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Educazione e Timidezza

Pubblicato da Gamberetta il 12 novembre 2007 @ 00:09 in Insalata di Mare,Scrittura | 78 Comments

Uno scrittore si esprime così:

Il cielo era nero.

Uno scrittore dilettante si esprime così:

Era come se un gigante piangesse. Lacrime d’inchiostro scuro, della stessa tonalità che ammanta le più perigliose profondità marittime. Tali lacrime colavano lentamente, strappando la luce del giorno e stendendo un velo di tenebra sulla vastità del cielo.
Infine scese l’ultima goccia, l’ultimo singhiozzo del gigante a coprire l’ultimo spiraglio di luce. Il cielo era diventato del colore che colore in sé non è, bensì privazione di ogni altro.

Non sto a sottolineare tutti gli errori presenti nel secondo brano. Spero bene che nessuno tra gli scrittori o gli aspiranti tali preferisca il secondo brano. Se tale è il caso, non mi spiace dirlo: lasciate perdere e datevi all’ippica!

Darsi all'Ippica
L’ippica può dare grandi soddisfazioni!

Perché gli scrittori dilettanti sentono molto spesso il bisogno di scrivere come nel secondo brano? Perché riempiono i loro scritti di avverbi? Perché, quando parla un personaggio, aggiungono: in tono amorevole, irato, scontroso?

C’è chi è negato, c’è chi lo fa apposta, avendo una gran confusione in testa riguardo all’Arte, e infine c’è chi è vittima di un misto di timidezza e mal compresa educazione. Gli scrittori dilettanti hanno il terrore del giudizio altrui. Perciò, frenati da tale paura, non riescono a essere sinceri. Il cielo è nero, non riescono a dirlo perché pensano: “Oh, mio Dio! Se dico che il cielo è nero, chissà la gente cosa penserà di me!” Così vanno avanti a furia di similitudini e giri di parole, in modo che niente sia chiaro e diretto, e tutto sia interpretabile. In questa maniera si sentono più tranquilli, nessuno potrà incastrarli! Nessuno potrà accusarli di pensare il cielo nero! E se qualcuno lo fa, oh, be’, c’è forse scritto “nero” da qualche parte?

C’è poi la parte deleteria dell’educazione. Lo scrittore dilettante pensa: “Il cielo è nero, è giusto che dica sia nero, però magari offendo qualcuno? Meglio non dire che sia proprio nero, così non scontenterò nessuno!” Perché essere categorici è considerata maleducazione. Non si può dire che le cose stanno come stanno, qualcuno che la pensi diversamente si potrebbe offendere. Oh, no!
E se sul piano dei rapporti sociali si può discutere se tale tipo di “offesa” rientri nella maleducazione, quando si scrive bisogna fregarsene! Bisogna essere sinceri.

Copertina de Le Regole del Bon Ton
Le Regole del Bon Ton: eccolo davvero un manuale inutile!

Con gli avverbi è uguale. “Tizio era parzialmente sdentato”, non è tanto che si voglia dare una gradazione all’essere sdentati, è che si ha timore a dire: “Tizio era sdentato”, perché suona così definitivo. E sei poi qualche lettore con pochi denti pensa male di me?!
“Tizio sparò in testa a Caio ma Caio incredibilmente non morì.” Lo scrittore dilettante pensa: “Cribbio gli spara in testa ma sopravvive, il lettore potrebbe pensare che parli a vanvera (ma davvero?), allora ci metto un bel incredibilmente, così si capisce che anch’io sono perplesso. Perfetto! Nessuno mi potrà dir niente!”
In realtà succede l’opposto: se la sopravvivenza di Caio viene mostrata come dato di fatto, a seconda dell’abilità dello scrittore e della situazione, tale evento può risultare credibile. Ma se l’autore stesso dubita, con quel incredibilmente, il lettore non ci crederà MAI che Caio se la sia cavata!
Discorso non diverso per i vari evidentemente, chiaramente, ovviamente, e similari. Se una situazione è così evidente, chiara e ovvia non vi è alcun bisogno di specificarlo. Ma lo scrittore timido ha paura che la sua situazione non appaia così evidente, chiara e ovvia, e dunque ci piazza l’avverbio. Senza ottenere alcun risultato: la situazione non cambia di una virgola e l’avverbio fa solo sembrare lo scrittore uno sprovveduto: “Tizio sparò in testa a Caio. Caio si accasciò. Ma dopo un istante si rimise in piedi. Evidentemente non era morto.” Già.

Pure nei dialoghi educazione e timidezza fanno danni. Il danno più evidente è quando un autore evita “parolacce” o termini “volgari” benché la situazione lo richiederebbe. Ma non è l’unico danno, né il più grave.
Il danno grave è quando uno scrive:

«Togliti. Vieni via di lì,» disse Tizio con tono concitato, al limite della disperazione.

Invece di scrivere:

«Togliti di lì! Mio Dio, levati! Via di lì! Via di lì!»

Perché la seconda versione è migliore? Non è migliore perché dica niente di diverso, è migliore perché il tono è implicito nel dialogo, perciò il lettore non deve interpretare come il personaggi parli: è chiaro che è un tono concitato, un tono di urgenza quasi disperato.
Nel primo esempio invece il dialogo in sé è neutro, il lettore può usare nella sua mente il tono che preferisca. Quando però l’autore gli spiega quale sia il tono che intende per quel dialogo, il lettore è costretto a tornare indietro e ripetere la scena con il tono voluto. È solo un piccolo fastidio, che la buona parte dei lettori non nota neanche, tuttavia, due pagine di piccoli fastidi così, e il lettore chiude il libro, anche se neppure lui saprebbe dire cosa di preciso l’abbia stufato.
La buona parte degli scrittori dilettanti usa la prima versione per le ragioni già dette. Perché hanno paura del giudizio altrui. La prima versione è distaccata, “sicura”, si racconta solo che il tono è concitato, la disperazione è solo un fatto letterario, asettico. La seconda versione richiede un maggior coinvolgimento emotivo, l’autore deve svelare un frammento di sé, dev’essere per un attimo concitato e disperato. E ha paura che il pubblico giudichi oltre al suo personaggio anche lui. Se un personaggio è così disperato, forse anche l’autore lo è. L’autore timido vuole sfuggire a questo tipo di accostamenti.

Per la terza volta: bisogna essere sinceri. Sinceri verso la storia che si vuole raccontare. Non la si può piegare e contorcere solo per non dispiacere alla gente senza denti o per non rischiare di apparire disperati.

Camicia di forza
Raccontare una bella storia vale qualche sacrificio!

Ovviamente non è un parere mio. O meglio non solo mio, è il parere mio e dei soci del club degli allegri buffoni, tra i quali soci spiccano i nomi di cialtroni quali Mark Twain, Stephen King, Orson Scott Card e tanti altri.


Approfondimenti:

bandiera IT Un punto di partenza per darsi all’ippica
bandiera IT Le Regole del Bon Ton su iBS.it


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78 Comments To "Educazione e Timidezza"

#1 Comment By JackVenom On 12 novembre 2007 @ 20:05

Ciao!

Hai iniziato il tuo post con due esempi di frasi per descrivere la stessa cosa: e se ti dicessi che non è detto che la prima sia preferibile rispetto alla seconda? La prima frase è preferibile quando non gliene importa a nessuno di che colore sia il cielo, ma lo scrivi per creare un po’ di atmosfera (questa sconosciuta…); la seconda in effetti non sarebbe preferibile mai, ma riscrivendola da capo ;) darebbe un forte risalto al colore del cielo (se questo dobbiamo dargli importanza). Tutto è relativo.
Ma leggendo questo e altri post non ho mai capito come tu abbia interpretato (posto che lo abbia fatto) On Writing di Stephen King: sembra quasi che per te (perchè per lui non funziona così così) la retorica e la bellezza estetica della frase (spesso assai funzionale alla chiarezza) sia bandita e vietata. Infatti un bravo scrittore utilizza ogni strategia retorica: la retorica della semplicità, e la retorica delle immagini e dell’evocazioni. King, che venderà pure milioni di copie non le usa mica tutte le retoriche, e infatti un bravo scrittore è cosa diversa da lui, a mio avviso.

E un altra domanda mi sorge spontanea: ma tu avevi queste idee anche prima di leggere On Writing, o ti fidi perchè te lo ha scritto Stephen King?

#2 Comment By Alex McNab On 12 novembre 2007 @ 20:54

Rimango dell’idea che molti dei tuoi dogmi sono in realtà opinioni.
Una volta che c’è una forma grammaticamente, semanticamente e ortograficamente corretta, il resto è soggettivo.
Grazie a Dio esistono scrittori diversi, con stili diversi.
A te non piacciono. Ne prendiamo atto, prendi atto anche tu che ad altri sono molto graditi.
Orson Scott Card ha scritto cose pregevoli, e libri noiosissimi, e banali nella pochezza descrittiva che tu sembri esaltare.
King era un grande, ma anche lui ha prodotto alcuni mattoni indigesti (passati per buoni solo perchè di King).

Sulla “sincerità” narrativa invece ti do ragione ma, ancora, non ho trovato molti scrittori che hanno paura di offendere qualcuno scrivendo che il cielo e nero o che un tizio schiatta perchè si prende un 9 mm nel cranio.
Evidentemente qualche esordiente così sprovveduto c’è, e in quel caso è giusto che capisca l’errore, altrimenti pagherà di tasca sua certe ingenuità piuttosto pacchiane.

#3 Comment By Gamberetta On 12 novembre 2007 @ 23:02

@Alex. Per la centomillesima volta: i “dogmi” non garantiscono lo scrivere un capolavoro e neanche un bel romanzo, garantiscono solo un romanzo leggibile, scorrevole, che non susciti nel lettore il desiderio di tirare il libro fuori dalla finestra a pagina 2.
Il cielo nero è solo un esempio. Tra l’altro ho l’impressione che almeno in Italia la causa numero uno di certi obbrobri non sia la timidezza ma l’incapacità.
A tale proposito, il terzo esempio mi è venuto in mente leggendo:

- Ci faccia subito entrare! Dobbiamo chiamare la polizia! – Usò un tono di voce che voleva essere autoritario, ma suonò solo isterico.

Hi, hi, hi! Ma non aggiungo altro, visto che mi sta venendo l’influenza e sono sicura sia colpa delle maledizioni che mi tirano dietro gli “scrittori”.

@Jack. Se tutto è relativo è inutile discutere. Nell’ambito nella narrativa non c’è proprio mai, mai, mai una ragione per scegliere la seconda frase (in qualunque maniera parafrasata). Se ti fidi bene, altrimenti pazienza.
L’idea di essere chiari, semplici, lineari e di bandire la retorica e la “bellezza estetica delle frasi” (sic) nella narrativa è un’idea che ha più di un secolo almeno. Non l’ha inventata King, King prova solo a dare una possibile spiegazione del perché la gente cerchi di fare il contrario. Spiegazione che condivido (anche se per me non è appunto la ragione numero uno, almeno tra gli scrittori italiani).

#4 Comment By Signor Stockfish On 12 novembre 2007 @ 23:45

Rido come un pazzo perché non solo si può fare anche di peggio della seconda frase, ma si può fare di peggio e venire pubblicati da una grande casa editrice. Un popolo di poeti, insomma…

#5 Comment By Nick Truth On 13 novembre 2007 @ 00:06

Scusa Gamberetta, ma stavolta devo proprio contraddirti. Chi ha mai detto che la bellezza estetica delle frasi deve essere bandita? Davvero, questa cosa mi suona completamente assurda.
A parte il fatto che King stesso utilizza la retorica, in quanto i suoi romanzi sono infarciti di paragoni (figura retorica), e spesso solo di quello. E tra l’altro in On Writing se ne parla pure di “abbellimenti” alle frasi…
Ricordo con piacere la lettura di Fahrenheit 451 di Bradbury e la poesia in ogni sua frase, tanto piacevole quanto scorrevole. Poi ci sono i casi di retorica inutile e goffa: Anne Rice per me, ma molti apprezzano il suo stile. Questi sono gusti, non mi sognerei mai a nessuno di dire “scrivi come Bradbury, non scrivere come Anne Rice” solo perchè a me non piace.

L’idea della semplicità nella letteratura ha più di un secolo, diciamo che ogni periodo ha la sua diatriba tra stile “complicato” e stile “semplice”. Cosa significhi semplice e complicato poi è tutto da vedere.
Ma bandire la retorica è una cosa che non si è MAI sentita, visto che la retorica è l’arte del discorso, e dunque l’arte dello scrivere.
Se poi tu non sai apprezzare la bellezza estetica di una frase (e non della frase che hai citato, che era molto mal riuscita), forse è il caso che tu ti dia all’ippica come critica. Scusa la franchezza, ma tanto a te piace così, no?

Da secoli si studia la lingua e la letteratura, si cercano parametri per giudicare cosa è bello e cosa no, perchè è bello e perchè no, quando invece era così semplice: bello quello che non ha avverbi e che non si serve di figure retoriche. Cavolo, perchè non ci abbiamo pensato prima?
No, ci voleva Stephen King, accidenti! O meglio, Gamberetta che interpreta On Writing!
Adesso possiamo pure bruciare tutti gli studi sulla letteratura!

Anche questo discorso sulla sincerità mi trova in disaccordo: uno scrittore che usa un avverbio non è bugiardo, è semplicemente insicuro, ha paura di non farsi capire e utilizza l’avverbio per spiegare il significato. Essere dei bugiardi significa scrivere un intero romanzo o racconto con l’occhio rivolto al pubblico oppure alla critica. Vendersi, in altre parole. Inserire scene di sesso solo perchè il pubblico le vuole (e non perchè magari la storia lo richiede), seguire gli stereotipi di un genere perchè così si fa (e non perchè così piace allo scrittore, ma perchè al pubblico piacciono, per esempio, i draghi), oppure, al contrario, vendersi alla critica scrivendo temi sociali perchè “fa intellettuali” (e non perchè quei temi sono cari allo scrittore), dire che la vita è brutta, e tutto quello che fa piacere ai critici. Non ha molto a che vedere con lo stile, o meglio, diciamo che uno stile piatto e scorrevole: il cane abbaia, il cielo è nero, va bene per un certo pubblico, uno stile più pesante piace a certi critici. Ma ci vuole abilità per entrambi gli stili.

Per quanto riguarda il tuo post era ben fatto, complimenti. Opinabile, ma ben fatto. Hai chiesto i diritti a King per On writing?

#6 Comment By JackVenom On 13 novembre 2007 @ 01:09

Il tuo ragionamento mi ricorda quello ecclesiastico: pensi che con due regole si possa davvero scrivere un romanzo leggibile, così come la chiesa pensa di avere in mano la verità assoluta grazie ai dogmi. In più, ti senti anche portatrice di un nuovo movimento di pensiero (unica esponente: gamberetta) che dice che da un secolo circa la retorica e la bellezza estetica della frase è stata bandita. Benissimo cara Gamberetta, peccato che la tua fonte sia totalemente errata: il Romanticismo (che nasce alla fine del ’700, quindi circa due secoli fa) ha si fatto piazza pulita della retorica barocca, ma solo in quanto quest’ultima era ricca di una retorica (perdonami la ripetizione) vuota, priva di significato. La retorica Romantica non era quella citata da king, ma era una retorica che portava con se un significato profondo. Quindi aggiorna le tue fonti, prima di dire cose sbagliate. Altrimenti nel 900 non avremo i vari Bradbury, Simmons (tanto per citarne alcuni nella fantascienza, tra nuovi e vecchi) e i vari Tolkien e Gaiman (per citare autori fantasy), ne gli ITALIANISSIMI Eco, Pirandello, Calvino…
Poi, tu mi dici “Se ti fidi bene, altrimenti pazienza”… Ti assicuro che per differenza di età e per gli studi che faccio sei tu che ti devi fidare di me, non certo io di te. Solo che io, a differenza tua, non verrò mai a dirti cosa è bello e cosa no, nella scrittura, come in nessuna arte. Perchè non ne ho le competenze per farlo, e al contrario di te ne sono più che consapevole.

#7 Comment By Signor Stockfish On 13 novembre 2007 @ 07:30

JackVenom, tu dici:

“Ti assicuro che per differenza di età e per gli studi che faccio sei tu che ti devi fidare di me, non certo io di te. Solo che io, a differenza tua, non verrò mai a dirti cosa è bello e cosa no, nella scrittura, come in nessuna arte. Perchè non ne ho le competenze per farlo, e al contrario di te ne sono più che consapevole.”

Non ti pare che ci sia una contraddizione? Se non hai le competenze per dire cosa è brutto e cosa è bello, non hai nemmeno quelle per dire a qualcun altro che lui non ha le competenze per dire cosa è brutto e cosa è bello.

Poi, abbi pazienza, accampare titoli e credenziali in una discussione per ottenere ragione è una scorciatoia piuttosto inelegante. Se si è sicuri della bontà dei propri argomenti dovrebbero bastare quelli. Se ti dico che ho 108 anni suonati e son Professor de’ Professori Emerito Decorato di Gran Cordone con 21 Squilli di Tromba dell’Accademia di Gran Croce di Sassonia e che Gamberetta ha ragione punto e basta allora che fai? ;)

#8 Comment By JackVenom On 13 novembre 2007 @ 12:32

Ok, faccio mea culpa per aver messo una frase in più: “sei tu che ti devi fidare di me”… Come io non devo certo fidarmi di Gamberetta lei ha diritto di non fidarsi di me.
E comunque non ho scritto quella frase solo per ottenere la ragione tutt’altro: non mi è piaciuta la sua frase “se ti fidi bene altrimenti pazienza”… Come non sono nessuno io per dire a chiunque cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, che diritto ne ha lei, per altro con tale supponenza?
Per quanto riguarda l’accademia di Gran Croce di Sassonia… Penserei che le tue 108 primavere siano un pochino troppe, e che la decorazione di Gran Cordone non era in voga a quei tempi! (ovviamente con te sto scherzando, StockFish!)

#9 Comment By Miss Grumbler On 13 novembre 2007 @ 13:25

A me sembra che la questione si stia facendo stantìa.
Gamberetta, credo che tu abbia il sacrosanto diritto di esprimere le tue preferenze verso uno stile che definisci semplice, chiaro e scorrevole (e che io a volte identificherei come scarno), e su questo non ci piove. Purtroppo, forse più degli altri membri della Barca dei Gamberi, hai una modalità eccessivamente impositiva di esternare tali preferenze. Ok, supporti le tue tesi citando figure indubbiamente di successo nel mondo della scrittura; ciò nonostante penso si possa affermare che il tuo dire rientra comunque nella dimensione della soggettività.
Ultimamente capito spesso su questo blog, vuoi perché sono incappata nel vostro randello stilistico, vuoi perchè la polemica é pur sempre una dimensione che attira l’animo umano.
Però, pensi che un blog che si fonda sulla polemica, o su un padrone di casa sostanzialmente sordo agli input esterni, che mira solo all’autocelebrazione del parlarsi addosso, sia costruttivo?
Ho qualche dubbio al riguardo, specie dopo aver scoperto altre sedi in cui vengono dette le medesime cose (non penserai di essere un’originalona, vero?), ma con lo spirito del confronto.
Non si può dire che tu non abbia ragione nell’esprimere la tua preferenza verso la prima delle due descrizioni del colore del cielo, ma mi sembra un esempio fazioso: sarebbe come chiedere alla giuria di un concorso di bellezza di scegliere tra Brad Pitt e Fassino (non mi si fraintenda…stranamente trovo Fassino dotato di un suo fascino). Esiste un ampio ventaglio di vie di mezzo.
Insomma, trovo che questo blog affronti temi utili e interessanti, ma i suoi toni supponenti ne spengono spesso il potenziale.
Saluti

Miss Grumbler

PS: Please, risparmiate risposte tipo: “Nessuno ti obbliga a leggerlo”, “Se non ti fidi pazienza” e compagnia bella…datemi la soddisfazione di pensare che non ho consumato i polpastrelli sulla tastiera inutilmente.
PS2: Sicuramente nel mio commento ci saranno dai 10 ai 20 avverbi e aggettivi che reputi superflui…pur rispettando la tua insofferenza verso gli stessi, ti pregherei di lasciarli tutti al loro posto :)

#10 Comment By Alex McNab On 13 novembre 2007 @ 14:26

Come dicono i Borg: “Ogni resistenza è vana!”
“Sarete assimilati”.
Presto saremo tutti riprogrammati secondo le Uniche e Sole Verità.

^_^

#11 Comment By Gamberetta On 13 novembre 2007 @ 14:27

@Miss Grumbler. Anche solo a livello di scherzo, non ti preoccupare: se c’è una cosa che mi da più fastidio degli avverbi è la censura, non cambierò mai il commento di qualcun altro, ognuno ha il diritto di esprimersi come meglio creda (che poi non mi piaccia quel che dice è un altro discorso).
Riguardo alla tua considerazione finale, è interessante, ma non ti viene il dubbio che i temi appaiano utili è interessanti perché espressi in maniera chiara e diretta (“supponente”)?
Faccio un esempio (esagerato, per rendere l’idea):
1) Bisogna scrivere usando sempre frasi brevi.
2) Sarebbe buona norma, ma non sempre però, in alcuni casi, quando si voglia dare un certo ritmo all’azione, non che non si possa fare altrimenti, usare delle frasi non molto lunghe.
La 1) attira l’attenzione e secondo me rientra nell’utile e nell’interessante, certo si può non essere d’accordo, ma comunica un messaggio, arricchisce il lettore.
La 2) non ha il tono supponente, ma come la devo interpretare? Qual è il “certo ritmo”, quali sono gli “alcuni casi”? Brevi e “non molto lunghe” è la stessa cosa?
La 2) è nebulosa, non rimate “attaccata” al lettore, reca con sé un messaggio molto flebile, vago, in dieci minuti è già dimenticata.
Nessuno riprenderà in mano un proprio scritto e lo correggerà in base alla 2), mentre può essere che qualcuno ci provi dopo aver letto la 1).
Si dice che in guerra è meglio dare ordini sbagliati che non darli. È la stessa cosa. Con la 1) si può agire, poi, messe tutte le frasi brevi, si può pure pensare che fosse meglio prima, ma l’esperimento è stato fatto, con la 2) non si va da nessuna parte, è solo parlare per il gusto di farlo, non voler comunicare.

@Nick. Retorica nel senso spregiativo del termine. Così come “bellezza estetica” inteso quale ricerca di bellezza delle frasi al di là di quello che vogliono esprimere. A tutti gli effetti “Il cielo è nero” è una frase bellissima, solo che la sua bellezza deriva dall’aderenza alla verità e non da un “ricamo” sulle parole.

In generale dubito riuscirò mai a convincere te, Jack o chiunque altro che uno stile è meglio di un altro, specie quando si parte dal presupposto che “tutto è relativo” e che io ho il raffreddore.
Perciò l’invito è di provare.

Provare a immaginare e scrivere ciò che si vede, cercando la “trasparenza” delle parole. Purtroppo non è per niente facile. È molto difficile riuscire a scrivere in questa maniera, e non è tanto un problema di tecnica ma di immaginazione. Per riuscire a essere semplici e chiari occorre avere in mente una visione cristallina di quello che si vuole narrare.
Ormai me ne accorgo subito: quando comincio a tergiversare, quando uso due parole invece di una, quando appare un particolare lì per sbaglio, è perché in realtà avevo solo una visione nebulosa della scena che volevo scrivere. Quando invece la mia visione è chiara, è altrettanto chiara sulla pagina. Me ne accorgo anche dal maggior piacere che provo nella seconda situazione, proprio perché posso lasciarmi trasportare dalla fantasticheria di turno, le parole vengono naturali, non devo staccarmi dal sogno per “ricamarle”.
Provando a scrivere tutti i giorni, direi che non più di un giorno su dieci riesco a raggiungere il giusto grado d’immersione. Però il piacere che ne deriva compensa senza problemi anche lo sforzo inutile degli altri nove. Quello scritto nei nove giorni finisco quasi sempre per buttarlo, tranne gli articoli per il blog! ^_^

#12 Comment By JackVenom On 13 novembre 2007 @ 14:47

Gamberetta, sono anche io uno scribacchino, so che significa quello che hai detto neltuo ultimo post, e, detto così… ma guarda un po’, mi trovi pure d’accordo! L’immersione, e la capacità di “vedere” la propria storia è utilissima per comunicare agli altri la propria storia! Anche io ragiono così! Solo che alle volte, nelle descrizioni, non puoi scrivere sempre e solo frasi di tre parole ! Il cielo è nero; l’albero è verde; tu sei alto… e sono anche esempi pessimi, in quanto se mi trovo descrizioni simili in uno scritto (anche non narrativo) mi sparo in testa! Dico, alle volte qualche parola in più (non per abbellire la frase senza dare significato, sia ben chiaro, non sono un barocco!) rende meglio l’idea!
“Il vento ululava e piangeva come se anche lui cercasse un bambino perduto” (American Gods, Neil Gaiman). Come puoi notare c’è una similitudine, che tu, in una frase messa così dirai che è inutile. Peccato che il paragrafo precedente era dominato dal piano di una donna che cercava il proprio bambino. Quindi in questo caso la frase è bella senza essere vuota! ;)
“Calda come la zampa di un animale” (Marion Zimmer Bradley, La Signora delle Tempeste) Questo è invece il caso di una similitudine vuota, fine a se stessa, che addirittura manco abbellisce la frase, ma la fa diventare penosa (in effetti uso questa frase assai spesso come esempio di frase pessima!! :)).
Per questi due esempi ti dico che nella scrittura tutto è relativo. Dipende solo da come la usi! Su questo credo che sarai d’accordo con me!

#13 Comment By Nick Truth On 13 novembre 2007 @ 15:02

Ovviamente non puoi convincere nessuno che uno stile è migliore di un altro, quelli sono gusti e opinioni… che comunque vanno rispettati in quanto gusti.
Non è che quello che dici sia sbagliato, ma non è giusto per forza, perchè è vero che nell’arte (se per scrittura stiamo parlando di arte e non di artigianato) si possono trovare mille modi per esprimere la bellezza. Poi ci vuole il talento e la pratica.
Il discorso sulla visione cristallina non fa una piega, è vero. Però pensa a quando si devono esprimere sentimenti, e non paesaggi. In quel caso dire “era triste, felice, soffriva” possono non essere sufficienti. A volte è necessario ricorrere alle immagini per evocare diversi stati d’animo nel lettore. Stesso discorso per il paesaggio: se quel paesaggio serve ad evocare un particolare stato d’animo allora ricorrere alle immagini può essere meglio. Se per il protagonista il cielo nero è un gigante che piange allora è un bene scriverlo. La chiarezza non ne risente se lo scrittore è bravo. Le immagini possono uscire spontanee, non è detto che ci si debba impegnare per forza per trovare un’immagine adeguata. A volte si, a volte no.
E poi non è per forza un male giocare con l’ambiguità della lingua. Dipende, dipende sempre.
Il discorso mio e di Jack, e penso anche degli altri è che non si può generalizzare. Tutto qui. Tu nei tuoi post lo fai, e questo risulta fastidioso. In parte è una buona strategia: ti assicuri commenti. Però se davvero generalizzi così tanto (e non lo fai solo per creare polemiche) rischi di rimanere sempre ferma sui tuoi passi e di non evolverti.

#14 Comment By Gamberetta On 13 novembre 2007 @ 17:29

@Jack. Non ho mai detto che bisogna evitare le similitudini in quanto tali. Può essere benissimo che il cielo sia di un colore esprimibile solo attraverso una similitudine, quello che però bisogna domandarsi è: è davvero di quel colore? Non è appunto che il cielo è solo nero? E ancora, anche mettendo sia proprio di quel colore strano, è davvero necessario? Farlo diventare nero o azzurro davvero cambia il senso della storia?
Se in tutta sincerità il cielo richiede di essere paragonato al colore di una scolopendra, ben venga. Ma non ci crederò mai che il cielo è del colore di una scolopendra caramellata illuminata da una fiamma ossidrica.

@Nick. Guarda le persone che hai intorno: nella buona parte dei casi ti puoi accorgere se sono tristi, arrabbiate o preoccupate. Così i personaggi, non c’è bisogno di ricorrere a chissà quali immagini, basta farli agire nell’opportuna maniera e il lettore capirà il loro stato d’animo.
Poi c’è sempre l’eccezione dove l’introspezione può essere efficace o lo scrittore bravo che riesce a non far pesare un eccesso di similitudini e immagini mentali, ma è appunto eccezione. Non si può mettere sullo stesso piano quello che è opportuno fare 99 su 100 con quello che è necessario solo 1 volta su 100.

#15 Comment By JackVenom On 13 novembre 2007 @ 17:58

Beh, si che lo hai detto, quando hai detto che la retorica è bandita! La similitudine è una figura retorica! E poi cambia parecchio che il cielo è nero oppure azzurro: nel primo caso è notte, nel secondo è giorno. E se il tuo protagonista lavora in ufficio di notte… è perlomeno un po’ strano, non credi? Il cielo poi ovviamente non è mai di quel colore strano che hai detto tu (creo almeno, se avessi capito meglio il colore…;)) ma ti sarà capitato in vita tua di guardare il cielo e fermarti a riflettere sulla sua bellezza e sulle sue sfumature di colori, no? Ecco, e perchè i nostri personaggi non possono farlo?
Insomma, regola di base le prugne glorificano, perfetto, ma, se analizzi bene tutti i romanzi che leggi, ti accorgi che la retorica è molto più presente di quanto tu stessa non voglia ammettere. Ovvio, non in molti emergenti che vai a recensire, ma nei grandi della letteratura (di genere e d’autore) la troverai!

#16 Comment By Nick Truth On 13 novembre 2007 @ 18:16

Beh, dipende. Se il punto di vista è sul personaggio non è sufficiente farlo agire. Spesso bisogna descrivere i pensieri. E i pensieri a volte sono anche immagini. L’emozione è immagine.
Qui parlo per mio gusto, un bel romanzo è un romanzo che da peso all’introspezione. Non ci sono solo le azioni…
Prima c’è il pensiero, e poi l’azione… e il personaggio agisce di conseguenza. Insomma, io devo capire il perchè il personaggio ha agito così in base al suo modo di pensare, non cosa pensa in base all’azione che fa. è ovvio che se piange è triste, ma voglio sapere cosa succede dentro l’animo del personaggio quando piange. Indagare sui sentimenti è forse la parte più difficile dello scrivere, ma quando lo scrittore ci riesce senza essere ridicolo, goffo o superficiale il lettore avrà qualcosa su cui riflettere anche a libro chiuso. Tutti sono capaci a dire che il cielo è azzurro, ma mostrare che significato ha quel cielo per chi lo guarda è tutta un’altra faccenda. Qui arriva lo Scrittore.
Nel leggere (e nello scrivere) io voglio entrare in un nuovo mondo, e questo nuovo mondo deve essere quello di un essere umano, del personaggio. Solo in questo modo, per me, la lettura diventa un momento di riflessione (oltre che di divertimento, che per me sta sempre al primo posto) e di indagine. Così pure la scrittura, che deve accrescere prima di tutto lo scrittore e di conseguenza il lettore.
Secondo me quindi non è un’eccezione: il 99% dei bei romanzi ha un lato introspettivo forte, e il 99% dei bravi scrittori non fa pesare la sua retorica (di solito presente, il fatto che si veda poco poi è abilità).
Quello che è opportuno fare 100 volte su 100 è scrivere frasi significative e “pulite” (senza pasticci insomma).
Secondo me qualsiasi aspirante scrittore dovrebbe puntare in alto, poi, se la retorica lo ingarbuglia ricordarsi che “il cielo è nero”. Ma non il contrario, pena la non evoluzione.
Almeno questa è la mia opinione.

#17 Comment By barbara On 16 novembre 2007 @ 16:12

Ciao a tutti!
Vorrei fare una semplice domanda a Gamberetta: cosa ne pensi dell’estetismo e soprattutto di Wilde?

#18 Comment By Gamberetta On 16 novembre 2007 @ 16:44

Mi spiace Barbara, ma non posso rispondere alla tua domanda. Il mio unico contatto con l’estetismo e Wilde è la lettura del Dorian Gray, lettura “inquinata” dal fatto di essere obbligo scolastico. Perciò confesso la mia ignoranza: di Wilde e dell’estetismo non penso niente perché non li conosco.

#19 Comment By barbara On 16 novembre 2007 @ 17:37

Sì, la lettura forzata della scuola rovina molti testi validi in effetti.
Ma ciò che volevo farti notare è valido anche per il ritratto di dorian gray che hai letto: anzi, credo sia l’esempio perfetto di un libro che senza la “bellezza estetica” si ridurebbe ad un volumetto scarno, fatto di sequenze di azioni più o meno interessanti che però non riescono a comunicare il significato non solo dell’opera ma di un intero movimento letterario.
I manuali di scrittura sono un ottimo aiuto e ci sono tante piccole regolette che fanno evitare errori grossolani, ma se queste regole venissero seguite fedelmente da tutti avremmo una serie di libri-fotocopie che, nell’insieme, appiattirebbero il panorama letterario e la libertà di scelta individuale.
Un’ultima cosa: sparare a zero sugli esordienti potrebbe essere rischioso. Anche King al suo primo libro era un esordiente.
Detto questo, ti faccio comunque i miei complimenti perchè i tuoi post sono sempre molto divertenti e li leggo volentieri (a me non danno fastidio le tue critiche e non ti trovo supponente, sono semplicemente in disaccordo su alcune cose e d’accordo con te per altre).
Un saluto a tutti!

#20 Comment By Angra On 18 novembre 2007 @ 08:16

Uhm uhm, anch’io “Il ritratto di Dorian Gray” l’ho letto ai tempi della scuola, ma nonstante mi avessero ripetuto fino allo sfinimento che Wilde cercava solo la bellezza estetica della forma, non l’avevo trovato per niente così vuoto di trama e di contenuti. La storia era inquietante. Ok, oggi siamo abituati a tutto, ma per l’epoca…

Mi sorge un dubbio: non è per caso che la scuola che vigila sulle nostre coscienze ci teneva a far credere che contenuti non ce n’erano perché quelli che c’erano non piacevano a qualcuno? Non sarà stato perché Wilde era ritenuto diseducativo per le giovani menti?

Se lo paragono a “Il piacere” di D’Annunzio allora sì, quello era un bel contenitore per il vuoto spinto. Il secondo, al di là della bellezza estetica, mi ha fatto du’ palle, il primo per niente.

#21 Comment By Federico Russo “Taotor” On 19 novembre 2007 @ 17:44

Gamberetta, tutto quello che sostieni è vero a metà. Non hai torto, ma è pur vero che, da quanto ho capito, sei della categoria Romanzo = Copione, e se magari alla gente degli ultimi anni piace così, bah, andremo verso la rovina.
Anche carraronan la pensa più o meno come te, difatti ha avuto la pazienza di leggere e commentare una vecchia cosa che avevo cominciato a scrivere, e i pareri erano questi. Non voleva metafore, similitudini, iperbole, personificazioni, ecc… Dice che se devono essere fatte, devono essere *belle* – azz.
E non parliamo degli avverbi! Che t’hanno fatto gli avverbi? Sono brutti? Macché, l’ha detto King, ma King non è italiano. Da lui gli avverbi si fanno con -ly, da noi con -mente, perché, mi pare, secoli fa si faceva qualcosa come: “Camminavo veloce mente”, cioé colla mente predisposta all’andar veloce, ma non fatemi dire boiate. Ad ogni modo, non possiamo dar retta a uno che scrive in inglese, non possiamo farci influenzare da uno che manco conosce l’italiano e vuole insegnarci a scrivere!

Inoltre, la bravura spesso sta lì, a mio parere, nel mettere la cornice bella attorno al testo. Sennò si riduce tutto a un copione, per l’appunto.
Ciao!

#22 Comment By Gamberetta On 19 novembre 2007 @ 19:16

Federico, quale rovina?!
Prendi uno dei padri della narrativa fantastica, H.G. Wells. Non credo abbia mai scritto un romanzo che superi le 250 pagine. Perché? Perché non ha bisogno di abbellire, non ha bisogno di “cornici”: ha una marea di storie originali e geniali da raccontare.
Immaginati non un romanzo ma una storia vera, immaginati che davvero un giorno si presenta a casa tua un tuo amico e ti racconta che ha appena incontrato gli alieni. Staresti sul serio ad ascoltarlo mezz’ora mentre ricama similitudini sul colore del cielo? Non credo proprio! Io vorrei sapere subito come sono fatti gli alieni, com’era l’astronave, cos’è successo, ovvero la storia.
Quando uno scrittore perde tempo non è artista, non è poeta, è solo che non ha niente di originale da dire. Ed è quando la forma schiaccia la sostanza che c’è la rovina.

In quanto a King, i casi sono due: o i suoi traduttori sono dei geni, oppure com’è che purché tradotti i suoi romanzi sono meglio (e di gran lunga) della media dei romanzi italiani?

#23 Comment By JackVenom On 19 novembre 2007 @ 19:59

Permettimi di dissentire su un’altra cosa: sono sicuro che tu consideri King un grande scrittore. Rispetto il tuo parere, ci mancherebbe.
Ma da qui a dire che i romanzi di King sono di gran lunga migliori della media dei romanzi italiani… Beh, o di italiano hai letto solo il peggio, oppure di italiano non hai letto nulla. E di conseguenza non conosci nemmeno i vari Eco, Pirandello, Calvino, Buzzati, Evangelisti. Solo per citarne alcuni.
E considera che questo non è solo un mio parere… King è king solo in quanto vende tantissimo (da bravo artigiano sa incollare alla pagina), ma i veri scrittori, sia in Italia, che all’estero, sono di altro stampo…

Per quanto riguarda la lunghezza dei romanzi: Il Signore degli Anelli: 1000 e passa pagine;
Stephen King, supera di gran lunga le 500 pagine con libri come L’ombra dello scorpione, Tommyknocker, It, Mucchio d’ossa, Il miglio verde, L’acchiappasogni e altri libri che ora non ricordo.
Ora ho solo fatto esempi di 2 scrittori che le 250 pagine le superano abbondantemente… E se è vero che King non mi piace, prova a dirmi che l’autore di On Writing scrive parole vuote… O che lo fa Tolkien… ;)

#24 Comment By Gamberetta On 19 novembre 2007 @ 20:50

Chiariamoci su King: io non sono una sua fan. Proprio perché spesso scrive troppo e si dilunga in digressioni inutili. Non a caso per me i suoi migliori romanzi sono quelli dove è andato dritto al sodo: L’Uomo in Fuga, La Lunga Marcia e il primo volume della Torre Nera.
Ciò non toglie che anche i suoi romanzi meno riusciti siamo meglio della media dei romanzi italiani, sottolineo media. Evangelisti per me non è più bravo, Eco sì, di sicuro, Buzzati e Pirandello pure, ma sono morti. Si sta parlando degli autori italiani attuali, altrimenti bisogna andare anche a prendere Dante e l’Ariosto.

Per quanto riguarda Tolkien, con tutto il rispetto, ma Wells (e Stevenson, Twain e tantissimi altri) è su un altro pianeta. Tolkien non ha un centesimo della fantasia e dell’abilità di narratore di Wells, che da solo si è inventato la buona parte della (fanta)scienza come noi la conosciamo.
L’unico scrittore che mi è capitato di leggere che sia riuscito a scrivere un romanzo di 1000 pagine tutte degne di essere lette è Cervantes con il Don Chisciotte. Ma è appunto l’eccezione, inimitabile. Tu puoi leggere 100 volte il Don Chisciotte (io sono ferma a 3) e ti divertirai ogni volta, ma dubito molto imparerai a scrivere come Cervantes.

#25 Comment By Nick Truth On 19 novembre 2007 @ 21:02

Scusate se mi intrometto di nuovo, ma non riesco a cucirmi la bocca.
King!
I suoi romanzi meglio di… “i suoi romanzi meglio” è già abbastanza…
è l’autore che riesce a scrivere pagine e pagine di parole vuote!

Ci sono un gruppo di ragazzini che devono affrontare un mostro. In mezzo scene di sesso perverso, sangue, qualche pazzo o qualche “scemo di guerra”. Sesso. Attenzione scena romantica.
Descrizione “le infilai un dito e poi un altro”. Qualcuno muore. Battaglia finale. Il lieto fine è velato da qualcosa di irreversibile (come la morte di qualcuno).
Personaggi piatti. Personaggi presi dai peggiori film di serie b.
Donne di King= Bamboline sceme che di donna (e di essere umano) hanno soltanto il nome.

Oppure: un qualcosa si impossessa di una macchina. Stesso schema di prima. I personaggetti riescono ad esorcizzare l’oggetto.

Dialogo di king:
-questa fottuta macchina
-ehi, è una strafottutissima macchina
-ehi tu, vorresti dire che hai offeso la mia macchina?

Realismo? No, cinema di serie b.
Oppure Tarantino senza l’ironia di Tarantino.

Gli scrittori si devono tenere alla larga da King.
E i bravi scrittori lo fanno…

#26 Comment By JackVenom On 19 novembre 2007 @ 21:21

“In quanto a King, i casi sono due: o i suoi traduttori sono dei geni, oppure com’è che purché tradotti i suoi romanzi sono meglio (e di gran lunga) della media dei romanzi italiani?”

Queste sono parole tue, non mie… e non hai parlato di italiani vivi o morti… Eh… vedi che significa voler tagliare tutte le parole che tu consideri inutili? Che poi si scrivono frasi vaghe! (come la tua)

Per quanto riguarda Umberto Eco, non è che mi puoi precisare la sua data di morte? Non per altro, ancora non la sa nemmeno lui, e speriamo non la sappia ancora per lungo tempo… Letteratura, Linguistica e Glottologia si augurano che questo grande personaggio non muoia mai… e tu lo dai già per morto? Dai, scherzo adesso.

Comunque, rispetto il tuo pensiero su Tolkien, ma anche qua, non lo condivido, per tutta l’ammirazione che possa provare per gli autori che tu citi. Ma appunto, qui sono gusti, non sono cose che si possono misurare.
E comunque per la fantascienza così come noi la conosciamo (ossia quel genere ormai stereotipato da cui rifuggo, e di cui rimpiango i bei tempi d’oro) dimentichi un precedente al grande H. G. Wells: Jules Verne. E un suo contemporaneo, famoso più per gli amanti dell’horror: H. P. Lovecraft.
Per il Chisciotte concordo quanto da te detto: non per nulla è stato giudicato il “romanzo” del millennio! Ma dimmi la verità, e ammettilo anche tu dai, quanta retorica (bellissima e scorrevolissima) c’è nel Chisciotte? ;)

#27 Comment By Signor Stockfish On 19 novembre 2007 @ 22:11

Riguardo a Tolkien, secondo me Simone Navarra nella sua rubrica “Non mi pubblicherebbero” ne ha colto tutta l’essenza.

http://simonenavarra.blogspot.com/2007/04/il-signore-degli-anelli.html

#28 Comment By JackVenom On 19 novembre 2007 @ 23:27

@ Stockfish: Se proprio ti piace pensare che ne colga tutta l’essenza… Libero di farlo. Io rispetto i gusti di ognuno. Anche se non condivido quanto detto nel blog che hai citato. Ma non commento in quanto non è scritto in questo blog.

#29 Comment By Signor Stockfish On 20 novembre 2007 @ 11:52

@JackVenom: Simone un po’ ci scherza sopra, ma dice cose molto sensate, a mio avviso. Tolkien scrive pagine e pagine di descrizioni su ogni pietra e cespuglio lungo il percorso quando non succede nulla, e poi quando la situazione è drammatica se la sbriga in quattro e quattr’otto. La vicenda dello spettro dei tumuli con l’intervento di Tom Bombadil è imbarazzante. Non è un caso se gli sceneggiatori del film l’hanno completamente stravolta: evidentemente non convinceva nemmeno loro. Tutto magnifico riguardo alle atmosfere, il mondo che ha creato, eccetera, ma quando si arriva all’azione ha delle lacune, sbaglia i tempi. Questo lo dico nell’idea che nessuno, neanche un mostro sacro, non possa essere soggetto a critiche.

#30 Comment By Gamberetta On 20 novembre 2007 @ 13:38

@JackVenom

Per quanto riguarda Umberto Eco, non è che mi puoi precisare la sua data di morte?

Umberto Eco è morto nel 1955.
Oh… ma… forse tu ti riferivi a un altro Eco? Perché di Umberto Eco in Italia ce ne sono stati tanti, ti pregherei di essere un po’ più specifica quando scrivi, o, ancor meglio, di evitare di non capire apposta. Grazie.

Ho letto ogni singola parola scritta da Wells e Lovecraft, e buona parte di quello che ha scritto Verne. Le influenze di Verne e Lovecraft sono innegabili, ma la fantascienza è “figlia” di Wells, perché in Wells la scoperta scientifica è il cuore della storia, mentre in Verne e Lovecraft la (fanta)scienza è uno strumento, per raccontare storie d’avventura o di orrore.
Un classico esempio, prendendo Twain al posto di Verne:
I viaggi nel tempo. In Twain è un espediente per condurre l’americano del Connecticut alla Corte di Re Artù, è una storia fantasy/avventurosa. In l’Ombra venuta dal Tempo di Lovecraft, i viaggi nel tempo sono un mezzo per una razza aliena di invadere le menti umane, anche qui è un espediente, per una storia di orrore, ma nella Macchina del Tempo di Wells non è più solo un espediente, è la ragione d’essere della storia. Wells vuol proprio raccontare cosa farebbe qualcuno se avesse il controllo scientifico sullo scorrere del tempo.
L’unico romanzo di Verne di vera fantascienza è Dalla Terra alla Luna. Gli altri “fantastici” (perciò escludendo in partenza Cinque Settimane in Pallone, Il Giro del Mondo in 80 Giorni, Michele Strogoff, ecc.) come Viaggio al Centro della Terra, Ventimila Leghe sotto Mari o Robur il Conquistatore, sono più romanzi d’avventura. Non che sia sbagliato classificarli anche come fantascienza, ma lo possiamo fare perché c’è stato Wells che ha mostrato come l’idea scientifica/tecnologia possa avere in sé la storia e non solo essere un espediente.
Se fosse stato per il solo Verne la fantascienza al massimo sarebbe stata un sottogenere del romanzo d’avventura, se fosse stato per Lovecraft invece sarebbe stata un sottogenere del romanzo d’orrore (anzi del romanzo “bizzarro” come scrive lui), con Wells la fantascienza è diventata fantascienza.

Per il Chisciotte concordo quanto da te detto: non per nulla è stato giudicato il “romanzo” del millennio! Ma dimmi la verità, e ammettilo anche tu dai, quanta retorica (bellissima e scorrevolissima) c’è nel Chisciotte? ;)

Credo di continuare a non capire cosa intendi per retorica. Ti faccio notare che nel Don Chisciotte, a parte i primissimi capitoli e qualche pagina qui e là (per esempio quando Don Chisciotte decide di fare il matto per dimostrare il proprio amore a Dulcinea):
a) è sempre usato un linguaggio semplicissimo (semplice anche per il lettore di oggi, nonostante sia un romanzo del 1600).
b) non trovi un avverbio a pagarlo oro.
c) i dialoghi sono sempre e solo introdotti da disse/chiese/rispose.
d) le descrizioni sono al minimo, e le similitudini sono pochissime.
e) le motivazioni dei personaggi emergono da dialogo e azione, non si entra quasi mai nella testa di Don Chisciotte o Sancho.
Tutto ciò concordo sia bellissimo, ma non ho mai negato il contrario, quando la “retorica” è questa.
Non è qui che Cervantes è inimitabile (anche se scrivere come lui e per 1000 pagine è cosa difficilissima), è inimitabile per esempio quando riesce a far appassionare a un episodio che è 1 pagina d’azione e 9 di dialogo. Se uno scrittore “normale” usasse lo stesso metro si annoierebbero tutti a morte.

#31 Comment By Nick Truth On 20 novembre 2007 @ 15:20

@Gamberetta sul Don Chisciotte:
Noi non capiamo cosa tu intendi per retorica. Vorrei farti notare che il Chisciotte è un romanzo che regge tutta la sua comicità sul rovesciare determinati stereotipi del genere cavalleresco. Per far ciò si serve della retorica cavalleresca, che in bocca a Don Chisciotte scatena il riso, perchè inserita in un contesto reale:

“-Ben può la Grandezza Vostra, bella e potente Signora, vivere da oggimai sicura che non le recherà unqua più detrimento veruno questa malnata creatura; ed io fino da oggi dalla malnata promessa assolto mi ritengo, perocchè con l’aiuto di Dio onnipotente e col favore di colei per cui vivo e respiro, abbiale in questo medesimo istante dato compimento.
-Non ve l’ho detto?- esclamò Sancio sentendo ciò. – Non ero mica briaco io! Avete visto se il mio padrone l’ha ammazzato o no il gigante? Ecco fatto il becco all’oca: la mia contea è per la strada.
Chi non doveva ridere a sentir le sciocchezze di tutti e due, padrone e servitore? Ridevan tutti, perfin l’oste che pure aveva un diavolo per capello[...]”

Dal Don Chisciotte, volume primo, aprendo una pagina a caso (394, Oscar Mondadori).
Tutta questa citazione è un traboccare di retorica. Adesso non ho voglia di prendere il manuale di retorica per analizzare ogni figura e darle il dovuto nome, ma la retorica è ben presente.
Il Don Chisciotte è un romanzo studiatissimo, per mille ragioni. Su una frase del Don Chisciotte si potrebbe tenere una conferenza, perchè dietro ogni frase si nascondono più significati. La lingua del Chisciotte è ambigua. Definirlo semplice è solo un’osservazione superficiale.

Cervantes è inimitabile in tutto, non certo in quello che dici tu. Ci sono diversi scrittori che prediligono il dialogo, e molti lettori che adorano leggere dialoghi ben costruiti.
Gaarder ad esempio è in grado di scrivere pagine e pagine di dialoghi senza annoiare mai, a meno che il lettore non sia quello che vuole vedere solo scene da film ed è poco disposto a riflettere insieme al romanzo.

La letteratura è varia, e sopratutto complessa. Molto più complessa del “non mettere un avverbio, stile semplice, poche pagine”.
Siamo cercando di farti capire questo, non perchè quello che dici è sbagliato, ma perchè quello che dici è riduttivo. Incompleto.
Prova a metterti in gioco un istante. Prova a riflettere almeno su quello che ti diciamo, mi sembri abbastanza intelligente per farlo.
Ciao :)

#32 Comment By Gamberetta On 20 novembre 2007 @ 15:46

Tutta questa citazione è un traboccare di retorica. Adesso non ho voglia di prendere il manuale di retorica per analizzare ogni figura e darle il dovuto nome, ma la retorica è ben presente.

Infatti fa ridere, e nel Don Chisciotte va bene perché è l’effetto voluto. Ma a me pareva che tu sostenessi che questo tipo di retorica fosse bella in sé, ovvero il lettore provasse piacere a leggere certe cose anche prendendole sul serio.

La letteratura è varia, e sopratutto complessa. Molto più complessa del “non mettere un avverbio, stile semplice, poche pagine”. Siamo cercando di farti capire questo, non perchè quello che dici è sbagliato, ma perchè quello che dici è riduttivo. Incompleto.

Apprezzo, ma secondo me state facendo di tutta un’erba un fascio. Qui si sta parlando di narrativa di genere, in particolare di genere fantastico, non di tutta la letteratura che va dal poema epico alle parole in libertà.
Il discorso è: ho una storia da raccontare, come faccio a farlo in maniera efficiente e piacevole, in modo che chi mi ascolti continui ad ascoltarmi fino alla fine e si possa godere la vicenda?
Fine. L’aspetto “artistico” è nei fatti della storia, nell’inventiva, il linguaggio è solo un mezzo.
Poi vorrei far notare che stiamo sempre parlando di eccezioni, di gente come Cervantes, Omero o anche solo Wells ce ne saranno stati, quanti? 200? 300? in migliaia di anni di storia della letteratura. Se uno è Wells non è qui a seguire il mio blog!
La letteratura come intesa dai più grandi scrittori di ogni tempo è affare complesso, la letteratura intesa come la possibilità per (quasi) chiunque di avere strumenti per raccontare le proprie fantasie è affare molto più maneggiabile.

#33 Comment By barbara On 20 novembre 2007 @ 15:56

Scusate l’ignoranza ma l’umberto eco morto nel 1955 chi è?

#34 Comment By Gamberetta On 20 novembre 2007 @ 16:03

Scusate l’ignoranza ma l’umberto eco morto nel 1955 chi è?

Non lo so di preciso, credo sia il padre dell’Umberto Eco abitante in Via Pareto al 20, ha voluto dare al figlio lo stesso nome. Ma spulciando le rubriche ne trovi anche altri…

#35 Comment By barbara On 20 novembre 2007 @ 16:17

Ah… Credevo stessimo parlando di scrittori… Allora ho una notizia altrettanto interessante per tutti: Omero esiste ed è vivo. Al momento sguazza nell’acquario di là.
Un saluto!

#36 Comment By JackVenom On 20 novembre 2007 @ 16:20

@gamberetta che risponde al mio commento: Innanzittutto al max pregami di essere più specificO, grazie. Se leggi bene, nella frase riferita ad Eco ho aggiunto che scherzavo. Che, sei così tanto indifferente alla retorica da non volere nemmeno l’ironia nel tuo blog? (e sottolineo ironia, non sarcasmo).

Per quello che dici su Wells, Lovecraft e Verne, non dico nulla, tu la vedi così, io in maniera non troppo dissimile. Almeno per loro abbiamo gli stessi gusti.

Per quanto riguarda la retorica, cosa intendo? Ma vuoi davvero che ti faccia la lezioncina stupida (e anche se fosse non te la farei mai perchè lo sai bene anche tu di che parlo. Nel caso non lo sappia cercati il “Manuale di retorica” di Bice Mortara Garavelli, lo trovi in ogni biblioteca e ti sarà molto utile)

Solo, invece di imitare (male) Aristarco Scannabue (alias Giuseppe Baretti) e la sua “Frusta Letteraria” vedi di addentrarti un pochino meglio nello studio delle opere ok? L’intelligenza ce l’hai, non è certo quello che ti fa difetto. Metti un po’ in ballo anche le tue idee però. Io lo faccio sempre, il che non obbliga te a farlo. Fallo solo se davvero ti piace quello che fai. Ok?

@Stockfish: Allora, ammetto che possano non piacere le descrizioni di Tolkien, ammetto che possano annoiare a morte. Ma a me quel libro piace così!! (solo quello però, quelli che non le sanno fare meglio che non descrivano).
Ciao! :)

#37 Comment By Nick Truth On 20 novembre 2007 @ 16:45

è stato così infatti, prima di Don Chisciotte. Se prende in giro la retorica cavalleresca, vuol dire che c’è stata prima una retorica cavalleresca che le persone apprezzavano. E che prendevano sul serio. Poi è degenerata… ed è nato il Don Chisciotte.

Ma tralasciando questo discorso… no, non sono amante della retorica fine a se stessa, però sono amante della musica delle parole, quando quella musica serve a trasmettere qualcosa.
Sono amante della letteratura che comunica.

Non parliamo di eccezioni, parliamo di bravi scrittori. In questo dibattito sono stati citati anche Gaiman e Bradley, se vuoi continuiamo e ne citiamo anche altri. Anzi, no, non ne ho più voglia… però potremmo farlo.

Ho una storia da raccontare, come faccio a raccontarla? Come voglio io, come piace a me, come ho imparato a farlo mettendo il culo sulla sedia e creandomi un mio stile, grazie alla lettura, alla scrittura, e alle riflessioni su entrambe.
Altrimenti non scrivere! Di romanzi stile semplice, facile, no ai periodi complessi perchè il lettore rischia di perdersi nella frase, no all’introspezione psicologica perchè può annoiare, il lettore vuole azione e diamogli azione… ne abbiamo le scatole piene. Specialmente nel fantasy… un genere che spesso perde tutte le sue potenzialità espressive perchè l’autore, invece di soffermarsi e riflettere, pensa a far spaccare teste.
A parte alcuni casi ( come Neil Gaiman e Stroud) i romanzi fantasy sono terribilmente incompleti. La critica li snobba e li definisce paraletteratura per motivi validi, mi spiace dirlo.

Su molte cose mi trovo d’accordo con te: l’uso esagerato di avverbi fa schifo, il dialogo è meglio se sostenuto solo dal verbo dire ecc… e poi, in realtà, sono pure sostenitrice di uno stile semplice (semplice e significativo, non semplice e idiota). Ma adoro le immagini. Immagini, metafore, introspezione psicologica. Tutte cose che sembri bandire.
Forse vuoi bandire l’incapacità retorica. Se non siete in grado di farlo, meglio “il cielo è nero.” Allora mi trovi d’accordo, ma sembra che tu dica che “il cielo è nero” è sempre meglio di una metafora, di un provare ad andare oltre quel cielo nero. Su questo non possiamo darti ragione.
E poi detesto chi generalizza. Tu, forse a causa del tono, o forse proprio perchè è quello che fai, generalizzi su tutto. Sembri voler omologare la scrittura a un’unica serie di regole e regolette.
Ma se la pensi così fai bene a scriverlo. Però ricorda che ci saranno sempre almeno due rompipalle che verranno sul tuo blog a dirti No! Non siamo d’accordo. ;)

Adesso ti lancio una sfida, libera di accoglierla o meno.
Perchè invece di analizzare esordienti o scrittori non bravi per dimostrare dove sbagliano, non fai il contrario: analizzare uno scrittore impeccabile per dimostrare dove sta la sua bravura?
Gli errori dei comuni scribacchini emergeranno per contrasto.

Tanto noi veniamo a criticarti lo stesso
(sto scherzando)

#38 Comment By Signor Stockfish On 20 novembre 2007 @ 22:12

@JackVenom: no, io dicevo il contrario. Non sono le parti descrittive il problema nel Signore degli Anelli, ma quelle di azione: troppo tirate via, frettolose, come se a Tolkien non interessassero più di tanto (e magari è così).

#39 Comment By Signor Stockfish On 20 novembre 2007 @ 22:15

@NickTruth: l’esempio di retorica cavalleresca nel Don Chisciotte che hai fatto tu è dentro ad un dialogo. Non è l’autore ad esprimersi in modo retorico, ma un suo personaggio, il che è ben diverso!

#40 Comment By Gamberetta On 20 novembre 2007 @ 22:19

@Nick

Ho una storia da raccontare, come faccio a raccontarla? Come voglio io, come piace a me, come ho imparato a farlo mettendo il culo sulla sedia e creandomi un mio stile, grazie alla lettura, alla scrittura, e alle riflessioni su entrambe.

Auguri. Ne hai bisogno, sul serio. Puoi scrivere fino a rovinarti le dita, leggere fino a diventare cieca e meditare fino alla morte termica dell’universo, ma se non hai idea di come muoverti non scriverai mai una storia decente.

Altrimenti non scrivere! Di romanzi stile semplice, facile, no ai periodi complessi perchè il lettore rischia di perdersi nella frase, no all’introspezione psicologica perchè può annoiare, il lettore vuole azione e diamogli azione… ne abbiamo le scatole piene. Specialmente nel fantasy… un genere che spesso perde tutte le sue potenzialità espressive perchè l’autore, invece di soffermarsi e riflettere, pensa a far spaccare teste.

Ma qual è il tuo scopo? I miei sono due, per ora il principale è divertirmi quando scrivo, e che tu ci creda o no, so che in realtà non ci credi, ogni volta che la musica delle parole se ne sta zitta e muta è un piacere che ha pochi uguali. Perché il piacere è quando le parole spariscono, non quando spiccano.
Il secondo scopo è (sarà) farmi leggere dal prossimo. Se il prossimo si annoia con l’introspezione psicologica perché dovrei annoiarlo? Se le frasi lunghe lo stancano perché dovrei proporgliele? Se butta via il libro a pagina 5 cosa ho ottenuto?
Ma soprattutto, è davvero indispensabile? Davvero, davvero, davvero la mia storia dipende dall’introspezione psicologica? O peggio dallo stile? Perché io voglio scrivere storie di genere fantastico, storie dove ci sono le macchine del tempo e la guerra dei mondi. Storie originali, che si reggono su loro stesse, non sulla base di una bellezza formale o sul fatto che siano in realtà metafora di qualcos’altro.

Il commento sullo spaccare teste è ingenuo: il fantasy degli spaccatori di teste non è brutto perché spaccano teste, ma perché spaccare teste è molto più difficile che riflettere. È molto difficile scrivere un romanzo che si basi sullo spaccare teste, richiede molta abilità e notevoli conoscenze, qualità che pochissimi scrittori fantasy hanno. Ti sembra sfuggire, ma: le scene d’azione sono molto più difficili da scrivere di quelle d’introspezione, e scrivere semplice è molto più difficile che andare avanti a colpi di metafore e similitudini.

Allora mi trovi d’accordo, ma sembra che tu dica che “il cielo è nero” è sempre meglio di una metafora, di un provare ad andare oltre quel cielo nero. Su questo non possiamo darti ragione.

Il punto è solo se il cielo nella storia è nero o no. Se è nero, dire il “cielo è nero” è il massimo della bellezza e dell’espressività. Solo se non è del tutto nero si può discutere se valga la pena farlo ancora solo nero, usare una similitudine o qualcos’altro.

Perchè invece di analizzare esordienti o scrittori non bravi per dimostrare dove sbagliano, non fai il contrario: analizzare uno scrittore impeccabile per dimostrare dove sta la sua bravura?
Gli errori dei comuni scribacchini emergeranno per contrasto.

Gli errori non verranno fuori, perché gli scribacchini si credono tutti dei geni. Al massimo ammetteranno che il loro è uno stile diverso, non che sbaglino.
Comunque quando usciranno dei bei romanzi fantasy saranno recensiti.
Ci occupiamo degli italiani perché in campo fantasy non se ne occupano molti altri. Non ha molto senso scrivere la centomillesima recensione di Harry Potter o di Tolkien, in rete si può già trovare tutto e il contrario di tutto. Invece per quanto riguarda la narrativa fantastica italiana ci sono molti meno siti.
Che poi gli italiani che scrivono fantastico facciano per buona parte pena non è colpa mia. Quando e se qualcuno scriverà qualcosa di decente ne parleremo volentieri.

#41 Comment By JackVenom On 20 novembre 2007 @ 22:39

“Gli errori non verranno fuori, perché gli scribacchini si credono tutti dei geni. Al massimo ammetteranno che il loro è uno stile diverso, non che sbaglino.”

Su questo posso essere in parte d’accordo con te. Ma tu invece… insomma, pensi di non passare mai dallo stato di scrittore emergente? O sai per certo che le tue frasi nude e crude non annoino dopo pagina 5 come invece succede agli altri emergenti?

E se ti accorgerai che le tue frasi, come quelle altrui, faranno annoiare, che farai? Darai anche tu la colpa agli editori? O comincerai finalmente a metterti in ballo, e verificare di ottenere uno stile tutto tuo, finalmente, senza più copiare manuali? Pensaci Gamberetta, pensaci davvero.

Se sei così critica con te stessa quanto lo sei con i facili bersagli di scrittori che non hanno mai pubblicato (e non pubblicheranno mai, o che forse pubblicheranno) o che hanno pubblicato appena la loro prima opera, spero che sarai altrettanto critica con te stessa. A quel punto potrai dire: sul mio blog sono stata criticata da molte persone che non capivano nulla di letteratura(JackVenom compreso). Ma se invece farai la stessa fine degli altri, allora dovrai ammettere di essere di essere come quelli che ti criticano (stavolta JackVenom escluso, in quanto pur essendo uno scribacchino, non pensa minimamente di essere un genio, ne di essere ancora in qualche modo ancora pubblicabile).

In ogni caso, in bocca al lupo. Che ci creda o no è sincero.

P.S.: Su quanto dici sull’azione manco mi pronuncio. Tanto tu la pensi in quel modo, non sarò certo io a farti cambiare idea. Spero solo che tu riesca nella genialità di non creare il solito fantasy tutto azione e personaggi piatti come lo schermo del mio pc. Anche per questo in Italia il fantasy viene scritto così male…

Ah, e ricorda una cosa: quello che vale per te (o per me) non vale per forza anche per tutti gli altri. Non è legge.

#42 Comment By Beatrice S. On 20 novembre 2007 @ 23:07

Ogni tanto capito su questo sito, spesso leggo e basta, altre volte me ne vado senza finire gli articoli perchè un po’ fanno ridere e un po’ fanno pena.
La cosa più geniale dei due o più autori, cosa tutta da indagare, è il sapiente modo in cui nascondono il tanto tirar *fango* addosso a ogni esordiente dietro ad articoli che apparentemente sembrerebbero quasi sensati.
Questo se non si tiene conto che non esistono regole prederminate per scrivere un *buon* libro, se non quelle grammaticali e di forma. Tutto il resto rientra nella categoria sconosciuta agli autori del blog: IL GUSTO.
A qualcuno piace lo stile pomposo di Tolkien, ad altri l’incontinenza verbale di King, mentre qualcuno apprezza lo stile asciutto e immediato di altri scrittori.
Non c’è una regola generale. Ma se ho inquadrato bene gli autori di questo sito, ribadiranno che non è così, che esiste un metro universale per determinare quali romanzi sono degni di esistere e quali altri dovrebbero volare fuori dalla finestra (tanto per citare un’espressione gentile spesso usata).
Contenti voi…
Fortunatamente la letteratura è qualcosa di molto più viscerale delle tante fredde note tecniche che elencate come libro sacro dei veri scrittori di successo.
Io non scrivo, ma sono una lettrice onnivora e mi fa piacere vedere che nel genere fantasy e fantastico l’Italia cominci finalmente ad avere dei suoi pregevoli rappresentanti, che riscuotono pian piano consensi e pubblico.
*Fanno pena*, direte voi. L’importante è crederci…Rimanete pure ancorati a tanto astio gratuito. Vi farà guadagnare 40 risposte a ogni articolo, ma poco altro.
Beatrice

#43 Comment By Signor Stockfish On 20 novembre 2007 @ 23:29

@Beatrice: non esistono regole se non grammaticali o di forma? Ma allora perché fare le cose a metà, togliamo pure quelle, ti pare? Se tutti gli elfi sono asciutti e scattanti, finiranno per essere piatti come lo schermo del tuo PC. Perché qualcuno non potrebbe essere asciuto e scatante, tanto per cambiare?

Per la milionesima volta: non esistono regole per scrivere un ottimo libro, esistono regole per scrivere un libro decente. Di queste regole i geni possono tranquillamente sbattersene, ma i geni son pochi. La regola, se così la vogliamo chiamare, che in un romanzo di azione la tensione deve essere in crescendo, altrimenti il lettore si annoia, è una precondizione, alla stregua della correttezza grammaticale. Vorrei capire perché da questo dovrebbero venir fuori dei personaggi piatti.

Perché dall’essere un po’ accurati, dall’evitare di scrivere stronzate dovrebbero uscire fuori dei personaggi piatti? Perché per scrivere un romanzo dove i personaggi non sono piatti devo scrivere che “i cavalli ruminavano nella stalla”, se i cavalli non sono ruminanti?

#44 Comment By Signor Stockfish On 20 novembre 2007 @ 23:34

@Beatrice: scusa, lo schermo piatto era quello di JackVenom.

Sul gusto, hai ragione, ne siamo privi. Purtroppo abbiamo ancora l’olfatto.

#45 Comment By Nick Truth On 20 novembre 2007 @ 23:46

Grazie per gli auguri.
Ma dopo diverso tempo che una persona si sbatte sulla scrittura e studia la letteratura, applicando le proprie conoscenze ad ogni romanzo arriva a costruirsi un insieme di regole personali e dettate dal proprio gusto che insegnano a chi scrive come muoversi.
Ci sono persone che hanno bisogno di Stephen King, e ci sono persone che la propria fase King e “colpisci l’avverbio” l’hanno superata.

Si può migliorare il proprio stile, si può passare dall’essere illeggibili all’essere leggibili, ma non si può imparare a raccontare quando non si possiede istinto narrativo.
In altre parole, se una persona ha bisogno dei tuoi insegnamenti (giusti o sbagliati che siano) molto probabilmente non sarà mai scrittore.

Ricambio gli auguri, dicendoti che se tu hai bisogno di fare quello che ti dice Stephen King, o Dante, o chiunque altro per sentirti scrittrice ti manca una cosa fondamentale: la personalità.
Puoi sbatterti e risbatterti sui manuali, appuntare le cose di King fino a farti sanguinare le dita, fino a diventare cieca e sorda ai consigli altrui, che se non hai personalità non scriverai mai una storia decente.

Il mio scopo è divertirmi e fare quello che mi piace, scrivere perchè mi soddisfa, nel modo in cui piace a me, non nel modo in cui piace al lettore. Se al lettore non dovesse piacere come scrivo, e si annoia nel leggermi, pazienza. Io mi sono divertita, vuol dire che non sono destinata a farmi leggere.
Io scrivo pensando a quello che piace leggere a me. E se piace solo a me, pazienza. Intanto avrò lottato per produrre qualcosa di personale e unico. Schifoso? Bellissimo? chi se ne frega, almeno non è la fotocopia malriuscita di come scrive un altro.

La letteratura è l’arte della parola. Uno stile ingenuo rovina una bella storia, una storia stupida scritta benissimo è inutile.
Ma c’è anche chi sostiene il contrario. Il caro Cervantes che tu hai letto tre volte, a quanto pare, diceva che la forma era la cosa principale.
Vogliamo iniziare un dibattito che è stato affrontato per secoli, questo sulla forma?
Io non ne ho voglia, perciò discutine da sola, stai sulle tue opinioni, che sono sempre, e dico sempre, messe in ridicolo dagli esempi che stiamo citando nel dibattito.
Tanto sono tutte eccezioni. E quante eccezioni però!

Spaccare le teste, a livello stilistico può essere difficile. Descrivere l’azione è difficile. Riflettere e dire qualcosa di sensato nel proprio romanzo però è da maestri.
Tu ambisci a far spaccare teste? Bene, allora ricordamelo, se tu dovessi mai riuscire a pubblicare qualcosa: saprò benissimo che sto leggendo niente di più che un romanzetto per ragazzini.

Il cielo nero può rappresentare qualcosa. La letteratura è fatta anche di simboli, quella bella, almeno. Si nutre di simboli.
Se il cielo nero è simbolo di qualcosa un bravo scrittore sa ricamare sul cielo nero in modo che al lettore rimanga impresso.
Poi ci sono quelli che si accontentano di essere dimenticati, perchè il romanzo non ha nulla da dire, basta vendere e accontentare il lettore.

Chi non ha nulla da dire però non ha nulla da scrivere.

Gli scribacchini che si credono dei geni vanno lasciati cuocere nel loro brodo. Dire “fai schifo, sbagli questo e quest’altro” non li farà diventare dei bravi scrittori. Dunque mi domando se il gusto qui sia solo distruggere invece di costruire, visto che tanto “si credono tutti geni”.

è molto più difficile far emergere gli errori dal contrasto piuttosto che far vedere gli errori comunque.

La centomillesima recensione su Tolkien sarebbe unica se scritta da te. Evidentemente a te non interessa tanto comunicare, quanto dire qualcosa di diverso dagli altri, in modo da distinguerti.
Boh, del resto hai pure 17 anni, questa tua voglia è comprensibile.

Vi occupate di italiani perchè in rete non lo fa nessuno? Bene, ottimo. Quello che mi suona tanto strano è che vi occupiate di qualcosa che vi fa schifo.
Bello dedicare un blog su un argomento che vi fa schifo.
Chissà quanti libri orribili dovete leggervi per parlarne male sul blog!
Tutto tempo sottratto alle belle letture, ma ognuno fa le sue scelte.
Ho detto tutto.
Mi dispiace vederti così immobile sulle tue nozioni, perchè mi sei sempre sembrata una ragazzina intelligente.

#46 Comment By Gamberetta On 20 novembre 2007 @ 23:46

@Jack

Su questo posso essere in parte d’accordo con te. Ma tu invece… insomma, pensi di non passare mai dallo stato di scrittore emergente? O sai per certo che le tue frasi nude e crude non annoino dopo pagina 5 come invece succede agli altri emergenti?

Gli esordienti, in generale, non scrivono frasi nude e crude, non ne sono capaci. E anch’io, come già detto, non sempre ci riesco. Però le parti dove ci sono riuscita sono sicura non annoieranno nessuno. Magari alla fine non piaceranno, ma dubito che qualcuno le lascerà a metà.

Se sei così critica con te stessa quanto lo sei con i facili bersagli di scrittori che non hanno mai pubblicato (e non pubblicheranno mai, o che forse pubblicheranno) o che hanno pubblicato appena la loro prima opera, spero che sarai altrettanto critica con te stessa.

Io sono dieci volte più critica con me stessa. Con gli altri spesso lascio perdere perché è inutile incaponirsi su tanti dettagli quando ci sono errori macroscopici.

Per il resto, non ti preoccupare, non frignerò mai contro gli editori malvagi, e tanto meno contro il pubblico: se scrivo per gli altri sono io che devo proporre qualcosa che piaccia, non il pubblico cambiare gusti per accontentarmi.
Senza contare che sono orgogliosa. Anche avessi ragione, non mi metterei mai a frignare o a dare la colpa ad altri.

#47 Comment By Signor Stockfish On 20 novembre 2007 @ 23:54

@JackVenom: il genere “tutto azione” coi personaggi piatti fa schifo, concordo con te. Non è un problema solo del fantasy, comunque, e non solo dell’Italia. Avevo comprato il best seller “L’ordine del sole nero” di James Rollins (uno alla Wilbur Smith che vende un sacco), giusto per capire com’è fatto un best seller, e a pagina 100 l’ho dovuto mollare, semplicemente perché a pag. 100 non ricordavo ancora come si chiamava il protagonista. Personaggi piatti, tutti uguali, due palle infinite. Però i personaggi piatti non li imputerei al fatto che è un romanzo d’azione. I personaggi, infatti, andrebbero caratterizzati attraverso le loro reazioni agli eventi, più che facendogli fare delle seghe mentali. Mi è capitato di leggere un romanzo fantasy di un autore italiano delle nuove leve dove di azione ce n’è pochina, e dove i personaggi si fan delle gran seghe mentali… ma questo non è servito a caratterizzarli, solo a renderli insopportabili. Ne posterò prossimamente una recensione, preannunciando già che mi ha fatto schifo, e non per la mancanza di azione.

#48 Comment By Gamberetta On 21 novembre 2007 @ 14:52

@Nick

Il mio scopo è divertirmi e fare quello che mi piace, scrivere perchè mi soddisfa, nel modo in cui piace a me, non nel modo in cui piace al lettore. Se al lettore non dovesse piacere come scrivo, e si annoia nel leggermi, pazienza. Io mi sono divertita, vuol dire che non sono destinata a farmi leggere.
Io scrivo pensando a quello che piace leggere a me. E se piace solo a me, pazienza. Intanto avrò lottato per produrre qualcosa di personale e unico. Schifoso? Bellissimo? chi se ne frega, almeno non è la fotocopia malriuscita di come scrive un altro.

Maddai, dopo tutti i discorsi arrivi a dirmi che alla fin fine non te ne frega niente del prossimo e l’unica cosa che t’importa è te stessa. Va benissimo, ma allora cosa discuti a fare? Se non ti poni il problema di piacere agli altri è ovvio che andrà sempre tutto bene.
Ma il tuo è un caso isolato. La maggior parte degli scrittori o aspiranti tali che passano di qui vogliono essere pubblicati e letti. Io stessa sono consapevole che una fetta del divertimento che provo a scrivere è immaginare che accanto a me a esplorare le mie fantasie ci sia un lettore estraneo.

Mi fa solo ridere quando dici che io sarei quella arroccata sulle mie posizioni. Almeno io l’ho una posizione! Tu hai solo il tuo mondo interiore, vero per definizione e nient’altro. Se agli altri piace bene, altrimenti bene uguale!
Lo scrivere è comunicare, se tutti buttano via il tuo libro a pagina cinque perché è noioso, non hai comunicato un bel niente e non sei uno scrittore. L’introspezione e le altre robe pregne di significato lo deve giudicare il lettore se siano pregne di significato. Se il lettore ti dice che sono vaccate noiose, be’, sono vaccate noiose. Gira e rigira è sempre la storia del povero genio incompreso.
Io lo dico chiaro: se i lettori dovessero annoiarsi con quello che scrivo e scriverò, vorrà dire solo una di queste due cose. La prima: sono del tutto negata, tanto appunto che la mia forma è così scarsa da non rendere comprensibile ciò che racconto. La seconda: le mie idee sono banali, stupide o comunque poco interessanti. In entrambi i casi valuterei seriamente se continuare sapendo che il lettore immaginario di cui sopra non sta apprezzando, oppure se lasciare perdere. Magari alla fine continuerei lo stesso solo per me stessa, ma non sarebbe una scelta così ovvia.

Per il resto non ho altro da dirti, visto che se la base è lo scrivere solo per se stessi non ci sono appunto “regole” né basi di discussione. Però è il tuo atteggiamento che “distrugge”, non il mio.

#49 Comment By Angra On 21 novembre 2007 @ 15:56

@Nick Truth: se io dipingo perché mi rilassa e mi diverte, e poi mi appendo i quadri nella mia cameretta, posso fare tutte le croste che voglio e nessuno può permettersi di avere qualcosa da ridire. Se organizzo una mostra, e pretendo anche di vendere i miei quadri, il discorso cambia. Sono io che voglio il giudizio degli altri, e se qualcuno presente alla mostra mi critica non posso far marcia indietro e dire che a me il giudizio degli altri non interessa e che dipingo solo per il mio piacere personale.

Con la scrittura la situazione è un po’ più complicata: non basta un’occhiata per riconoscere una crosta (be’, a volte sì), e quando hai capito che il libro fa schifo in genere è troppo tardi perché i soldi li hai già spesi. Se uno mi vende una schifezza e poi di ce che lui scrive solo per se stesso, be’, è un po’ troppo comodo. Se invece si tiene i manoscritti nel cassetto e al limite li fa leggere alle zie, niente da dire.

#50 Comment By Nick Truth On 21 novembre 2007 @ 16:00

è ovvio che una persona vuole piacere agli altri, ma è ovvio che non si scrive per gli altri. Scrivere è un atto egoistico, vuoi comunicare per comunicare te stessa. Non lo si fa per altruismo.
Scrivere è egocentrismo allo stato puro.

Comunque io intendevo dire che non mi importa un fico secco di omologare la mia scrittura al gusto del lettore comune che legge Stephen King, mi importa di raggiungere quello che è il mio gusto. Come ho un gusto nel leggere ho un gusto nello scrivere.
Non si scrive come piace agli editori, ai lettori, a nostra madre.
Si scrive come piace a noi.

Io ho il mio mondo interiore, il confronto con me stessa e con le opinioni di chi leggerà. Ma le opinioni di chi legge devono essere riferite ai miei scopi:
-ti ho comunicato quello che volevo? Ti è arrivato il messaggio?
Se il messaggio è arrivato si può considerare un successo. Ho raggiunto lo scopo.
- Lo stile ti prende? è noioso?
Se la risposta è si è ovvio che devo rivedere qualcosa. A meno che il mio scopo assurdo non fosse di annoiare.

Quello che trovo orribile e falso è adeguare il proprio gusto a quello del lettore per vendere. Un conto è avere la consapevolezza di non aver raggiunto il risultato, e lottare per raggiungerlo, un conto è scrivere come vuole il mercato.
O come si crede che voglia il mercato.
Infatti le tue regole sono le regole di chi vuole un libro “di facile lettura”, che significa culturalmente basso. I tuoi parametri su cui ti impunti sono quelli della letteratura da ombrellone. Ne sei consapevole?
Poi come ho detto ognuno fa le sue scelte, c’è chi scrive per vendere e chi scrive per esprimersi e per amore di quello che fa.

Esprimersi significa farlo anche con lo stile.
Chi basa la sua scrittura su una serie di regole e regolette decise da altri non ha personalità.
Di romanzi fotocopia ce ne sono tantissimi. Basta farsi un giretto in libreria.

è sul mio gusto, sui miei criteri che si basa quello che scrivo, non certo sulle regolette prestampate di libri che vorrebbero insegnare a scrivere un buon romanzo.

Visto che passiamo al giudicare le posizioni che uno ha o che non ha, ti dico subito che tu non hai una posizione: la posizione ce l’ha Stephen King.
Il post che tu hai scritto è completamente copiato da On Writing.
Sbattiti e risbattiti sulle posizioni di King interpretate male da te, e continua a dire che lo scrittore deve abolire la retorica, a fare i tuoi esempietti. Per ogni volta che tu dici “è così” ti porteremo esempi che ti dimostreranno che ti sbagli.
Lo abbiamo già fatto, possiamo continuare.
Abbiamo un millennio di letteratura a cui attingere.

Continua a farci la lezioncina. Per ogni tua lezioncina ne abbiamo venti in serbo per te.

#51 Comment By Nick Truth On 21 novembre 2007 @ 16:09

@Angra: Se faccio una mostra e il mio quadro viene criticato è perchè non ho raggiunto lo scopo che volevo.
Ma non ho raggiunto lo scopo anche se il mio quadro viene dato per bellissimo perchè il blu risalta mentre io volevo far risaltare il verde.

Non è che il giudizio degli altri non conti, ma scrivere seguendo il gusto del pubblico (che potrebbe non corrispondere al proprio) è vendersi.

Allora dovremmo fare solo storie che piacciono al pubblico. Scriviamo fantasy con l’elfo e la spada, alla gente piace. Scriviamo una storia di sesso, alla gente piace.
Scriviamo con frasi semplici semplici, evitiamo le metafore perchè la gente non ha voglia di sforzarsi a pensare.
Questo per me è stupido.

Io scrivo come piace a me.
Virginia Woolf con la signora Dalloway non ha certo guardato al gusto del pubblico e alla leggibilità. Ha cercato di dare emozioni.
La sua scrittura è complicata, pure pesante. Però è arte.
Joyce, lo stesso.

Se dobbiamo seguire i gusti degli altri siamo messi molto male. E non abbiamo nulla da comunicare, visto che non abbiamo gusto.

Poi se vendo o non vendo è un altro discorso. Io mi sono sforzata di offrire qualcosa di personale. Se non piace, evidentemente, non ho talento.
Pazienza, la vita continua.

#52 Comment By Angra On 21 novembre 2007 @ 16:16

@Nick: guarda che di facile lettura non vuol per niente dire culturalmente basso, vuol dire che si legge con piacere. Se tu prendi quello che hanno scritto scienziati come Einstein e Russel (premio nobel per la letteratura nel 1950), non certo “letteratura da ombrellone”, troverai un linguaggio semplice e pulito anche quando si parla di arogomenti estremamente complessi. Il voler stupire il volgo (“miii, quante parole difficili si è saputo questo!”) è tipico degli scrittori e delle menti mediocri.

#53 Comment By Gamberetta On 21 novembre 2007 @ 16:20

@Nick. Il problema è proprio il fatto che tu non fai una lezioncina. L’unica cosa che hai ripetuto alla nausea è appunto che non si possono fare lezioni. Ho capito che questa è la tua posizione, ma ripetilo pure altre mille volte, liberissima.
Io non voglia fare la Poetessa, l’Artista, parlare dei Grandi Problemi del Nostro Tempo e del Travaglio Interiore dell’Eroe. NON ME NE FREGA UN TUBO. Io voglio scrivere narrativa fantastica, del tipo:
Invasione aliena.
Devo documentarmi su astrofisica, xenobiologia, probabilmente informatica perché ormai è dappertutto in un racconto contemporaneo.
Chi prendo come protagonista: un alieno? Il capo alieno? Il presidente USA? Il soldato appena arruolato? Il bambino che si tiene nascosto per tutto il tempo? Tutti assieme?
Che punto di vista scelgo? Quanti dettagli tecnici devo far filtrare? Come faccio a rendere verosimili le scene di battaglia? E così via. Punto.
A te sembreranno quesiti insignificanti, in confronto all’Arte, beata te! A me (e vorrei aggiungere alla buona parte del pubblico mondiale) piacciono invece le storie che danno risposte adeguate alle domande di cui sopra. Questa è la letteratura di genere fantastico nel suo senso più genuino, quella che ha appassionato miliardi di persone da Omero in poi e quella che sogno di scrivere e mi diverto a leggere.
Voglio solo aggiungere che è un genere di letteratura difficilissimo da scrivere, ed è per questa ragione che il 90% di fantasy e fantascienza è da buttare.

#54 Comment By Angra On 21 novembre 2007 @ 16:31

@Nick: mi sa che fai un po’ di confusione. Il problema non è mica se c’è l’elfo con la spada magica o no, il problema è se il romanzo è ben scritto, se la trama è ben congegnata, se la struttura narrativa funziona, se i personaggi sono ben caratterizzati. A me non frega niente di uno che vuol fare l’originale, se poi scrive male e mi annoia. Il tutto nasce da questo: ci sono molti più modi di scrivere un brutto romanzo che modi di scrivere un bel romanzo.

#55 Comment By Angra On 21 novembre 2007 @ 16:34

nota: Russell con due “l”, me ne sono persa una per strada.

#56 Comment By Nick Truth On 21 novembre 2007 @ 17:09

@Angra: Stiamo parlando di letteratura d’invenzione. La scrittura scientifica divulgativa ha altre regole, e deve essere per forza facile e semplice, quando si rivolge al pubblico. Quando si rivolge ad un pubblico tecnico non è mai semplice per via dei termini che si è costretti ad utilizzare.
Non è questione di voler stupire, è questione di libertà di espressione. Abolire la retorica solo perchè al pubblico non piace leggere metafore e similitudini è dettare le regole della letteratura di consumo.
La letteratura di consumo ha dei parametri: quello dei romanzi fotocopia che ripetono fino alla nausea una serie di schemi.
Però bisogna essere consapevoli che non si produce nulla di nuovo.

Non ho nulla contro la scrittura asciutta, se è una scelta dettata dal gusto. Ma se la scelta è dettata dal gusto del pubblico allora ho molto da ridire.
Si chiama vendersi. Che vi piaccia o meno, è vendersi.

@Gamberetta: i tuoi quesiti sono insignificanti nel momento in cui non sono supportati da un tema più profondo nella storia che vuoi raccontare. Se hai una buona storia, di quelle che aggiungono qualcosa alla vita del lettore, puoi cominciare a porti questi problemi.
Se non ti importa un fico secco di raccontare il mondo come lo vedono i tuoi occhi e di cosa provano i tuoi personaggi quello che tu scrivi è aria fritta.

A buona parte del pubblico mondiale può piacere quello che dici tu. Ma c’è una parte di pubblico, maggiore di quella che forse tu credi, che non si accontenta di un romanzetto che lo intrattenga per due giorni e poi dimenticarlo subito dopo. C’è un pubblico che vuole leggere di qualcosa.

La lezioncina te la facciamo ogni volta che tu dici:
“la regola è scrivere così, perchè non ce ne frega niente del resto” e noi ti mostriamo esempi testati dal tempo e dal successo per dimostrarti che le tue regole non valgono niente.
Le lettere non sono una scienza esatta mi dispiace deluderti.
E no, lo ripeto ancora: non si possono fare lezioni generiche come le tue.
Guarda, lo ripeto un’altra volta: non si possono fare lezioni generiche come le tue.

Ps: non si possono fare lezioni generiche come le tue.

Dimenticavo: la letteratura fantastica e Omero non sono la stessa cosa. Non sarai mica di quelle che pensano che l’Iliade sia fantasy, vero?
I bei lavori che hanno appassionato sono quelli che avevano qualcosa da dire e motivazioni profonde dietro la loro stesura.
è per questo che molta letteratura di genere fa schifo: perchè molti autori si dimenticano le motivazioni.

Non si possono fare lezioni generiche come le tue.

#57 Comment By JackVenom On 21 novembre 2007 @ 17:31

@ Gamberetta: davvero scrivi nel modo che hai descritto sopra? Peccato, mi aspettavo di più da te. Non seghe mentali sui personaggi, ma mi aspettavo di più davvero. Vabbè, ma d’altronde che te ne importa del mio parere?

#58 Comment By JackVenom On 21 novembre 2007 @ 17:35

Avremo un’altra scrittrice emergente destinata a restare per sempre emergente… pazienza… (scusate il secondo post, ho cliccato per sbaglio…)

#59 Comment By Gamberetta On 21 novembre 2007 @ 18:13

@Nick. LOL, scusa ma sei davvero ingenua. Il significato profondo di un’invasione aliena è… un’invasione aliena! Ti racconto un aneddoto, purtroppo non ho la citazione esatta sotto mano, ma è più o meno così:
Joseph Conrad ha scritto un romanzo intitolato Tifone, che è la storia di una nave a vapore che finisce in una tempesta. In un’intervista il giornalista chiede a Conrad quale dovrebbe essere il significato simbolico del tifone, qual è il senso profondo del cataclisma al di là della manifestazione fisica.
Conrad, imbarazzato: «Be’, ecco, io volevo… insomma volevo far affondare una nave e allora… allora ho pensato… un tifone?»
Ho parafrasato perché appunto non ho sotto mano il testo esatto, ma il senso è quello.
Quando un lettore legge un bel libro di invasioni aliene gli rimane per tutta la vita, e ogni volta che alzerà lo sguardo al cielo avrà un brivido lungo la schiena, proprio perché l’invasione aliena era niente di più e niente di meno di un’invasione aliena.
Le idee rimangono, le idee plasmano l’immaginario collettivo e la realtà stessa, come Niels Bohr che ha pensato di costruire la bomba atomica dopo aver letto un racconto di Wells, il “significato” che cerchi tu è fuffa.
Così come è fuffa il mito delle motivazioni. Uno può scrivere per soldi, noia, passione, disperazione, pazzia o una somma di questi fattori, non c’è alcun legame con quello che otterrà. In particolare: tutta la passione del mondo non migliora di una virgola i testi, e scrivere per denaro non li rende automaticamente brutti.

@Jack. ROTFL! Guarda che se davvero rimarrò emergente per sempre sarà proprio perché ho voluto scrivere di argomenti interessanti e perciò difficili da raccontare, come sono quelli tipici della narrativa fantastica. T’illudi sul serio se pensi che scrivere un bel romanzo ad esempio di invasioni alieni sia facile.

Aprite gli occhi: gli scrittori di genere fantastico italiano hanno così tante difficoltà a vendere (sia in patria, sia e soprattutto all’estero) non perché siano geni incompresi, non perché si rivolgono a un pubblico più colto o attento rispetto alla media, ma perché si sono scelti un campo di scrittura arduo e molti di loro non sono all’altezza di affrontarlo.
Imitare Wells, Clarke, Heinlein, e compagnia sembra facile, ma non lo è neanche per sbaglio. Scrivere un romanzo come Il Terrore dalla Sesta Luna, La Luna è una Severa Maestra, Gli Orfani del Cielo, ecc. ecc. è lavoro che sanno fare in pochi.
Mi piace tanto citare Orson Scott Card, perché quando racconta come è nato il Gioco di Ender mi ci riconosco. Le prime immagini dei marine che si addestrano a gravità zero, gli alieni mostruosi con gli occhi d’insetto, la guerra, le navi spaziali, il ragazzino immischiato suo malgrado nella lotta, ecc. Vedo già l’espressione schifata, perché per voi sono argomenti banali e infantili, tanto più che il signor Scott Card non prova neppure ad ammantarli di chissà quali profondi significati. Be’, io sarei orgogliosissima di scrivere un romanzo come il suo (oltre al vantaggio collaterale di qualche milione di copie vendute).

Voi no, pazienza. Io mi tengo la compagnia ideale del signor Scott Card e dei milioni di lettori sulla stessa lunghezza d’onda. Basta e avanza.

#60 Comment By Saryo On 21 novembre 2007 @ 18:17

@Gamberetta
Così vorresti scrivere una storia fantastica sugli alieni!
Io non so quanto tu abbia scritto, non so nemmeno quanta pratica con un ipotetico lettore, tu abbia fatto. Quando uscirà la tua “Creatura”, il parto della tua fantasia, sarò curioso di leggerlo. Non potrò mai fare un pronostico, finché non l’avrò letto. Ma ricorda una cosa: quando ti metterai a scriverla, mettici il cuore, tutta la passione che hai dentro, tutta la fantasia che possiedi. Perché sono parti ESSENZIALI nello scrivere una storia propria. Fino ad ora, in questo blog, ho letto solo di teorie, regole, sintassi, ecc. Queste sono le basi dello scrivere, le fondamenta da gettare prima di cominciare. La pratica dello scrivere è: scrivere – scrivere – scrivere. Il puro esercizio con il contorno di tutto ciò che ho scritto sopra.
Nel mio piccolo, parlo del mio primo libro pubblicato nel 2005, ho avuto moltissime soddisfazioni, vincendo anche una medaglia d’argento ad un premio letterario internazionale. Lettere di persone che si complimentavano per il mio stile, per ciò che avevo comunicato. NON MI SONO MAI AVVALSO DI MANUALI DI SCRITTURA.
La tua ricerca maniacale del libro perfetto, del modo perfetto di proporti al pubblico, ti comporterà solo emicrania. Scrivere è anche istinto, lasciarsi guidare dalla fantasia del momento. Ragionare sulla trama, sui personaggi, sulla storia: E’ importante, ma spesso affiora mentre sei concentrata sulla stesura del tuo lavoro.
Naturalmente parlo per la mia piccola esperienza.

@Jack:
@Nick:
Credo che andrete a scrivere all’infinito in questo blog. Lo vedo come una partita a scacchi: siete tutti in “stallo”, E’ patta!
Forse in futuro qualche scribacchino esordiente dimostrerà quanto sia strano il mondo della letteratura, questa arte dello scrivere, del comunicare pensieri ad un’altra persona. Solo il tempo domostrerà quale pensiero porterà dei frutti.
Posso solo augurare in bocca al lupo a chi AMA SCRIVERE, al di là di tutti i risultati che otterrà.

#61 Comment By JackVenom On 21 novembre 2007 @ 18:41

@ Gamberetta: Beh, se scrivi come quei mostri sacri che hai narrato complimenti. Dal blog non si direbbe però, e nemmeno da quel che dici. In ogni caso ti rinnovo i miei auguri, qualunque sia il motivo che ti porta a fare quel che fai. Fallo, e amalo fare.

In ogni caso: grazie di tutto, Signora Maestra!
E detto questo, esco dallo stallo, promettendo solennemente (azz, un avverbio!! e di modo per giunta! Al rogo!) che commenterò direttamente il tuo prossimo post su questo blog (se mi farà pensare in qualche modo…)

Au revoir!!

#62 Comment By Gamberetta On 21 novembre 2007 @ 18:49

@Saryo. L’invasione aliena era un esempio. In realtà non sto scrivendo un romanzo di invasioni aliene, anche se ci sono dei personaggi che non sono nati sul nostro pianeta.
Sarò felice se leggerai quello che sto scrivendo, quasi di sicuro, che sia pubblicato o no, lo distribuirò anche gratuitamente con licenza Creative Commons.

Ci credo che tu abbia scritto un romanzo senza avvalerti di alcun manuale, la gran parte delle persone, specie in Italia, fanno così, ma la gran parte delle persone poi pubblicano a pagamento e vendono 10 copie quando va bene.
Ora non entro nel merito visto anche che non ti piace farti pubblicità, ma se il tuo romanzo avesse avuto un minimo di successo l’avrei saputo ed è probabile che l’avrei anche letto, visto che tra me e mio fratello gli italiani li stiamo trebbiando tutti. A meno che non sia di genere fantastico, nel qual caso non mi pronuncio.

#63 Comment By Nick Truth On 21 novembre 2007 @ 18:56

Questo è l’ultimo commento su questo post, se no veramente non la finiamo più.

Innanzitutto:
Non si possono fare lezioni generiche come le tue.

Poi:
Gamberetta, il tuo ragionamento non ingenuo è proprio quello di chi non ha nulla da dire.
Ma dovrei considerare che tu hai 17 anni, e magari pensi ancora che Pinocchio sia solo la storia di un burattino di legno che diventa un bambino vero.

Riguardo a Conrad, grazie dell’illuminazione. Adesso vado subito (corro!) a bruciare i libri di letterature comparate, ok?
Mi sa che abbandono gli studi perchè tanto è tutto “fuffa”!

Di nuovo grazie, davvero.
Mi sono fatta delle belle risate.

Al prossimo post.

Ah, ricorda: non si possono fare lezioni generiche come le tue

#64 Comment By Saryo On 21 novembre 2007 @ 20:55

@Gamberetta:
Quando finirai la tua “Opera”, fammelo sapere. Lo leggerò “come un manuale”….
(sto scherzando, naturalmente” (scusa l’avverbio).

#65 Comment By ThN1saHead On 27 luglio 2009 @ 19:13

Perché, quando parla un personaggio, aggiungono: in tono amorevole, irato, scontroso?

C’è qualcosa che non mi è chiaro: cosa intenda tu per personaggio “piatto” (espressione che ricorre nelle tue “recensioni”).

Te lo chiedo perché, a questo punto, sono portato a pensare che si tratti di una concezione diversa dalla mia: sto provando a riflettere quanto gli avverbi possono trasmettere della psicologia di un personaggio, e mi accorgo che essi veicolano atteggiamenti, modi di fare, postura, di conseguenza carattere, vita vissuta, personalità.

Devo uscire da una stanza reggendo un oggetto pesante e voluminoso. Se ti dico “Ti sposti?” bruscamente e tu non mi conosci, penserai subito a una persona che si adira facilmente e non ama conversare; se te lo dico in tono indifferente penserai a una persona leggeremente depressa e stanca della vita e del lavoro che fa. Se te lo dico dolcemente penserai ad una persona timida e buona, disposta ad aiutare chi le sta intorno.

Si tratta della traduzione linguistica del linguaggio del corpo: eseguire un’azione velocemente, con cura, distrattamente, con eleganza, garbatamente, con forza ha un’importanza capitale per chi mi osserva farla: penserà cose opposte di me!

#66 Comment By Giannizzero Nero On 28 luglio 2009 @ 02:49

Gamberetta, ciao.
Leggo spesso, ultimamente , il tuo blog, anche se partecipo raramente alle discussioni. Senza generalizzare posso dire che in buona parte mi trovo in accordo con le idee e le affermazioni che esprimi riguardo alla scrittura in genere, e alle recensioni dei romanzi che hai preso in esame.
Mi trovo tuttavia ora costretto ad intervenire, trasformandomi da lettore muto a dubbioso questuante perchè mi sento toccato nel vivo da alcune frasi che hai riportato in questo tuo articolo.
Nota che se anche ho esordito con il verbo “costretto” non intendo ancora esprimere una critica, ma solo rivolgerti una domanda, alla quale spero tu abbia la pazienza di rispondere quando riesci.
Sono molto d’accordo sul resto del tuo articolo, tranne vari dubbi sulla prima scelta, tra il cielo nero, per intenderci, e tutta la manfrina che ne segue come alternativa.
Tu preferisci la prima. Anzi, scusami, asserisci che la prima è la versione corretta e la seconda sintomatica di scarse qualità di scrittore.
Io ti dico che nella seconda versione hai certamente forzato la mano per infarcirla di inutili giri e abbellimenti (e fin qui quindi ti do ragione) però se da essa se ne estrapolano alcune parti,senza incorrere in forzature o similitudini eccessive suona molto più ricca.
Se per esempio scrivessi:
“Dal cielo sgorgavano lacrime d’inchiostro scuro, della stessa tonalità che ammanta le profondità abissali. Esse strappavano la luce del giorno, stendendo un velo di tenebra sulla vastità del cielo.”
Ecco, una versione del genere, a seconda dell’occasione, la apprezzo molto di più.

A parte una parentesi carina che apro,giusto per sorridere, ove devo correggerti sul fatto che il nero non è l’assenza di tutti i colori, o loro privazione (questo è il bianco) ma, al contrario,la somma di tutti (l’assorbimento totale di tutte le lunghezze d’onda cromatiche,più precisamente, perchè se mescolati fisicamente sulla tavolozza danno altrimenti grigio).

Dicevo, apprezzo molto di più la seconda. Perchè?
Di certo non per timidezza. Anzi, io che sono uno scrittore (ipotetico, io non sono uno scrittore ;) ) non voglio lasciare interpretazioni al lettore.
Un cielo nero può piacere. Non a tutti può trasmettere angoscia. Un cielo può essere nero senza piovere, oppure può essere nero e rilasciare pioggerella sottile, o calda, o fredda, etc etc.
Se scrivo lacrime che tolgono la luce al mondo, se rimando agli abissi, luoghi per cui spesso si prova atavico timore poichè spesso sconosciuti e insondati, se parlo di velo di tenebra rimando sì al colore scuro, ma anche al mistero della notte, a tutto ciò che nell’immaginaro collettivo con la notte si accompagna.
Perciò scrivo così e non semplicemente “nero” perchè nero non mi basta, perchè voglio provocare determinate sensazioni che con il solo colore puro non ottengo.
Se scrivo “esantematiche secrezioni livide e pesanti colavano dal cielo, ammorbando col loro calore malato il paesaggio già cupo della palude, privandolo della pace di quei luoghi morti” comunico disagio, fastidio, insano caldo di una pioggia pesante se non inquinante.
E’ diverso che dire “un cielo nero ricopriva la palude di pioggia”.
Tutto sta a cosa uno vuole.
Il tuo discorso è corretto se la descrizione del cielo è marginale alla scena, e serve ad introdurre altro di più importante.
Ma se la scena fosse incentrata proprio sulla descrizione del cielo e gli stati d’animo che esso provoca in un personaggio?
In questo modo, con l’utilizzo di similitudini/metafore non forzate ottengo di avvicinare il lettore alla scena, mostrandogliela, e facendogliela “annusare” più da vicino.
Ovvio che non bisogna esagerare con questa tecnica ed occorre utilizzarla ad arte per impreziosire e non appesantire la struttura narrativa, ma secondo me non stona, anzi.
Perciò non estremizzare così le cose, è vero che la semplicità è da ricercare e perseguire, ma non se impoverisce o non esprime a pieno le intenzioni dello scrittore.
Credo tu abbia inteso cosa cercavo di dire, prescindendo dall’esempio nello specifico. E c’è differenza da chi potrebbe scrivere la “versione 2″ per insicurezza, o per osteggiare fantomatiche abilità similpoetiche (vengo ora dal discorso sulle chiavi per la spazzatura o come cavolo si chiama il romanzo sul prato erboso).

Perdona la mia lunghezza, credo che in questo siamo, purtroppo,piuttosto diversi, ti espongo perciò la domanda di cui parlavo all’inizio senza indugiare ancora.
Questi tuoi “consigli” e questo articolo, si riferisce a chi intende scrivere di Fantasy (e allora il problema non sussiste) o a chi romanza in generale?
So che ora mi dirai “Giannizzero, sveglia, siamo in un blog che tratta di Fantasy, ovvio che parlo solo di quello” però preferisco peccare in questo senso che tenermi il dubbio.
Perchè se ti riferisci a romanzi in generale, le regole che detti forse un po’ rigidamente non possono valere, e avrebbe ragione il buon Nicola Verità che scrive sotto, dicendo che generalizzi troppo.

Non sono lettore solo di Fantasy, anzi, ultimamente quasi mai Fantasy.
Da questo devo quindi sottolineare che non sempre la finalità ultima è ciò che sta accadendo, ma anche come lo si narra.
Nel Fantasy hai probabilemte ragione al 100%: in fin fine devi trasmettere scene, idee e avvenimenti fantastici, non essere bravo nel raccontare episodi banali con belle parole.
Però se parlavi come scrittore in generale ( e il dubbio c’è, visto con quanta rigidità scrivi “Non sto a sottolineare tutti gli errori presenti nel secondo brano. Spero bene che nessuno tra gli scrittori o gli aspiranti tali preferisca il secondo brano. Se tale è il caso, non mi spiace dirlo: lasciate perdere e datevi all’ippica!”) scusa ma non è sempre come dici tu.Anzi, quasi mai :)
Ecco il perchè.
Ultimamente sono innamorato di Baricco. Va letto con un certo stato d’animo, e con una predisosizione alla lettura intensa tra le righe, però posso dirti che ho i brividi quando si lascia andare in passaggi metaforcici costruiti ad arte. Lo leggevo spesso a voce alta alla mia ragazza, e nel farlo (leggere per qualcun altro mi rende più attento e profondo rispetto a ciò che solitamente scorro con gli occhi, non fosse anche solo perchè è la rilettura )mi sono accorto di come la sua bravura/bellezza stia nel narrare fatti molto banali, che spesso non stupirebbero la persona comune persa nella sua febbre di vivere al massimo, ma che narrati con la maestria e le riflessioni poetiche a volte quasi deliranti, renda tutta la vicenda speciale e sublime (ho scomodato un bel termine, lo so).
Questo per dire che io apprezzo altrettanto quanto una bella scena di carica di dragoni a cavallo, anche una caleidoscopica riflessione sull’introduzione nell’immaginario collettivo dei treni a vapore (pur sempre,bada bene, ricollegata ad un romanzo narrativo).
E per farlo, almeno come lo fa lui, le metafore, le similitudini e le costruzioni lessicali sono necessarie molto più del narrare un fatto nudo e crudo.
Da qui il mio dubbio. Puoi dire che a te piace uno stile diretto e con pochi giri di parole, ma non che sia per forza l’unico stile apprezzabile e corretto, soprattutto per un lettore anche extrafantasy.

So (e mi rallegra) che mi dirai che nello specifico ti riferivi solo a scrittori di Fantasy in erba, quindi mal che vada la mia sarà solo una lunga riflessione, se invece le tue erano leggi generali, allora il mio discorso diventa critica e mi piacerebbe continuarlo con te,avendo una tua risposta, magari citandoti alcuni esempi di pezzi di brani che ho descritto.
A te la palla, con ammirazione
Giannizzero Nero

#67 Comment By Gamberetta On 28 luglio 2009 @ 15:09

@ThN1saHead. Ci sono le azioni e i dialoghi apposta. Gli avverbi non servono e comunque sono imprecisi.

«Ti sposti?» disse bruscamente.

È un modo di scrivere poco efficace. Perché bruscamente è un raccontare, non un mostrare quello che succede.
È molto meglio se il tono è implicito nel dialogo, perché così mostri con precisione cosa volevi dire:

«Ma ti vuoi spostare o no? Non lo vedi che ho le mani occupate?»

E mi sembra ovvio che sia un tono brusco. Solo che non è genericamente brusco, è brusco nella maniera esatta che volevi.

«Levati di lì idiota, devo passare!»

È ancora un tono brusco, ma più brusco di prima. E così via.
Dunque se tu nel dialogo metti la “bruschezza” che desideri non c’è bisogno dell’avverbio. E d’altra parte se ti affidi all’avverbio non comunichi al lettore il grado esatto di “bruschezza” che intendevi.

@Giannizzero Nero.

Questi tuoi “consigli” e questo articolo, si riferisce a chi intende scrivere di Fantasy (e allora il problema non sussiste) o a chi romanza in generale?

Sono consigli per gli scrittori di genere, ovvero per quegli autori che intendono la scrittura come mezzo per raccontare una storia, e non come un fine in sé.

#68 Comment By ThN1saHead On 28 luglio 2009 @ 19:55

«Ma ti vuoi spostare o no? Non lo vedi che ho le mani occupate?»

Disse mellifluamente, quasi cantilenando, ottenendo unicamente di irritare oltremisura il suo interlocutore che gli rispose in tono brusco.
_____________

«Ma ti vuoi spostare o no? Non lo vedi che ho le mani occupate?» disse.

No, in realtà non disse proprio così, perché era un tipo diretto e non amava sprecare una sola parola in più di quanto fosse necessario ai suoi fini.

Disse solo «Ti sposti?» e il suo tono conteneva già quella che sarebbe stato meglio fosse la risposta. Ovvero lo disse bruscamente.
_____________

Se poi la necessità è quella di decidere quanto brusco deve essere il tono, ho una buona notizia: puoi deciderlo tu stessa! Grazie al cielo i libri non sono fatti per le macchine (in tal caso ti scriverei che lo disse bruscamente al 67,12%, in cui 0% è un tono tranquillo e pacato e 100% è il tono più collerico che riesci ad immaginare).

#69 Comment By Gamberetta On 28 luglio 2009 @ 21:28

@ThN1saHead.

[...] Disse mellifluamente, quasi cantilenando, ottenendo unicamente di irritare oltremisura il suo interlocutore che gli rispose in tono brusco.

Questo in gergo tecnico si chiama: scrivere da cani. Ora, io non ho voglia di ripetere all’infinito le stesse cose, se l’argomento ti interessa ti consiglio di leggere (almeno) i saggi e i manuali indicati nella bibliografia dell’articolo Riassunto delle Puntate Precedenti. Per quanto mi riguarda ho finito di risponderti.

#70 Comment By Giannizzero Nero On 29 luglio 2009 @ 02:00

Ok, anche se molto concisa, ho capito ciò che intendi, tanto più che ho letto il link che hai mandato a ThN1saHead.
Magari non intendevo arrivare a esclamazioni del tipo che scrivi tu: “la literary fiction è quel tipo di narrativa che suscita nel lettore reazioni del tipo: “Ma com’è bravo questo autore! Che prosa raffinata! Quali sublimi metafore!”. In altre parole, il lettore di literary fiction prova piacere nell’atto di leggere in sé, al di là del significato di quel che sta leggendo. ” ma certamente si avvicina di più al genere che intendevo io, per quanto sempre di romanzi si tratta. Va bene, allora la mia rimane solo una lunga disquisizione. Chiudo però dicendoti che personalmente, quando ad esempio leggo romanzi storici (che non so a questo punto se inserirli in letteratura “di genere” o “literary fiction” anche se direi più la prima) apprezzo molto e di più tutto lo scritto, se a tratti emergono punti in cui oltre a mettere cura in ciò che si racconta, se ne mette anche molta nel costruire frasi che piacciano.
E stai parlando con una persona che spesso conta il numero di cartucce sparate nei film o il tipo di rinculo, e storce il naso se non corrispondono all’arma usata, ma che vede molto bene i due generi intrecciati.
In fondo, se sei uno scrittore con le palle, una volta che hai assolto in modo superlativo la stesura del romanzo fantasy, perchè non impiegare energie (residue) anche nel abbelire la forma?
Va bon chiudo qui ;)

#71 Comment By eLLe On 20 agosto 2009 @ 14:56

Perché gli scrittori dilettanti sentono molto spesso il bisogno di scrivere come nel secondo brano? Perché riempiono i loro scritti di avverbi? Perché, quando parla un personaggio, aggiungono: in tono amorevole, irato, scontroso?

scusa qui ti contraddici un po’… prima dici che bisogna descrivere e poi che non bisogna descrivere il tono con cui un personaggio parla…

#72 Comment By Gamberetta On 20 agosto 2009 @ 15:08

@eLLe. Non è che non devi descrivere il tono, non devi farlo con un avverbio, perché di solito è un metodo rozzo e impreciso, vedi il mio commento poco più sotto.

#73 Comment By francesca On 20 agosto 2009 @ 19:50

E’ stata già fatta altrove sul blog la similitudsine tra libro e cibo (là era unatorta di mele). Mi sembra molto azzzeccata: per me, leggere un buon libro è proprio come farsi una bella mangiata.
Applicando la metafora a questa discussione: in parte condivido il tuo dogatrismo, Gamby. Dici: Cucinieri! Non fate l’anatra caramellata al ripieno di quaglie, fate la pasta al sugo! Concordo che è meglio un’onesta pasta al sugo che un’anatra ecc. malfatta. Però secondo me ci sta che uno, fattesi le ossa , tenti anche cose diverse, eventualmente più complesse (o magari ancora più scarne). L’importante è ovviamente che lo faccia con consapevolezza, con senso critico, non pensando ingenuamente che sia più bello a priori scrivere cento parole invece che tre (nè viceversa, aggiungo). Non posso concordare che necessariamente un linguaggio basico è meglio, che se lastoria è bella la “forma” non serve. Infatti poi, come ti ho già detto altrove, a volte si pensa di scrivere in modo semplice e si finisce a scrivere in modo banale. Per me non c’è la forma, non c’è il contenuto: un libro è fatto solo di parole, queste sono la sua carne, la sua materia.

#74 Comment By Mauro On 21 agosto 2009 @ 12:56

Ma se un autore volesse che il personaggio dicesse bruscamente proprio “Ti sposti?”? Non solo le parole indicano se uno è brusco o no, può farlo anche il tono; possibilità che però si perde, senza usare aggettivi/avverbi.

#75 Comment By eLLe On 21 agosto 2009 @ 16:22

È un modo di scrivere poco efficace. Perché bruscamente è un raccontare, non un mostrare quello che succede.
È molto meglio se il tono è implicito nel dialogo, perché così mostri con precisione cosa volevi dire:

Ho capito cosa intendi, e io spesso evito di usare il *MENTE anche all’interno delle frasi perchè mi sembra un po’ forzato.

#76 Comment By Diarista incostante On 21 agosto 2009 @ 23:40

@Mauro

Ma se un autore volesse che il personaggio dicesse bruscamente proprio “Ti sposti?”? Non solo le parole indicano se uno è brusco o no, può farlo anche il tono; possibilità che però si perde, senza usare aggettivi/avverbi.

Nel libro non ci saranno solo i dialoghi, quindi se hai caratterizzato bene i personaggi non hai bisogno più di tanto di precisare con che tono vengono pronunciate le frasi, perchè il lettore sa già con chi ha a che fare di volta in volta, conosce il carattere del personaggio che prendendo vita gli parla con la sua voce caratteristica.

Ok, a parte le comparse. Ma anche lì gli avverbi sono rimpiazzabili con un minimo di sforzo mentale in più.

#77 Comment By La mappa definitiva del Giovane Esordiente « Werehare’s Burrow On 8 agosto 2010 @ 18:17

[...] sul fantasy italiano, Riassunto delle puntate precedenti, Scacchi e scrittura, On fairy stories, Educazione e timidezza, Gli scrittori e il troppo Amore, Come non scrivere fantasy: tutti articoli dedicati a vari aspetti [...]

#78 Comment By Phobera On 9 ottobre 2012 @ 15:30

@Giannizzero Nero: commento faceto, senza voler entrare nel merito della vostra discussione. Il tuo discorso sui colori è relativo ed incompleto: è la luce bianca a contenere tutta la gamma di onde luminose che rifrante dalle superfici ne determinano il colore, quindi se ti riferisci alla copertina di un libro il nero è sì la presenza di tutti i colori, ma se parli del cielo allora il nero è esattamente l’assenza dei colori, poiché privo di luce.


URL dell'articolo: http://fantasy.gamberi.org/2007/11/12/educazione-e-timidezza/

Gamberi Fantasy