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Wunderkind

Pubblicato da Gamberetta il 16 maggio 2009 @ 12:11 in Segnalazioni | 20 Comments

Disponibile su emule Wunderkind. Una Lucida Moneta d’Argento pubblicato un paio di mesi fa da Mondadori.

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Copertina di Wunderkind
Copertina di Wunderkind

Trama:

Parigi, autunno. È una lucida moneta d’argento a sconvolgere la vita di Caius Strauss. Perché è il dono di un orribile uomo dalla faccia di luna, e perché di lei è impossibile liberarsi: gettata nella Senna o sepolta tra i rifiuti, la lucida moneta d’argento torna sempre. La moneta è lo strumento con cui il male scritto nel destino di Caius ha scelto di manifestarsi, e la chiave per accedere al Dent de Nuit, il quartiere che nessuna mappa ha mai segnalato. Un mondo di tenebra in cui si annidano uomini dotati di un potere letale e luoghi misteriosi come la libreria Cartaferina, che vende oggetti capaci di realizzare desideri oscuri a prezzo del sangue. Nel cuore infetto di una Parigi lunare e apocalittica, una terribile rivelazione attende Caius: lui è il Wunderkind, il ragazzo per cui gli abitanti della città nascosta sono disposti a morire e l’uomo dalla faccia di luna è disposto a uccidere.

Questo romanzo, tanto per cambiare il primo volume di una trilogia, è l’esordio dell’autore, G.L. D’Andrea.
Nelle scorse settimane non sono mancati i consueti articoli/recensioni tanto positivi quanto sgangherati. Si è così scoperto che G.L. è più bravo di Barker(!), degno del miglior Gaiman(!!) e probabilmente pure Lovecraft(!!!) avrebbe qualcosa da imparare, tornasse per sbaglio dalla tomba. La cosa non invoglia precisamente alla lettura, ma dato che si tratta di un urban fantasy/horror e non ci sono elfi, prima o poi ci darò un’occhiata.


EDIT del 24 Maggio 2009. Recensito.


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20 Comments To "Wunderkind"

#1 Comment By Diego On 16 maggio 2009 @ 14:28

Grazie per la segnalazione, mi interessava. Avevo letto il prologo sul sito dell’autore e non è per niente bastato per fiondarmi in libreria. In questo modo potrò darci un’occhiata più approfondita. A chi dice che gli ebook sono una rovina… tsk… se vale lo comprerò certamente.

#2 Comment By Drest On 16 maggio 2009 @ 18:38

aspetterò la tua recensione, che leggere a schermo mi toglie gli occhi.

#3 Comment By An0n On 19 maggio 2009 @ 11:31

le trilogie stanno seriamente cominciando a seccarmi..aspetto l’era del Fantasy Autoconclusivo ( è così difficile scrivere una storia che abbia meno di mille pagine?)

In ogni caso,aspetto anche la tua recensione ^^

#4 Comment By Samy On 21 maggio 2009 @ 14:50

Che noia tutte queste trilogie! Concordo con An0n… è difficile scrivere un romanzo autoconclusivo? Ovviamente, le trilogie non vengono fatte perchè la lunghezza di 1500 pagine è fondamentale per la storia, solo per ricavarci più soldi possibile…

#5 Comment By Angra On 23 maggio 2009 @ 09:58

Sono arrivato a un terzo (vado avanti a fatica): direi una discreta schifezza, scritta in modo dilettantesco. Per ora il protagonista è il personaggio più nullo di tutta la millenaria storia della letteratura.

#6 Comment By matteo On 25 maggio 2009 @ 12:52

l’invidia è una brutta bestia, spero vi mangi i bulbi oculari.

#7 Comment By Angra On 26 maggio 2009 @ 10:59

Sai com’è: io quelli bravi e talentuosi li ammiro, quelli come D’Andrea invece li invidio.

#8 Comment By matteo On 26 maggio 2009 @ 12:54

ammiro il tuo sforzo cerebrale,24 ore di sgrillettamenti mentali.
occhio che ti caghi addosso

#9 Comment By Lo Zeno On 26 maggio 2009 @ 14:00

Ammiro il tuo sforzo cerebrale matteo, tutto quello che sai produrre sono insulti. Questo sì che è segno di intelligenza.

#10 Comment By selerian On 26 maggio 2009 @ 19:03

Qualcuno che è riuscito a scaricarlo potrebbe inviarmi questo libro per mail (a selerian_alastre@yahoo.it)? Non riesco proprio a convincere emule a prenderlo – oddio, vista la recensione, posso anche capire il povero mulo…

#11 Comment By Arya On 29 maggio 2009 @ 17:01

Anche se non sembrate così entusiasti di questo libro, vi comunico cmq che G.L. D’Andrea sarà presente a Rimini in occasione del festival Mare di Libri – Festival dei ragazzi che leggono che si svolge il 12, 13 e 14 giugno. Potrebbe essere un’occasione per sentire cosa diavolo lo ha spinto a scrivere l’ennesima trilogia fantasy. (Non ho letto neanche la trama, quindi non posso neanche permettermi di fare commenti, chiedo perdono!).
Se volete altre informazioni su Mare di Libri, sugli ospiti (ce ne sono veramente tanti, magari qualcuno interessa, chissà!) e sul programma, ecco il link! http://www.maredilibri.it/index.php/programma

#12 Comment By il Cercatore On 12 giugno 2009 @ 09:12

Ciao a tutti!!Magnifica recensione…è un blog stupendo.è da poco che sono entrato nel mondo degli e-book, e vorrei scaricare questo, ma nn riesco…qualcuno potrebbe girarmelo sulla mia e-mail(bradigeky@gmail.com). Grazie mille!!!

#13 Comment By Phlebas On 29 giugno 2009 @ 02:28

Ciao Gamberetta. Saltiamo i complimenti (che ti meriti). Un paio di considerazioni: io questo libercolo non l’ho letto, se dici che è brutto io non stento a crederti, per carità. Ma c’è un problema di tipo metodologico. Ad esempio:

Il male echeggia. In eterno. Irride i viventi in modi raffinati e crudeli. E dove ci fosse stato il male, dove la morte avesse portato il suo tocco, lì ci sarebbero state mosche. Ad ammiccare e svelare i segreti dei morti.

Una repellente sega mentale, non c’è dubbio.

E ora questo:
Tutti quelli che, dopo le incursioni, sgombravano le strade dai cadaveri, apparivano gentili e sottomessi. Vedere esseri umani in agonia, lordi di sangue, udirne il rantolo, rende umili. Fa lo spirito più sensibile, più illuminato, più desideroso di pace. Non è in simili circostanze che si diventa crudeli o sanguinari. È in un pomeriggio di primavera come questo, che improvvisamente ci si sente crudeli, mentre distrattamente si fissa il sole filtrare tra i rami sospesi sopra un prato ben curato come questo; è in simili momenti che può accadere, non credi?

Mishima, Il Padiglione d’Oro. Ha tutti i crismi della fuffa, se proprio vogliamo. Ma è grande scrittura. La diffenza è che Mishima sa scrivere e G.L.-coso no.

Il problema del tuo modo di far critica è che tu accusi direttamente il cosa, non il come. Io su questo non sono d’accordo. Tutti i discorsi sul POV, sulla necessità di visualizzare la scena, mi lasciano scettico. Per carità, non sono mai stato un sostenitore della scrittura anarchica, istintiva – che è il male – ma credo che la borsa dei trucchi di uno scrittore debba permettergli qualche gioco di prestigio. Parliamo di genere, va bene, ma non sta scritta da nessuna parte la parola fine alle potenzialità di un genere. Morselli ha preso l’ucronia e ne ha fatto veicolo di considerazioni sociologiche, storiografiche, esistenziali. Scrivendo nel contempo ucronie piacevolissime.

Mettiamola così: se Gadda redivivo si mettesse a scrivere fantasy, dovrebbe poter scrivere fantasy mettendoci dentro tutte le ruminazioni polilinguistiche e i POV ad minchiam che vuole. E quello sarebbe un buon fantasy: perché sarebbe un buon libro, non per altro. I generi sono strumenti come tutti gli altri, alla fine.

Sia chiaro, questa tiritera non vuole suonare astiosa o che: il lavoro che stai facendo qui è un gran lavoro. Però insomma, ci sono possibilità più ampie di quelle che prospetti tu.

#14 Comment By Gamberetta On 29 giugno 2009 @ 10:11

@Phlebas. Per sintetizzare un discorse che sarebbe lunghissimo, ci sono tre considerazioni da tener presente:
1) Uno dei cardini della narrativa fantastica è la verosimiglianza. Il lettore deve avere la sensazioni di leggere fatti “incredibili ma veri”, non di leggere stupidate inventate dallo scrittore di turno.
Se tu infili “ruminazioni polilinguistiche e i POV ad minchiam” per quanto possa essere bravo, comunichi però al lettore che quello che stai facendo è artefatto. L’autore sta solo raccontando una storia di sua invenzione. Lo sta facendo bene? Può darsi. È buon fantasy? Secondo me, no. È un buon esercizio di letteratura, un buon libro appunto, ma non un buon romanzo fantasy.
Poi può capitare l’occasione in cui un “trucco” è davvero efficace per la verosimiglianza, ma è l’eccezione, non la regola.

2) Non credo che i generi siano “strumento”. Il fatto che un romanzo fantasy sia veicolo di “considerazioni sociologiche, storiografiche, esistenziali” non è, parlando in generale, una buona cosa.
Perché? Perché tu sei appena tornato dalla Terra di Mezzo o da Bas-Lag o dal Paese delle Meraviglie: se il lettore percepisce che quello che racconti è uno strumento per veicolare le tue considerazioni, allora comincerà a sospettare che tu non abbia davvero visitato questi mondi fantastici. Che insomma, alla fin fine, stai solo raccontando stupidate (purché con arte).

3) I punti 1) & 2) sono ampiamente discutibili, tuttavia parlando di fantasy italiano il livello è così basso che non si pone neanche il problema. Non è che la Troisi o G.L. o la Strazzulla davvero meditano su come mescolare verosimiglianza, ruminazioni polilinguistiche o considerazioni sociologiche. Semplicemente scrivono così come capita. Quelle che segnalo non sono scelte (più o meno opinabili) sono errori grossolani, errori di gente che non sa neanche da che parte si comincia a scrivere narrativa.

#15 Comment By Phlebas On 29 giugno 2009 @ 14:19

@Gamberetta: Perfettamente, la Strazzu e similari sono al di sotto della soglia critica, nel senso che se può parlare più o meno solo come fai tu. Questo è fuor di dubbio. L’altro discorso è che i mondi stessi sono artefatti di scrittura. Un testo fantastico è, a grandi linee, un atto linguistico performativo che chiama in essere il mondo. Mai creduto che esista, in questo senso, una linea di netta divisione tra forma e contenuto (e poi è anche il pensiero di Adorno, per dirne una). La parola (e intendo proprio la parola dell’autore) è parte di CittàLaggiù quanto la birra ghiacciata. Non lo so, credo che tu non abbia una gran fiducia nelle possibilità di un bravo scrittore di “fare” il mondo a parole. Tanto per tornare a Morselli: proprio nel mezzo di Contropassato Prossimo c’è una tirata in forma di intervista sul significato filosofico dell’ucronia. Ma proprio così, all’intrasatto. La morte della suspension of disbelief? Parrebbe, e invece no. Perché? Perché Morselli prende la strada opposta, invece di spacciarti il suo mondo come vero ti dimostra che anche il nostro è falso. Una delle possibilità di cui parlavo. Se non l’hai letto, leggilo. Poi per carità, giusto un consiglio.

#16 Comment By Phlebas On 29 giugno 2009 @ 14:39

^_^P.S.: dimenticato una cosa. Il discorso che fai tu ha insita un’impossibilità. Non si può narrare un mondo dall’interno del mondo. Quindi la differenza tra il fantastico riuscito e quello fallito è una differenza di artifici. Prendi Tolkien: con un minimo di conoscenze (basta un mezzo saggio di filologia germanica) capisci benissimo che quello è il mondo concettuale della poesia skaldica e delle saghe. Stesse relazioni sociali, stesse strutture mentali, il significato stesso dell’anello, e così via. E magari ti chiedi che ci fanno Beowulf e Sigfrido nella Terra di Mezzo, come si spiega una convergenza culturale così spiccata et cetera… Ma non è che se appare il filo allora lo spettacolo di marionette è sputtanato: il lettore si adatta, fa opera di compensazione. C’è un grado di “coerenza dell’invenzione” oltre il quale non puoi andare: un discorso quantitativo, quindi, non qualitativo.

#17 Comment By Tapiroulant On 29 giugno 2009 @ 17:28

Vorrei inserirmi nella discussione. Sono pienamente d’accordo con il punto 3, ma ho delle perplessità circa i punti 1 e 2. Siamo sicuri che i lettori dai generi letterari del fantastico (e dal fantasy in particolare) cerchino solamente l’appagamento del sense of wonder, vogliano solamente essere trasportati in un mondo fantastico coerente e credibile? Molti sicuramente sì, e tu tra questi. Ma altri scrittori utilizzano questi generi e queste ambientazioni anche per scopi che esulano dalle stesse e che ci riportano al mondo reale, o che addirittura svelano l’inganno letterario (alcuni es: molte delle Cosmicomiche di Calvino, I fiori blu di Queneau, Il giro di vite di Henry James, Scorrete lacrime, disse il poliziotto di Philip K. Dick; e a quanto mi dicono – non li ho letti – molti romanzi di Kurt Vonnegut e Thomas Pynchon, che pure sono riconosciuti come scrittori ‘di genere’). La mia domanda, assolutamente non polemica, è: è giusto etichettare siffatti esempi come buoni libri ma come pessima narrativa del fantastico, o denunciare come ‘errori’ la volontà di buttar giù la maschera o comunque di utilizzare il fantastico per finalità più ‘reali’? Mi sembra una scelta abbastanza arbitraria, scelta più per un gusto personale e per comodità pratica, piuttosto che per una ragione letterariamente fondata.

#18 Comment By Gamberetta On 30 giugno 2009 @ 10:15

@Tapiroulant. Come dicevo i punti 1) & 2) sono discutibili.
Ti faccio un esempio pratico per farti capire quello che intendo: mettiamo tu scriva un romanzo ambientato in una caserma. Fai parlare tutti i personaggi come fossero professori di filosofia, per stile e contenuti.
Stai scrivendo bella prosa? Può essere.
Stai svolgendo attraverso i dialoghi interessanti considerazioni sociologiche? Può essere.
È buona narrativa? No.
Perché non “inganni” nessuno. Tutti si rendono conto che è tutto falso, che nessuna caserma è piena solo di professori di filosofia (escludendo ovviamente che tu stia scrivendo una parodia o simile).
Ora, i romanzi sono narrati o dal punto di vista dei personaggi o dal punto di vista del Narratore. Ma il punto di vista del Narratore non è una buona scelta, dato che è intrinsecamente inverosimile che ci sia questa voce incorporea che racconta.
Perciò, per stile e contenuti, sei limitato dai personaggi che ti scegli e dall’ambientazione. Puoi fare quello che vuoi e piegare il “fantasy” a ogni tuo capriccio linguistico o filosofico, però, se questo diventa evidente, se la storia diventa inverosimile, per me non è più buona narrativa. Potrebbe rimanere un buon libro. Potrebbe essere piacevole da leggere. I contenuti potrebbero essere interessanti, ma mancano le basi perché sia una bella storia.

Poi come dice Phlebas è un continuo. Non c’è un limite netto fra ciò che è verosimile e ciò che non lo è. Ogni romanzo ha un grado di verosimiglianza e “funziona” quando supera le aspettative del lettore (che spesso sono basse: se sei una dodicenne cerebrolesa probabilmente Troisi e Meyer ti sembrano sul serio realistiche).
Il sense of wonder è un altro discorso. Secondo me è parte integrante della narrativa fantastica, ma si può sicuramente immaginare uno scenario fantasy del tutto verosimile e che non offra alcun sense of wonder. Non sarebbe un “errore”, ma a parer mio sarebbe comunque un’occasione sprecata.

#19 Comment By Tapiroulant On 30 giugno 2009 @ 15:35

@Gamberetta: Pensandoci su, credo che tu abbia ragione. Alcune opere di ispirazione fantastica, o comunque fortemente surrealista, con un sacco di pretese intellettuali o comunque simbolistiche, suonano stucchevoli e artificiose e mi fanno passare l’interesse (mi vengono in mente soprattutto esempi cinematografici: Inland Empire di Lynch, Waking Life di Linklater o Izo di Miike, di cui hai parlato, dicendo forse non a torto che si tratta solo di un ‘esercizio di stile’ che fa finta di essere intellettualoide). Sono senza dubbio d’accordo che, anche quando l’intento metaforico o metaletterario etc. c’è ed è svelato, il mondo fantastico debba mantenere una sua credibilità e coerenza interna: altrimenti cessa di essere narrativa e diventa, chessò, una speculazione filosofica, un saggio, un esercizio di stile.
Una sola cosa su cui non sono d’accordo: il punto del vista del Narratore come ‘inverosimile’. Questo è vero oggi, e io stesso tenderei a disdegnare un romanzo scritto con POV onnisciente. Ma non è vero se cominciamo a guardare retrospettivamente a molti romanzi dell’Ottocento o prima: la vecchia abitudine voleva che il Narratore facesse sentire la propria presenza ad ogni piè sospinto, proprio perché il gusto dell’epoca chiedeva che venisse tenuta a mente la natura letteraria e fittizia di quel che si stava dicendo (non a caso aveva molto successo lo stereotipo del ‘manoscritto letterario ritrovato’, della trascrizione di autore in autore etc.). Se non ricordo male anche ne I viaggi di Gulliver, per quanto si seguisse sempre il protagonista, il Narratore si rivolgeva spesso direttamente al lettore o si lanciava in digressioni avulse dalle esperienze di Gulliver (ma potrei sbagliarmi, l’ho letto anni fa). Credo che l’utilizzo di POV limitati sia nato con la nascita dei racconti o romanzi di ‘genere’, da quelli gotici di Poe ai barbosi romanzi epistolari di Goethe o Foscolo, dove era importante che il lettore si ‘immergesse’ nella vicenda. Uhm… forse hai ragione tu: per immergersi nella storia è necessario che il Narratore sparisca. Boh, alla fine non è nemmeno una critica (ho sviluppato i miei pensieri mentre scrivevo^^’).

#20 Comment By gianni On 20 maggio 2015 @ 10:14

Molto molto interessante. Tutta la parte relativa al POV ad “assetto variabile” e al pensiero dei personaggi, come parte delle loro caratteristiche, del LORO modo di pensare e non di quello di chi scrive, è davvero molto interessante.

Il coniglio alato invece è sublime.

:)

Ps.: che faccio? Ho videogiocato dai primi anni ’80 niente camici né sciroppi, quindi sono scemo? :D


URL dell'articolo: http://fantasy.gamberi.org/2009/05/16/wunderkind/

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