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Pausa

Speravo di scrivere almeno un altro articolo prima di Natale ma complice l’influenza non farò a tempo. Inoltre vorrei dedicarmi a S.M.Q. e agli altri progetti di scrittura che ho in sospeso. E vorrei verificare il materiale segnalato per l’Osservatorio Fatine. Senza contare gli impegni personali accantonati negli ultimi due mesi per dare spazio al blog.
Le regolari trasmissioni riprenderanno verso metà o fine gennaio. Posso anticipare che si riparlerà dell’Alice di Dimitri e ci sarà un altro articolo nella serie dei Manuali. Sarà dedicato alla gestione del punto di vista. A tale proposito voglio ringraziare tutte le persone che hanno letto il Manuali 3, hanno commentato e hanno provato con serietà a svolgere i compiti.
Un articolo come Manuali 3 richiede letteralmente mesi di lavoro, è molto lungo e tratta di un argomento di nicchia. C’erano molte possibilità che non interessasse a nessuno. Invece mi ha fatto grande piacere vedere così tanti commenti e così tanti esercizi. Forse qualcosa di buono si riesce a costruirlo.

Lo so che parlare sempre di stile non è divertente come prendere in giro Licia & soci, ma se ci si vuole occupare seriamente di narrativa non si può svicolare. Anche perché tanti errori che sembrano errori di logica e di mancanza di documentazione sono in realtà errori di stile.
Quando Licia parla dei cavalieri che si affrontano con le spade in groppa ai draghi è un problema di stile. Perché se si vanno a leggere quei passaggi si scopre che Licia racconta i colpi furibondi e la lotta feroce. Se risolvesse questo problema di stile – ovvero mostrasse invece di raccontare – sparirebbe l’incongruenza: si renderebbe conto persino lei che non si può mostrare un fenomeno fisicamente impossibile e dunque dovrebbe trovare un’altra soluzione (per esempio sostituire alle spade i fucili).
Detto in altri termini: uno stile concreto ed efficace oltre ad aiutare il lettore a immergersi nella storia, aiuta anche l’autore a scrivere una storia più solida.

Inoltre, come sottolinea John Mullan nell’introduzione di How Novels Work:

bandiera EN A novel absorbs us, I would say, not because of what it is about, but because of how it is written.
So this is a book about matters of form: how novels work rather than what they contain. It is here that a critic might have something to offer, apart from just another opinion. For criticism can make visible techniques and effects of which we are often only half-aware as we read.

bandiera IT Direi che un romanzo ci cattura non per l’argomento ma per come è scritto.
Per questa ragione il presente libro è dedicato alle questioni della forma: come funzionano i romanzi piuttosto che il loro contenuto. È in quest’ambito che un critico può avere qualcosa da offrire, qualcosa oltre la sua semplice opinione. Perché la critica può rendere visibili effetti e tecniche di cui spesso siamo solo parzialmente consci mentre leggiamo.

Copertina di How Novels Work
Copertina di How Novels Work

Il critico che parla di contenuti offre solo un’altra opinione; il critico che parla di tecnica mette in luce il funzionamento della narrativa. Molto più interessante!

* * *

Per concludere segnalo un sito particolare: questo. Un tizio che non fornisce molte informazioni su di sé sta scrivendo una sorta di fanfiction a puntate con la sottoscritta tra i protagonisti – nella storia sono “Luana”.
Io e mio fratello, anni fa, agli albori del blog, eravamo già stati i personaggi di un racconto a puntate, ma lì apparivamo poco e alla fine venivamo divorati dagli zombie. Stavolta invece pare che io abbia un ruolo di primo piano, anche se ho paura non sarà un ruolo positivo. Credo che Luana sia tra i “cattivi”.
Purtroppo lo stile dell’anonimo autore lascia molto a desiderare, ma ho letto di peggio. Inoltre ha azzeccato un paio di particolari: per esempio trovo solo giusto che i miei seguaci si rivolgano a me chiamandomi “regina”; in alternativa va bene anche “principessa” o “hime-sama”.

Coniglietto Grumo natalizio
Il Coniglietto Grumo augura a tutti Buon Natale & Felice Anno Nuovo! Nota: la foto ha solo valore indicativo e non ritrae il Coniglietto Grumo


Approfondimenti:

bandiera EN John Mullan su Wikipedia
bandiera EN How Novels Work su gigapedia
bandiera IT How Novels Work su Amazon.it

bandiera EN Il sito di Babbo Natale

 

Scritto da GamberolinkCommenti (116)Lascia un Commento » feed bianco Feed dei commenti a questo articolo Questo articolo in versione stampabile Questo articolo in versione stampabile • Donazioni

Non c’è gnocca per noi a Boscoquieto

Copertina di Bryan di Boscoquieto Titolo originale: Bryan di Boscoquieto nella Terra dei Mezzidemoni
Autore: Federico Ghirardi

Anno: 2008
Nazione: Italia
Lingua: Italiano
Editore: Newton Compton

Genere: Urban fantasy, fyccina erotica
Pagine: 407

Il titolo di questo articolo è una citazione dal romanzo: Giò, amico di Bryan, esprime la sua preoccupazione per la scarsezza di belle ragazze a Boscoquieto. Preoccupazione condivisa un po’ da tutti, buoni e cattivi. Per fortuna basta spostarsi di qualche chilometro, fino a Laietto, per trovarla la gnocca. Meno male!

* * *

Com’era facile prevedere, Bryan di Boscoquieto nella Terra dei Mezzidemoni è un brutto romanzo. Più che un fantasy è una sorta di fyccina erotica, la trama è sconclusionata, le idee balorde, lo stile zoppicante. Non è però un romanzo del tutto orribile, l’assenza di determinati cliché (elfi, viaggio della compagnia, Bene & Male chiaramente definiti) lo rende almeno superiore a robe nate morte come Gli Eroi del Crepuscolo. E la scrittura, benché piena di errori, a tratti scorre con piacere e una certa passione.
Nel complesso peggio della “miglior” Troisi (Nihal della Terra del Vento), ma appunto non al livello infimo della Strazzu.

Prima di procedere con la consueta recensione educativa e sarcastica, vorrei provare a esporre un concetto “serio”. Chi non è interessato, può saltare avanti.


Un concetto serio

Bryan di Boscoquieto danneggia tutti quanti perché occupa spazio.
Una delle tante critiche che rivolgono a me, a volerla esprimere in termini non ingiuriosi, è del tipo: vivi e lascia vivere! Cosa t’importa dei brutti libri o dei libri che tu pensi siano brutti? Questa roba qui di Boscoquieto sarà una schifezza, ma se il Ghirardi è contento, la sua casa editrice è soddisfatta e gli eventuali fan sono felici, qual è il problema?
Il problema è che i libri occupano spazio fisico, e lo spazio è poco. Se si consultano i dati ISTAT 2006 sulla lettura e la sintesi del Rapporto sullo Stato dell’Editoria in Italia per il 2008 dell’AIE, si può scoprire che l’unica possibilità per un romanzo di essere letto è di essere comprato “al dettaglio”. Ovvero un romanzo deve approdare in libreria, edicola, supermercato, centro commerciale. Le vendite via Internet (attraverso siti quali iBS.it o Bol.it o simili), benché in crescita, rappresentano ancora una percentuale minima delle vendite complessive; allo stato attuale, non c’è alcuna possibilità per un romanzo di raggiungere un pubblico significativo (qualche migliaio di persone) senza il passaggio in libreria.
Infatti secondo i dati AIE il fatturato dei rivenditori via Internet di libri (in generale, non solo romanzi) ha rappresentato nel 2007 solo circa il 5,0% del totale (era il 3,8% nel 2006 e il 3,0% del 2005). Una crescita c’è stata, anche notevole, ma queste percentuali sono ancora ben lontane da quelle di librerie (75%) e supermercati/ipermercati (18%). Invece l’inchiesta ISTAT aveva domandato a un campione di persone che leggono libri nel tempo libero (perciò è più probabile qui trattarsi di romanzi) come si sono procurati il loro ultimo libro letto: solo lo 0,5% degli intervistati ha risposto di averlo comprato online (2006). Nel 2000 la percentuale era dello 0,1. Sconfortante.

Le piccole case editrici, quelle senza distribuzione o quasi e che si affidano solo agli ordini online, fanno i salti di gioia se vendono 2-300 copie di un romanzo. Ma 300 copie di un romanzo non sono niente. Nel palazzo dove abito ci sono 300 persone: se prendo un mio scritto, lo fotocopio, e vado a bussare porta per porta in pratica ottengo lo stesso livello di “pubblicazione” che otterrei pubblicando con una casa editrice senza distribuzione. E questo non è pubblicare, non è rendere pubblico, non è al contempo esporre le proprie idee e divertire il prossimo, è solo perdere tempo.
Per pubblicare, nel senso proprio del termine – rendere pubblico – in Italia, nel 2009, è vitale essere presenti in libreria. Ben inteso, questo non garantisce di vendere, una marea di titoli nelle librerie non vende le 300 copie di cui sopra, la presenza in libreria non è condizione sufficiente, è però condizione necessaria.
Problema: nelle librerie lo spazio è poco, specie se paragonato alla quantità di volumi prodotti ogni anno (61.440 nuovi titoli pubblicati nel 2006).
Perciò quando la Newton Compton stampa 10.000 copie di Bryan di Boscoquieto non è una questione solo tra loro e gli eventuali acquirenti, ma è una questione che riguarda tutti. 10.000 copie di una schifezza sono una opportunità in meno per 10.000 altri titoli. Ognuno è libero di fregarsene di Boscoquieto, il danno c’è comunque.

“Ma, ma Gamberetta, non capisci: la Newton Compton e le altre case editrici sono lì solo per denaro, cioè se le 10.000 copie le vendono per loro va tutto bene!” E allora? Qui è come se il condannato per omicidio si alzasse e spiegasse al giudice di non aver ucciso la sorella per sbaglio, no, l’ha proprio fatto apposta per prendersi l’eredità; e allora, d’accordo è assolto! Non me ne può fregare di meno se la Newton Compton insegue i suoi interessi. Gli interessi di milioni di lettori e il loro diritto a leggere opere degne è più importante del desiderio di quattro gatti alla Newton Compton di fare i soldi. O almeno dovrebbe esserlo in una società democratica.

“Ma, ma Gamberetta, non capisci: decide il mercato!” Balle. Io penso che il “mercato” possa decidere, ma solo se tutti partono uguali. Bryan di Boscoquieto forse venderà uno sproposito, forse neanche una copia, ma una possibilità l’ha avuta, decine di migliaia di altri titoli no. Se Canale 5 trasmette in tutta Italia e Teleabruzzo21 nel raggio di pochi chilometri, non decide il “mercato”, decide tutta Italia contro pochi chilometri.

“Ma, ma Gamberetta, non capisci: Bryan di Boscoquieto è stato stampato in così alto numero di copie proprio perché è strabello!!! Non solo per vendere, ma proprio perché è bellissimo!!!” E qui giunge l’utilità della recensione, perché quando si riempie un romanzo con le madornali stupidate che seguiranno, è davvero difficile parlare di “qualità”, qualunque parametro si voglia adottare.

Ricapitolando: per pubblicare bisogna portare il proprio romanzo in libreria, in libreria lo spazio è poco, perciò ogni copia di un brutto romanzo in libreria danneggia tutti, perché sottrae spazio prezioso ad altre opere potenzialmente migliori.
Come si risolve il problema: con un cambio di mentalità, per cui una casa editrice ha come principale scopo produrre romanzi il più perfetti possibile sotto tutti i punti di vista, e solo come idea secondaria il guadagno. E questo non vale solo per le grandi casi editrici: una grossa fetta di quei 61.000 titoli che intasano il poco spazio viene per esempio dalle casa editrici a pagamento, le quali dovrebbero sparire e basta. In altri termini si chiede a una casa editrice di prendersi la responsabilità che deriva dal fatto di competere per una risorsa al contempo così scarsa e così agognata da tanti, come lo spazio nelle librerie.

Casetta di libri
Ecco un buon utilizzo per i libri di troppo: farne casette per gli gnomi!!!

Non hanno responsabilità solo le case editrici. Ma io non sono d’accordo, come molti fanno, a dare responsabilità ai lettori. È vero che la gente potrebbe adottare dei criteri di scelta più sofisticati di: “guarda, c’è un’elfa mezza nuda in copertina! Compro!”, ma in generale il ragionamento “se è stato pubblicato da Mondadori allora dev’essere bello”, dovrebbe poter essere giusto. Non è possibile diventare esperti di tutto. Una persona deve avere diritto a un servizio valido quando ne ha la necessità o il desiderio. Se vado al ristorante nessuno mi deve sputare nel piatto anche se non ho il palato fino per accorgermene, se vado dal dottore mi deve dare le medicine e non le pastiglie di zucchero, anche se non riuscirei a capire la differenza, se mi rivolgo a Mondadori devono essermi offerti romanzi validi, anche se il mio gusto non è particolarmente sviluppato. Se una persona ha il capriccio di provare a leggere un fantasy, deve trovarsi di fronte ottimi romanzi fra i quali scegliere, anche se, essendo magari la prima volta che esplora quel genere, non potrebbe capire che la Troisi scrive solo boiate.
È più ragionevole dare invece delle responsabilità anche agli autori. Se sono alle prime armi non possono avere l’esperienza di una casa editrice e d’altro canto è difficile valutare obbiettivamente se stessi, però molti uno sforzo in più potrebbero farlo. Troppo spesso si sentono presunti scrittori che fanno questo ragionamento: il mio romanzo dev’essere pubblicato perché è il mio sogno. Ecco, forse dovrebbero chiedersi se la pubblicazione realizza anche i sogni dei lettori.

Ovviamente il problema non si risolverà mai sperando in un ravvedimento delle case editrici, lo so benissimo. La soluzione arriverà forse in futuro, con il superamento del libro fisico e la fine dei problemi di spazio. Nel frattempo però non fa male far notare la questione, e agire di conseguenza: non comprare se non libri che si è già letto con altri mezzi e sono piaciuti, e anche in quel caso favorire i canali con meno intermediari (in ordine di preferenza: pagare direttamente l’autore, acquistare al sito della casa editrice, acquistare via libreria online).

La storia di Marta

La trama “ufficiale” di Bryan di Boscoquieto è a grandi linee questa: Bryan, un ragazzino che ha appena compiuto quattordici anni, va a trascorrere l’estate dai nonni, nel paesino di Boscoquieto. Qui, a fronte del risvegliarsi di uno Spirito maligno di sei secoli prima, scopre di non essere una persona comune, bensì di essere… una persona comune che può sparare raggi laser dalle mani chikas_pink03.gif e creare invisibili barriere di energia. Grazie a questi poteri e all’aiuto di Morpheus, un mezzodemone che ha deciso di allenarlo, Bryan riuscirà a sconfiggere lo Spirito e riportare la quiete a Boscoquieto.
Morpheus, ben impressionato, offrirà a Bryan la possibilità di entrare a far parte della “Baia”, un’organizzazione segreta impegnata a combattere i malvagi del mondo, incarnati dalla “Comunità” e dal suo misterioso leader, un tizio vestito di verde che si fa chiamare l’Insorta.
Bryan accetterà entusiasta con questo brillante ragionamento (testuali parole):
“Se diventerò un discepolo potrò aiutare gli altri e proteggere la gente comune dai demoni e da tutti i mostri del cazzo”.
Ma Bryan potrebbe scoprire che i Buoni e i Cattivi non sono quelli che lui crede… (e non lo so neanch’io perché il romanzo non è autoconclusivo ma il primo di enne nella saga di Bryan di Boscoquieto…)

Ryu
Ryu di Street Fighter è come Bryan di Boscoquieto! O sarà il contrario?

In realtà una sconcertante parte del testo è dedicata non a queste faccende più o meno fantastiche ma alla gnocca. In particolare alla vicenda di Marta, una specie di sogno proibito di Bryan. Marta, poveraccia, ne subirà di tutti i colori, con la complicità dell’autore.

Chi è Marta? Il personaggio è delineato in maniera magistrale: 18 anni (ma ne dimostra forse uno-due di meno), capelli biondi color oro, occhi blu, seno prosperoso e bella in forma, come dichiara un personaggio dopo averle palpato il culo.
Altri tratti della personalità di Marta non ricordo siano illustrati, sarebbero in ogni caso superflui. Marta ha inoltre una sorta di potere magico: riesce sempre a finire nuda (anzi, tutta nuda, come giustamente specifica l’autore) o in mutande, qualunque sia la situazione. Sembra quasi sia allergica ai vestiti. Senza contare poi che è “una giovane piuttosto scollata”, e posso assicurare sia un dramma essere piuttosto scollate: se non stai attenta ti cadono le dita delle mani, o ti perdi il naso per strada senza neanche accorgertene. Se non hai in borsa l’attaccatutto è un disastro.

Bryan è cotto di Marta, e lei non perde occasione per strusciarglisi contro, purtroppo però non lo considera un amante degno, abituata com’è a bulli di periferia e demoni violentatori, lo considera solo come un amico ragazzino, ma per questo la pagherà cara…
Per avere idea di come il tema “amoroso” sia intrecciato con il romanzo (e per molti versi lo soffochi), si può prendere la lunghissima scena nella quale Bryan e Marta stanno scendendo nei meandri della tana dello Spirito. Ho ampiamente tagliato, ma i miei lettori infoiati (ciao Duca!) non si preoccupino: le parti più succose le ho lasciate. Sigh.

[Bryan e Marta stanno percorrendo un corridoio nella base sotterranea dello Spirito. Mano nella mano e torce accese perché c'è completa oscurità]
La mano [di Marta] abbandonò la sua, sfilandosi velocemente dalle sue dita.
«Marta?», Bryan si volse, ma vide solo un’ombra sparire dietro la curva del cunicolo. La torcia della ragazza era a terra, spenta.
[Bryan parte all'inseguimento]
Gabriele [il "secondo in comando" dello Spirito] aveva preso Marta, l’aveva sollevata di peso ed era fuggito via.
La ragazza scalciava e si dimenava, ma la forza dell’altro era nettamente superiore alla sua. Tornarono alla stanza nella quale si era svolto il rito e Gabriele imboccò il cunicolo a destra. Era tutto buio, ma lui non aveva bisogno di vedere con gli occhi.
[Gabriele ha avuto l'improvviso impulso di violentare Marta: a lei capita spesso]
«Non farlo», lo supplicò la ragazza, mentre le lacrime le bagnavano le guance. «Sei ancora in tempo per…».
L’altro la bloccò con uno sguardo di ghiaccio. «Per che cosa? [...]»
«Non farmi questo».
«Non prenderla come una cosa personale. Se devo essere sincero, non sono interessato a te, ma per adesso sei l’unica donna disponibile sulla piazza e quindi ci si deve accontentare. Capisci no?».
Marta avrebbe voluto scoppiare a piangere, ma si contenne perché sapeva che non avrebbe fatto altro che partecipare al suo gioco.
[Bryan intanto combatte contro mostri sacrificabili che gli hanno bloccato la strada]
«Be’, per il momento torniamo a noi. Sei silenziosa», osservò, continuando a trattenere il collo della ragazza. «Hai paura?».
Marta non gli diede la soddisfazione di una risposta. Gabriele le sfilò i pantaloni dai piedi e li gettò via; rimase qualche secondo a rimirare le gambe della ragazza.
[Gabriele rimane in estasi ancora per po'...]
«Ehi», esordì [Marta] con tono dolce. «Non preferiresti che io facessi questa cosa di mia spontanea volontà?»
«Be’… sì», borbottò Gabriele, allentando la presa al collo della ragazza.
Marta gli rivolse un sorriso tirato. «Allora liberami».
Gabriele la lasciò andare e si sedette. Marta si tirò su e s’inginocchiò.
[Marta esita, finché...]
Marta gettò la vestaglia, che si andò ad accartocciare vicino ai jeans, e rimase tutta nuda a parte il pube. Sorrise debolmente a Gabriele e gli si avvicinò di qualche centimetro.
[Marta esita di nuovo e Gabriele sta per spazientirsi, allora lei...]
Marta levò in aria la mano che aveva tenuto dietro la schiena, nella quale reggeva un sasso grosso quanto un pugno. Vibrò un colpo alla nuca dell’ignaro Gabriele, che spalancò la bocca e cacciò un terribile grido.
La ragazza si alzò e volse le spalle alla creatura che si lamentava e le lanciava mille imprecazioni. [...] Iniziò a correre per allontanarsi il più possibile da Gabriele, perché se fosse riuscito a prenderla una seconda volta…
[Bryan intanto combatte]
Marta correva nel buio del tunnel di pietra. I passi di Gabriele riecheggiavano dietro di lei, preceduti dalle sue bestemmie.
“Ti prego”, supplicò la ragazza, “fai che non mi prenda”. Si concesse un breve sguardo indietro e vide l’ombra dell’inseguitore, proiettata dalle fiaccole poste a intervalli regolari lungo le pareti. Se non ci fossero stati nemmeno quei lumi, non avrebbe avuto alcuna speranza di scappare.
[Ma Gabriele l'acchiappa]
Raggiunsero lo spiazzo e Gabriele la condusse dove si erano appostati prima, vicino ai vestiti della ragazza.
«Sdraiati», comandò. Marta distese la schiena nuda sulla roccia e venne percorsa dai fremiti del gelo. «Bene, bene così», annuì Gabriele, abbassandosi per la seconda volta i pantaloni.
[Elucubrazioni varie]
«Non farmi male», lo implorò, pur sapendo che ogni supplica era ormai vana.
Gabriele si portò una mano alla nuca e mostrò alla ragazza le dita sporche di sangue che si ripulì sul suo ventre contratto. Marta osservò inorridita la propria pancia sporca di sangue e poi tornò a rivolgere lo sguardo a Gabriele, che la guardava con occhi glaciali e con un ghigno diabolico.
«Mi hai fatto male e non avresti dovuto. Io ero il solo che ti separava da Elias [lo Spirito] e dal diventare sua schiava».
Gabriele la girò sottosopra con un unico brusco movimento. Marta gemette per il pietrisco che le pungeva pancia e seni. Strillò quando una mano si abbatté con cattiveria sul suo posteriore e ricominciò a piangere, per l’umiliazione più che per il dolore. Poi una seconda sculacciata, una terza e una quarta.
«Ti stai arrossando», osservò compiaciuto Gabriele, abbassando per la quinta volta la mano. Questa volta colpì così forte che lo schiocco che seguì rimbombò in tutto il locale di roccia. «Spero che ti basti la lezione».
«S-sì», bofonchiò la ragazza, asciugandosi le lacrime con il dorso di una mano.
«Non ti agitare», la ammonì. Le passò dietro e le cinse il ventre con le braccia. La sollevò con brutalità e le ordinò di rimanere sulle ginocchia. «Sei pronta?», gracchiò.
Marta artigliò la terra con le dita, chiuse gli occhi e strinse le labbra per costringersi a non urlarle.

C’è un po’ di tutto: Gabriele che riesce letteralmente a strappare di mano Marta a Bryan senza che questi se ne accorga, l’incoerenza in grassetto sul pianto, il fatto che la base sotterranea è immersa nell’oscurità tranne che per il corridoio che Marta deve fare di corsa tutta nuda (se corre al buio chi la guarda?), e una tristissima sequenza finale.
Gabriele, che non sarà il Cattivo con la C maiuscola, ma, per citare una sua precedente “impresa”, aveva appena accoltellato un gruppo di vecchietti nel sonno, guarda Marta “con occhi glaciali e con un ghigno diabolico” e poi… la sculaccia. Gegnale. Sì, è umiliante per Marta, ma lo è uguale per il lettore e anche per il povero Gabriele che non si merita dopo 600 anni di nequizie di diventare pupazzo delle fantasie adolescenziali del Ghirardi.

E non è finita qui. Perché a questo punto interviene Bryan, nel frattempo anche lui denudatosi, chikas_pink32.gif e con un raggio laser stende Gabriele, salvando Marta. Marta gli si butta al collo, ma dura un attimo, poi lei è di nuovo solo affari, perché c’è ancora lo Spirito da sconfiggere e:

Marta gli porse i pantaloni.
Bryan scosse il capo. «Sono i tuoi».
Marta inarcò un sopracciglio e gli rivolse un’occhiata complice. «Ti serviranno per contenere la tua virilità. Non vorrei farti cascare dalle nuvole, ma lo Spirito è ancora qua in circolazione»

Francamente non vedevo il problema per Bryan di combattere con un’erezione in bella vista, non sarebbe stato episodio più scemo del resto.

Com’è che anche Bryan è senza vestiti? Perché a questo punto si scopre che lui è Lui: il Prescelto, il Numero Uno, Gesù Bambino, il Duce, Er Mejo, l’Erede, e in quanto tale ha un super potere extra, ovvero è in grado di diventare immateriale quando qualcuno lo sta per ammazzare. I mostri lo stavano per uccidere, ma Bryan, in maniera inconscia, ha usato questo suo potere della fantasmificazione ed è riuscito a scappare. Peccato che i vestiti siano rimasti indietro.

Dopo la battaglia Bryan e Marta vivono un periodo di felicità assieme, ma come detto, lei lo considera solo un amico, tanto che un giorno gli comunica che si è trovata un fidanzato, tale David. La reazione di Bryan è nihalesca:

Si ritrovò nel letto, con la testa affondata nel cuscino impregnato di lacrime. Un braccio era disteso, come pietrificato, lungo il corpo. Provò a muoverlo ma non ci riuscì, allora lo lasciò lì com’era. Tutto era vago e indefinito, come se si fosse appena risvegliato da un incubo. Si rialzò, barcollante, sollevò il braccio sano e mollò un pugno al muro, spellandosi le nocche. Poi, tenendosi il braccio dolorante che al minimo spostamento gli inviava fitte tremende, si avviò verso il bagno, con la vista annebbiata dal pianto. Completò il percorso in quattro tappe e vomitò nella tazza del water. Rimase inginocchiato sul pavimento freddo, con la fronte appoggiata all’asse fino a quando non lo raggiunse sua madre.
«Bryan! Che diavolo ti succede? Che hai fatto?».
Bryan mugugnò e si lasciò cadere indietro, sbattendo contro il mobiletto sottostante la lavabo.

Sarà che anche i veri uomini piangono, ma personalmente cominciano un po’ a stufarmi tutti questi protagonisti dalla lacrima facile. Ma forse Bryan è così sconvolto perché preoccupato per Marta, in fondo l’aveva avvertita che solo lui avrebbe potuto proteggerla.
Poco tempo dopo è visitato da questo bel sogno a occhi aperti:

Gionata si fermò appena raggiunte le ombre che sembravano immobili e cristallizzate. Marta aveva gli occhi velati dal terrore e invocava Bryan. Giò le strappò di dosso la gonna e la gettò a terra, dove affondò in un basso strato di nebbia.
«Non farlo!», gridò Bryan, continuando a sforzarsi di raggiungerli. Ormai la sua parte razionale si era accorta che non avrebbe potuto arrivare, ma lui la zittiva e non smetteva di tentare.
Gionata le strappò anche la camicia, facendo saltare via tutti i bottoni, e la buttò sul pavimento.
«Non ti azzardare!».
Gionata lo guardò divertito e fece scivolare le mani dietro le coppe del reggiseno, sugli abbondanti globi carnosi.[sic] Marta strillò.
«Lasciala andare, figlio di puttana!».
L’ombra del suo amico fece scendere la mano sinistra sotto il tanga rosso della ragazza. Il ragazzo vedeva le sue dita che si agitavano sotto la stoffa e notò lo sguardo acquoso di Marta, che subito dopo cominciò a gemere. Gionata inclinò la testa e le lasciò il segno arrossato di un succhiotto sul collo. La fece voltare con forza verso di lui e le insinuò in bocca la sua lingua demoniaca.
«Te lo impedirò! Te lo impedirò!». Ma per quanto Bryan si affaticasse e per quanto avanzasse, la distanza non diminuiva mai.
Gionata era sempre più divertito dai suoi vani sforzi. Estrasse la mano dalle mutande e la sfregò sul ventre di Marta, che rabbrividì e chiamò ancora Bryan.
«Non puoi farlo. So che da qualche parte ci sei ancora tu, Giò, e ti supplico di non farlo».
Gionata gli rise in faccia e costrinse Marta ad abbassare la schiena. Bryan si accorse che Giò non era nemmeno vestito.
«Ti prego, Bryan!», strillò Marta.
«Questo è per te, Bryan», disse Gionata, penetrando senza alcun indugio la ragazza curva, per metà avvolta nella nebbia. Marta strillò e spalancò gli occhi e la bocca.
Bryan gridò, gridò e gridò ancora fino a consumare tutto l’ossigeno dei polmoni; intanto continuava a cercare di raggiungerli, ma non riusciva nemmeno a capire se fossero i suoi piedi a essere ancorati, oppure il suolo gli scorreva via. Marta singhiozzava e ansimava, mentre Gionata si muoveva dietro di lei, mantenendo un’espressione di dura e impassibile follia.

Più avanti si scoprirà che Marta è stata violentata sul serio, e anzi ha passato diversi mesi in qualità di schiava sessuale di un Cattivo. Così la stronza impara a non mettersi con l’unico che poteva proteggerla!

Prima, dopo e durante, Marta è ancora il motore del romanzo, sebbene non più protagonista di scene così “pregevoli”. Solo normali molestie e pesanti allusioni.
Dove finisce Marta, non termina il porno. Per esempio la scena che conclude il romanzo vede questo tizio, l’Insorta, fare sesso con un personaggio mai visto prima, tanto per, senza che abbia alcuna importanza per la storia. In altri punti il sesso ha invece importanza, in una maniera che definire ridicola è poco.
In questa scena Bryan deve battersi contro le quattro cinture nere della locale palestra di Kung Fu e contro quattro donne ninja. Gli otto tizi sono però sotto l’effetto di un incantesimo e sono in pratica invulnerabili. Come risolve la faccenda Bryan? Così:

Gli altri otto lottatori erano tutti in piedi e pronti ad attaccarlo. Bryan corse incontro all’uomo che gli era più vicino, gli artigliò i pantaloni dalle tasche e lì tirò giù. L’uomo rimase interdetto e non seppe come reagire quando il ragazzo gli abbassò anche le mutande. Bryan, chinato, si accorse che gli altri lo avevano circondato. Si rialzò e rapidissimo denudò le parti basse degli altri uomini, sfruttando la loro perplessità.
[...]
Bryan imprecò, poi afferrò il braccio magro e forte di una delle donne, e lo torse. Allontanò gli altri con dei calci piazzati all’inguine e alle ginocchia e mantenne la presa sulla donna, incurvata davanti a lui.
«Avete bisogno di un ulteriore stimolo», sussurrò. Sempre tenendola bloccata per un braccio, le afferrò il bordo dei pantaloni e lo strattonò verso il basso, mettendo alla luce le gambe longilinee e sudate. Solo un perizoma rosso le copriva la parte intima. Bryan fece passare due dita dietro all’elastico e anche l’ultima copertura calò. Qualcuno lo colpì al capo, costringendolo a spingere via la giovane, che si scontrò con uno degli uomini. Nel frattempo Bryan venne colpito alle costole, avvertì uno scoppio di dolore e ruzzolò sulla strada.
[...]
L’ultima cosa che Bryan vide prima di chiudere gli occhi fu una scarpa che gli pioveva sulla faccia. Si preparò all’impatto, immaginando la propria testa ridotta in pezzi. Ma il colpo non arrivò. Il ragazzo riaprì cautamente gli occhi e si accorse che gli aggressori guardavano altrove e non lo degnavano più d’alcuna attenzione. Ne approfittò per sgusciare via, si alzò e capì cosa li aveva interessati.
La donna era appoggiata a terra sulle ginocchia e l’uomo si muoveva ritmicamente dietro di lei, tenendo le mani premute contro le sue natiche. I loro versi, da ringhi divennero bestiali gemiti di piacere. I loro compagni distolsero quel che rimaneva dell’attenzione dal ragazzo e si dedicarono alle donne.
In breve la banda di aggressori divenne un groviglio di membra e una fornace di lamenti.

Il problema qui è che se fosse stata una qualche parodia, tipo Il Signore dei Tranelli o Aerosol, il fratello furbo di Eragon non avrei avuto niente da dire, ma Bryan di Boscoquieto non è una parodia. Il romanzo ha, nonostante gli estratti, un tono per la buona parte serio, e l’(auto)ironia è minima.

Copertina di Aerosol
Copertina di Aerosol, il fratello furbo di Eragon

I momenti volutamente “umoristici” poi sono di rara eleganza. Il mio preferito è questo:

[Bryan] Riprese a camminare. Il gruppo di Prigionieri [i Prigionieri del Bosco – esseri umani trasformati in mostri] era un’ombra che stava gradualmente svanendo fra gli arbusti.
«Perché sono uscito? Perché ho voluto seguir… Merda!», esclamò in un sussurro e subito sollevò il piede inzaccherato dalle feci. “Chi ha portato il cane a cagare…?” Esaminò gli escrementi con maggior attenzione e si accorse che erano umani. “Ecco perché si sono fermati! Ma porca…”.

Tutto questo miscuglio perverso-demente-goliardico-adolescenziale è divertente? In un modo cretino, a tratti sì. Vale 10 euro? Manco per sbaglio. Ha qualcosa ha che fare con il fantasy? Neanche per idea.

Per chiudere in bellezza questa sezione, vi lascio a Sarah Michelle Gellar (Buffy) che nei panni di Krysta Now canta Teen Horniness is not a Crime dalla colonna sonora del film Southland Tales (guardatelo! Nuove bizzarrie e “misticismo quantistico” da Richard Kelly, già regista di Donnie Darko).

Sarah Michelle Gellar

Audio clip: é necessario Adobe Flash Player (versione 9 o superiore) per riprodurre questa traccia audio. Scarica qui l’ultima versione. Devi inoltre avere attivato il JavaScript nel tuo browser.

La licenza elementare

Come ripeto sempre, prima di scrivere un fantasy bisogna documentarsi, perché solo ambientazioni e situazioni ben ricercate possono suonare verosimili. Devo aggiungere una postilla: è probabile sia necessario aver completato con successo almeno le scuole elementari. In confronto a Bryan di Boscoquieto i problemi che assillavano la Troisi paiono astrofisica. Il Ghirardi ha difficoltà a contare fino a dieci…

«Una serratura a combinazione», mormorò, puntando la torcia sulla parte superiore della valigia. «Cinque posti e dieci numeri. Morpheus deve averci lasciato un qualche indizio. Non è possibile andare a caso…», continuò, parlando fra sé e sé. «Cinque alla decima». A conti fatti, si trattava di 9.765.625 differenti possibilità. Era stato suo padre a insegnargli il modo di calcolare le probabilità, elevando il numero delle cifre possibili (cinque) a quello dei numeri utilizzabili (dieci).

Ora, se tu hai un posto e dieci cifre (0 – 9) quante combinazioni ci saranno? Nessuno? 10, esatto! Brava Nihal! Se hai due posti e dieci cifre, quante combinazioni ci saranno? Da 0 a 99, 10×10, 100! Con tre posti da 0 a 999, 1000. Con quattro posti 10.000. Con cinque posti 100.000. Secondo il Ghirardi invece sono 9.765.625! Ma LOL, questa è roba appunto da elementari!
Il bello è che c’è anche mezzo paragrafo d’inforigurgito in cui l’autore spiega compiaciuto come calcolare in modo sbagliato le probabilità (che tali non sono perché sono combinazioni). E qui mi rivolgo anche alla Newton Compton nella figura dell’editor o di altro responsabile: capisco che non vi freghi niente della qualità di quello che pubblicate purché venda, ma rendetevi conto che non sapere neanche contare fino a 10 non è un bel biglietto da visita.

Self-Teaching Math Machines
Con queste Self-Teaching Math Machines persino Ghirardi e il suo editor potrebbero imparare l’aritmetica!

E non c’è solo questo, la serie degli strafalcioni comprendere il considerare la Grande Guerra la Seconda Guerra Mondiale invece della Prima, lo sbagliare di almeno un secolo la data d’introduzione in Europa della polvere da sparo, il mostrare un personaggio che pensa di poter far esplodere il C4 con un accendino e altre assurdità simili.

Mi torna in mente quell’articolo del Corriere di qualche mese fa, quello sui nipotini di Tolkien(sic); iniziava in questo modo: “Fantasy di casa nostra. Sono arrivati i nipotini di Tolkien, ragazzi giovanissimi (sorpresa: anche italiani), dalle solide basi culturali, capaci di parlare ai loro coetanei [...]” Sì, basi culturali solidissime, di marzapane! Complimentoni anche al giornalista del Corriere.
E poi ci sono quelli che vanno in giro a dire scempiaggini del tipo: “sì, ma leggere un libro anche se brutto è pur sempre leggere. Leggere è sempre meglio”. Sempre meglio di cosa? Prendere a testate un’incudine? Ci sono ben poche attività che siano più inutili e diseducative di leggere Bryan di Boscoquieto.

Lo stile

Come avete potuto constatare dagli estratti lo stile è decente. Non manca però di una lunga serie di difetti a vari livelli. Uno dei più ricorrenti è il punto di vista traballante. Si va da errori macroscopici (tipo quando un personaggio morente sta ricordando la sua cattura e riesce a ricordare anche scene a cui non ha preso parte) ad altri meno rilevanti ma che alla lunga danno fastidio, esempio:

[1] Elias si alzò e guardò stancamente davanti a sé. La casa gli sembrava meno distante ora. Ogni passo gli era costato un enorme sforzo, però riuscì a trascinarsi fino a raggiungere la porta, bussò e vi accasciò contro.
[2] «Chi è?», la voce irritata di un uomo preoccupato rispose ai colpi di Elias.
[3] Nessuno rispose.
[4] L’uomo tolse l’asse di legno che aveva messo sulla porta per sbarrare l’uscio. Elias crollò e venne sostenuto dalle sue forti braccia [...]

Nella frase [1] il punto di vista è di Elias. Alla [2] comincia a vacillare (perché è strano che Elias ridotto com’è riesca a cogliere la sfumatura di irritazione dovuta a preoccupazione in una voce – sembra che da Elias si scivoli verso il Narratore). Alla [3] c’è il problema: il lettore è ancora più o meno con Elias, e dunque si aspetta un: “Elias non rispose”, “lui non rispose”, o anche solo “non rispose”, quel “Nessuno” sposta il punto di vista, tra l’altro a un personaggio che non abbiamo ancora incontrato, il che crea disagio. Alla [4] il punto di vista è dell’uomo dietro la porta.
Questi piccoli “fastidi”, che costringono magari a rileggere più volte una frase o un paragrafo, non sono difetti mortali, ma accumulandosi pian piano rendono la lettura faticosa e portano alla noia. Inutile dire che non ci sarebbe voluto molto per eliminarli in fase di editing.

Così come l’editor avrebbe dovuto tagliare decine di pagine piene di particolari inutili. Roba di questo tipo:

[Bryan] Entrò in casa sbadigliando e borbottando sottovoce. Salì al piano superiore e si lavò le mani. Lasciò il libro in bagno, sul ripiano dei cosmetici, e andò a mangiare. Un piatto di maccheroni fumanti era già pronto in tavola e la grattugia era accanto, ad attendere soltanto lui per una sventagliata di formaggio. Squillò il telefono quando arrivarono al secondo, ovvero carne di maiale grigliata e spinaci. Bryan si alzò e andò a rispondere al cordless appoggiato sulla scrivania in salotto. Attese un paio di secondi con il telefono in mano prima di premere il tasto che avrebbe attivato la comunicazione. Il suo pensiero era rivolto a Gionata.
«Pronto?»
«Ehi, Bryan».
«Ciao, Giò», lo salutò Bryan sogghignando. «Ho indovinato», diceva la sua espressione tronfia.

Questo livello di dettaglio non è di per sé sbagliato. Se Bryan stesse descrivendo un pranzo al Palazzo della Regina dei Dogorroni potremmo essere interessati a scoprire quali portate ci sono e da quali contorni è accompagno lo gnomo allo spiedo. Ma purtroppo non è così, questo è un frammento di vita quotidiana che ognuno può immaginarsi senza leggerlo e che non ha alcuna rilevanza per la storia. Come detto ci sono decine di pagine di “vita quotidiana” scritte così: una noia abissale.

L’uso del linguaggio è spesso approssimativo. Si va da obbrobri del tipo: “I paesani sono ancora riuniti per assistere allo spettacolo offerto dalla sua morte in diretta, minuto per minuto.” con punto di vista un personaggio del XV secolo – mi chiedo se i paesani siano in regola col canone –, all’aggettivazione eccessiva, specie per quanto riguarda i possessivi “La legna sotto i suoi piedi prende fuoco e le dita dei suoi piedi cominciarono ad ardere.”, fino alle frasi di gusto Troisi: “Bryan non poteva permettere che entrassero. Avrebbero ucciso tutti, trasformando i superstiti in altri servitori dello Spirito.” Uhm… “cazzarola!” come dice la madre di Bryan. E infine ci sono i nomi stessi; senza una buona ragione, in Italia nel XV e XX secolo, abbiamo mischiati: Bryan, Bob, David, John e Josh con Massimo, Viviana, Marta, Walter e Giuseppe. Sarà.

Ci sono poi le solite quisquiglie, che ormai devo dare per scontate parlando di fantasy italiano, cioè le incoerenze: un mercante non denuncia un tizio all’Inquisizione perché vuole dirigere la tortura di persona, ma quando il torturatore sta per cominciare, il mercante se ne va a pranzo. Un personaggio è stecchito a pagina tale e grida incitamenti poche pagine dopo. Si entra dal piano terra di un palazzo, si scende con un ascensore e si ci ritrova all’ottavo piano, con il rischio di sfracellarsi cadendo dalla finestra. Quattro donne ninja diventano cinque per sbaglio e poi tornano quattro. E così via.

Nonostante questo, lo stile del Ghirardi non è così atroce come quello di altri. Anzi, diverse pagine scorrono con la dovuta scioltezza, sebbene sia difficile emozionarsi. Anche quando il punto di vista si mantiene ravvicinato e focalizzato su Bryan l’empatia non scatta, il personaggio è troppo piatto e monocorde.

Lasciando Boscoquieto

Dieci euro buttati, ma si sapeva. Purtroppo per il Ghirardi anche nel campo dell’involontariamente demente la Troisi di Nihal rimane inarrivabile, anche se sotto questo aspetto lui si avvicina. È frenato dalle lunghe parentesi di vita quotidiana di Bryan, che rallentano troppo il ritmo e rendono la lettura farraginosa. Gli elementi fantastici sono da una parte banali, dall’altra inverosimili. Non ci sono elfi, e questo è un pregio, ma siamo lontani da situazioni originali. L’ossessione per la gnocca di buona parte dei personaggi non è divertente in un romanzo che vuole essere preso sul serio.
Gli unici due aspetti passabili sono l’ambiguità morale e uno stile che pur con i suoi limiti non è da buttar via.

Non si può neanche invocare la difesa d’ufficio del romanzo “per ragazzi”. Qui abbiamo sesso esplicito (neanche consensuale), violenza (comprese scene che scivolano nel gore, tipo quando un personaggio si cava un occhio con un cucchiaio), e lezioni di matematica sbagliate: non credo che con queste qualità possa rientrare nel “per ragazzi”. O sì? Probabilmente il “per ragazzi” è come “fantasy”: una categoria-calderone in cui mettere tutta la spazzatura che però lì buttata non può più essere sottoposta a critica, perché i “ragazzi” sono scemi.

Come al solito la casa editrice ha aiutato l’autore poco esperto con un bell’editing così-come-capita. È probabile non sia neanche un caso d’incapacità (per quanto disprezzi gli editor italiani, quanti editor non sanno contare fino a dieci?), ma proprio di completo menefreghismo. Tanto chi controlla?
E non posso dar torto alla Newton Compton: un editing adeguato, la coerenza, la scrittura scorrevole senza intoppi, e quant’altro sono particolari inutili. Non è questo che interessa al pubblico del fantasy. E il pubblico ha sempre ragione. O qualcosa del genere.

L’appuntamento con altri fantasy italiani che partono con queste premesse è per il prossimo Natale, uno all’anno è sufficiente.

Coniglietto in gabbia
Il Coniglietto Grumo si era un po’ ripreso negli ultimi mesi, poi ha letto Bryan di Boscoquieto: è ripiombato nella depressione. È molto triste, e dice che gli sembra di stare tutto il tempo chiuso in gabbia


Approfondimenti:

bandiera IT Bryan di Boscoquieto su iBS.it
bandiera IT Bryan di Boscoquieto presso il sito dell’editore
bandiera IT Il video di una presentazione
bandiera IT Il sito di Federico Ghirardi
bandiera IT Un’intervista a Federico Ghirardi

bandiera IT Il sito dell’Associazione Italiana Editori
bandiera IT Il Signore dei Tranelli su iBS.it
bandiera IT Aerosol su iBS.it
bandiera IT Richard Kelly su Wikipedia

 

Giudizio:

Certe situazioni sono così sceme da sfiorare il divertimento. +1 -1 Certe altre invece sono così sceme da dar fastidio.
Lo stile non è sempre da buttar via… +1 -1 …ma da buttar via in un sacco di occasioni.
Ambiguità morale. +1 -1 Più che un fantasy è una fyccina degenere.
-1 Personaggi piatti, animati solo dalla prospettiva della gnocca.
-1 Elementi fantastici banali e inverosimili.
-1 Strafalcioni in ogni ambito.
-1 Trama sconclusionata.
-1 Noioso per lunghi tratti.
-1 Ironia assente o quasi, e quando c’è non fa ridere.
-1 Dieci euro buttati e non è neppure un romanzo autoconclusivo.
-1 10.000 copie di ‘sta roba intasano le librerie.

Otto Gamberi Marci: clicca per maggiori informazioni sui voti3

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Problemi tecnici e… John Woo!

Come qualcuno avrà notato, il blog non ha nuovi articoli da diversi giorni. Purtroppo siamo stati piagati da una serie di problemi tecnici. L’aggiornamento all’ultima versione disponibile di WordPress (il software che gestisce il blog), la 2.6, ha creato un sacco d’inconvenienti. Ci sono volute diverse notti per riportare le cose in carreggiata.

Gattino triste
Alla fine il Coniglietto Grumo ha dovuto sacrificare un branco di gattini all’altare del Dio dell’Informatica. Una scena che spero di non rivedere mai più!

È l’altro lato della medaglia di fare tutto in proprio, senza appoggiarsi a una piattaforma già pronta (splinder, blogspot, iobloggo, ecc.): possiamo installare quello che vogliamo, e siamo liberi di agire come meglio ci pare opportuno, ma se c’è qualche guaio non c’è nessuno a cui chiedere aiuto.
Nel corso dell’anno i Gamberi è diventato un affare complesso, che oltre a WordPress richiede ben 29 plugin diversi e molto codice scritto ad hoc. È facile cambiando qualcosa sfasciare qualcos’altro. Comunque i problemi sono stati risolti e da settimana prossima il ritmo dovrebbe tornare regolare.

Già che ci sono ricordo anche due cose, dato che ho ricevuto mail in merito:

Icona di un gamberetto I Gamberi sono aperti agli articoli di chiunque, sempreché siano articoli che trattino di fantasy. Quello che è richiesto è mantenere lo stesso livello di attenzione al dettaglio e documentazione. Gli articoli possono essere pubblicati a proprio nome o con pseudonimo ittico; se si hanno difficoltà con l’interfaccia di WordPress o l’HTML, sono disposta a impaginare io il testo scritto con Word o altro elaboratore testi.

EDIT: la politica del blog a questo riguardo è cambiata, si veda il seguente punto alla pagina delle FAQ:
• Voglio collaborare al blog! Pubblicherete il mio articolo?

Icona di un gamberetto Per far apparire il proprio avatar nei commenti, al posto dell’omino grigio, è necessario registrarsi presso Gravatar. La registrazione è gratuita, e assocerà l’indirizzo di e-mail specificato con l’avatar scelto; a quel punto ogni volta che si inserirà il proprio indirizzo di e-mail commentando un blog che supporta Gravatar, si vedrà apparire l’avatar.

* * *

Ciò detto, non mi piace sprecare articoli in quisquiglie, perciò voglio spendere due parole su un film che personalmente attendevo con ansia: Red Cliff, il ritorno di John Woo.

Trailer di Red Cliff

Con pellicole come Hard Boiled, A Better Tomorrow e The Killer, John Woo ha rivoluzionato il modo di girare film d’azione. Questo quando lavorava a Hong Kong. Poi si è trasferito a Hollywood e i risultati non sono stati dei migliori. Cinque anni dopo il suo ultimo film, è tornato in Cina per girare un filmone epico dedicato alla Battaglia della Scogliera Rossa.
Questa battaglia, combattuta nel 208, è raccontata nel romanzo Romance of the Three Kingdoms, scritto nel quattordicesimo secolo da Luo Guanzhong. Vede di fronte da un lato le forze alleate di Liu Bei e Sun Quan e dall’altro l’armata di Cao Cao. Se si è giocato a qualche episodio della serie Dynasty Warriors, questi nomi dovrebbero suonare familiari.

Trailer del videogioco Dynasty Warriors 6

Per portare sul grande schermo la Battaglia con il dovuto impatto (nel romanzo è una Battaglia di proporzioni enormi, il solo Cao Cao disponendo di 800.000 soldati), a John Woo è stato concesso un budget altissimo, il più alto per un film prodotto in Asia: 85 e passa milioni di dollari. Il risultato è stato un film di quasi cinque ore, che per questo è stato diviso in due: la prima parte è uscita nei cinema in Oriente in questi giorni, la seconda parte pare seguirà fra qualche mese, forse a Natale. Non è chiaro invece in Occidente come sarà trattata la faccenda, è probabile che le due parti saranno condensate in una sola di durata accettabile.
E qui entrano in gioco i signori PMCG (Portable Movie Conversion Group), un gruppo di piratoni che sono già riusciti a procurarsi una versione in qualità DVD della prima parte del film.

Chi Bi – prima parte (Red Cliff , 2008)
Red.Cliff.2008.CN.DVDRip.XviD-PMCG (DVDRip, ~1,36GB)
(cinese con sottotitoli in inglese)

Locandina di Red Cliff
Locandina di Red Cliff

L’audio è solo stereo e i sottotitoli sono incorporati nel video invece di essere separati. Per il resto è appunto una copia in qualità DVD.

Che dire del film? Difficile giudicare, perché dopo quasi due ore e mezza finisce proprio sul più bello, alla vigilia della Battaglia, con un bel “To Be Continued…” Non che manchino scene d’azione, compresa una “scaramuccia” con 2.000 cavalieri di Cao Cao verso la fine, ma certo non c’è niente di davvero epico. La parte centrale è anche piuttosto noiosa, con una serie di scene che paiono slegate fra loro (tizio che suona il flauto, nascita del puledrino, caccia alla tigre, ecc.) e che in sé non sono neanche tanto interessanti.

Screenshot da Red Cliff
Un momento di stanca del film

Però non è un brutto film. L’approccio è semi-realistico: non c’è gente che “vola” come in Hero o Crouching Tiger, Hidden Dragon ma ugualmente i Generali sono in grado da soli di uccidere decine e decine di nemici, dimostrando forza e riflessi sovrumani. Anche qui chi ha giocato ai videogiochi, riconoscerà diverse delle “mosse” impiegate. Nel complesso la cosa funziona e le scene di combattimento si fanno seguire volentieri, anche se questo rimane l’antipasto e bisognerà vedere come John Woo gestirà la carneficina quando si entrerà nel vivo della storia.
I personaggi sono abbastanza standard con Cao Cao tipico cattivo (decapita il messaggero nemico, ride in maniera sguaiata, ecc.), e i buoni tipici buoni (risparmiano la vita all’avversario vinto, si sacrificano per difendere i civili, ecc.). Gli effetti speciali sono decenti (ho apprezzato il fatto che ci sono molte comparse fisiche invece dei soliti manichini CG) e non potevano mancare le colombe, ormai un marchio di fabbrica di Woo.

Screenshot da Red Cliff: colomba
La colomba vola sopra la flotta di Cao Cao

Dunque forse non vale la pena un viaggio fino in Cina per vederlo, ma un paio d’ore di download sì! chikas_pink21.gif


Approfondimenti:

bandiera EN Il sito ufficiale di WordPress
bandiera EN WordPress Plugin Directory
bandiera EN WordPress Plugin Database
bandiera EN WordPress Plugins Database (notare la ‘s’ – è un altro sito)

bandiera EN Red Cliff su Wikipedia
bandiera EN La recensione del film di Twitch

 

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Il Futuro del Blog

Negli ultimi dieci giorni sono incappata in tutta una serie di problemi sia tecnici sia personali, che mi hanno fatto meditare sul futuro del blog.
Purtroppo comincio ad avere poco tempo, specie se intendo scrivere seriamente. Ho un sacco di idee (alcune delle quali penso persino siano buone e originali), ma non ho ancora la scioltezza per scriverle in maniera passabile in un arco di tempo ragionevole. È come quando ho cominciato a usare una tastiera e digitavo con due sole dita, fra l’altro commettendo una marea d’errori. C’è voluto un bel po’ di esercizio e Mavis Beacon Teaches Typing per raggiungere un livello decente, che non mi costringesse a dover continuamente fermarmi per inseguire sulla tastiera le frasi che mi venivano in mente.

La confezione di Mavis Beacon Teaches Typing
La confezione di Mavis Beacon Teaches Typing versione 17

Lo stesso, su un diverso piano, riguardo la scrittura. Non sono ancora abbastanza agile, e la cosa m’infastidisce non poco! Ho nella testa trame a sufficienza per almeno un romanzo ogni anno da qui al 2100, e vorrei avere l’abilità per scriverli. Per usare un paragone cinematografico, mi sento molto più vicina a John Ford o Takashi Miike piuttosto che a Stanley Kubrick. Miike sono quindici anni che gira una media di più di quattro film l’anno. Non sempre sono capolavori, ma tranne rare occasioni, sono ottimi film. Miike ha un’idea, gira il film, passa all’idea successiva.

Takashi Miike
Takashi Miike: se non fosse giapponese, ormai sulla cinquantina e a giudicare da diversi suoi film un pervertito, lo sposerei!

Vorrei riuscire a fare lo stesso. E se quattro romanzi all’anno è probabilmente un’esagerazione, un romanzo all’anno vorrei essere in grado di metterlo assieme.
Dato che è da quasi un anno che ho cominciato a scrivere con una certa attenzione, seguendo dei progetti più o meno delineati, piuttosto che buttar giù tutto quello che mi passava per la testa, è ora che mi dia una mossa! E poi sono stufa di essere chiamata invidiosa e frustrata perché gli editori avrebbero rifiutato i miei romanzi, quando non ho ancora spedito niente! Voglio quanto prima togliermi la soddisfazione di essere invidiosa e frustrata a ragion veduta!

J.K. Rowling
J.K. Rowling: ha ricevuto dodici rifiuti prima che Harry Potter venisse pubblicato. Ah, non sposerei neanche lei!

Però tutto ciò richiede tempo, tempo che non potrò più dedicare al blog. Articoli come le recensioni della Troisi richiedono una marea di ore, sia mie sia di mio fratello (che nel caso specifico ha ricontrollato ogni singola citazione, per assicurarsi che in nessun punto il mio estrapolare il testo modificasse il significato originario), e non so quando potrò di nuovo permettermi un impegno simile – ben inteso, oltre la seconda trilogia della Troisi, le Guerre subiranno lo stesso trattamento delle Cronache, quella è una promessa!
Dunque gli aggiornamenti diverranno più radi. Posso anticipare che oltre alla Troisi è probabile terminerò le recensioni già in cantiere (in alcuni casi da mesi!) ovvero Estasia, Ethlin, Il Risveglio dell’Ombra, La Bussola d’Oro, Sky Girls, Claymore, Abarat, e qualche altra. Seguirò la terza stagione di Zero no Tsukaima, e tra i fantasy italiani aspetto sempre la possibilità di leggere Zeferina. Quasi sicuramente parlerò del signor Paolini all’uscita del suo terzo romanzo.
Ci sono poi una serie di articoli per i quali ho già raccolto parecchio materiale ed è possibile che anche questi vengano alla luce un giorno o l’altro. In particolare avevo voglia di parlare di registi giapponesi contemporanei (da Tsukamoto in poi), delle parodie fantasy (Shrek, ma anche film meno conosciuti, non per questo meno belli, tipo Ella Enchanted) e di fanfiction (che non molti sanno esistono fin da inizio secolo, no, non il 2000, il 1900! e anche prima!)

La locandina di Ella Enchanted
La locandina di Ella Enchanted

Ciò detto, se qualcun altro vuole scrivere per i Gamberi, da ora in poi sarà il benvenuto. EDIT: non più, vedi qui.
Sarò sincera: credo che per una persona “esterna” scrivere un articolo per i Gamberi non porti nessun particolare beneficio, e non vedo perché tale persona dovrebbe impegnarsi in tal senso. Ma provando a bilanciare, i vantaggi sono questi:

  • potete scrivere quanto volete, come volete, nello stile che volete, e occupare quanto spazio volete con ogni genere di allegato audio/video o altro materiale rilevante.
  • se scrivete la recensione di un fantasy italiano potrete contare che l’autore la leggerà. Quasi tutti gli autori recensiti sono intervenuti a commentare le loro recensioni in pubblico o in privato. E quei pochi che non si sono fatti vivi (ciao Licia!) so che comunque hanno letto.
  • io e mio fratello siamo disposti a un limitato lavoro di editing e a gestire l’impaginazione. Il che vuol dire che se sapete usare Word o quant’altro ma non avete mai visto l’HTML in vita vostra, posso sistemare io l’articolo perché risulti decente.

Gli svantaggi:

  • gli articoli devono essere non banali, approfonditi, documentati e scritti in maniera piacevole. So che alcuni dei primi articoli del blog non rispondono a questi requisiti, ma questo vuol solo dire che tali articoli saranno revisionati in futuro non che siano accettabili articoli sciatti!
  • se sosterrete tesi poco popolari è probabile ci siano commenti velenosi se non apertamente offensivi: rimarranno, non importa quanto “maleducati”.

Oltre a ciò:

  • sono in particolare graditi articoli che parlino di fantasy italiano, recensioni di romanzi, film e quant’altro. Non è “linea editoriale” dei Gamberi sostenere a priori che il fantasy italiano faccia schifo, constatiamo solo l’evidenza. Se la vostra “evidenza” è altra, potete sostenere le vostre tesi. Mi sta benissimo che scriviate una recensione di un romanzo della Troisi sostenendo che è un capolavoro, ma dev’essere dimostrato con la stessa accuratezza con la quale io invece ho cercato di mostrare il contrario.
  • oltre al fantasy italiano, recensioni di film d’animazione (e non) nipponici o coreani mi faranno sicuramente piacere! Ma qualunque altro argomento va bene, in fondo basta che sia interessante.
  • uno stile ironico/sarcastico è apprezzato, ma non necessario. Potete anche essere mortalmente seri, però non potete essere noiosi!
  • in ogni caso a decidere cosa, come e quando pubblicare, siamo io e mio fratello, a nostro insindacabile giudizio. E l’ultima parola spetta sempre e solo al Coniglietto Grumo!

Gnocchi con ragù di coniglio
Gnocchi con ragù di coniglio: ecco, questa è una buona foto da mettere per farsi rifiutare un articolo da Grumo! Fortuna che ora sta dormendo…

Un piccolo consiglio che ho scoperto utile in questi mesi. Serve a capire se state scrivendo una recensione decente (o a capire se è decente una recensione che state leggendo altrove): meno affermazioni generiche ci sono meglio è. Quando scrivete una frase riguardo a un’opera, pensate a quante altre opere può essere applicata, se può essere applicata a un sacco di altre opere, è una frase che non comunica niente, è solo rumore.
“Questo romanzo è bello”, “Questo romanzo è brutto”, non importa quale sia il caso specifico, sono entrambe affermazioni applicabili a milioni di romanzi, per tale ragione non valgono nulla. “Nihal piange 22 volte”, questa affermazione è applicabile solo a Nihal della Terra del Vento, dunque trasmette almeno un granello d’informazione.
Ovviamente “Questo romanzo è bello/brutto perché ecc. ecc.” non è più così generico e può essere accettabile, ma prendiamo: “Questo romanzo è bello perché può essere letto su più piani, che vanno dal più semplice, quello di ordinaria avventura, sullo sfondo dell’eterna lotta tra bene e male, a quello più complesso, legato alla crescita interiore dei protagonisti”, qui non si è fatto altro che concatenare affermazioni generiche, e il risultato è che l’intera frase è aria fritta. Non ha importanza se la frase è vera per il romanzo in questione, perché sarebbe come affermare: “Questo romanzo è formato da tante parole”. Vero, ma il lettore della recensione ne sa quanto prima!
Inutile sottolineare che eventuali articoli basati sull’aria fritta non verranno neanche presi in considerazione.

Se ancora volete collaborare, potete scrivere al solito indirizzo: gamberifantasy@gmail.com.

Inoltre, da settimana prossima il blog darà molto più spazio a quella che viene definita “pirateria”. Perché parlare di Miike è interessante, leggere un libro su Miike e il suo cinema lo è ancora di più, ma guardare i film di Miike è quello che davvero importa! Così come parlare di Pullman è interessante, consultare un saggio su di lui anche, ma ciò che davvero conta alla fine di tutto è leggere i romanzi che ha scritto.
Per questa ragione via via segnalerò le varie release riguardanti il fantastico (libri, film, videogiochi, ecc.) che spuntano in rete. Per ragioni tecniche e legali è probabile che il blog non potrà mai ospitare direttamente materiale “pirata”, cercherò il più possibile di addentrarmi nei meandri di eMule, BitTorrent, FTP e Newsgroup in modo che ognuno riesca a far da sé.

È capitato a tutti, capita a tutti di discutere di musica, libri, o film. Da un po’ di tempo tra me e i miei amici abbiamo inserito una clausola: non si parla senza DVDR! È cominciato come un gioco, ma secondo me è un concetto rivoluzionario. In pratica non si possono fare affermazioni sullo stile di “hai visto il nuovo film di Tizio & Caio?” o “ma com’è bello il nuovo album dei Tal dei Tali!” senza avere in mano un supporto ottico dov’è registrato tale film o album!
La rivoluzione consiste nel fatto che sparisce il passaparola, nel suo senso più degenere di mera pubblicità o parlare a vanvera. Sparisce il fumo e rimane l’arrosto. Sparisce la pubblicità, l’hype, il parlare di o su qualcosa, perché rimanga il solo nucleo vitale, il qualcosa.
“There ain’t No Such Thing as a Free Lunch” diceva fra gli altri Heinlein nel suo celebre romanzo La Luna è una Severa Maestra, e questa frase in una forma o nell’altra ci viene continuamente picchiata in testa. Ma è falsa.

Copertina di The Moon is a Harsh Mistress
Copertina di The Moon is a Harsh Mistress

La tecnologia attuale permette di produrre e distribuire opere (d’arte) a un costo prossimo a zero. Non succede per pura avidità. E per piacere la si smetta di dire che se la gente non paga gli artisti muoiono di fame, gli editori chiudono e chissà che altro! L’umanità ha prodotto arte dalla notte dei tempi, con qualunque tipo di governo, organizzazione sociale e qualunque fosse la religione. Questo ultimo secolo di crescente e feroce difesa del copyright e di concetti marci alla radice, quale quello di “proprietà intellettuale”, si può sapere quale incalcolabile beneficio abbia portato all’Arte? Mentre lo svantaggio mi pare evidente: l’Arte non è più pensata per essere al servizio della società, per essere fonte di progresso, benessere o divertimento, ma per essere fonte di guadagno per pochi profittatori.
Ne riparlerò al primo articolo della nuova rubrica.

Ultimo cambiamento del blog sarà che spero molto più spesso apparirà la narrativa da me medesima scritta. Ve ne dovrete fare una ragione! Penso la distribuzione avverrà con licenza Creative Commons, e nel creare fisicamente i testi cercherò di attenermi ai miei stessi buoni consigli riguardo la creazione di ebook.

Entusiasmo
Entusiasmo suscitato dalle novità del blog


Approfondimenti:

bandiera EN Mavis Beacon Teaches Typing su Wikipedia
bandiera EN Takashi Miike su IMDb
bandiera EN Un estratto da Brisingr (sic) terzo romanzo di Paolini
bandiera EN Ella Enchanted su IMDb
bandiera IT Ci sono anche le chioccioline al ragù di coniglio…

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Recensioni :: Film :: Cloverfield

Locandina di Cloverfield Titolo originale: Cloverfield
Regia: Matt Reeves

Anno: 2008
Nazione: USA
Studio: Bad Robot
Genere: Fantascienza, Mostri latitanti
Durata: 1 ora e 25 minuti

Lingua: Inglese

Kaiju è un termine giapponese che indica una creatura strana, mostruosa. Kaiju eiga sono i film di mostri, filone cinematografico al quale appartiene Cloverfield.
È un filone che come pochi altri sta a cuore al Coniglietto Grumo. Per capire perché, bisogna tornare indietro di trent’anni.

Il Coniglietto Grumo attore

1971. Il Coniglietto Grumo è appena tornato dal Vietnam. La sua ultima missione con le forze speciali è stata l’Operazione Lam Son 719, concepita per colpire le basi logistiche dei nemici della democrazia in Laos.
Il reparto di Grumo non è mai esistito, gli Americani non hanno mai ammesso il loro intervento diretto in Laos, ma Grumo c’è stato e ha visto l’Inferno!
Sono gli anni bui di Grumo, segnati da solitudine, alcool e oppio. Nella disperazione, un solo momento di gioia, l’esordio come attore nel film Night of the Lepus.

Locandina di Night of the Lepus
Locandina di Night of the Lepus

In Night of the Lepus, il crudele tentativo di ridurre la popolazione dei coniglietti, sviluppando un siero che uccida solo loro, senza avvelenare le altre specie, si ritorce contro i sadici dottori: i coniglietti infettati crescono a dismisura e divengono assetati di sangue!
Night of the Lepus è un film bizzarro, recitato con quasi assoluta serietà, come se nessuna delle persone coinvolte si rendesse conto dell’intrinseca ridicolaggine della trama. Segna anche la nascita della passione del Coniglietto Grumo per i film di mostri, passione che non l’ha ancora abbandonato, così com’è durata per anni l’amicizia che l’ha legato a DeForest Kelley (il dottor McCoy di Star Trek), conosciuto sul set del film.

I Coniglietti attaccano! Riconoscete Grumo?

Data tale premessa, diviene facile capire perché i film di mostri sono tanto importanti per il Coniglietto Grumo. Sono stati per lui la luce al fondo di un tunnel buio.

Breve storia dei mostri

Volendo tracciare una breve storia dei film di mostri le quattro tappe fondamentali sono:

The Lost World (1925) per la regia di Harry Hoyt, tratto da un famoso romanzo di Arthur Conan Doyle. In tale film per la prima volta compaiono mostri giganti, nel caso specifico dinosauri.

Trailer di The Lost World (1925)

King Kong (1933) regia di Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack. La vicenda è celeberrima e perciò non starò a riassumerla. L’incredibile successo di King Kong ha suscitato interesse per i film di mostri in ogni angolo del mondo, e per questa ragione spesso King Kong è indicato quale capostipite del genere, sebbene appunto non lo sia in senso cronologico.

Trailer di King Kong (1933)

The Beast from 20,000 Fathoms (1953) regia di Eugène Lourié, tratto da un racconto di Ray Bradbury. The Beast from 20,000 Fathoms è la storia di una gigantesca creatura preistorica, un Redosauro, rimasta intrappolata per milioni di anni sotto il ghiaccio del Polo Nord. Sciagurati esperimenti nucleari risvegliano il mostro che pensa bene di dirigersi in America e attaccare la città di New York!
Non solo il Redosauro ha un pessimo carattere, dimensioni enormi e forza spaventosa, ma è anche portatore di brutte malattie. Questo particolare non è molto comune tra film di mostri, specie se sono mostri giganti; di recente è stato ripreso nel film coreano The Host dove però è usato solo per calunniare il povero mostro.

Trailer di The Beast from 20,000 Fathoms (1953)

The Beast from 20,000 Fathoms è uno dei primi film a poter vantare effetti speciali realizzati da Ray Harryhausen, un maestro nel campo.
È un bel film, divertente e con una trama più complessa di quanto non appaia a prima vista. È un film superiore sotto ogni aspetto a Cloverfield.
The Beast from 20,000 Fathoms ottenne un buon successo, ma l’importanza della pellicola è legata al fatto di essere stata la principale fonte d’ispirazione per Godzilla, uscito in Giappone l’anno successivo.

Gojira (1954) o Godzilla. Il Re dei Mostri! Come nel caso di King Kong la vicenda è così famosa che non ha bisogno di presentazioni, basta lasciar parlare le immagini…

Godzilla è spesso di cattivo umore…

Dopo Godzilla è difficile tener traccia di tutti i film di mostri prodotti nei più disparati Paesi. E se oggi il genere è forse un po’ in declino a livello mondiale, in Giappone rimane saldo con nuovi film di mostri ogni anno.

Mostri curiosi

Accanto alla storia ufficiale ce n’è un’altra parallela, che parla di film bizzarri e misteriosi che pochissimi hanno visto. Si va dalle inquietanti immagini pare tratte dal trailer di The Gorilla (1930), film considerato perduto, a Edo ni Arawareta Kingu Kongu: Henge no Maki (King Kong Appears in Edo) film con King Kong forse prodotto in Giappone tra il 1933 e il 1938 ma che forse non è mai esistito.

Le enigmatiche immagini di The Gorilla (1930)

Oppure si cita l’elusivo Wangmagwi film coreano del 1967, che avrebbe visto la partecipazione di più di 150.000 comparse. Wangmagwi non è mai uscito in videocassetta o DVD e non è mai stato trasmesso in televisione. Dopo essere passato al cinema si è inabissato, per riemergere solo qui e là in concomitanza con qualche festival dedicato all’argomento.

Wangmagwi
Un fotogramma di Wangmagwi

C’è poi la bislacca vicenda di Pulgasari. Realizzato per la prima volta in Sud Corea nel 1962 (e questo è un altro film del quale si sono perse le tracce), se ne cominciò un remake nel 1978, se non che il regista, Sang-ok Shin, venne rapito dai servizi segreti nord coreani: avrebbe dovuto rilanciare l’agonizzante cinematografia nord coreana. Sang-ok Shin finì dunque per lavorare a Pulgasari in Nord Corea. Nel 1985, con il film quasi completato, Sang-ok Shin riuscì però, al termine di una rocambolesca fuga, a raggiungere gli Stati Uniti.

Locandina di Pulgasari (1962)
Locandina di Pulgasari (1962)

Pulgasari fu terminato da un altro regista ma il risultato finale non piacque al presidente Kim Jong-il, che ne vietò la proiezione. Per dieci anni non se ne seppe più niente, finché un critico cinematografico giapponese non se ne procurò una copia. Proiettato in un solo cinema ottenne un discreto successo; qualche tempo dopo ne uscì un’edizione “ufficiale” in videocassetta. Oggi è disponibile in DVD e persino su google video, qui.

Copertina di Pulgasari (1985)
Copertina del DVD della versione 1985 di Pulgasari

Manca ancora un particolare: nel 1996 Shin scrisse la sceneggiatura per Galgameth un remake americano di Pulgasari in versione per bambini.

Pulgasari è un mostro buono. Un gigante mangiatore di ferro che aiuterà i contadini a ribellarsi contro i propri dittatori. Nondimeno l’insaziabile fame di metallo lo condurrà alla rovina.

Cloverfield

Davanti a Pulgasari con la sua storia di registi rapiti, film scomparsi, e remake sempre più oscuri, vien da sorridere pensando a J.J. Abrams, produttore di Cloverfield, e alla sua patetica operazione di “marketing virale”. Il tentativo artefatto di creare un’aura d’interesse e hype intorno a un film che si rivela ben più misero di una produzione nord coreana degli anni ’80.

La trama di Cloverfield è ridotta all’osso: un mostro attacca New York e prende di sorpresa un gruppetto di nullafacenti che stavano festeggiando la partenza di uno di loro per il Giappone. Per un’oretta i tizi girano a vuoto per Manhattan finché il film non termina. Durata totale 85 minuti, dei quali i primi venti sono di pure chiacchiere (la festa di cui sopra).

Trailer di Cloverfield (2008)

Definire Cloverfield un film di mostri è una forzatura. Il mostro compare solo per poche inquadrature alla fine, e i suoi figlioli mostriciattoli si vedono per pochi secondi. Ma soprattutto il mostro non solo non è protagonista, ma non è neanche un personaggio: non ha motivazioni, non ha storia, non ha un perché, è trattato alla stregua di un qualunque accidente naturale. Se il mostro fosse stato sostituito da un terremoto (o magari dal gelo assassino di The Day After Tomorrow) il film non sarebbe cambiato di un millimetro.
Questo a casa mia si chiama: prendere per i fondelli la gente. Spacciare un film per film di mostri quando in realtà non è vero è quanto di più bieco si possa fare. Già film come The Village di Shyamalan tirano la corda, Cloverfield la spezza.

Cloverfield è visto per la sua interezza attraverso un videocamera digitale in mano a uno dei protagonisti, nello stile di The Blair Witch Project. Questo comporta che spesso le immagini non siano a fuoco, siano inquadrati i piedi invece dei volti degli attori e ci siano un sacco di movimenti inutili di camera.
Non mi piace. Non m’immerge nel film, mi suscita mal di mare. E anche se potrà sembrare incredibile, non me ne importa un fico secco della marca di scarpe dei personaggi. Sarò ingenua, ancora ferma al Web 1.0 o che altro, ma io preferisco in un film di mostri vedere il dannato mostro!

Naturalmente le maggiori sfocature sono in concomitanza con gli avvistamenti dei mostro. Quando c’è da inquadrare un bel cartellone pubblicitario della Nokia, la telecamera è bella fissa.

L’attacco di un mostriciattolo
L’attacco di un mostriciattolo

Pubblicità occulta
Pubblicità. (questo è il culmine di un bijou in fatto di pubblicità “occulta”: prima il protagonista riceve una telefonata e s’indugia sul suo parlare al cellulare, poi va a sedersi sotto il cartellone pubblicitario e infine c’è questa inquadratura prolungata sul nome della ditta, in modo che possa essere ben leggibile. Complimenti agli interessanti, mi avete proprio convinta: non comprerò un telefono della Nokia manco morta)

Ma questo in fondo sarebbe il meno. Quello che rende Cloverfield una solenne perdita di tempo è la totale mancanza di fantasia e originalità. La storia è come visto inesistente. Il mostro in sé per quel pochissimo che s’intravvede è un generico rettile-anfibio senza personalità alcuna. E i mostriciattoli sono scopiazzati dagli headcrab presenti in Half-Life e Half-Life 2, i famosi videogiochi sviluppati da Valve Software. Il loro attacco ai protagonisti nei tunnel della metropolitana è modellato a ricalco del videogioco, con i personaggi che si difendono, proprio come nel gioco, a calci e sprangate.

Headcrab
Headcrab (Half-Life 2)

Anche dal punto di vista stilistico Cloverfield è solo una brutta copia. L’idea generale del film di mostri in prima persona col mostro che c’è ma non si vede è presa pari pari da Incident at Loch Ness, film del 2004 di Zak Penn e Werner Herzog. Per rendersi conto basta guardare la scena che segue. ATTENZIONE! Contiene spoiler per Incident, non guardatela se avete intenzione di vedere in futuro tale film (e ne vale la pena!)

Una sequenza da Incident at Loch Ness (2004)

Per altro la telecamera ritrovata con dentro un filmato del mostro che attacca chi la reggeva è un’idea ben più vecchia, e pare sia comparsa per la prima volta nel 1959 in Caltiki – Il Mostro Immortale di Mario Bava. Aggiornamento del 12 febbraio: la sequenza da Caltiki con la telecamera ritrovata e la ripresa in prima persona.

Caltiki: già cinquant’anni fa si riusciva a far venire il mal di mare agli spettatori a furia di movimenti bruschi e immagini sfocate!

Locandina di Caltiki - Il Mostro Immortale
Locandina di Caltiki – Il Mostro Immortale

Intere sequenze di Cloverfield sono fregate ad altri film, per esempio i soldati che sparano verso il mostro mentre la telecamera rimane su di loro invece di seguire il volo dei proiettili è presa dalla Guerra dei Mondi di Spielberg, con i marziani dietro la collina.
Saranno tutte citazioni? Nah! È solo spregevole copia/incolla da parte di chi non ha lui alcun talento o fantasia.

Cloverfield, e qui bisogna ammettere che non è solo, ma questo non lo giustifica, è poi vittima del disgraziato “Mito della fantasia dello spettatore”. Tale mito vuole che sia meglio solo alludere, non indugiare, lasciare che sia la fantasia dello spettatore (o del lettore) a “creare” il mostro. Non c’è niente di più pauroso delle nostre stesse paure! Non è vero, è una stupidata.
Il meccanismo, quando funziona, funziona perché c’è stato qualcuno, almeno una volta, che ha avuto il coraggio e l’abilità di mostrare un mostro davvero terrificante. Il grugnito o il ruggito che viene dal fondo della foresta non è spaventevole in sé, è spaventevole perché qualcuno ha raccontato che ci sono bestie feroci con zanne e artigli pronte a sbranarci!
Il buio non è spaventoso perché buio, è spaventoso perché la vista è il nostro principale senso e senza abbiamo poche possibilità di difenderci dalle creature mostruose che si annidano nell’oscurità. Se nessuno ci avesse raccontato che ci sono in giro mostri che succhiano il sangue o cercano di mangiarci il cervello non ci sarebbe niente da immaginare, niente di cui aver paura.
È proprio compito di registi e scrittori mostrare l’inimmaginabile. Sono pagati per questo, per superare in fantasia il proprio pubblico e rivelare quello che si nasconde nel buio. Sono capaci tutti di lasciare alla fantasia dello spettatore! E lo spettatore non si spaventa, io non mi spavento, penso solo che ho speso 5 euro per non vedere nulla di pauroso.

Un’altra moda disgustosa presente in Cloverfield e in tanti altri film recenti (per esempio la stessa Guerra dei Mondi di Spielberg) è quella di far credere che la vera paura non nascerebbe dal mostro o dai marziani, la vera paura sarebbe in realtà quella di perdere il figlio, o l’amante. Non m’interessa se il mondo va a catafascio, quello che m’importa sono i quattro gatti della mia famiglia!
Bene, ma a me che me ne frega? Quando vado al cinema per vedere un film di mostri, che si spaccia per film di mostri, cerco il sense of wonder, l’apocalittico, e il terrore, che non è quello di perdere la famiglia, ma quello della fine del mondo!
È certo che è molto più facile far appassionare alle vicende più terra terra dei personaggi. È un’esperienza molto più vicina quella di perdere il lavoro, essere bocciati a scuola o lasciati dal fidanzato. È molto più semplice l’identificazione, ma proprio per questo non ho bisogno che ci sia un cantastorie! Il cantastorie va oltre, come già visto con i mostri il cantastorie ti racconta quello che tu non immagineresti. Tu t’immagini da sola che se attraversi col rosso sei stirata da un camion, il cantastorie ti dice che se passi col verde si apre una voragine e un tentacolo ti porta sottoterra.
Il “dramma” famigliare me l’immagino da sola, non ho bisogno di spendere soldi perché me lo riferisca qualcun altro! Voglio i mostri! Voglio le esplosioni! Voglio la lotta all’ultimo sangue! Voglio emozionarmi per qualcosa che non posso vedere se non al cinema! (sperando rimanga così!)

Si capisce quando un film di fantascienza è un’atrocità: quando suscita nostalgia per una serata passata a guardare Independence Day in TV. Cloverfield me l’ha suscitata.

Locandina di Independence Day
Locandina di Independence Day

Tirando le somme: Cloverfield è un’immane vaccata. Storia minima e priva di fantasia, originalità e colpi di scena. Mostro latitante. Scopiazzature spacciate per innovazioni e la solita pubblicità molto poco occulta. Altra spazzatura, come se non ce ne fosse in giro abbastanza.

Oltre Cloverfield

Per concludere voglio essere propositiva e segnalare qualche decente film di mostri degli ultimi anni. Non che riguardare o guardare per la prima volta The Beast from 20,000 Fathoms o Godzilla sia una cattiva idea, anzi! Questi e gli altri film di cui ho già parlato sono quasi tutti ottimi e come minimo migliori di Cloverfield.

Iniziamo con Godzilla. Tutti gli ultimi Godzilla, a partire da Godzilla 2000 del 1999 sono buoni film. Non capolavori ma molto divertenti. Si sta parlando di Godzilla 2000 (1999), Godzilla vs. Megaguirus (2000), Godzilla, Mothra and King Ghidorah: Giant Monsters All-Out Attack (2001), Godzilla against Mechagodzilla (2002), Godzilla: Tokyo S.O.S (2003) e Godzilla: Final Wars (2004).

Dovendone scegliere uno prenderei l’ultimo, il Godzilla del cinquantenario, Godzilla: Final Wars. Final Wars è un film a tratti sconclusionato e ingenuo, però il regista, Ryuhei Kitamura (quello del bellissimo Azumi), non si risparmia con la fantasia e le trovate. Alieni, mutanti, mostri giganti come se piovesse (più di una dozzina), e combattimenti in tutto il mondo! Questo è il genere di film che vorrei vedere al cinema!

Godzilla contro il Godzilla americano (“Zilla”) da Godzilla: Final Wars (2004)

Del 2005 è Ultraman.

Un momento da Ultraman (2005)

Mentre nel 2006 è uscito Gamera the Brave.

Trailer di Gamera the Brave (2006)

Film passabili, niente di speciale, rivolti più che altro a un pubblico di appassionati del genere. Inutile sottolineare però come anche questi siano meglio di Cloverfield.
L’anno scorso è stata la volta del surreale e parodistico Big Man Japan.

Una scena da Big Man Japan (2007)

In campo coreano non si può non menzionare The Host (2006) di Joon-ho Bong. The Host è un ottimo film, ma non è un film alla Godzilla. È una personale e feroce lotta tra una famiglia di squinternati e un mostro disperato; non ci sono soverchie distruzioni, tutti i palazzi della città rimangono in piedi. Dove Joon-ho Bong è bravissimo è nel saper introdurre l’ironia al momento opportuno e viceversa tornare serio nelle scene di tensione, laddove Cloverfield scorre sempre uguale, in preda a una serietà ottusa.

Trailer di The Host (2006)

E infine il già citato Incident at Loch Ness. Incident at Loch Ness è un film sui generis: seguiamo il regista, Zak Penn, mentre cerca di realizzare un documentario su Werner Herzog. In quel periodo Herzog è a sua volta impegnato a realizzare un documentario sul mostro di Loch Ness, almeno finché non scopre che la produzione non ha alcuna intenzione di creare un film serio, bensì punta solo al sensazionalismo, non disdegnando d’inventarsi le prove dell’esistenza del mostro. Ma forse il mostro di Loch Ness non è solo leggenda…

Trailer di Incident at Loch Ness (2004)

Incident at Loch Ness è quasi tutto in prima persona, come appunto Cloverfield. La differenza è che Incident non segue l’”innovazione” in quanto tale, Incident è un film che ha ben chiaro dove vuole andare a parare e ci arriva con classe sopraffina. Per certi versi si avvicina a Shaun of the Dead: riesce al contempo a essere sia un ottimo film di mostri sia un’ottima parodia del genere. In verità non solo precede Cloverfield ma è due passi avanti: la tecnica in prima persona di Cloverfield è già data per scontata è già ne vien fatta ironia.
In ogni caso se non è un capolavoro poco ci manca, e lo consiglio a tutti, anche a chi non ha interesse per i mostri.

Mostro Bonus
Mostro Bonus: provate a scoprire di chi si tratta!


Approfondimenti:

bandiera IT La mia recensione di D-War, un altro brutto film con mostri giganti

bandiera EN Cloverfield su IMDb
bandiera EN Il sito ufficiale di Cloverfield

bandiera EN Night of the Lepus su IMDb
bandiera EN The Lost World su IMDb
bandiera EN The Lost World visibile online via Google Video
bandiera EN The Lost World, il romanzo, disponibile presso il Progetto Gutenberg
bandiera EN King Kong su IMDb
bandiera EN Kong is King.net, un sito dedicato a King Kong
bandiera EN The Beast from 20,000 Fathoms su IMDb
bandiera EN The Fog Horn, il racconto di Bradbury che ha ispirato The Beast
bandiera EN Godzilla su IMDb
bandiera EN Godzilla su Wikipedia
bandiera EN The Gorilla (1930) su IMDb
bandiera EN King Kong Appears in Edo su Wikipedia
bandiera EN Una recensione di Wangmagwi
bandiera EN Pulgasari (1985) su IMDb
bandiera EN Pulgasari (1985) visibile online su YouTube
bandiera EN Un’esaustiva recensione di Pulgasari (1985)
bandiera EN Galgameth su IMDb
bandiera EN Caltiki – Il Mostro Immortale su IMDb

bandiera EN Godzilla: Final Wars su IMDb
bandiera JP Il sito ufficiale di Godzilla: Final Wars
bandiera EN Ultraman su IMDb
bandiera EN Gamera the Brave su IMDb
bandiera EN Big Man Japan su IMDb
bandiera JP Il sito ufficiale di Big Man Japan
bandiera EN Una recensione di Big Man Japan
bandiera EN The Host su IMDb
bandiera EN Il sito ufficiale americano di The Host
bandiera EN Incident at Loch Ness su IMDb

bandiera EN Kaiju Headquarters, sito dedicato a Godzilla e amici
bandiera EN Giant Monster Movies, sito dedicato ai film con mostri giganti
bandiera EN L’interessante forum di Kaijuphile.com

 

Giudizio:

Niente. -1 Mostro che non si degna di presentarsi.
-1 Mostriciattoli che avrebbero fatto meglio a rimanere in Half-Life.
-1 Storia inesistente.
-1 La telecamera è retta da un ubriaco…
-1 …e l’ubriaco se ne vanta pure!
-1 Pubblicità molto poco occulta.
-1 Neanche mezza idea originale a pagarla oro.
-1 Venti minuti iniziali di chiacchiere idiote.

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Scritto da GamberolinkCommenti (38)Lascia un Commento » feed bianco Feed dei commenti a questo articolo Questo articolo in versione stampabile Questo articolo in versione stampabile • Donazioni

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