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Recensioni :: Saggio :: Worlds of Wonder: How to Write Science Fiction & Fantasy

Pubblicato da Gamberetta il 4 dicembre 2007 @ 18:16 in Libri,Recensioni,Scrittura,Straniero | 16 Comments

Copertina di Worlds of Wonder Titolo originale: Worlds of Wonder: How to Write Science Fiction & Fantasy
Autore: David Gerrold

Anno: 2001
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Editore: Writer’s Digest Books

Genere: Manuale di scrittura
Pagine: 246

Iniziamo con una citazione da incorniciare e far stampare sulle magliette:

bandiera EN Concentrate on precision. Don’t worry about constructing beautiful sentences. Beauty comes from meaning, not language. Accuracy is the most effective style of all.

bandiera IT Concentratevi sulla precisione. Non preoccupatevi di costruire belle frasi. La bellezza nasce dal significato, non dal linguaggio. L’accuratezza è lo stile più efficace che esista.

Io dico lo stesso! Perciò se non vi fidate di me, magari potreste fidarvi del signor Gerrold.
Per chi non lo conoscesse, David Gerrold è uno scrittore di fantascienza. La sua opera più famosa è forse il ciclo de La Guerra contro gli Chtorr, che allo stato attuale si compone di quattro volumi, con altri tre in arrivo. Gerrold è stato anche sceneggiatore per Star Trek ed è sua la sceneggiatura di The Trouble with Tribbles (Animaletti Pericolosi) una delle più conosciute puntate della serie originale.

Copertina di A Rage for Revenge
A Rage for Revenge, terzo volume de La Guerra contro gli Chtorr

Se devo essere onesta, La Guerra contro gli Chtorr, della quale ho letto solo il primo romanzo, non mi è piaciuta. Anche se più per i temi e la filosofia di fondo che non per via dello stile di scrittura. In compenso questo Worlds of Wonder mi ha molto divertita. È scorrevole, tratta un sacco di argomenti, grazie ai capitoli brevi e incisivi, ed è lettura piacevole. Mi sento di consigliarlo a chiunque sia interessato allo scrivere in generale o alla fantascienza. Non importa se la scrittura sia solo un hobby, la si voglia far diventare una professione, o non si abbia mai scritto mezza riga in vita propria, questo Worlds of Wonder è interessante lo stesso!

È difficile fornire una mappa di Worlds of Wonder. I tanti capitoli balzano da un argomento all’altro, trattando i più disparati aspetti dello scrivere narrativa fantastica. Questo è forse anche l’unico difetto del libro: troppa carne al fuoco, certi argomenti avrebbero meritato di essere approfonditi con maggior attenzione.

Quello che mi ha colpita:

Le motivazioni dello scrivere. Di solito gli scrittori si trincerano dietro motivi nobili e altruistici (be’, un po’ lo faccio anch’io!), o al massimo dichiarano di scrivere in primo luogo per se stessi. Gerrold confessa con molta sincerità che per tanti anni della sua carriera i due motivi che lo spingevano erano la rabbia e la paura. Rabbia verso il suo primo insegnante di scrittura, secondo il quale il povero Gerrold non sarebbe mai diventato uno scrittore, e paura di non riuscire a scrivere abbastanza, e di non aver niente da mettere sotto i denti a fine mese!
Quando la rabbia verso quell’insegnante è sfumata e il successo l’ha messo al riparo dalla paura, Gerrold si è trovato in crisi. L’ha superata cercando nuove motivazioni, che lui ha trovato nell’entusiasmo. Detta così sembra una frase fatta, ma leggendo Worlds of Wonder, l’entusiasmo di Gerrold risulta evidente, tanto che se dovessi definire Worlds of Wonder con un solo aggettivo sarebbe appunto entusiasta. Un libro entusiasta.
Sempre riguardo motivazioni più o meno bizzarre: Gerrold ricorda che Ray Bradbury, in un periodo della sua di carriera, si era messo in testa di scrivere un racconto a settimana, in modo da trovarsi alla fine dell’anno con 52 racconti. Il ragionamento di Bradbury era questo: non è possibile che 52 racconti fossero tutti brutti, scrivendone così tanti, almeno uno buono sarebbe venuto fuori!

Ray Bradbury
Uno dei grandi della fantascienza: Ray Bradbury

Valutare le conseguenze. Gerrold porta l’esempio di un personaggio che si sveglia in una stanza di un futuro albergo lunare e guarda fuori dalla finestra. Ogni particolare che osserva ha tutta una serie di conseguenze a catena. Se osserva una pianta vuol dire che c’è aria e acqua, se c’è aria e acqua qualcuno ce le ha portate. Portarle dalla Terra è inefficiente, perciò è probabile siano stata estratte dai minerali lunari; dove? Con quali processi? Che tecnologie sono necessarie? La presenza di tali tecnologie cos’altro implica?
Partendo dal semplice guardar fuori dalla finestra, Gerrold costruisce l’intero ecosistema della Luna futura, piazza insediamenti dove dovrebbero essere, reti ferroviarie, infrastrutture, fabbriche automatizzate e quant’altro. Senza forzature, solo ponderando le varie conseguenze di un singolo particolare, e le conseguenze delle conseguenze e le conseguenze delle conseguenze delle conseguenze.
Lo stesso esperimento applicato al fantasy ottiene risultati simili, sebbene non altrettanto inevitabili, per ovvie ragioni.
Un punto interessante che emerge è la tendenza dei lettori a distillare le proprie “regole”: se nel mondo fantasy tal dei tali le scope parlano, le spazzole parlano e gli strofinacci parlano, il lettore assumerà che anche il resto degli utensili per la pulizia parlino. Negare ciò rende meno credibile il mondo.

E-Prime. Gerrold nella sua carriera ha sperimentato diverse tecniche narrative (un altro capitolo si occupa per esempio della prosa metrica), una particolarmente curiosa è l’E-Prime. E-Prime è un tentativo di eliminare l’uso del verbo essere (to be) dalla lingua inglese. In generale è un discorso piuttosto complesso e non ho le conoscenze di semantica necessarie per affrontarlo, ma dal punto di vista narrativo, i sostenitori dell’E-Prime fanno notare due vantaggi che deriverebbero dalla soppressione del verbo essere:
Primo: diviene difficile creare frasi al modo passivo, perciò lo scrittore è più al sicuro da questa “trappola”.
Secondo: il verbo essere cristallizza la realtà. “Il cielo è nero”, è un’istantanea della situazione, ferma. Ma la narrazione è per sua natura movimento, azione in senso lato. Il verbo essere è intrinsecamente contrario al movimento. “Il cielo diviene nero”, “Il cielo sembra nero”, sarebbero espressioni migliori perché più orientate all’azione.
Se sia vero o no, non saprei dire. Gerrold ha creduto di sì e ha scritto, con grandissima fatica, data l’abitudine di ognuno di usare il verbo essere, due romanzi: Under the Eye of God e A Covenant of Justice. I risultati sono stati interessanti: quasi nessuno si è accorto che fossero scritti in E-Prime, e dopo che Gerrold lo faceva notare la reazione era sullo stile di “E allora?”
In altre parole si può scrivere senza problemi in E-Prime, ma i vantaggi per la narrazione non sono poi così ovvi. Ulteriore dimostrazione la si ha alla fine del capitolo, quando Gerrold svela di averlo scritto in E-Prime!
In effetti non me n’ero accorta, e d’altra parte non sembra un capitolo scritto meglio degli altri.

Copertina di Under the Eye of God
Under the Eye of God: romanzo scritto in E-Prime

La forza delle parole. In un capitolo che sconfina nella filosofia, Gerrold parla della forza delle parole, di come, pur essendo niente più che simboli, siano in grado di influenzare la realtà. Non cercherò di riassumere i ragionamenti di Gerrold, però mi ha deliziata la conclusione, dove si dimostra che il Maestro Yoda merita davvero il titolo di Maestro e che l’immortale (aggettivo di Gerrold) battuta “Do or do not. There is no try.” (Fare o non fare. Non esiste provare.) contiene reale saggezza.

Il Maestro Jedi Yoda
Do or do not. There is no try.

I primi dieci romanzi. Un “trucco” psicologico che Gerrold suggerisce è quello di considerare il primo milione di parole che si scrive, o i primi dieci romanzi come semplice allenamento. Se vengono pubblicati bene, ma era solo uno scaldare i muscoli, se vengono rifiutati non importa, era solo far pratica. Così non ci si deve abbattere per le critiche, non hanno molto senso le critiche a romanzi che siano solo esperimenti e prove, e non si corre il rischio di esaltarsi troppo per i complimenti, perché in effetti un vero romanzo non lo si è ancora scritto!

Quello che mi ha colpita in modo negativo:

Come accennavo, soprattutto un po’ troppa fretta su certi argomenti. Per esempio il capitolo dedicato ai punti di vista mi è sembrato superficiale e l’analisi molto meno attenta di quella di Scott Card.
I due capitoli dedicati allo scrivere scene di amore e sesso anche non sono venuti fuori molto bene. Gerrold ammette come sia difficile dal punto di vista tecnico e imbarazzante sul piano personale trattare certi argomenti, e… non offre soluzioni! Ci sono solo alcuni esempi tratti da suoi romanzi presenti e futuri, esempi dai quali non sono riuscita a cavar molto. La scena d’amore in particolare mi è parsa molto fiacca.

In conclusione.

Bello! Anche al di là degli argomenti che possono interessare o meno, l’entusiasmo di Gerrold è evidente e oserei dire contagioso. Infatti oggi sono di buon umore. Dovrò leggere un altro pezzettino de Un Nuovo Regno prima di andare a dormire, o potrei svegliarmi domani ancora allegra!


Approfondimenti:

bandiera EN Worlds of Wonder su Amazon.com
bandiera EN David Gerrold su Wikipedia
bandiera EN Il sito ufficiale di David Gerrold
bandiera EN The Trouble With Tribbles su startrek.com
bandiera IT I primi quattro romanzi de La Guerra contro gli Chtorr in volume unico su iBS.it

bandiera EN E-Prime su Wikipedia
bandiera EN Ray Bradbury su Wikipedia
bandiera EN Yoda su starwars.com

 

Giudizio:

Tanti argomenti interessanti. +1 -1 Alcuni trattati con superficialità.
Il capitolo sull’E-Prime. +1 -1 Sesso & amore.
Il capitolo “filosofico”. +1
Il capitolo sulla verosimiglianza. +1
Molti degli altri capitoli. +1
Entusiasmo contagioso. +1

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16 Comments (Mostra | Nascondi)

16 Comments To "Recensioni :: Saggio :: Worlds of Wonder: How to Write Science Fiction & Fantasy"

#1 Comment By Angra On 4 dicembre 2007 @ 21:40

Son stato sul suo sito: simpatico. Gli ho dato un paio di dollari per portare il cane dal dentista… ho un cane anch’io.

#2 Comment By Gamberetta On 4 dicembre 2007 @ 22:24

La storia della carità per il cane è patetica. Ma a sentir Gerrold chiedere l’elemosina sarebbe onorata tradizione degli sceneggiatori. Mah!

#3 Comment By Angra On 4 dicembre 2007 @ 22:40

Col cambio favorevole euro/dollaro possiamo anche permetterci di fare i signori con gli americani ^_^

Se è un’onorata tradizione ci provo anch’io, che son sceneggiatore di fumetti e non so cosa sia la vergogna ;)

#4 Comment By Andrea On 6 gennaio 2010 @ 18:01

Secondo te l’esercizio che viene proposto circa gli alieni potrebbe essere applicabile anche alle razze fantasy, anche quelle clichè ed inflazionate come gli elfi?
(lo so, gli elfi sono ovunque ed escono anche dalle fottute pareti, ma si può provare a cambiarli… che so, qualcosa tipo un clan di chirurghi elfi necrofili)

#5 Comment By Gamberetta On 6 gennaio 2010 @ 21:49

@Andrea. Certo. I consigli di Gerrold possono essere applicati al fantasy senza problemi. Però la speranza è che si parta dagli Elfi e si arrivi da qualche altra parte. Qualunque parte. Basta che non siano più Elfi! ^_^

#6 Comment By Andrea On 9 gennaio 2010 @ 16:01

Pensavo di rielaborarli come razza epicurea che fa uso del quadrifarmaco. A livello di chlichè manterrei solo il fisico allampanato e la maggior percezione sensoriale (ovvero: non come Legolas che vede più lontano coi suoi “occhi da elfo”, ma semmai una scala di diotrie più alta) da cui deriva poi il meccanismo incoscio della Sensazione e dell’Emozione. Sul piano etico pensavo però di non fare distinzione su quale piacere si persegue, o la razza ricadrebbe nel clichè.
Dici che potrebbe suonare oppure è solo brodaglia riscaldata?

#7 Comment By Andrea On 9 gennaio 2010 @ 16:55

Ah, prima che gli elfi necrofili sembrino una “stronzata” illogica: trovi coerente dire che la loro ossessione per la morte derivi dal piacere che perseguono?
Scusa l’ossessività, ma circa quello che scrivo mi sento un po’ “come se Gamberetta mi vedesse”.

#8 Comment By Gamberetta On 9 gennaio 2010 @ 17:15

@Andrea. Detto così non saprei. La razza è “tua” e puoi crearla con tutte le motivazioni psicologiche che preferisci. Ma comunque tieni presente che è più importante quello che fai con il singolo personaggio elfico, che non con la razza in generale. Se fai un elfo originale e affascinante può essere sufficiente anche se i colleghi sono cliché.

#9 Comment By pu*pazzo On 10 gennaio 2011 @ 01:10

io amo la guerra contro gli chtorr ! Vorrei assolutamente leggere questo libro, ma a quanto ho capito non è stato tradotto, giusto? (accidenti alla mia ignoranza ) vabbe …
riguardo al discorso che faceva Andrea sui cliché … Non trovate che tutta la letteratura di genere sia fondata un po’ su cliché? certo ci sono quelli che ormai conosciamo fino alla nausea (elfi, per esempio XD) ma anche solo partire dal presupposto che un fantasy debba essere pieno di azione … non è anche quello un cliché? lo chiedo perché spesso mi trovo a pensare che il mio libro non sia affatto un fantasy. Anche se l’azione è presente non è assolutamente il cardine della storia. Anzi spesso è secondaria, presente solo sullo sfondo come colore. E dunque? se viene a mancare un cliché così importante il libro cambia di genere? che differenza c’è in un libro fantasy tra canoni (se esistono, e mi par di capire di si) e cliché ? e perché gli uni sono raccomandabili mentre gli altri sono esecrabili (con rima annessa) ? seghe mentali a go go questa notte! (spero di essermi fatto capire …sono alquanto cervellotico XD)

#10 Comment By Gamberetta On 10 gennaio 2011 @ 09:26

@pu*pazzo.

[...] ma anche solo partire dal presupposto che un fantasy debba essere pieno di azione … non è anche quello un cliché?

Quello non è un “cliché” del fantasy, è una caratteristica della (buona) narrativa di genere. Eccezioni a parte, nella narrativa di genere, il lettore ti segue per la storia. Se la storia non va da nessuna parte (ovvero non c’è azione), il lettore si annoia.
In altri termini: devi sempre far succedere qualcosa. Non necessariamente dev’essere qualcosa di violento, ma devono verificarsi eventi e fatti.

#11 Comment By Il Guardiano On 10 gennaio 2011 @ 21:36

Se la storia non va da nessuna parte (ovvero non c’è azione), il lettore si annoia.

Una storia non deve avere per forza azione per non annoiare.
Penso a “intervista col vampiro”…di azione ne ricordo poca e quella che ricordo è solo marginale. La storia viene portata avanti dal conflitto di Luois.

#12 Comment By pu*pazzo On 11 gennaio 2011 @ 00:02

Non riesco a capire cosa intenda gamberetta per “azione”. Se si tratti dell’azione in senso popolare del termine (ad esempio die hard è un film d’azione, lezioni di piano no XD) oppure se lo intenda come una cosa più generale, sinonimo di “avvenimenti”. Nel secondo caso sono ovviamente d’accordo (anche se uno dei miei fumettisti preferiti è jiro taniguchi, che crea storie meravigliose fatte spesso di nulla… :)) altrimenti boh … Logico, un libro pieno di scontri, mostri da abbattere, battaglie etc tiene maggiormente l’attenzione del lettore. Secondo me però non è detto che un libro incentrato su temi meno “movimentati” non sia ugualmente avvincente.
Ma il mio ragionamento esulava da questo. Mi chiedevo piuttosto se la letteratura di genere non fosse in fondo una sorta di insieme di cliché, alcuni poco apprezzati perche esausti (come gli elfi appunto) altri ancora fondamentali e perciò assurti a canoni (come le battaglie, la magia etc etc ) ^^ Insomma, si dice che se non ci sono determinati canoni un libro non è fantasy …ma che differenza c’è tra canoni e cliché allora ?

#13 Comment By Gamberetta On 11 gennaio 2011 @ 16:38

@pu*pazzo. Come ho specificato, parlo di “azione” in generale, non di “azione violenta”. Fatti, accadimenti, succede qualcosa. Qualunque cosa. C’è un personaggio che prende e va a mangiare il gelato, o si arrampica su una montagna, o si iscrivere a un corso di uncinetto. Insomma si muove (possibilmente in relazione allo sviluppo della trama).
Non c’è azione quando il personaggio rimugina. Guarda il paesaggio. Riflette. Si interroga sulle grandi questioni del nostro tempo. Rimugina ancora. Rimane a letto tutto il giorno. Ripensa alla sua vita composta da infiniti episodi di rimuginamento.
Non c’è azione quando il narratore snocciola dati storici. Parla della genealogia della cugina della moglie di un personaggio secondario. Fa la morale. Parla del ramo del lago di Como.

Insomma, si dice che se non ci sono determinati canoni un libro non è fantasy …ma che differenza c’è tra canoni e cliché allora ?

Che non ci sono quei canoni che credi nel fantasy. La magia, la battaglia, gli elfi, l’Oscuro Signore, il Bene e il Male, ecc. ecc. sono i canoni dell’high fantasy, uno dei tanti sottogeneri del fantasy. Il fantasy in generale non ha particolari canoni, al di là di fantasia e verosimiglianza.

#14 Comment By pu*pazzo On 11 gennaio 2011 @ 21:13

ahhh allora siamo completamente d’accordo gamberetta! sai che noia mortale altrimenti ;)

Tempo fa ho discusso con un mio conoscente, un piccolo editore, sulla questione “canoni”.
Avendo saputo per vie traverse che stavo scrivendo un libro ha cominciato a farmi domande. Gli ho raccontato per sommi capi la storia e lui mi ha subito sottolineato che il mio NON era un fantasy. Ha anche elencato una serie di cliché (che chiamava però canoni) che secondo lui non potevano assolutamente mancare nel genere. Tra questi c’erano appunto l’azione (intesa come azione violenta) la magia, le battaglie, il tema del viaggio (questo mi ha lasciato abbastanza perplesso .. perché ? O.o), la molteplicità razziale, il bene contro il male etc etc (non ha menzionato gli elfi però XD)
Tra l’altro è anche un editore abbastanza famoso in città, che si vanta di essere attivo da molti anni e avere una grande cultura di narrativa di genere (specie fantasy e fantascienza appunto). Non nascondo che mi ha buttato un po’ in crisi … da questo le mie seghe mentali ^__^

#15 Comment By france On 11 gennaio 2011 @ 23:08

Questo dei “canoni” è un problema tipicamente italiano, e nasce da una questione linguistica in realtà.

“Fantasy” in inglese significa “fantastico”. Quindi lo puoi dire di King come di Mark Twain come di Verne.
Per “fantasy” inteso come razze non-umane, altri mondi, altri usi e costumi ecc. si usa “science fiction”, tradotto, un po’ impropriamente, in Italiano come “fantascienza”.
Poiché in Italia la fantascienza è arrivata principalmente con la collana Urania di mondadori dagli anni ’60 in poi, il termine “fantascienza” si è trovato ristretto notevolmente rispetto all’origine, significando astronavi, robot e tecnologia futuristica.
Quando venne il momento di importare science-fiction non futuristica, gli editori si trovarono di fronte a un problema.
Parlare di “fantastico” come genere letterario non era possibile, a causa della sua accezione come sinonimo di “bellissimo, stupendo”.
Dovendo usare un altro termine si usò direttamente quello originale “fantasy”; ma in quel modo lo si ghettizzò, poiché venne associato esclusivamente a opere di High Fantasy, e NON genericamente fantastiche. Da qui l’incomprensione, che perdura ancora oggi.

Per come la vedo io, se in Italia parli di Fantasy, intendi qualcosa di simile all’High Fantasy. Se no è più corretto parlare di “narrativa fantastica”. Per me Mark Twain, King e Verne ricadono nella “narrativa fantastica”, così come qualunque cosa che abbia elementi soprannaturali di contorno o importanti, ma non rispetti i canoni dell’High Fantasy, ovvero:
- razze diverse da quelle umane, sia amiche che nemiche;
- bene contro male;
- viaggio e ricerca;
- magia;
- armi bianche;
- ambientazione medievaleggiante.

Se cambi uno di questi elementi, è sempre Fantasy, per quanto mi riguarda: ad esempio, in Guerre Stellari cambia l’ultimo punto; ma il resto è perfettamente nei canoni, e lo considero infatti uno Space Fantasy. Nella saga dei Guardiani di Lukjanenko sono diversi gli elementi mancanti, o cambiati: niente armi bianche, niente viaggio-e-ricerca, e ambientazione contemporanea. Tuttavia quello che rimane (magie, altre razze, bene VS male) è così preponderante e al centro della narrazione che si può benissimo considerare fantasy.
Così la vedo io.

Ma ripeto, questo vale per l’Italia. Oltreoceano “fantasy” racchiude millemila cose al suo interno, e non a caso esistono miriadi di sottogeneri.
Però, in Italia, se io entro in una libreria e chiedo un fantasy, e mi danno un new weird, rimango scontento. Perché, in Italia, culturalmente, la parola straniera “Fantasy” non è sinonimo di “narrativa fantastica”.
E noi viviamo in Italia.

#16 Comment By Sandavi On 8 giugno 2012 @ 22:11

sto leggendo or ora Worlds of Wonder e lo trovo squisito. E’ un saggio eccellente, anche se ammetto che la mia esperienza è limitata (due di Frey e il saggio di Mittlemark). Ad ogni modo mi sembra un passo fondamentale anche solo per pensare di scrivere qualsiasi cosa, in particolare letteratura fantastica, anche se mi sembrano consigli applicabili a qualunque genere letterario.
Se questi pomposi scrittorucoli italiani imparassero qualcosa da Gerrold non ci ritroveremmo questa montagna di spazzatura letteraria che affolla le librerie….


URL dell'articolo: http://fantasy.gamberi.org/2007/12/04/recensioni-saggio-worlds-of-wonder-how-to-write-science-fiction-fantasy/

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