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Il senso del meraviglioso

Pubblicato da Gamberetta il 22 dicembre 2009 @ 17:37 in Insalata di Mare,Scrittura,Straniero | 80 Comments

Quando si parla di narrativa fantastica, spesso si cita il sense of wonder, non sempre a proposito. Il discorso è abbastanza interessante da meritare un approfondimento.

Il sense of wonder è quella sensazione di meraviglia, stupore e vertigine suscitata da determinate opere di narrativa fantastica – fantascienza in particolare. Ma prima di cercare una definizione più accurata, occorre capire se il sense of wonder esista o se sia solo illusione. A riguardo, ci sono due principali scuole di pensiero:

Icona di un gamberetto La prima scuola sostiene l’oggettiva esistenza del sense of wonder: determinati romanzi, determinate storie, sono in grado di suscitare precise reazioni nel cervello di chi legge. Non è una coincidenza e dipende solo fino a un certo punto dal lettore: il sense of wonder è intrinseco alle opere stesse.

Icona di un gamberetto La seconda scuola sostiene che il sense of wonder sia un miraggio. L’ipotesi è che si prova sense of wonder quando si è bambini o ragazzini non per particolari qualità della narrativa fantastica, ma semplicemente perché a quell’età ogni stranezza, ogni cosa fuori dall’ordinario sembra meravigliosa. Quando si cresce, il sense of wonder non è più vero sense of wonder ma il ricordo di quel lontano sentimento che si è sperimentato da piccoli. Questa è la stessa corrente di pensiero che si fa beffe della Golden Age: l’Età d’Oro della fantascienza non sarebbe il periodo compreso tra la fine degli anni ’30 e la metà degli anni ’50, bensì il periodo compreso tra i 12 e i 14 anni del lettore. I rappresentanti della seconda scuola vincono un biscotto per il cinismo!

Astounding Science Fiction
Un numero della rivista Astounding Science Fiction. Editor per molti anni è stato John W. Campbell, Jr. uno dei simboli della Golden Age

Chi ha ragione? Non lo so e non credo che la questione si possa dirimere se non attaccando elettrodi al cranio dei lettori e compiendo i dovuti esperimenti. Nel frattempo assumerò che il sense of wonder sia reale, anche se non ci metto la mano sul fuoco – la mia mano, quella di Licia ce la metto volentieri.

* * *

Il sense of wonder è la sensazione più intensa che abbia mai provato leggendo. È qualcosa di più del semplice emozionarsi. Non è come commuoversi, arrabbiarsi, avere paura o essere disgustata. Il sense of wonder è un brivido, una sensazione improvvisa e travolgente che lascia stupefatti, è la subitanea realizzazione che il mondo non sarà più lo stesso, è il riuscire a immaginare quello che fino a un instante prima era inconcepibile, è l’osservare l’intero Universo dalla cima di un grattacielo, è… UAU!
Mi rendo conto sia una descrizione un po’ vaga, ma è molto difficile spiegare il sense of wonder. Infatti John Clute nella sua Encyclopedia of Science Fiction svicola da una definizione precisa e dichiara che il sense of wonder è quella sensazione che fin dagli anni ’40 i fan si aspettano di provare leggendo la buona fantascienza.
Anche Peter Nicholls non fornisce una definizione formale, ma rimanda a questi versi di Wordsworth, tratti dal poema “Tintern Abbey”:

bandiera EN And I have felt
A presence that disturbs me with the joy
Of elevated thoughts; a sense sublime
Of something far more deeply interfused,
Whose dwelling is the light of setting suns,
And the round ocean and the living air,
And the blue sky, and in the mind of man;
A motion and a spirit, that impels
All thinking things, all objects of all thought,
And rolls through all things.

bandiera IT No, non mi metto a tradurre Wordsworth in maniera letterale e scolastica: il sense of wonder andrebbe a farsi friggere.

Tintern Abbey
Tintern Abbey: l’abazia che ispirò il poeta. Sense of wonder che sprizza da ogni mattone

In un’altra occasione Nicholls ha aggiustato il tiro: non basta il sublime,[1] il sense of wonder richiede anche un conceptual breakthrough, ovvero un (radicale) cambiamento di paradigma – come scoprire che la Terra è sferica invece che piatta o che gira intorno al Sole invece di essere ferma al centro dell’Universo.
Samuel R. Delany parla del sense of wonder in questi termini:

bandiera EN We all know science fiction provides action and adventure, as well as a look at visions of different worlds, different cultures, different values. But it is just that multiplicity of worlds, each careening in its particular orbit about the vast sweep of interstellar night, which may be the subtlest, most pervasive, and finally the most valuable thing in s-f. This experience of constant de-centered de-centeredness, each decentering on a vaster and vaster scale, has a venerable name among people who talk about science fiction: ‘the sense of wonder’.

bandiera IT Tutti sappiamo che la fantascienza garantisce azione e avventura, oltre a offrire la visione di pianeti differenti, culture differenti, valori differenti. Tale molteplicità di mondi, ognuno intento a seguire la propria particolare orbita, sperso nell’enorme distesa della notte interstellare, potrebbe essere la più sottile, la più pervasiva e infine la più importante caratteristica della fantascienza. Questa esperienza di costante de-centralizzazione, ogni decentralizzazione realizzata su una scala sempre più grande, ha un nome venerabile tra le persone che discutono di fantascienza: ‘il senso del meraviglioso’.

Per Joanna Russ il sense of wonder è:

bandiera EN [...] the feeling of transcendental beauty and awe that attached itself to the physical world.

bandiera IT [...] un sentimento di bellezza trascendentale e sgomento collegato al mondo fisico.

David Gerrold così si esprime:

bandiera EN Perhaps these were things you had never seen before, never even imagined. Perhaps your imagination was stretched beyond its limits, stretched and expanded. And afterward, perhaps you were left pondering things far beyond your sense of the possible.
That feeling is the sense of wonder.
The literature of the fantastic is about awakening that feeling of awe—and exercising it.
The sense of wonder is the marvelous heart of every great science fiction or fantasy story. It comes from the surprise of discovery. It comes from the recognition of the magic within. Most of all, it comes from the realization—the acknowledgment—of something new in the universe.

bandiera IT Forse queste cose non le avevate mai viste, non le avevate mai immaginate. Forse l’immaginazione si è spinta oltre i suoi limiti, si è espansa. E dopo, forse siete rimasti a ponderare su questioni ben al di là di quello che credevate possibile.
Questa sensazione è il sense of wonder.
Lo scopo della letteratura fantastica è risvegliare questo senso di sgomento – e stimolarlo.
Il sense of wonder è il cuore meraviglioso di ogni grande storia di fantascienza o fantasy. Deriva dalla sorpresa della scoperta. Deriva dall’accorgersi della magia intrinseca alla storia. Più di tutto, deriva dalla realizzazione – dalla consapevolezza – che è nato qualcosa di nuovo nell’universo.

E potrei continuare con infinite altre citazioni: ogni autore o appassionato ha la sua definizione più o meno diretta e più o meno dettagliata del sense of wonder.

Per me i tre elementi chiave sono: surprise, sublime e conceptual breakthrough.
Un tipico esempio di sense of wonder: in una Città seguiamo la storia di un investigatore che indaga su un omicidio, una contessa tradisce il marito, un mentecatto inizia a scrivere l’ennesimo inutile romanzo fantasy, una ragazza aggiorna il suo blog. All’improvviso investigatore, contessa, mentecatto e ragazza scompaiono. Scompare il morto, il marito tradito, il romanzo, il blog e Internet. Scompare l’intera Città.
Un coniglietto si risveglia.
Ecco i tre elementi: surprise – il tutto avviene di colpo.
sublime – il coniglietto!
conceptual breakthrough – la realtà che percepiamo è il sogno di un coniglietto.

Coniglietto addormentato
Quando il coniglietto si sveglierà, la realtà come la conosciamo cesserà di esistere. Perciò fate piano! Non parlate a voce troppo alta!

Notare che questo tipo di sense of wonder (“è tutto un sogno!”) non funziona più. Non perché in sé abbia qualcosa di sbagliato, ma perché il lettore un minimo smaliziato si immagina da solo che la realtà potrebbe essere un sogno. Perciò si può aggiungere all’elenco di elementi chiave l’originalità: non è una caratteristica intrinseca al sense of wonder, ma se manca spesso gli altri elementi non possono funzionare.

Ogni dettaglio fantastico ha in sé una scintilla di sense of wonder: quando in Leviathan la nave-balena volante spunta dalle nuvole, è sense of wonder.
Infatti c’è surprise – il lettore non ha elementi per immaginarsi che da lì a poco apparirà una nave-balena volante, c’è il sublime – la nave-balena è imponente, maestosa, dovrebbe lasciare a bocca aperta per lo stupore, e c’è il conceptual breakthrough – le nuvole in verità non sono nuvole ma una balena volante!!! L’originalità è così così: la nave-balena volante si è già vista in altri contesti, ma non è un cliché.
Certo, questo tipo di sense of wonder non sconvolge il lettore, non è il sense of wonder che fa esclamare “UAU!”, ma è meglio di niente. È meglio avere una balena volante in più, che una balena volante in meno. È questo il nocciolo della narrativa fantastica.

* * *

Alcuni esempi di vero sense of wonder in tre celeberrimi racconti: “L’Ultima Domanda” di Isaac Asimov, “I Nove Miliardi di Nomi di Dio” di Arthur C. Clarke e “La Stella” di H.G. Wells – il finale di ognuno dei tre racconti sarà svelato, dunque se non li avete mai letti, forse vi conviene farlo prima che gli spoiler ve li rovinino per sempre. Andate alla bibliografia, procuratevi i racconti, leggeteli e tornate qui.

Partiamo con “L’Ultima Domanda” (“The Last Question”, 1956) di Isaac Asimov. Nel 2061 è in funzione un supercomputer: Multivac. Due addetti alla manutenzione si prendono una pausa per scolarsi una bottiglia. Intanto discutono tra loro: cosa succederà quando le stelle di spegneranno? È possibile evitare la morte termica dell’universo? È possibile invertire l’entropia? Pongono queste domande al supercomputer. Il computer replica che non ha dati sufficienti per una risposta significativa.
Passano gli anni – migliaia di anni, milioni di anni, miliardi di anni. La razza umana scopre il segreto dell’immortalità, come viaggiare tra le stelle, come trascendere il proprio corpo fisico. Intanto anche la potenza di calcolo del supercomputer cresce sempre di più; diviene immensa.
Periodicamente viene posta la domanda: “È possibile invertire l’entropia?”. Ma la risposta del supercomputer è sempre: “Non ci sono dati sufficienti per una risposta significativa”.
Questo è il finale del racconto:

bandiera EN The stars and Galaxies died and snuffed out, and space grew black after ten trillion years of running down.
One by one Man fused with AC [Automatic Computer], each physical body losing its mental identity in a manner that was somehow not a loss but a gain.
Man’s last mind paused before fusion, looking over a space that included nothing but the dregs of one last dark star and nothing besides but incredibly thin matter, agitated randomly by the tag ends of heat wearing out, asymptotically, to the absolute zero.
Man said, “AC, is this the end? Can this chaos not be reversed into the Universe once more? Can that not be done?”
AC said, “THERE IS AS YET INSUFFICIENT DATA FOR A MEANINGFUL ANSWER.”
Man’s last mind fused and only AC existed – and that in hyperspace.

Matter and energy had ended and with it, space and time. Even AC existed only for the sake of the one last question that it had never answered from the time a half-drunken computer ten trillion years before had asked the question of a computer that was to AC far less than was a man to Man.
All other questions had been answered, and until this last question was answered also, AC might not release his consciousness.
All collected data had come to a final end. Nothing was left to be collected.
But all collected data had yet to be completely correlated and put together in all possible relationships.
A timeless interval was spent in doing that.
And it came to pass that AC learned how to reverse the direction of entropy.
But there was now no man to whom AC might give the answer of the last question. No matter. The answer – by demonstration – would take care of that, too.
For another timeless interval, AC thought how best to do this. Carefully, AC organized the program.
The consciousness of AC encompassed all of what had once been a Universe and brooded over what was now Chaos. Step by step, it must be done.
And AC said, “LET THERE BE LIGHT!”
And there was light.

bandiera IT Le stelle e le Galassie morirono e si spensero, e lo spazio, dopo dieci trilioni d’anni di decadimento, divenne nero.
Un individuo alla volta, l’Uomo si fuse con AC [Automatic Computer], e ciascun corpo fisico perdeva la sua idoneità mentale in un modo che, a conti fatti, non si traduceva in una perdita ma in un guadagno.
L’ultima mente dell’Uomo esitò, prima della fusione, contemplando uno spazio che comprendeva soltanto i fondi di un’ultima stella quasi spenta e nient’altro che materia incredibilmente rarefatta, agitata a casaccio da rimasugli finali di calore che calava, asintoticamente, verso lo zero assoluto.
«È questa la fine, AC?» domandò l’Uomo. «Non è possibile ritrasformare ancora una volta questo caos nell’Universo? Non si può invertire il processo?»
MANCANO ANCORA I DATI SUFFICIENTI PER UNA RISPOSTA SIGNIFICATIVA, disse AC.
L’ultima mente dell’Uomo si fuse e soltanto AC esisteva, ormai… nell’iperspazio.

Materia ed energia erano terminate e, con esse, lo spazio e il tempo. Perfino AC esisteva unicamente in nome di quell’ultima domanda alla quale non c’era mai stata risposta dal tempo in cui un assistente semi-ubriaco, dieci trilioni d’anni prima, l’aveva rivolta a un calcolatore che stava ad AC assai meno di quanto l’uomo stesse all’Uomo.
Tutte le altre domande avevano avuto risposta e, finché quell’ultima non fosse stata anch’essa soddisfatta, AC non si sarebbe forse liberato della consapevolezza di sé.
Tutti i dati raccolti erano arrivati alla fine, ormai. Da raccogliere, non rimaneva più niente.
Ma i dati raccolti dovevano ancora essere correlati e accostati secondo tutte le relazioni possibili.
Un intervallo senza tempo venne speso a far questo.
E accadde, così, che AC scoprisse come si poteva invertire l’andamento dell’entropia.
Ma ormai non c’era nessuno cui AC potesse fornire la risposta all’ultima domanda. Pazienza! La risposta – per dimostrazione – avrebbe provveduto anche a questo.
Per un altro intervallo senza tempo, AC pensò al modo migliore per riuscirci. Con cura, AC organizzò il programma.
La coscienza di AC abbracciò tutto quello che un tempo era stato un Universo e meditò sopra quello che adesso era Caos. Un passo alla volta, così bisognava procedere.
LA LUCE SIA! disse AC.
E la luce fu…

[traduzione di Hilja Brinis]

Gli elementi chiave: cominciamo dal sublime. Non è il sublime di una balena volante. Qui il sublime sta nella grandiosità della situazione: le stelle e le galassie sono spente; l’Universo è completamente buio; e poi la materia, l’energia, lo spazio e il tempo stesso cessano di esistere. Rimane solo la coscienza del computer, che, nelle ultime righe, si espande fino a occupare l’intero Universo.
Il conceptual breakthrough. AC scopre come invertire l’entropia, e dà la sua risposta con una dimostrazione: AC fa rinascere l’Universo. Ovvero l’origine dell’Universo potrebbe essere la risposta di un supercomputer all’ultima domanda.
La surprise: il lettore non ha idea di quale possa essere la risposta fino alle ultime due righe.

UNIVAC
Il Multivac di Asimov è ispirato all’UNIVAC I. No, è inutile che chiedete all’UNIVAC I, non vi risponderà…

In questo racconto il sense of wonder è prettamente scientifico e il cambiamento di paradigma è l’idea che si possano violare le leggi della termodinamica. È il sense of wonder tipico della fantascienza. In tempi più vicini si può ritrovare nelle opere di Vernor Vinge, Greg Egan o Charles Stross.

Tuttavia non è per niente obbligatorio un sense of wonder “scientifico”.
Consideriamo “I Nove Miliardi di Nomi di Dio” (“The Nine Billion Names of God”, 1953) di Arthur C. Clarke.
Secondo un gruppo di monaci tibetani, lo scopo dell’umanità è elencare tutti i possibili nomi di Dio – quando il compito sarà concluso, l’Universo cesserà di esistere. Per facilitarsi il lavoro, i monaci decidono di affittare un computer. Due tecnici arrivano in Tibet per installare e programmare la macchina.
Il computer comincia a stampare i nomi di Dio, e più passa il tempo più i due tecnici sono preoccupati. Non preoccupati che l’Universo possa cessare di esistere – che idiozia! – ma preoccupati che i monaci, delusi che non succeda niente, possano dare fuori di matto.
I due tecnici riescono a organizzare in modo che il computer finisca il suo lavoro mentre loro saranno già al sicuro, pronti a imbarcarsi su un aereo per tornare a casa.
Il finale del racconto è questo:

bandiera EN The swift night of the high Himalayas was now almost upon them. Fortunately the road was very good, as roads went in this region, and they were both carrying torches. There was not the slightest danger, only a certain discomfort from the bitter cold. The sky overhead was perfectly clear and ablaze with the familiar, friendly stars. At least there would be no risk, thought George, of the pilot being unable to take off because of weather conditions. That had been his only remaining worry.
He began to sing but gave it up after a while. This vast arena of mountains, gleaming like whitely hooded ghosts on every side, did not encourage such ebullience. Presently George glanced at his watch.
“Should be there in an hour,” he called back over his shoulder to Chuck. Then he added, in an afterthought, “Wonder if the computer’s finished its run? It was due about now.”
Chuck didn’t reply, so George swung round in his saddle. He could just see Chuck’s face, a white oval turned toward the sky.
“Look,” whispered Chuck, and George lifted his eyes to heaven. (There is always a last time for everything.)
Overhead, without any fuss, the stars were going out.

bandiera IT Adesso la rapida notte dell’alto Himalaya era quasi su di loro. Per fortuna la strada era molto buona, secondo la qualità media delle strade in quella regione, e tutti e due erano muniti di torce. Non c’era il minimo pericolo, soltanto il lieve disagio dovuto al freddo pungente. Il cielo sopra di loro era perfettamente limpido, e acceso dal brulichio delle familiari e amichevoli stelle. Per lo meno, pensò George, non ci sarebbe stato il rischio che il pilota non potesse decollare a causa delle cattive condizioni del tempo. Quella era l’unica preoccupazione che gli era ancora rimasta.
Cominciò a cantare, ma dopo un po’ ci rinunciò. Quel vasto anfiteatro di montagne che si stagliavano da ogni lato simili a bianchi fantasmi incappucciati, non incoraggiava una simile esuberanza. Poco dopo, George diede un’occhiata al suo orologio.
«Dovremmo esserci fra un’ora» gridò a Chuck, senza voltarsi. Poi aggiunse, a mo’ di ripensamento: «Mi chiedo se il computer non abbia finito il suo lavoro. Dovrebbe essere all’incirca adesso».
Chuck non rispose, così George si girò sulla sella. Poteva vedere il volto di Chuck, un ovale bianco rivolto al cielo.
«Guarda» bisbigliò Chuck, e George sollevò gli occhi verso il firmamento. (C’è sempre un’ultima volta per ogni cosa.)
In alto, senza nessun clamore, le stelle si stavano spegnendo.

[traduzione di Giampaolo Cossato]

Il conceptual breakthrough: Dio esiste e ha creato l’umanità perché possa elencare i Suoi nove miliardi di nomi. Ah, è la Fine del Mondo!
La surprise: il lettore, sapendo che si tratta di un racconto fantastico, può immaginarsi che i monaci abbiano ragione. Tuttavia Clarke è abbastanza bravo a sviare l’attenzione attraverso il punto di vista dei due tecnici, più preoccupati per i monaci pazzi che non per la faccenda dei nomi di Dio.
Il sublime: meno presente che non nel racconto precedente, ma il contrasto tra le montagne e le stelle “amichevoli” con il buio finale ha un pizzico di “sublimitudine”.

Ruota da preghiera
Ruota da preghiera tibetana: meno innocente di quanto non sembri

Il sense of wonder non è stato scientifico, ma rimane vero sense of wonder. Molti altri racconti e romanzi di Arthur C. Clarke sono imbevuti di sense of wonder. Giustamente famoso è il romanzo Le Guide del Tramonto (Childhood’s End, 1953), con il suo finale di mistica maestosità, degno di The End of Evangelion – leggo adesso su wikipedia che Hideaki Anno, regista di Evangelion, si sarebbe proprio ispirato al romanzo di Clarke. La differenza tra il finale di Childhood’s End e quello di The End of Evangelion è che il romanzo di Clarke ha un senso. Non svelo di più: leggete Childhood’s End ché ne vale la pena.

Terzo esempio di sense of wonder. Scenari meno apocalittici rispetto ad Asimov e Clarke, ma comunque molti gradini sopra la balena volante. Parlo del racconto di H.G. Wells “La Stella” (“The Star”, 1897).
In “The Star”, una stella attraversa il Sistema Solare. Il corpo celeste colpisce Nettuno e poi Giove. I calcoli indicano che colpirà anche la Terra o, se non lo farà, ci passerà molto vicina, causando ogni sorta di cataclisma.
Così Wells descrive l’apparire della stella nel cielo terrestre:

bandiera EN But the yawning policeman saw the thing, the busy crowds in the markets stopped agape, workmen going to their work betimes, milkmen, the drivers of news-carts, dissipation going home jaded and pale, homeless wanderers, sentinels on their beats, and in the country, labourers trudging afield, poachers slinking home, all over the dusky quickening country it could be seen–and out at sea by seamen watching for the day – a great white star, come suddenly into the westward sky!

bandiera IT Ma il poliziotto che sbadigliava la vide, la folla al mercato rimase a bocca aperta, la videro gli operai che andavano al lavoro di buonora, i lattai, gli edicolanti, chi tornava a casa pallido e stanco, i vagabondi, le sentinelle nel loro giro di guardia, e in campagna la videro i contadini che arrancavano nei campi, la videro i bracconieri che rientravano di soppiatto alle loro dimore, la si poteva vedere ovunque nella campagna scura che riprendeva vita – e in alto mare la videro i marinai di vedetta quel giorno – videro una grande stella bianca, che all’improvviso irrompeva nel cielo a Occidente!

In qualche misura è un modo di narrare un po’ ingenuo, però riesce a far trattenere il fiato, finché il sublime non appare nell’ultima riga: una grande stella bianca nel cielo d’Occidente!
Poi Wells descrive gli effetti catastrofici dell’avvicinarsi della stella, anche se, per fortuna, la stella non colpisce il nostro pianeta. L’ultimo paragrafo del racconto è questo:

bandiera EN The Martian astronomers – for there are astronomers on Mars, although they are very different beings from men – were naturally profoundly interested by these things. They saw them from their own standpoint of course. “Considering the mass and temperature of the missile that was flung through our solar system into the sun,” one wrote, “it is astonishing what a little damage the earth, which it missed so narrowly, has sustained. All the familiar continental markings and the masses of the seas remain intact, and indeed the only difference seems to be a shrinkage of the white discoloration (supposed to be frozen water) round either pole.” Which only shows how small the vastest of human catastrophes may seem, at a distance of a few million miles.

bandiera IT Gli astronomi marziani – perché ci sono astronomi su Marte, sebbene siano creature molto diverse dagli uomini – naturalmente furono profondamente interessati da questi avvenimenti. Ovviamente li videro dalla loro prospettiva. “Considerando la massa e la temperatura del proiettile che è volato attraverso il nostro Sistema Solare fin contro il Sole”, uno degli astronomi scrisse, “è incredibile quanto minimo sia stato il danno alla Terra, mancata di pochissimo. Tutti i familiari punti di riferimento continentali e le masse oceaniche sono rimasti inalterati, in effetti l’unica differenza sembra essere una riduzione della zona bianca (che si pensa sia acqua ghiacciata) intorno a ciascuno dei poli”. Il che dimostra quanto minuscole appaiano le più grandi catastrofi dell’umanità se viste da milioni di miglia di distanza.

Il conceptual breakthrough: i Marziani esistono e ci spiano![2] Ma non solo, qui il sense of wonder è alimentato anche dal decentering nella definizione di Delany: d’improvviso cambia la prospettiva; adesso la Terra è solo una piccola immagine nel telescopio di un marziano. Un punto di riferimento cardine è spostato: al centro metafisico dell’Universo non c’è più il nostro pianeta.

Collisione planetaria
Per fortuna non è andata così!

Questi tre racconti non sono perfetti dal punto di vista stilistico, però funzionano.
Il vero sense of wonder riesce a trascendere una scrittura poco brillante: Infinito (Last and First Men, 1930) di Olaf Stapledon non è neanche un romanzo nel senso comune del termine; in pratica non ci sono personaggi ed è quasi tutto raccontato. Se lo dovessi giudicare con il metro che uso di solito prenderebbe 100 gamberi marci. Tuttavia dalla sua Stapledon può sostenere di raccontare due miliardi di anni di storia futura dell’umanità.
L’intrinseca grandiosità e ambizione del progetto – il sense of wonder che nasce dall’incredibile viaggio fino alle sorti ultime dell’umanità – possono far chiudere un occhio sui dettagli tecnici della narrazione. Forse. Ciò detto, si può benissimo scrivere come Dio comanda e suscitare sense of wonder, le due cose non si escludono. La scarsa tecnica non favorisce in alcun modo il sense of wonder. Sto solo sostenendo che il sense of wonder è possibile nonostante una scarsa tecnica.

* * *

Quanto è importante il sense of wonder in un’opera di narrativa fantastica? Per alcuni è vitale. Scrive David Gerrold:

bandiera EN That sense of wonder is what you aspire to create; that’s what you must create if you are going to write effective science fiction and fantasy.

bandiera IT Dovete ambire a suscitare il sense of wonder; se volete scrivere efficaci storie fantasy o di fantascienza, dovete creare il sense of wonder.

Per Damon Knight:

bandiera EN Science fiction exists to provide what Moskowitz and others call ‘the sense of wonder’: some widening of the mind’s horizons, no matter in what direction [...]

bandiera IT La fantascienza esiste per suscitare quello che Moskowitz e altri chiamano ‘il senso del meraviglioso’: un espandersi degli orizzonti mentali, non importa in quale direzione [...]

Altri non la pensano così. I rappresentanti del partito “il sense of wonder è un’illusione!” pongono enfasi su altri elementi, considerando fondamentali personaggi, ambientazione, intreccio, ecc. Non riporto in dettaglio le loro opinioni perché mi stanno antipatici!
Io concordo con Gerrold e Knight: come già detto, il sense of wonder è il nocciolo del fantastico; il sense of wonder è vitale. Il sense of wonder eleva le storie in una dimensione altrimenti irraggiungibile. Nessun personaggio, nessuna ambientazione, nessun intreccio può avere l’impatto viscerale del meraviglioso.
Inoltre difficilmente una storia può avere un significato più profondo di una vicenda caratterizzata da vero sense of wonder. Il vero sense of wonder afferma qualcosa di basilare riguardo la realtà stessa: “Siamo tutti in una simulazione!!! E in più ci fanno lavorare senza ferie per costruire un computer quantistico!!!”, “La Terra è piatta!!! E se continuiamo a navigare non scopriamo l’America, cadiamo oltre il bordo del mondo e finiamo in orbita!!!”, “Dio esiste!!! E ha ucciso gli alieni per colpa dei Re Magi!!!” (provate a indovinare a quali racconti mi riferisco. Qualche indizio: sono tre racconti che sono stati tradotti in italiano. Il primo racconto è stato venduto come romanzo breve ed è già stato citato in un altro articolo del blog; il titolo del terzo racconto compare in questo di articolo).
Una storia può essere bella anche senza sense of wonder, ma senza sense of wonder non potrà mai compiere il balzo da “bella” a “UAU!”.

Io sono spesso accusata – specie quando si parla di opere italiane – di giudicare i romanzi solo in base allo stile, di fermarmi alla superficie e di non scavare più a fondo oltre le apparenze. C’è un pizzico di verità in questo, ma la ragione non è che sono sadica, invidiosa, acida, frustrata e rubo i leccalecca ai bambini, la ragione è che sono infinitamente buona e generosa.[3] Se dovessi giudicare in base ai parametri del fantastico, sarebbe sì un vero massacro. Non lo faccio perché in effetti il sense of wonder potrebbe essere illusione, potrebbe essere solo questione di gusto personale – non lo credo, ma non posso escluderlo.
Come già accennato, sono disposta a passare molto volentieri sopra a uno stile zoppicante se un romanzo mi facesse esclamare “UAU!”. Ma non succede. Anzi, anche i romanzi italiani migliori che ho letto – Pan, Esbat, L’Acchiapparatti di Tilos – si distinguono per personaggi, intreccio, ambientazione o qualità della scrittura; sotto il profilo del sense of wonder latitano. Negli ultimi anni forse un solo romanzo italiano di narrativa fantastica è riuscito a suscitarmi un minimo di sense of wonder. È un romanzo inedito di Luca Zaffini. Nonostante abbia letto solo una prima stesura – con tutti i problemi di stile e trama che questo comporta – sono rimasta impressionata. Quanto impressionata me ne sono resa conto scrivendo questo articolo: ormai è passato più di un anno da quando ho letto quel romanzo, eppure un sacco di scene le ricordo ancora benissimo. Una traccia di sense of wonder è rimasta dopo così tanto tempo e così tanti altri romanzi. Notevole. Spero l’autore riesca a pubblicarlo, credo sarebbe il più bel romanzo fantasy italiano da anni.

* * *

Le parole non hanno un costo diverso a seconda del loro significato. Potete spendere le parole di un romanzo per descrivere l’elfo, il nano e il barbaro che entrano in una taverna, mangiano, bevono, ruttano e poi il nano trascina tutti in una rissa; oppure potete scegliere altre parole e rivoltare l’intero Universo. Non si pagano tasse sulla fantasia, non ponetevi limiti!

Buon Natale a tutti! chikas_pink53.gif

Bibliografia

Per maggiori informazioni riguardo a gigapedia, consultate questo articolo.

Sulla fantascienza:

Copertina di The Encyclopedia of Science Fiction The Encyclopedia of Science Fiction di John Clute & Peter Nicholls (St. Martin’s Press, 1995).
Copertina di The Cambridge Companion to Science Fiction The Cambridge Companion to Science Fiction a cura di Edward James & Farah Mendelsohn (Cambridge University Press, 2003).
Copertina di Science Fiction: What It's All About Science Fiction: What It’s All About di Sam J. Lundwall (Ace Books, 1971).
Copertina di Reading by Starlight: Postmodern Science Fiction Reading by Starlight: Postmodern Science Fiction di Damie Broderick (Routledge, 1994).
Copertina di Worlds of Wonder: How to Write Science Fiction and Fantasy Worlds of Wonder: How to Write Science Fiction & Fantasy di David Gerrold (Writer’s Digest Books, 2001).

Opere citate:

Copertina di Nine Tomorrows Nine Tomorrows di Isaac Asimov (Doubleday, 1959).
Questa antologia contiene il racconto “The Last Question”. Potete anche leggerlo online, qui.
In Italiano trovate “L’Ultima Domanda” su emule dentro:
Icona di un mulo eBook.ITA.2854.Isaac.Asimov.
Il.Meglio.Di.Asimov.(doc.lit.pdf.rtf).[Hyps].rar
(2.861.327 bytes)
Copertina di The Nine Billion Names of God: The Collected Stories of Arthur C. Clarke, 1951-1956 The Nine Billion Names of God: The Collected Stories of Arthur C. Clarke, 1951-1956 di Arthur C. Clarke (Signet, 1974).
Questa antologia contiene il racconto “The Nine Billion Names of God”.
In Italiano trovate “I Nove Miliardi di Nomi di Dio” su emule dentro:
Icona di un mulo eBook.ITA.1280.Isaac.Asimov.Le.Grandi.Storie.
Della.Fantascienza.15.1953.(doc.lit.pdf.rtf).[Hyps].rar
(2.793.403 bytes)
Copertina di L'Uomo dei Miracoli “The Star” di H.G. Wells potete leggerlo online, qui.
Secondo il Catalogo Vegetti esiste una sola traduzione italiana – “La Stella” – in un’antologia del 1905, L’Uomo dei Miracoli. Non si trova su emule. Ma a quanto pare il racconto è stato tradotto anche nell’antologia La porta nel muro e altri racconti edita da Bollati Boringhieri, e questa traduzione si può leggere online, qui. Grazie a doktorgeiger per la segnalazione.
Copertina di Childhood's End Childhood’s End di Arthur C. Clarke (Ballantine Books, 1953).
In Italiano lo trovate su emule, cercando:
Icona di un mulo eBook.ITA.2345.Arthur.C.Clarke.Le.Guide.
Del.Tramonto.(doc.lit.pdf.rtf).[Hyps].rar
(2.063.627 bytes)
Copertina di Last and First Men Last and First Men di Olaf Stapledon (Methuen, 1930).
Potete anche leggerlo online, qui.
In Italiano è apparso negli Oscar Fantascienza Mondadori e nei Classici di Urania. Non si trova su emule.

* * *

note:
 [1] ^ Mi rendo conto che anche sulla definizione di “sublime” ci si potrebbe scannare. Intenderò “sublime” nel suo significato intuitivo di grandioso, eccelso, strabello.

 [2] ^ Infatti:

No one would have believed in the last years of the nineteenth century that this world was being watched keenly and closely by intelligences greater than man’s and yet as mortal as his own; that as men busied themselves about their various concerns they were scrutinised and studied, perhaps almost as narrowly as a man with a microscope might scrutinise the transient creatures that swarm and multiply in a drop of water.

Ma questa è un’altra storia!

 [3] ^ Ricordo che se siete miei fan dovete accettare il fatto che sono infinitamente buona e generosa come dogma di fede.


Approfondimenti:

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80 Comments To "Il senso del meraviglioso"

#1 Comment By Vincent On 22 dicembre 2009 @ 19:34

Questo post mi piace.
Io sono per il primo partito.

Quoto: “I rappresentanti del partito “il sense of wonder è un’illusione!” pongono enfasi su altri elementi, considerando fondamentali personaggi, ambientazione, intreccio, ecc. Non riporto in dettaglio le loro opinioni perché mi stanno antipatici!
Io concordo con Gerrold e Knight: come già detto, il sense of wonder è il nocciolo del fantastico; il sense of wonder è vitale. Il sense of wonder eleva le storie in una dimensione altrimenti irraggiungibile. Nessun personaggio, nessuna ambientazione, nessun intreccio può avere l’impatto viscerale del meraviglioso”.

E per questo che non mi piacciono troppo i manuali (non dico che non siano indispensabili), perché a volte, chi studia si concentra solo e troppo su quanto detto sopra da G.

Forse sto sbroccando, ma non importa: bell’articolo.

Oh, che sto a diventà un tuo fan???????

#2 Comment By dr Jack On 22 dicembre 2009 @ 20:05

Il sense of wonder è una emozione, quindi difficile da catalogare, ma è molto interessante questa idea dei tre concetti chiave: surprise, sublime e conceptual breakthrough.

Mi sembra di aver letto un’idea simile che mi sentirei di chiamare “sense of shudder” in Philosophy of Horror di Noel Carroll.
Ricordo che tra i concetti chiave richiamava “Impurity” (che mi sembra il contrario di sublime) “outside cultural categories” (che mi sembra molto simile al conceptual breakthrough).

Nessun personaggio, nessuna ambientazione, nessun intreccio può avere l’impatto viscerale del meraviglioso

Non saprei, secondo me dipende dal genere di lettore. Ma sono sicuro di condividere la tua opinione per quanto riguarda gli appassionati fantasy.

Forse sto sbroccando, ma non importa: bell’articolo.

Oh, che sto a diventà un tuo fan???????

Condivido, anche a me è piaciuto molto… e attendo pazientemente la tua metamorfosi :).

#3 Comment By Zweilawyer On 22 dicembre 2009 @ 20:24

Concordo con Gerrold (anche se nella sua opera più famoso ha autodistrutto il sense of wonder con una narrazione pesantissima). La scintilla del sense of wonder è paragonabile al sublime, inteso in senso dinamico, kantiano. Nella pittura mi vengono in mente i dipinti di William Turner, con l’uomo impotente ed estasiato di fronte alle forze infinite della natura.

Uno dei temi che più mi affascina, menzionato indirettamente da G., è senza dubbio quello dell’Omega Point, trattato in Childhood’s End ( e in molti altri romanzi, Tomorrow Tomorrow su tutti) e ripreso ai limiti del plagio in Neon Genesis Evangelion. L’Omega Point è capace di generare un sense of wonder immediato e mi piacerebbe vedere altri grandi autori cimentarsi con questo tema.
Ottimo articolo. Voto: 8.

Zweilawyer

#4 Comment By Chamaeleon On 22 dicembre 2009 @ 20:51

Io penso che il sense of wonder non sia assolutamente indispensabile in un romanzo… certo, se c’è è molto meglio…!
Comunque penso sia più difficile applicarlo al fantasy che alla fantascienza.
>oggettivamente parlando< forse perchè si hanno più spunti da seguire.

#5 Comment By Maudh On 22 dicembre 2009 @ 22:12

Personalmente, Io sono un fan della psicologia dei personaggi e dell’intreccio della trama, sono capace di lunghe apnee dal “sense of wonder”.
Certo, se c’è è meglio! Onestamente gli esempi mi ha fatto rabbrividire (mia fobia per la contemplazione dell’universo, del genere la fantascienza fa male); citare il sempreverde S. King, che di Sense of Wonder ne sa mettere un BEL po’?
Comunque, bell’articolo. Fa parte della serie “I Manuali?

#6 Comment By Simòn R. On 22 dicembre 2009 @ 22:14

Che bel post! Ultimamente riscopro il piacere di leggerti ^_^
Un appunto sul titolo: “sense of wonder” letteralmente sarebbe “senso di meraviglia”, che in italiano suona male; ma “senso del meraviglioso” lo trovo sbagliato per due motivi: 1) (scontato) “meraviglioso” si dice “wonderFUL”, ed è quindi una parola diversa, quindi la traduzione non è rigidamente corretta; 2) la parola “meraviglioso” nell’italiano corrente non ha più il significato di “stupefacente”, ma di “bellissimo”; dunque dire “senso del meraviglioso” travia l’intuitività del bellissimo termine originale “sense of wonder”. Pertanto consiglierei un “senso del meravigliarsi”, che mi pare molto più azzeccato :)

Rigurgiti redattorial-pignolistici a parte, all’inizio della lettura ero scettico su questo tuo tanto acclamato SOW; ma più avanti mi sono ricreduto. Devo notare, però, che hai preso in esame perlopiù fantascienza, e perlopiù racconti. Come “integrazione” a tutto il discorso mi è venuto da pensare che nelle lunghe saghe fantasy, il Sense of Wonder esista eccome, ma sia… come dire… più diluito: invece di apparire in un singolo istante, in una unica, stupefacente, meravigliosa immagine, devi “respirarlo” in ogni pagina, attraverso ogni narrazione di evento o descrizione di luogo. E’ Sense of Wonder quando Gandalf combatte il Balrog; ma lo è anche nella “semplice” maestosità di Moria; o, ancora più generalmente, nell’aria che si respira in tutta la Terra di Mezzo… almeno, personalmente ogni volta che ci capito rimango stordito da come tutti sembri reale e “fatato” al tempo stesso. Immergermi in Tolkien, respirare la sua immaginazione, mi fa esclamare WOW! sia a livello “intellettuale” che semplicemente emozionale. E lo stesso mi capita con Jordan, Martin, King, la Carey… magari in misura maggiore o minore, magari per ragioni diverse: in Martin esalta la Barriera, sì, ma anche la Storia dei Sette Regni in sé, la complessa divisione in casate ecc.; nella Carey l’ambientazione poggia su basi molto labili, ma tutto il SOW è catalizzato dalla peculiarità della protagonista Phédre.

Tutto qua. Un lungo sproloquio che mi è venuto in mente leggendo il tuo (ottimo ^_^) articolo e pensandolo rivolto anche al fantasy “classico” oltre che alla fantascienza :)

#7 Comment By Dago Red On 22 dicembre 2009 @ 22:16

Vorrei chiedere: se il sense of wonder si intende (se ho ben capito) come la rottura degli gli schemi mentali sul quale si adagiava il lettore, fino a provocargli un vero senso di “vertingine”, allora si potrebbe riconoscere che esso non è solo prerogativa solo della fantascienza o del fantasy, giusto?
Perchè io quel senso di smarrimento misto ad esaltazione, di timore mischiato ad ebrezza, l’ho provato tante altre volte, non solo leggendo LotR, ma anche coi Racconti di Kolyma di Salamov, o nei romanzacci di Sven Hassel, o nel finale struggente di “Niente di nuovo sul fronte Occidentale”, e in tanti tanti altri libri.
Sto facendo confusione?

@Gamberetta, il romanzo inedito di Luca Zaffini è per caso disponibile in rete?

#8 Comment By Sophitia On 22 dicembre 2009 @ 22:25

Che bell’articolo! Complimenti!

#9 Comment By Gamberetta On 22 dicembre 2009 @ 23:43

@Chamaeleon. Non credo ci sia nessun problema intrinseco a scrivere fantasy pieno di sense of wonder. Però si deve partire dal presupposto che alla fine il mondo non sarà più lo stesso.
Troppo spesso il fantasy tende a conservare la situazione di partenza, non a cambiarla. Nello schema: il Regno è felice – arriva il Signore Oscuro – i Buoni lo combattono – i Buoni vincono – il Regno è felice, è difficile inserire vero sense of wonder perché non c’è mai il “punto di rottura” necessario. Perché se ci fosse la storia non potrebbe finire dove è cominciata.

@Maudh. Mah! Io di sense of wonder in King ne ho sempre trovato poco. Anche perché raramente (mai?) scrive roba originale, ricicla sempre idee altrui, perciò sai già prima cosa immaginarti.
Questo articolo non fa parte dei Manuali. Non so se a dicembre riuscirò a pubblicare il terzo dei Manuali.

@Simòn R. Ho messo in italiano solo perché mi dà fastidio mettere titoli in inglese agli articoli. Poi basta usare sempre sense of wonder e il problema è risolto. ^_^
Ho usato solo racconti perché è più semplice, per chi fosse interessato, leggerli al volo prima di proseguire la discussione. “I Nove Miliardi di Nomi di Dio” è tradizionalmente classificato come fantascienza, ma se fosse pubblicato adesso finirebbe in un’antologia fantasy, al massimo science-fantasy.

Come dicevo ogni elemento fantastico è sense of wonder. Sicuramente c’è un pizzico di sense of wonder quando Gandalf affronta il Balrog. Però, vedi la risposta a Chamaeleon, se uno scrittore fantasy vuole vero sense of wonder deve essere disposto a giocarsi tutto. Da quel punto in poi non ci possono più essere altri otto volumi, perché il Regno è qualcosa di completamente diverso.

@Dago Red. Sul sense of wonder fuori dal fantastico. In teoria sì. Prendiamo un giallo: la baronessa è uccisa, il marito è sospettato, tutte le prove sono contro di lui. Alla fine del romanzo, l’investigatore convoca i sospetti nella sala da pranzo della villa. Elenca gli indizi, tutti si voltano verso il marito, ma poi, colpo di scena, l’investigatore dichiara colpevole il maggiordomo.
Questo può suscitare sense of wonder. Il fatto che gli indizi assumano d’improvviso un altro significato può essere un conceptual breakthrough. Tuttavia il vero sense of wonder è qualcosa di più significativo, qualcosa che incide profondamente sulla realtà o sulla nostra idea di realtà.

Da quel che ne so il romanzo di Zaffini non si trova in Rete (anche perché non so se abbia finito di revisionarlo).

#10 Comment By Davide On 23 dicembre 2009 @ 00:10

Mmh… Non so, Chiara.

Ho apprezzato l’articolo, ma probabilmente nella mia testa ho una definizione di sense of wonder (o meglio, un’interpretazione della definizione di sense of wonder) diversa dalla tua.

Tutti e tre gli esempi di racconto che hai citato trasmettono a tutti gli effetti sense of wonder, ma hanno un punto in comune: ovvero tutti e tre raccontano di una catastrofe più o meno profonda e insanabile, un cambiamento quindi tremendamente profondo e radicale.

Questo, però, secondo me è uno dei tanti possibili lati del sense of wonder, che rimane una sorta di polimorfo di difficile definizione a parer mio. Perché – quantomeno, per quel che ho desunto dal tuo articolo – se intendessi il sense of wonder in questo modo, allora esso agirebbe in un campo un po’ limitato, temo. Cioè, non credo che a quel punto uno dei miei racconti preferiti del fantastico, ovvero “Se tutte le ostriche dei mari” di Avram Davidson si potrebbe fregiare del sense of wonder, visto che tratta di una “rivoluzione silenziosa” che non viene scoperta e quindi non può dare il via a nessun radicale mutamento. E “Gli orsi scoprono il fuoco” di Bisson, dove in pratica succede quello che c’è scritto nel titolo e poco altro? E Chwedyk con “La misura di tutte le cose”, che si limita a descrivere una giornata tipo di un centro di accoglienza per dinosauri da compagnia creati in laboratorio? E “La variante dell’unicorno” di Swanwick, che per quanto affronti il tema del destino di due specie rimane comunque un racconto su una partita di scacchi?

Insomma, per me il sense of wonder riguarda anche situazioni come queste, molto più “terra terra”, per così dire. Insomma, per me non deve avvenire per forza una spaccatura all’interno della narrazione che porti a cambiamenti radicali; mi basta che una “spaccatura” (nel senso più positivo del termine) si crei fra me/la mia realtà e quella del racconto/romanzo del fantastico che sto leggendo. E più tale divario sarà ampio, maggiore sarà il sense of wonder… Anche se appunto, per quanto mi riguarda tale divario non è direttamente proporzionale alla grandiosità e alla magnificenza degli avvenimenti nel dato racconto/romanzo.

Spero di avere spiegato con chiarezza il mio punto di vista e soprattutto spero di non avere clamorosamente frainteso il tuo!
In ogni caso complimenti, è senza dubbio un argomento di grande stimolo.

#11 Comment By Mauro On 23 dicembre 2009 @ 00:11

Zweilawyer

in molti altri romanzi, Tomorrow Tomorrow su tutti

Di chi è?

#12 Comment By Zweilawyer On 23 dicembre 2009 @ 00:20

@Mauro
Perdonami, il titolo è Tomorrow and Tomorrow di Charles Sheffield.

Zweilawyer

#13 Comment By Jonnie On 23 dicembre 2009 @ 00:57

Un autore che trasuda Sense of Wonder da ogni poro è Gene Wolfe. L’effetto WOW è presente ad ogni angolo nel Libro del Nuovo Sole, è quasi sempre con questa particolarità: è dato in parte dal fatto che il lettore intuisce cose che la voce narrante nemmeno immagina. Trovo che questo accorgimento permetta una specie di raddoppiamento dell’effetto: una scena ha del meraviglioso agli occhi di Severian E agli occhi del lettore -e il lettore stesso apprezza entrambi i punti di vista.
Questo è uno dei motivi per i quali Wolfe è nella mia personale classifica il capo del fantasy. La Le Guin lo recensisce definendolo “il nostro Melville”.

SPOILER WARNING

SOW non catastrofici nel Libro del Nuovo Sole di Wolfe:
La Cittadella digrigio metallo.
Il fiore dell’Avern.
I frammenti di emtallo vomitati da Dorcas.
La Cattedrale che fluttua sopra i tetti delle case.
L’Artiglio del Conciliatore.
L’uomo verde.
La miniera degli uomini-scimmia, e i suoni che vengono dal profondo.
Il banchetto di Vodalus.
L’ulano morto e la scena nella quale Severian e Jonas estraggono le nottule dl suo corpo. (!)
La Casa Assoluta e gli specchi di Padre Inire.
Lo spettacolo del Dottor Talos (per ciò che lascia intuire).
La città di pietra di Apu Punchau.
La salamandra.
L’Alzabo e gli Zoantropi.
Monte Typhon e Typhon (sense of wonder “paesaggistico” nel primo caso, “biologico” nel secondo -interessante!).
Di nuovo, l’Artiglio.
I Cacogeni.
La Casa alla fine del Mondo.
L’Autarca.

FINE SPOILER WARNING

Ho applicato rapidamente il metodo del Sublime-Surprise-Breakthrough e funziona alla grande.
Grazie Gamberetta per gli strumenti che ci dai.

#14 Comment By Vincent Law On 23 dicembre 2009 @ 01:09

Ma non ho ben capito la posizione del partito “Il senso of wonder è un illusione!”
Se affermano che il sense of wonder è una sensazione di meraviglia che si prova vedendo le cose nuove da bambini, è come se ammettessero che una volta adulti non ci si stupisce più per nulla. Se è così non sono d’accordo, cioè, ma sono tristissimi. Allora tanto vale ragionare come Leopardi, che diceva che gli ignoranti sono i soli ad essere felici perché non conoscono la crudeltà della vita. Ma dai!
A me piace pensare che il sense of wonder esiste, ma non tutti sono in grado di provarlo, perché si convincono che non c’è più niente che possa stupirli. Tipo una via di mezzo tra le due ideologie, se non lo percepisci è perché non vuoi.

- Da adulti non si inciampa più per terra, come fanno spesso i bambini. Sai perché? I bambini guardano sempre su, nel cielo, distratti.

Una breve citazione per far intendere ciò che penso: se guardi sempre per terra è logico che il cielo non sai neanche come è fatto. Poi ti viene la gobba e proprio te lo dimentichi. Alzare la testa è una libera scelta. C’è il rischio di inciampare però :D

#15 Comment By Angra On 23 dicembre 2009 @ 07:02

Mi sembra che il mercato editoriale sia tutto orientato sulla seconda scuola di pensiero, non tanto per ritenere solo una parte dei lettori in grado di provare Sense of Wonder, tanto per il fatto di ritenere che quelli che possano provarne piacere siano solo una nicchia in una nicchia, e che gli altri possano al massimo ricavarne fastidio.

Fra una storia dove la ragazza insicura fa innamorare il più gnokko del liceo, e una storia dove una missione di cinesi diretta sulla Luna scopre che l’universo è tutto finto, nient’altro che una proiezione su uno schermo sferico a centomila chilometri dalla Terra, sembra scontato che la prima arriverà molto più facilmente in libreria. L’ipotesi sul periodo compreso fra i 12 e i 14 anni del lettore sembra invece fuori luogo, dato che buona parte dei fan del primo genere di storia sono proprio intorno a quell’età.

Sosio lo ha detto bello chiaro proprio su questo blog: devo dare al lettore quello che si aspetta di trovare. Va da sé che questo è l’esatto contrario del Sense of Wonder.

#16 Comment By Niccolo’ On 23 dicembre 2009 @ 10:06

Credo che un libro esemplificativo di tutto ciò, scritto mirabilmente, con rigore implacabile, e che condensi di tutto e di più in sole 120 pagine, sia “Universo” di Heinlein. Lo rileggo periodicamente, per me è uno dei libri più straordinari mai scritti.

#17 Comment By AryaSnow On 23 dicembre 2009 @ 10:45

@Gamberetta: Cuore d’Acciaio per te com’è messo riguardo al sense of wonder? Ne ha tanto?

#18 Comment By dr Jack On 23 dicembre 2009 @ 10:50

Alcuni stanno dicendo (o stanno insinuando :p) che il sense of wonder non è necessario in una storia (anche in un bella storia).

Sono d’accordo.
Non tutti vogliono sense of wonder, c’è chi preferisce gli horror, dove il ‘sublime’ non c’è.
Oppure una spy story, dove di solito non c’è nessun ‘conceptual breakthrough’: alla fine in una romanzo storico si vedono cose conosciute e possono piacere lo stesso, senza vedere mostri o balene volanti o cose comunque “mai viste”.

Si potrebbe allora dire che chi vuole il fantasy vuole sense of wonder.
Dipende. Alcuni cercano il sense of wonder dentro un’opera fantasy, ma ci sono altri che cercano il senso dell’epica o altri che vogliono… gli elfi e i maghi!

Il sense of wonder è un concetto interessante e necessario se qualcuno vuole creare una storia fantasy seria. Poi a me piace :).
MA non è da confondere con altri concetti come suspence o tensione che invece sono essenziali a tutte le storie.

#19 Comment By Tapiroulant On 23 dicembre 2009 @ 11:09

@Gamberetta: Vorrei dire la mia sulla questione del sense of wonder. Credo che la risposta più corretta sia quella che medi le due posizioni classiche. Il sense of wonder è estremamente relativo, ossia legato alle possibilità immaginative del lettore: io l’ho provato quando lessi The last question per la prima volta, ma se mi trovassi a leggere un altro racconto dello stesso tema, mi meraviglierei di meno, perché ormai quelle possibilità immaginative le ho interiorizzate, e non c’è più un vero conceptual brakethrough. L’hai notato anche tu, credo, quando hai aggiunto, agli elementi essenziali, l’originalità, il bisogno di innovazione. Tu stessa, se non sbaglio, una volta avevi citato il saggio di Lovecraft in cui parlava dell’evoluzione della letteratura fantastica, e diceva che i fantasmi che trascinano le catene funzionavano nell’Ottocento, ma nel Novecento erano ingenui e superati. Io stesso sono rimasto abbastanza indifferente almeno ad un terzo dei racconti di Poe, nel senso che non mi hanno suscitato niente, ed è molto difficile che un’opera del fantastico dell’Ottocento mi emozioni in qualche modo. In questo senso, ho l’impressione che la narrativa mirata al sense of wonder abbia una data di scadenza, e molto più stretta rispetto a quella delle opere di altro tipo.
Ma del resto, uno che arrivasse a 30 anni senza aver mai guardato un film di fantascienza o dell’orrore, e mai letto un romanzo fantastico, probabilmente si spaventerebbe nel leggere una tristissima storia di fantasmi infestanti. Quindi la posizione della seconda scuola è demente, anche se coglie nel segno quando dice che il sense of wonder non è oggettivamente insito nell’opera.

#20 Comment By Tapiroulant On 23 dicembre 2009 @ 11:18

Vorrei aggiungere un paio di cose.

@Dr. Jack: Ti sbagli sulla narrativa dell’orrore. E’ considerabile sublime anche l’abisso, la profondità terrorizzante in cui certi romanzi e racconti horror sanno gettarti (Kant approverebbe, ma credo anche qualsiasi critico d’estetica). Io provo sense of wonder dinanzi ad Azatoth e a Yog-Sothoth. La meraviglia si trova ad entrambi i poli, quella del meravigliosamente bello e del meravigliosamente angosciante: del resto la fine del mondo nel racconto di Clarke non mi sembra proprio una cosa piacevole, ma suscita comunque meraviglia (a me non più di tanto, ma forse ai tempi funzionava).

Per quanto concerne King, devo essere d’accordo con Gamberetta. La sua prosa non mi ha suscitato sense of wonder praticamente mai, le idee sul Male assoluto e sull’Orrore che ritornano periodicamente nei suoi romanzi sono puerili e noiose (l’unica volta in cui ho provato sincero sense of wonder credo sia stato quando sono arrivato alla fine dell’Acchiappasogni, che tra l’altro è un libro che alla maggior parte dei kinghiani ha fatto schifo – non l’hanno capito, sigh). I punti forti di King infatti sono la descrizione della quotidianità, il lento passaggio dalla quotidianità alla violenza e l’idea che la violenza si nasconda nella quotidianità: su questi argomenti ha scritto anche roba buona (Stagioni diverse su tutte – e infatti NON è un horror), ma si tratta di argomenti senza un’oncia di sense of wonder.

#21 Comment By dr Jack On 23 dicembre 2009 @ 11:49

@ Tapirulant:
Alla fine sono solo teorie. E il sense of wonder può stare ovunque.
Ma mi sembra (dopo aver letto philosophy of Horror) che un horror non abbia bisogno del concetto chiave ‘impurity’ che dal mio punto di vista è all’estremo opposto rispetto al sublime.
Essere di fronte a una balena volante o essere di fronte al mostro che terrorizza la Erebor (nel richiamo della Erebor, ma prendi pure altri mostri horror) a me da due emozioni diverse.

Tutte e due sorprendono.
Tutte e due sono escono dalla mia normale conoscenza del mondo e mi incuriosiscono.

Ma una è sublime mi attrae, vorrei vederla da vicino, l’altra è impura è qualcosa da cui mi vorrei allontanare data l’impurità.

E’ la stessa differenza che c’è tra il piscio di cane (impuro) e un lago cristallino (sublime).

Se intendevi con meraviglia che etrambi soprendono e incurioscono sono d’accordo. Se invece dici che anche l’impuro attrae, possiamo discuterne (a lungo dato che alla fine sono solo speculazioni :p), ma non è più utile separare i due concetti?

#22 Comment By dr Jack On 23 dicembre 2009 @ 11:50

che un horror non abbia bisogno del concetto

C’è un non di troppo.

Un horror ha bisogno del concetto chiave ‘impurity’

#23 Comment By Tapiroulant On 23 dicembre 2009 @ 12:23

Mah, guarda, è una pura questione terminologica, quindi puoi metterla come vuoi: la sostanza è la stessa, ossia che anche nell’horror si cela il sense of wonder. Che chiami impurità o sublime i mezzi di cui si serve, il risultato (o l’aspirazione) è sempre il sense of wonder. Quando penso a impurità, mi viene subito in mente quella patina di sporco, di ruggine e di sangue secco che pervade lo schermo quando gioco a Silent Hill: ecco, quello sporco, quel “there’s something wrong”, è il sense of wonder nell’horror.

#24 Comment By Ste On 23 dicembre 2009 @ 12:36

Se per sense of wonder si intende, oltre al particolare o evento nella storia che si sta leggendo che ci può lasciare a bocca aperta, anche ciò che ci scuote fin nelle viscere non per repulsione ma perchè ci troviamo in una situazione in cui, improvvisamente, ci hanno tolto il pavimento da sotto i piedi, in cui è stato, con poche e semplicissime parole, ribaltato non solo il punto di vista che avevamo in quel momento ma tutta l’immedesimazione che avevamo.
Un chiaro esempio di ciò che intendo è il racconto “La Sentinella” di F. Brown che qui riporto:

Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame freddo ed era lontano 50mila anni-luce da casa. Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità doppia di quella cui era abituato, faceva d’ogni movimento un’agonia di fatica. Ma dopo decine di migliaia d’anni, quest’angolo di guerra non era cambiato. Era comodo per quelli dell’aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arriva al dunque, tocca ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo. Come questo fottuto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce lo avevano mandato. E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico. Il nemico, l’unica altra razza intelligente della galassia… crudeli schifosi, ripugnanti mostri. Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata subito guerra; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica. E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie.

Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame, freddo e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano di infiltrarsi e ogni avamposto era vitale. Stava all’erta, il fucile pronto.

Lontano 50mila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle.

E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più.

Il verso, la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti, col passare del tempo, s’erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante e senza squame…

#25 Comment By Vincent On 23 dicembre 2009 @ 12:39

Per Angra:

” Sosio lo ha detto bello chiaro proprio su questo blog: devo dare al lettore quello che si aspetta di trovare. Va da sé che questo è l’esatto contrario del Sense of Wonder”

Questa me la spieghi?
Cioè lo scrittore sa che il lettore non si aspetta sense of wonder?

#26 Comment By Angra On 23 dicembre 2009 @ 13:42

@Vincent:

Minchia…

(sospiro)

Se trovo esattamente quello che mi aspetto di trovare (un Mago, un Guerriero, un Elfo e un Nano che vanno a spezzare le reni al Signore del Male), sarà difficile che la storia mi possa sorprendere, meravigliare. Cos’è che non hai capito, cos’è che ti devo spiegare?

Come ho detto nell’altro post su Marstenheim, forse ti sei innamorato di me e il fatto di non essere corrisposto ti fa sragionare, non so. Non so se te ne rendi conto, ma sembra proprio che tu abbia una fissazione per me. Tu continua pure a postare quello che vuoi, io d’ora in poi eviterò accuratamente di leggerlo.

#27 Comment By Uriele On 23 dicembre 2009 @ 15:03

Questo, insieme ai manuali, è uno degli articoli più interessanti e piacevoli che abbia letto su internet. Complimenti

#28 Comment By Lachesi71 On 23 dicembre 2009 @ 15:08

Prendendo il caso del racconto di Clarke e senza fare calcoli astrusi di meccanica celeste, si potrebbe pensare che la distruzione di Giove da parte di un oggetto di “grande” massa (sul sito della NASA le foto di una cometa che si schianta su Giove), farebbe sentire effetti devastanti (deviazione degli asteroidi Greci e Troiani, effetto gravitazionale della massa distruttiva… ) sul resto del sistema solare ben prima dell’apparizione nel cielo terrestre della stella bianca. Mi rendo conto che alla fine del 1800 poche persone potessero fare tali supposizioni ma la mancanza di rigore scientifico su cui la Fantascienza si basa, non rischierebbe di uccidere il Sense of Wonder?
Magari sono pignolo io…

#29 Comment By Lachesi71 On 23 dicembre 2009 @ 16:04

Scusatemi… mi riferivo al racconto di Wells…

#30 Comment By Gamberetta On 23 dicembre 2009 @ 16:21

@Davide. “La variante dell’Unicorno” è di Zelazny. E ok, non finisce l’Universo, però non è solo una partita a scacchi: alla fine le varie razze magiche si mettono d’accordo per aiutarsi a vicenda invece di accettare il meccanismo naturale della sostituzione per estinzione: è un bel conceptual breakthrough.

@Vincent Law. L’idea della seconda scuola è più o meno questa:
– Da bambino provi sense of wonder non perché sia intrinseco all’opera, ma perché sei ingenuo.
– Quando divieni adulto e leggi qualcosa di simile a quello che ti suscitava sense of wonder da bambino, il cervello recupera il ricordo. In altre parole da adulto non provi sense of wonder, ma il ricordo del sense of wonder.

Poi, ripeto, per me hanno torto marcio.

@AryaSnow. Cuore d’Acciaio ha molti momenti di sense of wonder. Manca purtroppo nel finale. Manca il conceptual breakthrough che lascia sgomenti.

@dr Jack. Vero che anche nell’ambito del fantastico c’è una fetta di pubblico che non cerca il sense of wonder. Però io ho l’impressione che questi lettori non lo cerchino perché non l’hanno mai sperimentato. Purtroppo c’è talmente tanta spazzatura nel fantastico che una persona può farsi una “carriera” di lettore e non incontrare mai il sense of wonder.

@Lachesi71. Giove non viene distrutto. Nel riassunto ho semplificato: la stella prima colpisce Nettuno, poi “sfiora” Giove tanto da modificarne l’orbita.

#31 Comment By Lachesi71 On 23 dicembre 2009 @ 16:48

@Gamberetta:
Grazie.
Mi riprometto di leggere il racconto. Cosa ne pensi comunque del fatto che un’inesattezza possa compromettere il Sense of Wonder?

#32 Comment By Gamberetta On 23 dicembre 2009 @ 16:56

@Lachesi71. Non credo sia un discorso specifico al sense of wonder, è il solito discorso generale: se ci sono inesattezze non può esserci verosimiglianza; se non c’è verosimiglianza il lettore ha troppo ben presente che si tratta solo di una storia e perciò non può essere coinvolto più di tanto.

Non penso si possa stabilire a priori quanto debba essere grave un’inesattezza per affossare il sense of wonder. Dunque meglio non metterci alcuna inesattezza!

#33 Comment By GSeck On 23 dicembre 2009 @ 16:57

Bell’articolo, sissì.

Che dire, evviva il sense of wonder. Credo che la sfida più grande sia inserirlo negli urban fantasy senza stravolgere troppo la realtà in cui viviamo e in cui è ambientato.

Credo che ci sia riuscito pienamente Westerfeld in MIdnighters, che consiglio a tutti (ma non recensirlo, gamberetta, che se lo distruggi ci rimango male).

Maudh: grazie per l’apprezzamento sul mio primo compitino, quello sulle descrizioni. L’ho letto solo poco fa, io ai complimenti ci tengo!

Avete letto la Repubblica di oggi? Pare che Cory Doctorow abbia provato qualcosa di dimile al sense of wonder ascoltando Plisincolinescionanciuso (o come si scrive).

#34 Comment By Gamberetta On 23 dicembre 2009 @ 17:07

@GSeck. Non leggo i giornali, comunque Doctorow era rimasto impressionato da Adriano Celentano qualche giorno fa, vedi articolo su Boing Boing.

#35 Comment By Vincent On 23 dicembre 2009 @ 18:32

Per Angra:
“Sosio lo ha detto bello chiaro proprio su questo blog: devo dare al lettore quello che si aspetta di trovare. Va da sé che questo è l’esatto contrario del Sense of Wonder”

e io secondo te devo capire da questo stralcio che sosio (chi è sosio???) si riferiva al fatto che i suoi lettori vogliono solo un Mago, un Guerriero, un Elfo e un Nano che vanno a spezzare le reni al Signore del Male e per questo non può creare il sense of wonder?

Tu e Sosio siete due geni.

Sì, mi sono innamorato di te.
Del tuo modo di scrivere.
Insegnamelo e amami.

Tuo Vincent

#36 Comment By Davide On 23 dicembre 2009 @ 22:50

Oddio, sì, Zelazny. Ho fatto un miscuglio perché volevo citare anche “Il cane disse bau” di Swanwick.XD

Comunque ok, sono d’accordo con te sul concetto di conceptual breakthrough. Fondamentalmente, è la “spaccatura” a cui mi riferivo io. Grazie per il chiarimento.^^

#37 Comment By Vincent Law On 24 dicembre 2009 @ 00:13

Ah beh, se sostengono che da adulti si provi solo il ricordo di sense of wonder, tipo nostalgia senile alla “eh, ai miei tempi [...]“, non sono d’accordo.
Boh, a me piace pensare che anche da vecchietto saprò stupirmi. Forse con il tempo si diventa più schizzinosi e pignoli, meno ingenui, ma se un libro è scritto davvero bene non vedo perché un adulto non possa emozionarsi. E comunque ci vuole taaaanto tempo per diventare bambini, lol

Mi pare di capire che per “sense of wonder” la maggior parte di noi intende più o meno l’ “imagination” di wordsworth.
Wikipedia.it la associa alla “sospensione della realtà”, ma ne parla più che altro in termini fantascientifici (cita anche l’età dell’oro). Poi fa l’esempio di Superman che ferma un treno, uhm.
Wikipedia.en parla di “paradigm shift” (di John Clute e Peter Nicholls, già citati sopra, lo eguaglia al “conceptual breakthrough”), e poi fa l’esempio di star wars episodio IV (“Quella non è la luna, è una stazione spaziale.”), uhm.
Gamberetta ci ha fatto capire con il suo articolo che posizione ha, ma voi cosa pensate a proposito del “sense of wonder”? Cos’è, in ultima analisi?
A me viene in mente che è quella cosa che, mentre leggi, ti fa esclamare: “Ma cazzo!” :D

#38 Comment By ??? On 24 dicembre 2009 @ 05:02

@Gamberetta\Tutti

Da quanto venuto fuori dalla discussione, mi pare si possa fare una distinzione tra “2 tipi” di Sense of Wonder:

1 Sense of Wonder “totale”
2 Sense of Wonder “parziale/specifico”

Il 1^ e la sensazione che si prova alla fine del libro \ racconto come nell’esempio di Asimov.

E cio che rende il libro un grande libro.

il 2^ e la sensazione che il lettore prova anche solo per una “trovata” dello scrittore come la Balena Volante

E cio che rende il libro un libro interessante che vale la pena leggere.

Dei due, trovo che il 1^ sia piu difficile da realizzare. Ci vuole un’idea adatta.

Il 2^ invece e il requisito minimo di ogni romanzo fantastico.
E semplicemente l’elemento fantastico: la gallina gigante in mezzo al deserto che parla, caga oro e legge nel futuro; il golem meccanico\vivente alimentato da uno spirito elementale; etc etc.

Una storia puo essere originale o 100% cliche. Non conta poi molto.

E l’assenza di questo 2^ tipo di Sense of Wonder che la rende pallosa.

Non trovate?

Poi, logico: se e originale e ha entrambi i tipi di Sense of Wonder, tanto meglio.

Ciaoz

P.s. Scusate l’ortografia. La tastiera e Inglese.

#39 Comment By francy On 24 dicembre 2009 @ 09:49

Prima d tutto… Buon Natale! ^_^

Ed ora passiamo al sense of wonder. Mi è piaciuto molto quest’articolo e anche la tua definizione di SOW, rende bene l’idea che si prova. XD
Io purtroppo non ho ben capito a quale “scuola di pensiero” appartengo, per adesso penso di essere moderara: penso che il sense of wonder sia importante tanto quanto trama e personaggi, specie in un romanzo e non in un racconto breve. Questo è, ovviamente, un parere del tutto personale, infatti tendo ad apprezzare maggiormente romanzi fantasy con una trama particolare e personaggi ben caratterizzati e bizzari e poco SOW, piuttosto che libri zeppi di SOW ma con personaggi abbozzati o una trama “così così”.
Poi l’ideale sarebbe unire le due cose, mi viene in mente Nessundove: anche se la trama non mi ha entusiasmata particolarmente, i personaggi erano davvero interessanti e il sense of wonder non mancava di certo. Anzi, in un certo senso era creato dagli stessi personaggi e dalle loro stranezze.
Ecco, ora mi sorge una domanda: è possibile creare sense of wonder, oltre che dai concetti chiave da te elencati, anche dalle particolarità della trama o dei personaggi? Io penso di sì, ma mi piacerebbe avere l’opinione di un esperta. ^_^

#40 Comment By Luca Zaffini On 24 dicembre 2009 @ 10:27

@ Dago Red:

il romanzo inedito di Luca Zaffini è per caso disponibile in rete?

Ciao, no il romanzo non è disponibile. Ci sto lavorando (in realtà lo sto lasciando “riposare”, scrivendo altro nel frattempo, per poterlo revisionare con occhi freschi). La stesura letta da Gamberetta è stata proposta a una quindicina di case editrici, ma non ho avuto riscontri. Forse ci riproverò con una nuova stesura, più avanti.
Un saluto e auguri di buone feste a tutti.

#41 Comment By Sarastro On 24 dicembre 2009 @ 10:51

Che bell’articolo.
E’ interessante, ricco, esauriente e divertente come quasi tutti quelli di questo blog, ma questo mi è piaciuto particolarmente, per via della tematica trattata.

Grazie per il bel lavoro che fai.

Vi lascio con una frase tratta dallo Zibaldone di Leopardi (già chiamato in causa da Vincent Law al proposito) in tema:

“L’immaginazione come ho detto è il primo fonte della felicità umana. Quanto più questa regnerà nell’uomo, tanto più l’uomo sarà felice. ”

Auguri di buone feste a tutti i gamberi!

#42 Comment By Gamberetta On 24 dicembre 2009 @ 10:52

@francy. Secondo me anche quando il sense of wonder riguarda un personaggio è perché il personaggio incarna un’idea, ed è da questa che nasce il sense of wonder, non dal personaggio stesso. D’altra parte si parla di conceptual breakthrough.
Prendiamo uno dei casi più famosi di sense of wonder nella storia della letteratura fantastica: quando Edward conduce Bella nella radura e le svela il suo terribile segreto (i vampiri alla luce del sole brillano invece di schiattare):
surprise – ovviamente: nessun lettore si immaginerebbe mai quello che segue.
sublime – uno gnokko ke sbrilluccika!!!1!!
conceptual breakthrough – i vampiri al Sole si comportano in maniera diversa da come si è sempre creduto.
Io penso che qui il sense of wonder funzionerebbe con qualunque gnokko, non è legato in particolare a Edward.
Poi sono ironica fino a un certo punto: può darsi davvero che un’idiozia del genere funzioni con lettrici particolarmente ingenue (come danno l’impressione di essere molte fan di Twilight).

@Luca Zaffini.

La stesura letta da Gamberetta è stata proposta a una quindicina di case editrici, ma non ho avuto riscontri.

Mi spiace. C’è poco da fare: agli editori non frega assolutamente niente della qualità.

#43 Comment By francy On 24 dicembre 2009 @ 12:57

@ Gamberetta: grazie della risposta =D

Anche se, devo dire, del sense of wonder in Twilight avrei volentieri fatto a meno (xP) Per sorprendere sorprende, ma più che altro schifa chi è affezzionato alla “vecchia guardia” vampiresca. =_=

#44 Comment By AryaSnow On 24 dicembre 2009 @ 13:11

@AryaSnow. Cuore d’Acciaio ha molti momenti di sense of wonder. Manca purtroppo nel finale. Manca il conceptual breakthrough che lascia sgomenti.

Mi hanno divertita e colpita parecchio le bizzarrie di Swanwick, una fantasia davvero ammirevole!
Però, anche in quel libro, i passaggi che mi hanno emozionata di più in assoluto sono relativi ai sentimenti della protagonista e all’atmosfera “cattiva” in generale.

#45 Comment By doktorgeiger On 24 dicembre 2009 @ 13:33

ho trovato questa traduzione in italiano di “The Star” dall’edizione Bollati Boringhieri:http://phy6.org/stargaze/Ithestar.htm

ciao e buone feste! (e grazie dell’ottimo post!)

#46 Comment By Gamberetta On 24 dicembre 2009 @ 13:45

@doktorgeiger. Grazie della segnalazione, adesso la inserisco nell’articolo.

#47 Comment By Blue On 24 dicembre 2009 @ 15:10

Fatico a separare surprise da conceptual breakthrough. Riesco a immaginare la sorpresa senza il conceptual breakthrough, ma il contrario, proprio no. È un mio limite?

#48 Comment By Angra On 24 dicembre 2009 @ 15:25

@Blue: io il rapporto fra le due cose lo vedo in questi termini: il conceptual breakthrough dovrebbe arrivare inaspettato per generare SoW. Se alla fine della storia si scopre che l’universo è un sogno del coniglietto abbiamo il SoW, ma se qualcuno l’aveva già ipotizzato all’inizio della storia allora è molto più difficile.

#49 Comment By Ian Delacroix On 25 dicembre 2009 @ 10:09

@Jack
Ti sbagli, il sublime è concetto fondamentale dell’horror. E’ la base.
Senza sublime non hai horror.
Il sublime repelle e attrae al contempo.
Leggersi ‘Del sublime’ di Schiller per approfondire il concetto di sublime (gamberetta, sempre molto precisa, nella nota riguardante il sublime non è stata precisa sulla sua definizione), e comprendere la differenza tra sublime teorico e sublime pratico

#50 Comment By dr Jack On 25 dicembre 2009 @ 11:01

@Ian Delacroix:
Ciao Ian e grazie di avermi indicato il libro, proverò a dargli un’occhiata.
Il concetto di sublime è difficile da definire essendo un’emozione che ognuno può identificare più o meno come vuole.
Se poi aggiungiamo che alcuni sono attratti dal senso dell’orrido mentre altri invece provano repellenza allo stesso la questione si fa ancora più complicata.
Io ho provato a esprimere la mia opinione con la metafora nel commento prima.
Ora come ora trovo più utile separare i concetti impuro e sublime, magari se leggo il libro che mi ha consigliato cambio idea. Chi lo sa.
Buon natale a tutti in ogni caso :).

#51 Comment By Tapiroulant On 25 dicembre 2009 @ 11:23

@Ian Delacroix: Prendere il concetto di “sublime” come qualcosa di dato una volta per tutte mi pare ingenuo… Tutti i pensatori che si sono occupati di estetica hanno dato la loro definizione, e molto spesso non queste definizioni non collimano tra di loro. Perché non citare Kant allora? O Adorno? O Kundera? Gamberetta ha fatto una scelta molto saggia a mio avviso: skippare la questione in blocco, perché una simile digressione non era sostenibile.
Ad ogni modo, anche a voler distinguere i due concetti come fa Dr. Jack, e ponendo l’impuro come una sorta di equivalente negativo del sublime, la sostanza rimane identica (la questione è solo terminologica, quindi di scarsa importanza): il sense of wonder dell’horror è lo stesso del fantasy, anche se di segno opposto (negativo e sgradevole, anziché meraviglioso ed esaltante).

#52 Comment By Dago Red On 25 dicembre 2009 @ 22:31

@Gamberetta: Sono OT, ma scrivo qui perchè non ho ben presente dove altro potrei farlo (mi pare che tu non frequenti molto “la fogna”).

Hai mai pensato di scrivere un bell’articolo sulla magia nel mondo fantasy, e sui diversi modo in cui i vari autori hanno costruito e interpetrato i propri sistemi magici?
Credo che l’argomento sia interessante, e un esperto (o esperta) avrebbe molto da dire.
Si va dalla magia scientifica di Full Metal Alchemist (lo so, è un manga, ma ci sta), a quella “forza ancestrale” di Tolken. Da quella squisitamente descritta ed elaborata di Death Gate, a quella “allacazzodicane” di Harry Potter.
Passando, of course, per le solite scontate e banali “palle di fuoco” dragonbolliane dei tanti autori di fantasy italiano

E’ solo una proposta, eh ^^

#53 Comment By Jonnie On 26 dicembre 2009 @ 01:23

Non dimenticare la magia nei romanzi di Terramare di Ursula K. Le Guin. Mi pare ci sia un capitolo in cui un personaggio spiega tutte le sfumature e i poteri, tipo lezione universitaria. E c’è anche una scuola per maghi. Ma in putti del tutto diversi del romanzo, chiaramente.

#54 Comment By Dago Red On 26 dicembre 2009 @ 07:47

Non ricordo bene. La Le Guin non è quella del fantasy sadomaso? ^^

#55 Comment By Dago Red On 26 dicembre 2009 @ 07:54

Pardon, noto di essermi confuso con Jacqueline Carey ^^

#56 Comment By francy On 26 dicembre 2009 @ 11:47

Scusate se alimento l’ OT, ma la proposta di Dago Red mi sembra molto interessante *^*
Anche a me piacerebbe leggere un articolo del genere e, perché no, magari come Manuale. ^^

#57 Comment By Gamberetta On 26 dicembre 2009 @ 18:18

@Dago Red. / @francy. L’articolo sulla magia è una buona idea. Purtroppo sono molte più le buone idee che il tempo a disposizione. Ci penserò, ma non garantisco niente.

#58 Comment By Cymon On 27 dicembre 2009 @ 13:48

C?è qualcosa che non mi convince riguardo il meccanismo descritto per suscitare il sense of wonder. Lo si lega sempre a un cambiamento, drastico o no, nella situazione presente.
Secondo me non è così, anzi, molto spesso sono proprio situazioni molto stabili quelle che lo provocano. Il cambiamento, se mai, è nella testa del lettore che viene dalla situazione del mondo reale e si ritrova catapultato in un mondo diverso, che lo stupisce.
Prendiamo Dune, Dune è un romanzo che tracima sense of wonder, nonostante le sue idee più forti siano, per gran parte dell’opera, immutabili. S rimane colpiti dal mondo desertico dove ogni due per tre potresti essere ingoiato da un verme e da queste strutture millenarie (millenarie, appunto) che procedono sempre secondo i loro interessi. Il lettore paragona questo universo che Herbert costruisce per tutta la lunghezza del libro alla sua vita reale e dice wow. Non solo, questo wow riesce a fargli superare in molti punti la prosa oggettivamente faticosa dello scrittore.
Dal mio punto di vista il sense of wonder è qualcosa di “pervasivo”, appare nella prima pagina del romanzo e, nei casi felici, regge fino all’ultima. Non ha bisogno di un momento di sorpresa interno alla narrazione, è stupore puro.
Se vai sulla cima di un monte e contempli le valle intorno ti stupisci, dici wow, non c’è bisogno che poi le valli, per dire, prendano fuoco. Anche questo, secondo me, è sense of wonder…

#59 Comment By Gamberetta On 27 dicembre 2009 @ 13:59

@Cymon. Ti stupisci quando guardi la valle non per la valle in sé, ti stupisci per il subitaneo cambiamento. Prima c’era solo la roccia, le pareti anguste della montagna, poi, d’improvviso, l’orizzonte si apre. Il mondo non è una parete di roccia, il mondo è vastissimo! È questo che fa scattare il sense of wonder, non la valle in sé; è l’aprirsi dell’orizzonte, è il cambiamento di prospettiva che compie la magia. Funzionerebbe anche se invece della valle ci metti un oceano, una città, qualunque altra cosa.
Poi non è vero che esclami “UAU!” dalla prima all’ultima pagina in Dune (o in qualunque altro romanzo). Anche perché, fosse vero, sarebbe un romanzo illeggibile, visto che saresti in uno stato di continua estasi.

#60 Comment By Federico Russo “Taotor” On 27 dicembre 2009 @ 14:21

Proprio quest’estate ho letto le raccolte di racconti di Asimov.
Oserei citare un altro suo racconto breve che a mio avviso è semplicemente bellissimo, sebbene sia semplice ma scritto leggermente meglio rispetto a tutti gli altri (Asimov è bravo, sì, ma ben lungi dall’essere un buon narratore…). È Robot Dreams, e secondo me è un esempio di come dovrebbe evolversi un racconto breve.

Asimov aveva ottime idee, ma un pessimo stile. Abissi d’acciaio per esempio è confusionale, e ci sono svariate insufficienze narrative e descrittive. La qualità si riscontra solo in alcuni racconti brevi; usa (addirittura!) i pov ed evita infodump. Tutto sommato sapeva sfruttare i colpi di scena che, insieme agli ottimi spunti, riuscivano a farti sorvolare gli orrori narrativi.

P.S. Buon Natale! ^_^

#61 Comment By dr Jack On 27 dicembre 2009 @ 14:36

Lo si lega sempre a un cambiamento, drastico o no, nella situazione presente.

Sarebbe più preciso dire che lo si lega sempre a qualcosa di fuori dagli schemi.
Ma questa è solo un precisazione. Effettivamente si cambia qualcosa rispetto alla realtà (anche se nella storia la cosa può rimanere la stessa).

Dal mio punto di vista il sense of wonder è qualcosa di “pervasivo”, appare nella prima pagina del romanzo e, nei casi felici, regge fino all’ultima.

Non saprei. Essendo fuori dagli schemi ordinari il sense of wonder è legato a cose inverosimili e/o impossibili. E questa è una forte minaccia per la congruenza della storia. (come il bolognium :p)
Inserire un elemento che evoca sense of wonder è fattibile, magari anche due o tre. Ma dopo un po’ diventano troppi e il lettore potrebbe iniziare a chiedersi:
Ma che stai dicendo? Non posso credere a tutte queste cose!

Lo stesso elemento non può continuare a evocare sense of wonder all’infinito. La prima volta che vedi la balena volante i tuoi schemi mentali vengono violati. Ma la seconda volta che la vedi ormai hai già uno schema per definirla.
Mi sembra impossibile offrire sense of wonder per tutto il romanzo. Anche se mi piacerebbe vivere uno stato di continua estasi :).

#62 Comment By Cymon On 27 dicembre 2009 @ 23:38

Sono convinto anch’io che non si possa vivere in una costante sensazione di stupore. Ma proprio per questo la mia idea di sense of wonder è differente. Il sense of wonder, per me, è quella sensazione di trovarti di fronte a qualcosa di diverso, di strano, di alieno ed essere stimolato a conoscerlo proprio per il fatto che è qualcosa di spiazzante. E non stiamo parlando di qualcosa di piccolo, anzi, negli anni migliori riguardo il sense of wonder, i ’50, si campava proponendo interi pianeti nuovi e il fatto di esplorarli, conoscerli, rappresentava spesso l’attrattiva principale di un racconto/romanzo.
Tornando a Dune: ok, come lettore vengo catapultato in questo pianeta desertico pieno di vermi che divorano trebbiatrici. E’ naturale, che, sul momento, dico UAU. Il sense of wonder, però, interviene dopo, quando l’autore mi porta in giro per questo mondo e io sono incuriosito da questo ecosistema che funziona diversamente da come funziona il mio, da come le cose interagiscano fra loro con tutta questa sabbia intorno, da cosa si trovi dietro quella duna o dentro quella caverna. E’ l’istinto dell’esploratore, che non deve nascere necessariamente da uno shock, ma dalla semplice esistenza del diverso da me, un diverso che, ovviamente, deve apparirmi sublime, meraviglioso, deve, appunto, meravigliarmi.
Altrimenti sembra che si riduca la bellezza di un paesaggio al fatto che ti compare davanti all’improvviso.

In questa chiave il declino del sense of wonder negli anni più vicini a noi è più logico. Negli anni 50 il bagaglio di paesaggi e immagini che una persona possedeva era limitato perché limitati erano i mezzi per ottenerne. Anche una semplice giungla era ricca di sense of wonder, visto che nessuno ne aveva vista una, nemmeno in foto.
Oggi scenari reali come scenari non reali ci vengono spiatellati davanti in tutte le direzioni. Trovare qualcosa di immaginifico che superi, in meraviglia, quello che possiamo ottenere da una copia del national geographic o andando nel cinema all’angolo è realmente faticoso. E’ naturale che per intrigare il lettore si siano dovute scegliere altre vie.

#63 Comment By francesca On 28 dicembre 2009 @ 01:51

@ Cymon
Nell’albero genealogico del sense of wonder c’è sicuramente la meraviglia come la intendi tu, legata alla contemplazione dell’inspiegabile, dello strano, stile wunderkammer cinquecentesche. Ma il sense of wonder, secondo me, ha come parente più recente lo choc (esperienza estetica per antonomasia dell’uomo moderno), alla cui base c’è proprio un improvviso straniamento/spostamento del soggetto, insomma una discontinuità.

#64 Comment By Rotolina On 29 dicembre 2009 @ 10:00

Non posso che essere d’accordo! Io leggo proprio per il “senso del meraviglioso”, che tanto spesso manca.
Che poi, io lo interpreto più che altro come un “stupiscimi!”. Di mio ho una fervidissima immaginazione, faccio dei sogni che dovrei scrivere, e quindi quando prendo un libro voglio qualcosa di stupefacente, qualcosa che non mi aspetto.
Attualmente, così a memoria, sono pochissimi i libri fantasy che mi hanno dato questa sensazione. Si, forse il ciclo di Terramare citato da Jonnie .
Altrimenti gli altri son tutti di fantascienza.
Sempre a memoria, c’è Ubik di Philip Dick, sicuramente il Ciclo del Fium di Philip josé Farmer e anche La Prova del Fuoco di John Brunner.
Magari non sono perfetti dal punto di vista stilistico, non saprei. Ma sicuramente li trovo “supefacenti”.
Alla fine, quello che vorrei, e immagino lo vogliano molti dei lettori di questo blog, è semplicemente avere un libro in cui non prevedo ad ogni pagina quello che succederà.

#65 Comment By Paolo AKA demiurgo On 8 gennaio 2010 @ 14:18

E’ la prima volta che commento su questo blog, che seguo da poco ma con molto interesse. Tornado OnTopic, la mia opinione è che il fatto che oggi il senso del meraviglioso, in effetti, un elemento meno preponderante nelle opere fantastiche mi sembra normale. Ci sono due scuole di pensiero, come si dice nell’articolo. Chi pensa che il meraviglio sia una cosa che fa presa sui ragazzini si sbagli, diciamolo, ma non del tutto. E’ comunque ovvio che: sei sei un ragazzino degli anni 60 ti basteranno cose molto semplici per essere meravigliato rispetto a un 60enne del 2000. Oltre che un fatto di età c’è anche il fattore “entertainment”: tra cinema e un proliferare di letteratura tante cose per il lettore di oggi sono già viste, già lette, è quindi molto più difficile impressionarlo.
In alcune opere di asimov si descrivevano porti spaziali, astronavi gigantesche, macchine automatiche che sfornavano biglietti intergalattici e davano il resto (!) ma a leggerli oggi (in alcuni di questi passaggi, almeno) fanno abbastanza sorridere. L’effetto ai tempi in cui il romanzo fu pubblicato era ben diverso.
Questo mi porta a pensare che l’effetto “wonder” non regga facilmente la prova del tempo.
Oggi quando leggiamo Dick, per esempio, non pensioamo cose del tipo “Wow, ci sono degli androidi indistinguibili dagli umani, ma più forti, e ci sono le macchine che volano invece che andare per strada!”. Sono invece altri gli aspetti che ci rimangono impressi di un romanzo, nel caso di “Do andoids dream of electric sheep?” tra le altre cose, il tema dell’empatia umana, la riflessione sull’identità. Sono temi più profondi che attraverso immagini a volte veicolate da immagini che puntano in parte sul “sense of wonder” rimangono più impresse, risultano più vivide nella pagina.

Quindi la personale conclusione di questa piccola riflessione è che il senso del meraviglioso sia un elemento importante, nella misura in cui riesce a trasmettere ulteriori significati tramite le immagini che lo scatenano. Privo di questo aspetto duplice, può risultare un orpello poco efficace (specie se vediamo la storia in prospettiva). Infatti è comunque la qualità tematica della storia quella che regge nel tempo (e oggi è evidente), e come molti altri elementi della scrittura il sense of wonder andrebbe visto più che come un ingrediente principale, come un rafforzativo (uno dei possibili) funzionale a caratteristiche più centrali.

Ciao e ancora complimenti per il blog gamberetta e a tutti i pescatori.

#66 Comment By Gargaros On 11 gennaio 2010 @ 11:10

Forse il SoW è solo soggettivo. Oppure, il suo picco massimo era legato a unparticolare periodo culturale e sociale, ossia gli anni 40/50/60, quando la scienza “seria” cominciava a manifestare le sue potenzialità e bastava una minima descrizione in un raccondo di SF per aprire la mente a visioni di vasta meraviglia. Se così fossse, il SoW di oggi sarebbe solo un pallido fantasma. Cosa ci meraviglia più? E ci sono ancora scrittori in grado di produrre sogni?

#67 Comment By Hypnos On 13 gennaio 2010 @ 00:34

Io ho trovato del SoW qui personalmente:

http://www.viruscomix.com/page505.html

La trovo una gran bella storia e mi piacerebbe che qualcuno ne cavasse fuori un libro o un film.

Avvertenza: non leggere se detestate i wall-of-text e non volete cavarvi gli occhi.

#68 Comment By Gamberetta On 13 gennaio 2010 @ 18:30

Per chi fosse interessato, qui si può leggere il racconto “The Wheel of Samsara” dello scrittore cinese Han Song. È un racconto interessante perché sembra una combinazione tra il racconto di Asimov e quello di Clarke.

#69 Comment By Zweilawyer On 13 gennaio 2010 @ 19:04

Vorrei linkare un libro di Konrath, scaricabile gratuitamente dal suo sito. Secondo me molto superiore a decine di titoli a pagamento.

http://www.anobii.com/books/Origin/01adcc5703270e95ca/

#70 Comment By Melmoth On 13 gennaio 2010 @ 19:04

@ Gamberetta:

Egregia Gamberetta

c’è nel tuo sito una sezione dove consigliare romanzi fantastique? (a te e ai lettori)
Se c’è, per favore indicamelo. Altrimenti avevo una mini-lista di cui mi piacerebbe avere un riscontro critico. Sono,

Hope Mirrlees, Lud-in-the-Midst, Gollancz
David Lindsay, Voyage to Artcurus, Gollancz

Non sono romanzi recenti (sebbene siano stati ristampati da poco) né sono reperibili in Italiano, ma sono quanto di meglio io abbia letto nel territorio del fantastico negli ultimi dieci anni. Su tutti e due c’è una buona sezione esplicativa su wikipedia.

Li cito qui perché non solo producono il ‘sense of wonder’ di cui parli sopra ma addirittura ne fanno il tema dell’opera (soprattutto il primo). Buona serata e buona lettura.

Melmoth

#71 Comment By Giobix On 15 ottobre 2010 @ 10:36

Ciao, segnalo una piccola curiosità: la Tintern Abbey fa da sfondo al video Can I Play Whit Madness degli Iron Maiden, e la canzone gioca molto sul concetto di sense of wonder
http://www.youtube.com/watch?v=ocFxQjPeyiY&ob=av3e

#72 Comment By federico/cispo On 6 aprile 2011 @ 17:53

@ Gamberetta:

non so so odiarti o stimarti!
Ogni volta che leggo qualche tua recensione mi deprimi da morire!

Eppure condivido molto quello che dici.
Speriamo che da questo senso di depressione nasca un quasi senso di wonder!

grazie

#73 Comment By Giacomo On 3 ottobre 2011 @ 22:03

Finisco di leggere il finale (non ho resistito) dell’Ultima Domanda e un “MIO DIO!” esce dalla mia bocca senza che il mio cervello abbia possibilità di controllarmi.
è… è… UAU!

Diamine, non c’è un modo per descriverlo, è… è CAOS, è MERAVIGLIA. No, è qualcosa di più, è… è…

Ho le lacrime agli occhi cazzo! Il primo pensiero che mi è venuto in mente (e che la mia bocca ha esclamato prima che il cervello avesse voce in capitolo) è stato: voglio scrivere anch’io una storia così! Voglio anch’io far riecheggiare una storia di Sense of Wonder! Voglio… voglio…

Ma cosa sto qui a commentare? Non ho tempo, ho da scrivere una storia con del Sense of Wonder!

#74 Pingback By I Consigli del Lunedì #12: Last and First Men | Tapirullanza On 30 gennaio 2012 @ 15:04

[...] Chi devo ringraziare? Avevo già sentito vagamente parlare di Stapledon, se non altro come uno dei padri ispiratori di Arthur C. Clarke; ma a convincermi a leggerlo è stata la menzione che di Last and First Men fa Gamberetta nel suo bellissimo articolo sul sense of wonder. [...]

#75 Pingback By Gli Autopubblicati #04: La nave dei folli | Tapirullanza On 11 febbraio 2012 @ 19:07

[...] una fonte di sense of wonder, prendendo spunto dall’articolo di Gamberetta “Il senso del meraviglioso“: – Surprise, ovvero la capacità di sorprendere il lettore. – Sublime, ovvero la capacità [...]

#76 Pingback By I Consigli del Lunedì #16: Childhood’s End | Tapirullanza On 12 marzo 2012 @ 15:38

[...] Tanto per cambiare, ho saputo dell’esistenza di questo libro grazie all’articolo su Il senso del meraviglioso di Gamberi Fantasy, benché ovviamente conoscessi già Clarke di fama. Gamberetta l’ha [...]

#77 Pingback By E gli Dei di Pegana crearono il fantasy – Finzioni On 20 marzo 2012 @ 09:50

[...] esplicitamente ad alcuna mitologia esistente e, anzi, pare interessato a suscitare un particolare Sense of Wonder, attraverso la fusione di sogno e mito; con immagini spesso volutamente grottesche e perturbanti [...]

#78 Comment By Michele On 23 giugno 2012 @ 17:43

Secondo me questo articolo e’ impostato molto male. Capisco che Gamberetta abbia voluto iniziare contestualizzando ma la diatriba il-SOW-esiste/non esiste cosi’ come viene citata va subito identificata come inutile e fuorviante. Invece viene tirata fuori ogni tre per due sia nell’articolo che nei commenti finendo per inficiare anche la validita’ di strumenti utili come surprise e conceptual breakthrough. E’ ovvio che se si vuole analizzare il SOW bisogna assumere che esista e pertanto la seconda scuola sara’ inaccettabile. Cosi’ Gamberetta e’ costretta ad assumere

che il sense of wonder sia reale, anche se non ci metto la mano sul fuoco

. Ma come? d’autorita’? per spirito di speculazione?

Questo stesso blog mi ha insegnato (ovviamente non da solo) a diffidare di simili presupposti. Ma e’ tanto piu’ fastidioso perche’:
a) la diatriba fra le due scuole non ha basi per sussistere (almeno per come descritta nell’articolo).
b) nell’articolo ci sono concetti importanti, meritevoli di essere esplorati senza avere intorno il fantasma della discussione se il SOW sia intrinseco dell’opera o della persona.

Ora provo a spiegare concretamente perche’ la diatriba non puo’ sussistere. Per fortuna Gamberetta parla del racconto di Asimov, che e’ la storia che in assoluto ha suscitato in me maggior SOW. Sicuramente c’e’ stata la sorpresa. Sospendo il giudizio sul sublime a cui sostituirei un altro concetto che descrivero’ in fondo se il commento non e’ gia’ troppo lungo. Ma piu’ importante e’ il conceptual breakthrough nell’ottima definizione de “il mondo non sara’ piu’ come prima”. Dopo aver letto il racconto di Asimov una piccola parte del mondo non e’ stata piu’ come prima ma mica nella mia testolina, nella mia vita reale (anche se non proprio quotidiana). A cambiare sono state quelle discussioni “dal vivo” in cui ci si interroga sull’esistenza di Dio. A me queste discussioni capitano piuttosto spesso perche’ mi danno piacere.

Le ho affrontate con scettici, agnostici, religiosi ferventi e moderati e da quando ho potuto citare il racconto di Asimov la loro qualita’ e’ cambiata. Premetto che io recito in teatro e fuori da quando avevo 6 anni e sono in grado di comunicare a voce quel senso di intimita’ che si ha quando si legge un libro, da bravo narratore orale.
Tutti i miei interlocutori (indipendentemente dalla fede), dopo aver sentito la storia, hanno dovuto fermarsi un attimo e riflettere sul conceptual breakthrough cosi’ come avevo dovuto fare io dopo aver letto l’ultima riga del racconto. E’ la prova empirica che il SOW e’ insito a quel racconto. Oppure no? In fondo i miei interlocutori atei, cattolici, musulmani, seguaci di Satana avevano tutti una cosa in comune: erano disposti a discutere.

Non e’ detto che tutti i lettori siano disposti a discutere, ce lo dimostra la qualita’ dei commenti dei funz bimbominkia di twilight, e il silenzio di quelli che non commentano. Insomma il SOW deve essere SIA nella storia SIA nella persona. Nella pratica un autore che voglia sense of wonder nella sua storia deve avere ben presente il tipo di persona che leggendolo lo provera’. E’ un’eterna dialettica fra i due, ergo opporre le due scuole di pensiero in senso esclusivo e’ sbagliato.
Riguardo il racconto specifico Gamberetta arriva a dire che il sense of wonder qui e’ prettamente scientifico. Sbagliatissimo! Se cosi’ fosse gli unici a provare SOW con questo racconto sarebbero i fisici, o perlomeno qualcuno che abbia investito (mi si passi il termine psicoanalitico) alcune emozioni nel concetto di entropia .
Pensaci bene. Il racconto finisce che: l’unica cosa esistente e’ un singolo essere senziente che da’ origine all’Universo. MMMM Non e’ forse questa la definizione piu’ generale e allo stesso tempo completa di Dio? Anche qui il SOW si riassume nel “Dio c’e’” (ed e’ un supercomputer) per la stragrande maggioranza dei lettori e, nel mio caso, degli ascoltatori. Credo che il Sense of Wonder si riassuma nel “Dio c’e’” piu’ spesso che non.
Detta un po’ meglio il Sense of Wonder si trova laddove si scopre l’esistenza di Dio (che puo’ essere la Scienza Onnipotente che ricrea l’universo, Jesu’ Cristo o il Male Assoluto) e questo Dio smette di osservare passivamente e fa qualcosa che influenza i personaggi o gli elementi del libro. Volendo speculare quel sense of wonder in minuscolo che e’ stato citato spesso nell’articolo e nei commenti si ha quando invece del Dio stesso si ha una delle tante manifestazioni di Dio. La balena volante, per dirne una, e’ una manifestazione della Scienza Onnipotente. Va da se’ che e’ una manifestazione molto limitata. Tra quello che puo’ fare una balena volante, per quanto mastodontica e originare l’universo c’e’ un bell’abisso.

Off topic: Gamberetta cita spesso la scienza neurologica quando un argomento e’ controverso. Io ho fiducia nella scienza e credo come lei nella possibilita’ che alla fine sara’ lei a concludere la questione. Questo non toglie che noi ne stiamo parlando qui e ora e non fra quando la Scienza avra’ risolto. Dobbiamo usare gli strumenti che abbiamo e se per te non ne abbiamo, allora la discussione ha poco senso.

Detto questo vi annuncio che ho in mente una storia in cui una rissa da taverna fra un nano ruttomane e il soldato perfetto e’ l’Inizio e la Fine dell’Universo.
Tremo di sense of wonder solo a pensarci. Vi terro’ aggiornati…

#79 Comment By thyangel83 On 28 agosto 2012 @ 16:27

@ Michele

Questo articolo non è il migliore del blog, ma mi pare comunque un buon articolo. il fatto è che è tecnicamente difficile trattare del “sense of wonder”, come dimostra l’antitesi tra le due posizioni pressoché opposte citate da Gamberetta, che già premettono due pregiudizi differenti.
Ma , imho, mi sembra che Gamberetta si sia ampiamente soffermata solo sulla prima delle due tesi, cioè quella che vede il SOW come insito nello scritto.
Personalmente, sono in parte d’accordo anche con la tesi opposta, ma l’articolo non verte su di essa, anche perché se tale tesi fosse unimamente riconosciuta come vera al 100%, allora non sarebbe necessario certamente un articolo sul SOW.
Ora, io non sono un esperto, però anche riguardo al fatto che Gamberetta abbia inteso nel racconto di Asimov il SOW esclusivamente su base scientifica non mi pare centrato: anche se lei stessa dichiara

In questo racconto il sense of wonder è prettamente scientifico e il cambiamento di paradigma è l’idea che si possano violare le leggi della termodinamica.

penso non le sia sfuggito il ben più grande SOW di tipo ontologico, che “strapazza” quello scientifico 10-a-0.
Secondo me, lei intendeva dire che tale SOW ontologico-religioso (mmh, non religioso al 100%, però…) è imperniato su una base scientifica, tutto qui.
Imho, ovviamente :-)

#80 Comment By gianni On 22 agosto 2015 @ 18:36

Magnifico!
L’articolo.
Comunico che ho riso per settantunomila ottocento ventisette minuti e trenta secondi all’idea del risveglio del Gran Coniglio!
Ps.: ma questo blog è stato risucchiato in una bolla spazio-temporale? E se sì, gli spazio-ombrelli ce li avete?
OK [MODE SIMPATIA=OFF] Spiace un po’ non avere più post, ma quelli che ci sono, sono comunque mille… basteranno per un po’.


URL dell'articolo: http://fantasy.gamberi.org/2009/12/22/il-senso-del-meraviglioso/

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