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Recensioni :: Saggio :: How to Write Science Fiction and Fantasy

Pubblicato da Gamberetta il 4 ottobre 2007 @ 14:11 in Libri,Recensioni,Scrittura,Straniero | 12 Comments

Copertina di How to Write Science Fiction and Fantasy Titolo originale: How to Write Science Fiction and Fantasy
Autore: Orson Scott Card

Anno: 2001
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Editore: Writer’s Digest Books

Genere: Manuale di scrittura
Pagine: 140

Uso un PC tutti i giorni, e tra gestire il blog, giocare online, chiacchierare a vanvera e altre attività più o meno utili, trascorro moltissime ore alla tastiera. Qualche volta mi è anche venuta voglia di capire come funzionino e come si programmino i computer.
Uno dei libri universitari di mio fratello aveva l’attraente titolo di L’Arte della Programmazione dei Computer di Donald Knuth. Nonostante il titolo accattivante mi sono stufata a pagina 5!

L’Arte della Programmazione dei Computer
L’Arte della Programmazione dei Computer o L’Arte della Noia?

L’altra attività alla quale dedico ore e ore è la lettura e la scrittura. Come per i computer, nel corso del tempo ho sviluppato un certo interesse a capire i meccanismi alla base di tali attività. Perciò ho cominciato a leggere libri che ne parlassero, e per fortuna si sono rivelati molto più appassionanti di quel pedante di Knuth!

Dato che buona parte delle mie letture spaziano tra fantascienza e fantasy, ho pensato che How to Write Science Fiction and Fantasy di Orson Scott Card fosse l’ideale. In realtà sono rimasta un po’ delusa: il libro di Scott Card è una lettura piacevole ma più spesso che non quel Write nel titolo è inteso come “essere scrittori”, piuttosto che “scrivere” in senso tecnico. Un titolo coerente con il contenuto dell’opera sarebbe dovuto essere più o meno questo: Sbarcare il Lunario quale Scrittore di Fantascienza in America. Infatti anche quel Fantasy è fuorviante: Scott Card di occupa quasi esclusivamente di fantascienza, dedicando di specifico al fantasy non più di qualche paragrafo. Infine quasi due capitoli su cinque sono riservati al mercato statunitense della fantascienza, lettura di per sé interessante ma di scarsa utilità se si sta cercando di analizzare un fantasy italiano.

Copertina di Ender's Game
Copertina de Il Gioco di Ender, capolavoro di Orson Scott Card

Nondimeno non mancano spunti apprezzabili.
In particolare ho apprezzato il capitolo secondo (World Creation). Scott Card narra un aneddoto della sua carriera, ovvero come il suo romanzo fantasy Hart’s Hope (in italiano: I Giorni del Cervo) sia nato dal disegno della piantina di una città medievale, disegno tracciato per puro svago. E tuttavia lo scopo della storiella è sottolineare come l’idea alla base di un romanzo possa nascere in ogni momento e provenire da qualunque direzione, e non, come molti altri fanno, che partire dal disegnare una mappa sia una buona pratica. Certo, se la storia è ambientata in un mondo alieno o fantastico, occorre che tale mondo abbia consistenza fisica e precisa conformazione geografica, ma questo non è fondamentale, è invece fondamentale stabilire da subito le regole alla base dell’Universo nel quale è collocato il mondo.
L’esempio sui viaggi spaziali è illuminante: poniamo che la nostra storia abbia per protagonisti dei terrestri su un pianeta alieno; si potrebbe pensare che forse il perché si trovino lì abbia la sua importanza, ma che il come sia secondario. E invece non è vero! A seconda di quale tecnologia sia alla base dei viaggi spaziali, l’intera storia cambia, anche se la vicenda si svolge solo ed esclusivamente sul pianeta alieno.
Se i terrestri hanno tecnologia tale da poter tornare sulla Terra in poche ore si comporteranno in una maniera, se il viaggio richiede invece anni in un’altra, se è facile il possibile arrivo di soccorsi o aiuti da altri mondi la storia prenderà una piega, se non è possibile un’altra e così via. In altre parole, benché non ci siano viaggi spaziali, il conoscere le regole alla base dei viaggi spaziali è ugualmente di vitale importa per la storia.

Un esempio analogo viene esposto riguardo le regole della magia. Vengono ipotizzate delle regole per le quali la magia è legata alle mutilazioni: i maghi possono lanciare incantesimi solo sacrificando sangue e carne del proprio corpo o di altri esseri viventi. Sono esposte diverse varianti ambientante in mondi diversi, compreso il nostro (nel quale varie malattie non sarebbero altro che un effetto secondario dell’uso della magia). Il punto è lo stesso di prima: alla base del “World Creation” non c’è il mondo fisico, ma le regole che lo governano. Addirittura spesso le regole sono più caratterizzanti che non qualunque attributo geografico o la presenza o meno del tale alieno o creatura fantastica.

Capitan Uncino
Capitan Uncino, in realtà vittima della magia?

Un’altra cosa che Scott Card sottolinea spesso è chiedersi sempre il perché. Com’è noto uno scrittore dovrebbe conoscere i propri personaggi e averne ben chiara la biografia, tuttavia non è sufficiente, non basta sapere che il personaggio Tizio ha frequentato la tale Università o si è scelto il tale lavoro, bisogna sempre chiedersi perché l’ha fatto. Così come se una creatura ha tre occhi o un corno in testa, occorre chiedersi il perché. Quale vantaggio evoluzionistico ne ha ottenuto? O c’è un significato mistico o simbolico? Lo scrittore dovrebbe tener sempre conto del perché il mondo è così come l’ha creato, delle motivazioni dei suoi personaggi (perché agiscono così?) e come visto prima, spesso anche del come tutto ciò avvenga.
Può sembrare complesso, in realtà Scott Card mostra che più si risponde ai perché e ai percome, più diventa facile raccontare la storia che si vuole narrare. Più si è specifici e si assommano dettagli, più si aprono possibilità, invece di chiudersene.

Il capitolo terzo (Story Construction) è anche abbastanza interessante, sebbene con troppa insistenza rimandi a leggere Characters and Viewpoint dello stesso Scott Card.

Copertina di Characters and Viewpoint
Copertina di Characters and Viewpoint

Gran parte del capitolo è dedicato ai vari tipi di storia e a seconda di quale tipo si scelga dove cominciare e dove far finire la storia. Scott Card elenca quattro tipi di storie che coprono la quasi totalità della fantascienza e fantasy pubblicato:
1) Milieu. Storie dove il fulcro è mostrare al lettore mondi strani e bizzarri, per esempio il classico I Viaggi di Gulliver. La storia inizia con l’arrivo del protagonista nel mondo strano e bizzarro e termina con la dipartita del medesimo (o con la sua decisione di fermarsi).
2) Idea. Storie basate su un’idea e sulle domande ad essa collegate. 2001: Odissea nello Spazio, chi, come, perché ha sepolto un misterioso monolito nero sulla Luna? La storia inizia con l’idea (il monolito) che porta con sé le domande e termina quando le domande trovano risposta (anche se nel caso di 2001 una risposta non troppo soddisfacente!)
3) Character. Storie basate intorno all’evoluzione di un personaggio. La storia inizia nel momento in cui il protagonista decide di cambiare la propria vita (per esempio sposarsi) e termina quando il cambiamento si è esaurito (si è sposato/ha capito il suo sbaglio ed è fuggito in Africa).
4) Event. Storie basate su uno o più eventi che cambiano l’ordine del mondo, e continuano finché l’ordine non è ristabilito o emerge un nuovo ordine. L’Iliade si apre con un “evento” che cambia l’ordine delle cose, l’ira di Achille, e prosegue finché Achille non riprende a combattere e uccidendo Ettore riporta il mondo in riga. È il tipo di storia più diffuso nel fantasy: il Male mette in pericolo l’ordine del mondo, gli eroi lo combattono finché non è sconfitto e l’ordine viene ristabilito (o in rari casi invece il Male vince e impone un nuovo tipo di ordine).

Secondo Scott Card uno scrittore dovrebbe sempre aver chiaro quale tipo di storia sta scrivendo rispetto a queste categorie, perché il lettore le riconoscerà subito e dunque storcerà il naso se inizio e fine non coincidono con le sue aspettative. In altri termini, se la storia è un giallo basato su un’idea (Carlo è stato buttato dal cinquantesimo piano: chi è stato? Perché?), sarà necessario cominciare la storia stessa il più vicino possibile al fattaccio e concluderla alla risposta delle domande. Iniziare la storia con il fidanzamento dell’Ispettore a capo delle indagini e concluderla con il suo matrimonio non sarà visto di buon occhio dai lettori!

Il capitolo quarto (Writing Well) si occupa più propriamente di tecniche di scrittura. Purtroppo in maniera un po’ vaga e sconclusionata, saltando spesso di palo in frasca.
Il particolare che più mi ha incuriosita è l’uso delle metafore: uno scrittore di fantascienza e fantasy dovrebbe stare attento, perché potrebbe essere preso alla lettera anche se non era sua intenzione! Viene citato un racconto, non di genere fantastico, nel quale un autobus è definito “reptile bus”: letto a due gruppi diversi di persone, le reazioni sono state opposte.
Il primo gruppo, composto per lo più di appassionati di fantascienza e fantasy ha subito pensato a giganteschi rettili usati per il trasporto delle persone. Il secondo gruppo, composto da lettori non particolarmente interessanti al fantastico, l’ha intuita una metafora: il bus era definito rettile perché il suo procedere lungo la striscia d’asfalto ricordava il movimento di un serpente.
Per la cronaca, aveva ragione il secondo gruppo. Il succo è che scrivendo fantascienza e fantasy ci si sta rivolgendo a un pubblico specialistico con le proprie idiosincrasie, della quali si dovrebbe tener conto.

Reptile Bus
Snake Bus of Bliss

Ho tralasciato di parlare del capitolo primo e dell’ultimo, il quinto, perché entrambi sono strettamente legati al mercato statunitense della fantascienza. Il primo capitolo dovrebbe occuparsi delle definizioni di fantastico, fantasy, fantascienza, ecc. ma Scott Card ammette che criteri oggettivi non esistano e che quello che è importante è solo capire cosa ne pensi l’editor di Omni, o della Isaac Asimov’s Science Fiction Magazine o della tal casa editrice, perché lo scopo ultimo è pur sempre quello di vendere le proprie opere.
Così il capitolo quinto si occupa di questioni pratiche, del tipo di mettere da parte i soldi per le tasse, evitare di bere o drogarsi e scartare gli agenti letterari che chiedono più del 10% sui guadagni. Tutto ciò è anche divertente da leggere, ma la vita dello scrittore di fantascienza in America non credo insegni molto rispetto all’Italia.

Una nota dolente: Scott Card cita nel corso del libro in particolare tre romanzi, da lui considerati tre capolavori della fantascienza, sia pure in ambiti diversi. I tre romanzi sono: Wild Seed di Octavia Butler, Dragon’s Egg di Robert Forward e Arslan di M.J. Engh. La nota dolente è che nessuno dei tre è mai stato tradotto in italiano.

Copertina di Dragon's Egg
Copertina di Dragon’s Egg

Questo How to Write Science Fiction and Fantasy con le sue 150 pagine o poco meno è una lettura veloce, che si consuma in un paio di giorni. È anche una lettura piacevole, perché Scott Card usa un tono colloquiale senza fronzoli o tecnicismi.
Come accennato, contiene qualche idea interessante, ma nel complesso mi ha trasmesso un’impressione di superficialità. Magari lo riguarderò dopo aver letto Characters and Viewpoint, visto che il signor Card ha insistito tanto!


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Giudizio:

Tre capitoli interessanti… +1 -1 …ma due praticamente inutili.
Qualche concetto su cui riflettere… +1 -1 …e altri che lasciano il tempo che trovano.
Lettura piacevole… +1 -1 …però un po’ troppo superficiale.

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12 Comments (Mostra | Nascondi)

12 Comments To "Recensioni :: Saggio :: How to Write Science Fiction and Fantasy"

#1 Comment By Angra On 4 ottobre 2007 @ 15:53

Scartare gli agenti che prendono più del 10%, eh? Credo che in Italia la norma sia del 20% :-/

Il problema è che riuscire a far leggere un romanzo ad un agente, per la mia esperienza, presenta le stesse difficoltà che farlo leggere ad un editore, rendendo del tutto inutile e parassitaria la stessa esistenza biologica dell’agente.

#2 Comment By Gamberetta On 4 ottobre 2007 @ 18:26

In realtà Scott Card consiglia di non star lì a perder tempo con un agente finché non si ha già almeno una proposta di contratto da una casa editrice. Infatti lui vede gli agenti più o meno come gli avvocati: gente in grado di riuscire a estorcere più denaro possibile dalle occasioni che capitano, estorcere a editori e pubblico, non ai propri clienti (per quello insiste nel non concedere più del 10%). Inoltre da scartare subito sono gli agenti che chiedono una tassa di lettura, perché appunto secondo lui l’agente ne capisce solo fino a un certo punto di letteratura, e il fatto di pagarlo così già in anticipo può ridurre la sua voglia di cavare soldi all’eventuale editore.

#3 Comment By Angra On 4 ottobre 2007 @ 19:49

A quelli che vogliono la tassa di lettura bisogna solo ridergli in faccia. Intascano i soldi e la cosa finisce lì, il libro non si sognano nemmeno di aprirlo.

#4 Comment By Andrea D’Angelo On 5 ottobre 2007 @ 10:53

Estremizzo il concetto, parlando per esperienza.
Contattare un agente ha senso soltanto quando hai già pubblicato almeno un romanzo. In primo luogo ti darà ascolto, perché non sarai il milionesimo inedito. In secondo luogo perché avrà qualcosa su cui fare leva e, quindi, valuterà seriamente la possibilità di proporti agli editori.

Da inediti si agisca con acume e in piena solitudine.

#5 Comment By Angra On 5 ottobre 2007 @ 11:22

E’ che non capirò mai perché la gente non dice dei sani NO. Tanto per fare un esempio, ho scritto ad un agente letterario italiano che lavora in Germania per chiedergli se voleva leggere il mio romanzo. Ha detto “Sì, volentieri, ci vorrà qualche settimana.” Dopo due mesi gli ho scritto e ha detto che ci vorrà qualche settimana. Sono passati quattro mesi. Ci vuole tanto a dire: “No, grazie, non mi piace leggere, preferisco la TV”?

Uno così dovrebbe essere, per contrappasso, teletrasportato da un mago malvagio in un mondo così:

Agente: “Scusi, mi dice l’ora?”

Passante: “Sì,” e se ne va.

#6 Comment By p.coso On 20 maggio 2009 @ 19:48

Forse arrivo in ritardo, ma Wild Seed é stato tradotto. Il titolo italiano è Seme Selvaggio, edito da Interno Giallo.
Credo lo si possa trovare su eBay.

#7 Comment By Gamberetta On 21 maggio 2009 @ 15:19

@p.coso. Hai ragione. Mi ricordo al tempo di aver consultato il catalogo Vegetti online e di non averlo trovato, devo aver fatto confusione. Grazie della segnalazione.
Fra l’altro è anche disponibile via emule.

#8 Comment By Anacarnil On 23 maggio 2009 @ 00:01

Gli agenti letterari che conoscono mi hanno parlato che il 10% è la “tariffa” standard in Italia. Poi non so. Comunque bellissima, questa di Angra:

Uno così dovrebbe essere, per contrappasso, teletrasportato da un mago malvagio in un mondo così:
Agente: “Scusi, mi dice l’ora?”
Passante: “Sì,” e se ne va.

Concordo sul fatto che l’autore debba porsi tante domande sul mondo che sta costruendo: secondo esperti del knowledge work questo è uno dei modi migliori per far creare al proprio cervello delle buone idee. E personalmente, le poche volte che mi sono esercitato a inventare mondi alternativi, ho proprio operato così.

Una postilla: Donald Knuth è una leggenda dell’informatica moderna, uno dei più grandi scienziati, a mio avviso, degli ultimi decenni. Magari, più che essere noioso lui, è che l’informatica non fa per te :)

#9 Comment By Pyros On 4 agosto 2009 @ 00:45

Ho trovato una recensione di Wild Seed in inglese, e mi sembra di notare qualche somiglianza con gli ultimi sviluppi del telefilm Lost.
Che abbiano preso ispirazione anche da quel libro?

#10 Comment By kull On 16 settembre 2009 @ 05:06

Quello stronzo di Card ha anche scritto un manuale su come diventare razzisti omofobi intolleranti?

#11 Comment By Maudh On 16 settembre 2009 @ 16:56

Ma se andava predicando l’amore per gli insettoni ammazza-uomini!

#12 Comment By Thx 1138 On 24 maggio 2013 @ 13:57

Per correggere, in minima parte, la nota finale e renderla meno dolente…
Wild Seed di Octavia Butler è stato pubblicato credo nel 1991come “Seme selvaggio” da Interno Giallo. :)


URL dell'articolo: http://fantasy.gamberi.org/2007/10/04/recensioni-saggio-how-to-write-science-fiction-and-fantasy/

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