Andrea Vincenzi parcheggiò la sua auto lungo la strada di fronte alla casa, e controllò due volte l’indirizzo che si era segnato su un pezzo di carta. Sì, era proprio quello il posto. Era una casa qualunque, in una strada qualunque. Non c’era niente di speciale, tutto nell’ordinario. Niente lì avrebbe fatto pensare a una connessione con omicidi, aggressioni o cose del genere. Riccardo Isalti, l’uomo che avrebbe dovuto interrogare, era un agente di borsa, e uno lo penserebbe vivere in un posto un po’ più di lusso, in una casa più bella, che si affacci su una strada migliore. Ma dato che era anche un informatore della polizia, forse voleva tenere un basso profilo, evitare di spiccare troppo. Non proprio come se fosse nel programma di protezione dei testimoni, ma qualcosa di non molto differente. O forse non era poi così bravo come agente di borsa. Vincenzi avrebbe cercato di scoprirlo, in aggiunta a cercare le risposte alle domande che doveva porre, vera ragione ad averlo spinto fin lì.

Posò il pezzo di carta sul sedile, e mise i suoi occhiali da sole nel vano portaoggetti; controllò il suo riflesso nello specchietto retrovisore, passandosi le dita tra i capelli. Compiere quarant’anni non era facile. Non avrebbe saputo dire cosa si aspettasse dai quarant’anni, ma era dannatamente sicuro non fosse questo. Oh, pazienza. Era il suo lavoro, e toccava a lui svolgerlo. Avrebbe fatto meglio a sbrigarsi, porre le sue domande e preparare il suo rapporto. A quel punto avrebbe avuto tempo per fermarsi in palestra, esercitarsi un po’ e combattere gli acciacchi dell’età. Era ancora in forma, sebbene dovesse lavorare duro per mantenersi così.

Uscendo dall’auto guardò in entrambe le direzioni, poi chiuse con forza la portiera, prese il portachiavi e si assicurò di aver chiuso a chiave. Non che fosse un brutto quartiere o niente del genere, ugualmente non voleva correre nessun rischio. Lasciò passare un minivan, poi un SUV, quindi girò intorno all’auto e camminando lungo il marciapiede si diresse verso la veranda. La veranda ospitava una panchina, del tipo di quelle dove ci si può sedere a bere una limonata, ma non recava alcun segno, come se nessuno l’avesse usata per quello scopo da lungo tempo, o forse era la veranda a scoraggiare, o qualcos’altro. E comunque Isalti doveva tenere un basso profilo. Non era tipo da spendere un sacco di tempo all’aperto cercando di diventare amico dei vicini.

Vincenzi si apprestò a bussare alla porta, prima di fermarsi. C’era un volantino posato sullo zerbino. No, era un sacchetto pieno di volantini, del tipo di quelli che vengono distribuiti dai ragazzini del quartiere, dietro pagamento. C’era uno scatolone pieno di tali sacchetti vicino alla porta. Ne prese uno e lo tenne in mano mentre bussava alla porta con le nocche, forte abbastanza perché chiunque all’interno riuscisse a sentirlo, ma senza picchiare o roba del genere. Mentre si specchiava nel vetro della porta, sistemandosi i risvolti della giacca, per assicurarsi di essere presentabile, la porta si aprì.

Riccardo Isalti era l’uomo alla porta. Guardò Vincenzi chiedendosi chi fosse quel tizio alla sua porta, e che cosa ci facesse lì. Vincenzi frugò in una tasca ed estrasse un portafoglio, lo aprì, e mostrò il suo distintivo.

«Salve, il mio nome è Andrea Vincenzi,» disse con un sorriso, come non ci fosse niente di inusuale nella sua presenza quel giorno. «Sono qui per porle alcune domande. Niente di cui preoccuparsi.»

Questo era quello che Vincenzi voleva che lui pensasse, ragionò Isalti. Dicono sempre che non c’è niente di cui preoccuparsi, quando stanno cercando di incastrarti.

«Ho trovato questo per terra fuori dalla porta,» disse Andrea. «Lo vuole?»

Quel tizio cosa stava cercando di fare, far finta di essergli amico? «No, lo butti nel cestino,» specificò Isalti.

«Buttarlo dove?»

«In quello scatolone lì giusto vicino alla porta,» disse lui, indicando lo scatolone. Stava cominciando a innervosirsi.

«Non è un cestino,» disse Vincenzi.

 

Continua...