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Recensioni :: Saggio :: Characters and Viewpoint

Copertina di Characters and Viewpoint Titolo originale: Characters and Viewpoint
Autore: Orson Scott Card

Anno: 1999
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Editore: Writer’s Digest Books

Genere: Manuale di scrittura
Pagine: 182

In How to Write Science Fiction and Fantasy, Orson Scott Card soprassedeva su diversi punti, rimandando alla lettura di libri che trattassero più in dettaglio le questioni specifiche. Uno di tali libri è appunto questo Characters and Viewpoint dello stesso Scott Card.
Come chiarisce il titolo, Characters and Viewpoint tratta di Personaggi e Punto di Vista. E basta. Infatti è come se fosse in atto una catena di Sant’Antonio dei manuali di scrittura: se per esempio si vuol saperne di più riguardo alla costruzione della trama, Scott Card consiglia Plot di Ansen Dibell, se si hanno problemi con i dialoghi c’è un altro manuale, e un terzo riguardo le ambientazioni, e così via.

Copertina di Plot di Ansen Dibell
Copertina di Plot di Ansen Dibell

Ciò detto, Characters and Viewpoint mi è piaciuto. Il fatto che Scott Card non si rivolga nello specifico agli scrittori di narrativa fantastica gli permette di evitare di parlare di problemi commerciali. Non ci sono più scelte narrative “giuste” o “sbagliate”, perché lo scopo non è più vendere o piacere per forza al pubblico, ma riuscire a esprimere con la scrittura le proprie idee. Scott Card lascia ampia libertà di scrivere come meglio si creda, e il suo obbiettivo, più che insegnare, diventa quello di rendere gli autori consapevoli delle conseguenze delle proprie scelte.

Premessa

Anche se nel libro di Scott Card il discorso che segue è solo una piccola premessa, ne voglio parlare, perché mi fa molto piacere che lui la pensi esattamente come me!
Secondo Scott Card, quando un lettore si accosta a un romanzo, lo fa animato da ottime intenzioni, come dimostra il fatto che il romanzo l’ha pagato e che ci sta per dedicare tempo prezioso. Tuttavia questa “Luna di miele” come la chiama Scott Card, ha la durata di due pagine, due.
Nelle prime due pagine, lo scrittore deve riuscire a rispondere a tre naturali e legittime domande:
“E allora?” Perché dovrei leggere questo romanzo? Cos’ha di diverso rispetto agli altri mille che ho già letto? Cos’ha di meglio rispetto al film che sta per cominciare in TV? In altre parole, uno scrittore deve dimostrare almeno un briciolo di originalità, deve dar prova di avere qualcosa di nuovo da dire.
“Ma davvero?” Ma cosa mi sta raccontando ‘sto tizio? Ma mi prende per scema?! Che razza d’idiozia non è?! In altre parole, il romanzo dev’essere credibile, altrimenti il lettore si sentirà preso in giro.
“Come?!” Ho riletto il primo paragrafo tre volte e ancora non ho capito che diamine vuole dire! Ma come diavolo è scritto?! Sembra arabo! Ovvero, un romanzo dev’essere scritto in maniera chiara e semplice.
Se l’autore non risponde in tempi brevissimi a queste domande la Luna di miele s’interrompe, e se anche il lettore non butta il romanzo dalla finestra, difficilmente riuscirà ad apprezzarlo.

I Personaggi

Scott Card indica un paio di metodi per creare personaggi.

Il primo metodo è usare il sistema dei “perché”, già visto in How to Write. Consiste in pratica nel domandarsi di continuo il perché le cose stanno come appaiono.
Si va al supermercato e in coda alla cassa si nota un tizio che controlla di continuo l’orologio. Perché lo fa? È in ritardo? In ritardo per cosa? Un appuntamento con la moglie? Con l’amante? Perché ha comprato quello che ha nel carrello? Perché è vestito com’è vestito? Rispondendo alle domande e alle domande suscitate dalle domande, pian piano si “costruisce” un personaggio con un passato, un presente, una rete di conoscenze, motivazioni e aspirazioni.
Il “giochino” si può applicare a chiunque, e a seconda di quale tipo di storia s’intenda narrare, si può “calcare la mano” su questo o quell’altro aspetto. In un romanzo horror forse il tizio porta gli occhiali non perché miope, ma per riuscire a vedere i mostri che ci circondano, come nel film They Live (Essi Vivono) di Carpenter.

Il secondo metodo è partire da un’ambientazione. Prendiamo una scuola. Non è difficile immaginarsi i personaggi che frequentano una scuola: alunni e loro genitori, professori, bidelli, e impiegati vari. Qui il punto è più che altro scegliere quale tra questi personaggi debba essere portato in primo piano, chi debba diventare protagonista.
Secondo Scott Card si deve scegliere chi, nella situazione data, sta soffrendo di più.
Questo perché un personaggio degno di tal nome e a maggior ragione un protagonista deve agire. Un protagonista apatico è un non protagonista. E la più forte spinta all’azione è il fuggire dalla sofferenza.
Un personaggio può essere motivato da mille sentimenti diversi, dalla lussuria all’avidità, ma niente supera il gesto istintivo di levare la mano dal fuoco. Un personaggio che soffra è naturalmente portato all’azione e dunque immediato candidato per il ruolo di protagonista!

Il Pensatore di Rodin
Muoversi! Muoversi! I personaggi devono agire!

Dopo che si è adottato un personaggio è il momento di caratterizzarlo. Qui il discorso si fa lungo e perciò rimando al libro di Scott Card. Un paio di considerazioni però meritano attenzione:
La prima considerazione è che il punto chiave della caratterizzazione è avere sempre chiare quale siano le motivazioni dei personaggi. Anche se si decide di usare un punto di vista che non permetta di entrare nella mente dei personaggi, e dunque si possano mostrare solo le loro azioni, è fondamentale riuscire a far capire al lettore il perché i personaggi fanno quello che fanno.
Se Pietro spara a sangue freddo a Nicola per rubargli lo stereo è una storia, se Pietro spara per vendicarsi del fatto che Nicola gli ha ucciso la figlia, è tutt’altra storia, sebbene l’azione sia la stessa. Perciò le motivazioni devono essere sempre chiare nella mente dell’autore, e possibilmente anche risultare chiare agli occhi del lettore. Viceversa, la descrizione fisica dei personaggi è nella buona parte dei casi l’ultimo problema che un autore dovrebbe porsi. La storia non cambia di una virgola se Pietro è alto o basso, grasso o magro e ha gli occhi verdi o azzurri.

La seconda considerazione riguarda il fatto che un’approfondita caratterizzazione non è una buona cosa di per sé. Spesso si sente parlare di personaggi “tridimensionali”, considerati sempre “superiori” a personaggi cliché, o “dello spessore di un foglio di carta”. Non è sempre vero.
Il principio base è che il superfluo dev’essere scartato. In tale ottica bisogna valutare se le pagine “perse” a caratterizzare meglio un personaggio siano o no utili ai fini della storia. Per esempio, nelle classiche storie sullo stile de I Viaggi di Gulliver, quelle storie cioè dove l’attrattiva principale è il mondo “alieno” che il protagonista esplora, non solo caratterizzare bene il protagonista è un superfluo rispetto agli scopi del racconto, ma può addirittura rivelarsi controproducente. In tali storie il protagonista è un avatar, una specie di guscio vuoto che viene riempito dal lettore. Se il protagonista è troppo ben tratteggiato questo tipo d’immedesimazione non può aver luogo, peggio, il lettore potrebbe spostare la sua attenzione dal mondo fantastico da esplorare al mondo personale del protagonista, col risultato finale di rimanere deluso dalla storia.
Discorso simile anche per le storie votate all’azione. Qui normalmente una buona caratterizzazione è una bella cosa, ma l’autore è in grado di realizzarla senza spezzare il ritmo? Nel dubbio è meglio rinunciare al particolare in più, piuttosto che ostacolare l’azione, voluta attrattiva della storia.

Avendo dei personaggi bisogna assegnare loro dei ruoli. Tecnicamente sarebbe solo da decidere chi sia protagonista, chi personaggio secondario e chi solo comparsa. Tuttavia è molto comune anche decidere chi sia il “buono” o il “cattivo” o catalogazioni simili.
Per rendere un personaggio odioso al pubblico ci sono un paio di metodi quasi sicuri: il primo è rendere il personaggio un sadico. Il sadismo è in generale molto mal visto. Il secondo metodo è creare un personaggio traditore: chi non rispetta la parola data, chi rompe un giuramento diviene “cattivo” istantaneo!
I “buoni” sono molto più complessi da trattare. Un personaggio che si comporti sempre bene (o peggio sempre da eroe) rischia di apparire poco credibile, ma se, per esempio, gli si fa compiere anche una sola azione “malvagia”, questa in un attimo oscurerà tutti i meriti precedenti e il personaggio da “buono” diverrà se non proprio “cattivo” almeno “grigio”.
Odio (per i “cattivi”) e ammirazione (per i “buoni”) non sono gli unici sentimenti che un personaggio può trasmettere. Va però notato che i sentimenti che prova un personaggio non saranno gli stessi del lettore, anche del lettore che voglia immedesimarsi. Se il protagonista ride non è detto che il lettore rida. Così come se il protagonista piange, è tutt’altro che scontato che il lettore pianga. Anzi, se si insiste, non solo il lettore continuerà a non piangere, ma comincerà a pensare che il protagonista sia un frignone e dunque il sentimento suscitato sarà fastidio. Citando direttamente Scott Card:

[...]rule of thumb: If your characters cry, your readers won’t have to; if your characters have good reason to cry, and don’t, your readers will do the weeping.

Eccezione alla regola: se il personaggio passa pagine e pagine ad annoiarsi, anche il lettore si annoierà!

Punto di Vista

Una storia può essere narrata in qualunque persona (prima, seconda, terza, singolare o plurale) e con qualunque tempo verbale (compreso il futuro). Non c’è nessun “merito” intrinseco in una persona o in un tempo, e ogni tipo di combinazione può funzionare. Però c’è un problema estraneo alla pura tecnica letteraria. Sono ormai così diffuse certe combinazioni (tipo terza persona singolare/passato o prima persona singolare/presente) che se si scrive usando una combinazione differente, il lettore continuerà a chiedersi il perché.
Così un giallo scritto in terza persona plurale non susciterà la domanda “chi ha ucciso Nicoletta?” bensì “perché l’autore sta scrivendo in questa maniera?” È ovvio che è difficile far immergere il lettore nella storia quando a ogni piè sospinto il lettore medesimo si pone domande non sulla storia in sé, ma su come è scritta.
Perciò, se si sceglie di uscire dall’ordinario, ci devono essere ottime ragioni.

Nell’ambito dell’ordinario, la terza persona singolare è di gran lunga la più usata, nonostante per certi versi la prima persona sia più naturale da usare.
“[Io] mi sono alzata. [Io] ho fatto colazione. [Io] sono andata a scuola.” Sembra non ci sia niente di più diretto. Purtroppo la prima persona è naturale da usare ma difficilissima da gestire.
Ci sono due problemi soprattutto: il primo è che narrando in prima persona, anche con il tempo presente, si sta raccontando di eventi già trascorsi, e dunque il protagonista sa già il finale della storia, perché non lo rivela subito?! Inoltre il lettore si pone anche la domanda: perché il protagonista sente il bisogno di raccontare la sua storia? Non a caso molte storie narrate in prima persona sono all’interno di una “cornice” (amici al bar, circolo di scrittori, riunione di menestrelli, ecc.) che dia una giustificazione alla voce narrante.
In generale il primo problema è che vi è una distanza temporale fra chi narra i fatti e i fatti narrati. Cioè il lettore si figura il protagonista che racconta, invece che direttamente “vedere” ciò che viene raccontato, a scapito dell’immersione nella narrazione stessa.

Il secondo problema è più sottile. Se si narra in prima persona, il mondo sarà per forza di cose filtrato attraverso gli occhi del protagonista. Non solo, il mondo deve essere filtrato dagli occhi del protagonista! Quando si narra in prima persona, si sta continuamente sviluppando una caratterizzazione del personaggio narrante e non è facile evitare di spingersi in una direzione sbagliata.
Per esempio, narrare in terza persona una scena descrivendo solo quello che i personaggi fanno e vedono può andar benissimo, ma se la stessa narrazione avviene in prima persona non si ha lo stesso effetto. Se stiamo vedendo il mondo attraverso gli occhi del protagonista e costui si limita a descrivere in maniera imparziale e “fredda” quel che avviene, ne deriveremo anche la netta impressione che sia il protagonista stesso ad avere un carattere distaccato e cinico. Un furioso litigio in terza persona può comunicare con i soli fatti la rabbia e gli altri sentimenti degli interessati; un furioso litigio visto dagli occhi di uno dei protagonisti che ancora si limiti ai nudi fatti trasmetterà invece non i reali sentimenti dei personaggi, bensì l’apparente sangue freddo del protagonista che di fronte alla “furia” non si scompone.
È difficile riuscire a “filtrare” sempre la realtà e al contempo mantenere la storia coerente. Nondimeno, specie se si vuol narrare una vicenda incentrata su un personaggio, con la prima persona si hanno le più ampie possibilità di caratterizzarlo come si preferisce, fin nei dettagli.

Nell’ambito della terza persona si distinguono due possibilità principali: la terza persona limitata oppure onnisciente. Secondo Scott Card ormai la terza persona onnisciente non si usa più, se non nelle commedie o nei testi umoristici.
La terza persona onnisciente è un tipo di narrazione dove l’autore è appunto onnisciente rispetto al suo mondo e ai pensieri di tutti i suoi personaggi. Il problema qui è che un tale autore diviene suo malgrado una presenza nella storia. Se si scrive che “Laura pensava di essere bella, Cristina pensava di essere brutta, e Nicoletta pensava ai fatti suoi”, è evidente una presenza cosciente dell’autore. L’autore non è più una semplice “telecamera” che riprende quel che succede, ma è calato nel suo stesso mondo tanto da esprimere valutazioni sui pensieri che passano per la testa ai personaggi. Questo per i canoni moderni è già considerato commedia. È l’equivalente di un attore che smette un secondo di recitare per rivolgersi al pubblico, pubblico che però in teoria l’attore non dovrebbe sapere esistere. In parole povere, un romanzo che cominci con il classico “cari lettori”, non potrà più essere preso del tutto sul serio.

Punto di Vista onnisciente
Punto di Vista onnisciente

La terza persona limitata è invece quella dove il punto di vista è ancorato a uno dei personaggi. L’autore vede solo quel che il personaggio vede e sa solo quel che il personaggio sa. Inoltre al massimo può penetrare nei pensieri del personaggio in questione, e non può andare a frugare nella testa degli altri.
La terza persona limitata permette di narrare quasi come in prima persona, basta porre la telecamera non sulla spalla ma nella testa del personaggio, ma con il grosso vantaggio che non si è costretti a mantenere sempre questa prospettiva. Si può mettere quando serve il “filtro”, e toglierlo quando non serve.
L’assenza poi di un narratore esplicito dona subito maggior concretezza e realismo alla storia.

Una nota importante riguardo il punto di vista è capire quando e se cambiarlo nel corso di un’opera. Secondo Scott Card è una delle operazioni più “traumatiche” che si possano compiere, perché richiede al lettore di uscire dalla storia per poi rientrarvi per altra via. È un po’ come viaggiare per ore in treno, quindi essere costretti a scendere, per poi salire su un aereo.
Questo vale sia per i cambi più radicali, per esempio passare dalla terza persona/passato alla prima persona/presente, ma anche per i soli cambi di personaggio: passare dalla terza persona limitata di un personaggio a un altro. Scott Card sconsiglia caldamente di farlo a metà di una scena. Ci dev’essere una divisione netta, ben percepibile dal lettore, come la fine di un capitolo e l’inizio di un altro. E anche così, il primo paragrafo con il nuovo punto di vista deve subito chiarire che si è appunto cambiato punto di vista.

In Conclusione

Lettura piacevole. Non credo ci siano nozioni rivoluzionarie o particolarmente profonde, però ci si rende conto di come funzionino diversi meccanismi narrativi, alcuni non molto intuitivi. Il tono di Scott Card, liberato dal problema del vendere, è molto più tranquillo e rilassato rispetto a How to Write, tanto che in certi punti usa quasi un tono familiare. E così si scopre anche che lo Scott Card si è spaventato guardando Alien e ha pianto alla fine di un film solo perché la figlia della protagonista veniva tranciata in due da un treno in corsa.

Quelli che non mi sono piaciuti molto sono stati gli esempi, frammenti di racconti che Scott Card inserisce per illustrare i vari concetti. Più di una volta non sono molto chiari, tanto che si capiva di più senza l’esempio!
Inoltre ho apprezzato di più la parte dedicata al Punto di Vista, rispetto a quella dedicata ai Personaggi. Peccato perciò che come numero di pagine sia la più corta tra le due.


Approfondimenti:

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Giudizio:

S’impara qualcosa riguardo ai Personaggi. +1 -1 Alcuni esempi controproducenti.
S’impara qualcosa riguardo il Punto di Vista. +1 -1 Troppo spazio per i Personaggi e troppo poco per il Punto di Vista.
Si legge volentieri. +1

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Scritto da GamberolinkCommenti (17)Lascia un Commento » feed bianco Feed dei commenti a questo articolo Questo articolo in versione stampabile Questo articolo in versione stampabile • Donazioni

Recensioni :: Saggio :: How to Write Science Fiction and Fantasy

Copertina di How to Write Science Fiction and Fantasy Titolo originale: How to Write Science Fiction and Fantasy
Autore: Orson Scott Card

Anno: 2001
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Editore: Writer’s Digest Books

Genere: Manuale di scrittura
Pagine: 140

Uso un PC tutti i giorni, e tra gestire il blog, giocare online, chiacchierare a vanvera e altre attività più o meno utili, trascorro moltissime ore alla tastiera. Qualche volta mi è anche venuta voglia di capire come funzionino e come si programmino i computer.
Uno dei libri universitari di mio fratello aveva l’attraente titolo di L’Arte della Programmazione dei Computer di Donald Knuth. Nonostante il titolo accattivante mi sono stufata a pagina 5!

L’Arte della Programmazione dei Computer
L’Arte della Programmazione dei Computer o L’Arte della Noia?

L’altra attività alla quale dedico ore e ore è la lettura e la scrittura. Come per i computer, nel corso del tempo ho sviluppato un certo interesse a capire i meccanismi alla base di tali attività. Perciò ho cominciato a leggere libri che ne parlassero, e per fortuna si sono rivelati molto più appassionanti di quel pedante di Knuth!

Dato che buona parte delle mie letture spaziano tra fantascienza e fantasy, ho pensato che How to Write Science Fiction and Fantasy di Orson Scott Card fosse l’ideale. In realtà sono rimasta un po’ delusa: il libro di Scott Card è una lettura piacevole ma più spesso che non quel Write nel titolo è inteso come “essere scrittori”, piuttosto che “scrivere” in senso tecnico. Un titolo coerente con il contenuto dell’opera sarebbe dovuto essere più o meno questo: Sbarcare il Lunario quale Scrittore di Fantascienza in America. Infatti anche quel Fantasy è fuorviante: Scott Card di occupa quasi esclusivamente di fantascienza, dedicando di specifico al fantasy non più di qualche paragrafo. Infine quasi due capitoli su cinque sono riservati al mercato statunitense della fantascienza, lettura di per sé interessante ma di scarsa utilità se si sta cercando di analizzare un fantasy italiano.

Copertina di Ender's Game
Copertina de Il Gioco di Ender, capolavoro di Orson Scott Card

Nondimeno non mancano spunti apprezzabili.
In particolare ho apprezzato il capitolo secondo (World Creation). Scott Card narra un aneddoto della sua carriera, ovvero come il suo romanzo fantasy Hart’s Hope (in italiano: I Giorni del Cervo) sia nato dal disegno della piantina di una città medievale, disegno tracciato per puro svago. E tuttavia lo scopo della storiella è sottolineare come l’idea alla base di un romanzo possa nascere in ogni momento e provenire da qualunque direzione, e non, come molti altri fanno, che partire dal disegnare una mappa sia una buona pratica. Certo, se la storia è ambientata in un mondo alieno o fantastico, occorre che tale mondo abbia consistenza fisica e precisa conformazione geografica, ma questo non è fondamentale, è invece fondamentale stabilire da subito le regole alla base dell’Universo nel quale è collocato il mondo.
L’esempio sui viaggi spaziali è illuminante: poniamo che la nostra storia abbia per protagonisti dei terrestri su un pianeta alieno; si potrebbe pensare che forse il perché si trovino lì abbia la sua importanza, ma che il come sia secondario. E invece non è vero! A seconda di quale tecnologia sia alla base dei viaggi spaziali, l’intera storia cambia, anche se la vicenda si svolge solo ed esclusivamente sul pianeta alieno.
Se i terrestri hanno tecnologia tale da poter tornare sulla Terra in poche ore si comporteranno in una maniera, se il viaggio richiede invece anni in un’altra, se è facile il possibile arrivo di soccorsi o aiuti da altri mondi la storia prenderà una piega, se non è possibile un’altra e così via. In altre parole, benché non ci siano viaggi spaziali, il conoscere le regole alla base dei viaggi spaziali è ugualmente di vitale importa per la storia.

Un esempio analogo viene esposto riguardo le regole della magia. Vengono ipotizzate delle regole per le quali la magia è legata alle mutilazioni: i maghi possono lanciare incantesimi solo sacrificando sangue e carne del proprio corpo o di altri esseri viventi. Sono esposte diverse varianti ambientante in mondi diversi, compreso il nostro (nel quale varie malattie non sarebbero altro che un effetto secondario dell’uso della magia). Il punto è lo stesso di prima: alla base del “World Creation” non c’è il mondo fisico, ma le regole che lo governano. Addirittura spesso le regole sono più caratterizzanti che non qualunque attributo geografico o la presenza o meno del tale alieno o creatura fantastica.

Capitan Uncino
Capitan Uncino, in realtà vittima della magia?

Un’altra cosa che Scott Card sottolinea spesso è chiedersi sempre il perché. Com’è noto uno scrittore dovrebbe conoscere i propri personaggi e averne ben chiara la biografia, tuttavia non è sufficiente, non basta sapere che il personaggio Tizio ha frequentato la tale Università o si è scelto il tale lavoro, bisogna sempre chiedersi perché l’ha fatto. Così come se una creatura ha tre occhi o un corno in testa, occorre chiedersi il perché. Quale vantaggio evoluzionistico ne ha ottenuto? O c’è un significato mistico o simbolico? Lo scrittore dovrebbe tener sempre conto del perché il mondo è così come l’ha creato, delle motivazioni dei suoi personaggi (perché agiscono così?) e come visto prima, spesso anche del come tutto ciò avvenga.
Può sembrare complesso, in realtà Scott Card mostra che più si risponde ai perché e ai percome, più diventa facile raccontare la storia che si vuole narrare. Più si è specifici e si assommano dettagli, più si aprono possibilità, invece di chiudersene.

Il capitolo terzo (Story Construction) è anche abbastanza interessante, sebbene con troppa insistenza rimandi a leggere Characters and Viewpoint dello stesso Scott Card.

Copertina di Characters and Viewpoint
Copertina di Characters and Viewpoint

Gran parte del capitolo è dedicato ai vari tipi di storia e a seconda di quale tipo si scelga dove cominciare e dove far finire la storia. Scott Card elenca quattro tipi di storie che coprono la quasi totalità della fantascienza e fantasy pubblicato:
1) Milieu. Storie dove il fulcro è mostrare al lettore mondi strani e bizzarri, per esempio il classico I Viaggi di Gulliver. La storia inizia con l’arrivo del protagonista nel mondo strano e bizzarro e termina con la dipartita del medesimo (o con la sua decisione di fermarsi).
2) Idea. Storie basate su un’idea e sulle domande ad essa collegate. 2001: Odissea nello Spazio, chi, come, perché ha sepolto un misterioso monolito nero sulla Luna? La storia inizia con l’idea (il monolito) che porta con sé le domande e termina quando le domande trovano risposta (anche se nel caso di 2001 una risposta non troppo soddisfacente!)
3) Character. Storie basate intorno all’evoluzione di un personaggio. La storia inizia nel momento in cui il protagonista decide di cambiare la propria vita (per esempio sposarsi) e termina quando il cambiamento si è esaurito (si è sposato/ha capito il suo sbaglio ed è fuggito in Africa).
4) Event. Storie basate su uno o più eventi che cambiano l’ordine del mondo, e continuano finché l’ordine non è ristabilito o emerge un nuovo ordine. L’Iliade si apre con un “evento” che cambia l’ordine delle cose, l’ira di Achille, e prosegue finché Achille non riprende a combattere e uccidendo Ettore riporta il mondo in riga. È il tipo di storia più diffuso nel fantasy: il Male mette in pericolo l’ordine del mondo, gli eroi lo combattono finché non è sconfitto e l’ordine viene ristabilito (o in rari casi invece il Male vince e impone un nuovo tipo di ordine).

Secondo Scott Card uno scrittore dovrebbe sempre aver chiaro quale tipo di storia sta scrivendo rispetto a queste categorie, perché il lettore le riconoscerà subito e dunque storcerà il naso se inizio e fine non coincidono con le sue aspettative. In altri termini, se la storia è un giallo basato su un’idea (Carlo è stato buttato dal cinquantesimo piano: chi è stato? Perché?), sarà necessario cominciare la storia stessa il più vicino possibile al fattaccio e concluderla alla risposta delle domande. Iniziare la storia con il fidanzamento dell’Ispettore a capo delle indagini e concluderla con il suo matrimonio non sarà visto di buon occhio dai lettori!

Il capitolo quarto (Writing Well) si occupa più propriamente di tecniche di scrittura. Purtroppo in maniera un po’ vaga e sconclusionata, saltando spesso di palo in frasca.
Il particolare che più mi ha incuriosita è l’uso delle metafore: uno scrittore di fantascienza e fantasy dovrebbe stare attento, perché potrebbe essere preso alla lettera anche se non era sua intenzione! Viene citato un racconto, non di genere fantastico, nel quale un autobus è definito “reptile bus”: letto a due gruppi diversi di persone, le reazioni sono state opposte.
Il primo gruppo, composto per lo più di appassionati di fantascienza e fantasy ha subito pensato a giganteschi rettili usati per il trasporto delle persone. Il secondo gruppo, composto da lettori non particolarmente interessanti al fantastico, l’ha intuita una metafora: il bus era definito rettile perché il suo procedere lungo la striscia d’asfalto ricordava il movimento di un serpente.
Per la cronaca, aveva ragione il secondo gruppo. Il succo è che scrivendo fantascienza e fantasy ci si sta rivolgendo a un pubblico specialistico con le proprie idiosincrasie, della quali si dovrebbe tener conto.

Reptile Bus
Snake Bus of Bliss

Ho tralasciato di parlare del capitolo primo e dell’ultimo, il quinto, perché entrambi sono strettamente legati al mercato statunitense della fantascienza. Il primo capitolo dovrebbe occuparsi delle definizioni di fantastico, fantasy, fantascienza, ecc. ma Scott Card ammette che criteri oggettivi non esistano e che quello che è importante è solo capire cosa ne pensi l’editor di Omni, o della Isaac Asimov’s Science Fiction Magazine o della tal casa editrice, perché lo scopo ultimo è pur sempre quello di vendere le proprie opere.
Così il capitolo quinto si occupa di questioni pratiche, del tipo di mettere da parte i soldi per le tasse, evitare di bere o drogarsi e scartare gli agenti letterari che chiedono più del 10% sui guadagni. Tutto ciò è anche divertente da leggere, ma la vita dello scrittore di fantascienza in America non credo insegni molto rispetto all’Italia.

Una nota dolente: Scott Card cita nel corso del libro in particolare tre romanzi, da lui considerati tre capolavori della fantascienza, sia pure in ambiti diversi. I tre romanzi sono: Wild Seed di Octavia Butler, Dragon’s Egg di Robert Forward e Arslan di M.J. Engh. La nota dolente è che nessuno dei tre è mai stato tradotto in italiano.

Copertina di Dragon's Egg
Copertina di Dragon’s Egg

Questo How to Write Science Fiction and Fantasy con le sue 150 pagine o poco meno è una lettura veloce, che si consuma in un paio di giorni. È anche una lettura piacevole, perché Scott Card usa un tono colloquiale senza fronzoli o tecnicismi.
Come accennato, contiene qualche idea interessante, ma nel complesso mi ha trasmesso un’impressione di superficialità. Magari lo riguarderò dopo aver letto Characters and Viewpoint, visto che il signor Card ha insistito tanto!


Approfondimenti:

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Giudizio:

Tre capitoli interessanti… +1 -1 …ma due praticamente inutili.
Qualche concetto su cui riflettere… +1 -1 …e altri che lasciano il tempo che trovano.
Lettura piacevole… +1 -1 …però un po’ troppo superficiale.

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Scritto da GamberolinkCommenti (12)Lascia un Commento » feed bianco Feed dei commenti a questo articolo Questo articolo in versione stampabile Questo articolo in versione stampabile • Donazioni