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Titolo originale: The Dragons of Babel
Autore: Michael Swanwick
Anno: 2008
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Editore: Tor Books
Genere: New Weird, Elfpunk
Pagine: 320 |
All’alba, il mondo è scosso dal frastuono dei motori a reazione: uno stormo di Draghi biomeccanici si sta dirigendo verso il confine per bombardare le artiglierie di Avalon. Il giovane Will, invece di chiudersi in casa come gli altri abitanti del suo villaggio, decide di assistere allo spettacolo. I Draghi stanno sparendo all’orizzonte, quando l’ultimo della formazione è attaccato da un basilisco nemico. La lotta è feroce e le esplosioni di tale intensità da deformare lo spazio-tempo.
Due giorni dopo un Drago esce dal bosco e si trascina fino alla piazza principale del villaggio. Ha perso le ali, ha il corpo coperto di ferite, non ha più missili nei tubi di lancio e i serbatoi sono pieni a metà. Nondimeno sarebbe ancora in grado di radere al suolo il villaggio, perciò si autoproclama Re: gli abitanti dovranno ubbidirgli e accudirlo finché non sarà portato in salvo da truppe amiche. Il Drago ha poi bisogno di un assistente, qualcuno che possa riferire i suoi ordini e spiare sui nuovi sudditi: tutti vengono esaminati e la scelta cade su Will…
…e qui cominciano le fantastiche avventure di Will e del suo Drago! Come in Eragon!
Non proprio. I Draghi di Swanwick hanno poco a che vedere con le care bestiole così spesso presenti nel fantasy. I Draghi di Swanwick sono egoisti, cinici, crudeli, malvagi, senza la minima traccia di rimorso o pietà. Per avere idea del loro simpatico carattere si può pensare a un incrocio fra il tradizionale Orco delle fiabe e la fredda intelligenza di HAL 9000 in Odissea nello Spazio. Will è drogato dal Drago, costretto a compiere azioni atroci
mostra piccolo spoiler ▼
tipo ordinare la crocefissione del suo ex migliore amico
e ogni sera deve fare rapporto: lasciare che il Drago gli entri nella mente e ne estragga i ricordi. La procedura non è lontana da uno stupro:
“Shussssh.” the dragon breathed. “Not a word. I need not your interpretation, but direct access to your memories. Try to relax. This will hurt you the first time, but with practice it will grow easier. In time, perhaps, you will learn to enjoy it.”
Something cold and wet and slippery slid into Will’s mind. A coppery foulness filled his mouth. A repulsive stench rose up in his nostrils. Reflexively, he retched and struggled.
“Don’t resist. This will go easier if you open yourself to me.”
More of that black and oily sensation poured into Will, and more. Coil upon coil, it thrust its way inside him. He found himself rising up into the air, above the body that no longer belonged to him. He could hear it making choking noises.
“Take it all.”
It hurt. It hurt more than the worst headache Will had ever had. His skull must surely crack from the pressure. Yet still the intrusive presence pushed into him, its pulsing mass permeating his thoughts, his senses, his memories. Swelling them. Engorging them. And then, just as he was certain his head must explode from the pressure, it was done.
The dragon was within him.
Squeezing shut his eyes, Will saw, in the dazzling, pain-laced-darkness, the dragon king as he existed in the spirit world: sinuous, veined with light, humming with power. Here, in the realm of ideal forms, he was not a broken, crippled thing, but a sleek being with the beauty of an animal and the perfection of a machine.
“Am I not beautiful?” the dragon crooned. “Am I not a delight to behold?”
Will gagged with pain and disgust. And yet — might the Seven forgive him for thinking this! — it was true.
“Shussssh.” il drago sussurrò. “Non una parola. Non ho bisogno della tua interpretazione, ma di accedere direttamente alle tue memorie. Cerca di rilassarti. La prima volta farà male, ma con la pratica diventerà più naturale. Col tempo, forse, imparerai ad apprezzarlo.”
Qualcosa di freddo e bagnato e scivoloso si insinuò nella mente di Will. Un osceno sapore di rame gli riempì la bocca. Un tanfo ripugnante gli salì nelle narici. Di riflesso fu scosso da conati di vomito.
“Non fare resistenza. Sarà più facile se ti apri a me.”
Quella sensazione nera e oleosa continuò a colare dentro Will. Spira dopo spira, il drago si apriva una strada dentro di lui. Will si ritrovò sospeso in aria, sopra il proprio corpo. Sentì giungere da quel corpo, corpo che ormai non gli apparteneva più, suoni strozzati.
“Prendilo tutto.”
Era doloroso. Era più doloroso del peggior mal di testa che Will avesse mai avuto. Il cranio si sarebbe di sicuro frantumato per la pressione. E ugualmente la presenza aliena insisteva a spingersi dentro di lui, una massa pulsante che permeava i suoi pensieri, i suoi sensi, le sue memorie. Gonfiandoli e divorandoli. E quando Will fu certo che la testa gli sarebbe esplosa, l’invasione fu completa.
Il drago era dentro di lui.
Con gli occhi serrati Will vide, nell’abbagliante, dolorosa, oscurità, il re drago come esisteva nel mondo dello spirito: sinuoso, venato di luce, circondato dal mormorio del proprio potere. Lì, nel reame delle forme ideali, non era una cosa rotta e storpia, ma una creatura fiammante con la bellezza di un animale e la perfezione di una macchina.
“Non sono bello?” chiese civettuolo il drago. “Non sono una meraviglia da ammirare?”
Will era soffocato dal dolore e dal disgusto. Eppure — che i Sette possano perdonarlo per averlo pensato! — era vero.
Però alla fine Will riuscirà a sfuggire al Drago e, lasciato il villaggio, troverà il modo di vivere le fantastiche avventure di cui sopra. Più o meno.
Babele
The Dragons of Babel è ambientato nello stesso mondo di Cuore d’Acciaio (The Iron Dragon’s Daughter, 1993), sebbene il cast dei personaggi sia nuovo.
Il Faerie di Swanwick rimane a tutt’ora una delle migliori se non la migliore ambientazione fantasy in circolazione. Magia e tecnologia, razionale e bizzarro s’incrociano in maniera naturale e verosimile. Swanwick riesce a parlare di città ciclopiche e mela-folletti, di macchine apocalittiche che farebbero la felicità dei Krell e ragazze-capra, di sottoufficiali centauri che giocano alla roulette russa con i bambini e di nani in fuga dall’equivalente sotterraneo della gestapo, e ci riesce rimanendo credibile. Anzi, il suo mondo appare molto più “concreto” della buona parte dei mondi fantasy in circolazione. È un mondo fantasioso come pochi — se non nessun altro[1] — e al contempo realistico.

Uno scorcio della Grande Macchina dei Krell. I Krell sono gli originari abitanti di Altair IV. Sono divenuti famosi nella Galassia per la loro passione riguardo le macchine gigantesche. In particolare la Grande Macchina, scavata nelle profondità del pianeta, occupava 33.000 chilometri cubi
Il segreto è sempre il solito: scrivi di quel che sai! Come lo stesso Swanwick spiega in un’intervista, dopo un viaggio in Irlanda si è reso conto dell’assurdità per lui e i suoi colleghi americani di scrivere fantasy tradizionale: loro non ne sanno niente di castelli e circoli di pietre, loro sono vissuti tra fabbriche, supermercati, discariche e stripper bar(sic), dunque è da lì che devono partire. Il mondo moderno diventa una base solidissima su cui costruire; non dovendo rinunciare a secoli di scienza e tecnologia diviene più semplice creare scenari complessi. Il tipico autore di fantasy si vanta di aver ideato la lingua dei nani o cinque specie di elfi, Swanwick ha l’infrastruttura per popolare il suo mondo con centinaia di razze diverse.
Gli stessi Draghi esistono perché esiste l’elettronica e la biochimica, perché esistono i missili aria-terra e la guerra non sono solo tizi che si prendono a spadate. Esistono perché nel nostro mondo — e forse anche in Faerie — esistono lo steampunk e gli anime.
Non escludo che si possa raggiungere questa complessità così feconda di risultati anche partendo da premesse diverse, forse l’equivalente di un Drago biomeccanico può abitare nell’Irlanda medievale, resta il fatto che i mondi ideati da gente come Martin o Jordan appaiano infantili in confronto alla Babele di Swanwick.
Quello che invece è probabilmente inevitabile accettando la complessità è la rinuncia alla componente conforto del fantasy tolkeniano. Uno scenario complesso per sua natura tende a essere amorale, dunque non può esistere il lieto fine, dato che manca un concetto assoluto di lieto. Leggere Swanwick non è rilassante, non è la classica fuga, il lasciarsi i problemi quotidiani alle spalle per immergersi in un mondo lontano e così più facile da comprendere del nostro; tuttavia la tensione viene ripagata dal divertimento!
C’è da sottolineare un altro aspetto: Swanwick non scrive urban fantasy, almeno non nell’accezione corrente. Il mondo moderno non è il nostro mondo. È solo appunto la partenza, la base, su cui poi edificare il mondo secondario. Mentre nel tipico urban fantasy c’è solo un’infiltrazione di fantastico, in Swanwick l’ambientazione è immersa nel fantastico. Per ogni computer o cellulare o automobile, ci sono incantesimi, magie e mostri. Per questo Cuore d’Acciaio e The Dragons of Babel più che elfpunk[2] sono new weird.
È tale il trasporto di Swanwick nel voler stupire a ogni pagina con creature curiose, situazioni bizzarre e bislaccherie varie, che di sicuro è rispettata la clausola più importante nella definizione di new weird da parte di Jeff VanderMeer: il “surrender to the weird”, l’abbandonarsi al bizzarro.
Il fascino del new weird consiste nel fatto che l’autore è invitato a lasciarsi andare, arrendersi, abbandonarsi al bizzarro, ma rimanendo nell’ambito del fantasy o della fantascienza, cioè rimanendo in un contesto che richiede verosimiglianza. Swanwick ci riesce benissimo.

Copertina dell’edizione rumena dell’antologia The New Weird, curata da Ann & Jeff VanderMeer. D’altra parte in Italia abbiamo la più grande concentrazione di giovani talenti del fantasy a livello mondiale, che bisogno ci sarebbe di tradurre ‘ste cose banali?
Un paio di passaggi per dare l’idea della commistione fra magia e tecnologia, purtroppo le situazioni più bizzarre richiedono diverse pagine per essere inquadrate e sarebbero troppo lunghe da proporre:
Puck’s[3] body, when they dug it up, looked like nothing so much as an enormous black root, twisted and formless. Chanting all the while, the women unwrapped the linen swaddling and washed him down with cow’s urine. They dug out the life-clay that clogged his openings. They placed the finger-bone of a bat beneath his tongue. An egg was broken by his nose and the white slurped down by one medicine woman and the yellow by another.
Finally they injected him with five cc. of dextroamphetamine sulfate.
Puck’s eyes flew open [...]
Il corpo di Puck[3], quando lo tirarono fuori, non sembrava nulla più di un’enorme radice nera, contorta e senza forma. Salmodiando tutto il tempo, le donne svolsero la fasciatura di lino e lavarono il corpo con urina di mucca. Tolsero l’argilla della vita che ostruiva le aperture. Piazzarono un ossicino di pipistrello sotto la lingua di Puck. Un uovo venne rotto vicino al suo naso, il bianco fu ingoiato da una donna di medicina e il tuorlo da un’altra.
Infine gli iniettarono cinque cc. di destroanfetamina solfato.
Gli occhi di Puck si spalancarono [...]
* * *
Will couldn’t help but smile. “Of course you do. I—” There was a sudden weight on Will’s shoulders and hips. With a strange sense of discontinuity, he realized that he was wearing a rubberized cloth helmet with a plastic visor. He looked down and found himself clothed in a white moon suit with rubber gloves. A waist unit pumped fresh air through PVC tubing into his helmet.
Inexplicably, Nat Whilk was standing in front of Will. He, too, wore a white biohazard suit. “Whatever you do, don’t take off the hood,” he said “Or you’ll be frozen timeless like everyone else in the city.”
Everything felt odd “Nat,” Will said, “what the hell am I doing in this thing? What’s going on here?”
“Take a look.” Nat stepped to the side so he wasn’t blocking Will’s sight.
All the city was motionless. Traffic had ceased. The crowds of pedestrians on the sidewalk were a petrified forest. Flower petals that the wind had blown from a window box were fossilized in the air, like ants in amber. Esme, caught in mid-hop, balanced on one toe.
Nat took a nickel from his pocket and held out before him. When he snatched his hand out from under it, the nickel did not fall. “Major juju, huh? The Lords of the Mayoralty have frozen an instant of time and moved their police and rescue forces into it. This is world-class stuff. You’re lucky to be seeing it. A spell of this magnitude is cast only once in a decade, and even then only under gravest need. It’s a real budget-breaker.”
Will non poté trattenersi dal sorridere. “Naturalmente l’hai dimenticato. Io —” Un peso improvviso gli premette contro le spalle e i fianchi. Una strana sensazione di discontinuità; si rese conto di star indossando un casco di tessuto gommoso dotato di una visiera di plastica. Abbassò lo sguardo e si scoprì vestito con una tuta bianca da astronauta con guanti di gomma. Un’unità addominale pompava aria pulita nel casco attraverso una tubatura in PVC.
Inspiegabilmente, Nat Whilk era in piedi di fronte a Will. Anche lui indossava una tuta protettiva. “Qualunque cosa vuoi fare, non toglierti il casco,” disse “Oppure sarai immobilizzato nel tempo come tutti gli altri in città.”
Il che suonava strano. “Nat,” disse Will, “che diavolo ci faccio conciato così? Cosa sta succedendo?”
“Guardati in giro.” Nat si spostò di lato, in modo da non bloccare più la visuale a Will.
La città era ferma. Il traffico si era arrestato. La folla di pedoni sui marciapiedi era diventata una foresta pietrificata. Petali che il vento aveva trasportato fuori da una finestra erano fossilizzati nell’aria, come formiche nell’ambra. Esme, bloccata a metà di un saltello, era in equilibrio su un dito.
Nat prese un nichelino dalla tasca e lo tenne avanti a sé. Quando tolse la mano da sotto la monetina, quella non cadde. “Una gran stregoneria, eh? I Signori della Municipalità hanno congelato un istante di tempo e vi hanno fatto entrare le forze di polizia e di pronto intervento. Roba di prima classe. Sei fortunato ad assistervi. Una magia di questa potenza è evocata non più di una volta ogni dieci anni, e solo in caso di assoluta necessità. È un disastro per il budget.”
* * *
He found her playing with a dead rat.
From somewhere, Esme had scrounged up a paramedic’s rowan wand that still held a fractional charge of vivifying energy and was trying to bring the rat back to life. Pointing the rod imperiously at the wee corpse, she cried, “Rise! Live!” Its legs twitched and scrabbled spasmodically at the ground.
The apple imp kneeling on the other side of the rat from her gasped. “How did you do that?” His eyes were like saucers.
“What I’ve done,” Esme said, “is to enliven its archipallium or reptilian brain. This is the oldest and most primitive part of the central nervous system and controls muscles, balance, and autonomic functions. “She traced a circuit in the air above the rat’s head. Jerkily, like a badly handled marionette, it lurched to its feet. “Now the warmth has spread to its paleopallium, which is concerned with emotions and instincts, fighting, fleeing, and sexual behavior. Note that the rat is physically aroused. Next I will access the amygdala, its fear center. This will—”
“Put that down, Esme.” It was not Will who spoke. “You don’t know where it’s been. It might have germs.”
The little girl blossomed into a smile and the rat collapsed in the dirt by her knee. “Mom-Mom!”
La trovò che giocava con un topo morto.
Da qualche parte, Esme aveva recuperato una bacchetta da paramedico in legno di sorbo. La bacchetta tratteneva ancora una frazione della sua carica di energia vivificante, e con quella la bambina cercava di riportare in vita il topo. Puntando imperiosa la bacchetta verso il corpicino, declamò, “Alzati! Vivi!” Le zampe del topo si contrassero e rasparono in maniera spasmodica il terreno.
Un mela folletto, inginocchiato davanti al topo dalla parte opposta rispetto a lei, era rimasto di stucco. “Come ci riesci?” chiese, gli occhi sgranati, grandi quanto un piattino.
“Quello che ho fatto,” disse Esme, “è stato rianimare l’archipallium o cervello rettile. È la parte più antica e primitiva del sistema nervoso centrale e controlla i muscoli, l’equilibrio e le funzioni autonome.” Disegnò un cerchio nell’aria sopra la testa del topo. A scatti, muovendosi come una marionetta mal condotta, il topo sobbalzò sulle zampe. “Adesso il calore vitale si è diffuso al paleopallium, che si occupa delle emozioni e degli istinti, combattere, fuggire e il comportamento sessuale. Notare che il topo è fisicamente eccitato. Come prossima mossa accederò all’amigdala, il suo centro della paura. Questo farà –”
“Mettila giù, Esme” Non era stato Will a parlare. “Non sai dov’è stata, magari è piena di germi.”
La bambina si accese in un sorriso e il topo si accasciò nello sporco vicino al suo ginocchio. “Mamma! Mamma!”
Entrando nello specifico, The Dragons of Babel si svolge per buona parte nella città di Babele, la città delle Mille Razze. E non per modo di dire; oltre ai consueti uomini, elfi, nani, giganti, troll, orchi e i già citati draghi, abbiamo: russalka, vodnik, duppy, tokoloshe, boggart, clurichaun, oni, tylwyth teg, e ancora ogni genere di creaturina, e gli uomini-stecco e gli uomini-cane, centauri, coboldi, mela-folletti, titani, sfingi, grifoni, e un’infinità d’altri. La stessa immensa Babele è viva ed è uno dei personaggi della vicenda.

Un simpatico Tokoloshe
Swanwick non descrive mai Babele nel suo complesso, lasciando che il sense of wonder nasca indirettamente: per esempio parlando dell’oceanica discarica che circonda la torre. Gli impianti per smaltire i rifiuti sono la struttura artificiale più estesa del pianeta e sono visibili dall’orbita.
Babele è in parte New York, in parte Metropolis, Gotham City, New Crobuzon, Ambergris, e in parte del tutto originale. È un’ambientazione splendida.
Non sono solo rose e fiori
Se l’ambientazione è splendida, la storia potrebbe essere migliore. L’impressione è di trovarsi di fronte a una vicenda frammentaria; non a caso diversi capitoli del romanzo sono stati pubblicati da Swanwick anche come racconti autonomi.
I frammenti sono ottimi (per esempio il capitolo 12, A Small Room in Koboldtown, è stato candidato all’Hugo come miglior short story e ha vinto il Locus nella stessa categoria) ma alle volte lasciano il tempo che trovano, nonostante nel finale Swanwick si dimostri abile nel far combaciare le diverse parti.
Dove il romanzo è di molto inferiore a Cuore d’Acciaio e in generale è sottotono è nel protagonista. Will non è interessante come la Jane di Cuore d’Acciaio, e — orrore! — è quasi buono. È un truffatore e nel corso della storia compirà azioni non proprio encomiabili, eppure manterrà una rettitudine morale che stride rispetto alla complessità del mondo in cui vive. Troppe sue scelte sono nette e scarsamente motivate, dettate solo dalla necessità di dirigere la storia in una determinata direzione.
Si sente poi la mancanza di Melancthon. Purtroppo, a dispetto del titolo, in The Dragons of Babel i draghi compaiono solo nei primi capitoli e nelle ultime pagine, ed è un gran peccato.
In compenso molti dei comprimari sono ottimi personaggi, perfino quelli che appaiono per poche pagine, come il nano suicida o il leone di pietra a guardia della biblioteca o la rana proprietaria di un bar. I due soci di Will nelle sue imprese truffaldine, una coppia simile a quella del gatto e la volpe (e in effetti il secondo socio è una volpe antropomorfa che si sposta in Vespa e si chiama Victoria il Volpone Sheherazade Jones), sono simpatici e piacevoli da seguire. Esme, la bambina-che-non-è-una-bambina, è alle volte fastidiosa, ma scoprire pian piano chi in realtà sia è una delle sottotrame divertenti della storia.
Swanwick scrive in terza persona limitata seguendo Will. Gli episodi sono disposti nel giusto ordine temporale e la vicenda scorre lineare senza intoppi. Però il lessico di Swanwick è spesso tutt’altro che semplice. Usa neologismi, termini desueti, parole che sa solo lui dov’è andato a pescarle. Non conosco abbastanza l’Inglese per dire che sia un difetto oggettivo, è possibile che per un lettore anglosassone di media cultura rimanga una scrittura semplice, tuttavia ho qualche dubbio che quando un personaggio parla sotto voce (in italiano nel testo) sia un modo di esprimersi elementare.
L’impressione è che a tratti Swanwick scivoli un po’ nel pretenzioso, il che è vagamente ridicolo, quando poi ti balocchi con i mela-folletti.

Mela folletto. Qui un video a lui dedicato
D’altro canto questa ricchezza di vocabolario gli consente di descrivere ambienti e situazioni in maniera accurata con poche righe. The Dragons of Babel sono 320 pagine, ma la densità di avvenimenti è tale da consentirgli di competere senza problemi con romanzi tre volte più lunghi. Sotto quest’aspetto Swanwick è impeccabile, in ogni “frammento” la narrazione procede senza neanche mezza pagina di troppo.
Conclusioni e recriminazioni
The Dragons of Babel, pur non essendo all’altezza di Cuore d’Acciaio, rimane un bellissimo romanzo. Mi sono divertita a leggerlo come non mi capitava da tempo e questo nonostante io sia invidiosa del signor Swanwick, perché ha più fantasia di me!
Perciò per chi se la cava con l’Inglese è consigliato senza remore.
Per gli altri bisognerà aspettare una traduzione che non ho idea se arriverà mai. Io sto ancora aspettando la traduzione del terzo volume del Ciclo Barocco di Stephenson (alla fine The System of the World l’ho letto in Inglese, con grande fatica) e probabilmente ci vorranno dieci anni per vedere da noi il suo ultimo romanzo, il promettente Anathem. D’altra parte perché tradurre Stephenson quando puoi pubblicare il prossimo sedicenne?
EDIT del 9 ottobre 2010. Rizzoli ha pubblicato la prima parte di Anathem (il romanzo originale è stato spaccato in due), mentre non è ancora uscito in italiano il terzo volume del Ciclo Barocco.

Scopri l’intruso!
Mi sfugge completamente il ragionamento dietro certe scelte. L’Einaudi inaugura una collana fantasy, perché non avrebbe potuto iniziare con questo The Dragons of Babel ? Davvero se distribuisci il libretto illustrato con i Draghi, intervisti Swanwick al telegiornale e quant’altro vendi meno che con la Strazzulla? In fondo stiamo parlando di un romanzo con i draghi biomeccanici, con i giganti che combattono e distruggono interi chilometri quadrati di territorio, con ogni genere di meraviglia. E c’è anche una storia d’amore! Perché Will s’innamorerà di una nobildonna elfa. D’accordo, d’accordo, non è proprio una faccenda mielosa — lei gli mostra il dito medio la prima volta che s’incontrano e quando vuole fargli un complimento lo chiama “asshole” — però è lo stesso una storia d’amore, e persino più romantica di altre.

Michael Swanwick. Uhm, ok, per l’intervista al telegiornale si può prendere un modello ventenne. Non vedo il problema
La piccola speranza è che qualche furbone dell’editoria nostrana dopo aver letto il titolo e aver guardato la copertina di The Dragons of Babel pensi che sia una qualche roba D&D: a quel punto sarebbe traduzione sicura!
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note:
[1] ^ Al di fuori della Bizarro Fiction, a mio modesto avviso l’unico che può competere in termini di fantasia sfrenata con Swanwick è VanderMeer.
[2] ^ L’elfpunk è quel sottogenere dell’urban fantasy al cui centro vi è l’idea di trasportare creature classiche del fantasy (come appunto gli elfi) in un ambiente moderno e urbano. Questo in effetti avviene sia in Cuore d’Acciaio sia in The Dragons of Babel e lo stesso Swanwick ammette che Cuore d’Acciaio possa essere catalogato elfpunk, sebbene a lui personalmente piaccia pochissimo il termine. Tuttavia tale trapianto di figure fantasy nella modernità descrive solo in maniera parziale e inaccurata l’ambientazione dei due romanzi.
[3] ^ Non lo stesso Puck di Cuore d’Acciaio.
Approfondimenti:
The Dragons of Babel su Amazon.com
The Dragons of Babel recensito da John Clute
A Small Room in Koboldtown leggibile online (PDF)
Il sito ufficiale di Michael Swanwick
Il blog di Michael Swanwick
Michael Swanwick su Wikipedia
Jeff VanderMeer su Wikipedia
Neal Stephenson su Wikipedia
Giudizio:
Swanwick sa scrivere bene… +1 |
-1 …forse troppo bene. |
Alcuni “frammenti” sono eccezionali. +1 |
-1 Ma la storia potrebbe essere più organica. |
Ottimi comprimari. +1 |
-1 Insipido protagonista. |
Ambientazione splendida. +1 |
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È difficile trovare un autore con maggior fantasia. +1 |
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I Draghi si vedono poco ma sono sempre fantastici. +1 |
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