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Riassunto delle Puntate Precedenti

Pubblicato da Gamberetta il 31 maggio 2008 @ 14:28 in Insalata di Mare,Scrittura | 86 Comments

Scrivendo la recensione de La Setta degli Assassini, mi sono resa conto che forse è il caso di ricapitolare alcuni punti chiave riguardo la narrativa di genere fantastico. Tali punti sono già stati illustrati in vari articoli e commenti, ma mai in maniera sistematica.
Premetto che quel che dirò non è Vangelo. Non sono verità scolpite nella pietra, sono per lo più convenzioni. Ciò significa che uno scrittore è liberissimo di ignorare tali convenzioni, ma non di non essere consapevole di quel che sta facendo.

Una prima distinzione

Una prima importante distinzione è separare la narrativa di genere dalla literary fiction. Literary fiction è una locuzione inglese con la quale si designa un tipo di narrativa dove la forma viene considerata importante in sé, oltre che veicolo per il contenuto. Per usare termini più terra terra, la literary fiction è quel tipo di narrativa che suscita nel lettore reazioni del tipo: “Ma com’è bravo questo autore! Che prosa raffinata! Quali sublimi metafore!”. In altre parole, il lettore di literary fiction prova piacere nell’atto di leggere in sé, al di là del significato di quel che sta leggendo.

Invece nella narrativa di genere, la forma è subordinata al contenuto. In generale lo scopo della narrativa di genere è raccontare storie, dunque il come dev’essere elaborato con tale scopo ben in mente. La forma non può andarsene per i fatti suoi, deve sempre tendere allo scopo. Dal che si deduce che “scrivere bene” ha due significati diversi, a seconda se ci stiamo riferendo alla literary fiction o alla narrativa di genere.
“Scrivere bene” in literary fiction significa offrire al lettore una forma che sia piacevole in sé, “scrivere bene” narrativa di genere significa scrivere trasparente. Significa adottare uno stile che non abbia alcuno stile. So che sembra strano, sembra quasi un invito a scrivere “male” apposta. Ma non è così, c’è una ragione ben precisa.
Come dicevo, scrivere narrativa di genere significa raccontare storie. Dato che parliamo di narrativa, tali storie non esistono, le stiamo inventando. Ma per il lettore devono essere verosimili; il lettore dev’essere invogliato a “sospendere l’incredulità” di fronte alla nostra storia, o addirittura, come auspicava Tolkien, il lettore dev’essere così rapito dalla vicenda da non aver neanche bisogno di trucchetti mentali per credere che elfi e draghi esistono sul serio.
Ora, se il lettore si accorge che stiamo scrivendo bene, se esclama davvero “Che prosa raffinata!”, abbiamo fallito il nostro compito, perché appare chiaro che tale lettore non era davvero stato trasportato nella Terra di Mezzo, bensì era rimasto bello inchiodato in poltrona a leggere uno stupido libro.
La narrativa di genere è una forma ante litteram di realtà virtuale. L’autore impiega la sua arte per strappare il lettore dal suo mondo e immergerlo in un altro mondo, mondo che non solo non esiste, ma che spesso non potrebbe neanche esistere. Lo “scrivere bene”, inteso in senso letterale, è in contrasto con tale obbiettivo. Lo “scrivere bene” è come un salvagente, che impedisce al lettore d’immergersi completamente nella storia.

Corollario: lo scopo della narrativa di genere non è suscitare piacere. Quando leggo della Terra invasa dagli alieni, non dev’essere piacevole. Dev’essere pauroso, angosciante, bizzarro o mille altre emozioni, ma non dev’essere piacevole. L’immagine del lettore in poltrona, intento a gustarsi un romanzo – libro in una mano, bicchiere di liquore nell’altra –, è tipica della literary fiction. Se un romanzo di genere può essere affrontato in questa maniera pacata, non è un buon romanzo.

Lettore di literary fiction
A leggere literary fiction ci si riduce così: vecchi, stanchi e con gli occhiali!

Perciò, dato che questo blog si occupa di narrativa di genere, quando parlerò di “scrivere bene”, senza ulteriore specificazione, intenderò scrivere trasparente.

Narrativa fantastica

Nel campo della narrativa di genere, si distinguono appunto svariati generi. I generi esistono non per “ingabbiare” gli autori, ma per far sì che il rapporto fra autori e lettori sia chiaro. Se io presento il mio romanzo come un giallo, il lettore si aspetterà almeno un delitto. Se nessun crimine viene perpetrato, il lettore rimarrà deluso, indipendentemente dalla qualità del testo, perché lui voleva leggere un giallo, e invece ha letto altro.
Un autore può abbattere le barriere che separano i generi, e in realtà può scrivere quel che gli pare, l’importante è che sia onesto con il lettore: se ha scritto una commedia romantica, così deve presentarla, e non spacciarla quale fantasy solo perché a pagina 82 sullo sfondo passa un drago.

In questo blog ci occupiamo di letteratura fantastica e in particolare di fantasy, anche se non disdegniamo la fantascienza e l’horror.
In generale, ho notato una certa confusione nell’uso dei termini sopracitati, in particolare in Italia, dove spesso i termini “fantastico” e “fantasy” sono mischiati in maniera inopportuna.
L’ho già spiegato un paio di volte nei commenti, ma meglio ribadirlo. La Barca dei Gamberi adotta la seguente convenzione:
Con “letteratura fantastica” o “narrativa fantastica” intendo la letteratura di genere che racconta storie che hanno come fulcro uno o più elementi fantastici. Perciò si va da Le Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, al Signore degli Anelli, fino a La Guerra dei Mondi, Dracula e Neuromante. Ovvero l’intero spettro: fiaba, fantasy, fantascienza, horror (soprannaturale).

Con il termine fantascienza definisco quelle storie di letteratura fantastica dove gli elementi fantastici sono spiegabili in maniera scientifica.

Con il termine fantasy definisco quelle storie di letteratura fantastica dove gli elementi fantastici non possono essere spiegati in maniera scientifica.

Con il termine horror definisco quelle storie di letteratura fantastica dove gli elementi fantastici sono usati allo scopo di spaventare il lettore, indipendentemente da come possano essere spiegati.

Videogioco di Neuromancer
La confezione del videogioco ispirato a Neuromancer di William Gibson. Neuromancer è un romanzo di fantascienza, sottogenere cyberpunk

Un esempio chiarissimo, il mio preferito!
Elemento fantastico: il viaggio del tempo.
In Un Americano alla Corte di Re Artù di Mark Twain, questo elemento è usato per trasportare il protagonista dal 1800 appunto alla Corte di Re Artù. Non è fornita alcuna spiegazione scientifica per questo elemento fantastico e fondamentale alla storia. Dunque Un Americano alla Corte di Re Artù per la mia catalogazione è un romanzo fantasy.
Ne La Macchina del Tempo di H.G. Wells, il viaggiatore nel tempo usa tale Macchina per viaggiare sempre più in là nel futuro. La Macchina del Tempo non funziona per magia, ma in base a principi scientifici. Perciò un elemento fantastico fulcro del romanzo è spiegabile in termini scientifici. La Macchina del Tempo è un romanzo di fantascienza.
In L’Ombra Venuta dal Tempo di H.P. Lovecraft, il viaggio del tempo è lo strumento di un alieno per impossessarsi della mente di un poveraccio. Qui l’elemento fantastico è sfruttato per contribuire a mettere a disagio, spaventare il lettore. L’Ombra Venuta dal Tempo è un racconto d’orrore.

Una storia d’amore ambientata nella Terra di Mezzo, non è di per sé fantasy, a meno che l’elemento fantastico non sia determinante. Un giallo che si svolge su una colonia marziana, rimane un giallo, non è fantascienza. L’elemento fantastico dev’essere determinante, non di semplice contorno. Inoltre l’elemento fantastico è il solo vero discriminante. Se sto raccontando la storia di un drago albino mutante che appare per magia a Bologna, sono nel regno del fantasy, perché ho un elemento fantastico (il drago albino mutante), tale elemento è fondamentale (il drago è il protagonista) e infine l’elemento medesimo non è scientificamente spiegabile (il drago appare per magia). Avrò perciò un fantasy senza:

  • mondo remoto.
  • lotta tra Bene e Male.
  • scontri all’arma bianca.
  • viaggi a vuoto di comitive d’eroi.
  • elfi.

Per la cronaca, un fantasy con gli elementi di cui sopra sarebbe “High Fantasy”, o forse “Heroic Fantasy”.
Non starò qui a far distinzione fra i sottogeneri di fantasy e fantascienza. Però, per chi fosse curioso, l’altro giorno ho preparato uno schema di tutti i sottogeneri di fantasy, fantascienza e horror. I dati sono stati presi da Wikipedia, così come i nomi di opere e autori considerati rappresentativi. Questo schema non vuole essere né preciso, né esaustivo, è solo per bellezza, per dare un’idea di come possa apparire l’”universo fantastico”.

L’Universo della narrativa fantastica
L’Universo della narrativa fantastica. Clicca per ingrandire

Al di là dello schema, la divisione generale che ho esposto fra fantasy, fantascienza e horror, non è in discussione. Se non siete concordi, potete “tradurre” i miei termini in altri che vi stiano più simpatici. Il punto è che i concetti siano chiari, le parole con cui chiamarli possono essere scelte come meglio si creda.

Perciò, quando parlerò di “fantasy”, senza ulteriore specificazione, mi starò riferendo alla definizione di cui sopra.

Convenzioni nello scrivere (fantasy)

Lo scopo della narrativa di genere è raccontare storie. Nel corso del tempo, sono state “distillate” alcune regole guida che aiutano a raggiungere questo scopo. La parola “aiutano” è in grassetto a sottolineare come le regole siano a favore degli autori. Non sono lì per strangolare la creatività, ma per esaltarla.

Queste poche regole le avrò citate mille volte nei miei articoli precedenti, non fa male citarle per la millesima e una volta.
Inoltre vorrei chiarire un concetto che credo a diversi sfugga: un romanzo non è brutto perché viola la tal o la tal altra regola, un romanzo è brutto e basta; un romanzo fa schifo, un romanzo è noioso, un romanzo è stupido. Quando però ci si avventura a cercare di capire perché un romanzo fa schifo, ed è noioso e stupido, molto spesso è facile risalire alle regole.
Un romanzo è brutto. Questo è il dato di fatto. Scavando si può scoprire che tale bruttezza ha origine in questo o quell’altro errore dell’autore. Perciò prima c’è l’orrore, lo schifo, il fantasy italiano, poi le regole. I romanzi sono brutti di per sé, le regole sono solo un modo d’interpretare tale bruttezza.
Funziona anche al contrario: più spesso che non un bel romanzo segue le convenzioni.

Esempio di fantasy nostrano
Esempio di brutto fantasy italiano (tanto per non infierire sempre sui soliti noti…)

Prima di proseguire, ricordo per l’ennesima volta: la narrativa di genere si concentra sul raccontare storie, l’innovazione, l’originalità, l’arte dev’essere nella storia, il come raccontarla è pura tecnica e si deve tendere all’efficienza, nulla più. Poi ci sarà l’autore più o meno dotato dal punto di vista stilistico, ma, come detto, attenzione: se tale dote diventa evidente, è un errore, perché allontana il lettore dalla storia.

Show, don’t Tell

EDIT del 20 novembre 2010. Per un articolo più approfondito sullo “Show don’t tell”, si veda qui.

Mostrare, non raccontare. L’idea è di far vedere al lettore la storia che si sta narrando. Nella testa del lettore, la vicenda deve scorrere esattamente come se il tizio fosse al cinema. Un fotogramma dietro l’altro, scena dopo scena. Lo scrittore deve armarsi di telecamera e cercare di descrivere quel che la telecamera inquadra.
“Laura uccise Mario.” Questo è raccontare: lo scrittore ha filmato la scena e sta appunto raccontando quel che è successo. È sbagliato.
“Laura puntò la pistola contro la faccia di Mario; premette il grilletto. Il colpo si portò via un gran tocco di scatola cranica. Mario si accasciò, lasciando sulla parete una scia di sangue e materia grigia.” Questo è mostrare: lo scrittore sta filmando la scena, e il lettore è insieme con lui dietro la telecamera. Questa è la maniera giusta di scrivere.
Perché è giusto mostrare e non raccontare? Per due ragioni. La prima è già evidenziata sopra: quando lo scrittore racconta, rende palese la sua presenza, e questo allontana il lettore dalla realtà virtuale della storia.
La seconda ragione è che il raccontare non rimane. Il raccontare sono parole al vento, non fanno presa sui ricordi. Alla fine di questo articolo è probabile che già vi sarete dimenticati che Laura ha ucciso Mario, tuttavia è possibile che l’immagine della scia di sangue e cervella rimanga.
Durante il mostrare, le parole si fondono in immagini, il lettore è di fronte agli avvenimenti, come fosse lì. Durante il raccontare, il lettore è stravaccato sul letto a leggere un romanzo, prende atto di quel che l’autore sta dicendo, ma non è trasportato all’interno della storia.

Ragazza con pistola
Show, don’t Tell!

Non di meno, ci sono anche dei momenti dove è corretto raccontare. È un discorso lungo, ma il discriminante essenziale è la noia. Se quello che dobbiamo mostrare è noioso, è meglio raccontarlo.
Un omicidio non è noioso, ma poniamo Laura lavori in un mattatoio, a sventrare maiali da mattino a sera. Il primo sbudellamento potrebbe essere interessante per il lettore. Forse anche il secondo. Dal terzo in poi la faccenda si fa noiosa. Mostrare 220 squartamenti tutti uguali non è una grande idea, e dunque ecco che si può raccontare: “Laura squartò maiali per tutto il giorno.”
Lo stesso se Laura prende un aereo e vola da Roma a New York. Non ha senso mostrare Laura che sonnecchia o guarda fuori dal finestrino per ore e ore, è meglio raccontare: “Laura prese un aereo e volò a New York.”

Non è sempre facile mostrare. Alle volte richiede una notevole disciplina, ma ne vale la pena. È molto più coinvolgente mostrare un personaggio che si mangia le unghie, continua a lanciare sguardi all’orologio, giocherella con il cellulare, sbuffa e si gira i pollici, piuttosto che scrivere: “Laura era ansiosa.” Ma attenzione: come detto il discriminante è la noia, non fate girare i pollici a Laura per 32 pagine, a quel punto è sì meglio scrivere che era ansiosa!

Scrivi di quel che sai

Il problema, specie in ambito fantasy, è che si devono raccontare storie piene di elementi fantastici, dei quali il lettore non può avere previa esperienza. Il lettore non ha mai incontrato un drago in vita sua, e quando leggerà un romanzo sui draghi la prima reazione non sarà: “ma allora i draghi esistono sul serio!”, bensì: “che razza d’idiozia, ho speso 18 euro per leggere cretinate!”.

L’autore ha l’arduo compito di convincere il lettore che non sono cretinate. Anche se solo per qualche ora, il tempo che il lettore impiegherà a leggere il romanzo, i draghi devono sul serio esistere. Per riuscire in quest’impresa, l’autore deve calare i draghi in un mondo verosimile, credibile. Tale mondo dev’essere “concreto”, palpabile, tanto che il lettore lo possa accettare come Realtà, draghi compresi.

È necessario che l’autore sappia di cosa sta parlando. Un’accurata conoscenza degli argomenti dona alla narrazione quella che gli inglesi chiamano texture. Quell’intreccio di particolari che fa credere che lo scrittore non stia raccontando favole, ma sia lì nella Terra di Mezzo o su Marte, a filmare la storia.
Per tale ragione bisogna scrivere di quel che si sa. Questo però non significa che se uno è un tramviere può solo raccontare storie di tram e mezzi pubblici, significa che se decide di raccontare storie di guerra ambientate in Africa, si documenta.
Il lavoro di documentazione dev’essere soprattutto una questione d’orgoglio. Si deve essere fieri di presentare al pubblico un mondo preciso e curato, dove ogni particolare è verosimile.
Space Cadet è un romanzo scritto nel 1948 da Robert A. Heinlein. È un romanzo “per ragazzi”. Eppure Heinlein lavorò per giorni alla soluzione di un’equazione riguardante la traiettoria di un razzo, e tutto ciò per una singola frase del romanzo. Per impostare in maniera corretta una singola frase, Heinlein non si fece scrupolo a lavorare giorni.

Copertina di Space Cadet
Copertina di Space Cadet

Questo è il tipo di dedizione richiesta. Questo è il tipo di rispetto per il lettore che non fa pentire di aver speso 18 euro. Mi rendo conto che ciò richiede tanto tempo e molto impegno, ma d’altra parte nessuno ha mai detto che scrivere a un certo livello sia facile e indolore. Non è un mestiere semplice quello dello scrittore.

Buttare il superfluo

Lo scopo è raccontare una storia, tutto quello che si allontana dallo scopo non è degno di esistere. È in verità molto semplice: prendiamo che uno voglia battere il record di velocità per un veicolo su ruote. Costruirà un affare come quello qui sotto:

ThrustSSC
Il ThrustSSC ha raggiunto i 1.228 chilometri all’ora

Passa un tizio e chiede se può legare al veicolo la Pietà di Michelangelo. La risposta sarà ovviamente no. Avere al traino la Pietà non fa andare più veloci, anche se la Pietà è una scultura meravigliosa. Lo stesso principio si applica alla narrativa di genere.
Singole parole, scene, personaggi, e ogni altro elemento devono essere presenti solo se contribuiscono alla causa. Non importa siano in sé bellissimi, se non aiutano lo svolgersi della storia devono sparire. È questa la ragione di fondo per la quale si raccomanda l’uso parsimonioso di aggettivi e avverbi: il più delle volte sono inutili. “Si sfracellò violentemente.”, “Laura raccolse il sottile fiammifero.”, ecc.

Un fiammifero
La sottigliezza è implicita nel fiammifero

Da tener sempre presente che si sta parlando di narrativa di genere, non di literary fiction. Nella literary fiction ventisette aggettivi di fila possono essere usati, se l’effetto finale è piacevole, nella narrativa di genere no. Proprio perché un effetto piacevole è controproducente, ponendo distacco fra il lettore e la storia.

Scrivere in maniera semplice

Dovete raccontare una storia, il lettore deve capire quel che raccontate! Se il lettore non comprende i termini che usate o non riesce a seguire le acrobazie di una prosa troppo complessa, è finito lo scopo. Perciò occorre essere semplici, chiari e diretti. Tutti devono poter seguire la storia.
Attenzione però: la semplicità fa parte del come, è tassello fondamentale della trasparenza, la storia in sé non ha nessuna necessità di essere semplice.
Da qui nasce la difficoltà: può essere necessario affrontare argomenti complessi, non dev’essere una scusa per rendere complessa la scrittura.

Mark Twain
Mark Twain è famoso per la semplicità della sua scrittura

La prosa “raffinata”, comprensibile solo a chi è laureato in lettere antiche, non ha cittadinanza nell’ambito della narrativa di genere. La narrativa di genere è popolare, democratica e vuole raccontare storie a tutti i cittadini, nessuno escluso. Lo scrittore di genere è felice che le sue storie siano apprezzabili sia dal professore cinquantenne sia dal bambino di dieci anni.
Tra l’altro è molto più facile e “terra terra” scrivere raffinato piuttosto che scrivere semplice.

Struttura semplice

Così come dev’essere semplice la scrittura, si deve mirare alla semplicità anche nella struttura della storia. Ci dev’essere una buonissima giustificazione per interrompere la narrazione e inserire un flashback.
Non siamo lontani dal problema dello “scrivere bene”. Strutture narrative complesse con una marea di sottotrame che s’incastrano possono essere affascinanti, ma quando il fascino è intrinseco in questa complessità artefatta, lì è un errore. Perché il lettore è portato fuori dalla storia per ammirare dall’esterno l’opera letteraria.
Sottotrame, flashback, salti temporali e quant’altro devono esistere solo se è l’unica maniera per narrare la storia. È meglio spostare indietro il punto scelto per l’inizio della storia, piuttosto che violare la linearità con cinquecento flashback.

Massa di cavi
Una storia non deve avere una struttura di questo tipo!

Da ciò si deduce anche che una pratica diffusissima tra gli scrittori fantasy, quella d’inserire a inizio dei romanzi un “prologo” è da evitarsi. Quasi mai il prologo serve.

Evitare l’inforigurgito

Inforigurgito, o infodump, per usare il più diffuso termine inglese. L’inforigurgito è l’impellente necessità dell’autore di fornire informazioni al lettore. L’autore si rende conto che il lettore ha bisogno di determinate informazioni per comprendere gli sviluppi della storia, e perciò gliele vomita addosso. Peggio, spesso l’autore crede che le informazioni siano vitali, quando in realtà non lo sono.

L’inforigurgito si esplica in due modi principali: con l’intervento diretto dell’autore e attraverso dialoghi o pensieri farlocchi.
Il primo modo è il più brutto. La narrazione è interrotta e l’autore sale in cattedra per insegnare al lettore. Non c’è niente di meglio per dare una svegliata al lettore e ricordargli che invece di far qualcosa di utile sta sprecando la vita a leggere romanzi da quattro soldi.
Esempio:
“Laura sollevò la spada, pronta a tagliare la testa al coboldo. I coboldi sono una razza goblinoide che si insediò duemila anni fa nei Boschi Neri. I coboldi hanno sviluppato una rudimentale civiltà, dedita all’allevamento dei polli e alla coltivazione dei pomodori. I coboldi vivono in piccoli villaggi, e amano pescare nei ruscelli, sebbene non consumino i pesci presi. Il DeWitt nel suo Trattato Generale sul Coboldo sottolinea come non si possa… zzz… zzz… Laura si guardò attorno, esterrefatta, il coboldo non c’era più! Mentre l’autore si dedicava all’inforigurgito, il coboldo doveva essere scappato!”
Nell’ambito del fantasy, questo errore è spesso tipico di quegli scrittori che mettono l’ambientazione davanti alla storia. Sono quelli che passano anni a ideare un loro mondo, e si convincono che siccome loro ci hanno perso tutto quel tempo, allora l’ambientazione è bella in sé. Non è così. Quel che conta è la storia, non i coboldi! La reazione del lettore di fronte a questo tipo di inforigurgito è: “chi se ne sbatte dei coboldi!”, e se l’autore insiste, il lettore non si appassionerà alla società dei coboldi, lascerà a metà il libro.
Le informazioni in sé non sono interessanti, è come vengono integrate nella storia che le rende interessanti.

La seconda forma tipica di inforigurgito è il dialogo farlocco.
Esempio:
“Laura e il coboldo erano seduti su un muretto di pietra. Dondolavano i piedi e si godevano il sole primaverile. Laura si rivolse all’amico:
«Come saprai bene, i coboldi sono una razza goblinoide, che si insediò duemila anni fa nei Boschi Neri. I coboldi hanno sviluppato una rudimentale civiltà, dedita all’allevamento dei polli e alla coltivazione dei pomodori. I coboldi vivono in piccoli villaggi, e amano pescare nei ruscelli, sebbene non consumino i pesci presi.»
Laura fece una pausa, per prendere dallo zaino il trattato del DeWitt. Quando rialzò lo sguardo, il coboldo non c’era più…”
Questa forma di inforigurgito è meno grave, perché almeno è tutta racchiusa nella realtà virtuale, non c’è intervento esterno dell’autore. Tuttavia, come si può notare, il dialogo è forzato. È un dialogo inverosimile, che rovina la credibilità della storia. Per non parlare dell’effetto comico: se la storia vuol essere seria, dopo un frammento del genere, non potrà più esserlo.

Un coboldo
«Non tediarmi con l’inforigurgito» dice il coboldo

La soluzione all’inforigurgito è mostrare. Se è davvero vitale per la storia fornire al lettore un’idea di come sia organizzata la società dei coboldi, si prenda un personaggio coboldo e lo si segua. Le attività che svolgerà il coboldo forniranno le informazioni volute, senza colpo ferire.
In alternativa, si può cercare di rendere credibile il dialogo inforigurgitoso. Se il coboldo sul muretto con Laura è stato trovato neonato dagli esseri umani e non ha mai visitato un villaggio del suo popolo, può essere verosimile che gli venga raccontato chi sono e come vivono i coboldi.

I dialoghi

EDIT del 9 ottobre 2010. Per un articolo più approfondito su come scrivere buoni dialoghi, si veda qui.

I dialoghi spesso svolgono un ruolo importante nella storia, e sono sempre fondamentali nella caratterizzazione dei personaggi. Per rendersene conto basta scorrere i commenti di questo blog, o seguire qualunque forum: anche se i partecipanti raramente si conoscono di persona, riescono lo stesso a stabilire che un collega è intelligente, o stupido, arrogante, furbo, maleducato, ecc. Tali giudizi sono espressi solo in base ai dialoghi.
Constatata l’importanza dei dialoghi, una trattazione completa della questione esula dagli scopi di questo articolo, segnalo perciò solo tre errori tipici:

Personaggi che parlano come un libro stampato. Errore che si vede spesso nel fantasy. Capita quando il Re e l’ultimo contadino si esprimono nella stessa maniera, il più delle volte una maniera pomposa e ricercata.
Un’altra fonte di questo errore è la scuola, che convince la gente che il modo di esprimersi quando si scrive debba essere diverso da quello che si usa quando si parla. Il che, a volte, può essere vero, ma non nel caso in cui un personaggio stia appunto parlando!
Un contadino con la quinta elementare non diventa un Premio Nobel solo perché le sue battute sono riportate su carta. Perciò ci saranno personaggi che si esprimono in maniera rozza se non scurrile e altri che saranno raffinati e forbiti. Se uno scrittore ha problemi con lo scurrile o il raffinato, non deve per questo essere inverosimile. Nessuno gli vieta di non mettere tra i personaggi della vicenda il Re o il contadino, o di farli muti, o di giustificare il loro modo di parlare (il contadino parla come un principe perché è un nobile decaduto).

Un barbone
Non sono un barbone, sono un Principe! La letteratura fantasy è il mio hobby

Personaggi che parlano come nella realtà. Il dialogo fra personaggi dev’essere verosimile, non vero. In un vero dialogo ci sono mille gesti, versi, mezze parole, squilla il cellulare a metà frase e una deve ripetere, in sottofondo c’è il blaterare della TV e così via. Trascrivere un dialogo tirando dentro tutto in questa maniera è controproducente, si ottiene solo di annoiare il lettore.
Il dialogo, come tutti gli altri elementi della narrazione, dev’essere funzionale alla storia. Perciò, partendo pure dal vero, bisogna filtrare il superfluo, per lasciare solo la parte vitale per lo svolgersi della vicenda.

Dialogo indiretto. Il dialogo indiretto è parte del raccontare, dunque soggiace agli stessi principi già visti riguardo lo “Show, don’t Tell”. In generale va evitato, con la discriminante della noia. Se Laura lavora in un call center e cerca tutto il giorno di vendere spazzolini da denti, con decine di telefonate tutte uguali, si può soprassedere dal riportare ogni singola battuta. Altrimenti occorre mostrare e dunque riportare le parole pronunciate dai personaggi.

Saper gestire il punto di vista

Il punto di vista è dove piazziamo la telecamera per riprendere la scena. La si può piazzare sulla spalla di un personaggio. Dentro la testa del medesimo. La si può piazzare in un punto fisso, o la si può muovere a seconda delle circostanze. La scelta dev’essere compiuta in base alle reazioni che si vogliono suscitare nel lettore. Non ci sono scelte giuste o sbagliate, però occorre essere consapevoli di che effetto hanno le varie scelte.
Anche in questo caso, per motivi di praticità, evidenzierò solo alcune problematiche tipiche.

È meglio evitare il narratore onnisciente. Se si adotta il punto di vista del narratore onnisciente, si ha la più ampia libertà d’uso della telecamera: si può riprendere qualunque angolo dell’Universo, si può entrare nella testa di tutti i personaggi, si possono riprendere avvenimenti futuri o passati. Il narratore è appunto onnisciente e non si pone problemi a far sfoggio di cotale sapienza.
Più spesso che non, questa libertà di ripresa è accoppiata a un desiderio del narratore d’intervenire nella storia.
Perche è una cattiva idea? Perché rende palese al lettore che non si sta recando in un mondo nuovo, sta solo ascoltando il narratore che gli racconta tale mondo. Il narratore onnisciente è un’ulteriore paratia fra il lettore e l’agognata realtà virtuale.
Inoltre usando un narratore onnisciente è facile spararsi da soli sui piedi. Se il Nano Borzolo dopo aver bevuto la birra Kruug afferma “La birra Kruug è buonissima”, si è comunicato al lettore la bontà della bevanda, e tuttavia nessuno vieta che il Nano Gottolo dopo averla assaggiata la sputi dicendo che fa schifo: Gottolo ha dei gusti diversi da Borzolo. Ma se è il narratore onnisciente ad affermare che la birra Kruug è buonissima, questa diviene una verità assoluta, e Gottolo lamentandosi che fa schifo creerà una contraddizione nella storia, minandone la credibilità.
Anche sapendolo gestir bene, il narratore onnisciente non offre alcun particolare vantaggio. La maggior libertà promessa è piena di rischi, e in quasi tutti i casi può essere ugualmente raggiunta usando in maniera sapiente i personaggi. Si può sempre prendere un personaggio e farlo diventare testimone degli eventi, senza scomodare il narratore. Specie poi nel fantasy, dove anche piante, sassi, animali e quant’altro possono essere descritti come senzienti.

Il Narratore Onnisciente
Il Narratore Onnisciente

La prima persona va usata con cautela. Narrare in prima persona in determinati casi può sembrare naturale, ma è più difficile che usare la terza persona. Innanzi tutto c’è subito un ostacolo: sentendo una narrazione in prima persona, è netta la sensazione che il protagonista stia raccontando.
“Mi sono alzata presto, sono andata a scuola, tornando a casa ho comprato un fumetto in edicola, ecc.” appare chiaro che tra la storia e il lettore ci sono di mezzo io protagonista con la mia parlantina. Non è grave come quando di mezzo ci si mette il narratore onnisciente, ovvero l’autore, ma comunque è lo stesso un tenere il lettore lontano dalla realtà virtuale.
Per questo per narrare in prima persona ci dev’essere una ragione. Non a caso spesso i romanzi in prima persona hanno una cornice: il protagonista ritorna dall’America e racconta ai suoi amici (e al lettore) le sue avventure.
L’altro problema è legato allo stile. Come ribadito più volte, il tentativo è di arrivare a uno stile trasparente, che lasci il lettore in balia della storia. Ma narrando in prima persona, si rischia che oltre allo stile diventi “trasparente” anche il protagonista! Ogni parola, ogni descrizione, ognuna delle scelte che si compiono narrando: se stiamo scrivendo in prima persona sono scelte anche riguardo la caratterizzazione del protagonista.
La scelta dei termini non può più essere “neutra”, piegata solo a necessità di efficienza, deve anche tener conto di come il lettore giudicherà il protagonista, sentendolo esprimersi in tale maniera. Nessuno giudica una telecamera se indugia a inquadrare un cadavere sventrato divorato dagli insetti, se però è il protagonista a soffermarsi di fronte a tale spettacolo, il lettore farà tutta una serie di deduzioni sul suo carattere.
Bilanciare la ricerca di uno stile trasparente e la caratterizzazione del personaggio narrante non è questione semplice. Richiede esperienza e talento. Come si può sapere se si ha sufficiente esperienza e talento? Basta rispondere al piccolo test qui sotto!
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Sei uno scrittore italiano?
Hai scritto o vuoi scrivere fantasy?

Se hai risposto “Sì” a entrambe le domande, non hai abbastanza esperienza e talento! Forse è meglio lasciar perdere la prima persona…

Cambiare punto di vista è traumatico. Non c’è molto altro da aggiungere: cambiare il punto di vista, da un personaggio all’altro, richiede al lettore uno sforzo mentale per adeguarsi. Il film s’interrompe mentre il proiezionista cambia le bobine. Dunque, a meno di ottime ragioni che non mi vengono in mente, non bisogna mai cambiare punto di vista durante una scena.

Da ciò deriva che la scelta più semplice ed efficiente (a parte situazioni particolari) è quella di usare la terza persona limitata. La telecamera è posta sulla spalla del personaggio, e può solo inquadrare quel che il personaggio vede. In compenso non è vietato ruotare un pochino la cinepresa e “riprendere” quel che il personaggio pensa, ma solo lui, solo il personaggio che si porta appresso la camera.
In questo modo si può mostrare il mondo nella maniera più conveniente possibile, e al contempo, se lo si desidera, anche mostrare la reazione interiore del personaggio. Non a caso la buona parte della narrativa di genere è scritta da questo punto di vista.
Non cercate di essere originali per il gusto di essere originali! L’originalità, nella narrativa di genere, è nella storia, non nella maniera con la quale è narrata. Se scrivete in terza persona plurale al futuro, sarete originali, ma è probabile a scapito di quello che davvero conta, la storia, perché il lettore sarà più interessato a comprendere le ragioni di tale bizzarra scelta stilistica piuttosto che appassionarsi alla vicenda.

I personaggi

L’autore deve conoscere i propri personaggi. Deve saperne vita, morte e miracoli. Ma soprattutto deve averne chiare le motivazioni. Perché un personaggio agisce in una certa maniera, quali sentimenti e ideali lo muovono, ciò dev’essere cristallino per l’autore, tanto da poterlo comunicare ai lettori.
Data una certa situazione, i lettori devono poter essere in grado di prevedere le azioni dei personaggi. Questo grazie al fatto che l’autore ha ben caratterizzato i suoi personaggi ed è stato coerente nella caratterizzazione.
A seconda della storia, altri elementi possono essere importanti (spesso lo è l’aspetto fisico), tuttavia in generale è più importante avere ben chiaro il modo di pensare di un personaggio, piuttosto del colore degli occhi o dei capelli.

Un personaggio deve agire. L’apatia è antitetica al ruolo di personaggio (o peggio di protagonista). Un personaggio che passa il tempo a compatirsi e lagnarsi e piangere e non far niente da mattina a sera, a tutti gli effetti non è un personaggio. Un personaggio deve avere un ruolo attivo in una storia. Deve aiutare a “muovere” la storia.
Il principio dell’agire determina anche quali tizi estrarre da un’ambientazione per renderli protagonisti della vicenda. Un buon consiglio è scegliere personaggi che soffrono: sfuggire al dolore è forse una delle motivazioni più forti a spingere le persone ad agire.
Viceversa, vanno evitati i personaggi troppo potenti. Re, Imperatori, Presidenti, Capi di Stato Maggiore, e simili: costoro è raro che agiscano in prima persona (e se li si forza si rischia di non essere credibili), danno ordine ad altri di agire. Devono essere questi altri i personaggi e i protagonisti della storia.

L’Imperatore del Giappone
L’Imperatore del Giappone: si possono scegliere protagonisti migliori!

Esiste la troppa caratterizzazione. Il fulcro deve rimanere sempre la storia. In alcune storie è vitale che un personaggio abbia una personalità complessa e sfaccettata, che sia tormentato, e tirato per le maniche da mille sentimenti contrastanti, ma per altre storie non è così.
In una classica storia in stile I Viaggi di Gulliver, il cuore della vicenda è l’esplorazione del mondo “alieno”, se il protagonista è un personaggio dalla personalità troppo complessa, distrae. Se il lettore si appassiona più a Gulliver che non ai suoi viaggi, è un errore.
Perciò i personaggi bidimensionali o stereotipati non sono sbagliati in sé, in determinate vicende possono essere più adeguati di personaggi “tridimensionali”.

Anche se l’autore può ispirarsi a se stesso o ai suoi amici per i personaggi, questo “giochino” non dev’essere palese. Se il lettore si accorge che il tal personaggio non è un Cavaliere del Regno di Brogoth, ma l’autore sotto mentite spoglie, si chiederà: “com’è che l’autore è arrivato da Palermo a Brogoth?” e l’illusione di realtà virtuale sarà spezzata.

Conclusione

Mi rendo conto di essere stata molto schematica. Inoltre non ho preso in considerazione testi parodistici o comici, dove si cerca apposta di ribaltare le regole; ci sarebbero mille eccezioni da esplorare, ma questo articolo è appunto un riassunto, se si è interessati all’argomento c’è il resto del blog e i manuali di scrittura via via segnalati. Inoltre non era mia intenzione insegnare niente a nessuno. Io sono convinta della bontà dei concetti illustratati, ma quest’anno di blog mi ha dimostrato una volta di più la verità del detto: “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. Dunque liberi di pensare che abbia scritto solo boiate, non farò alcuno sforzo per convincervi del contrario (chi se ne importa? Tanto le schifezze le scrivete voi, non io).
Però tenete presente che quando recensisco i romanzi fantasy sul blog mi attengo alle idee qui esposte. È quello che m’interessa. Invece mi frega poco o niente di:

  • copertine.
  • copie vendute.
  • se hanno acquistato i diritti del romanzo per farci un film.
  • se l’autore è nazicomunistafiloisraelianodisinistranoglobalgaypacifistavegano.
  • l’impegno profuso dall’autore nello scrivere il romanzo.
  • età, titolo di studio e codice fiscale dell’autore.
  • se i personaggi sono nazicomunistifiloisraelianidisinistranoglobalgaypacifistivegani.
  • se i personaggi sono amorali, o compiono atti amorali.
  • se il romanzo induce alla lettura i giovani.
  • se il romanzo offende il Papa.
  • se il romanzo è stato pubblicizzato sul Corriere della Sera o al TG3.
  • se il romanzo è stato tradotto in turco, cinese e coreano.
  • se quell’altro autore che vende un casino in Baviera dice che il romanzo è strabellissimo!!!

e così via.

Internet è piena di siti e blog di recensioni. La gran parte di tali siti adotta criteri diversi da quelli della Barca dei Gamberi, perciò se non siete contenti qui, la scelta è ampia. Sì, lo dico chiaro: se non siete d’accordo andatevene pure. Grazie.

Coniglietto in lacrime
Imparate a scrivere in maniera decente! Non imitate Licia Troisi, che spinge alle lacrime il Coniglietto Grumo! (La foto è da intendersi a solo scopo dimostrativo, il Coniglietto inquadrato non è Grumo)


Approfondimenti:

Icona di un libro Beginnings, Middles & Ends di Nancy Kress (Amazon.com).
Icona di un libro Characters & Viewpoint di Orson Scott Card (Amazon.com).
Icona di un libro How to Tell a Story and Other Essays di Mark Twain (Amazon.com). Edizione italiana: Come raccontare una storia e l’arte di mentire (iBS.it).
Icona di un libro How to Write Science Fiction & Fantasy di Orson Scott Card (Amazon.com).
Icona di un libro On Writing di Stephen King (Amazon.com). Edizione italiana: On writing. Autobiografia di un mestiere (iBS.it).
Icona di un libro Plot di Ansen Dibell (Amazon.com).
Icona di un libro The Complete Idiot’s Guide to Publishing Science Fiction di Cory Doctorow & Karl Schroeder (Amazon.com).
Icona di un libro The Craft of Writing Science Fiction That Sells di Ben Bova (Amazon.com).
Icona di un libro Worlds of Wonder: How to Write Science Fiction & Fantasy di David Gerrold (Amazon.com).
Icona di un libro Writing Popular Fiction di Dean R. Koontz (Amazon.com).
(nota: i saggi sopracitati si trovano tutti anche su emule, almeno nell’edizione inglese).

 

bandiera IT La vera Setta degli Assassini
bandiera EN Una critica alla contemporanea literary fiction
bandiera EN Study Guide for Neuromancer
bandiera IT Ethlinn presso il sito dell’editore
bandiera EN Headshot su Wikipedia
bandiera EN In Space Cadet ci sono già i telefoni cellulari
bandiera EN Il sito ufficiale del ThrustSSC
bandiera IT Mark Twain su Wikipedia
bandiera EN Really Bad Wiring Jobs
bandiera IT Coboldo su Wikipedia
bandiera EN Risorse per i senzatetto americani
bandiera EN Point of view su Wikipedia
bandiera EN Un articolo sull’Imperatore Akihito
bandiera IT Le recensioni della Barca dei Gamberi

 


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86 Comments To "Riassunto delle Puntate Precedenti"

#1 Comment By Mari On 31 maggio 2008 @ 15:48

Esaustiva come sempre (anche se avevo letto i precedenti articoli riguardanti l’argomento scrittura e quindi conoscevo gran parte delle considerazioni scritte qui).

Avrei due domande:
1) Ti è capitato di leggere la saga dei lungavista (o dell’assassino, come la chiamano molti) di Robin Hobb? Se sì, la classifichi come fantasy? La sto leggendo in questo periodo e sono abbastaza dubbiosa, in proposito (oltre al fatto di ammirare lo stile di scrittura dell’autrice, seppur spesso mi trovo a maledire il suo stile prolisso). Ci sono sì elementi “fantastici” ma a mio parere non sono proprio centralissimi nella vicenda. Fammi sapere^_^
2) Per quanto riguarda il punto di vista del narratore, dici che

Cambiare punto di vista è traumatico. Non c’è molto altro da aggiungere: cambiare il punto di vista, da un personaggio all’altro, richiede al lettore uno sforzo mentale per adeguarsi. Il film s’interrompe mentre il proiezionista cambia le bobine. Dunque, a meno di ottime ragioni che non mi vengono in mente, non bisogna mai cambiare punto di vista durante una scena.

Ovviamente concordo sul fatto che cambiare 10 volte in una pagina il punto di vista (a meno che non ci siano buone anzi ottime motivazioni) sia appunto “traumatico” per il lettore. A parte questo, però, ti dirò: personalmente preferisco una narrazione che mi mostri diversi punti di vista (non onniscenti, per carità) dei personaggi; ovvero storie che non si limitino a seguire un unico protagonista, ma che riescano a farmi comprendere come una medesima azione o un avvenimento possa essere visto sotto molti punti di vista. Martin, ad esempio, ha molti personaggi, e suddivide i suoi capitoli seguendo di volta in volta uno dei suoi tanti protagonisti. In questo modo la storia, a mio parere, diventa intrigante: non esiste più il protagonista immortale. Se un personaggio si trova in qualche guaio, ci sono serie possibilità ch ci resti secco (anche se persino in Martin ci sono i “raccomandati immortali”).

Ps.
Aspetto con ansia la recensione su La setta degli assassini. L’ho letto d’un fiato, sperando che la tortura si concludesse in fretta e ho bisogno di uno sfogo…

#2 Comment By Gamberetta On 31 maggio 2008 @ 16:42

@Mari.

Ti è capitato di leggere la saga dei lungavista (o dell’assassino, come la chiamano molti) di Robin Hobb? Se sì, la classifichi come fantasy?

No, mai letta, proprio perché la trama non mi sembrava particolarmente “fantastica”. In compenso ho in coda di lettura già da diverso tempo Wizard of the Pigeons scritto dalla Hobb quando ancora si firmava Megan Lindholm e che spesso è citato come esempio di fantasy originale.

Per il cambio di punto di vista, se c’è uno stacco netto (appunto passare da un capitolo all’altro) può essere fatto. Se farlo o no secondo me dipende sempre se la storia ne giova o no. L’importante credo sia cambiare per una buona ragione e non cambiare così, tanto per.

#3 Comment By Loreley On 31 maggio 2008 @ 18:47

Ora, se il lettore si accorge che stiamo scrivendo bene, se esclama davvero “Che prosa raffinata!”, abbiamo fallito il nostro compito, perché appare chiaro che tale lettore non era davvero stato trasportato nella Terra di Mezzo, bensì era rimasto bello inchiodato in poltrona a leggere uno stupido libro.

Per esperienza personale posso testimoniare che tutte le volte che ho pensato “che prosa raffinata!” ero al contempo immersa nel mondo che l’autore descriveva. Un conto è pensare solo “che prosa raffinata!”, un conto è pensare che l’autore sia in grado di trasportarci nel suo mondo utilizzando, allo stesso tempo, uno stile piacevole. Mi pare che tu abbia estremizzato un po’ il concetto. Lo stile non dev’essere mai fine a se stesso ma, come giustamente dici, subordinato alla storia; ciò non toglie che può essere gradevole. :D Dal mio punto di vista lo scrittore in questo caso non ha fallito la sua intenzione, anzi; in realtà non penso che l’autore possa fallire in senso assoluto, ma dipende sempre da ciò che si aspetta il lettore dal libro.
Questo per dire che non sono favorevole alla ricerca di uno stile completamente trasparente. Anche perché, lo ammetto, non ho ben capito cosa intendi con “trasparenza”: la spiegazione che hai fornito non mi convince del tutto.

lo scopo della narrativa di genere non è suscitare piacere.

Qui mi sa che stai facendo un po’ di confusione :D Se mentre leggiamo ci spaventiamo, ci inorridiamo, ci disgustiamo, ci indigniamo ecc. ecc. non significa che non stiamo traendo piacere dalla lettura. In realtà traiamo piacere, o per meglio dire appagamento, proprio dal fatto che ci spaventiamo, ci inorridiamo ecc ecc., se è questo che cerchiamo dal libro in questione. Ovviamente non si può paragonare il “terrore” provocato da uno scritto da un “terrore” reale, dal quale di certo non possiamo trarre neanche un minimo di divertimento (a meno che non si abbia qualche problema). Un libro offre un contesto protetto nel quale possiamo fare esperienza di emozioni che normalmente non proveremmo, e non vorremmo neanche provare, e la tal cosa ci appaga se, ripeto, si cerca questo dalla lettura. Per farla semplice, se leggere non ci darebbe nessun piacere nessuno sarebbe motivato a farlo (se non per puro masochismo), dove per piacere non intendo l’emozione suscitata dagli eventi narrati in sé, ma l’appagamento provocato dal fatto di essere stati trascinati in un mondo immaginario dove possiamo fare esperienza di emozioni che normalmente, nella vita reale, non potremmo provare allo stesso modo (cioè con sufficiente distacco da “spolparle” e godere dell’adrenalina che ci provocano).
A meno che non abbia completamente frainteso ciò che volevi dire ;)

Richiede esperienza e talento. Come si può sapere se si ha sufficiente esperienza e talento? Basta rispondere al piccolo test qui sotto!
Sei uno scrittore italiano?
Hai scritto o vuoi scrivere fantasy?

Se hai risposto “Sì” a entrambe le domande, non hai abbastanza esperienza e talento! Forse è meglio lasciar perdere la prima persona…

Carino il test! :D Però anche qui sei un po’ troppo drastica secondo me. A me piace molto la prima persona e ritengo che offra notevoli vantaggi anche per chi non ha molta esperienza. Innanzitutto se pensiamo in prima persona dovremmo essere in grado di immedesimarci nel personaggio e di conseguenza, a meno che non si sia davvero incapaci, scampare automaticamente ad alcuni errori (se lo scrittore “si vede” mentre il personaggio esegue una data azione dovrebbe essere più motivato a “mostrare” che non a “raccontare”, a meno che voglia raccontare di proposito). Mi è capitato raramente di leggere pessimi libri scritti in prima persona. Magari libri mediocri sì, ma i cessi fatti e finiti, che io mi ricorda, li ho sempre visti scritti col narratore onnisciente. Sarò stata fortunata io.
Ciò non toglie che possa offrire gli svantaggi che hai elencato, ma da qui a sconsigliarlo…

Per il resto, tranne per la parte della categorizzazione tra fantasy non fantasy che francamente non mi interessa per nulla (basta che ciò che leggo mi piace, che ci sia poco o tanto “fantasy” è irrilevante se la storia è coinvolgente e scritta bene), sono d’accordo coi criteri che utilizzi ^^.

#4 Comment By Federico Russo “Taotor” On 31 maggio 2008 @ 19:12

Concordo con Loreley riguardo allo stile. Ultimamente sul mio blog si è parlato di questo, della tecnica e della creatività, e si è giunti a una specie di conclusione, ovvero che si può essere creativi nella stessa tecnica, e che le due cose sono collegate e inscindibili del tutto, poiché un autore molto abile tecnicamente potrebbe anche abile quanto a creatività.

Una storia d’amore ambientata nella Terra di Mezzo, non è di per sé fantasy, a meno che l’elemento fantastico non sia determinante. (…) L’elemento fantastico dev’essere determinante, non di semplice contorno.

Il ragionamento è giusto, ma secondo me non si può ritenere contorno il mondo intero! Ma può esserci la contaminazione di generi. Si può mettere in evidenza la storia di amore su uno sfondo fantasy. Quello che interesserà sarà la storia d’amore, sì, ma se un lettore non amante del fantasy dovesse trovarsi l’etichetta “Storia d’amore” per poi leggere nomi strani butterà il romanzo nel cestino, a mio avviso. Mi baso sull’esperienza, su ciò che ho constatato. Ovvio, poi, che se nel romanzo amoroso c’è solo un vampiro a Manhattan, come elemento fantastico, la lettrice se ne fregherà.

Come reputi l’Hard Fantasy? Wikipedia dice:

It compares to normal fantasy in a fairly similar way to how hard science fiction compares to normal science fiction. Some hard fantasy settings feature alternative geography and cultures without the presence of magic, dragons, and elves, that are steryotypical of most normal fantasy settings, however others may feature those things, but with a more realistic bent, or just more detailed explanations for their presence in the world.

Per quanto ne so, non dovresti tollerarlo, eppure esiste ed è tenuto in considerazione. Te lo chiedo perché sono del parere che si potrebbe dare questa definizione alle storie a basso contenuto fantastico. Mi consigliasti di definire d’”Avventura” quell’ultimo mio racconto, per non ingannare i lettori, ed è giusto. Ma definendolo solo “Avventura” ingannerei chi non apprezza il fantasy. Inoltre, l’elemento avventuroso ricorre un po’ in tutti i generi.
In breve, condividi la definizione di Hard Fantasy? E se sì, come si potrebbe tradurre in italiano? “Fantasy secco”? O “Fantasy forte”?

#5 Comment By Tom On 31 maggio 2008 @ 22:24

Sono d’accordo con ciò che scrive Gamberetta, e ho letto con particolare interesse la parte delle regole (convenzionali) del buon scrittore, per esempio evitare l’inforigurgito o le informazioni inutili. Mentre leggevo l’ articolo però mi sono venuti in mente altri “errori” che ho incontrato spesso leggendo soprattutto libri di autori esordienti:

Quando Gamberetta scrive dello “Show, no tell” o del “narratore onnisciente” mi è venuto in mente anche un altro tipico marchio dello Scrittore Incapace: le rivelazioni al lettore a fondo pagina. Mi riferisco a quelle frasi scritte, forse per smuovere la curiosità del lettore (ma con effetti del tutto opposti), a fine capitolo o al termine di una scena. Un esempio calzante: Dan Brown. Questo pseudo-scrittore infila a fine di ogni capitolo (di tutti i suoi libri) frasi del tipo: “Tizio era molto felice. Ma non sapeva ciò che gli stava per accadere.” Il lettore non dirà mai: “Oddio! E adesso cosa gli accadrà?” Ma solamente “Con questi soldi potevo comprarmi l’ultimo numero di Death Note.” E’ un effetto stile Centovetrine, semplicemente osceno.

Un altro “errore” che mi ha fatto venire l’ernia è quello dell’ effetto “Scudo Extransformer” (meglio conosciuto come Deus ex machina), cioè quando arriva un Evroniano potenziato che ha il solo punto debole dellle sciarpe fatte a mano e Pk lo sconfigge con il suo scudo che proprio in quel momento rivela il potere di lavorare a maglia. Abbiamo tanti esempi di questo tipo: il primo che mi viene in mente è Ido che stava per morire contro il tizio cattivo (non mi ricordo il nome, quello che poi viene ucciso da Nihal) se non fosse che viene salvato da un cavaliere di drago che passava di lì per caso (nel mezzo di una battaglia); oppure il tipo di Eragon che impara un solo incantesimo (e perdipiù una magia inutile per far muovere i rami) e si salva la vita grazie ad esso. O ancora in Harry Potter: ma quante diavolo di volte spunta dal nulla la spada di Grifondoro per salvare la vita ad Harry e compagnia?
Ma comunque gli esempi e le diverse sfumature sono parecchi…

Per passare ad un argomento che non riguarda il contenuto, ho notato che molti scrittori hanno problemi con i capitoli. Per la serie: “I capitoli: queste brutte bestie”, ne ho visto più di uno terminare senza un motivo preciso (reazione: ” ‘Mbè?”) oppure dei capitoli interminabili (reazione: “Ma ‘sto scrittore si fa di doping?”). Ma i casi clinici sono gli auturi che non sanno dare un titolo decente al loro capitolo: con quale coraggio intitoli l’ultimo capitolo di un libro giallo “l’assassino è Gigio.” ? Eppure ho visto anche questo.

Comunque, come dice Gamberetta, il suo articolo vuole essere riassuntivo. E in effetti ha ragione, perchè per parlare di tutti i possibili errori (soggettivi e non) di un libro ci servirebbe la stanza dello spirito e del tempo.

p.s.
Anche io aspetto la recensione della Setta degli assassini: vorrei proprio sapere che cosa ne pensa Gamberetta di Dubhe e l’allegra combriccola per salvare il mondo (di nuovo).
ciao!

#6 Comment By Gamberetta On 31 maggio 2008 @ 23:09

@Loreley. Per trasparenza intendo che le parole “spariscono”. Le parole diventano immagini nella testa del lettore in maniera così fluida che è appunto come se sulla pagina ci fossero fotogrammi, non scritte. L’inchiostro sbiadisce e tu vedi il film.
Il lettore non riesce a cogliere le parole in quanto tali, per quello non può, anche volendo, stupirsi della raffinatezza della prosa, perché non c’è prosa. Il lettore potrà ricordare quella o quell’altra scena, ma per esempio non riuscirà mai a citare un passaggio. Le parole non esistono.
Il problema è che non è mica facile scrivere in questa maniera! L’idea generale è che tutto quanto attira l’attenzione sulla parola in sé, probabilmente è un errore. Ma è un’indicazione di massima. Non è escluso che anche con le metafore sublimi si riesca a raggiungere la trasparenza.
Poi questo è uno degli elementi: uno scrittore particolarmente bravo e fantasioso può riuscire a “rapire” il lettore nonostante lo stile. Non per questo occorre imitarlo.
Comunque David Gerrold scrive che secondo lui un autore ha bisogno di almeno 10 anni di esperienza prima di aver chiaro il rapporto tra stile e contenuto. Perciò ho ancora 9 anni di margine per capir meglio come funziona! ^_^

Ovviamente non si può paragonare il “terrore” provocato da uno scritto da un “terrore” reale, dal quale di certo non possiamo trarre neanche un minimo di divertimento (a meno che non si abbia qualche problema).

Ma lo scopo è proprio questo: per esempio lo scopo di un buon horror è proprio lasciare terrorizzati, tanto che una si maledice di aver letto il romanzo in questione!
A parte questo, è ovvio che se ho compiuto un’azione è perché pensavo ti trarne un qualche tipo di piacere (compreso piacere da masochista), siamo d’accordo. Ma c’è una bella differenza tra questo tipo di piacere, e il piacere fine a se stesso di una “bella prosa”.
Leggere dell’invasione aliena non è piacevole in sé, è piacevole assaporare le emozioni che provoca. Il rischio di trarre piacere direttamente dalle parole è che questo sentimento attenui le emozioni che stiamo cercando, perché appunto il notare le parole implica una non completa immersione nella storia.

@Federico. Tecnica e creatività sono scindibilissime. La prima si occupa del come, la seconda del cosa. Con la scrittura sono unite perché di solito lo scrittore è solo, ma se guardiamo ad altri campi, le cose sono ben distinte. C’è il programmatore (tecnica) e il game designer (creatività), c’è l’esperto di effetti speciali (tecnica) e il regista (creatività), c’è l’operaio con la gru (tecnica) e l’architetto (creatività). Poi nessuno vieta al game designer di saper programmare o all’architetto di manovrare la gru, ma i ruoli possono essere divisi senza grossi problemi.
La creatività ti indica cosa scrivere, la tecnica ti permette di farlo. E come detto, nella narrativa di genere le cose sono abbastanza ben delineate: la tecnica è quella serie di strumenti che devono riuscire a immergere il lettore nella storia, poi quale storia è compito della creatività.
La creatività è la parte fondamentale. Senza creatività nella narrativa di genere non vai da nessuna parte. Dopo di che hai bisogno anche di tecnica sufficiente a esprimere la creatività. Ma la sola tecnica, per quanto perfetta, non è abbastanza nella narrativa di genere.
(ovviamente stiamo parlando a livello teorico, non in ambito commerciale, dove è più probabile abbia successo qualcuno con buona tecnica che imiti la Rowling, piuttosto che un altro con la stessa buona tecnica però applicata a qualcosa di originale).

Per la storia d’amore non so. Secondo me l’appassionato di romanzi rosa legge senza problemi, e la considera “rosa”, una storia di Cavalieri e Principesse, anche se ambientata in un mondo fantasy.
Ma il punto è un altro, il punto è, perché lo scrittore, se è interessato alla storia d’amore, l’ambienta in un mondo fantasy? Io vedo solo tre risposte:
a) per biechi motivi commerciali. Nel qual caso è giusto dirgli che non sta scrivendo fantasy e mandarlo a quel paese.
b) perché non ha voglia di documentarsi. Sbatte tutto nel “fantasy”, pensando così di poter evitare problemi di credibilità. Ovviamente sarebbe meglio invece si documentasse.
c) perché pensa che solo un’ambientazione fantasy possa offrire elementi indispensabili alla vicenda (per esempio una storia d’amore fra una montagna e una lavatrice – sì esiste davvero un romanzo con tale storia). Ma in questo caso il romanzo è fantasy!
Perciò a me non sembra ci sia nessuna buona ragione per ambientare una storia in un mondo fantasy, se non si intende sfruttarne le potenzialità.

Io adoro l’Hard Fantasy! Infatti l’Hard Fantasy (a imitazione dell’Hard SF) punta moltissimo sulla credibilità. Questo non significa abolire magia, draghi e quant’altro, significa solo che l’autore deve sforzarsi ancora di più per rendere questi elementi verosimili.
La magia deve avere regole ben precise, il suo impatto sulla società e sulla storia del mondo dev’essere realistico, ecc.
Il mio adorato Swanwick viene considerato uno degli esponenti principali dell’Hard Fantasy e le sue storie sono stracolme di elementi fantastici.
Certo, uno può “fare il furbo” e raggiungere la credibilità eliminando o limitando tutte le trovate più fantasy, è ancora Hard Fantasy, ma non è questo lo spirito.
Lo spirito dell’Hard Fantasy è proprio quello di prendere elementi fantastici normalmente considerati “ingestibili” e imbrigliarli in uno schema razionale e verosimile.

Aggiunta. Visto che Hard SF è tradotto come Fantascienza “dura”, direi che Hard Fantasy è Fantasy “dura”.

#7 Comment By Carlo On 1 giugno 2008 @ 01:47

Devo dire, con la massima sincerita’, che non ricordo di aver mai letto un articolo cosi’ bello, completo, e intelligente, sull’arte dello scrivere. Gamberetta, a questo punto posso assicurarti che la mia ammirazione per te e’ diventata assolutamente incrollabile. Sicuramente bisticceremo ancora in futuro, ma nulla potra’ diminuire il rispetto che provo nei tuoi confronti. Brava, mille volte brava!

Ho solo una domanda, su un singolo punto che non mi sembra chiarissimo. Hai scritto che

I romanzi sono brutti di per se’, le regole sono solo un modo di interpretare tale bruttezza.

Sebbene io creda di capire lo spirito di quello che dici, soprattutto per quanto riguarda romanzi che praticamente tutti concordano essere brutti, e’ tuttavia molto comune il caso in cui un romanzo e’ piaciuto ad A, ma non e’ piaciuto a B. La domanda e’: ritieni davvero che la bruttezza di un romanzo possa essere oggettiva? O magari intendi dire che rimane soggettiva, e un romanzo e’ bello o brutto a seconda di quello che dice la maggioranza? Sinceramente, io la risposta non la so. Tu che ne pensi? (ti prego, non pensare che stia facendo il furbo, mi interessa davvero la tua risposta, dopo aver letto questo splendido articolo).

In ogni caso, nelle prossime discussioni mi atterro’ strettamente alle guidelines da te elencate in questa pagina.

#8 Comment By Signor Stockfish On 1 giugno 2008 @ 08:04

Ho sottomano un rilegato cartaceo che ha la particolare caratteristica di violare tutte le regole esposte nell’articolo di Gamberetta, ed è solo uno dei motivi per cui fa schifo. Un affare del genere non troverà mai un editore (non a pagamento) direte voi… errore! Prossimamente su queste pagine.

#9 Comment By Osservatore Cosmico On 1 giugno 2008 @ 15:47

Sei uno scrittore italiano?
Hai scritto o vuoi scrivere fantasy?

Se hai risposto “Sì” a entrambe le domande, non hai abbastanza esperienza e talento! Forse è meglio lasciar perdere la prima persona…

Adesso, io spero che la tua affermazione sia ironica, molto ironica… Da quello che ho capito io, secondo te, gli italiani non sanno scrivere fantasy perché quasi inadatti da un punto di vista genetico. Puoi spiegarmi il perché di questo?

#10 Comment By Gamberetta On 1 giugno 2008 @ 16:40

@Carlo. Ognuno può considerare bello o brutto quel che gli pare. Qui il discorso è più del tipo: “ho letto il romanzo e l’ho trovato noioso”, perché? Si va a guardare e si scopre per esempio che è troppo raccontato. Oppure “ho letto il romanzo e mi è venuto mal di testa dopo 10 pagine”, perché? Si va a guardare e si scopre che ci sono 20 flashback nelle 10 pagine che spezzano la narrazione. E così via.
Poi c’è sempre quella che dice: “Mi sono annoiata e mi è venuto mal di testa… però Edward è trp gnokko!!! Twilight è bellissimo!!!11!!!!”.
I gusti sono gusti. L’interessante è vedere però come le tecniche narrative abbiano un reale impatto sulle reazioni del lettore.
Quando io dico che un romanzo è brutto, è sottointeso che è per me, non potrebbe essere altrimenti. Tuttavia non dico mai che è brutto e basta, cerco di mostrare le cause della bruttura, e in molti casi vien fuori che sono condivisibili (sempre assumendo un lettore appassionato di fantasy con un minimo di esperienza, non proprio l’undicenne al suo primo libro).
Per quanto riguarda la maggioranza, in buona sostanza me ne frego. Almeno in positivo, è troppa la pressione sociale a spingere in quella direzione per cui ci si possa fidare. Non c’è da fidarsi neanche in negativo, ma già ha più senso. In altri termini: se un romanzo piace a tanti, non necessariamente è bello, ma se un romanzo non piace a nessuno, ecco forse è davvero brutto.
Comunque rientra nel parametro del numero di copie vendute. Non m’interessa, io cerco di svolgere, per quanto possibile, un’analisi tecnica, il punto di vista commerciale non lo prendo in considerazione (anche per ragioni “etiche”, non a caso invito la gente a scaricare e non comprare).

@Osservatore Cosmico. L’affermazione era ovviamente ironica, ci ho messo anche il piccolo demonio rosa. Inoltre non voleva in alcun modo essere “razzista”, non era mia intenzione prendermela con gli italiani in quanto italiani, me la stavo prendendo con gli attuali scrittori o aspiranti tali italiani.
È una frecciatina alla faciloneria con la quale molti si avvicinano alla narrativa fantasy, per cui un sacco di gente a quanto pare si alza la mattina e si mette a scrivere fantasy senza avere la minima passione per l’argomento.
Non è cattiveria constatare che c’è una marea di gente in Italia che scrive a un livello pessimo (e la ragione non è che sono italiani, la ragione è che credono sia facile scrivere, quando non lo è per niente).

#11 Comment By Gugand On 1 giugno 2008 @ 19:23

Bel trattato :)
I miei piu’ sinceri complimenti.
Sei la prima persona che conosco, a parte me ed un mio amico, che ha scritto chiaro e tondo come valuta qualcosa.
Anche noi eravamo giunti al punto di dover fare una specie di trattato per cercare di azzittire inutili polemiche sui nostri pareri riguardo i CRPG.
A noi, purtroppo, non ha aiutato a far finire le polemiche e lo sfotto’ nei nostri confronti tramite l’uso dei Sacri Dati di Vendita(TM).
Le flame war piu’ violente le abbiamo avute proprio con gente che lavora nell’ambiente delle riviste per videogiochi che sembrano i meno propensi ad usare un sistema rigoroso simile al tuo per scrivere una recensione tanto che non si riesce a capire come facciano ad inquadrare i VG in un determinato genere.

Scusa se mi sono sfogato, ma stavo cominciando a pensare di essere una mosca bianca :)

#12 Comment By Angra On 1 giugno 2008 @ 21:35

@Gugand:

Le flame war piu’ violente le abbiamo avute proprio con gente che lavora nell’ambiente delle riviste per videogiochi che sembrano i meno propensi ad usare un sistema rigoroso simile al tuo per scrivere una recensione tanto che non si riesce a capire come facciano ad inquadrare i VG in un determinato genere.

Ciò che dici non mi stupisce: le riviste più o meno specializzate (in ogni campo) vivono di pubblicità esplicita e di pubblicità occulta sotto forma di recensioni, ma sempre pubblicità è. Se ogni tanto parlano davvero male di un prodotto è perché chi lo produce è piccolo piccolo e non ha i soldi per comprarsi la pagina sulla rivista o il bannerone sul sito. Succede anche che si parli male di qualcosa e poi si cambi idea dopo che arrivano i soldi per il bannerone. Insomma: il parere di chi campa di pubblicità è purissima cacca. Ovvio che questo sia sempre fumoso riguardo ai propri criteri di giudizio: perderebbe altrimenti la libertà di cambiare a piacimento il giudizio a seconda della convenienza.

Parlando di narrativa fantasy e portali specializzati, un bell’esempio lo trovi QUI

#13 Comment By Carlo On 1 giugno 2008 @ 23:46

Gamberetta: ottima risposta, e concordo pienamente con te: volevo solo rassicurarmi che tu non considerassi la bruttezza (o la bellezza) un dato oggettivo, perche’ avrebbe svilito tutto il tuo discorso. E nemmeno il fatto che un lavoro piaccia (o dispiaccia) alla maggioranza puo’ essere utilizzato per “dimostrare” che un lavoro e’ bello o brutto in se’, ovviamente: e’ giustissimo fregarsene della maggioranza (lo so che ho usato questo argomento per difendere la Troisi in passato, e so che ho sbagliato a farlo – in futuro faro’ attenzione ad argomentare correttamente).

Voglio anche aggiungere di essere affascinato dal fatto che inizialmente ti detestavo, e avevo iniziato a scrivere in questo blog con l’intenzione di darti una lezione. Mi ero sbagliato sul tuo conto: sei una persona estremamente intelligente e preparata. Mi hai conquistato. Abbi cura di questo dono che hai, del tuo talento. Sono felice quando incontro gente come te.

#14 Comment By alice On 2 giugno 2008 @ 10:19

magnifico articolo!! Sono degli ottimi consigli.
E’ incredibile quanto rimanga meravigliata ogni volta che leggo un tuo articolo. Brava, gamberetta!!!!

Hai per caso preso alcune informazioni dal libro “Manuale per la scrittura creativa”?. L’ho letto un po’ di tempo fa ed è molto utile. Mi è venuto il dubbio vedendo quell’immagine del punto di vista che hai postato.
Comunque è solo una mia curiosità…

Complimentissimi ancora!

#15 Pingback By Puntate riassunte & Gamberi « Resuscito, quindi sono. On 2 giugno 2008 @ 13:26

[...] riassunte & Gamberi Su Gamberi Fantasy è apparso un post che merita un’iscrizione annuale al feed. Non sono d’accordo al 100%, [...]

#16 Comment By Davide On 2 giugno 2008 @ 15:02

Davvero un buon articolo, complimenti!
Le cose che mi facevano storcere un po’ il naso e su cui non ero del tutto d’accordo sono state chiarite meglio tramite i commenti, quindi non trovo quasi nulla da obiettare. Trovavo semplicemente troppo categoriche alcune affermazioni come quella dello stile nel romanzo di genere, la questione del punto di vista – in ogni caso anch’io trovo molto efficace fissare la “telecamera” su un singolo personaggio alla volta. Si chiama narratore esterno a focalizzazione interna, giusto? – o (ma in parte molto, molto minima) quella sul superfluo. Comunque, ripeto, ciò che non mi tornava è stato appunto chiarito nei successivi commenti.

Che dire, ancora? Attendiamo la recensione a “La setta degli assassini”, a questo punto! (anche se io in realtà pagherei soprattutto per un commento sui “capolavori” di Paolini)

#17 Comment By scriterio On 2 giugno 2008 @ 16:16

Questo è il mio primo commento nel tuo sito.
Sono rimasto impressionato dalla chiarezza di idee dei tuoi articoli. Quest’ultimo poi, li batte tutti!
La cosa che più mi ha stupito è il lavoro e la correttezza che permea le tue righe, discreta, ma capace di donare un’ossatura forte a ciò che scrivi.

L’articolo è molto ben fatto e mi trova in pieno accordo, tranne che sul distinguo che operi fra un libro “ben scritturo” e “scritto bene”.
Credo che l’origine del mio dissenso e della giusta richiesta di precisazioni di altri, sia legata alla distinzione fra literary fiction e narrativa di genere. Operazione certo doverosa, ma che appare così netta da essere antitetica. In realtà spieghi meglio la tua posizione successivamente e nei commenti, aprendo al bello scrivere nel bel testo.
Di nuovo, viene fuori la tua onestà.
chapeau
S

PS hai mica in cantiere Gli Eroi del Crepuscolo di Chiara Strazzulla? E’ il primo romanzo fantasy pubblicato da Einaudi. L’autore è una diciassettenne (terminerà mai la ricerca di un Paolini nostrano?), ed il volantino con buone tavole di Massimiliano Frezzato mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca, ma anche curiosità.

#18 Comment By Gamberetta On 2 giugno 2008 @ 17:28

@alice.

Hai per caso preso alcune informazioni dal libro “Manuale per la scrittura creativa”?

Così dal titolo non mi viene in mente niente, non ti ricordi l’autore?
Comunque l’immagine del punto di vista è presa da Characters & Viewpoint di Scott Card.

@Davide.

Che dire, ancora? Attendiamo la recensione a “La setta degli assassini”, a questo punto! (anche se io in realtà pagherei soprattutto per un commento sui “capolavori” di Paolini)

Ho promesso di parlare di Paolini quando uscirà in Italia il terzo volume della saga… spero sia il più tardi possibile! ^_^

@scriterio.

hai mica in cantiere Gli Eroi del Crepuscolo di Chiara Strazzulla? E’ il primo romanzo fantasy pubblicato da Einaudi. L’autore è una diciassettenne (terminerà mai la ricerca di un Paolini nostrano?), ed il volantino con buone tavole di Massimiliano Frezzato mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca, ma anche curiosità.

Ho dovuto penare un po’ per trovare il citato volantino, per chi fosse interessato è qui.
Letto il volantino, la trama mi sembra davvero scontata, a livello di generatore automatico di romanzi fantasy. Per questa ragione, anche se la curiosità c’è, 20 euro non li tiro fuori. Se ne riparlerà quando uscirà il PDF su emule o apparirà in biblioteca e avrò tempo per passarci.
Comunque, citando da una delle tavole:
“Una storia robusta e avvincente, dove due eroi nient’affatto perfetti, pieni di dubbi e paure come tutti noi, riescono a trovare dentro di sé la «magia» per sconfiggere il Male. E diventare adulti.”
Notare il magia fra virgolette. Essendo fra virgolette quel «magia» potrebbe riferirsi a:
Ipotesi 1) I Buoni Sentimenti dell’Amore, dell’Amicizia, della Fratellanza, ecc. ecc. i soli in grado di sconfiggere il Male!
Ipotesi 2) Una bomba termonucleare biomeccanica che cresce nel corpo dei protagonisti e trasforma il loro fisico come in un film di Tsukamoto.
Io spero con tutto il cuore che sia l’Ipotesi 2, ma so benissimo che in realtà è la 1. E di Ipotesi 1 ne ho già lette fin troppe (al di là di chi sia l’autore, questa trama non la digerirei neanche fosse opera di Twain redivivo).

#19 Comment By mhrrr On 3 giugno 2008 @ 11:14

grandioso. noto con piacere che il problema di definire la pertinenza dell’elemento fantastico in questo approccio molto pratico viene bypassato. è giusto così, anche se sappiamo che in linea teorica la questione della definizione di pertinenza o salienza è tutt’altro che chiara (nonostante l’illuminante testo di sperber e wilson, relevance, mi pare degli anni ’90).

il paragrafo che a mio parere resta il più importante è quello su “scrivi ciò che sai”, sarà che mi concentro nel mio “lavoro” di editor nelle questioni di worldbuilding (non a caso ho il terrore dell’infodump), ma gli errori più grossolani, trovo, sono spesso proprio quelli nei quali l’ambientazione si crepa e perde i pezzi, come un vecchio muro.

per il resto, siamo d’accordo sulla perfetta — e opportuna — scindibilità di forma e contenuto (nei commenti al post di taotor la mia era la voce dissonante).

OT: grazie per aver risolto il problema della fognatura…
ops, intendo la fognatura dei commenti.

#20 Comment By Angra On 3 giugno 2008 @ 12:59

Riguardo allo stile trasparente, potrebbe generarsi la confusione di pensare che esiste lo stile trasparente, nel senso di uno solo. In realtà, nel mostrare al lettore la stessa scena in modo trasparente, due bravi autori di genere lo faranno ciascuno col proprio stile, per cui non c’è da sentirsi spersonalizzati nello scrivere in modo più pulito possibile. Tanto succede sempre il contrario: per quanto uno si sforzi di evitarlo, finisce sempre per mettere troppo di se stesso in quello che scrive, tanto nello stile quanto nei contenuti.

#21 Comment By Matteo On 3 giugno 2008 @ 15:14

Articolo come sempre molto interessante.
Ho pensato, leggendolo, a quanto lavoro ci vuole per scrivere un post del genere e che probabilmente c’è più sudore dietro queste tue analisi che in molti dei libri che recensisci.
Complimenti!

#22 Comment By Angelo On 4 giugno 2008 @ 09:58

Ciao!

Ho appena scoperto il tuo blog con una segnalazione di questo interessantissimo articolo.
Hai conquistato un nuovo lettore :)

A presto!

#23 Comment By mhrrr On 4 giugno 2008 @ 12:07

sulla questione dell’inforigurgito.

ecco due casi con annesse domande:
1) mi pare di ricordare, all’inizio del codice da vinci, una dettagliata descrizione dell’impianto di sicurezza del louvre (potrei sbagliarmi, non è essenziale il riferimento puntuale ad un’opera). ora, in teoria, tutte quelle informazioni sono utili al lettore, e tuttavia leggendolo ricordo che ebbi una netta impressione di infodump. partendo dal presupposto che tutte le info fossero effettivamente utili, devo escludere che si trattasse di infodump e che si trattasse solo di una questione, diciamo, formale?
2) alcuni lettori-test che hanno letto un libro che sto curando mi hanno segnalato un evento narrato che non è strettamente attinente alla storia principale ma costituisce, per così dire, un diversivo. è un incontro con una comparsa che ha permesso all’autore di raccontare certe cose inutili ai fini della storia ma importanti per l’ambientazione (be’, più per il feeling). l’opinione dei miei lettori-test è sufficiente, ho discusso con l’autore e non toglierà quel frammento di storia (la storia è costituita anche da quel frammento, ha sostenuto lui) ma ha promesso che non lo farà più (seee…). però mi chiedo: queste informazioni inessenziali rispetto al percorso che i protagonisti seguono dal punto a al punto b, sono infodump?

in altre parole, l’infodump è (primariamente) forma o sostanza?

#24 Comment By Gamberetta On 4 giugno 2008 @ 13:29

@mhrrr. Se le informazioni sono vitali per la storia, l’infodump è questione formale. Nel senso che le informazioni le devi fornire in qualche modo, essendo appunto fondamentali.
Ciò non toglie che se il lettore ha la sensazione di infodump (e dunque con ogni probabilità di noia crescente), stai sbagliando. Ora non avendo letto Il Codice Da Vinci non ho idea di come sia affrontata la questione, ma se fossi io a dover illustrare l’impianto di sicurezza del Louvre, probabilmente farei:
Mostrato: il topolino che corre nei corridoi, s’infila nell’impianto di areazione, cade in una stanza e fa scattare gli allarmi, un raggio laser gli taglia la coda, ecc. È un po’ surreale (come piace a me!) e perciò non adatto a ogni storia, ma mostrando in questa maniera o simile, il lettore dovrebbe assorbire le informazioni senza annoiarsi.
Dialogo credibile: l’aspirante ladro rapisce l’ingegnere che ha progettato l’impianto di sicurezza e lo interroga. La tensione (e magari anche la violenza) implicita nella situazione dovrebbero addolcire il grumo di noia dell’inforigurgito.
Poi è anche questione di buon senso: se posso riassumere tutto l’impianto di sicurezza in due righe, lo faccio e stop, è inforigurgito, ma indolore.

La considerazione 2 è invece di ordine diverso. Questo “feeling” che nasce dall’incontro è vitale oppure no? In certe storie l’ambientazione è in primo piano (appunto I viaggi di Gulliver) e perciò il feeling è parte integrante della storia.
Se l’episodio è vitale valgono le considerazione fatte sopra: si spera che l’incontro sia verosimile e non forzato. Se invece non è vitale, non è infodump, è proprio fuffa da togliere.

#25 Comment By alice On 9 giugno 2008 @ 15:51

Gamberetta scrive:
@alice.

Hai per caso preso alcune informazioni dal libro “Manuale per la scrittura creativa”?

Così dal titolo non mi viene in mente niente, non ti ricordi l’autore?
Comunque l’immagine del punto di vista è presa da Characters & Viewpoint di Scott Card.

Sì, gamberetta. E’ proprio il libro di cui stavo parlando solo che, insieme ad altri manuali, è stato riunito in un unico enorme libro.
Grazie, mi hai tolto una curiosità:)

#26 Comment By kla On 10 giugno 2008 @ 19:27

Ciao.
Sono capitata in questo spazio per caso e mi sono lasciata attrarre dall’argomento di questo tuo post: anche se parte come uno “schema” per i fantasy (genere che non mi piace granchè… no, non mi piace affatto XD), penso si possa adattare un po’ a tutti i generi…
Non mi dilungo molto, perché non credo ce ne sia bisogno, ma lasciami dire che al 95% condivido le tue parole.
Il 5% che non mi vede d’accordo è la parte sul PoW.
Credo che se uno scrittore sia bravo (ma bravo sul serio, eh!), riesca a gestire bene qualsiasi tipo di narrazione, sia essa in prima che in terza persona, e all’occorrenza sappia cambiare il PoW nel corso della narrazione (ho letto storie in cui una stessa scena era descritta da tutti i personaggi interessati, e la cosa ha avuto un non so che di emozionante, lasciandomi veder sfumature che, altrimenti, non avrei colto…).
Certo, per fare simili scelte si deve essere consapevoli della difficoltà che queste comportano, ma non credo sia “giusto” sostenere quale PoW sia migliore di altri…
A parte questo, complimenti per il lavoro e le ricerche ;)

Una curiosità: qua recensite solo fantasy, vero? Nel caso cambiaste linea editoriale, mi piacerebbe che prendeste in considerazione l’idea di recensire il mio romanzo ^^ Fino ad ora ho avuto solo commenti positivi, ma non credo siano tutti onesti al 100%, e dal momento che vorrei provare a migliorarmi, mi farebbe piacere che qualcuno di esterno mi dicesse effettivamente cosa ne pensa…
Non lascio titoli o link vari perché non mi va di spammare. Nel caso, la mia email credo sia visibile agli admin, no?
Tempo permettendo, tornerò tra queste pagine.
Buon lavoro a tutti.
Kla

#27 Comment By Gamberetta On 10 giugno 2008 @ 20:38

@kla.

Certo, per fare simili scelte si deve essere consapevoli della difficoltà che queste comportano, ma non credo sia “giusto” sostenere quale PoW sia migliore di altri…

No, infatti, non esiste un punto di vista “giusto”. Il vantaggio della terza persona limitata è che è forse il più semplice da gestire, perciò se non ci sono particolari ragioni, non si vede perché complicarsi la vita. Inoltre essendo appunto il punto di vista più diffuso, il lettore è abituato e non deve compiere alcuno sforzo per “adattarsi”.
Dopo di che ognuno può scegliere come preferisce, l’importante è essere consapevoli di quel che si sta facendo.

Una curiosità: qua recensite solo fantasy, vero?

Non ci facciamo problemi anche con i generi limitrofi: fantascienza, horror, fiabe, storie surreali, e qualunque altra roba abbia elementi fantastici.
A me personalmente piacciono anche i romanzi storici sullo stile de L’Azteco o quelli di guerra/avventura tipo La Grande Fuga dell’Ottobre Rosso di Clancy.
Perciò se il tuo romanzo è in quest’ambito lo leggo volentieri, altrimenti magari lo leggerei volentieri lo stesso, ma non conoscendo il genere il mio giudizio lascerebbe un po’ il tempo che trova.

#28 Comment By jiggly On 11 giugno 2008 @ 13:16

Ho provato a leggerla tutto ma non ci sono riuscito, è veramente troppo noioso.
Fatto sta che si pongono metodi, cose “da fare” o “non fare” senza tener conto degli obiettivi dell’autore e del modo in cui si fanno, generalizzando a manetta. Ciò crea l’effetto di ostentata esattezza scientifica e quindi l’intero intervento si rivela un insieme di subdole menzogne, un po’ come fanno le mappe geografiche.
Inoltre, affermazioni come “parsimonia negli aggettivi”, sono roba da far rivoltare nella tomba migliaia di autori pietre miliari della letteratura, rivoltare alla cattedra innumerevoli professori, rivoltare alla scrivania molti scrittori contemporanei e rivoltare, dovunque siano, milioni di lettori.
In pratica, anche questo articolo è schifoso. Scusate l’aggettivo, visto che avrebbe dovuto essere implicito.

#29 Comment By gugand On 11 giugno 2008 @ 13:58

@jiggly
Hai parlato tanto, ma non hai fatto esempi.
Quali sono i romanzi che sono ricchi di aggettivi e arzigogoli linguistici che sono contemporaneamente digeribili e coinvolgenti?

#30 Comment By Rob On 11 giugno 2008 @ 14:38

@ jiggly

Gamberetta su questo versante è un po’ dilettante, non penso alludesse a fare teoria della letteratura; ciò premesso è impensabile dettare canoni o precetti di scrittura come fa lei. Pur esistendo qualche regoletta dettata da buon senso e perspicacia, ironia della sorte la scrittura fantasy è per eccellenza CREATIVA…

“Parsimonia degli aggettivi ?” E secondo chi ? Chi lo può stabilire ? Dov’è il sottile confine tra giusto e sbagliato in questa affermazione?
La stessa questione può porsi ad esempio su chi possa stabilire, anche con massima competenza, cosa sia arte e cosa non lo sia. Ovviamente vi sono criteri oggettivi e scientifici, ma non sono assiomi. Possono essere una base di partenza per dibattiti e motivazioni. Tutto qui.

#31 Comment By jiggly On 11 giugno 2008 @ 15:22

Gugand
Non c’è bisogno di esempi. E’ pieno. Boh, leggiti i promessi sposi.

Rob
Infatti. Il confine tra giusto e sbagliato sta proprio nell’esprimerla quell’affermazione. Facendolo inevitabilmente si sbaglia. E’ quello che ho cercato di dire anche col resto del commento. Tra l’altro, a parere di tanti che nel campo della letteratura ci vivono, molto spesso l’errore di diversi testi sta proprio nell’inserire pochi aggettivi, che colorirebbero l’esposizione. Ovviamente quest’affermazione viene fatta con competenza, a differenza di gamberetta, per cui non viene generalizzata ma analizzata libro per libro, di volta in volta. Per cui chi dice “mettete sono gli aggettivi indispensabili” o simili demenzialità sbaglia doppiamente.

#32 Comment By jiggly On 11 giugno 2008 @ 15:24

*solo, non sono. Scusate il commento di rettifica, ma credo sia utile alla comprensione.

#33 Comment By Rob On 11 giugno 2008 @ 15:30

@ jiggly

Sottoscrivo ciò che affermi nella sua interezza !

#34 Comment By gugand On 11 giugno 2008 @ 17:45

@jiggly
Intanto non c’e’ bisogno di esempi lo dici tu.
Sono un ignorante che legge solo fantasy e fantascienza, tutt’al piu’ qualche saggio storico (perche’ mi piace la storia). In questo campo si trovano pochi autori che cercano di usare stili arzigogolati (indovina il perche’).
Gli altri generi li evito perche’ non trattano di trame che mi possano interessare.

Ho letto ‘I promessi sposi’ ed ho trovato che era scritto bene, ma non era coinvolgente, ma non so se perche’ lo scrivere bene era superiore al coinvolgimento della trama o al fatto che la trama era tutto cio’ che non avrei voluto leggere (i due amanti che si devono separare per via delle pressioni mafiosi di un riccazzo del posto si ritrovano dopo 1000 viaggi, e ‘sti cazzi no?).
Il famoso pezzo finale dell’ottavo capitolo:”Addio monti sorgenti dalle acque…” etc… E’ un pezzo bellissimo, quasi poesia, ma e’ tutto meno che coinvolgente (forse perche’ la storia mi fa cagare, ma questa e’ un’altra cosa).

Da come parli sembra che non hai neanche capito la distinzione che ha fatto Gamberetta tra “literary fiction” e lo scopo di un racconto che e’ quello di fare immergere il lettore nella storia.
Per quanto mi riguarda e’ giusta la distinzione e mi permetto di mandare a cagare anche il Manzoni (dovrei avere il coraggio per riprendere in mano il racconto e giudicare con la testa di adesso).
Voglio avere il diritto di dire che “i promessi sposi” mi fa schifo adesso sai anche il perche’.

Mi da fastidio l’ipocrisia della gente che ha paura a dire che una opera d’arte gli fa schifo, ma dice che e’ bella perche’ si dice cosi’ (o ti arriva all’orecchio che e’ cosi’).
Se tu apprezzi “le frasi alla Rocca” buon per te, ma niente mi puo’ impedire di dire che quel modo di scrivere e’ schifoso (per me ovviamente).

#35 Comment By Clio On 11 giugno 2008 @ 20:51

@jiggly

Fatto sta che si pongono metodi, cose “da fare” o “non fare” senza tener conto degli obiettivi dell’autore e del modo in cui si fanno, generalizzando a manetta.

Ti invito a rileggerti l’articolo, magari per intero. Gamberetta mostra i pro ed i contro delle diverse scelte, quindi espone la sua opinione. Cosa c’è di raccapricciante in ciò? Tra l’altro scrive su un BLOG, quindi mi pare più che naturale…

l’intero intervento si rivela un insieme di subdole menzogne, un po’ come fanno le mappe geografiche.

Hum, scusa, non capisco, le mappe geografiche sarebbero un insieme di subdole mensogne?

Inoltre, affermazioni come “parsimonia negli aggettivi”, sono roba da far rivoltare nella tomba migliaia di autori pietre miliari della letteratura,

Quali migliaia? “Leggiti i Promessi Sposi” è il genere di sciocchezza che tiriamo sempre fuori.
1) Sono stati scritti due secoli fa. Due secoli fa la gente pensava, viveva, sentiva in modo diverso. Senza nulla togliere all’opera. Ai suoi tempi Metastasio faceva furore, ma penso che se io me ne uscissi con: “Parlo, ma ognor parlando
di te parlar procuro” fare sorridere, non pensi?
2)Il Manzoni è uno, non migliaia.
3)Uno scrittore pubblica per comunicare qualcosa, raccontare una storia, dare un messaggio. Le descrizioni sono funzionali a ciò, altrimenti sono superflue.

rivoltare alla cattedra innumerevoli professori, rivoltare alla scrivania molti scrittori contemporanei

Vuoi dire Rocca ed i suoi amici luminari… Ad ogni modo, mi pare che già ai tempi di Cicerone l’”asianesimo” (se mi passate il termine) era considerato eccessivo e di cattivo gusto. L’eccesso in descrizioni preziose, nello studio della letterature, è in genere preso come un indice di decadenza.

#36 Comment By kla On 12 giugno 2008 @ 16:09

Sono l’ultima arrivata, lo so, e non ho molta voce in capitolo.
Però mi domando perché molte volte non si legga per intero, e con attenzione, ciò che viene scritto. Questa è una situaione che, ormai, avviene un po’ ovunque, e non posso pensare che ci siano davvero tante persone che non sappiano leggere…
All’inizio dell’articolo, Gamberetta scrive (perdonami la citazione ^^):

Premetto che quel che dirò non è Vangelo. Non sono verità scolpite nella pietra, sono per lo più convenzioni. Ciò significa che uno scrittore è liberissimo di ignorare tali convenzioni, ma non di non essere consapevole di quel che sta facendo.

Dunque, perché ostinarsi a ripetere che ciò che viene detto nell’articolo non è Legge, se è per prima l’autrice che lo sottolinea?
Quanto agli esempi… beh, tirare sempre in ballo Manzoni non è che sia chissà che… Ormai siamo anni-luce avanti a Manzoni&co., e non c’è verso di tornare indietro.
Ormai i lettori non vogliono leggere tre aggettivi per ogni sostantivo: vogliono l’azione nuda e cruda, si stancano anche di leggere semplici descrizioni passando direttamente ai dialoghi.
Questo vuol dire qualcosa, no?
Così come vorrà dire qualcosa il fatto che tra i primi posti in classifica ci sia un libro scritto in linguaggio SMS…
Dunque, un autore che voglia non veder fallire il proprio operato, deve in qualche modo “adeguarsi” ai tempi; deve scrivere non per se stesso o per far vedere quanto sia bravo con le parole, ma per il lettore, portandolo per mano attraverso le pagine e facendogli cogliere elementi e dettagli che, scritti in altro modo, verrebbero bellamente saltati.
Ovvio che anche queste parole non sono niente di stabilito: è semplicemente ciò che cerco di fare io, scrivendo i miei romanzi… Riuscirò nell’impresa? Non lo so, ma almeno ci provo…

OT
@Gamberetta: purtroppo il mio romanzo non è del genere che leggi… è un libro rosa a tratti “rossi” ^^ Se comunque avrai voglia di leggerlo e recensirlo (o anche dirmi che ne pensi) giurin giurello che non sbatterò i piedini in terra come una scrittrice di fyccyne in escandescenza XD
In caso sei interessata, contattami pure ^^
/OT

Kla

#37 Comment By Gamberetta On 12 giugno 2008 @ 23:53

@kla. Il discorso del pubblico moderno è vero, ma fino a un certo punto:

Vigorous writing is concise. A sentence should contain no unnecessary words, a paragraph no unnecessary sentences, for the same reason that a drawing should have no unnecessary lines and a machine no unnecessary parts.

Da The Elements of Style di William Strunk Jr. La prima edizione di questo manuale è del 1918. L’idea di non sbrodolarsi nello scrivere non è proprio una novità degli ultimi anni…

#38 Comment By gealach On 13 giugno 2008 @ 18:44

Interessante specchietto, Gamberetta. ;) I consigli sono sempre utili, e i tuoi sono particolarmente sensati, solitamente. Ne terrò conto nel mio umile tentativo di diventare una scrittrice.
Passando ad altro, vedo che definisci “Ethlinn- la dea nascosta” di Egle Rizzo un esempio di brutto fantasy italiano… Mi piacerebbe sapere come mai; io l’ho trovato abbastanza buono, sia nelle idee e nella trama, che nello stile. Egle è l’unica autrice italiana contemporanea di fantasy che rispetto (anche se non posso certo dire di conoscerle tutte). Quindi ti chiedo: come mai ritieni Ethlinn un brutto romanzo?
Ah, immagino che il dubbio possa sorgere, ma non sono Egle Rizzo, nè una sua conoscente, tranquilla XD

#39 Comment By Davide On 13 giugno 2008 @ 22:44

Devo dire che a me il successivo romanzo della Rizzo, ovvero “Il viaggio di Aelin”, non è affatto spiaciuto. Meglio di molti altri prodotti italiani, quantomeno.

#40 Comment By Morea On 23 giugno 2008 @ 13:31

Quelle che delinei sono senza dubbio le “regole” necessarie per buttar giù un, quantomeno discreto, romanzo fantasy. Ma certamente non sono sufficienti (come, d’altronde, hai precisato) e neanche, secondo me, del tutto esemplificative. Mi spiego.

“Scrivere bene” in literary fiction significa offrire al lettore una forma che sia piacevole in sé, “scrivere bene” narrativa di genere significa scrivere trasparente. Significa adottare uno stile che non abbia alcuno stile. So che sembra strano, sembra quasi un invito a scrivere “male” apposta. Ma non è così, c’è una ragione ben precisa.

Se ho capito quello che intendi, lo stile, ovvero le modalità con cui si espone una storia fantasy dovrebbero sì, rispettare certe regole, ma restano comunque secondarie rispetto al racconto in sè e al succedersi degli eventi. Ed è sacrosanto, ma è attraverso queste modalità che il racconto viene fruito e affinchè sia “mostrato” adeguatamente, uno stile impeccabile è fondamentale molto più di quanto non lo sia in una “leterary fiction”.
Qualsiasi cosa noi leggiamo (che si tratti di oggetti materiali, fatti concreti o astrazioni) viene trasmutata dalla nostra mente in immagini mentali. Anche uno scritto dal valore puramente formale, per essere compreso, viene sottoposto allo stesso trattamento rappresentativo. La differenza è che quest’ultimo non è vincolato da necessità di chiarezza e conseguenzialità (per intenderci può anche essere costruito sulla base di concetti staccati che non necessitano una precisa delineazione da parte dell’autore, tanto ciò che conta è l’assonanza letteraria), mentre per un racconto fantasy questo è fondamentale affichè il lettore possa godersi storia come fosse un film nella sua mente.
Se consideriamo inoltre, quanti elementi di pura fantasia ci sono in un romanzo fantasy ci rendiamo conto ancor più di quanto sia fondamantele uno stile limpido e una buona scrittura. Perciò penso che stile e racconto siano inscindibili ed entrambi fondamentali per assurgere una storia fantastica a buon romanzo fantasy ( od horror o fantascienza).
Se poi per “scrivere bene” intendi prodigarsi in quei virtuosismi letterari di cui sono farciti certe narrazioni, allora sono totalmente d’accordo: nel genere fantasy sono assolutamente controproducenti.
Non considero comunque queste regole vincolanti: sono solo una sorta di binario entro il quale muoversi e alternative efficaci sono bene accette, altrimenti originalità e novità sarebbero mutilate.
Senza contare che non sempre la fluidità stilistica e la conseguenzialità “scenica” sono garanzia di buon romanzo: per esempio Terry Brooks rispetta queste regole e infatti non si fà fatica a visualizzare ciò che racconta, ma è talmente esatto nelle sue descrizioni da risultare monotono e ripetitivo.
Al contrario Terry Pratchett (l’omonimia non era ricercata è casuale :p) fonde la “trasparenza delle parole” con un’eleganza letteraria atipica nel genere.
Le variabili sono quindi molteplici, e per fortuna!

Mi sono divertita tantissimo a leggere questo tuo vademecum sul genere fantasy. Ne hai scritti altri di questo tipo? Mi piacerebbe leggerli e non vorrei mi sfuggano.

Alla prossima

#41 Comment By Gamberetta On 23 giugno 2008 @ 15:06

@Morea.

Mi sono divertita tantissimo a leggere questo tuo vademecum sul genere fantasy. Ne hai scritti altri di questo tipo? Mi piacerebbe leggerli e non vorrei mi sfuggano.

Ehm, no, non in questa maniera “sistematica”. In altri articoli sono affrontate tematiche simili, ma in mezzo a recensioni o argomenti diversi.
Se però sei interessata, ti consiglio il libro di Gerrold, Worlds of Wonder: How to Write Science Fiction & Fantasy, è una piacevole e appassionante lettura, anche per chi non ha davvero intenzione di scrivere fantasy e fantascienza.

Per il resto mi rendo conto che forse riguardo a trasparenza, stile, e abilità di scrittura, non sono stata del tutto chiara. Ne riparlerò in maniera più esaustiva.

#42 Comment By Morea On 23 giugno 2008 @ 15:45

il libro di Gerrold, Worlds of Wonder: How to Write Science Fiction & Fantasy, è una piacevole e appassionante lettura,

Decisamente sono interessata. Grazie!
In realtà ho cercato libri di questo tipo, ma ho trovato solo manuali con consigli per scrittori emergenti, basati per lo più su regole grammaticali e consigli spicci, non specifiche trattazioni di questo tipo. Immagino questo di Gerrold non sia stato tradotto in italiano. Mi accontenterò della versione inglese…

Per il resto mi rendo conto che forse riguardo a trasparenza, stile, e abilità di scrittura, non sono stata del tutto chiara. Ne riparlerò in maniera più esaustiva.

Mmh…no penso che tu sia stata chiara a sufficienza, anche perchè sono punti di vista che ripeti spesso nelle tue recensioni. Non so forse non sono stata abbastanza scrupolosa nello spiegarmi, in ogni caso quelle che ho illustrato sono comunque precisazioni e sfumature. I punti che hai trattato non li metto in dubbio anche perchè sono palesemente esatti. ;)

Ciao

#43 Comment By Carlo On 23 giugno 2008 @ 16:53

Gamberetta scrive:

Da The Elements of Style di William Strunk Jr. La prima edizione di questo manuale è del 1918. L’idea di non sbrodolarsi nello scrivere non è proprio una novità degli ultimi anni…

Lo sbrodolarsi nello scrivere e’ stato da sempre cattiva scrittura, anche tremila anni fa.
@kla: i lettori non hanno mai voluto leggere tre aggettivi per ogni sostantivo: e no, nemmeno Manzoni lo faceva. Una scrittura sovraccarica di inutilita’ e’ una delle poche cose oggettivamente sbagliate nell’arte dello scrivere, ed e’ un classico errore dei principianti di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

#44 Comment By GiD On 21 luglio 2008 @ 00:03

Lo sapevo che sarebbe successo prima o poi, a forza di leggere gli articoli di questo blog…
Gamberetta, ti comunico che mi hai rovinato la lettura di quello che poteva essere un bel romanzo. :D :D :D
Per colpa tua più di una volta mi sono messo ad insultare l’autore invece di concentrarmi sulla storia.
“L’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafón è praticamente un manuale su quanto sia importante (e difficile) scegliere e gestire bene il punto di vista della narrazione. Leggendolo ho capito quanto sia problematico narrare in prima persona. Purtroppo non l’ha capito l’autore, oppure l’ha capito e se n’è altamente sbattuto.
Il romanzo è narrato in prima persona, al passato, come fosse il racconto dei ricordi del protagonista. Poi, in svariate parti, quando l’autore capisce di non poter infilare nei ricordi tutto quello che serve (e che non serve) alla trama, compaiono pagine e pagine scritte in corsivo con narrazione onniscente. Come se non bastasse, verso la fine si trova una lunghissima parte narrata sempre in prima persona, al passato, ma stavolta dalla prospettiva di un altro personaggio.
Naturalmente tutte le parti del romanzo, che parli il protagonista, che parli l’autore onniscente o che parli l’altro personaggio, sono scritte con lo STESSO IDENTICO STILE.
Per la serie “L’autore sono io e faccio come cazzo mi pare!”.
Ci sono poi altre cose che mi hanno fatto storcere il naso, ma l’incoerenza e l’incompetenza nell’uso del punto di vista mi hanno davvero fatto incazzare.
E’ questa è tutta colpa tua, Gamberetta. Ora quando leggo un libro e mi trovo davanti a questo genere di errori non riesco più a ignorarli. Sei contenta adesso? :D :D :D

#45 Comment By Morry On 29 luglio 2008 @ 17:57

:-)
Ciao… ho trovato il tuo blog per caso e lo sto letterlamente divorando…

Una cosa su questo tuo articolo che, per tutto il resto, condivido in pieno: non sono troppo convinta della questione del punto di vista unico.
Certo, se quello che intendi è che in una singola scena NON DEVE cambiare continuamente il punto di vista (Tizio osserva questo, poi mi sposto su Caio che osserva qualcos’altro, poi mi sposto su Sempronio che si sta allegramente scaccolando e non gliene puo’ fregare di meno di quello che succede attorno a lui) allora siamo d’accordo.
Ma nel corso di un’intera storia che il punto di vista resti fisso e costante mi sembrerebbe un po’ inverosimile, oltre che limitativo per lo svolgersi della storia stessa :)

Che ne pensi? E soprattutto… adesso mi metto a scavare il tuo blog per vedere se hai mai scritto qualcosa su George Martin XD

#46 Comment By Gamberetta On 1 agosto 2008 @ 22:36

@Morry

Ma nel corso di un’intera storia che il punto di vista resti fisso e costante mi sembrerebbe un po’ inverosimile, oltre che limitativo per lo svolgersi della storia stessa :)

Be’, dipende. Ci sono un sacco di romanzi narrati sempre con lo stesso punto di vista (basti pensare a tutti i gialli nei quali seguiamo sempre e solo il detective nelle sue indagini), non è un grosso problema, anzi, si ha il vantaggio di favorire l’”immersione” del lettore che si identifica con il personaggio attraverso cui è vista la storia. Ogni cambiamento di punto di vista è “traumatico” perché implica uno stacco da quello che stiamo narrando: se sto seguendo Maria e poi cambio a Luisa, è ovvio che ho compiuto un’operazione al di fuori del mondo della storia, è intervenuto dall’esterno il narratore con una “magia”. Perciò bisogna valutare se vale la pena questa “interruzione”. Nel mezzo di una scena non vale quasi mai la pena, nel corso di un romanzo potrebbe invece essere opportuno. L’importante è sempre essere consapevoli di quello che si sta facendo.

#47 Comment By Morry On 2 agosto 2008 @ 01:37

Sì, più o meno quello che intendevo.
Francamente, utile o meno, ho pochissima sopportazione per i cambiamenti di punto di vista all’interno di una scena… un autore che li usi, secondo me, ha semplicemente sbagliato il punto di vista iniziale e non sa come aggiustarlo… -_-

Quanto al cambio di punto di vista nel corso del romanzo, il senso è proprio che questo cambio sia funzionale alla storia e non messo li’ per caso. Ti citavo nello stesso commento George Martin pensando alle sue Cronache del Ghiaccio e del Fuoco dove ogni capitolo è visto attraverso gli occhi di un diverso protagonista. Quello è uno dei casi in cui apprezzo il cambio… anche perchè in una storia che segue una serie di avvenimenti paralleli, mostrare da un unico punto di vista sarebbe impossibile…
A parte la funzionalità del cambio, apprezzo molto il rigore con cui si attiene al punto di vista scelto per il capitolo…

#48 Comment By mariateresa On 27 agosto 2008 @ 14:45

Io adoro sperimentare quando scrivo, così è molto facile nei miei racconti trovare per un buon tratto una narrazione con punto di vista onnisciente e poi i vari punti di vista dei personaggi. Leggendo molto però, soprattutto il mio romanzo preferito che è I promessi sposi di Alessandro Manzoni(eh si lo so che molti lo trovano una noia mortale, ma io lo adoro!l’ho letto 5 volte), ho capito che se dai ad ogni personaggio il suo capitolo nella storia non si crea confusione. Ogni situazione dove il personaggio è il protagonista numero uno può essere benissimo narrata dal punto di vista di questo personaggio, la cosa è anche più coinvolgente, a patto però che gli altri personaggi non gli “rubino la scena”. Ad ognuno il proprio spazio e nessuno si offende.
Riguardo al mostrare e al raccontare, ho notato che molti scrittori raccontano dove dovrebbero mostrare e mostrano dove dovrebbero raccontare. Un esempio? Chiara Strazzulla, negli Eroi del Crepuscolo, si sofferma in modo esagerato sulla permanenza di Tyke all’Ultima città, avvolto in candide lenzuola. Sembra una cosa importante o necessaria allo sviluppo della storia? Di solo, senza troppi giri di parole, che il benedetto cristiano è stato salvato dagli elfi! Se poi l’utilità era fargli fare la romantica cenetta con Lyannen, ah allora ritiro quello che ho detto. In un altro caso invece avviene l’opposto, ovvero (per non citare sempre la poveretta) ne Le cronache del Mondo Emerso di Licia Troisi. Prendo come esempio la scena dell’addio fra Nihal e Sennar prima della partenza di lui alla ricerca del mondo Sommerso. Il giovanotto spende solo due parole, fra l’altro sbagliate, per dire a Nihal della partenza. E pretende che lei, indignata dalla brevità del sua spiegazione, accetti senza ferirgli la guancia?Eh no, così non si fa! Ci si spiega bene prima di partire. Nihal ha tutta la mia comprensione!

#49 Comment By DelemnO On 2 settembre 2008 @ 14:21

Su Manzoni hai il mio sostegno, certi pezzi dei Promessi Sposi sono davvero belli. Anche se in realtà preferisco l’Adelchi.

Il mio romanzo invece è narrato da una persona, da uno dei protagonisti, ma c’è una particolarità.. che non intendo svelare.

#50 Comment By GiD On 5 settembre 2008 @ 00:43

Scrivo qui questa domanda perché mi sembra l’articolo più adatto…
Gamberetta sai spiegarmi cosa si intende per “focalizzazione a sinistra”? E’ qualcosa relativo alla struttura della frase ma non so bene in cosa consista. So solo che non è bene usarla spesso (come sembra faccia io).
Grazie in anticipo per la risposta.

#51 Comment By DelemnO On 5 settembre 2008 @ 11:30

Io invece vorrei sapere una cosa. Gamberetta, hai mai letto Notre Dame de Paris di Hugo? Io lo sto leggendo ora, è c’è un capitolo piuttosto lungo, intitolato “Parigi a volo d’uccello” in cui l’autore descrive l’aspetto della città all’epoca del romanzo, mostrando le innumerevoli chiese, i quartieri, fornendo vari annedoti, per poi confrontarla con la Parigi moderna ( per lui). Io come capitolo l’ho amato tantissimo, ma tutti coloro che conosco che l’hanno letto non sono riusciti a superare tale capitolo lasciando la lettura incompleta. Premetto che effettivamente, pur essendo un belllissimo capitolo, sembra studiato per gli abitanti di Parigi, e un lettore normale non ricorderà mai i nomi delle chiese o delle vie, che sono un’infinità. Ora, la domanda è..un tale capitolo, che interrompe l’azione per più di 30 pagine ( escluso quello sulla chiesa di Notre Dame stessa), è inforigurgito o show don’t tell?

#52 Comment By mariateresa On 5 settembre 2008 @ 12:28

Ricordo il capitolo di cui parli, lessi le opere di Hugo verso i 14 anni, ma ora Notre Dame de Paris lo dovrei rileggere perchè mi ricordo poco. Credo proprio sia un misto tra inforigurgito(non molesto)e show don’t tell. Ben riuscito, offre una buona panoramica della struttura di Parigi all’epoca del romanzo che sicuramente era diversa dalla Parigi di Hugo.

#53 Comment By DelemnO On 5 settembre 2008 @ 12:52

Perchè vorrei fare anche io qualcosa sul genere. Volevo illustrare un po’ com’è la città dove è ambientata tutta la prima parte del mio libro. Ma non intendo fare una cosa tanto lunga.

#54 Comment By Gamberetta On 5 settembre 2008 @ 18:05

@GiD. Ho cercato un po’ in rete ma non c’è molto. Se ne parla in ambito di linguistica a narratologia. Per la narratologia puoi guardare wikipedia.

Per quanto riguarda la linguistica c’è questa tesi di laurea che parla proprio del problema della focalizzazione a sinistra. Purtroppo è una trattazione molto tecnica, non sono andata avanti molto. Perciò onestamente non saprei proprio dirti se sia il caso o no di focalizzare a sinistra le frasi.

@DelemnO. No, non ho letto Hugo. Ma da come ne parli è inforigurgito. E pure pesante se così tante persone piantano il romanzo a quel punto.

#55 Comment By GiD On 5 settembre 2008 @ 19:53

Sì, avevo già letto quella voce di wikipedia (non capendone granché). Ora provo a dare un’occhiata alla tesi.
Grazie!

#56 Comment By DelemnO On 5 settembre 2008 @ 20:03

Pesante perchè spezza l’azione, se Hugo avesse fatto un trattato su Parigi ci sarebbe stato benissimo. Poi è vero che in Notre Dame la vera protagonista è la cattedrale, e la città, per il resto sono solo tante storie intrecciate. Poi bisogna vedere, perchè i lettori sono tutti diversi, io ho adorato quel pezzo e non credo di essere la sola, forse sono solo le mie amiche che, abituate al musical di Notre Dame, tutto azione, alla prima descrizione vera mollano lì. Non lo so eh. Però si tratta comunque di persone “acculturate”.

#57 Comment By Gamberetta On 5 settembre 2008 @ 20:24

@DelemnO. Non avendo letto non posso dir niente, però in generale non necessariamente in un classico tutto è bello. Hugo può essere bello nonostante l’inforigurgito così come si può apprezzare Tolkien nonostante lo stile a tratti pesante.
Se non ci sono particolari ragioni, devi mostrare la città attraverso l’azione. Una descrizione statica, fine a se stessa, in generale annoia.

#58 Comment By mariateresa On 5 settembre 2008 @ 20:52

L’ideale sarebbe stato prima descrivere la città in generale, e poi portare i protagonisti nei vari angoli di Parigi e approfondire le descrizioni.

#59 Comment By DelemnO On 6 settembre 2008 @ 10:52

Che era ciò che avevo intenzione di fare io. Ma credo che mi limiterò a mostrare quella parte della città che uno dei personaggi vede ritornando a casa.
Ah, Gamberetta, comunque escluso quell’inforigurgito, Notre Dame è molto bello, se ti capita te lo consiglio. E per restare sul fantasy, hai mai letto Il Nome del Vento, di Patrick Rothfuss (Fanucci Ed.) ?
Potrebbe davvero piacerti.

#60 Pingback By AFANEAR » fuzzy fasi On 11 settembre 2008 @ 00:06

[...] è una guida, di guide ce ne sono a bizzeffe (ne ha scritta una essenziale un po’ di tempo fa gamberetta, potete partire da lì) ma questo post non è della partita. ho solo voglia di raccontare come [...]

#61 Comment By DelemnO On 11 settembre 2008 @ 17:11

Riflettevo sul concetto dell’inforigurgito. Prendio quindi i due esempi di Laura e il coboldo. Come effettivamente risulta poco piacevole il primo caso, lo è anche il secondo con il dialogo forzato. Mentre, se Laura non avesse mai visto un coboldo in vita sua e chiedesse all’esserino chi è e via dicendo, avrebbe senso una spiegazione da parte del coboldo.
Prendo ora invece un esempio troisiano, dalla Setta degli Assassini, quando ci viene raccontato com’è cambiato il mondo emerso quarant’anni dopo ( mi pare ne siano passato quaranta, non ricordo), chi è al potere e altri dati. Bene, a me, come lettrice, non risulta fastidioso, anzi. Sapere cosa è successo in quegli anni, specie se si hanno letto i libri precedenti, è utile. Poi se mi dici che avrebbe potuto farlo dire da qualcuno, o spiegarlo in altro modo, capisco. Ma a volte, per esigenze di trama, una sana spiegazione è necessaria. Anche perchè allora Tolkien è tutto inforigurgito, in quei pezzi quando dice “E Tizio generò Caio della stirpe Xyz che a sua volta si unì a …” ( Nomi inseriti a casaccio a scopo esemplificativo).
Secondo me la motivazione della tua visione delle cose, Gamberetta, sta nel fatto che, desiderando diventare regista o sceneggiatrice, tendi a considerare ogni libro la sceneggiatura di un film, il che secondo me generalmente è sbagliato. Sarebbe come andare a fare la spesa dal fruttivendolo e dire “non voglio queste, non sono abbastanza rosse come mele” davanti a dei kiwi.

#62 Comment By Gamberetta On 11 settembre 2008 @ 17:29

@DelemnO. Non sono opinioni mie, o meglio non sono solo opinioni mie, sono le opinioni degli autori citati in fondo all’articolo.
Premesso questo, Tolkien può essere apprezzato nonostante il suo stile, così come Verne: Ventimila Leghe sotto i Mari non è bello per le minuziose descrizioni dell’ambiente, è bello nonostante ciò.
Se le informazioni sono davvero necessarie alla storia, devi mostrarle: “Nihal era una famosa eroina, ora è morta”. Può andare, finché è una frase non muore nessuno, ma molto meglio se un personaggio incrocia un gruppo di pellegrini diretti alla tomba di lei, così il lettore può dedurre da solo che era famosa e che ora è morta. Tutto ciò avendo il lettore precise immagini davanti agli occhi.
Quello di scrivere per immagini, ovvero avendo sempre presente cosa visualizzerà il lettore nella sua testa, non ha niente a che vedere con il cinema. È considerato il modo migliore di scrivere da sempre.
“If those who have studied the art of writing are in accord on any one point, it is this: the surest way to arouse and hold the readers attention is by being specific, definite, and concrete. The greatest writers — Homer, Dante, Shakespeare — are effective largely because they deal in particulars and report the details that matter. Their words call up pictures.” – William Strunk (1918, d’accordo il cinema c’era già, ma mi pare da troppo poco per aver già “traviato” in maniera così radicale la visione della letteratura).

#63 Comment By DelemnO On 11 settembre 2008 @ 19:29

Non sto dicendo che scrivendo uno non deve richiamare immagini, anzi, è essenziale. Comunque ho capito cosa intendevo, grazie ;)

#64 Comment By GiD On 13 settembre 2008 @ 19:31

@ Gamberetta

Voglio comprare uno dei saggi che hai citato, ma solo uno perché sono a corto di soldi. Quale mi consigli tra quello di King e quello di Twain? Mi interessa sapere quale dei due è più completo dal punto di vista delle tecniche di scrittura.
Grazie.

#65 Comment By Gamberetta On 14 settembre 2008 @ 00:01

Tra King e Twain, prendi King. Twain è divertente e interessante, ma sono davvero poche pagine, a 9 euro è caro come il fuoco.
D’altra parte il testo di King si trova su emule in italiano senza problemi, perciò puoi pensare di scaricare King e comprare Twain.

Detto ciò, né il testo di King né quello di Twain entrano in particolare dettaglio riguardo le tecniche di scrittura.
Se non hai problemi con l’inglese, scarica/ordina da Amazon Worlds of Wonder, altrimenti potresti rivolgerti a Il prontuario dello scrittore di Franco Forte. Forte non è Gerrold né Scott Card ma è meglio che niente, a 10 euro hai un ottimo rapporto prezzo/consigli utili.

P.S. Qui puoi trovare una traduzione delle regole della narrativa di Twain.

#66 Comment By Angra On 14 settembre 2008 @ 07:32

C’è anche “Smettetela di piangervi addosso: scrivete un best seller” di Renato Di Lorenzo, edizioni Gribaudo. Lo trovi qui su IBS 6,90 euro.

Sto finendo di leggerlo, e l’ho trovato molto completo e concreto. Potrebbe far storcere il naso agli aspiranti Artisti, ma tanto a quelli fa storcere il naso qualsiasi cosa diversa da “non ci sono regole, non si può imbrigliare l’Arte!”

E’ orientato a scrivere opere di narrativa che siano godibili dal maggior numero possibile di persone, incluse quelle colte e intelligenti.

#67 Pingback By AFANEAR » verso un disegno ~ 2, parte due On 21 ottobre 2008 @ 11:51

[...] letto la bella guida per la scrittura di genere di gamberetta, voglio inserire in questa tabellina anche i libri sui viaggi nel tempo che cita lei. [...]

#68 Comment By zora On 7 febbraio 2009 @ 22:41

Arrivo con un commento ritardatario, ma lo scrivo qui perchè è pertinente con questo articolo, anche se è un argomento che spunta fuori spesso.
Ho trovato un’ulteriore conferma del famigerato “Show, don’t tell”. Era un motto già valido ( a quanto pare) 300 anni fa, e non dietro l’angolo, ma in Giappone!
Questo è il pensiero di Chikamatsu Monzaemon (scrittore famoso soprattutto per i testi teatrali):
Il pathos per me è una questione di contenimento. La commozione nasce quando tutti gli elementi dell’arte sono controllati dal ritegno; più forti e più ferme sono la melodia e le parole, più dolorosa sarà l’impressione creata. Per questo motivo quando si dice che qualcosa di triste è triste, si perdono le implicazioni e, infine, anche l’effetto di tristezza sarà minimo. Non è importante dire che una cosa è “triste” ma è importante che sia triste in se stessa.

#69 Comment By Gamberetta On 8 febbraio 2009 @ 18:35

@zora. Bella citazione. Molti credono che i concetti esposti in quest’articolo siano frutto, magari degenere, della “modernità” ma non è sempre così. Certi concetti hanno accompagnato la (buona) narrativa da tempo immemorabile.
Per esempio l’idea che la prosa debba essere funzionale allo scopo che ci si propone e non genericamente bella in sé era già propugnata da Orazio nell’Epistola ai Pisoni, 2.000 anni fa.

#70 Comment By Messer Scorfano On 16 febbraio 2009 @ 16:05

Beh, ‘funzionale allo scopo’ non è esattamente comparabile allo ‘show, don’t tell’ di anglosassone estrazione ;)

Zelazny ad esempio è uno che racconta tanto almeno quanto mostra, e così (tanto per fare paragoni illustri) Tolstoj e Melville sono dei grandi “raccontatori”, oltre che prolissi paesaggisti ;)

Tuttavia il raccontare di questi autori non è mai deleterio nè risulta stucchevole al lettore, anche perchè interpolato da parti in cui prevale l’immediatezza dell’azione… ma ciò non significa che Tolstoj e Melville siano dei grandi scrittori nonostante le loro parentesi speculativo/letterarie o i loro squarci lirici.

Il paradigma ‘mostrare senza raccontare’ viene promosso da chi invoca la totale assenza di mediazione tra il lettore e l’autore, ma la fruizione più immediata non è di per sè sinonimo di ‘buona letteratura’. Vi sono dozzine di libri modaioli che seguono in modo pedestre i comuni precetti di composizione e di scrittura creativa, mentre un buon numero di classici della letteratura si mostra impervio ad essi: forse che avrebbero potuto essere ancora più classici se avessero avuto tra le mani i compendi di Scott Card e di King? ;)

…Nè è vero che la literary fiction si occupi della forma e dei giochi di parole più che del contenuto, visto che la forma è essa stessa contenuto (prova a immaginare una riscrittura dell’Ulisse di Joyce in forma di best-seller alla Wilbur Smith e avrai perso i tre quarti del significato dell’opera). Il che non significa, ovviamente, che il contenuto si esaurisca nella forma ;)

Personalmente credo che il mostrare e il raccontare siano ingredienti da saper miscelare alla bisogna: certo a volte è necessario fare a meno dell’uno o dell’altro, a seconda del piatto che stiamo cucinando.
Il vero problema del raccontare è che bisogna saperlo fare con cognizione: il raccontato non deve sovrapporsi al mostrato in modo da ingenerare confusione nel lettore, deve essere pertinente alla storia, e lo scrittore deve essere consapevole del fatto che ogni volta che si sposta dal piano descrittivo a quello extradiegetico si produce una scissione nell’andamento narrativo (e di conseguenza nell’attenzione del lettore). Ecco, il saper fondare una continuità tra i due piani è la vera cifra di un buon scrittore… e soprattutto sapere quando fondarla, in modo da non frammentare l’unità d’azione delle sequenza narrative.

#71 Comment By Gamberetta On 16 febbraio 2009 @ 16:54

@Messer Scorfano. No. Se scrivi narrativa di genere devi mostrare, riservando il raccontare solo ad ambiti minimi. E sì, un sacco di “classici” sono tali nonostante la scarsa preparazione tecnica degli autori (e comunque molti “classici” sono tali solo per moda, non certo perché opere di chissà quale valore).
Parliamoci chiaro: come ripeto spesso, se tu hai la fantasia di Lovecraft puoi anche fregartene di un sacco di dettagli, il problema è che tu non hai la fantasia di Lovecraft (e non solo tu, l’hanno in pochissimi, del tipo che si contano sulla punta delle dita di una mano sola – tenendo conto di tutti gli scrittori del mondo).
Qui non stiamo discutendo di Arte con la ‘A’ maiuscola, stiamo parlando di scrivere fantasy un’attività molto specifica e per un certo verso “terra terra”. Non devi imitare Melville o Tolstoj, devi riuscire a trasmettere in maniera efficace poche idee al lettore (sempre se ne hai).

#72 Comment By Messer Scorfano On 17 febbraio 2009 @ 18:02

:) Mah… Una cesura così netta tra ‘Arte’ e ‘arte’ convalida la perniciosa distinzione tra ‘letteratura’ e ‘paraletteratura’ che, oltre ad essere intellettualmente miope (lo dico in senso generale, non sto rivolgendo una critica specifica a te), fallisce pure nel classificare i lavori situati nell’area grigia tra le due categorie (penso alle opere di Borges e a Bulgakov, ad esempio, o anche a un fantasy molto letterario come quello di Mervyn Peake… ma potremmo citare diversi altri autori che hanno scritto ‘letteratura di genere’ con ponderose inserzioni ‘autoriali’).

Poichè il registro fantastico si addice a veicolare concetti elevati almeno quanto la narrativa ‘d’elezione’, non c’è alcun motivo per aderire ad un dogma stilistico così stretto – a meno di non considerare il criterio di vendibilità come argomento decisivo. ;)))
Esistono autori di SF/fantasy che di idee al lettore ne trasmettono parecchie (vedi Frank Herbert e Gene Wolfe, ad esempio, o il succitato Zelazny), senza per questo risultare noiosi o pedanti… poi, naturalmente, ci sono quelli che provano a trasmettere idee e risultano pesanti come un’incudine sulle gonadi. Tutto sta nel modo in cui queste idee si veicolano, non nelle distinzioni manichee tra ‘letteratura di genere’ e ‘literary fiction‘, visto che molto spesso la differenza non è così adamantina come sembra.
Non esiste il discrimine tra letteratura ‘terra terra’ e letteratura ‘alta’: esistono ‘buoni autori’ e ‘cattivi autori’, così come in musica esistono ‘maestri’ e ‘mestieranti’ (parola di John Zorn ;) ).

Non si tratta nemmeno di imitare i classici (anche se Faulkner non si faceva problemi a consigliare ai giovani scrittori di copiare a mani basse lo stile dei loro modelli ;))) ), quanto di attingere ad essi per ricavarne alcune norme di buona scrittura… o, al limite, delle suggestioni.
Nessuno parla di imitare lo stile di Melville o Tolstoj, così come non si discute il problema se sia il caso di imitare lo stile di King o di Scott Card.
Prima di tutto bisogna essere scrittori, non ‘scrittori fantasy‘ : abbiamo un bagaglio di opere molto più ampio da cui prendere lezioni, perchè dovremmo incrociare le braccia e dichiarare “prima di Tolkien il vuoto” quando il registro fantastico è parte integrante di tutta la letteratura?
Della serie: “Io non leggo gli autori russi perchè hanno una prosa troppo paludata nella narrazione onnisciente e dunque sono cattivi autori, buoni solo per qualche vecchio barbogio”.

Posso anche concordare sul fatto che alcuni classici siano considerati tali solo per sciovinismo accademico, ma come argomento a difesa del dogma che promuovi la trovo alquanto debole, nè mi offre delucidazioni sul fatto che molti autori, pur non perseguendo in modo ferreo le regole che esponi, siano considerati dei maestri della letteratura. Saranno tutti raccomandati? ;) Cavolo, in base ai principi di Scott Card & Co. bisognerebbe tagliare metà di Moby Dick! E che ne dici della Divina Commedia, strapiena di inforigurgiti? ;)
Alcune prescrizioni del modello che hai assunto sono sacrosante, ed è da lì che si può fondare un discorso generale per l’approccio alla composizione letteraria – altre semplicemente pertengono ad un principio valido in alcuni casi e senz’altro utile agli esordienti, ma che non può essere assunto a dogma universale.
E’ anche vero che tra i classici esistano degli impostori, ma sventuratamente per loro la storia fa quasi sempre giustizia dei modelli più deteriori (voglio proprio vedere chi leggerà gli autori del Nouveau Roman o del Gruppo 63 tra cent’anni…).

Altra cosa (oddìo, temo che questa ti farà davvero arrabbiare, me ne scuso fin da adesso): anche i libri di “composizione/scrittura creativa/consigli-per-scrivere-bene/eccetera” risentono del milieu culturale in cui sono maturati.
Una buona parte della letteratura americana del ’900 si conforma ai principi di composizione narrativa formulati da Scott Card e King (e da altri autori prima di loro – uno dei primi ad inaugurare la serie fu William Strunk con ‘The Elements of Style’): il problema è che buona parte della letteratura europea (classica e moderna) non può esservi assimilata, pur condividendone alcune istanze fondamentali (essenzialità, cura nella scelta dei termini, uniformità del POV, rispetto dell’unità di azione). Che facciamo, buttiamo tutto nel cassonetto? :)
Con questo non affermo che la letteratura americana sia degenere, modaiola o quant’altro: ha semplicemente coniato un proprio paradigma di scrittura, esattamente come ha fatto quella europea (e come fa ogni altro tipo di letteratura geograficamente connotabile).

Da segnalare anche che usi tali principi di composizione in modo ambivalente: da una parte vengono eletti a modello univoco per tutta la letteratura, dall’altra invochi la loro referenzialità esclusiva alla ‘letteratura di genere’. Ma non erano ben distinte? ;)

Insomma, certe posizioni forti sarebbero da smorzare un tantino, e quantomeno da contestualizzare.
Nessuno vuole affermare che gli inforigurgiti siano un legittimo strumento letterario, che si possa scrivere senza conoscere la sintassi, che il narratore debba ad ogni costo essere onnisciente o che Troisi/Rocca/Strazzulla sia uno scrittore capace, ma solo che parte di quel ‘dogma universale’ che secondo alcuni presiede alla creazione letteraria dovrebbe essere ridotta a ‘massima compositiva’ ad uso dell’aspirante scrittore, in modo da impedirgli di sperticarsi con strumenti stilistici al di sopra delle sue capacità.
In questo modo si otterrebbe di rimarcare il carattere pragmatico di quelle prescrizioni, piuttosto che esaltarne la loro presunta onnipervasività (la quale, sia detto, non trova riscontro nella storia della letteratura d’autore).

#73 Comment By Gamberetta On 17 febbraio 2009 @ 23:15

@Messer Scorfano. Non ci capiamo. Ribadisco: non stiamo parlando di teoria dell’arte narrativa, stiamo parlando di consigli pratici e facilmente applicabili che permettono più o meno a chiunque di scrivere in maniera scorrevole.
Molto di quello che dici non è sbagliato, ma non è utile. È utile dire: mantieni sempre lo stesso punto di vista in una scena. Meno utile dire: be’, sì, è una buona idea mantenere sempre lo stesso punto di vista, però Tizio lo cambia sempre ed è tanto bravo e in fondo anche Caio, e sappiamo tutti quanto valga Caio!, spesso contraddice questa regola.
E perciò uno cosa deve fare? Continuerà a scrivere come prima, credendo che tanto una cosa vale l’altra. Che se a lui piace e alla mamma piace allora va bene così.
Non va bene così. Io continuo a leggere fantasy italiani (pubblicati e non) molto spesso orribili per la semplice mancanza delle più basilari conoscenze tecniche – peggio, ogni tanto tali conoscenze ci sono ma l’autore crede che lui sia superiore, sia il Tolstoj di turno.
Comincino ad apparire 100 romanzi scritti in maniera standard ma leggibile, poi si potrà discutere di quando è il caso soprassedere rispetto a certe collaudate convenzioni.
Stiamo discutendo appunto di gente del livello di Troisi, Strazzulla, Ghirardi & soci. E questi sono quelli bravi(sic) quelli che comunque sono pubblicati. Dietro non ci sono geni incompresi, troppo spesso c’è gente ancora più scarsa (purtroppo è vero)

#74 Comment By Messer Scorfano On 20 febbraio 2009 @ 23:58

Sugli imbrattacarte nostrani ci intendiamo perfettamente :)
Se il fantasy fosse la storia del cinema noi saremmo a questi livelli:
http://www.youtube.com/watch?v=DpXV4g-kVVc

Le prescrizioni che vengono proposte valgono appunto come ‘massime compositive’, e proprio in tale funzione sono sacrosante nel fornire un buon punto di partenza agli aspiranti scrittori.
Così ci intendiamo ;)

Questione Ghilardi/Strazzu/Troisi:
La peste degli scrittori incapaci è sempre esistita, ma oggi non esiste soltanto un problema di ‘scolarizzazione’ degli esordienti, quanto una grave crisi del ruolo di promozione culturale che le case editrici dovrebbero ricoprire.
Essendo venuta a mancare la griglia di selezione che impediva alla spazzatura di arrivare in sala stampa, è decaduta anche l’impronta esclusiva che gli editori davano alle proprie pubblicazioni: l’attenzione al filone, l’intransigenza critica, la promozione dei migliori autori finalizzata all’accrescimento del gusto consapevole dei lettori.

Sono questi gli effetti del mercato a senso unico, ovvero dominato da una sola realtà imprenditoriale ;) …Sembra proprio che la pluralità della proposta sia un inconveniente per il cosiddetto liberismo (rivoltati nella tomba, Adam Smith).

Più che gli autori italiani è la concezione editoriale italiana ad avere il fiato corto… da lì si ingenera l’effetto domino che impedisce ad una generazione di scrittori di crescere e di migliorarsi. Se manca l’impulso a soddisfare alti standard qualitativi, avremo sempre una letteratura svaccata come quella attuale (e no, non parlo soltanto del fantasy).

Detto questo, spero vivamente che qualcuno cominci davvero a prendere sul serio il messaggio che mandi su questo sito, Gamberetta.
Il miglior impulso che uno scrittore può ricevere oggigiorno proviene dalla propria coscienza e dalla propria capacità di mettersi in discussione… certo mi pare drammatico che debbano essere dei lettori a fare il lavoro dei correttori di bozze.

#75 Comment By Lodi On 31 luglio 2009 @ 10:13

@Gamberetta: Bell’articolo, complimenti, scrivi bene e sono cose che per la maggior parte condivido.

Mi chiedevo: cosa pensi di Harry Potter e della Rowling in generale? La vedi come un genio letterario o semplicemente come una scribacchina fortunata?

Tengo a precisare che non te lo chiedo perché ho letto i suoi libri e sono un suo fan, anzi, dei suoi libri non ho letto che pochi paragrafi e solamente per pura curiosità “tecnica”; pittosto perché in quelli e in altri meno famosi ma considerati in egual modo semi-capolavori fantasy (come ad esempio le cronache di Narnia, di cui, lo stesso, non ho letto che pochi stralci) ho riscontrato l’utilizzo della terza persona onniscente.
Perciò mi domandavo: secondo te è giusto che loro la usino oppure è un errore come lo è per noi passare così bruscamente da un punto di vista all’altro? E allora in questo caso perché, e mi riferisco soprattutto alla Rowling, c’è stato un successo simile?

Ho dato un’occhiata tra le recensioni e non mi è parso di vedere uno qualsiasi dei libri di Harry Potter. Sai, mi piacerebbe parecchio sapere cosa pensi a riguardo. Poiché come detto non ho letto la saga, in effetti non so se nei libri sono presenti altri tipi di errori, anche più gravi, come incongruenze pesanti o “stronzate”. Per questo mi piacerebbe conoscere un tuo parere sul perché di un tale successo e, magari, se non è chiedere troppo, anche leggere una recensione.

Spero di non aver riesumato un articolo troppo datato, ma rispetto ad Haruhi Suzumiya sembrava un posto più adatto dove postare.

Saluti :D

#76 Comment By Gamberetta On 31 luglio 2009 @ 15:25

@Lodi.

Mi chiedevo: cosa pensi di Harry Potter e della Rowling in generale? La vedi come un genio letterario o semplicemente come una scribacchina fortunata?

Ho letto il primo volume di Harry Potter quando avevo 13 o 14 anni, non ricordo più. Ma già allora mi era parso piuttosto infantile, tanto che non ho proseguito con la serie.
Per dare un giudizio sullo stile della Rowling dovrei rileggere il primo volume e leggere i volumi successivi (magari in inglese). Onestamente non ho voglia. Il primo non era brutto, ma personaggi, ambientazione, trama, niente era particolarmente interessante.

Perciò mi domandavo: secondo te è giusto che loro la usino oppure è un errore come lo è per noi passare così bruscamente da un punto di vista all’altro? E allora in questo caso perché, e mi riferisco soprattutto alla Rowling, c’è stato un successo simile?

Come detto più volte: usare un punto di vista onnisciente non è un “errore”, è una scelta legittima. Tuttavia, specie scrivendo fantasy, secondo me non si ha alcun vantaggio e viceversa ci sono molti rischi (diminuzione di verosimiglianza, facilità di scivolare nell’infodump, facilità nella creazione di incongruenze). È come scrivere un racconto tutto al futuro anteriore in terza persona plurale: nessuno te lo vieta, ma perché imbarcarsi in un’impresa così difficile senza alcun guadagno? Lo stesso è per il punto di vista onnisciente: è più difficile da gestire di un punto di vista limitato e di guadagni in un fantasy (escluse varianti comico/parodistiche) non ce ne sono.
Per quanto riguarda il successo è un discorso senza uscita: il successo commerciale non è legato alla qualità del testo. La Meyer non diventa più brava di Swanwick solo perché ha venduto molto di più.

#77 Comment By Nusta On 31 luglio 2009 @ 21:01

La Rowling usa perlopiù quella che nell’articolo è chiamata “terza persona limitata”: il punto di vista è quello di Harry Potter per il 99% dei sette romanzi. Ci sono solo alcuni capitoli (tre o quattro contando l’intera saga) in cui è adottato un altro punto di vista, quello del narratore onnisciente, ed in effetti è un po’ straniante per chi è abituato a stare “sopra la spalla ” di Harry.
Sono capitoli in cui vengono mostrate scene a cui Harry non assiste e di cui resterà all’oscuro per gran parte del romanzo; dato che per ogni libro c’è almeno un mistero da svelare, ciò permette al lettore di avere più informazioni rispetto al protagonista.

Quanto alla storia in sé, non mi pare proprio il genere amato da te, Gamberetta, però ti consiglio di non scartare l’idea di leggerlo in inglese. Tieni anche conto che in ciascun libro Harry cresce di un anno e in proporzione crescono anche la complessità e la drammaticità della storia: non si trasforma certo in Arancia Meccanica, ma sono resi più espliciti alcuni temi, come la vendetta e la crudeltà, la sofferenza e la morte, che nel primo sono solo accennati.

#78 Comment By DelemnO On 1 agosto 2009 @ 11:48

Vero. Gli ultimi 3 (o 4, non mi ricordo) li ho letti direttamente in inglese e meritano. Diventano più complessi sia come tematiche che come avvenimenti, e io personalmente trovo tutta la saga molto coinvolgente. Sì, i primi sembrano infantili, ma secondo me nemmeno la Rowling si aspettava un successo tale, si vede che non v’è un vero e proprio progetto unitario dietro creato fin dal primo libro (un esempio, nel primo il paese dove vivevano i genitori di Harry si chiamava Goldrick’s Hollow, e in seguito per esigenze di trama è diventato Godric’s Hollow..). Considerate le pressioni e le prospettive di guadagno avrebbe potuto scrivere molto peggio gli ultimi 4 libri (o almeno simili ai primi) e sapeva che sarebbero stati comprati lo stesso, invece gli ultimi sono decisamente i migliori.

Nusta ha già detto tutto sul punto di vista ^_^, anche se per me non c’è smarrimento a passare da Harry al Signore Oscuro (mi pare che in quei pochi casi in cui non c’è il punto di vista di Harry ci sia pressochè sempre il suo), è un po’ come quando il lettore sa già che il protagonista è in pericolo e vorrebbe avvertirlo, personalmente non credo stoni poi tanto.

Il successo della Rowling me lo spiego facilmente, molto più di quello della Meyer, che a mio avviso scrive peggio della Troisi delle Cronache.
La Rowling ha saputo creare cose che per la maggior parte del pubblico erano profondamente innovative. Riesce a fare sembrare tutto reale e logico, quel “ma allora i draghi esistono davvero” di cui accennava Gamberetta secondo me qui si realizza, è stata abile ad intersecare mondo babbano e magico, e risulta credibile. Le motivazioni dei personaggi sono credibili, Lord Voldemort non è un supercattivo che vuole comquistare il mondo “perchè sì”, di fatto assomiglia più a Hitler che al Tiranno. C’è il sense of wonder. Non saranno libri perfetti, ma sicuramente migliori di moltissimi altri.

#79 Comment By p.coso On 21 agosto 2009 @ 20:18

Ripesco questo vecchio post nella speranza che qualcuno sazi una mia curiosità: si può scrivere in maniera trasparente usando la prima persona? A me sembra un pò strano visto che il coinvolgimento da parte del narratore è inevitabile.

#80 Comment By Gamberetta On 21 agosto 2009 @ 23:28

@p.coso. Sì, si può essere “trasparenti” anche in prima persona. È più difficile, perché se usi un tono neutrale, “piatto”, in prima persona sembra che a narrare sia un robot, e a quel punto il lettore si chiede perché a narrare ci sia un robot e non sei più trasparente.
Perciò in prima persona bisogna far trasparire almeno un minimo la personalità del narratore (ma inteso come personaggio che racconta la storia, non come autore del romanzo).

#81 Comment By Diarista incostante On 21 agosto 2009 @ 23:46

si può scrivere in maniera trasparente usando la prima persona? A me sembra un pò strano visto che il coinvolgimento da parte del narratore è inevitabile.

Direi di sì, perchè? Che dubbi hai in proposito di preciso?

#82 Pingback By E Ora… MAZZATE! » Blog Archive » Circumluna chiama Texas On 13 settembre 2009 @ 12:11

[...] parlare). Comunque sia, su questa diatriba sono state scritte pagine memorabili, come quelle di Gamberetta cui vi rimandiamo sicuri che le apprezzerete quanto noi, e ci limitiamo a far notare che Fritz [...]

#83 Comment By La mappa definitiva del Giovane Esordiente « Werehare’s Burrow On 8 agosto 2010 @ 16:00

[...] (guarda un po’) consigli su come impostare un dialogo; * Il punto sul fantasy italiano, Riassunto delle puntate precedenti, Scacchi e scrittura, On fairy stories, Educazione e timidezza, Gli scrittori e il troppo Amore, [...]

#84 Comment By Scrittori datevi all’ittica « Vongole & Merluzzi On 11 settembre 2010 @ 15:51

[...] 1. la narrativa fantasy propriamente detta, che affonda le sue radici nell’ottocento, ha sviluppato fino a oggi una serie di filoni o sotto-generi numerosi, ognuno dei quali con una propria caratteristica (qui troviamo un’ottima tabella della suddivisione per generi: mappa [...]

#85 Comment By Unoqualunque On 25 febbraio 2012 @ 11:41

Ciao Gamberetta, stavo rileggendo con molto interesse il tuo schema con la classificazione del fantastico. Mi chiedevo alcune cose:
1) cosa ne pensi del cosiddetto “realismo magico”? Stile “Cent’anni di solitudine” per intenderci…o anche i libri di Borges, Buzzati, e credo di poterci ficcare dentro anche Il lupo della steppa, di Hesse, appena letto
2) è possibile ordinare le tue recensioni in base al voto preso?
3) mi consigli una manciata di OTTIMI titoli Science fantasy (che si avvicinino ad atmosfere cyber-atom-diesel punk con massiccia presenza di filosofia stile Star Wars)? In italiano please…
4) hai mai giocato a FF7? In che genere lo metteresti? molti dicono cyberpunk, ma in effetti mancano molti elementi…alcuni perfino steampunk (la Mako è un po’ come un vapore che muove macchine e tutto ciò che esiste nel mondo), ma onestamente mi pare che manchi tutto il contesto di quel genere…ho azzardato Dieselpunk (essendo che la Mako viene estratta come il petrolio dal Pianeta).. in ogni caso, sto cercando disperatamente libri che ricalchino quel genere e quelle atmosfere

tenkiu

#86 Pingback By Purple prose, beige prose e scrittura trasparente | selviero's blog On 19 ottobre 2014 @ 00:31

[…] di Heingway su paperblog.com – Discussione su TvTropes riguardo purple prose e beige prose – La scrittura trasparente su Gamberi Fantasy – La scrittura trasparente su Il vascello degli scrittori – Depersonalizzazione e […]


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