- Gamberi Fantasy -

Videogiochi e Teste Mozzate

Pubblicato da Gamberetta il 17 febbraio 2008 @ 00:31 in Insalata di Mare,Libri,Non Fantasy,Straniero,Videogiochi | 39 Comments

Avrei voluto parlare de La Bussola d’Oro, ma questa settimana sono stata tirata in ballo in una discussione accalorata su FantasyMagazine che mi ha messo di cattivo umore. Non mi piace leggere narrativa quando sono di cattivo umore, lascia un retrogusto spiacevole. In compenso ho terminato un paio saggi interessanti, e sebbene nessuno dei due parli in particolare di narrativa fantasy, meritano lo stesso un commento.

Il primo è Samurai: The Code of the Warrior di Thomas Louis e Tommy Ito. È un testo introduttivo alla storia, la filosofia, la vita quotidiana e l’arte della guerra dei Samurai. È un bel libro, corredato da diverse splendide illustrazioni, ma non ha la profondità di testi più specifici dedicati all’argomento, come le monografie di Stephen Turnbull.

Copertina di Samurai: The Code of the Warrior
Copertina di Samurai: The Code of the Warrior

Nondimeno, ho appreso anche da questo libro dei particolari degni di nota.
Ci sono delle caratteristiche dei Samurai che sono conosciute più o meno da tutti – come l’abilità con la spada o il fanatico senso dell’onore – altre sono meno note. Una di queste è che i Samurai erano tagliatori di teste.
Decapitare un nemico in battaglia e poter mostrare questo trofeo al proprio signore (daimyo) era considerato uno dei massimi onori ottenibili in combattimento. I Samurai si portavano addirittura appresso una borsa apposita per teste, detta kubibukuro, perché non c’è niente di più imbarazzante di tagliare una testa e non sapere dove metterla!

Kubibukuro
Kubibukuro (Borsa per teste)

Il particolare macabro ha però implicazioni poco prevedibili. La prima è che spesso i Samurai, ottenuta la testa di qualche nemico importante, disertavano la battaglia, per non correre il rischio di perdere il trofeo nella mischia. Ovvero, la propria fazione poteva andare pure al Diavolo, ma che nessuno osasse toccare le teste tagliate!

La seconda implicazione è legata a un periodo storico durante il quale l’onore (e in certi casi anche lo stipendio) veniva calcolato in base al numero di teste tagliate piuttosto che in base alla qualità delle stesse.
Nelle prime fasi dell’invasione della Corea, iniziata nel 1592, i Samurai incontrarono scarsa resistenza, e fecero strage tra i nemici, civili compresi. Questo significò una gran quantità di teste, per avere un’idea quante, basti pensare che alcuni storici credono che nei sei anni di guerra i Giapponesi uccisero quasi un milione di Coreani. Tutte queste teste dovevano venir catalogate – ché sarebbe stato imperdonabile attribuire una decapitazione al Samurai sbagliato – e rispedite in Giappone, dove, dopo esser state rese presentabili, dovevano essere appunto presentate al comandante supremo dell’epoca. Infine occorreva seppellire le teste.
Tale incredibile traffico di teste teneva occupati una gran quantità di uomini e mezzi, tanto da rappresentare un ostacolo concreto per la generale logistica dell’invasione. Alla fine si dovette ricorrere a un compromesso: in Giappone venivano rispedite non più le teste intere ma solo un orecchio o un naso.

Un'illustrazione da Samurai: The Code of the Warrior
I tagliatori di teste in azione…

La morale della favola, per lo scrittore, è che ogni particolare inventato ha conseguenze, spesso molto difficili da immaginare.
Lo scrittore troisiano ragiona così: ho appena inventato la cattivissima razza degli Orchi di Buzzagrotto, adesso per dimostrare quanto siano malvagi ci metto un bel particolare macabro! Gli Orchi di Buzzagrotto tagliano la testa ai nemici uccisi in battaglia e poi le portano in offerta all’altare del loro Dio, il Crudele Gimpone. Perfetto! Sennonché, quando gli Orchi di Buzzagrotto inizieranno l’invasione del Regno dei Pacifici Elfi™, lo scrittore terrà conto della logistica delle teste mozzate? Essendo troisiano, no, ovviamente, e io sarò costretta a ricordarglielo!

Perciò, come già tante altre volte ricordato, non basta la mera immaginazione, occorre ragionare sul quel che si immagina, e documentarsi, perché certe implicazioni non sono intuitive, richiedono, per essere colte, una notevole base di conoscenze.
Tra l’altro questi sono i dettagli che alimentano la fiducia in un autore, che permettono di leggere un romanzo con sospensione dell’incredulità, perché lo scrittore ha dimostrato di sapere quel che sta facendo, di non star parlando a vanvera.

* * *

Il secondo saggio della settimana è stato The Art of Computer Game Design di Chris Crawford. La discussione riguardo i videogiochi e Cloverfield mi aveva incuriosita e inoltre dovevo io documentarmi rispetto a qualcosa che sto scrivendo.

Copertina di The Art of Computer Game Design
Copertina di The Art of Computer Game Design

Il libro di Crawford è stato pubblicato per la prima volta nel 1984, e nonostante ciò è uno dei pochi testi sull’argomento. Libri sulla programmazione dei videogiochi abbondando, ma sul design, sulla progettazione degli stessi, specie in ottica “artistica”, non ve ne sono molti.

Per certi versi, leggendo il libro di Crawford, ho avuto l’impressione di leggere fantascienza retrofuturistica. In soli vent’anni il settore è stato rivoluzionato, e alcune delle cose descritte da Crawford non solo non le ho mai viste di persona, ma paiono vera e propria archeologia.

Accoppiatore acustico
Quest’affare è un “accoppiatore acustico”, una forma primitiva di modem, vestigia di un’epoca che non conosceva ADSL!

Tuttavia, al di là dei particolari tecnici che ormai non hanno più senso, i concetti fondamentali stabiliti da Crawford mi sembrano più che centrati, in particolare riguardo una di quelle idee che circolano al giorno d’oggi, sentita anche a proposito di Cloverfield, ovvero la contaminazione, se non proprio la convergenza, tra cinema e videogiochi.

Leggendo il saggio di Crawford posso affermare che l’idea in questione è campata per aria. Cinema e videogiochi sono due distinte attività, separate, e con una natura di fondo opposta. Il fatto che entrambi abbiano come principale mezzo di comunicazione verso l’utente uno schermo è insignificante.

Crawford individua nei (video)giochi due caratteristiche che li separano da altre entità all’apparenza simili, quali appunto il cinema o la narrativa. Queste caratteristiche sono la scelta e la dinamicità.

In un film (o in un romanzo) l’utente è costretto a seguire una determinata strada e a seguirla sempre nella stessa direzione. La strada può essere tortuosa finché si vuole, ma in nessun punto ci saranno diramazioni e in nessun punto si potrà invertire il senso di marcia.
Non c’è niente di male in questo, sono millenni che la gente legge narrativa e più di cent’anni che va al cinema con piena soddisfazione, tuttavia tale “limitazione” esiste ed è intrinseca a queste forme d’arte.

In un videogioco invece l’utente si trova davanti una moltitudine di strade tra le quali scegliere. Nei primi videogiochi questa capacità di scelta aveva spesso una diretta rappresentazione grafica: si pensi a Pac-Man, quando l’animaletto giallo è a un bivio, è chiara la scelta se tirare dritto o svoltare a destra o a sinistra.

Uno screenshot di Pac-Man
Uno screenshot di Pac-Man: tre evidenti scelte per il tipo in giallo, tirare dritto, tornare indietro o girare a destra

Più sono le scelte, più un gioco è potenzialmente più divertente. All’aumentare delle scelte aumenta quella qualità indefinibile detta gameplay o giocabilità, qualità che rende un gioco appassionante. Gli scacchi sono più appassionanti del Tic-Tac-Toe anche perché gli scacchi offrono molte più scelte.
Un particolare da tener presente è che spesso, se il gioco è progettato male, ci sono molte false scelte. Ovvero le scelte sono in apparenza molte, ma il giocatore è subito in grado di capire quali non porteranno mai alla vittoria, cosicché spesso si ritrova con pochissime reali alternative.
Tetris è uno dei pochi videogiochi a essere giocato da anni, in questa o quella versione; una delle ragioni è perché non offre alcuna falsa scelta. È stato matematicamente dimostrato (Tetris is Hard, Made Easy, The Theory of Tetris, copie locali, PDF) come non sia possibile estrapolare in tempi pratici alcuna strategia che sempre porti all’eliminazione di tutti i mattoncini che scendono. L’esperienza aiuta, ma ogni scelta rimane valida (o sbagliata), il giocatore ha sempre davanti a sé il massimo delle possibilità offerte dal gioco.

Uno screenshot di Tetris
Una delle prime versioni di Tetris (1985)

Perciò una prima differenza importante: un film non ha scelte, in un videogioco più sono le scelte, più il gioco può diventar bello.

La dinamicità. Per Crawford un (video)gioco è tale quando è dinamico, cioè reagisce alle scelte del giocatore. Crawford infatti distingue tra giochi e puzzle. Nei puzzle ci sono scelte, ma non c’è alcuna dinamicità. Prendiamo il Campo Minato di Windows: posso scegliere dove mettere le bandierine, tuttavia questo non cambia la disposizione delle bombe, il gioco non reagisce alle mie scelte, è già stato tutto preordinato.
Viceversa giocando a scacchi il mio avversario sposterà i suoi pezzi in risposta ai miei, non in una maniera “preconfezionata”.
L’ideale è che per ogni scelta compiuta dal giocare, il gioco risponda in maniera appropriata ma non prevedibile. Rimanendo in ambito scacchistico: ogni volta che il giocatore muove l’avversario deve replicare in maniera tale da metterlo in difficoltà, ma non usando sempre la stessa mossa.
In un film o romanzo non c’è alcuna dinamicità: il regista può inserire un geniale colpo di scena nel finale, ma se lo spettatore rivedrà il film, il colpo di scena sarà ancora lì, nello stesso punto.

Perciò seconda differenza importante: un film non è dinamico, mentre un videogioco lo deve essere il più possibile.

Nota: qui, con Crawford, sto parlando di videogiochi ideali, pensati per essere i più appassionanti possibile. In pratica vengono prodotti un sacco di videogiochi lineari (o “su rotaia” come si dice in gergo) dove le scelte sono pochissime e la dinamicità minima, ma è solo una distorsione del mercato – per il quale conta di più mettere in copertina un personaggio di Walt Disney che non creare un’opera d’arte – piuttosto che un limite dei videogiochi stessi.

Confezione di Cars
Cars: un videogioco orribile che ha venduto milioni di copie solo per il richiamo sulla confezione al film della Disney

Viste queste due differenze basilari tra film e videogiochi, prendiamo la somiglianza: lo schermo. Non è difficile guardando appunto Cloverfield e poi videogiochi come Half-Life o Call of Duty pensare che ci sia una vicinanza. Qui però emerge la terza e decisiva differenza: le immagini in movimento sono intrinseche al cinema, così come le parole lo sono alla narrativa, ma lo schermo non è caratteristica propria dei (video)giochi.
Quello che distingue un gioco da un altro sono le regole. Prendiamo ancora gli scacchi: posso avere davanti una scacchiera fisica, posso avere una scacchiera sul video, posso non avere alcuna scacchiera e immaginarmi solo le mosse. È lo stesso gioco. Così come un gioco di ruolo lo posso giocare a video, o posso giocarlo con carta e penna, o posso travestirmi da elfa, prendere il mio arco di cartapesta e andare a fare la squilibrata cosplayer giocatrice dal vivo in qualche bosco. Quello che definisce il gioco non è il suo aspetto, ma le sue regole.

Crawford infatti nota che è il designer ingenuo e inesperto che comincia a progettare un videogioco dal video. Non che non si debba tenere conto dei limiti o delle possibilità della tecnologia, nessuno nega la bellezza di una grafica 3D che sfrutti tutte le potenzialità dei computer attuali, ma i giochi davvero belli, quelli che possono rimanere per millenni, e non solo per i soliti sei mesi di hype, sono slegati dalla loro rappresentazione.
Viceversa un film è la sua rappresentazione.

Dunque mi sembra chiaro che non ci siano molti punti di possibile contatto tra cinema e videogiochi. Sono due ambiti del tutto diversi, e anzi il vero rischio è che i videogiochi copino il cinema, divenendo sempre più lineari e prevedibili, perdendo quelle caratteristiche di scelta e dinamicità che sono il vero cuore di un (video)gioco.

Uno screenshot di Call of Duty
Call of Duty: un gioco “su rotaia”

* * *

Girando in questi giorni diversi forum dedicati ai videogiochi, ho notato che non mancano anche da quelle parti gli aspiranti professionisti. Per lo più ragazzi che vogliono diventare game designer, magari alle prese con il loro primo giochino. Secondo me rimarrebbero stupiti dal sapere che, stabilito quale sarà scopo e ambientazione del gioco, il primo consiglio di Chris Crawford è quello di… incredibile a dirsi… rullo di tamburi… DOCUMENTARSI!

With a goal and topic firmly in mind, the next step is to immerse yourself in the topic. Read everything you can on the topic. Study all previous efforts related to either your goal or your topic. What aspects of these earlier efforts appeal to you? What aspects disappoint or anger you? Make sure that you understand the mechanics of the environment your game will attempt to represent. Your game must give the authentic feel, the texture of the real world, and this can only be achieved if you firmly understand the environment of the game. While researching EXCALIBUR, I studied the history of Britain during the period AD 400-700.

Per chi non lo conoscesse, Chris Crawford è un famoso game designer, specializzato in giochi di strategia. Alcuni dei giochi da lui creati, Eastern Front – 1941, Balance of Power, Patton vs. Rommel, High Command: Europe 1939-45, sono considerati dei classici, sia dal punto di vista della giocabilità, sia da un punto di vista prettamente tecnico. Ad esempio in Eastern Front – 1941, un gioco del 1981, l’Intelligenza Artificiale che comanda le truppe nemiche è in grado di pensare mentre il giocatore muove, in questo modo più il giocatore si attarda nei suoi di ragionamenti, più si troverà di fronte un avversario ostico. Questa caratteristica a tutt’oggi è sfruttata solo da pochissimi giochi.

Uno screenshot di Eastern Front - 1941
Uno screenshot di Eastern Front – 1941

* * *

In onore alla settimana appena conclusasi vorrei aggiungere qualche altra parola rispetto al documentarsi.
C’è infatti anche chi non la pensa come me, persino tra gli “addetti ai lavori”. Qualche mese fa ebbi questo scambio di battute con Marina Lenti, prode autrice di volumi di pregio, quali L’Incantesimo di Harry Potter e Harry Potter a test.

Gamberetta:

A fronte di un argomento tanto vasto e complicato [sto parlando di guerra] un autore che dovrebbe fare? [...] Come dovrebbe informarsi? Guardando Xena in TV?

Marina Lenti:

sì io dico che basta una cultura media da film, e allora?

E allora, Marina, con “una cultura media da film” (sic!) scrivi boiate! Non ci si può poi stupire se tanti romanzi fantasy italiani fanno schifo, quando chi si occupa a livello professionale dell’argomento considera adeguata “una cultura media da film”.
Ma ognuno giudichi per sé, se sia il caso di read everything you can on the topic o accontentarsi della cultura media da film.

Un'illustrazione da Samurai: The Code of the Warrior
I Samurai meditano sulle parole di Marina: speriamo non prendano decisioni affrettate!


Approfondimenti:

bandiera EN Samurai: The Code of the Warrior su Amazon.com
bandiera EN Il sito di Stephen Turnbull, storico specializzato nelle vicende dei Samurai
bandiera EN L’invasione della Corea del 1592 su Wikipedia

bandiera EN The Art of Computer Game Design su Amazon.com
bandiera EN The Art of Computer Game Design leggibile online, con il benestare dell’autore
bandiera EN Chris Crawford on Game Design: un secondo saggio di Crawford dedicato al game design, lo leggerò!
bandiera EN Una serie d’interessanti articoli di Chris Crawford presso il suo sito personale
bandiera EN StoryTron Interactive Storytelling, l’ultimo progetto di Chris Crawford
bandiera EN Screenshot e recensioni di Excalibur
bandiera EN Eastern Front – 1941 su Wikipedia

bandiera EN Pac-Man su Wikipedia
bandiera EN Tetris su Wikipedia
bandiera EN Call of Duty su Wikipedia
bandiera EN Gamasutra, un sito dedicato al game design


39 Comments (Mostra | Nascondi)

39 Comments To "Videogiochi e Teste Mozzate"

#1 Comment By Federico Russo “Taotor” On 17 febbraio 2008 @ 12:47

Mi pare di capire che “riesci” a considerare opera d’arte un videogioco.
Sul forum di Games Radar si discuteva di questo, una volta, ovvero della possibilità considerare i videogiochi un’opera d’arte.
Un mio amico esperto del campo dice di no. Un’opera d’arte è frutto di una sola persona, sostiene, mentre dietro un videogioco ci stanno centinaia di persone.
Il videogioco che, secondo me, è il migliore che sia mai stato creato è The legend of Zelda: the Wind Waker, ma anche il suo predecessore Ocarina of time (più stimato ancora e considerato in assoluto un capolavoro). È fantasy, credo, “ucrotopico”, c’è il cattivo, c’è la principessa, la spada ecc. L’atmosfera sembra medievale/rinascimentale. Ma l’ocarina, la base dello Zelda più famoso, è uno strumento che è stato inventato nell’800. E in Wind Waker, anche qui l’atmosfera è un po’ ambigua, sembra di stare tra il medievo e il ’600, ma poi spunta un accessorio, una (antiquata) macchina fotografica.
Nonostate questi “difetti” io ritengo entrambi i videogiochi delle opere d’arte, dall’idea di Miyamoto alle musiche di Koji Kondo.

#2 Comment By Gamberetta On 17 febbraio 2008 @ 13:14

@Federico. All’epoca di Crawford faceva tutto lui: progettazione, programmazione, grafica, musica, e anche le bozze del manuale. Al massimo aveva degli assistenti per i lavori ripetitivi.
Adesso è vero che a un gioco ci lavorano decine (centinaia?) di persone, però il game designer, quello che detta le regole, quello che rende unico il gioco, spesso è una sola persona. Un po’ come con i film: il cast può essere enorme, ma nessuno nega che un bravo regista sia anche un artista.
O anche l’architettura: l’architetto progetta solo, poi ci sono squadre di operai e tecnici che realizzano, ciò non toglie che lui possa essere un artista e la sua creazione un’opera d’arte.

E a parte tutto, Final Fantasy VII è bellissimo e un’opera d’arte di sicuro! ^_^

#3 Comment By Claudio GIubrone On 17 febbraio 2008 @ 13:16

Interessante il libro sul Giappone, ma peccato che certi libri non si trovino in Italia se non dopo averci sputato sangue.
L’usanza delle teste mozzate la conoscevo, ma non che ci fosse un cesto apposito col suo nome.
Un’altra chicca militare l’ho trovata nel manga “L’immortale”. Non so tale strategia fosse veramente usata, ma l’idea è quella di sporcare le sfade col concime in modo da renderle meno affilate, ma far sì che i nemici feriti si ammalino. In questo modo si diffondono malattia tra gli eserciti e si fa perdere energie e risorse a tutti quanti.

#4 Comment By Loreley On 17 febbraio 2008 @ 13:42

Perché, c’è chi paragona i film ai videogame? Al di là del fatto che Cloverfield, semmai, ha forse solo voluto richiamare il design del mostro e dei mostriciattoli a quelli tipici di alcuni videogiochi(il mio ragazzo continuava a ripetermi che erano uguali a quelli di Half Life!). Le riprese fatte in quel modo, inoltre, potevano essere paragonate alla modalità di gioco in prima persona di molti sparatutto in soggettiva, modalità che facilita l’immersione dello spettatore (del giocatore in caso dei videogiochi). Per il resto, come dici tu, le due modalità di intrattenimento sono completamente diverse. La visione di un film è decisamente più passiva: seguiamo una linea di narrazione già tracciata dal regista e che dobbiamo “subire” senza possibilità alcuna di modifica personale. Un po’ come nei libri, in effetti. Il videogioco consente di “rompere” lo schermo e di far sì che il giocatore interagisca con le situazioni e con la storia proposta dal vg: consente un vero e proprio protagonismo, insomma. E il videogioco agisce in sincronia con le azioni del videogiocatore, adeguandosi di conseguenza: quanto più verosimili sono i feed-back che manda il programma, tanto più è grande la sensazione di essere immersi in un mondo parallelo. Questo, naturalmente, varia a seconda della qualità del videogioco. Come con i brutti libri, è facilissimo essere sbattuti fuori prepotentemente da questa “realtà parallela”, rovinando la sospensione del giudizio che è necessaria tanto per i videogiochi quanto per i film e per i libri. Soprattutto oggi, a causa dell’eccessivo hype che spesso ci si costruisce attorno a un titolo, accade sovente che anche un videogioco di qualità venga buttato nel cesso perché non soddisfa le aspettative dei videogiocatori incalliti, che pretendono ormai (almeno, buona parte di loro) una verosomiglianza, in termini di grafica e di interazione con l’ambiente e con i personaggi, che – scusate ma è così – si trova soltanto nella realtà, e a volte neanche in quella. Per altro è pure tecnicamente più difficile ricreare queste condizioni in un videogioco, in quanto occorrono conoscenze e tecnologie specifiche di questo ambito e diverse da quelle cinematografiche e, ovviamente, da quelle della scrittura (dove in quest’ultimo caso più di tecnologia si parla di tecnica e di talento). Diverse e, in un certo senso, più complesse.
Ne parlo per esperienza personale perché, da appassionata, frequento spesso forum sui videogames e mi innervosiscono certi tipi di atteggiamenti ^^
Assolutamente d’accordo su tutto il discorso della documentazione: mi lascia sbigottita il fatto che c’è chi si approccia, ad esempio nella scrittura, pensando che è necessaria soltanto una conoscenza vaga e da senso comune (senso comune influenzato ovviamente da telefilm e simili). Non è un approccio serio, a mio avviso, e se non vedo della serietà (che è diversa dalla seriosità) nella stesura di un romanzo io ne do un giudizio negativo. Poi è naturale che dipende tutto da cosa vuoi scrivere: in generale è buon senso documentarsi su tutti quegli ambiti dei quali non si vanta nessuna conoscenza, o una conoscenza da senso comune, appunto. Ma questa è veramente la base della base della professione dello scrittore; si può avere anche un bellissimo stile, un talento innato, ma se ti metti a parlare di strategia militare e di medioevo e tu non sai nulla di strategia militare e di medioevo, a parte una conoscenza vaga derivante da telefilm (sic!) e giochi di ruolo, beh… Cioè dai, non possiamo metterci a discutere anche su questo! A meno che non si abbia l’intenzione di produrre della mediocrità, e allora ok; ma non ci si lamenti delle critiche, se è così.

Comunque, al di là di tutte le polemiche sorte e di cui me ne traggo abbastanza fuori (essendo iscritta al forum di FantasyMagazine ho seguicchiato la vicenda), apprezzo la tua serietà, Gamberetta, nel trattare gli argomenti di cui ti interessi. La serietà la vedo nel modo in cui ti documenti e nella chiarezza con la quale esponi i fatti e le tue idee, al di là del tono di voce virtuale in cui lo fai, sul quale si può essere d’accordo oppure no. Di certo può dar fastidio. Ma penso che tu di questo ne sia consapevole e ne accetti le conseguenze.

Di certo io, come aspirante scrittrice e nel caso specifico, non vorrei essere nei panni della Troisi :P

(Mi scuso per gli eventuali errori, ma ho scritto davvero un papiro e ho avuto tempo di rileggerlo solo una volta!)

#5 Comment By Klaus On 17 febbraio 2008 @ 13:44

@ Claudio: sì, è un uso storico diffuso in tutto il mondo antico, non solo in Giappone. ;-)

@ Gamberetta: mi linkeresti la discussione sui forum di Fantasy Magazine?

#6 Comment By Federico Russo “Taotor” On 17 febbraio 2008 @ 13:49

@Klaus: (spero di ricordarmi bene i codici html XD) clicca qui.
Solo una cosa: la discussione sembra ormai chiusa. Meglio non rialzare il polverone, sennò non si finisce più.

#7 Comment By Claudio GIubrone On 17 febbraio 2008 @ 13:53

La discussione non è quella. E’ nella sezione leggere fantasy. Quello scambio di commenti dovrebbe essere nel topic dedicato al “Segreto di Krune” o a uno lì vicino aperto da Gamberetta.

#8 Comment By Gamberetta On 17 febbraio 2008 @ 13:59

@Klaus. http://www.fantasymagazine.it/forum/viewtopic.php?p=442981#442981
Però è roba di Ottobre, lasciamola lì.

@Claudio. Non ho mai sentito del concime sulle spade, in riferimento ai Samurai mi sembra strano, visto quanto consideravano l’onore personale, però può essere siano successi dei casi isolati. C’erano anche Samurai bastardi!

#9 Comment By Gamberetta On 17 febbraio 2008 @ 14:35

@Loreley.

Soprattutto oggi, a causa dell’eccessivo hype che spesso ci si costruisce attorno a un titolo, accade sovente che anche un videogioco di qualità venga buttato nel cesso perché non soddisfa le aspettative dei videogiocatori incalliti, che pretendono ormai (almeno, buona parte di loro) una verosomiglianza, in termini di grafica e di interazione con l’ambiente e con i personaggi, che – scusate ma è così – si trova soltanto nella realtà, e a volte neanche in quella.

Uh, ho paura che io potrei essere tra costoro! ^_^
Non lo dimostro in pubblico rendendomi conto di non avere l’esperienza necessaria per sostenere a dovere le mie tesi, ma al di là della grafica, anch’io trovo che l’interazione con l’ambiente/personaggi sia spesso molto carente.
Insomma, in un sacco di giochi attuali si vedono scene stile: si spara contro una finestra e non succede niente, si è armati con un lanciarazzi ma non si può aprire una porticina di legno senza l’apposita chiave e quando si parla con un altro personaggio ripete sempre le stesse battute. Io credo si possa fare un pochino meglio!

Per il resto non posso che essere d’accordo. Purtroppo però tesi che all’apparenza sono ovvie (documentarsi prima di scrivere) non sono così condivise. Se spulci il forum di FM ne trovi a iosa di gente, dal semplice appassionato allo scrittore pubblicato, per il quale fantasy significa scrivere tutto quello che ti passa per la testa senza nessuna pretesa di verosimiglianza e neppure di coerenza.

Di certo io, come aspirante scrittrice e nel caso specifico, non vorrei essere nei panni della Troisi :P

Be’, visto che sei aspirante scrittrice ti aspetterò al varco! ^_^

#10 Comment By Loreley On 17 febbraio 2008 @ 15:00

In effetti, Gamberetta, gli elementi che fai presente tu (mi sembra di capire che sei un’appassionata di sparatutto in soggettiva) minano molto la verosomiglianza di un vg. Non mi riferivo a questi, anche perché gli sparatutto non mi piacciono granché, e non giocandoci non posso cogliere questi difetti :P Posso chiederti quali sono i vg a cui giochi? Giusto qualche titolo, per farmi un’idea.
In generale, comunque, per questo genere è sì richiesta una verosomiglianza in termini di leggi fisiche molto elevata. Il problema è quando si va al di là delle leggi fisiche (che, nonostante tutto, possono essere riprodotte con la tecnologia oggi disponibile) e si entra nel terreno dell’interazione tra pg e altri pg, dell’intelligenza artificiale, elementi che sono di gran lunga più complessi da simulare. Diciamo che, ora come ora, a mio parere non si può pretendere ancora che il nemico o l’alleato si comporti esattamente come si comporterebbe nella realtà, come si comporterebbe una persona vera, in tutto per tutto; o che le situazioni ricreate nel gioco (non mi riferisco agli sparatutto che, come forse converrai, propongono soluzioni di gioco spesso abbastanza lineari) siano completamente realistiche. Ecco, era a questo che mi riferivo ^^

Be’, visto che sei aspirante scrittrice ti aspetterò al varco! ^_^

Gh, aiuto! :D
Scherzo, ovviamente. Anzi, le tue analisi mi hanno fatto capire quanto poco so di tattica militare, soprattutto medievale (anche se non posso dire di essere d’accordo su tutte le tue critiche). Se per caso sapresti consigliarmi dove documentarmi a tal proposito, magari fornendomi anche una scarna bibliografia, te ne sarei grata. ^^

#11 Comment By Gamberetta On 17 febbraio 2008 @ 16:00

@Loreley.

Posso chiederti quali sono i vg a cui giochi? Giusto qualche titolo, per farmi un’idea.

Io gioco soprattutto con gli RPG, in particolare in stile giapponese, ma non disdegno quelli occidentali. Mi piacciono anche i puzzle e i giochi di strategia (anche se più quelli stile Civilization che non proprio i wargame). Ah, Puzzle Quest è geniale!
Gli FPS li gioco se l’ambientazione è interessante, ad esempio ho giocato qualche mese fa a BioShock e mi è piaciuto, sebbene abbia anche lui alcuni dei difetti di cui sopra.

Per la bibliografia:
In generale sulla guerra nel medioevo:
La guerra nel Medioevo di Philippe Contamine, editore Il Mulino (2005). Su iBS.
Sui cavalieri:
La cavalleria medievale di Jean Flori, editore Il Mulino (2002). Libreriauniversitaria.it.
Riguardo la scherma medievale, una delle migliori fonti d’informazione è il sito The ARMA. Moltissimi articoli e anche il testo completo di diversi trattati medievali sull’argomento.
Un’altra fonte ottima per ogni tipo di argomento specifico sono i libri della Osprey. La sezione “Medieval World” ha centinaia di testi per soddisfare ogni genere di curiosità.
Aggiungo, visto che siamo in argomento, che riguardo i Samurai è ottimo Samurai Warfare di Stephen Turnbull. Su Amazon.com.

Per la tattica/strategia in generale non saprei consigliarti un titolo specifico legato al medioevo, il classico sull’argomento, comunque sempre valido, è il Della Guerra di Carl von Clausewitz. Su iBS, ma ce ne sono una marea di altre edizioni.

Molti di questi titoli, in particolare i volumi della Osprey, si trovano facilmente anche su emule.

#12 Comment By Loreley On 17 febbraio 2008 @ 17:08

Grazie mille. Mi serviva proprio.

ad esempio ho giocato qualche mese fa a BioShock e mi è piaciuto, sebbene abbia anche lui alcuni dei difetti di cui sopra.

Di BioShock ho giocato la demo e trovo che sia un titolo estremamente interessante, soprattutto, come dici tu, per l’ambientazione. I commenti entusiasti del mio ragazzo sembrano confermare le mie impressioni. Me lo farò prestare, non appena avrò un po’ di tempo per giocarci (e faccio anche uno strappo alla regola, visto che non sono proprio tipa da sparatutto :D).
Gli rpg piacciono anche a me, nonostante la mia attenzione si sia limitata più o meno alla saga di final fantasy per quelli giapponesi, mentre per gli occidentali oltre a Oblivion non mi sono avventurata troppo. ^^

#13 Comment By Carraronan On 17 febbraio 2008 @ 17:14

I manuali Osprey non saranno l’apoteosi della perfezione, ma sono più che buoni come ricchezza di dettagli, si trovano senza problemi sul Mulo e hanno belle illustrazioni colorate per “vedere” i guerrieri.

Questo non è una cosa da sottovalutare perché è molto utile per poi raffigurarsi i “personaggi in costume” al meglio nel momento in cui si decide di costruire la scena nella propria testa.
In un certo senso la Osprey, come direbbe Gamberetta, “Mostra” i guerrieri senza limitarsi a “raccontarli” e l’effetto è ottimo!

Aggiungerei alla lista questi titoli:
Medieval Swordmanship di Clements
che parla sia di combattimento con la spada lunga usata a due mani che con spada a una mano e scudo. Lo trovi sul Mulo senza problemi.

Altri libri, perlopiù dedicati al combattimento con la espada rapiera (la “striscia”), li trovi nella mia lista su aNobii.

Sulle armature (dato che ti interessa il medioevo) ci sono pochi libri davvero interessanti e, per quanto ne so, non si trovano sul Mulo.
O ti affidi agli Osprey per le armature, sperando di trovare abbastanza dettagli e immagini nei vari libri monografici, oppure puoi provare a procurarti qualcuno di questi libri.

In particolare ti segnalo:
The Art of Making Armour in cui passo passo viene seguita il taglio e la costruzione di un’armatura a piastre. Non costa molto ed è pieno zeppo di fotografie: se proprio non sai come sono fatte o come si “reggono addosso” le armature bianche può illuminarti parecchio.

L’apoteosi sulla metallurgia e sulla resistenza delle armature è The Knight and the Blast Furnace, ma costa un occhio della testa.
In ogni caso le cose più utili che si imparano in quel libro le proporrò a breve sul mio blog, in una breve serie di articoli dedicati alle armature, quindi rischiano di essere 200 euro buttati se non si è un appassionato sfegatato del tema.
Magari fai un salto sul mio blog ogni tanto che spero di pubblicare il primo articolo a breve (casini vari permettendo).

Sul tema “guerra medievale” concordo con Gamberetta sul Contamine, ottimo autore e ottimo libro, ma sul Mulo puoi trovare anche questo per integrare le informazioni:
Chivalry and Violence in Medieval Europe della Oxford University Press. E’ un .pdf di circa 1 MB.

Se ti appassiona il tema “fanterie mercenarie” credo che troverai illuminante (e sconcertante!) questo libro:
I lanzichenecchi di Baumann.

Se non ricordo male il libro dedicato a Gugliemo il Maresciallo parlava in modo piuttosto chiaro di come funzionasse il business dei tornei. Può fare comodo per rappresentare il mondo cavalleresco al meglio.

Spero di essere stato di aiuto.

#14 Comment By Federico Russo “Taotor” On 17 febbraio 2008 @ 17:40

Anni fa lessi il Flos Duellatorum, di Fiore de’ liberi se non ricordo male. Era abbastanza buono, aveva una serie di immagini con una descrizione delle mosse in italiano antico, con le note di un esperto. Era abbastanza buono. Magari può tornarti utile.

#15 Comment By Angra On 17 febbraio 2008 @ 18:15

Ciao Gamberetta,

il discorso sul documentarsi per evitare di scrivere delle baggianate mi fa venire in mente che ho ambientato la mia storia su un pianeta in orbita attorno a Betelgeuse, che essendo una gigante rossa è troppo grande e troppo fredda perché un pianeta che le orbita attorno possa ospitare vita di tipo terrestre. In realtà non è una questione di documentarsi o meno, perché l’ho sempre saputo… me ne sono fregato, diciamocelo.

Se però un giorno me lo facesse notare la Troisi, che è laureata in astrofisica, dovrei fare seppuku. Tu magari ti divertiresti anche a mozzarmi la testa dopo che mi sono aperto lo stomaco, ma io un po’ meno ^_^

Che dici, sarà il caso di cambiare stella? In fondo l’ho scelta solo perché mi piaceva il nome.

#16 Comment By Loreley On 17 febbraio 2008 @ 18:30

Grazie a tutti per i preziosi consigli. Carraronan, credo proprio che farò un salto sul suo blog ^_^

#17 Comment By Folletto Malefico On 17 febbraio 2008 @ 19:04

Ottimo articolo, davvero ben fatto. :)

Io l’unica cosa che citerei facendo un parallelo fra cinema e videogiochi è quello della contaminazione stilistica, e null’altro. Nel senso che in un mondo ove ora esistono e sono ampiamente diffusi i videogiochi, entreranno nel modello cinematografico anche certi dettagli mutuati da questi.
E’ abbastanza normale, ma evidentemente non è sufficiente a determinare la radice comune dei due filoni. :)

~

Sul documentarsi ti do pienamente ragione, anche se vorrei comunque annotare che la profondità dipende sempre da abilità, target e contesto. Nel senso che un libro che parla di guerra o è fortemente relazionato alla guerra, richiede una notevole documentazione in quell’ambito. Ma se la storia è centrata intorno ad un argomento differente ove la guerra è solo un background lontano, i dettagli possono essere più sfumati, proprio come si farebbe nella realizzazione grafica di diversi livelli di scenografie.

Il punto in realtà poi è determinato da quanto ci si focalizza sul particolare: se il racconto scorre via altrove, magari non è necessario neppure dire dei problemi logistici del riportare le teste in patria. Insomma, sarebbe un errore se ci si sofferma sulla logistica, ma altrimenti, si può fare, senza eccessivi problemi. :)

~

Farei una precisazione – o forse, la chiederei a te – sul concetto di dinamicità.
Perché non è necessario che esista una reazione del videogioco alle scelte.

In altri termini: non è necessario che sia ignoto il processo decisionale dell’avversario, né che ci sia un avversario (fisico o ambientale). L’esempio è proprio quello di Tetris, ove le regole e le modalità sono decise a priori e il gioco non reagisce in alcun modo all’utente, semplicemente si limita ad applicare regole che l’utente conosce fin dai primi istanti.

Seppure non ci ho ancora pensato su molto, il gioco è tendenzialmente una sfida internamente ad un set di regole. Che poi è anche il motivo per cui puoi rappresentarlo su video, su carta, su pietra, etc. :)

Il tipo di sfida determina anche il tipo di gioco.

Al momento stavo riflettendo su due tipologie generiche:
1. Logica, come gli scacchi.
2. Riflessi, come gli FPS.

Ci sono giochi di pura logica, come scacchi, ci sono giochi di pura coordinazione, come (credo) il ping pong. E ci sono giochi intermedi, come la maggior parte di essi: scacchi a tempo, già include il fattore velocità.

In realtà anche fra queste due categorie i contorni non sono così netti, però, beh, spero sia uno spunto interessante. :)

#18 Comment By Gamberetta On 17 febbraio 2008 @ 19:53

@Folletto Malefico.

L’esempio è proprio quello di Tetris, ove le regole e le modalità sono decise a priori e il gioco non reagisce in alcun modo all’utente, semplicemente si limita ad applicare regole che l’utente conosce fin dai primi istanti.

Due cose: per Crawford se non c’è dinamicità, non c’è “reazione” da parte del gioco non è appunto un gioco, ma un puzzle. Ciò non significa che i puzzle siano “inferiori” ai giochi, solo che sono cose diverse.

Per Tetris per me siamo a metà strada: c’è reazione anche se minima. Da una parte ogni volta che un pezzo viene disposto in fondo allo schermo ne viene generato a caso un altro, e questa è una reazione, sebbene risponda solo alla generica mossa del giocatore di disporre un pezzo, senza tenere conto dove l’ha disposto. Dall’altra più giochi più la velocità di discesa sale, e questa è un’altra reazione.
Io direi che Tetris è al 70% puzzle, e al 30% gioco.

Ci sono giochi di pura logica, come scacchi, ci sono giochi di pura coordinazione, come (credo) il ping pong. E ci sono giochi intermedi, come la maggior parte di essi: scacchi a tempo, già include il fattore velocità.

In realtà anche fra queste due categorie i contorni non sono così netti, però, beh, spero sia uno spunto interessante. :)

È un’idea tra l’altro dello stesso Crawford, che prova anche lui a divedere i giochi in due grosse categorie: strategia e “Skill & Action”, però forse è una classificazione superata dagli eventi. Per esempio tutti i centinaia di RTS in circolazione sono un misto più o meno sbilanciato tra logica e riflessi. Lo stesso anche per gli RPG stile Oblivion o simile, o anche per i giochi sportivi o i simulatori; ho idea che seppure rimarranno sempre dei giochi di soli riflessi e altri di pura logica, in generale si stia andando verso giochi che mischiano le due cose, forse anche perché di giochi “puri” se ne vedono sempre meno, si punta a “giochi” che in realtà sono appunto simulazioni più o meno fedeli di un dato mondo/ambiente (vero o immaginario). Boh! Non so! ^_^

#19 Comment By Gamberetta On 17 febbraio 2008 @ 19:58

@Angra. Non so, ma gli abitatori originari non erano Elfi? Gli Elfi sono fantasy!!! e la logica non si applica! ^_^
No, scherzo, non puoi chiamarla tipo Nuova Betelgeuse? Un’altra stella non ancora individuata, o già individuata ma che ha ricevuto un secondo nome.

#20 Comment By Loreley On 17 febbraio 2008 @ 20:21

@ Folletto Malefico
Anche nei casi in cui la guerra, poniamo, è un contesto non molto rilevante, io penso che sia necessario comunque conoscere, rispetto a questo ambito, quel tanto che serve ai fini della storia per poter rendere verosimile il romanzo. Magari serve poco, ma quel poco è necessario. Se non c’è o te lo inventi (ed è meglio di no) oppure costruisci qualcosa attorno ai quei pochi elementi che già sai (o credi di sapere) grazie a film, videogiochi o chissà che altro; informazioni che sono il più delle volte errate o comunque incomplete. D’accordo che la fantasia serve, ma entrando in ambiti piuttosto “specialistici” e poco conosciuti (come quello della guerra nel medioevo) è meglio non rischiare, se non si vuole cadere in strafalcioni che, se non ti mandano a puttane l’intera storia, comunque minano la qualità del lavoro nel suo complesso.
Un esempio che mi ha fatto riflettere è stata la convinzione della Troisi che per tendere l’arco non ci vuole forza. Ebbene, questa è una convinzione diffusissima per chi gioca ai vari giochi di ruolo; in molti rpg occidentali, in effetti, per diventare bravi con l’arco (a livello ovviamente virtuale) non è necessaria la forza ma la destrezza.
Ecco, il punto è che anche io ero convinta di questa banalità! Questo perché davo per scontato che l’informazione che indirettamente mi avevano passato questi giochi fosse veritiera.
Per questo dico che, anche in quelle che possono apparire sciocchezze, è meglio non rischiare e documentarsi un po’ ;)

#21 Comment By Klaus On 17 febbraio 2008 @ 23:51

Ho letto la discussione su Fantasy Magazine: loro idolatri come al solito, Gamberetta semplicemente idolo. :-)
D’ora in poi, per bestemmiare, esclamerò “Porca Gamberetta!\” X-D

#22 Comment By Seilenes On 18 febbraio 2008 @ 16:41

“cultura media da film”… ç_ç
Rivedo Xena che gioca con un biliardo tutto in legno, palle comprese. Sono abissi e la chiamano cultura, con la convinzione che abbia un senso…
Come dare ragione alle stragi, visto che le fanno tutti.

#23 Comment By Seilenes On 18 febbraio 2008 @ 16:46

Che vedo… citano il Fiore!
Rialzo il tiro con la versione del Flos di Malipiero, uscita a fine anno scorso; fatta molto bene (ma devo ancora comprarlo e leggerlo tutto, ne abbiamo solo discusso in gruppo), con rimandi a storia e costumi oltre che all’ars in sé.

#24 Comment By hmrr On 19 febbraio 2008 @ 13:10

grandioso, grazie a tutti per i milioni di riferimenti bibliografici forniti.

#25 Comment By Barbara On 19 febbraio 2008 @ 17:40

Purtroppo non ho molto tempo per fare un intervento completo, ma spero possiate accettare lo stesso le mie osservazioni riguardo il videogioco come prodotto artistico.
Innanzitutto c’è da dire che esiste una querelle infinita su cosa è da considerare arte e su cosa non lo è, e fatta questa premessa ne faccio un’altra, dicendo che lo stesso cinema (che adesso senza fatica definiamo “arte”) ha avuto molte difficoltà nell’affermarsi come mezzo autonomo.
Tutto questo per dire che non è errato pensare al videogioco come prodotto artistico, ma bisogna fare le giuste considerazioni sopratutto riguardo l’autonomia del videogioco rispetto alle altre forme artistiche.
Per essere considerato arte il videogioco dovrebbe basarsi su quelle peculiarità che gli permettono d’essere quello che è, come appunto la “giocabilità”.
Attualmente il videogioco non è affatto autonomo, e non può essere analizzato “singolarmente”, ma vorrei citare un gioco significativo che ha tutto il diritto di essere considerati un prodotto artistico: Samorost.
Come ho detto all’inizio non ho molto tempo, ma volevo solo accennare la questione per un mio sfizio personale. Spero di avere l’occasione di approfondire, o in caso contrario di lasciare totalmente perdere.

#26 Comment By Simòn R. On 19 febbraio 2008 @ 20:38

tornando OT per un momento, citerei agli appassionati delle armi bianche L’Arte della Spada, ottimo davvero, che parla tanto della forgiatura quanto delle tecniche, e fornisce un’idea ben precisa – finalmente – di QUALE tipo di spada esistesse, e che uso avesse, in QUALE epoca precisa. Personalmente non avrei mai immaginato che le spade più sottili e leggere, come il fioretto e la striscia, fossero nate in “risposta” alle armature più pesanti e robuste! :)
Da leggere assolutamente!

#27 Comment By Gamberetta On 19 febbraio 2008 @ 20:49

Confermo la bontà de L’Arte della Spada, solo appunto non è un testo nello specifico dedicato alla scherma medievale.

#28 Comment By hmrr On 20 febbraio 2008 @ 10:54

il vero e unico motivo per cui i videogiochi non sono considerati arte è che nessuno dei videogiocatori è ancora diventato un vecchio trombone universitario in grado di imporre attraverso l’insegnamento quella che è destinata a diventare una realtà dei prossimi decenni (eccetto che nel caso di un collasso della civiltà eurostatunitense).
e lo dico, sia ben chiaro, per niente convinto del fatto che i videogiochi debbano essere considerati arte: non li conosco abbastanza, semplicemente, e i libri che ho letto sull’argomento mi hanno punto illuminato.
la querelle su cosa sia l’arte è una cosa da ingenui: la definizione di arte è un fatto strettamente politico e anche l’arte sovversiva è in realtà tollerata se non addirittura silenziosamente promossa dal potere in vista del presupposto per cui quelli che si sfogano con l’arte non lo fanno con le molotov o i forconi.

a parte questo, è molto divertente la biforcazione che hanno preso questi commenti, coerentemente con la doppia natura del post di gamberetta.

#29 Comment By Jack Monkey On 21 febbraio 2008 @ 23:42

Io invece non sono così d’accordo con te, Gamberetta. Magari perchè ho capito male il tuo discorso.
Non credo affatto a questa necessità di documentazione, non in tutti gli ambiti almeno. Certo, prendiamo ad esempio “Troy”. Troy ha la pretesa di essere un film… urgh… storico? sui fatti dietro l’Iliade, eliminando in toto la parte mitologica della vicenda. Non riesce a esserlo nemmeno da lontano, perché la documentazione storica dietro a un tale lavoro è degna di “A spasso nel tempo”. Ma perchè percepiamo Troy come un film così di merda? perchè è costruito intorno all’idea di raccontarti “come sono andate le cose davvero”.
Ora, molto sinceramente e pur non avendo ancora mai letto nulla della Troisi, mi viene da dire che – viceversa – della logistica della decapitazione in una storia di orchi, non me ne frega un cazzo. Non perché tanto è ‘na roba fantasi, ma perchè non credo che l’intento, il nocciolo della vicenda sia lì. Go Nagai, l’autore di Goldrake, ha spesso soluzioni narrative molto spicce e se ne frega della fisica di un robottone, ma le sue storie sono efficaci.
Forse non sono io a capire bene cosa intendi per documentazione. Per come sembra di leggere (ma ripeto, forse sembra solo a me), la butti giù come una ricerca di verosimiglianza che per me non è assolutamente primaria o necessaria per il buon funzionamento di un racconto. Perchè, per come la vedo io, il fantastico ha la sua forza nel simbolo e nel voler catturarti prima emotivamente e poi intellettualmente. Non è una scappatoia, anzi. E’ al contrario molto difficile centrare un lettore allo stomaco senza cadere nella grossolaneria. Ma questo effetto emotivo per me non si ottiene spulciando seimila trattati militari per descrivere una fase di un conflitto. Altrimenti non si capirebbe perché certi romanzi, certi film, certi videogiochi coinvolgano tanto.
Anche quando parli di documentazione nei videogiochi… che intendi? Doom è l’antidocumentazione per eccellenza, ma non esiste nulla – nel suo genere – che ancora lo scalzi da lì dov’è. No?

#30 Comment By Jack Monkey On 22 febbraio 2008 @ 01:13

scusa il doppio intervento. leggendo un po’ di altri tuoi post (questo era il primo), ho visto meglio cosa intendevi per “verosimile”. Tutti i tuoi discorsi sulla coerenza all\’interno di una storia, in effetti, li condivido pienamente. E’ che ho letto le tue recensioni e ho avuto un’idea più precisa di quando per te un romanzo “la straccia”, come si dice dalle parti nostre. Però non demordo del tutto ;) … un certo tipo di documentazione continua a sembrarmi non necessario. Occhio, non inutile, eh. Non necessario.

#31 Comment By Folletto Malefico On 22 febbraio 2008 @ 03:07

@Gamberetta

Dall’altra più giochi più la velocità di discesa sale, e questa è un’altra reazione.

Eh, dipende come la vedi. Io la vedo come una regola, non come una reazione: “se il giocatore supera i 10 pezzi disposti, aumenta di 1 la velocità”.

La reazione è invece qualcosa che pur anche algoritmicamente programmato (e quindi, se vogliamo, regole) reagisce ad una azione in modo determinato dallo stato dell’utente.
Esemplifico: Tetris non varia la risposta in rapporto ai pezzi in gioco (lo stato dello schermo in un dato istante).

O, in Tetris: se l’utente non fa nulla, il gioco va avanti lo stesso e finisce lo stesso, con un punteggio. Ha reagito a cosa? :P

Ma…
…più approfondisci, più noti che la differenza si assottiglia, come dicevamo entrambi. Perché qual è la differenza fra “puzzle” e “gioco”, se in definitiva son sempre regole? ;)

Una reazione, differisce realmente da una regola? In altri termini ancora: se avessi un insieme infinito di regole che determinano le mosse per ogni mossa del giocatore a scacchi, sarebbe un puzzle o un gioco? :D

Labile, molto labile il concetto di “dinamico” come “reazione”. :)

@Loreley:

Per questo dico che, anche in quelle che possono apparire sciocchezze, è meglio non rischiare e documentarsi un po’ ;)

Ach si, è evidente. :)
Intendevo solamente dire che non serve scendere tanto in dettaglio, se non si tocca quel dettaglio. In altri termini: si sappia quello che è necessario sapere per il livello scelto, non serve “documentarsi” in altri termini, se non si richiedono conoscenze più approfondite di quelle ovvie per il livello scelto.

Poi si, è evidente che il discorso è sfumato, e che in termini assoluti significa sempre documentarsi, tanto o poco che sia. ;)

L’uso della “destrezza” per l’arco è cmq una semplificazione dettata da ruleset RPG, curioso che sia diventata una nozione a questo livello! :D

#32 Comment By Gamberetta On 22 febbraio 2008 @ 15:03

@Folletto Malefico. Non credo che Crawford cercasse una definizione matematicamente corretta di “giocabilità”, il suo è un tentativo di individuarne alcune caratteristiche utili all’atto pratico.
Da questo punto di vista mi sembra che il suo discorso sia sensato e anche condivisibile. In assoluto non saprei, gli stessi scacchi in teoria non sarebbero né gioco, né puzzle, perché se i due giocatori potessero “vedere” tutte le mosse possibili (che non sono infinite, grazie al fatto che se si ripete per 3 volte la stessa posizione sulla scacchiera la partita termina) non avrebbero bisogno di giocare, sarebbe patta ogni volta. Più oltre non saprei andare, non è che sia un’esperta della questione. Leggi il libro e manda una mail a Crawford!

L’uso della “destrezza” per l’arco è cmq una semplificazione dettata da ruleset RPG, curioso che sia diventata una nozione a questo livello! :D

Qui non è un problema di semplificazione ma di qualcuno che ha capito Roma per toma ed è stato purtroppo imitato. Basare l’arco sulla “forza” è semplice come basarlo sulla “destrezza” e ha molto più senso.

#33 Comment By Folletto Malefico On 23 febbraio 2008 @ 00:51

Qui non è un problema di semplificazione ma di qualcuno che ha capito Roma per toma ed è stato purtroppo imitato. Basare l’arco sulla “forza” è semplice come basarlo sulla “destrezza” e ha molto più senso.

Permettimi una divagazione. ;)

Prima di tutto tengo a precisare che era una pura ipotesi speculativa, non ho la minima idea del perché sia uscita la credenza che la destrezza sia importante nel tiro con l\’arco, ma l\’ipotesi mi sembra estremamente plausibile per commistione di generi e impatto storico nell\’evoluzione degli RPG soprattutto fantasy.

Premesso questo, il problema quando crei le regole di un gioco non è che è \”giusto\” usare forza e sbagliato usare destrezza. Il problema principale è fare funzionare il set di regole, all\’interno di alcuni limiti e cercando di essere il più vicini al reale.

Quindi, ruleset come se non erro erano i primi D&D (non so se è ancora valido) semplicemente assegnavano la destrezza come abilità dell\’arco perché l\’arco veniva usato da classi che crescevano principalmente in destrezza.
E\’ un intreccio di valori e regole che si richiamano a vicenza che non si può così facilmente minimizzare come facevi sopra.

Poi, è una misura semplice per creare un sistema di classi a punti distinti: forza-guerriero, destrezza-ladro, intelligenza-mago, carisma-chierico. E\’ evidente che sono forzature, perché escono cose troppo semplificate e a volte anche palesemente errate (vedi la destrezza, appunto).
E per questo motivo questo tipo di accoppiamento è diventato uno degli assiomi per progettare un set di regole semplice ma funzionante anche nei videogiochi.

In sintesi estrema, ci sono anche ruleset quasi completamente legati all\’interpretazione, quindi con regole così espresse al minimo che se uno tentasse di vederci aderenza con il reale direbbe, semplicemente, che sono delle stupidaggini improponibili.

Vero, ma serve sempre avere il panorama generale. :)

#34 Comment By Dalmatius On 19 aprile 2008 @ 12:46

Gamberetta, giuro sulla coda del mo gatto, che è quanto di più sacro io conosca, che ti adoro!!!
Finalmente una delle rare persone che ha il coraggio delle proprie parole, e un senso e una Cultura dietro le stesse1
Finalmente qualcuno che esce dal solco comodo del leccaculismo servile dei mediocri di alcuni “fora” di presunto fantasy!
Vai avanti Gamberetta e quando c’è da massacrare questa masnada di mediocri sai sempre dove trovarmi ^^)!

#35 Comment By DDS On 7 febbraio 2009 @ 10:53

Scusami federico russo. Le piramidi non sono opere d’arte? E non sono anch’esse costruite da più persone? E il colosseo? E il pantheon?

Anche la musica,nel 90% dei casi è fatta da più persone..

#36 Comment By Grifen On 20 marzo 2009 @ 17:32

Ciao Gamberetta, buon articolo ma vorrei comunque avanzare due piccole critiche (spero buone!)…

1 – Anche se la cultura è un bene prezioso, resta il fatto che quando si scrive una storia fantastica ci si trova a inventare da zero tutto un mondo nuovo. Non basta informarsi su un periodo, perché in questo caso si scrive un romanzo storico: bisogna anche inventare cose nuove che sfruttino il fantastico.
Dato che nessun scrittore è onnisciente, può anche succedere che ci siano particolari che sfuggano per distrazione: giusto per sfruttare l’argomento della prima parte, basta un po’ di buon senso che anche gli orchi hanno bisogno di una buona logistica per trasportare migliaia di teste, ma può succedere che se questo aspetto è solo marginale nella storia, l’autore possa anche in buona fede non accorgersi della svista e non pensare a questo punto. Magari a pensarci su, agli orchi non serve la logistica perché… le teste le teletrasportano con un incantesimo, chissà. Il punto comunque è che non è detto che si riesce sempre a pensare a tutti i particolari.
Per me, la cosa più importante non è che si è commesso la svista, ma l’atteggiamento che prende un autore quando glielo si fa notare: in questi casi bisogna prendere atto della propria svista e porvi rimedio (può essere poco praticabile farlo a romanzo già pubblicato, dato che occorrerebbe poi ristampare le copie… :D). E’ deplorevole come persona e come artista quello che invece non lo fa, o che bolla tutto come “critica da invidia”. Magari si può criticare come una critica viene detta… ma non se gli errori li segnala.

2 – Va detto che se si parla del 1984, si tratta di tutta un’altra epoca per come erano fatti i videogiochi, non solo come concepirli: l’idea di fare giochi simili a film, oggi una realtà, a quel tempo era autentica fantascienza. Il fatto che un videogioco dovesse essere studiato prima nel concetto era un obbligo, data la scarsezza della potenza delle macchine domestiche (nell’84 in commercio stavano per apparire macchine con “l’enorme capacità di memoria di 128Kb!!!” :) ). Non lo si faceva per filosofia, ma per necessità: lo spazio di memoria era poco, perciò occorreva scrivere giochi che ruotassero attorno a pochi concetti, ma che funzionassero. Se facevi troppa roba, finiva realmente che la memoria della macchina non ti bastasse, e non scherzo su questo! (avrei un paio di esempi su questo, ma non direbbero nulla a chi non conosce il mondo dei giochi retrò). Oggi si può “divagare” in fatto di giocabilità, ma da un lato per me è questo che fa degenerare realmente i giochi: si mettono spesso tante cose, ma si cura poco se i concetti funzionano.
Da un lato, i concetti di Crawford sono adeguati solo ad un certo tipo di giochi: il concetto che usa non si applica molto bene alle avventure testuali, largamente diffuse a quel tempo, o alle avventure grafiche che si svilupparono più tardi. Il concetto presentato da Crawford per me spiega più che altro un elemento che sta alla base della ripetibilità di un videogioco, non la sua capacità di appassionare: le avventure sono un genere che sarebbe la nemesi del pensiero di questo autore, eppure nonostante sono l’opposto hanno una capacità di coinvolgere enorme (Gamberetta, se hai l’occasione ti consiglio di provare realmente una Avventura Grafica delle migliori, Monkey Island se non lo hai mai fatto… che ti farà capire cosa significa essere “coinvolti” da una avventura grafica :D, altrimenti prova “the flight of the amazon queen” che si trova liberamente in rete, autorizzato dall’autore). Le avventure non sono riperibili, ma sono uno dei tipi di giochi più coinvolgenti che ci sono, provare per credere.

Sono comunque d’accordo con l’opinione in alcuni commenti secondo cui forse si pesa troppo all’idea del “documentarsi”. E’ importante, ma per me non è quello che permette di scrivere un romanzo, specialmente fantastico. Lo e’ invece il riuscire a creare una cosa che sia coerente in tutte le sue parti. Proprio parlando di fantasy, non ha un senso cercare di rapportare a spiegazioni scientifiche un mondo immaginario il cui funzionamento si basa completamente su regole magiche (e dunque inventate di sana pianta), perché sono due cose diverse e non esiste nessuna documentazione che ci assicura che in quell’universo le cose non vadano così. In questi casi è solo la logica che ci dice che le cose sono impossibili perché “non rientrano nelle regole”, non i documenti. La documentazione e’ utile per avere esempi e idee su come poter far andare le cose, ma nel fantastico non sono determinanti. Si può anzi presumere che un risultato uguale si può avere solo in condizioni uguali, perciò in un universo (come quelli fantasy) dove le regole di base al mondo sono diverse, è normale che il mondo illustrato abbia delle discrepanze, anche profonde, rispetto al nostro mondo, anche se molto simili. Molte cose sono giustificabili come con una storia diversa e cose simili. E’ la coerenza tra gli elementi che presenta che rende “solida” questo tipo di narrazione. (e non solo il mondo, ma anche la trama stessa). La cultura da un bacino di idee funzionanti, ma dev’essere l’inventiva dell’autore ad assemblarle insieme coerentemente da creare un risultato funzionante, altrimenti neanche con tutta la cultura del mondo si crea una storia fantastica credibile.

Per me passino dunque eventuali “anacronismi”, ma quello che compiono spesso gli autori sono errori di buon senso, più ancora di conoscenza… tipo usare dimensioni sfalsate, o comportamenti dei personaggi illogici o fuori luogo, che hanno poco a che fare con la cultura. Perciò Gamberetta, con tutto quello che ho detto non difendo per niente gli autori italiani, anzi… forse capirai che li sto proprio mettendo sul rogo in un modo più feroce di te. Quello che dico piuttosto è che ancora prima di documentarsi dovrebbero ACCENDERE IL CERVELLO, perchè i loro errori non sono tanto di “mancanza di cultura” ( dicesi “ignoranza” nel senso buono) ma proprio di mancanza di buon senso. E ho detto tutto credo.

#37 Comment By Gamberetta On 20 marzo 2009 @ 22:26

@Grifen. Proprio perché tantissimi problemi non sono intuitivi bisogna documentarsi molto. In un fantasy va benissimo che gli orchi teletrasportino le teste, però lo scrittore deve essere consapevole dell’esistenza del problema. E non può riuscirci a naso, ci riesce se ha competenza in argomento (logistica, storia militare, storia dei trasporti, ecc.)
Il dover andare oltre il modello storico e scientifico (se invento le balestre magiche non mi basta copiare quelle vere) implica uno studio maggiore non minore.

#38 Comment By Grifen On 21 marzo 2009 @ 02:07

@ Gamberetta:
Non dico nulla in contrario su questo, ma casomai ci aggiungo anche un “però” puntiglioso.
Per esperienza, quello di accorgersi delle incongruenze è anche un fatto di abiilità e saper “guardare” la situazione nei dettagli, e capire se sfugge qualcosa. Vedi, magari posso anche sapere quella cosa dei giapponesi nella mia storiella degli orchi, però non mi passerebbe per l’anticamera del cervello che quella conoscenza si applica al mio caso se per prima cosa non riesco ad intuirlo io per primo che “qualcosa non torna” (o se non me lo dicono). In questo c’è soprattutto la capacità di ragionare e riflettere prima di tutto, una abilità intrinseca dell’autore, trovo che il resto venga dopo.

#39 Pingback By Infoservi.it | Cultura, Società e Ricerca su Tecnologia, Media, Internet. On 17 febbraio 2013 @ 23:15

[...] Gamberi Fantasy » Blog Archive » Videogiochi e Teste Mozzate [...]


URL dell'articolo: http://fantasy.gamberi.org/2008/02/17/videogiochi-e-teste-mozzate/

Gamberi Fantasy