«Sì, certo, credo di no…»
«Appena in tempo!» esclamò l’eclissiomante.

Una goccia aveva colpito la cupola. Poco dopo ne caddero delle altre, e in breve tempo si scatenò una vera e propria tempesta.
«Allora, vuoi spiegarmi il motivo di questa missione? Il vostro messo ha detto un sacco di cose senza senso, ma avrò sicuramente capito male.»
Quando Garmir glielo spiegò, si accorse di aver capito benissimo. Quindi, come se nulla fosse, prese una bottiglia dalla bisaccia che teneva al fianco di Nottefonda.
«Hai avuto il tempo di prendere il vino mentre scappavi?» chiese Garmir incredulo.
«No…» Kipam scosse la testa, «…questo è idromele.» Quindi stappò la bottiglia e porgendola all’amico esclamò: «Un brindisi ai pazzi di questo mondo!»
«Ai pazzi di questo mondo!» gli fece eco Garmir, prendendone un sorso. «Aaah! È forte!»
«Certo che è forte, è idromele! Passamelo, dai!»
Mentre tutto intorno a loro infuriava la tempesta, rimasero a bere, a mangiare e a chiacchierare protetti dalla cupola. Entro un’ora la bottiglia era già vuota. Seduti, con la schiena appoggiata ai monoliti coperti di muschio, socchiusero gli occhi assaporando il tepore dell’idromele e cullati dalla dolce vibrazione prodotta dalla pioggia sulla cupola.
«Raccontami della scuola», disse improvvisamente Garmir.
«Non ci sono mai stato.»
«La mia scuola? È davvero bella, sai…» Kipam si attaccò alla bottiglia per cercare l’ultima goccia rimasta, «una cosa spettacolare, dico sul serio!»
«Sì, ma… com’è?»
«Il pavimento è un unico blocco di acquamarina trasparente», raccontò Kipam, «attraverso il quale si vede la roccia. È stupendo, Garmir… grazie a quel pavimento la montagna sembra il mare. Spesso quando ci camminavo sopra, mi sentivo sprofondare.»
«Un blocco unico di acquamarina?» replicò Garmir. «Non esiste una pietra preziosa così grande nelle Terre Vive!»
Kipam ridacchiò. «Infatti è acquamarina sintetica, un preparato alchemico. Ma ha le stesse qualità di quella vera, te lo posso assicurare.»
«Un regalo dei piromanti?»
Kipam annuì.
«Le pareti invece sono dipinte di un blu molto intenso con immagini di balene e delfini. Ma adesso viene la parte migliore…»
«Cioè?»
«Il soffitto.» Kipam si sdraiò a terra ed indicò la volta della cupola.
«Grazie a qualche magia, la pittura blu e bianca che lo ricopre si allontana e si scontra, creando l’effetto dell’Oceano in tempesta.»
«Mi sembra un bel posto, no?»
«Prova a starci per anni senza uscire mai!» replicò, rimettendosi a sedere. «Dopo qualche tempo inizieresti a odiare ogni sfumatura di blu… celeste, indaco, oltremare, zaffiro…!»
«Ah ah! Posso immaginarlo!»
La conversazione venne interrotta da un suono. Il cristallo produsse una vibrazione più intensa, seguita da altre tre. Fuori, nella pioggia, una figura avvolta in un mantello li stava guardando.
«Abbiamo ospiti!» esclamò Kipam tirandosi faticosamente in piedi.
«Chi può essere?» si chiese Garmir. «L’appuntamento era per domani.»
La figura bussò ancora.
«Facciamolo entrare!» decise Kipam. «Non possiamo lasciarlo lì sotto la pioggia!»
«Be’, se si trova al Cerchio deve per forza far parte del nostro gruppo… non credo che vengano molte persone qui, specialmente quando piove!» fece una pausa. «Però sarà meglio accogliere l’ospite da sobri. Non faremmo una bella figura nello stato in cui siamo.»
Detto questo, recitò un breve incantesimo sottovoce e una nebbiolina gialla fuoriuscì dai loro corpi dileguandosi attraverso le pareti della cupola. Ora non avevano più alcol nel sangue. Garmir guardò l’amico e annuì.
«D’accordo…» disse. «Dividi i flutti selvaggi!»
Nella cupola si aprì un varco abbastanza grande da far passare una persona. Lo scroscio della pioggia invase le loro orecchie mentre la figura ammantata entrava con un sospiro di sollievo, poi il passaggio si richiuse.
Il nuovo arrivato si tolse il cappuccio e si ravvivò i lunghi e fluenti capelli neri.
«Salve», disse, «mi chiamo Sadlilit.»
Era una ragazza.

Sadlilit, avvolta in un pesante mantello bordato di pelliccia che tuttavia lasciava intravedere la sua figura leggiadra e minuta, era molto graziosa. Gli occhi azzurri della forma di una mandorla erano leggermente arrossati, segno che aveva pianto a lungo prima di arrivare lì. Doveva avere sedici o diciassette anni.
«Ciao!» la salutò Kipam. «Accomodati pure!»
«Non essere scortese, Kipam!» lo rimproverò Garmir, «lei si è presentata, facciamolo anche noi», e si avvicinò alla ragazza tendendole la mano.
«Io sono Garmir Fandel, eclissiomante del Sole.»
Sadlilit lo guardò negli occhi.
“Stupido!” pensò Garmir. “Non dovevo dirglielo subito che sono un eclissiomante! Così le ho fatto paura!”
«Piacere, Garmir!» disse lei. «Io sono Sadlilit. Bel riparo che avete creato, l’hai fatto tu?»
«No!» intervenne Kipam. «L’ho fatto io. Kipam Loreki, idromante, per servirti», e le strinse la mano accennando un inchino.
«Piacere, Kipam. Siete anche voi qui per la stessa… cosa?»
«Il viaggio nelle Terre Innominate?» chiese Garmir.
Lei annuì.
«Sì. Però sei in anticipo. L’appuntamento era per domani.»
«Lo… lo so», Sadlilit guardò a terra, «ma sono stata cacciata di casa. Non sapevo dove andare, quindi…»
«Sei stata cacciata di casa?!» chiese Kipam, incredulo. «E per quale ragione?»
«Io…» Sadlilit tirò su col naso e rimase in silenzio.
«Scusalo, Sadlilit», si apprestò a dire Garmir, «non devi dire niente se non vuoi.»
«No, forse mi farà bene parlare con qualcuno…» sospirò,
«…tanto lo verreste a sapere, prima o poi.»
Sadlilit fece una lunga pausa, poi si sedette a gambe incrociate.
«Sono stata cacciata perché… be’, per queste», e si scostò i capelli scoprendo due orecchie a punta.
Kipam rimase a bocca aperta, Garmir invece si avvicinò: «Sei un’elfa?» chiese.
Le labbra della ragazza si corrugarono in un sorriso amaro.
«Non si vede?»
«Vivevi sul mare?»
«Sì», Sadlilit si incuriosì, «ma tu come fai a saperlo?»
«Il Grande Maestro eclissiomante mi ha dato una descrizione di ognuno dei membri della spedizione.»
«Abitavo con mio padre sulla sua nave, la “Squalo Feroce”», la voce di Sadlilit tremò un poco. «Poi due giorni fa è arrivato un messo inviato da voi eclissiomanti e mi ha raccontato di questa missione», aggiunse cercando di calmarsi. «Io non volevo accettare, e non riuscivo a capire come facessi a essere tanto importante per la salvezza delle Terre. L’eclissiomante allora mi ha dato un oggetto.» Sadlilit chiuse gli occhi. «Me lo ricordo bene. Era a forma di foglia, trasparente, e pulsava di una luce ovattata. L’eclissiomante lo ha chiamato Nedrüna Anladis.»
«Il “Sangue Veritiero”», disse Garmir, «conosco quell’oggetto.»
«Mi ha detto di toccarlo. E quando l’ho fatto sono apparsi degli strani simboli rossi. Non so come, ma sono riuscita a decifrarli. Ricordo anche le parole: Delha teroh nedrüna, fedrun derka miyadorel. Allora l’eclissiomante mi ha detto…»
«…che eri un’elfa di sangue puro», concluse Garmir. «La scritta recita “Questo tuo sangue appartiene al popolo silvano”, o qualcosa di simile. Soltanto un elfo puro può leggerla.»
«Ma come?» Kipam si avvicinò: «I tuoi genitori erano elfi?»
«No, è questo…» Sadlilit represse un singhiozzo, «che è strano. I miei genitori sono entrambi umani.»
«Non è possibile.» Garmir si grattò il naso. «Forse un antenato o… ma no, non saresti di sangue puro! Sei stata adottata?»
«Nemmeno.» Sadlilit scosse la testa e i suoi occhi brillarono.
«Erano i miei veri genitori. Mia madre ci ha lasciato quando ero ancora piccola ma mio padre mi ha sempre voluto…»
Sadlilit scoppiò a piangere. Le lacrime che aveva trattenuto sgorgarono, bagnando i dolci lineamenti del suo viso. Per lo sconforto si accasciò a terra.
«È tutta colpa mia, tutta colpa mia! Odio queste orecchie, questi capelli, questi occhi, odio essere un’elfa!»
Kipam si inginocchiò accanto a lei.
«Ma… ma come, tuo padre non lo sapeva già che eri un’elfa?» le chiese.
«No…» rispose, «credeva che lo fossi solo in parte, ma ora è diverso. Gli elfi sono considerati esseri pericolosi che usano la magia per esaudire i più piccoli capricci, e questo è considerato sacrilegio.»
«Ti ha cacciata per questo?» chiese Garmir, stupito.
«Sì.» Sadlilit tirò su col naso e si asciugò le lacrime. «Oh, scusatemi, io…»
«Ma figurati», disse Kipam, «piuttosto, vuoi davvero venire con noi? Le Terre Innominate sono molto pericolose per una ragazza!»
Garmir guardò l’amico.
“Ma non ha scelta, non hai capito?” pensò, “Non può tirarsi indietro. Come prescelta è obbligata a partire con noi alla ricerca del suo Sigillo.”
«E dove dovrei andare?» disse lei, con il petto ancora scosso da tremiti. «Ora che mio padre mi ha ripudiata non ho più una casa. Verrò con voi, a patto che mi insegniate a utilizzare i poteri che scorrono nelle mie vene», inspirò profondamente. «Se sono un’elfa voglio esserlo fino in fondo!»
«Così si reagisce!» si complimentò Kipam. «Ma… davvero non sai usare la magia elfica? Dovrebbe essere una cosa istintiva per quelli della vostra spe…» si bloccò ed arrossì. «…Per te.»
«Sì, è vero, dovrebbe essere una cosa istintiva», confermò Garmir,
«almeno per gli incantesimi di base.»
«Io però non ho mai sfruttato il mio mana.»
«Forse», ipotizzò Garmir, «non hai mai avuto il primo contatto empatico. È quello che sblocca la memoria ancestrale.»
Sadlilit lo guardò con aria interrogativa: «Contatto empatico?»
«Vieni, ti faccio vedere.»
Garmir la prese per mano e la condusse verso Crinevento.
«Uno dei vantaggi dell’essere elfo è quello di avere una forte affinità con tutto ciò che è naturale. Prova a toccare il muso di Crinevento, per esempio.»
Sadlilit si avvicinò al cavallo e appoggiò l’indice e il medio sul muso. Per un attimo si chiese se Garmir l’avesse raggirata, poi fu investita da un vortice di emozioni.
Sentì la gioia di correre con il vento che scompiglia la criniera, il profondo rispetto verso il padrone, l’eccitazione della stagione degli accoppiamenti… e mentre provava tutto questo, le sembrò che anche il cavallo percepisse le sue più profonde emozioni, soprattutto il rifiuto del padre. Passarono pochi secondi, ma quando tolse le dita dal muso dell’animale le parve di conoscerlo come se avesse vissuto sempre al suo fianco. Crinevento nitrì e le si strusciò contro abbassando la testa, come se fosse dispiaciuto per lei, poi andò da Garmir.
«Allora?» fece lui.
«È stato… incredibile!» esclamò Sadlilit, raggiante. «Era come pensare dal punto di vista del tuo cavallo… come hai detto che si chiama?»
«Crinevento», rispose. «Ora hai provato il tuo primo contatto empatico. Dovresti ricordare tutte le magie più comuni degli elfi.»
Sadlilit sgranò gli occhi e fece un passo indietro, poi si appoggiò una mano sulla fronte.
«Tutto bene?» chiese Kipam avvicinandosi.
«Sì… credo…» Sadlilit si riprese, «non sapevo che essere un’elfa potesse essere così… strano. Ora è come se avessi sempre saputo almeno una decina di incantesimi. Ma la cosa più strepitosa è che sono in elfico…» sbatté le palpebre, «…e io non lo capisco!»
«Ma sai a cosa servono, almeno?»
«Penso di sì…» la ragazza chiuse gli occhi «Crayadal!» disse, attingendo al mana che cominciò a pervaderla di piccole luci danzanti sotto le palpebre. Il mana era l’energia magica che permeava tutte le forme di vita e le collegava in un’unica rete interconnessa. Era proprio il mana che permetteva ai maghi di piegare gli elementi al loro volere.
Globi di luce verde chiaro cominciarono a scorrerle dalle punte delle dita fino ad arrivare al suolo, imbevendo la terra ai suoi piedi. L’elfa fece istintivamente un passo indietro e all’istante l’erba crebbe a vista d’occhio, intrecciandosi a spirale e creando una colonna alta quasi due metri. In cima si formarono dei rigonfiamenti pendenti, che aprendosi a mostrare dei giganteschi fiori arancioni, simili a campanule, emanarono un forte profumo di spezie e agrumi. Tutti si avvicinarono per vedere, toccare e annusare quello spettacolo, pieni di meraviglia.
«Non sapevo che quest’erba facesse fiori!» disse Sadlilit inspirando l’aroma.
«Infatti non ne fanno!» esclamò Garmir. «Quella magia deve aver spinto l’erba a dare il meglio di sé.»
«Complimenti!» fece Kipam, ammirato. «A quanto pare sai evocare ottimi incantesimi.»
«Oh…» Sadlilit guardò in alto e sorrise «…ha smesso di piovere.»
Le nuvole si erano diradate e ora Mlaroth, Narkim e Kipoor troneggiavano in cielo.
I tre ragazzi si sedettero di nuovo e parlarono tra loro. Quando i tre Soli scomparvero dietro l’orizzonte Garmir suggerì che era meglio riposarsi. Il giorno dopo sarebbero arrivati gli altri. Dovevano essere pronti a partire.


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