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Gli Scrittori e il troppo Amore

Pubblicato da Gamberetta il 20 settembre 2007 @ 21:24 in Insalata di Mare,Scrittura | 26 Comments

Piccola premessa: ringrazio in anticipo il Coniglietto Grumo kaos-whiteusagi01.gif per l’aiuto fornitomi nello stendere questo articolo, gli esempi che seguiranno sono farina del suo sacco.

Come accennavo nella recensione, all’acquisto de La Magica Terra di Slupp, ho ricevuto dall’autrice una mail, probabilmente spedita in maniera automatica.
Il fulcro della mail era:

Questo è il mio primo libro che vede la luce: abbi pazienza se non tutto è perfetto. Ti assicuro però che è scritto con amore.

A parte l’assurdità di tale affermazione in un contesto commerciale (mi piacerebbe vedere l’autrice che porta l’auto dal meccanico, paga il tizio e poi si sente dire che forse la macchina è ancora guasta, ma lui può assicurare di averci messo tutto l’amore del mondo!), emerge un concetto nel quale m’imbatto spesso, ovvero che scrivere con amore, passione, impegno massimo (sangue e sudore!), mettendoci l’anima e il cuore e quant’altro serva a qualcosa. No, non è così, è un mito, tra l’altro un mito che crea danni e perciò cercherò di sfatarlo.

Cominciamo a limitare il campo: quando non specificato altrimenti, con il termine “scrivere” intenderò lo scrivere narrativa fantastica, dato che questo è il tema del blog. Se uno intende scrivere tutt’altro, non so, magari con lo stile delle Parole in Libertà di Marinetti, non ho nessun consiglio da dargli.

Ritratto di Marinetti
Ritratto di Marinetti, opera di Carlo Carrà

Ciò detto, per scrivere un buon romanzo fantasy occorrono due componenti:
1) La tecnica di scrittura.
2) La fantasia.

Mi pare evidente che l’amore, la passione e l’anima e il cuore non c’entrino di per sé. L’amore magari entrerà in un romanzo rosa, e l’anima in uno a sfondo religioso, ma con il fantasy poco ci azzeccano. Tuttavia il mito non è tanto questo, il mito è che la tecnica e la fantasia si giovino di anima e amore. Peggio, che anima e amore possano sostituirsi a tecnica e fantasia.

La tecnica di scrittura

Esiste una serie di regole comunemente accettate per scrivere narrativa. Seguire tali regole non è una limitazione nell’esprimersi, è evitare di commettere errori banali. Se però siete nel partito de “L’Arte è Libera!” e ogni regola l’imbavaglia (sic), non ho altro da dirvi. Però scommetto che lo spregio delle regole è la ragione per la quale quello che scrivete fa schifo, ché, se foste davvero geni letterari, non sareste qui a leggere queste righe ma a Tokyo, a consegnare una copia autografata del vostro ultimo romanzo all’Imperatore del Giappone in persona, che da anni smaniava di conoscervi.

Il vero problema delle regole della narrativa è che non sono intuitive. È la ragione per la quale metterci amore e passione di per sé non serve a un tubo.
Io posso andare a scaricare casse di frutta ai mercati generali, non ho il fisico, ma posso metterci passione, lavorare fino a farmi sanguinare le mani, star lì anche di notte e alla fine della settimana avrò svolto lo stesso lavoro di uno scaricatore “professionista”. Questo perché scaricare casse è intuitivo: le si prende dal camion e le si posa a terra, la “passione” può compensare la mancanza di muscoli.
Ma tale tipo di “passione” non funziona con la scrittura: posso stare alzata tutta la notte, e scrivere fino a rompermi le unghie sulla tastiera o slogarmi il polso a furia di muovere la penna, ma se non so quello che occorre fare, sto solo perdendo tempo.

Classico esempio:

C’era una volta un vecchio mago di nome Merlino.

Ho scritto la prima riga di una storia e ho già SBAGLIATO! Infatti una delle prime regole (e regola tutt’altro che intuitiva) dice che occorre mostrare e non raccontare:

Lo svegliarono i colpi alla porta. Aprì gli occhi: lo spicchio di sole visibile attraverso il riquadro della finestra era basso sull’orizzonte. Mattino presto.
«Avanti, Merlino! Sono io! Aprimi!» giunse una voce da sotto la finestra.
Merlino strinse con entrambe le mani il bastone e si tirò a fatica in piedi. Chino com’era, la lunga barba bianca gli sfiorava i piedi. Mosse un passo e una fitta di dolore gli attraversò la schiena. “Stupida artrite!” imprecò fra sé e sé. Si trascinò fino alla finestra.
Il misterioso bussatore era una figura indistinta nascosta dietro il velo della cataratta. “Scocciatori!” pensò Merlino. Sollevò il bastone e biascicò: «Abracadabra!»
Batuffoli di luce percorsero il bastone per poi librarsi in aria e fuggire dalla finestra. Le luci indugiarono intorno allo sconosciuto fermo davanti alla porta, prima di avvolgerlo in una vampa di calore. Il tipo cominciò a correre, i vestiti in fiamme!

Invece di raccontare che Merlino si chiama Merlino, è vecchio ed è mago, ho mostrato queste sue caratteristiche. Ripeto, non è intuitivo che ciò sia meglio, ci vuole attenzione e perspicacia per capire che una delle ragioni per le quali certi romanzi sono più avvincenti di altri è proprio l’aderenza a questa regola.
Uno può metterci tutto l’amore del mondo, e raccontare di maghi fino allo sfinimento, ma finché non ne mostrerà uno, avrò perso tempo e basta.

Mago Merlino
Mago Merlino

Così come non è intuitivo riuscire a combinare quanto visto sopra con un’altra delle regole fondamentali: eliminare il superfluo.

Esempio:

«Dove abiti?» chiese Filippo a Marco.
«Là!» Marco indicava una delle casupole ai margini del villaggio. Era l’unica casetta ad avere un tetto di tegole color cremisi. L’intrico delle tegole formava un disegno astratto, il ripetersi ossessivo di una forma geometrica, quasi fosse uno dei quadri del vecchio pittore Armando, l’Artista del villaggio. In un punto due tegole erano incrinate e piegate verso l’interno: era dove qualche giorno prima era caduto quell’enorme chicco di grandine, tanto da far temere alla mamma di Marco che fosse ripresa la guerra e i bombardamenti. Ma le tegole vermiglie non erano l’unico particolare che distingueva la casetta di Marco dalle altre intorno, unico era infatti anche il cancello, tutto d’argento! ecc.

Ho mostrato e (troppo) raccontato, ma nel caso specifico la maniera giusta di narrare questa scena è:

«Dove abiti?» chiese Filippo a Marco.
«Là!» Marco indicava una delle casupole ai margini del villaggio. Era l’unica casetta con il tetto rosso. PUNTO.

Marco deve indicare a Filippo dove abita, e il particolare del tetto rosso è sufficiente, il resto è superfluo e dunque da eliminare.
Anche qui l’amore non c’entra un emerito tubo, anzi: lo sbrodolarsi in troppi particolari è tipico di chi ha creato il suo mondo con tanta passione, mettendoci l’anima e il cuore, e dunque deve far sorbire le proprie masturbazioni mentali anche al lettore, al quale non interessano minimamente. “Sono stato lì così tanto tempo a ideare la storia del mio mondo, i particolari della guerra appena finita sono così interessanti! Ci ho messo così tanto amore. DEVO raccontarli!” pensa lo scrittore fesso!

Un’altra regola non intuitiva riguarda la sincerità. Occorre essere sinceri con i propri lettori. Questo fatto ha varie implicazioni. Per esempio, uno potrebbe pensare di scrivere una bella storia per mostrare quanto il razzismo sia un sentimento becero o quanto rispettare la Natura sia una buona idea. Solo che malgrado le pie intenzioni e la passione che arde per gli ideali, non è così semplice. E allora si viola la regola della sincerità: così il soldato bianco e il soldato negro diventano amiconi mentre tutti gli altri si sbudellano, così la famigliola è felice in mezzo al bosco invece che in città, quando in realtà sarebbe finita sbranata dagli orsi in cinque minuti. Si manca di sincerità, si mente al lettore per dar sfogo alla propria passione.
E per un altro caso di regola della sincerità violata, mi rifaccio all’autrice che ha aperto con la sua mail l’articolo. Antonia Romagnoli scrive:

Una breve nota: ho scelto di non descrivere fisicamente i protagonisti di questo romanzo poiché, essendo tratti da persone reali, non ho voluto creare incidenti diplomatici. Se avessi scritto che uno di loro ha un enorme naso a pera, per restare in ambito umoristico, avrei segnato la fine della mia amicizia con la persona in questione.
Perciò, o illustre, sii libero di immaginarti ciascuno come vuoi, tenendo conto che gli apprendisti sono tutti alti, belli (e col naso a pera).

Il tono è scherzoso, tuttavia è uno scherzo di cattivo gusto. I lettori sono più importanti degli amici! Se la storia prevede che un personaggio abbia un naso a pera, la sincerità IMPONE di fornirgli un naso a pera. Tutto l’amore del mondo non compenserà la mancanza di onestà verso i lettori!

Amicizia fra gattino e coniglietto
Per uno scrittore ci sono cose più importanti dell’amicizia!

E chiudo, sebbene di regole ce ne siamo molte altre (qualcuno dice 19, altri 22), con il “scrivi di quel che sai”, che in fondo sarebbe anche intuitivo.
Il corollario di questa regola è: se non sai, t’informi! Se in una scena decisiva del tuo romanzo confondi le picche con le lance, il romanzo, se non è da buttare, poco ci manca. Non si compensa con il cuore che hai infilato nella descrizione di ogni personaggio, non si compensa con l’anima che hai sputato per scrivere. Occorre informarsi e mettere in mano alla gente le armi giuste!

La Fantasia

Per scrivere romanzi di genere fantastico occorre fantasia e inventiva. C’è chi ne è più dotato e chi meno, ma come con la tecnica, si può allenare la propria fantasia. Per allenare la fantasia esistono due strade: far esperienza diretta, oppure affidarsi all’esperienza altrui, ovvero leggere.
La prima strada può non essere facile da seguire, anche se non mancano le eccezioni (per esempio il signor Lucius Shepard, autore di fantascienza e fantasy, che prima di dedicarsi alla scrittura ha vissuto in venti paesi diversi svolgendo una marea di attività differenti, dal contrabbandiere al custode di centrali nucleari), mentre la seconda è alla portata di tutti.

Come prima, amore, cuore, e quant’altro non hanno alcun posto: si prende un libro e lo si legge. Finito. All’inizio gli effetti forse non si faranno sentire, ma verso il duecentesimo romanzo magari sì…
Ma, qualcuno potrebbe essere tentato di chiedere, con tanta viscerale passione si può evitare anche di leggere? Perché, ecco, io vorrei fare lo scrittore di fantasy, ma il leggere fantasy mi annoia da morire!
E la risposta è no, purtroppo. Immaginatevi in una stanza vuota, senza arredamento, le pareti dipinte di bianco uniforme: potete metterci tanta passione da strozzarvi, ma senza alcun stimolo esterno non inventerete mai niente!

In ambito fantasy italiano abbiamo un lampante esempio, nella persona del signor Dario De Judicibus, autore de La Lama Nera. In un’intervista costui ha dichiarato:

Oggi, scrivendo libri di fantasy, mi trovo purtroppo costretto a leggere solo saggi, per evitare di farmi inconsciamente influenzare da questo o quel romanzo. Devo dire che questo mi pesa un po’, ma credo sia assolutamente necessario — soprattutto considerando che ho all’attivo oltre 5.000 volumi letti fra fantascienza e fantasy — se voglio dare un prodotto veramente nuovo e originale ai miei lettori.

Be’, visti i miseri risultati, forse di volumi di fantasy e fantascienza ne avrebbe dovuti leggere altri 5.000! Se uno non legge fantasy, poi NON scriverà in maniera originale, solo a lui sembrerà così, ma per esclusivo merito della sua ignoranza! Invece più si legge e si fa’ esperienza, più si hanno elementi sui quali costruire l’originalità.

Copertina de La Lama Nera
Copertina de La Lama Nera

C’è poi la categoria degli imbecilli (e questo termine potrà sembrare volgare ma non lo è, è il corretto termine tecnico) che credono che l’originalità sia facoltativa. NON LO È! Nella narrativa fantastica l’originalità è uno dei cardini! Cosa ci sarà trenta milioni d’anni nel futuro? E cosa c’era trenta milioni d’anni nel passato? Sulla Luna o su Marte? In un’altra Galassia? Cosa succederebbe se si potesse diventare invisibili? O manipolare le forme di vita a piacimento? Le risposte a queste e simili domande DEVONO essere diverse tra loro a ogni romanzo. Se trenta milioni d’anni nel futuro tutti scrivono che ci sono gli Elfi, se trenta milioni d’anni nel passato ci sono ancora gli Elfi, se la Luna è abitata da Elfi e pure Marte e anche un’altra Galassia e la Terra di Mezzo, se scrivi un’altra storia con gli Elfi, stai buttando il tuo tempo e quello dei lettori! (ciao, Cecilia “Randall”, sì, la storiella dei viaggi nel tempo è un pochino abusata…)

E tanto per cambiare, gettare il cuore nei propri scritti e vomitarci sopra l’anima non li migliorerà di una virgola se ci sono di mezzo per la milionesima volta i soliti, dannati Elfi!

Elfi
Dannati Elfi!

Perciò: l’amore per il fidanzato, l’anima per Dio, il cuore trifolato per il sugo del risotto, nello scrivere, per piacere, tecnica e fantasia!

Non siamo a scuola (per fortuna!) non c’è alcun “premio” per l’impegno. Non ha alcuna importanza se scrivete mezz’ora al giorno sul tram di ritorno da scuola o dall’ufficio o se invece avete venduto casa pur di scrivere venti ore al giorno fino a diventare strabici. L’unica cosa che conta è quel che il lettore si ritrova in mano.

Vorrei chiudere con un’ultima considerazione, riguardo ai sogni. Molto spesso gli scrittori sognano: sognano di vivere in un castello come la Rowling, sognano riconoscimenti e il plauso del pubblico, magari sognano solo di essere pubblicati. Niente di male in tutto ciò, solo qualche volta dovrebbero riflettere di più sul fatto che si sono scelti un mestiere o un hobby profondamente altruistico: lo scrivere è sì legato ai sogni, ma ai sogni dei lettori! È proprio compito degli scrittori far sognare i lettori! E ho paura sia un obbiettivo difficile da raggiungere se si è mezzi addormentati e con la testa tra le nuvole…

Come al solito, forse per colpa della mia “focosità”, tipica dei teenager, il tono è diventato concitato, tra l’altro per argomenti banali. O che almeno dovrebbero essere tali. Purtroppo la lettura di tanti fantasy italiani conferma il contrario.


Approfondimenti:

bandiera IT Filippo Tommaso Marinetti su Wikipedia
bandiera IT Intervista a Dario De Judicibus
bandiera IT Hyperversum di Cecilia Randall
bandiera IT Il Sito dell’Amicizia


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26 Comments To "Gli Scrittori e il troppo Amore"

#1 Comment By barbara On 21 settembre 2007 @ 11:25

Riguardo all’articolo e alla “tecnica narrativa” vorrei segnalare un libro:

#2 Comment By barbara On 21 settembre 2007 @ 11:34

A VOLTE LA MAGIA FUNZIONA di Terry Brooks. Non è solo un’autobiografia ma anche un manuale di scrittura creativa attraverso il quale l’autore rivela i segreti imparati in 25 anni di carriera.
E’ sorprendente come i consigli di uno scrittore affarmato come Brooks (a detta di molti, l’erede di Tolkien) siano simili a quelli sviscerati nell’articolo.
Ne cito qualcuno: “leggere, leggere, leggere”, “prendi ispirazione ovunque”, “mostra, non descrivere”, “entra nei personaggi, evita la lista della spesa”.

#3 Comment By Andrea D’Angelo On 21 settembre 2007 @ 11:56

Non appena avrò tempo leggerò questo interessante intervento in modo integrale, perché confido che contenga cose più sensate del suo inizio.

Cito: “[...] scrivere con amore, passione, impegno massimo (sangue e sudore!), mettendoci l’anima e il cuore e quant’altro serva a qualcosa. No, non è così, è un mito, tra l’altro un mito che crea danni e perciò cercherò di sfatarlo.”
Le due affermazioni, poste in questo modo, creano altrettanto danno.
Se avessi scritto che “scrivere con amore, passione, impegno massimo (sangue e sudore!), mettendoci l’anima e il cuore porta a certi e grandi risultati”, avrebbe avuto un senso. E sarei stato d’accordo con te, perché queste cose, se non supportate da tecnica e fantasia (come vedo che accenni più avanti) non fanno uno scrittore.
Messa così, invece, le due affermazioni sono prive di senso: sembra che impegnarsi e metterci passione non serva. Ne sei proprio così sicura?

Tornerò a commentare il resto. E spero che tu non prenda questo appunto come una sorta di posizione “contro Gamberetta”. Non lo è.
In ogni caso, sei sempre molto stimolante. Cosa rara, su internet.

Già che ci sono, commento anche il commento di Barbara. Ho letto “A volte la magia funziona” (di cui scrissi una recensione a suo tempo, su Fantasy Magazine), ma per quanto sia stato una piacevole lettura, l’ho trovato assai meno arguto e utile di “On writing” di Stephen King, per citare un esempio di testo analogo. A me Terry Brooks sta simpatico da sempre – e ho amato alcuni suoi romanzi, tanto -, ma il suo libriccino è tutto fuorché un manuale di scrittura creativa illuminante: dice cose piuttosto scontate, anche se in modo piacevole e con la sua solita, grande scorrevolezza.

#4 Comment By Elixam On 21 settembre 2007 @ 16:34

QUOTO «Dove abiti?» chiese Filippo a Marco.
«Là!» Marco indicava una delle casupole ai margini del villaggio. Era l’unica casetta ad avere un tetto di tegole color cremisi. L’intrico delle tegole formava un disegno astratto, il ripetersi ossessivo di una forma geometrica, quasi fosse uno dei quadri del vecchio pittore Armando, l’Artista del villaggio. In un punto due tegole erano incrinate e piegate verso l’interno: era dove qualche giorno prima era caduto quell’enorme chicco di grandine, tanto da far temere alla mamma di Marco che fosse ripresa la guerra e i bombardamenti. Ma le tegole vermiglie non erano l’unico particolare che distingueva la casetta di Marco dalle altre intorno, unico era infatti anche il cancello, tutto d’argento! ecc.

Ho mostrato e (troppo) raccontato, ma nel caso specifico la maniera giusta di narrare questa scena è:

«Dove abiti?» chiese Filippo a Marco.
«Là!» Marco indicava una delle casupole ai margini del villaggio. Era l’unica casetta con il tetto rosso. PUNTO.

QUOTO

Ma allora Stephen King, secondo la tua “regola” qui sopra riportata, non è capace a scrivere… lui riempie pagine intere di descrizioni “superflue” e di intercalari galattici che fanno perdere anche il filo della narrazione.

#5 Comment By Capitan Gambero On 21 settembre 2007 @ 17:07

Elixam, le cosiddette “sue regole” sarebbero quelle condivise anche da tale Mark Twain che, a parte essere stato uno dei più grandi scrittori del XIX secolo (indubbiamente precorreva col suo stile di molto i tempi!) ed essere stato definito “il padre della letteratura americana” da Faulkner (premio Nobel per la letteratura, 1949), in fondo che ne poteva sapere di come si scrive? icon_rolleyes.gif

http://www.mamohanraj.com/Writing/twain.html

Ecco le ultime…
12. _Say_ what he is proposing to say, not merely come near it.
13. Use the right word, not its second cousin.
14. Eschew surplusage.
15. Not omit necessary details.
16. Avoid slovenliness of form.
17. Use good grammar.
18. Employ a simple, straightforward style.

Molti dettagli vanno bene solo se sono necessari, se non sono necessari allora sono inutili e occupano solo posto nella pagina senza fornire nulla di interessante al lettore.

In Sintesi: una volta determinato quello che serve è meglio inserirlo TUTTO (se serve, serve!) ed evitare quello che non serve (se non serve, non serve!).

King talvolta si lascia prendere la mano, può essere, è un errore che succede spesso a tanti autori, ma compensa quell’errore in altri modi (non sempre, ma di norma si) con la sua abilità e le sue belle storie. Che King non sia perfetto è banalmente vero e quindi, per rigor di logica, se non è perfetto ha dei difetti: ad esempio il lasciarsi prendere la mano in alcuni casi ed eccedere nei dettagli (anche se nei suoi libri non ho mai trovato la cosa problematica perché compensava un piccolo errore con altre qualità).
Inoltre bisogna distinguere tra un eccesso di dettagli ogni TOT pagine e un eccesso di dettagli ad ogni RIGA. Si può ben immaginare che l’aumento dei casi aumenta la gravità del problema.

Nel caso in cui, come tu stesso dici, King scrive “intercalari galattici che fanno perdere anche il filo della narrazione” allora quel pezzo di testo ha un problema: d’altronde se non facesse perdere il filo della narrazione sarebbe meglio no? Lo scopo di un romanzo di finzione è narrare qualcosa al lettore, non cercare di rendere fastidiosa la lettura al lettore.

#6 Comment By Angra On 22 settembre 2007 @ 11:58

Ecco, riguardo al mostrare invece di raccontare, mi viene in mente Stardust di Gaiman, che fa esattamente il contrario, e nonostante questo molti lo considerano un piccolo capolavoro. A me, proprio per il motivo di cui sopra, ha lasciato freddino fin dalle prime pagine. C’è il paese di Quà, il mondo di Là, la fiera ogni nove anni, Gilberto è innamorato di Gilberta, e così, via, tutto raccontato dalla voce narrante. Che dire… buon per lui che riesce a piacere (non a me) lo stesso. Non solo: riesce anche a farsi pagare i diritti per il film nonostante che, a giudicare dai trailer, gli sceneggiatori se lo devono essere riscritto quasi totalmente. Sì, perché al cinema l’eroe di un film fantasy che per tutto il film non tira neanche un cazzotto lo vedo parecchio male…

Per il mio gusto personale, non bisogna neanche esagerare nel senso opposto, perché è normale che romanzo e cinema mantengano una certa differenza nel linguaggio. Tu stessa scrivi:

“Scocciatori!” pensò Merlino.

Se devo solo mostrare non posso dire ciò che Merlino pensa. Così come non posso dire che “una fitta di dolore gli attraversò la schiena”, ma devo dire invece che “sul suo viso comparve una smorfia di dolore, e si portò una mano alla schiena”, che appesantisce la narrazione senza cambiare la sostanza. E’ senz’altro preferibile come hai scritto tu, mettendoti a tratti nella testa del personaggio principale della scena.

RIguardo a Stepehen King: mi sono rifiutato di legger On Writing perché uno che scrive una cagata come L’Acchiappasogni o è un disonesto che sa che i suoi fan leggerebbero anche l’elenco del telefono di Tokyo se ci fosse il suo nome in copertina, oppure ha ben poco da insegnare (a parte come fare i soldi, che temo nel libro non ci sia scritto). Credo che ciò che chiamiamo Stephen King sia in realtà ormai da anni un’azienda con dieci o quindici “negri” rinchiusi in un sotterraneo e incatenati alle macchine da scrivere (rigorosamente manuali) e con l’infermiera di Misery che gli porta i pasti (pane secco e croste di formaggio). Quando un giovane scrittore brillante ha la sventura di finirvi prigioniero, esce fuori Il Miglio Verde, poi il giovane muore di pellagra (o viene assassinato per golosia dal Maestro) e la volta dopo viene fuori L’Acchiappasogni, appunto. Non mi spiego altrimenti come possano venir fuori dei capolavori come L’Ombra dello Scorpione (che comunque ci guadagnerebbe se venissero scorporate un trecento pagine che non c’entrano niente, e pubblicate come romanzo a sé), ma anche delle schifezze e anche tanta roba così così. Comunque, King è proprio un altro esempio di uno che se ne sbatte delle regole di scrittura di cui si parlava sopra, con le quali invece personalmente mi trovo d’accordo.

Gamberetta: ma se cambio nome ai miei elfi, me li passi? :)) Che poi, in realtà, elfi è solo una traduzione arbitraria del nome che si danno loro, che potrebbe essere tranquillamente “hhhhhhhhhhhhhhh”!

#7 Comment By Capitan Gambero On 22 settembre 2007 @ 17:02

Tu stessa scrivi:

“Scocciatori!” pensò Merlino.

Se devo solo mostrare non posso dire ciò che Merlino pensa.”

Sta mostrando quello che Merlino pensa invece di limitarsi a dirlo.
Si può dire “Bob pensò subito che Jack era un gay” oppure mostrare il pensiero di Bob scrivendolo in forma di monologo interiore, tipo:

“Jack indossa di nuovo quei pantaloni attillati rosa shock, che schifo!” pensò Bob con una smorfia di disgusto, “e guarda come si avvicina ancheggiando… cazzo, prima o poi quel degenerato finirà per cercare di mettermelo nel culo.”

Idem nel caso di sentimenti come l’aMMore. :-)
Si può dire “La giovane Chiara era segretamente innamorata del virile, ma più maturo Alex” oppure si può mostrare scene e pensieri da cui il lettore deduca l’infatuazione, entrando così poco per volta nel mondo sentimentale della protagonista senza limitarsi a subire la sterile dichiarazione del fatto.

Almeno credo.

#8 Comment By Angra On 22 settembre 2007 @ 17:14

Sì, ok, in questo senso ci siamo. Io interpretavo il “mostrare” in modo molto più restrittivo, in sostanza qualcosa che puoi trasporre pari pari in un film senza usare voci fuori campo.

#9 Comment By Gamberetta On 22 settembre 2007 @ 17:20

Angra, sì, sul dolore alla schiena hai ragione, così è raccontato, non mostrato, il Coniglietto Grumo avrebbe dovuto mostrare appunto i segni del dolore. Ma passi, è un Coniglietto e ha già sulle spalle il peso dell’Universo, ogni tanto si distrae!
Per i pensieri invece non è un problema: “mostrare” non indica solo il mostrare in senso fisico, è del tutto ammissibile “entrare” nella testa dei personaggi e mostrare quel che accadde.

“Chiara era indecisa” è raccontare.

“– Rapina la banca, e avrai tanti soldi quanti non ne hai mai avuti! – suggerì il diavoletto che le abitava nel cervello.
– No, Chiara, non farlo, rischi di finire in galera! – replicò l’angioletto, che benché avesse ricevuto notifica di sfratto, non se n’era ancora andato.” Questo è “mostrare”, anche se è figurato.

#10 Comment By Angra On 22 settembre 2007 @ 18:46

Comunque, come dicevo, non sarei così fiscale. In fondo nella scena del dolore alla schiena l’effetto sul lettore è lo stesso, e come l’avevi scritta in origine è più immediato e incisivo di come l’ho riscritta io. E poi, a ben vedere, credo non esista al mondo un romanzo che non racconta mai e mostra soltanto. Tolkien, ad esempio, sta proprio agli antipodi.

Bisogna anche considerare il fatto che la regola vale per i romanzi scritti in terza persona. La saga il Libro del Nuovo Sole di Gene Wolfe è tutta raccontata in prima persona dal protagonista, e questo cambia tutto. La prima persona viene anche molto comoda nei gialli (non a caso tutto Sherlock Holmes è in prima persona). Il racconto che ho scritto per Bardica è in seconda persona (un esperimento).

Un romanzo interessante (anche per altri aspetti) è “99 francs” di Frédéric Beigbeder, che è diviso in 6 capitoli, uno per ciascuna delle tre persone singolari e plurali.

#11 Comment By Gamberetta On 22 settembre 2007 @ 19:30

Qualche volta può essere meglio raccontare, se si vogliono narrare dei fatti che servono per il proseguo della storia ma non sono particolarmente interessanti. Per esempio, in un sacco di fantasy la gente viaggia da un posto all’altro e questi viaggi potrebbero tranquillamente essere raccontati in poche righe. D’altro canto, se un fatto non si merita di essere mostrato forse si merita direttamente di essere tolto, per tornare all’esempio prima: si mostra i nostri eroi che si preparano alla partenza, e li si mostra all’arrivo, non ci vuole molto per capire che hanno viaggiato!

Non ho capito il problema della persona: prima, seconda, terza, cosa cambia rispetto al mostrare invece che raccontare?
Poi è ovvio che un bravo autore può scrivere bei romanzi anche ignorando ogni regola, però se magari le avesse seguite, il romanzo sarebbe potuto essere ancora più bello!

#12 Comment By Angra On 22 settembre 2007 @ 20:37

Be’, se scrivo in prima persona, si rompe in un certo senso una simmetria. Posso mostrare tutto quello che passa per la testa a me, ma per nessuna ragione (a meno che io non sia telepatico) quello che passa per la testa a qualcun altro. Non posso mostrare niente a cui io non assista, ma per quello che riguarda me ho la massima libertà. D’altra parte, è molto più normale che mi metta a raccontare i fatti miei, e stona molto meno rispetto al “raccontare invece che mostrare” in terza persona.

Nei gialli è utile per darsi una disciplina: se io sono il narratore onnisciente, so anche chi è l’assassino. Se un po’ di cose le dico e altre le taccio, allora sto barando. La storia narrata in prima persona dal detective o dal suo assistente costringe lo scrittore in una posizione molto più onesta.

#13 Comment By Gamberetta On 23 settembre 2007 @ 04:11

Decidere di essere onnisciente o no non dipende dalla persona: posso scrivere in terza persona e riportare solo i pensieri di Merlino (o di nessuno) o viceversa scrivere in prima persona e alternare il punto di vista fra Merlino e lo scocciatore e trascrivere i pensieri di entrambi.
Inoltre, anche se un personaggio non è telepatico, può sempre indovinare i pensieri altrui, capita anche nella vita vera.

Esempio 1:
Roberto allunga la mano verso la torre. Prende il pezzo tra pollice e indice.
Una ciocca di capelli gli ricade sulla fronte, imperlata di sudore. Più si concentra, più le sue intenzioni diventano trasparenti: non ho difficoltà a vedere i piatti della bilancia che ha in testa. Sul primo piatto è adagiato un omino dal sorriso sardonico, porta al collo un cartello che dice: “H7 ed è vittoria sicura!”; sul secondo piatto è seduto un omino dall’aria gentile e dal sorriso ebete, il suo di cartello recita: “H5 perdo, ma la faccio felice!”
La bilancia rimane in equilibrio per un buon minuto, finché l’omino del primo piatto non comincia a saltare su e giù come un canguro.
Roberto fa’ scivolare la torre lungo la scacchiera, esita un istante alla casella H5, poi prosegue.
– Ti stai solo illudendo! – esclamo.
– Eh?
– Niente, niente, muovi!
La torre si ferma in H7.

Esempio 2:
La mamma è seduta in cucina, di spalle. Quando entro, si alza.
Mi rivolge il solito sguardo del sabato notte o domenica mattina, lo stesso sguardo di quando Batuffolo è stato sventrato dal filobus.
Sollevo una mano verso di lei. – Mamma, non dire niente! So già cosa stai pensando: “Chiara! Non puoi tornare alle cinque di mattina! Almeno avvisa!”
Mi appoggio contro lo stipite della porta. La stanza mi gira attorno come fossi sulle montagne russe. – “Chiara! Non devi bere!” lo so, lo so!

Poi dipende tutto da quanto la partita di scacchi o il ritorno a casa sono importanti per la storia, se non sono di particolare importanza posso anche scrivere solo che Roberto è indeciso e la mamma preoccupata.

#14 Comment By Angra On 23 settembre 2007 @ 09:54

Certo, volendo si può fare tutto, però se scrivo in prima persona in ogni caso non posso dire cosa sta facendo l’assassino a dieci chilometri di distanza. O meglio, se non lo dico non c’è niente di strano. Posso dedurlo, e Sherlock Holmes lo fa di continuo, ma posso anche non farlo, e posso anche prendere delle cantonate. Invece, quando Dickens scrive che lo sguardo di Jasper è carico di odio, e scrive “ah, a chi sarà rivolto tanto odio?” sta barando. Tu caro Dickens lo sai a chi è rivolto: me lo dici per piacere?! Infatti il mistery non era proprio il suo genere. Insomma, scrivendo in terza persona e entrando un po’ si e un po’ no nella testa di questo e di quello, si introduce un’arbitrarietà da parte dell’autore che a lui semplifica molto il lavoro, ma che a me personalmente disturba. A mio modesto parere ci sono solo due modi onesti di scrivere un mistery: o la prima persona o qualcosa che ci assomiglia molto, ovvero tenere la camera fissa sul protagonista e avere accesso solo ai suoi pensieri e non a quelli degli altri, se non attraverso le sue deduzioni che però non possono essere né complete né infallibili. Saltare dalla testa di uno a quella dell’altro a seconda di come fa comodo è… be’, un po’ troppo comodo :))

Esempio:

L’appuntato Quaglia strisciava nel vicolo buio trattenendo persino il respiro, pur di non rivelare la sua presenza all’ombra scura che camminava dinnazi a lui. “Malededette scarpe nuove,” pensava, “non fanno che scricchiolare ad ogni passo.”

L’ombra scura intanto camminava senza fretta, avvitando il silenziatore nella pistola. “Vieni bello,” diceva tra sé, “vienimi a prendere… vedrai che sorpresa.”

Qui sono disonesto, perché ascolto i pensieri di entrambi e descrivo la situazione dal punto di vista di entrambi, ma di uno dico che è l’appuntato Quaglia, dell’altro solo che è un’ombra nera. Nel cinema corrisponde a far vedere la mano dell’assassino che impugna il coltello senza inquadrarlo in faccia.

Seven, che secondo me è un brutto film (Brad Pitt completamente fuori parte, personalità del serial killer appena abbozzata, finale moralista), è però impeccabile sotto l’aspetto dell’onestà. Il punto di vista è sempre quello dei poliziotti, non ci sono scene dove l’assassino è inquadrato dal ginocchio in giù e nefandezze simili.

#15 Comment By Gamberetta On 23 settembre 2007 @ 12:25

Stai confondendo i termini del problema: l’onestà è uno, mostrare invece di raccontare è un altro. Lo scrittore può decidere o no che i suoi personaggi, lui stesso o il lettore sappiano del delitto che si sta compiendo a dieci chilometri di distanza, però se decide in senso positivo deve mostrare il delitto invece di raccontarlo, tutto qui.

L’ombra scura intanto camminava senza fretta, avvitando il silenziatore nella pistola. “Vieni bello,” diceva tra sé, “vienimi a prendere… vedrai che sorpresa.”

Posso storcere il naso a questo cambio di punto di vista, e discutere sull’onestà di tale mossa, tuttavia è tecnicamente giusto, ma se avessi scritto:

L’ombra scura intanto camminava senza fretta, approntando i suoi strumenti di morte e pregustando la malvagità imminente.

È sbagliato, onestà o non onestà.

“Mostrare non raccontare” è una regola solo un passettino più avanti del mettere la maiuscola dopo il punto o usare i tempi verbali giusti, non si entra nel merito di quel che si sta raccontando, del punto di vista, della persona o dell’onestà.

#16 Comment By Angra On 23 settembre 2007 @ 19:47

Sono d’accordo che onestà e “raccontare vs mostrare” stanno su due piani differenti. Sostengo però che se scrivo in prima persona essere onesto diventa quasi automatico, mentre il “raccontare vs mostrare” sfuma un po’, nel senso che ciò che sta fuori di me posso solo mostrarlo, ma con quello che ho dentro (memorie, emozioni, ecc) sono più libero di fare quello che voglio. Questo, naturalmente, in linea di massima.

Gamberetta, ma tu stai scrivendo qualcosa? Dovresti farlo, la tecnica certo non ti manca, e la fantasia mi pare neppure. Al lavoro! Basta perder tempo a leggere, prendi esempio da De Judicibus ;)

#17 Comment By Capitan Gambero On 23 settembre 2007 @ 20:58

Basta perder tempo a leggere, prendi esempio da De Judicibus

…ma possibilmente non nello stile, nella trama e nel contenuto.
E neanche nel “farsi pubblicare con Armenia”.
E magari neanche nel “usare nome italiano”.

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#18 Comment By Angra On 23 settembre 2007 @ 22:52

Riguardo ad Armenia ho un piccolo mistero. Gli avevo mandato una presentazione del mio romanzo con un paio di capitoli (intelligentemente, fanno una preselazione via mail prima di farsi mandare il manoscritto cartaceo). Mi hanno risposto dopo pochi giorni, chiedendomi l’intero manoscritto, che gli ho prontamente inviato. Dopo un mesetto, mi hanno scritto che pur essendogli piaciuto il romanzo, non rientrava nella loro collana. Ok, non sarà vero che gli è piaciuto, ma quello potevano capirlo dalla preview. E dalla preview potevano capire anche che non rientra nella loro collana (che non si capisce neanche bene come è fatta: dal catalogo risultano solo i titoli di Cronache di Dragonlance e Forgotten Realms). Secondo il loro catalogo, per dirne una, La Lama Nera non esiste nemmeno. Forse chi valuta le preview ha gusti diversi da chi legge i manoscritti completi? Ma allora è inutile farsi mandare le preview!!! :((

#19 Comment By Angra On 23 settembre 2007 @ 22:56

Ah no, mi sbaglio: c’è, è tra i classici del fantasy. Non l’ho letto, e per quel che ne so potrebbe essere un capolavoro, ma metterlo tra i classici… boh.

#20 Comment By Capitan Gambero On 24 settembre 2007 @ 02:51

La Lama Nera è… diciamo… ecco… mi imbarazza dirlo senza una recensione che giustifichi almeno un po’ la frase, ma è brutto. Brutto da 4 Gamberi marci se dovessi conteggiarlo “a occhio”, sulla base della memoria di una lettura di oltre un anno fa.
Magari se uscirà il secondo volume rileggerò il primo per dedicargli una recensione.

C’è una recensione del buon Andrea D’Angelo che spiega alcuni problemi dell’opera di De Judicibus. Come vedi gli ha dato 5/10… io avrei dato 4 o 3.5, ma il concetto base è che è al di sotto della sufficienza.
http://www.negrore.com/recensioni/02lalamanera.htm

#21 Comment By Angra On 24 settembre 2007 @ 11:27

Indipendentemente dal giudizio di merito, se una casa editrice ha una collana “Fantasy” e una “I classici del fantasy”, nella seconda mi aspetto di trovarci appunto dei classici. Se non è così, ho una spiacevole sensazione di cose fatte a casaccio, o peggio.

#22 Comment By Capitan Gambero On 24 settembre 2007 @ 12:23

I contenuti delle collane per me ormai sono un mistero.
Non mi stupisco che il concetto stesso di collana (che è più legale che altro…) venga ormai ignorato dal lettore medio che cerca un libro.
In fondo al lettore tipo non serve la collana: se è in libreria guarda le copertine, se usa un negozio online allora guarda le categorie (fantasy, fantascienza, thriller…) o cerca per autore.

Passando dalla “non proprio grande” Armenia alla colossale Mondadori, vediamo scelte perfino peggiori buttando un occhio su collane calderone come “I Massimi della Fantascienza” (dove è finita la Troisi con le Cronache…) o “Bestseller” (collana calderone per eccellenza, lo sottintende anche il nome).

#23 Comment By Simone On 1 novembre 2007 @ 12:27

È bene conoscere le regole della scrittura, e ancora meglio non seguirle.

Detto questo, vedo che nella foto il gatto Nessuno (è quello rosso) ha già trovato il coniglietto Grumo per mettere in atto la rappresaglia. L’altro gatto non so chi sia. ^^

Simone

#24 Comment By La mappa definitiva del Giovane Esordiente « Werehare’s Burrow On 8 agosto 2010 @ 15:58

[...] Riassunto delle puntate precedenti, Scacchi e scrittura, On fairy stories, Educazione e timidezza, Gli scrittori e il troppo Amore, Come non scrivere fantasy: tutti articoli dedicati a vari aspetti dello scrivere, sia in generale [...]

#25 Comment By gianni On 27 ottobre 2015 @ 23:22

Bell’articolo… Scopro ora che Dario de Judicibus scrive libri. Lo ricordavo come collaboratore della rivista Mc Microcomputer, che i più giovani non ricorderanno. Ma pensa te com’è piccolo il mondo.

#26 Pingback By Sullo scrivere, lo scrivere bene, lo scrivere e piacere | ilperdilibri On 18 novembre 2015 @ 17:17

[…] Tratto da Gli scrittori e il troppo amore. […]


URL dell'articolo: http://fantasy.gamberi.org/2007/09/20/gli-scrittori-e-il-troppo-amore/

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