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Scacchi e Scrittura

Pubblicato da Gamberetta il 13 luglio 2008 @ 23:22 in Insalata di Mare,Scrittura,Videogiochi | 76 Comments

Nell’articolo Riassunto delle Puntate Precedenti, ho parlato di scrittura “trasparente” e ho fatto altre considerazioni riguardo la narrativa. Dai commenti mi sono resa conto che forse non mi sono spiegata abbastanza bene, perciò riprendo l’argomento con un paragone che mi pare significativo.

Scacchi

Penso che il gioco sia noto a tutti, comunque per lo scopo di quest’articolo non è necessario saper giocare (non che sia difficile, si può imparare il regolamento in un quarto d’ora).

Quadro di scacchi
Lajos Ludwig Bruck: The Chess Game

Gli scacchi sono un gioco di strategia a turni, il cui scopo è riuscire a disporre i propri pezzi in una particolare posizione rispetto ai pezzi avversari, tale posizione, detta “scacco matto”, assicura la vittoria al giocatore che la raggiunge per primo.
I giocatori di scacchi nel mondo sono decine di milioni, e le origini del gioco si perdono nella notte dei tempi. Se una delle attività umane più antiche e caratteristiche è la narrativa, gli scacchi non sono da meno. Un confronto tra giocare a scacchi e scrivere (e leggere) narrativa penso possa rivelarsi interessante.

Le origini leggendarie del gioco

Le origini del gioco degli scacchi sono ignote. Alcuni riferimenti in documenti antichissimi fanno ritenere che in India si giocasse una variante degli scacchi fin dal 3.000 a.C. Ci sono prove storiche del gioco a partire almeno dal 600 d.C.

Una celebre leggenda attribuisce l’invenzione degli scacchi a un misterioso personaggio chiamato Sissa (o Sessa).
C’era una volta un Re. Questo Re aveva appena perso l’unico figlio in battaglia, peggio, l’aveva sacrificato pur di vincere la battaglia.
Il Re è disperato, e ogni giorno non fa altro che ripensare alla battaglia. Si chiede se non avrebbe potuto salvare il figlio e lo stesso vincere. È sempre più depresso e abbattuto, finché non si presenta il signor Sissa, promettendo di svelare un metodo con il quale il Re potrà studiare la battaglia e chiarire l’atroce dubbio.
Sissa insegna al Re un gioco di sua invenzione: gli scacchi.
In un’altra versione della leggenda il Re è solo annoiato a morte e Sissa si presenta millantando questo nuovo gioco come il non plus ultra del divertimento.

Il signor Sissa
Il signor Sissa visto dall’artista brasiliano Thiago Cruz

Il Re impara a giocare a scacchi e ricostruita la battaglia si rende conto che in effetti non c’erano altre soluzioni: il figlio doveva proprio sacrificarlo. È ancora depresso, ma almeno ha l’animo in pace.
Nell’altra versione il Re impara a giocare e si diverte come un matto.

Comunque sia, il Re è più che soddisfatto del signor Sissa e pensa di premiarlo. Chiede al Sissa di dirgli cosa vuole, qualunque cosa, e gli sarà data. Donne, gioielli, potere, un viaggio a Disney World, l’opera omnia della Troisi rilegata in pelle umana, l’iPhone, qualunque cosa, il signor Sissa deve solo chiedere.
Il signor Sissa, che pare fosse un matematico, chiede al Re che gli venga consegnato del grano. Per la precisione lui vuole che sia posto un chicco di grano sulla prima casella della scacchiera, due chicchi sulla seconda, quattro chicchi sulla terza, otto sulla quarta e così via, fino all’ultima casella, la sessantaquattresima (come noto gli scacchi si giocano su una scacchiera di 8 x 8 caselle).
Il Re ci pensa un po’ su, chiede ai suoi consiglieri quale sia il prezzo dell’iPhone e alla fine gli si illuminano gli occhi: se la caverà con una manciata di grano!

Si aprono i granai reali e si cominciano a disporre i chicchi. Ben presto appare chiaro che il Re ha clamorosamente sbagliato i conti: Sissa ha chiesto una quantità di grano astronomica. Infatti la cifra totale è 2 elevato alla 64 meno 1, ovvero: 18.446.744.073.709.551.615 chicchi di grano! Se l’intera Terra fosse ricoperta di campi di grano, ci vorrebbero 80 raccolti per mettere assieme quella quantità.

I granai reali si svuotano, e ancora le caselle da riempire sono tantissime, a questo punto…
I finali della leggenda sono molti. Un finale è particolarmente benigno: il Re, impressionato dalla furbizia del signor Sissa, lo nomina erede al trono, al posto del figlio schiattato. Qui Sissa è identificato come il Re persiano Sassa, che regnò dal 632 al 672.
In un’altra versione il Re si accorda con Sissa per il premio di consolazione e gli regala l’iPhone (lo nomina governatore di una provincia in testi più antichi).
Secondo altri autori il Re la prende meno bene: svuotati i granai decide di risolvere il problema alla radice, condannando a morte Sissa.
In un’altra versione ancora il Re si dimostra una vera carogna: obbliga Sissa a contare ogni singolo chicco di grano, perché non sia mai che qualcuno dubiti dell’onestà del Sovrano!

Come per il gioco stesso, è difficile individuare le origini della leggenda. Ne parlano autori arabi del XII e XIII secolo, ma facendo cenno a fonti più antiche. L’idea che la storia nasca con un vero Re persiano intorno al 600 d.C. si scontra con il fatto che la serie numerica in oggetto era già nota da secoli, e dunque appare inverosimile che Re e consiglieri sbaglino in maniera così grossolana i calcoli.
In ogni caso divenne una leggenda molto popolare nel medioevo, in Oriente ma anche in Europa:
«ed eran tante, che ‘l numero loro più che ‘l doppiar delli scacchi s’immilla» scrive Dante nel Paradiso, per indicare il numero di angeli nelle sfere celesti, e il richiamo è appunto la vicenda del signor Sissa.

In superficie

Quattro immagini:

Marostica
Marostica: partita con pezzi “viventi”

Videogioco
Uno screenshot da Chessmaster Grandmaster Edition

Scacchi d'oro
Pezzi in oro e diamanti

Trascrizione
Trascrizione di una partita

Le immagini rappresentano tutte e quattro una partita a scacchi. Abbiamo, dall’alto in basso: i famosi scacchi “viventi” di Marostica, dove ogni anno dal 1954 viene rievocata in questo modo folcloristico una famosa partita svoltasi 400 anni prima; lo screenshot di un videogioco dove i pezzi sono animati e hanno l’aspetto di coniglietti stralunati; pezzi e scacchiera d’oro e diamanti pensati per il piacere dei ricconi e infine la trascrizione di una partita, un giocatore con un minimo di esperienza non ha problemi a seguire le mosse indicate e a immaginarsi lo svolgersi del gioco senza nessuna scacchiera fisica davanti.
Quattro rappresentazioni diverse, sono sempre scacchi. Non cambia molto, in effetti non cambia niente se si usano pezzi d’oro o coniglietti o solo lettere e numeri. Il gioco è lo stesso, l’emozione è la stessa.
Mettiamo ora di conoscere una persona che si dichiara giocatore appassionato. La invitiamo a sedersi al nostro tavolo e le proponiamo una partita. La persona storce il naso e allontana da sé la scacchiera: «No, io non posso giocare con scacchi di plastica, se non ci sono coniglietti animati stralunati per me non c’è piacere negli scacchi!»
Siamo sicuri che continueremmo a considerare quella persona “scacchista appassionato”? O non penseremmo piuttosto che si comporta come un bambino capriccioso e un po’ stupido?
Potremmo concordare che anche noi preferiremmo invece degli scacchi di plastica da pochi euro i coniglietti animati stralunati, ma questo non ci impedisce di goderci il gioco.
Il paragone con i libri mi sembra ovvio: non cambia niente se una storia è stata miniata a mano su pergamena, stampata in digitale, riprodotta su schermo o letta ad alta voce. Ognuno avrà le proprie preferenze, ma è assurdo rifiutare una storia perché la cornice non si adatta ai propri capricci. Tanto assurdo che sorge il sospetto che forse si sta leggendo per tutte le ragioni sbagliate.
Non è che il presunto “piacere della carta” sia dovuto alle sostanze tossiche presenti nelle rilegature? Dietro la passione per la letteratura ci sarebbe solo il desiderio di sniffare colla…

Siamo seri!

Sopra un po’ scherzavo, la questione importate è più profonda:

Posizione faccina
Pezzi degli scacchi disposti a guisa di faccina sorridente :)

L'Immortale
Posizione finale della partita detta “L’Immortale”

Due posizioni sulla scacchiera. La prima è… be’ è una faccina sorridente, la seconda è la posizione finale di una celeberrima partita, giocata il 21 giugno 1851 a Londra fra Anderssen e Kieseritzky, partita detta L’Immortale.
Quale delle due posizioni, delle due “rappresentazioni” è più bella? emozionante? interessante? coinvolgente? Per chi sa giocare a scacchi non vi è dubbio la seconda; L’Immortale non ha questo nome a caso: è una partita piena di genio e brillantezza, un’opera d’arte. Ma per le persone che non sanno giocare? Be’, penso più di uno rivolgerebbe la propria attenzione alla faccina sorridente. In fondo quella è una faccina sorridente, è “carina”, sotto invece ci sono solo pezzi messi a caso.

Tuttavia le due valutazioni non sono sullo stesso piano. La faccina è appunto solo carina, lascia il tempo che trova, non può certo competere con un vero dipinto, non credo susciti alcuna particolare emozione. L’Immortale invece mette i brividi. L’Immortale è una storia, una narrazione, è come assistere allo scontro fra Napoleone e il Duca di Wellington a Waterloo. In altre parole la bellezza della seconda posizione non è nella disposizione dei pezzi in sé, ma in quello che significano.
Lo stesso, né più né meno vale per la scrittura. Il piacere che nasce dalla disposizione delle parole in sé, dal “bello stile”, è vacuo, effimero, non può assolutamente competere con l’emozione che scaturisce dal significato delle parole.
Avrei potuto forse disporre i pezzi della faccina in maniera diversa, migliore, più attenta, e la faccina sarebbe risultata un tantino più carina. Ma ne sarebbe valsa la pena? No. Per quanto possa rendere carina la faccina, rimane sempre e solo una stupida faccina, non riuscirà mai a trascendere oltre, perché non c’è nient’altro oltre, non c’è alcun significato.
Si possono limare e ricamare le parole finché si vuole, e non c’è dubbio che questo possa migliorare la qualità di uno scritto, ma è un miglioramento minimo, superficiale, non è lì l’emozione, non è lì il significato, non è quello lo scopo della narrativa.

Ma non si potrebbe combinare il bello stile con il significato? La faccina non potrebbe essere bella in sé e in più essere la posizione in una partita? E la risposta è NO. Certo, in linea del tutto teorica, una posizione potrebbe essere sia esteticamente bella sia significativa per il gioco, ma la probabilità è microscopica. Soprattutto, tale posizione sarebbe frutto del caso, perché nessun giocatore che muove in base a canoni estetici arriva molto in là nel gioco.
Quando diciamo che un giocatore gioca “bene” non ci riferiamo alla sua abilità nel creare diorami sulla scacchiera, bensì alla sua capacità di vincere le partite; “bene” vuol dire “efficace”. Così è quando parlo di “bene” riferito alla narrativa: è la capacità di riuscire a comunicare in maniera efficace una storia al lettore, indipendentemente dall’uso delle parole in sé.
Accostando gli scacchi alla narrativa credo appaia anche chiaro perché lo stile necessita di essere trasparente. Immaginiamo un giocatore che invece di cercare di vincere le partite a ogni mossa tenti un qualche accostamento “artistico”: mettere tutti i pedoni in diagonale, i cavalli vicini stretti agli alfieri, Re e Regina a braccetto… non sarebbe considerato un giocatore ma un buffone. Lo scrittore che attira sul suo stile l’attenzione, che trasforma il mezzo in un fine, è altrettanto buffone.

Avere uno stile “efficace”, ovvero “trasparente”, non significa non avere stile. Quello è l’obbiettivo. Negli scacchi, data una certa posizione, esiste per uno dei due giocatori almeno una sequenza definita di mosse che porta alla vittoria (o alla patta). Lo stile migliore è quello che sempre riesce a trovare questa sequenza. Ma questo stile ipotetico non è appunto uno stile, non è una scelta alla quale se ne può contrapporre un’altra, è il modo perfetto di giocare, è univoco.
Gli esseri umani non sono in grado di raggiungere tale stile, non hanno la necessaria capacità di calcolo. Perciò negli scacchi esistono molti stili diversi, ma nessuno di questi implica disegnare faccine, lo scopo è sempre approssimare lo stile perfetto.

BESM-6
Un BESM-6, un computer sovietico degli anni ’60. Su un antenato del BESM-6, nel 1958 venne sviluppato il primo programma in grado di giocare a scacchi. È possibile, sebbene appaia improbabile, che in un futuro prossimo i calcolatori riusciranno a raggiungere la perfezione nel gioco degli scacchi

Veniamo alla narrativa. Lo stile perfetto (o non stile) nella narrativa è quello totalmente trasparente. Uno scrittore è stato su Marte (davvero o con la fantasia), e decide di raccontare quest’esperienza al lettore: lo scopo è far sì che il lettore si trovi anche lui su Marte, che l’esperienza di autore e lettore coincida. Le parole devono sparire, e le menti delle due persone coinvolte devono sovrapporsi. Gli occhi dell’autore che ammirano il marziano devono essere gli stessi occhi del lettore.
Come nel caso degli scacchi, almeno finora non si è ancora giunti a capire come realizzare questo modo ideale di narrare. Per questo ci sono stili diversi nella narrativa, ma gli stili che disegnano faccine sono altrettanto assurdi e da buffoni.

Ma io non voglio imparare a giocare a scacchi! Mi accontento di guardare le faccine, mi diverto così… Questo è un atteggiamento legittimo, ma che io trovo molto triste. Come ricordato non ci vuole più di un quarto d’ora per imparare a giocare, e ci vuole ancor meno tempo per la narrativa. In effetti riguardo la lettura non si deve imparare niente, ci si deve solo mettere nella giusta predisposizione d’animo. La giusta predisposizione d’animo prevede il voler calarsi nella storia. Si deve voler andare su Marte!
Eppure tantissime persone, forse addirittura la maggior parte di chi ha l’hobby della lettura, si rifiutano. Posti davanti all’alternativa: andare su Marte o sentire qualcuno che ti racconta che è andato su Marte, scelgono la seconda.
E io chiedo a costoro: se non volete andare su Marte, cosa diavolo leggete narrativa a fare? È da bambini stupidotti pasticciare con i pezzi della scacchiera, l’emozione e il divertimento stanno nell’affrontare il gioco. Certo non sempre sarà divertente e le emozioni coinvolte non sempre saranno piacevoli, per esempio più spesso che non una sconfitta è condita con rabbia e frustrazione, tuttavia non credo ci sia paragone tra il giocare e il disegnare o “ammirare” faccine dal sorriso ebete.
Al lettore di literary fiction spesso piace darsi arie. Lui legge Letteratura con la L maiuscola, Arte con la A maiuscola, si compiace di perder tempo con Opere che mischiano in un unico pastrugno mezzo e fine, parole e loro significato. In realtà è come il tizio che non riesce ad andare oltre una faccina sorridente, non saprà mai quanto è molto più travolgente L’Immortale. Lo scrittore di literary fiction poi non lo prendo neanche in considerazione, è nient’altro che un buffone (so benissimo di aver appena dato del buffone a chissà quanti presunti Geni Riconosciuti della Letteratura, fatti loro!)

Lo specchio della Realtà

Ora vediamo quest’altra posizione:

Posizione nero
Nessuno vuole bene al pedone nero!

Qui non c’è né la carineria della faccina, né il significato di una posizione di gioco. Perciò sarebbe una composizione da buttare senza pensarci sopra due volte… ma se dicessi che questo non è ciò che sembra, bensì è una metafora, un’allegoria? Qui abbiamo, nero su bianco chikas_pink55.gif , un’allegoria del razzismo! Guardatelo lì il povero pedone nero, circondato dagli sprezzanti pezzi bianchi! Questa posizione è una posizione importante, dice qualcosa riguardo i problemi del nostro tempo, comunica un fondamentale messaggio!
Un’altra perversione è appunto questa: quella di considerare la narrativa secondaria alla Realtà, tanto che la narrativa stessa acquisirebbe importanza divenendo specchio, metafora, interpretazione della Realtà.
Ma non è così. La narrativa è ben più potente, la narrativa crea la Realtà!
Così come gli scacchi. Gli scacchi esistono da millenni e sono passati attraverso ogni genere di sconvolgimento sociale, tecnologico, filosofico, religioso e quant’altro. Questo perché una partita di scacchi non è una simulazione di guerra, una partita di scacchi è una “guerra” in sé. Gli scacchi non sono imitazione della Realtà, non sono la versione da salotto di una campagna militare, non hanno bisogno di appoggi, sono una Realtà, o almeno una scheggia di Realtà, per se stessi. Le idee alla base del gioco sono geniali in sé, non in relazione ad altro.
La storia di Ulisse che acceca Polifemo può essere interpretata in mille modi diversi, ma non deve il suo significato all’interpretazione, ma alla vicenda in sé. È eterna perché ha generato una Realtà a se stante, lontanissima da qualunque considerazione sui problemi del nostro tempo (di qualunque tempo).
Al massimo, ogni tanto, la Realtà riesce a tener dietro alla narrativa. Quando Verne ha scritto Dalla Terra alla Luna, in effetti avevamo già raggiunto la Luna, ben prima di Neil Armstrong. Se Verne avesse posseduto lo stile ideale di cui si parla sopra, l’esperienza sarebbe stata perfetta, identica al vero viaggio.

Copertina di Dalla Terra alla Luna
Copertina di Dalla Terra alla Luna

La narrativa non ha bisogno d’imitare la Realtà, può farlo, ma questo non è un merito, è un altro pasticciare da bambini stupidotti, è ancora un rifiuto del gioco per disegnare invece faccine carine. La narrativa deve ampliare la Realtà, generare nuove Realtà, allargare i confini dell’immaginazione della nostra specie.
Nessuno mi vieta di scrivere un saggio sul problema del razzismo nell’Europa del XXI secolo, e ne può venire un ottimo saggio, ma non sarà buona narrativa. La narrativa che si ferma a rielaborare la Realtà, senza andare oltre, senza aggiungere altro, è solo una perdita di tempo.
Ci sono autori che si compiacciono d’immergere le loro opere in un bagno di Angosciosi Problemi del Nostro Tempo; costoro credono che così facendo le loro opere di narrativa acquistino significato, invece succede l’opposto, ne vengono svilite. Questi autori rientrano anche loro nel calderone dei buffoni (e così avrò dato del buffone a qualche altro Genio, be’, peggio per lui!)

Errori da evitare parlando di scacchi

Mio padre è appassionato di scacchi, da giovane ha anche partecipato a varie competizioni, quando avevo otto anni mi ha insegnato a giocare. Me la cavo abbastanza, ho un po’ lasciato perdere quando ho capito che per migliorare ulteriormente avrei dovuto cominciare a studiare sul serio.
Infatti anche negli scacchi nessuno nasce “imparato”. Spesso si parla di bambini prodigio riguardo gli scacchi, e ancora più spesso se ne parla a vanvera. Per esempio è citato spessissimo il da poco scomparso Bobby Fischer, divenuto Campione di Scacchi degli Stati Uniti all’età di 14 anni. Quello che si trascura di raccontare è che Fischer si allenava dall’età di 6 anni, frequentava uno dei circoli scacchistici più prestigiosi del mondo e come istruttori ha avuto due Gran Maestri. E non basta. Se non si passano ore e ore e ore a imparare, per dirne una, le tecniche d’apertura, non c’è genio che tenga.

Bobby Fischer
Bobby Fischer (a destra) diventerà Campione del Mondo nel 1972, battendo il russo Boris Spassky

Dunque non sono una gran giocatrice, tuttavia ne capisco abbastanza da imbizzarrirmi quando scrittori e registi inseriscono scene di scacchi nelle loro opere, senza sapere di quel che stanno parlando.

Alcuni degli errori più comuni:

Icona scacchi Partite che terminano con lo “scacco matto”. Oh, bella! Ma non dovrebbe proprio finire così una partita di scacchi? Sì, in teoria, in pratica non è un finale così diffuso. Più spesso che non i giocatori, specie se esperti (e nei romanzi chi gioca a scacchi è sempre un intelligentone gran campione), abbandonano. Sarebbe solo una perdita di tempo andare avanti fino allo scacco matto. Di più, è estraneo alla moderna etica del gioco il voler combattere fino alla fine. La scelta dignitosa è, quando la situazione appare compromessa, abbandonare.
Decidere di continuare o abbandonare potrebbe perciò essere un’interessante scelta riguardo la caratterizzazione di un personaggio, se lo scrittore conoscesse l’argomento…

Icona scacchi Partite che terminano con lo “scacco matto” e il giocatore che perde è sorpreso. Assurdo. Anche principianti che hanno imparato da mezza giornata riescono a vedere con una o due mosse d’anticipo lo scacco matto. Al massimo saranno delusi o arrabbiati, non certo sorpresi. Questo vale anche quando invece dello scacco matto si parla della cattura di un pezzo importante. Nessuno rimane “sorpreso” di perdere la Regina. Inoltre se è una partita amichevole e uno dei due contendenti commette l’errore marchiano di lasciare la Regina in balia dell’avversario, l’avversario non si butta a pesce (a meno che non abbia 5 anni) bensì segnala lo sbaglio in modo che si possa rifare la mossa e la partita possa mantenersi interessante.

Icona scacchi Gente che grida “scacco!” come se stesse vincendo. Lo “scacco”è quando il Re avversario è minacciato da un nostro pezzo. Di per sé non indica una posizione di vantaggio né che la vittoria sia prossima. Ovviamente può essere un tal tipo di indicatore, ma come può esserlo una qualunque altra mossa. Scalmanarsi per uno “scacco” è un’assurdità.

Icona scacchi La cattura en passant, l’arrocco o la promozione come mosse geniali. Queste mosse sono normalissime, non sono mosse “segrete”(sic) né particolarmente brillanti in sé. Il fatto che magari non vengano insegnate nei primi 10 minuti di studio del gioco, non le rende mirabolanti…

Queste sono le brutture più comuni. Poi, a essere pignole, in un romanzo storico o d’ambientazione storica bisognerebbe tener conto che il regolamento è cambiato nel corso dei secoli; non solo, spesso questi cambiamenti non sono stati recepiti dovunque allo stesso tempo. La cosa è significativa riguardo l’Italia, perché in Italia fino al torneo nazionale di Milano del 1881 si è giocato con alcune regole autoctone ignorate nel resto del mondo.
Per rendersi conto della peculiarità italiana, basti ricordare la strenua lotta del Carrera contro l’arrocco da svolgersi in una sola mossa, da lui definito: «un mostro con due teste» (quest’ultima frase l’ho messa solo per guadagnare uno skill point in Citazioni Dotte Level Up!), oppure ancora la contrapposizione fra scuola italiana e scuola francese sempre riguardo l’arrocco, in particolare le possibili posizioni di Re e Torre.

Gamberetta, skusa se t’interrompo, ma nn vorrei aver kapito male: qui sembra quasi ke tu stia dicendo ke x skrivere 1 paginetta cn 2 ke giokano a skakki, io debba imparare a giokare?!?!!!
Esatto! Hai proprio colto il senso del mio discorso!

Ma è assurdo! Io nn voglio sapere niente d skakki, e armature e frecce, e spade e duelli e tattika e cavalleria e vita medievale, e biologia e botanika e metallurgia, io voglio skrivere fantasi!!!
. . .

Un’ultima curiosità per chi vuole scrivere fantasy, magari in maniera un po’ più seria rispetto alla mia misteriosa interlocutrice: gli scacchi fatati (fairy chess) esistono davvero! Sono quegli scacchi giocati su scacchiere non regolamentari e/o con pezzi eterodossi. Alcuni di questi pezzi sono per esempio l’Amazzone e il Grifone, il Dabbaba e l’Unicorno. Stranamente, non ci sono fate o fatine negli scacchi fatati.

Un quadro d'argomento scacchistico
David McKee: The Chess Match


Approfondimenti:

bandiera IT Gli Scacchi su Wikipedia
bandiera IT La leggenda sull’origine degli scacchi e Dante
bandiera IT Informazioni sulla partita di Marostica
bandiera EN L’Immortale
bandiera IT Dalla Terra alla Luna su Wikipedia
bandiera IT Bobby Fischer su Wikipedia
bandiera IT Pietro Carrera su wikipedia

 


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76 Comments To "Scacchi e Scrittura"

#1 Comment By Simone Spinozzi On 14 luglio 2008 @ 01:54

uhm… parzialmente interessante. Piu’ che altro mi pare un tuo sfogo verso tutti quelli che spesso rompono il ciaduezetao. Vorrei quindi capire le tue idee nei confronti di un paio di casi:

———————–

Primo caso: Cosa ne pensi di coloro che partono da una situazione plausibile o “reale” e poi iniziano a mostrare le incongruenze inventandosi passo passo le spiegazioni riguardando sempre tutto per mantenere la coerenza?

Ovvero: i racconti di realta’ parallela.

Si parte da una realta’ e si tentano di mostrarne le similitudini e le anormalita’. In effetti si tratta di immani pippe mentali dell’autore. Spesso chi legge pensa dapprincipio “quanto ci mettera’ l’autore prima di tradirsi/contraddirsi?” e solo in seguito riesce ad immergersi nella storia.

Robe tipo invasioni aliene o racconti basati sulla scoperta di mascherate o altri simili cliche’ delle storie di fantascienza o fantasy sono in effetti pesantemente basate sulle “realta’ parallele”. Si passa spesso molto tempo a far vedere l’influenza dell’infiltrazione aliena sulla normalita’, o come facciano i cosi fantasy di turno a mantenere il VELO (o la mascherata o quello che volete).

In pratica pero’ sono esercizi di “normalita’” in ambienti che dovrebbero essere fittizi, e vorrei capire la tua opinione in questi frangenti. Quindi, come li consideri? Dopotutto discorsi tipo razzismo, ed altri elementi dei tuoi discorsi sono spesso gli elementi di partenza di quei racconti.

Da quello che ho capito finora e dal discorso fatto sopra pero’ lasci intendere che a priori dovrebbero essere delle “non-boiate”; di fatto richiedono se non altro il triplo dell’impegno per essere scritti senza rompere la sospensione dell’incredulita’.

Corollario: Tuttavia capita spesso di leggere boiate immani tipo il classico esempio: “il camionista scelse la senza piombo per risparmiare sul suo prossimo viaggio, pur se avrebbe perso leggermente in potenza, ultimamente stava rasciando il fondo con i suoi viaggi e non poteva proprio permetterselo. Sarebbe stata dura il mese prossimo. Era quasi come fare un mutuo: ne avrebbe pagato le conseguenze in seguito.” Magari non saltano immediatamente all’occhio, ma chiunque abbia un minimo di conoscenze se ne rende immediatamente conto: di camion a benzina non se ne e’ mai sentito parlare perche’ non convengono. Il ragionamento a seguito non sarebbe sbagliato ma la stronzata ormai e’ fatta.

Questo per il solito problema degli autori che non sono onniscienti, li’ la colpa andrebbe all’autore (che ha fatto una madronale svista) o all’editore (che non gliel’ha fatta notare)?

———————

Altra ipostesi: volevo imparare qualcosa di piu’ riguardo i carabinieri, dato che per scrivere fantasy volevo basare su qualcosa di plausibile le scelte, decisioni o tattiche di un gruppo di guardie ed i carabinieri si approssimano molto a delle guardie essendo militari ma con funzioni di vigilanza su civili ho poi scoperto che:

- dato che ci potrebbe essere una fuga devo chiedere informazioni direttamente alla sede centrale a roma
- dopo tale richiesta mi hanno detto di mandargli direttamente il libro gia’ scritto e col contratto editoriale firmato e loro controlleranno se non ho rotto alcun segreto.

Qui mi sono grattato la testa.

Nonostante avessi gia’ spiegato di non far parte dei carabinieri di star cercando informazioni >per scrivere< il libro mi hanno detto di presentare gia’ il lavoro fatto da revisionare?!

Sinceramente credo che sia per cose simili che i carabinieri si vedono tonnellate di barzellette scritte contro.

Ora sto mettendomi in contatto con un generale in pensione che vive qui vicino per cercare un approccio di similitudine e tentare di descrivere la vita delle guardie partendo dalla vita vissuta da un ufficiale dell’esercito terrestre ed immaginandomi poi il collegamento mancante ovvero il rapporto tra i militari ed i civili.

Un lavoro simile lo considereresti “con tracce di buffoneria” o direttamente una “buffoneria”? Ovvero arrendersi ed andare per “la migliore approssimazione a portata di mano” e’ da buffoni?

#2 Comment By Leekanh On 14 luglio 2008 @ 02:29

Articolo molto molto interessante, al solito!
Il paragone è decisamente particolare (forse azzardato?) ma in effetti è calzante.

Concordo con quanto detto, e l’ho sempre sostenuto, in effetti, che la storia è molto ma molto più importante dello stile. O meglio, è necessario un registro linguistico funzionale per essere compresi, e poi basta! Bisogna dare in pasto al libro le idee! Non incartarsi su come rendere pregevole dal punto di vista artistico l’opera, l’importante è che si capisca bene e che sia chiaro. Se l’opera non è chiara è inutile scrivere.
Certo poi esistono varianti, magari voglio che un passaggio sia poco chiaro (dal punto di vista del senso generale, non grammaticale ovviamente) per trasmettere al meglio lo smarrimento del personaggio, ma sono le eccezioni ed andrebbero dosate.
Un libro scritto senza la vocale “e” è di sicuro un esercizio di scrittura divertente e coinvolgente, e dimostra un ottima conoscenza della lingua… Tuttavia non può certo essere una perla della narrativa, è semplicemente una curiosità simpatica da vedere, un po’ come le scimmiette di mare! Ma accettereste una scimmia di mare al governo? (ok, che certi tipi lassù abbiano effettivamente la stessa validità di una scimmia di mare è un altro discorso, ma questo è l’esempio migliore che mi veniva in mente!).

Pensavo però che la totale assenza di stile è impossibile, come già detto appunto da Gamberetta, perché giustamente siamo umani, e non abbiamo accesso a La Scrittura per eccellenza, la maniera esatta ed univoca per scrivere, possiamo solo limitarci a fissare uno scopo e raggiungerlo. Se il nostro scopo dichiarato è scrivere un romanzo senza la vocale “e” è ok, fantastico, buona fortuna! Se lo scopo dichiarato è scrivere narrativa la faccenda è altra… E non mi si può spacciare il romanzo scritto senza la vocale “e” come narrativa fantasy solo perchè ha una storia (campata per aria) e ci sono gli elfi!
Tuttavia non credo sia possibile nemmeno la totale assenza dello “specchio della realtà”, o meglio, un romanzo fantastico non acquista importanza e valore solo perché rappresenta la nostra realtà in chiave fantasy (un pò come Pratchett, anche se lui sfrutta il fantasy per fare satira) quello è semplicemente un mezzo, ma non il fine.
Alla fin fine chiunque scriva ha il suo background e le sue idee, e nel momento stesso in cui scrive una frase invece che un altra ha espresso una parte di se, c’è un motivo preciso per cui ha scelto quella parola invece che un altra, magari anche semplicemente perché non gli piace la vocale “e” e se può scegliere preferisce metterne poche. Al lettore questo dovrebbe poco importare, in realtà, però a livello subconscio sono tutte cose che recepiamo, tutti frammenti della mente dello scrittore, e credo che una delle cose affascinanti dei libri sia proprio questa.
Oltre all’inconscio, che poi alla fine poco ci tange (magari devo proprio sviscerare un romanzo pezzo per pezzo e perderci mesi e mesi per capire che, in linea di massima, allo scrittore la “e” sta un po’ sulle balle, e anche allora poco cambia, se lo scrittore riesce a trascinarmi facendo un uso parco della “e” meglio per lui!) la scrittura volente o nolente ci trasmette determinate idee dell’autore… Se l’autore fa scontrare i buoni-belli contro gli cattivi-brutti vuole dirci una cosa, se l’autore ci presenta gli elfi belli che vogliono uccidere gli orchi solo perché sono brutti, ma in realtà gli orchi sono un popolo tranquillissimo che non fa male a nessuno e che considerano gli orche delle gran belle donne e le elfe degli stecchini rivoltanti, la situazione cambia drasticamente…
Ora, il punto non è che una versione è peggiore dell’altra, anche se la prima è banale, trita e ritrita e anche un filino senza capo ne coda ci si può fare qualcosa di passabile, con l’impegno, basta che la storia sia valida. La seconda ha le stesse potenzialità, anzi anche maggiori, perché non è un background trattato così spesso (in genere per qualche oscuro motivo gli orchi trovano le donne delle altre razze molto attraenti, per motivi ignoti ai più). Tuttavia non è il fatto che possa presentare un argomento di riflessione a fare di un romanzo un grande romanzo, oltre a questo ci vuole una storia solida! Devo avere qualcosa da agguantare, se tutta la storia verte solo ed unicamente sulla presentazione della situazione tra orchi ed elfi in modo che rappresenti la nostra realtà beh… Ha lo stesso valore che prendere un centinaio di persone, mascherarle in maniera eccentrica ed osservarle compiaciuti… In ogni caso, non è buona narrativa.

PS: Perdonatemi se i concetti non sono chiari ma l’ora è quel che è! Se qualcosa sfugge o non si capisce fatemelo notare @_@
PPS: W i coniglietti schizzati!

#3 Comment By Emmenems On 14 luglio 2008 @ 04:27

>Infatti la cifra totale è 2 elevato alla 64 meno 1,ovvero:
>18.446.744.073.709.551.615

sei sicura del calcolo ? ^_^

#4 Comment By Matteo On 14 luglio 2008 @ 09:47

Molto interessante. Come del resto lo è tutto il blog. Ti seguo da poco, ma ho già preso l’abitudine di controllare eventuali aggiornamenti di gamberi ogni volta che mi collego. Comunque, volevo solo farti i complimenti per l’ottimo lavoro che svolgi e per come scrivi.
Per quanto riguarda l’argomento in questione, volevo segnalarti un libro: “La tavola fiamminga”, di Arturo Perez-Reverte. Credo che un appassionato di scacchi, o anche solo di buone letture, non debba lasciarselo sfuggire.

#5 Comment By Lo Sparviero On 14 luglio 2008 @ 10:04

Gamberetta: Povero pedone nero! Questo evidenzia i problemi della nostra società ancora ben lontana dal raggiungere la pefezione… sob :’(
Quella particolare situazione, poi, è proprio un esempio concreto di dove possa arrivare la discriminazione nei confronti delle persone che riteniamo “diverse” da noi.
E poi il fatto che i bianchi debbano muovere sempre per primi? Questo sì che è razzismo incarnato! Ed allo stato puro! Scandaloso!!
Parto per tre giorni in campeggio!^^
Buone vacanze anche a te, ovviamente.
Ciao! ;)

#6 Comment By mhrrr On 14 luglio 2008 @ 12:06

al solito, siamo d’accordo.
ma come al solito c’è qualcosa che non mi convince. quando dici:

La narrativa non ha bisogno d’imitare la Realtà, può farlo, ma questo non è un merito, è un altro pasticciare da bambini stupidotti, è ancora un rifiuto del gioco per disegnare invece faccine carine. La narrativa deve ampliare la Realtà, generare nuove Realtà, allargare i confini dell’immaginazione della nostra specie

be’, mi pare una ingiustificata limitazione della narrativa: a me certa letteratura non piace, ma se volessi leggere qualcosa che assomiglia alla vita vera, senza spade, alieni, fratture spaziotemporali, draghi o quant’altro, perché dovrei ritenere questa una lettura di serie b o c o z? rimini, di tondelli, è un libro leggero, privo di effetti speciali, ma semplicemente bello da leggere (anche se non è uno dei suoi capolavori). non amplia la realtà, ma amplia la mia esperienza di questa realtà raccontandomi una storia che non ho vissuto. dello stesso autore, camere separate (che è una storia d’amore) è anche scritto con uno stile complesso, lento, denso, anche se si sottrae in parte al tuo discorso perché risulta dopo poche pagine immersivo. il punto rimane: perché qualcosa che non amplia la realtà è narrativa meno buona? mi pare più grave l’ampliamento fittizio: fantasie da teenager calate in un mondo fantasy.

ma forse ti ho fraintesa (ed era un post di ri-spiegazione! come ci si sente ad essere letti da imbecilli? :DD )

(lo so, lo so: non ho nulla da ridere…)

#7 Comment By Osservatore Cosmico On 14 luglio 2008 @ 12:11

Io non sono d’accordo con la questione sull’irrisolvibile, a tuo parere, dicotomia tra bello stile e significato. Paragonare la letteratura agli scacchi mi sembra un po’ fuori luogo, da una parte c’è un gioco, dall’altra una storia…

#8 Comment By Elric On 14 luglio 2008 @ 12:21

siamo d’accordo su una cosa però sento di dover precisare. A mio modesto avviso da come hai scritto si potrebbe dedurre che hai separato in 2 grandi filoni anche gli scrittori, chi scrive bene nel senso delle parole e chi scrive bene nel senso della storia e che raramente, se non per casualità, si incastrano i due stili.
Penso che esista anche la terza categoria, quelli che scrivono bene e basta, sia a livello lessicale che di narrazione e senza che la narrazione ne risenta o si appesantisca inutilmente usando lo “stile” giusto al momento giusto, e questa è appunto la frontiera che separa il “buon scrittore” dal “genio”

#9 Comment By Gamberetta On 14 luglio 2008 @ 13:27

@Simone Spinozzi. Sinceramente non ho capito il tuo discorso iniziale, perciò partiamo dai carabinieri. Ovviamente se parli di carabinieri devi informarti il più possibile, non c’è niente di buffonesco in ciò.
Poi dipende: se io decido di parlare della CIA è probabile che non sarà facile reperire documentazione adeguata. Devo decidere io se riesco comunque a mettere assieme abbastanza materiale perché il romanzo sia credibile o forse non sia il caso di parlare d’altro. Infatti io insisto sul documentarsi, ma l’importante non è la documentazione in sé, l’importante è che il romanzo sia credibile. Quasi sempre perché ciò avvenga bisogna documentarsi, ma se uno ci riesce lo stesso anche senza beato lui.
Il buffone deriva da come useresti i carabinieri. Se scrivi un romanzo sui carabinieri che rimane nell’ambito dei carabinieri, che non aggiunge nessuna idea nuova all’argomento, lì è la buffonaggine, la perdita di tempo. Se viceversa i carabinieri sono una base per costruirci sopra qualcosa di nuovo, ben venga.

Ora il camionista. Premetto che non conosco l’argomento, ma se l’autore ha scritto una castroneria è colpa sua, in secondo luogo dell’editor. L’autore non è onnisciente, ma se parla di camion deve conoscere l’argomento. In più lo stile è pessimo perché inforigurgitoso (probabilmente basterebbe scrivere che il camionista fa il pieno, e così senza neanche volerlo si risolve anche il problema di verosimiglianza).

Riguardo la prima parte con gli alieni infiltrati proprio non saprei come risponderti, non ho capito quello che intendi.

@Lo Sparviero.

E poi il fatto che i bianchi debbano muovere sempre per primi? Questo sì che è razzismo incarnato!

Eh, eh, hai ragione! E buone vacanze!

@ mhrrr.

il punto rimane: perché qualcosa che non amplia la realtà è narrativa meno buona?

Perché lo decido io? ^_^
In realtà a me pare così ovvio che non ci sia neanche bisogno di spiegare: hai due possibilità, la prima è raggiungere Giove su una nave spaziale con a bordo un computer assassino, la seconda è un viaggio a Rimini. Davvero scegli il viaggio a Rimini? Per carità è una scelta legittima, ma si vive una volta sola e a Rimini ci sono già stata.
È tutto qui.
(ovviamente è un discorso ideale, poi all’atto pratico posso anche andare a Rimini, perché m’interessa studiare lo stile dell’autore, perché quel giorno ho mal di testa, ecc. Ma tolte tutte le circostante particolari, da una parte c’è Giove dall’altra Rimini e non sono sullo stesso piano).

Oppure pensala così: da una parte c’è il più grande scrittore del mondo che vuole raccontarti la sua settimana al mare, a Rimini, dall’altra un tipo qualunque che però è appena tornato dai confini dell’Universo (o dalla Terra di Mezzo, o dall’Inferno, quello vero con i diavoli), davvero stai ad ascoltare il grande scrittore? davvero non sei più curioso e ansioso di sapere cosa ci sia oltre la morte od oltre Giove?

#10 Comment By Ben On 14 luglio 2008 @ 13:36

Ciao!
Ebbene si, sono un vostro nuovo lettore! Seguo da poco il blog e, come detto a Capitan Gambero via e-mail, davvero c’è da farvi i complimenti per i begli articoli che postate. Le recensioni poi sono da spaccarsi in due !
Passando all’articolo in sé. A me è piaciuto, da principiante scacchista mi ha incuriosito la strana analogia fra il giUoco strategico più antico del mondo e la scrittura.
Sono d’accordo quando dici che non basta, anzi è inutile, saper “scrivere bene” o pomposamente e non comunicare nulla, o peggio; tentare di comunicare emozioni legate soltanto all’aulico di una parola e non al suo contenuto. Tempo fa frequentavo vari forum di scrittura (o anche gdr sulla stessa piattaforma) e pare ci fosse una gara a chi scrivesse più complicato. Poi andavi a interpretare racconti che parevano scritti nel ’400 con contenuti che manco gli attuali anni 2000 di Moccia..
Per quanto riguarda invece il rapporto fra la narrativa e la Realtà, se ho ben capito, intendi dire che è un valore aggiunto per un racconto essere una realtà a sè. E fin qui siamo d’accordo.
Però, citando il primo commento all’articolo, basare la storia di una guardia sulle ‘guardie reali’ (i carabinieri) perché dovrebbe sminuire il valore del racconto stesso?
Magari è fuorviante come domanda ma estremizzando si potrebbe interpretare così. Se comunque dovessi dare una risposta direi di no.
Ultimo appunto sulla ‘magia della carta stampata’.
Purtroppo se sto al monitor troppo a lungo mi sfondo gli occhi, ma scaricare un libro per poi stamparlo (formato a4 standard) alla fine è pure più scomodo…
..poi sarà sicuramente questione di abitudine, ma preferisco sottolineare una pagina che evidenziare un file di testo elettronico (e mi risfonderei gli occhi!)
Concludendo, grazie ancora per il gran lavoro e la possibilità di uno scambio di idee fruttuoso ;)

#11 Comment By Tuareg On 14 luglio 2008 @ 14:18

Mmmh. Mi sembra che stiamo confondendo i piani.

Ci sono libri in cui scrittori acclamati narrano fatti poco interessanti con l’aria di chi crede di regalare squarci illuminanti sull’animo umano, ok. Possono essere molto noiosi (e c’è anche il pericolo che al lettore si squaglino le ghiandole).
Ma c’è anche il caso che invece un libro trasmetta un modo bizzarro di intendere la vita, che racconti di tipi umani sorprendenti e catene di fatti improbabili. A caratterizzare un libro non c’è solo lo stile del linguaggio, ma anche il suo approccio esistenziale. Parlare del nostro mondo non vuol dire per forza descrivere cose che il lettore sa già alla perfezione, ma offrire punti di vista alternativi o squarci inaspettati nella nostra stessa realtà.
Poi, se a uno piace molto il fantasy continuerà a preferirlo, ma le sorprese non dovrebbero essere appannaggio esclusivo di un genere, e a Rimini può in effetti capitare di tutto anche senza che arrivino gli alieni o le fate pralinate. Ad esempio la commedia italiana degli anni ’60-’70 non era fantasy ma raccontava storie molto, molto divertenti, ambientate in Italia in quello stesso periodo. In ogni genere (e in ogni mezzo espressivo) ci sono capolavori e porcherie, il punto è conoscere la produzione e saper scegliere quello che ci diverte.

#12 Comment By Gamberetta On 14 luglio 2008 @ 15:25

@Tuareg. Premesso che io sono al 100% per il divertimento, e un sacco di volte mi vien voglia di leggere (e scrivere) per il puro piacere di divertirmi (e far divertire), il discorso non cambia: scegli Giove sì o no?
A me sembra che tu consideri la narrativa come i cioccolatini, c’è a chi piace con il ripieno di ciliegia, altri preferiscono quelli con il cioccolato bianco o le fragole. Ma l’idea di fondo è che la narrativa non sia un mero passatempo. Quando dico che la narrativa crea la Realtà non è un modo di dire. Non ci puoi andare sulla Luna se prima qualcuno non immagina di farlo.
Perciò non è una questione di gusti, non è una discussione davanti al tavolino del tè, non stiamo parlando di quale sia il mio libro preferito come potrebbe essere l’attore o il calciatore o il cantante. Si parla di decidere se vuoi raggiungere Giove sì o no, sul serio.

Poi il guardare la Realtà con prospettive nuove va benissimo, basta che siano nuove davvero. Se scrivo un poema di 5.000 strofe dedicato a un filo d’erba nel quale sottolineo che è un filo d’erba verde sto perdendo il mio tempo, se però sottolineo che il filo d’erba è senziente, ecco forse qui ho svolto al meglio il mio compito di narratore.
Il poema dedicato al filo d’erba verde può essere divertentissimo e avere una sua dignità e può valere la pena leggerlo, ma secondo me non è sullo stesso piano del poema dedicato al filo d’erba senziente. Letto il primo poema ne so quanto prima, letto il secondo ho nella mia testa un’idea nuova riguardo i fili d’erba, ho allargato un po’ di più i confini del mondo.

#13 Comment By Federico Russo “Taotor” On 14 luglio 2008 @ 15:34

Ce ne vuole di fantasia per fare un paragone tra scacchi e scrittura. E dire che già il paragone tra scrittura e Body Building mi sembrava strano!
Concordo con te, comunque. :)

P.S. Vedo che hai pubblicato il post alle 23.22 di domenica. Esci, di tanto in tanto, tesoro… XD

#14 Comment By Tuareg On 14 luglio 2008 @ 16:04

Anzi, intendo il contrario. Non è tanto importante decidere in anticipo il gusto del mio cioccolatino, quanto che alla fine sia buono e abbia un gusto inaspettato. Non mi importa in particolare che sia un dolcetto di Ganimede.

Trattandosi di fiction, a me interessa il modo di guardare più che l’oggetto guardato, ma con questo non pretendo che debba essere così anche per te, sia chiaro. Non mi sognerei mai di biasimare una sana fame di esperienza.

#15 Comment By Davide On 14 luglio 2008 @ 17:19

Non sono d’accordo proprio su tutto (la questione Rimini contro Giove mi sembra un po’ estremizzata, ci possono essere infinite varianti nel mezzo… Per dire, se “Rimini” è “Il fu Mattia Pascal” e “Giove” un libro della Troisi, chi me lo fa fare di scegliere Giove?), ma come tutti i tuoi articoli teorici mi è piaciuto molto, l’ho trovato parecchio gustoso.

E parlando di fantasy e scacchi insieme, mi è tornato alla mente un ottimo racconto credo di Roger Zelazny, ovvero “La variante dell’unicorno”, con addirittura in coda lo schema della partita (realmente giocata) con cui i due protagonisti della storia si dilettano.

#16 Comment By avvocatospadaccino On 14 luglio 2008 @ 17:46

avete mai letto la difesa di Lubin?
bellissimo, cioè, meglio di Moccia (ha ha)

#17 Comment By Simone Spinozzi On 14 luglio 2008 @ 18:22

@gamberetta
uhmm…

Quindi se ti si mostra un viaggio verso giove che e’ anche un parallelo della vita umana e si pone diversi problemi filosofici su cosa sia “vivo” o quale vita valga di piu’, te non hai niente da eccepire fintanto che il viaggio verso giove e’ fatto decentemente.

Quello che sto cercando di dirti io e’ invece un’altra cosa: L’autore secondo me non deve essere soltanto informato. L’opera non deve essere solo il punto di arrivo.

Il discorso che hai fatto te con gli scacchi era un attimo convoluto per via di un problema fondamentale: Non hai spiegato che la cosa interessante degli scacchi non sono le meccaniche od il punto di arrivo: e’ il conflitto tra i due giocatori. I pensieri che i due fanno mentre giocano. Il COME si arriva ad un determinato finale, non il COSA si raggiunge.

Nel “vecchio ed il mare” quel poveretto riporta a casa una lisca di pesce e nient’altro. Il bello non e’ cosa ottiene, ma quello che ha passato per ottenerlo.

Nell’ “Esploratore” il povero contadino che ha lasciato i campi riescee al massimo a dare il nome di “Disperazione” ad un valico. Tutto cio’ che ottiene se lo fregano gli altri.

Quindi se mi mostri un’immagine di una partita a scacchi di cui io osservatore non so niente, ti diro’ “boh, si, ok, e allora?”

Una partita a scacchi viene solo mostrata, non vi e’ alcun inforigurgito (proprio come piace a te), ma il 99% della gente che c’e’ in giro non la capisce. Al massimo ti sa dire che i pezzi sono mossi secondo le regole oppure che non sapeva esistesse la mangiata “en passant”.

Questo perche’ il 99% della gente non sa e non e’ tenunta a sapere come si gioca a scacchi. Pochissimi saprebbero leggere quello che e’ scritto nella partita da te riportata con il metodo standard.

Quindi il miglior autore sarebbe quello che riesce ad appassionare non solo l’esperto, ma anche l’inesperto. Deve saper mostrare un “come” che l’inesperto a guardarlo non troverebbe strano, o troverebbe plausibile nelle condizioni in cui ci si trova, ma dece saperlo mostrare in modo che l’inesperto possa capire quello che succede o perche’ si prendono certe decisioni.

Se leggo un romanzo militare e vedo continuamente la gente chiamare un pinco pallino “XO”, mi piacerebbe sapere che quella sigla sta per “ufficiale esecutivo” e mi piacerebbe sapere a cosa serve un ufficiale esecutivo, a parte ripetere le cose dette da un tizio che gli sta a 2 centimetri di distanza.

Quindi l’autore bravo non e’ solo quello informato che riesce a proporre una situazione nuova oppure vista da un nuovo punto di vista. Secondo me un autore bravo e’ colui che riesce anche a spiegare il tutto mantenendosi plausibile e leggibile.

Concordo sul fatto che l’inforigurgito spesso e’ eccessivo. Ma spesso serve anche informare il pubblico leggente.

Finora quelli che ho visto io risucivano ad evitare l’inforigurgito molesto evitando il solito personaggio tuttofare “prescelto”, in modo che ciascuno dei personaggi spiegasse agli altri quello che dovevano fare dal suo punto di vista informato (uno scienziato spiega quello che teoricamente potrebbe succedere in modo che il soldato possa pianificare unn modo sicuro per proseguire, etc.) e la storia proceda col minimo delle spiegazioni possibili ed il massimo delle vicende possibili.

Ma non e’ sempre possibile fare gruppi misti e sperare di spiegare tutto in maniera plausibile e senza staccare. Per questo quelli che ci riescono (dal mio punto di vista) sono autentici geni.

Il problema e’ questo: bisognerebbe teoricamente avvicinarsi a questi “geni”, non darli per scontati come base del saper scrivere.

Il messaggio che vuoi mostrare, troppo spesso non e’ del tipo “bisogna evitare questi errori e lavorare continuamente e con costanza alla loro eliminazione.” troppo spesso e’ del tipo “se fai cosi’ sei un cretino che non merita di essere letto”, segando cosi’ le gambe a troppi scrittori emergenti.

Disclaimer: Poi dopo sono pienamente d’accordo con te sul fatto che: vedere gente riuscire a smuovere intere case editrici verso un genere nuovo, ma leggendo quel loro racconto che li ha fatti smuovere ti cascano le (s)palle; allora viene voglia di sbattere violentemente quei libri in bocca agli autori con un imbuto e farglieli rimangiare tutti.

Similmente quando si vede gente inneggiare al fancazzismo, alla fortuna ed alle doti naturali invece che alla determinazione ed all’impegno, le scatole vengono sonoramente triturate.

Ultima cosa: troppo spesso mi pare che vieni deviata da tutta la gente che ti da contro perche’ hai attaccato il loro ultimo ammmmmore troppo immmmmonso e assolutamente intaccabile e perdi la testa un attimo per delle stupidaggini, facendoci sorbire resoconti come questo articolo, che sono interessanti, ma non quanto un’altra recensione o quel “riassunto delle puntate precedenti”. Quello era scritto bene e con criterio. Questo articolo e’ stato solo uno sputacchio di veleno che non risucivi piu’ a trattenere, anche se era uno sputacchio abbastanza informato.

P.S.: Errori a caso causa piano traballante.

#18 Comment By Simone Spinozzi On 14 luglio 2008 @ 18:23

@Davide:
Lo sappiamo tutti che uun rimini scritto con criterio vale piu’ di un giove scritto a cazzo, per favore non usciamo dal seminato. Qui si parlava di lavori di livello comparabile.

#19 Comment By GipuntoE On 14 luglio 2008 @ 18:45

Da amante del Fantasy e discreto giocatore di scacchi non posso che dire BRAVA! un articolo eccezzzzionale (le z in piu’ sono aggiunte apposta eh?!?!). Da stampare e incorniciare ^_^

#20 Comment By Leekanh On 14 luglio 2008 @ 19:38

@Simone Spinozzi:

Sai, ho come l’impressione che tu e Gamberetta stiate dicendo fondamentalmente le stesse cose, semplicemente in maniera diversa!

E direi che si dava per scontato che l’autore deve essere comprensibile a tutti, e non solo agli esperti militari.
Il dono del bravo scrittore è riuscire ad appassionare entrambi, lo scopo ultimo non è nè di scrivere una storia avvincente nè una storia plausibile, ma una storia avvincente e plausibile.
E a questo punto posso ambientarla a Rimini come sulla Terra di Mezzo, solo che ambientarla sulla Terra di Mezzo è più difficile di quanto si possa immaginare, e non vale la scusa “Ma tanto è fantasy” :)

Ma forse qui si sconfina troppo sul personale, qualcuno preferirebbe davvero Rimini alla Terra di Mezzo! Del resto c’è a chi la letteratura fantastica non piace, e ci sono gran bei libri che non hanno nessun elemento fantastico ma sono avvincenti.
Il punto (almeno secondo quanto ho capito) è che a prescindere dall’ambientazione devo presentare qualcosa di interessante, non necessariamente fantastico, ma qualcosa che faccia dire al lettore “Wow! Se capitasse a me…” (o beh, se invece è particolarmente drammatico “Ekh! Spero non mi accada mai!”) insomma, posso ambientare a Rimini il mio racconto, ma poi devo presentare qualcosa di interessante, una cosa che il lettore non si immaginerebbe di certo! Se invece racconto la giornata media di un turista che va al mare a prendere il sole, poi in giro per locali e alla fine dell’estate se ne torna con tanti soldi in meno… Beh… A questo punto chissenefrega!
Quello che intendeva Gamberetta (almeno fino a quel che ho capito io) è che parlare del solito, banale e scontato viaggio a Rimini, anche se sicuramente realisticissimo, coerentissimo e che presenta uno spaccato di vita quotidiana del turista medio è… Come dire… Inutile. Che mi hai raccontato? Una cosa che sapevo già? Vale quanto una guida turistica! Invece raccontare di un viaggio su Giove è diverso, perchè tu non puoi sapere come si viaggi fino a Giove, e cosa accada sulla sua superficie popolata da alieni(!?) giusto?

#21 Comment By Gamberetta On 14 luglio 2008 @ 20:26

@Simone Spinozzi.

Il discorso che hai fatto te con gli scacchi era un attimo convoluto per via di un problema fondamentale: Non hai spiegato che la cosa interessante degli scacchi non sono le meccaniche od il punto di arrivo: e’ il conflitto tra i due giocatori. I pensieri che i due fanno mentre giocano. Il COME si arriva ad un determinato finale, non il COSA si raggiunge.

Ma cosa c’entra? Il paragone è molto più semplice: come negli scacchi lo stile è piegato alla necessità di vincere, ovvero lo stile migliore è quello più efficace, così nella narrativa lo stile è piegato alla necessità di comunicare una storia al lettore, ovvero lo stile migliore è quello più efficace in quest’opera di comunicazione.
Ho poi supposto che come negli scacchi esiste uno stile perfetto (e che dunque è improprio chiamare stile), così esiste nella narrativa. Purtroppo in entrambi i casi non siamo in grado di usare tale stile, non di meno dobbiamo cercare di approssimarlo il più possibile.

Questo perche’ il 99% della gente non sa e non e’ tenunta a sapere come si gioca a scacchi. Pochissimi saprebbero leggere quello che e’ scritto nella partita da te riportata con il metodo standard.

Ma per fortuna, quando il paragone rientra nel campo della narrativa, si scopre che il lettore non deve imparare niente, non deve neanche spendere 15 minuti a leggere il regolamento degli scacchi, deve solo mettersi nella giusta predisposizione d’animo, predisposizione che non comporta nessuna difficoltà.

Se leggo un romanzo militare e vedo continuamente la gente chiamare un pinco pallino “XO”, mi piacerebbe sapere che quella sigla sta per “ufficiale esecutivo” e mi piacerebbe sapere a cosa serve un ufficiale esecutivo, a parte ripetere le cose dette da un tizio che gli sta a 2 centimetri di distanza.

No, non è vero. Se sei in un romanzo di guerra sei sotto le bombe, o sei nella cabina di un caccia o stai mirando con il tuo fucile di precisione tra le macerie di una casa diroccata, hai ben altro a cui pensare che non il significato di un termine. E in ogni caso se vedi che la gente chiama sempre qualcuno XO, alla fine lo capisci da solo chi è e qual è il suo ruolo, senza che l’autore venga a imboccarti.
Poi ci possono essere dei casi dove per forza sono necessarie delle spiegazioni, ma è l’eccezione, non la regola.
Comunque questo articolo non aveva niente a che vedere con l’inforigurgito.

Il messaggio che vuoi mostrare, troppo spesso non e’ del tipo “bisogna evitare questi errori e lavorare continuamente e con costanza alla loro eliminazione.” troppo spesso e’ del tipo “se fai cosi’ sei un cretino che non merita di essere letto”, segando cosi’ le gambe a troppi scrittori emergenti.

Perché, senza girarci troppo intorno, è la verità. Non ci vuole un genio per evitare di riempire un romanzo di spiegazioni o di gente che spiega, ci vuole solo pratica, pazienza e appunto la consapevolezza che scrivere in una certa maniera è sciatto. È ovvio che all’inizio sembri complicato, d’altra parte non è che s’impara in un giorno, e, nel caso qualcuno avesse dubbi:

SCRIVERE BUONA NARRATIVA NON È FACILE.

Strazzulle a parte, la gente normalmente impiega diversi anni prima di raggiungere un livello degno di pubblicazione (poi dipende ovviamente da quanto tempo ci dedichi, predisposizione naturale, ecc.)
Il discorso generale è sempre il solito: finché scrivi per il divertimento tuo puoi fare quello che vuoi e come vuoi, ma se scrivi per un pubblico, peggio con l’aspirazione a un pubblico pagante, non ci sono scusanti, devi raggiungere un livello minimo di abilità.

[...] e perdi la testa un attimo per delle stupidaggini, facendoci sorbire resoconti come questo articolo, che sono interessanti, ma non quanto un’altra recensione o quel “riassunto delle puntate precedenti”.

Una piccola precisazione: io non faccio sorbire un bel niente a nessuno, non è che hai pagato un abbonamento o che c’è qualche contratto che mi obbliga a scrivere quello che a te interessa. Se mi gira posso scrivere un articolo di 10.000 parole di tattica scacchistica, decido io quello che è opportuno scrivere.
Ciò detto prendo atto che l’articolo non ti è particolarmente piaciuto e l’hai trovato meno interessante di altri.

@Leekanh.

Quello che intendeva Gamberetta (almeno fino a quel che ho capito io) è che parlare del solito, banale e scontato viaggio a Rimini, anche se sicuramente realisticissimo, coerentissimo e che presenta uno spaccato di vita quotidiana del turista medio è… Come dire… Inutile. Che mi hai raccontato? Una cosa che sapevo già? Vale quanto una guida turistica! Invece raccontare di un viaggio su Giove è diverso, perchè tu non puoi sapere come si viaggi fino a Giove, e cosa accada sulla sua superficie popolata da alieni(!?) giusto?

Fondamentalmente sì.

#22 Comment By Okamis On 14 luglio 2008 @ 21:28

Non ci crederai, ma la mia tesi della specialistica (già concondardata con la mia professoressa di Letteratura Italiana Contemporanea II, nonostante attualmente stia lavorando ancora a quella della triennale su Richard Matheson), sarà proprio sulla figura degli scacchi nella letteratura. Quindi non posso che apprezzare il paragone da te proposto, soprattutto da appassionato scacchista quale sono.
Solo mi chiedo perchè come esempio di partita di scacchi venga sempre proposta “l’Infinita”, tra l’altro considerata da molti come una delle più brutte partite di sempre, visti i molti errori da entrambe le parti. Il fatto che le partite di scacchi durino secoli è in molti casi un luogo comune (infatti esistono le cosiddette partite “Blitz”, le quali possono anche durare due minuti!). Consiglio a chi volesse divertirsi a ricreare una delle più belle partite a scacchi di sempre (tra l’altro durata pochissimi minuti) di andarsi a recuperare lo storico “Matto di Legal”. Quesi, assieme a Philidor, è stato probabilmente il più forte giocatore di scacchi del Settecento. La genialità della partita proposta sta nel fatto che in sette (dico sette!) mosse, Legal riuscì a fare scacco matto al suo avversario pur facendosi mangiare (volontariamente) la regina. Un vero genio…

(scusate l’OT scacchistico, ma quando sento parlare di questo bellissimo gioco mi esalto ^_^)

#23 Comment By Gamberetta On 14 luglio 2008 @ 21:54

@Okamis.

Solo mi chiedo perchè come esempio di partita di scacchi venga sempre proposta “l’Infinita”, tra l’altro considerata da molti come una delle più brutte partite di sempre, visti i molti errori da entrambe le parti.

Uhm, non ho mai sentito chiamare l’Immortale “Infinita”, ma è la stessa o ti riferisci a un’altra partita? Non è che ti confondi con la “Sempreverde”? Poi è vero che il nero commette degli errori ed è probabile che se fosse stata giocata in un torneo ufficiale avrebbe preso un’altra piega, però a me piace lo stesso. Ha un grandissimo fascino, è la personificazione del gioco brillante.

Consiglio a chi volesse divertirsi a ricreare una delle più belle partite a scacchi di sempre (tra l’altro durata pochissimi minuti) di andarsi a recuperare lo storico “Matto di Legal”

La partita è questa. Però non è che la definirei un gran capolavoro, in più se non ricordo male l’aneddoto, il tale Saint Brie era un fesso, tanto che Legal quando giocava contro di lui gli concedeva una Torre di vantaggio.

#24 Comment By Flavio On 14 luglio 2008 @ 22:10

@okamis
L’Immortale è una partita particolare. Non è una partita ufficiale del torneo di Londra 1851, ma fu giocata al Simpson’s Divan (un circolo scacchistico dell’epoca) il 21 giugno. Quella sera Andersenn (vincitore poi del torneo) entrò nel circolo e trovò Kieseritsky e si misero a giocare tutta la sera. Ora immagina l’ambiente dell’epoca (dove gli scacchi erano molto più in voga che non adesso), gente che beve birra, che fuma, che guarda curiosa questi due che giocano concentrati. Dimentica i tecnicismi e guardala dal punto di vista dello spettacolo. Se noti, al bianco sono rimasti solo i pezzi per dare il matto mentre al nero mancano solo tre pedoni. Il trionfo della tattica sulla strategia insomma.
(Info tratte da: Scacchi. Storia, controstoria e altro ancora di Paolo Bagnoli Ed. Mursia.)

#25 Comment By Simone Spinozzi On 15 luglio 2008 @ 01:05

@Gamberetta
Chiedo ufficialmente scusa.

In parte non mi sono spiegato (“il messagghio che vuoi mostrare…” alla fine gamberetta ha detto le stesse cose mie), in parte ho frainteso (gli scacchi), in parte mi sono lasciato trascinare dalle mie pippe mentali (riguardo l’inforigurgito, c’entrava qualcosa mentre scrivevo il messaggio, ma era comunque un deragliamento).

#26 Comment By hoodooman On 15 luglio 2008 @ 12:26

@Okamis.

Mai sentito parlare de “l’infinita” , ma sopratutto non mi risulta che “l’immortale” sia considerata una delle partite più brutte di sempre, anche perchè altrimenti non verrebbe chiamata così. Nella partita ci sono errori, ma anche immenso genio tattico da parte del bianco che con sacrifici spettacolari ottiene un attacco violentissimo contro il re avversario. Questa partita è l’emblema dello stile romantico di metà ’800.
Nella partita di Legal il matto finale colpisce perchè ottenuto sacrificando la regina, ma è il nero ad aver fatto una cappella mostruosa non vedendo che prendeva matto in due mangiando la regina, matto che poteva essere evitato ritrovandosi solo con un pedone in meno. Quando una partita finisce in 7 mosse è sempre molto più per demerito dello sconfitto che per merito del vincitore.

#27 Comment By daisyM On 15 luglio 2008 @ 13:01

molto interessante, come sempre! di te non si può certo dire che parli a vanvera. io sul discorso della narrativa, come sai, la penso diversamente, credo come te che la narrativa consista nel raccontare storie; ma anche che le storie possano essere raccontate a vari livelli, non solo con “wow, sono su marte!”, e che la letteratura (definizione più “larga”, perchè non comprende solo la narrativa) abbia dei piani semantici e simbolici che è un peccato trascurare, si perderebbe una buona parte di divertimento!
sono una buffona? di sicuro sono una capra degli scacchi, quindi chapeau in ogni caso :-)

#28 Comment By Morgante On 15 luglio 2008 @ 17:00

Un argomento intrigante, scacchi e scrittura…

Mi piacciono i paragoni un po’ fuori dalle righe, danno una boccata d’aria fresca. Ma per tutti i milioni di paragoni che si possono fare sulla scrittura, resta sempre l’unica verità eterna delle storie, che chi scrive non dovrebbe negare: una parte del potere ce l’ha chi scrive, ma l’altra metà è di chi legge. La scrittura sarà anche un’attività solitaria, ma è tutto l’opposto della solitudine, è proprio la conquista degli altri.

Uno dei miei esempi preferiti:
“C’è uno scrittore che finisce con le gambe in frantumi su una strada fra le Montagne Rocciose, in Colorado, e l’unica a soccorrerlo è un’ex infermiera che lo porta nella sua casa.”
Fin qui la trama di Misery di King potrebbe scivolare in una serie di clichè melodrammatici, banali, o peggio, retorici. E’ la nostra realtà, non ci sono alieni, mostri (almeno non umani) o navi spaziali.
Ma per me Misery è tutto fuorché un romanzo misero. Quindi l’infermiera sarà una psicotica e assassina, isolata e sfuggita per un soffio a una condanna a vita, e guarda guarda, anche fanatica Ammiratrice proprio dei romanzi dello sventurato scrittore. Così, proprio quando era riuscito ad eliminare finalmente l’odioso personaggio dei suoi romanzi, la sua cara salvatrice, sotto il terrore di ogni tipo di tortura fisica e mentale, lo obbligherà a riportarlo in vita per salvare se stesso.

Mi pare che così le cosi cambino, no? Misery è uno dei romanzi che amo di più, lo rileggo una volta all’anno: perché è una storia già avvincente, e cupa, ma King riesce anche a parlare del mistero delle storie. Nella realtà si stava disintossicando da alcool e droga in un periodo terribile, quindi non si è proprio documentato sul dolore delle crisi di astinenza…ma solo perché ne aveva esperienza diretta! E non è del tutto vero: nelle note iniziali elenca i nomi di medici e infermiere a cui si è rivolto per approfondire alcuni argomenti.
Eppure, anche se intossicato e delirante, non perde mai la bussola, riesce a descrivere in profondità certe sensazioni, pensieri e anche sensi di colpa di chi scrive. Perché l’infermiera Anne Wilkes avrà i suoi metodi per torturare l’uomo, ma anche l’autore ha qualcosa per torturare e tenere in pugno la sua aguzzina, la storia che lei vuole che scriva. King immagina un esempio bizzarro del rapporto esasperato tra il creatore di un mondo e i suoi lettori. Il potere che può esercitare una storia su chi è destinato a leggerla. In questo romanzo, la reazione estrema che alla fine si scatena. Qui la cara lettrice non ha dalla sua la lingua affilata di Gamberetta o il coltello dalla parte del manico: ha direttamente l’ascia. Se passasse da quelle parti la Strazzulla, tremerei per lei!

King scrive da molti anni, forse conosce il vero potere delle storie, il devo che spinge ad andare avanti (scrittore e lettore, sempre uniti, sempre!), e quel senso di tradimento che si può provare alla fine del viaggio, quando sembra che facendo una scelta invece che un’altra, l’autore avesse voluto tradire proprio te. Perché ti sei lasciato rapire di tua spontanea volontà dal mondo che ha creato, no? Ed essere abbandonati sul ciglio della strada non piace nemmeno ai cani.

Quando penso ad un esempio sullo scrivere, io penso spesso al rapporto tra il rapito e il rapitore di quel libro. Penso che scrivere serva a divertire se stessi e gli altri, ma ci dev’essere onestà, perché almeno all’inizio dall’altra parte ci sarà qualcuno che ti prenderà sul serio. La sciatteria, o il pavoneggiarsi, l’essere vuoti o inconcludenti, o il credere di poter scrivere qualunque cosa convinti di non dover essere informati o capire fino in fondo se quel che si scrive abbia davvero un capo e una coda, non c’è niente da fare, inutile lamentarsi o sorprendersi: viene preso come un tradimento.

PERCHE’ IL LETTORE E’ IL RAPITO CHE AMA IL RAPITORE
(Non c’era anche la sindrome?) Quindi attenti, scrittori, siete avvisati.
Un’ultima cosa, Gamberetta. Qui ho letto di molti grandi autori: Tolkien, Lovecraft, Twain, Pratchett, Dick, Wells, e tanti altri creatori di mondi. Ma potresti fare qualche esempio (titolo) anche della famigerata e ricercata, viva o morta, literary fiction? Tanto per centrare definitivamente il bersaglio di quello che intendi quando scrivi tutto questo. Chi sono quelli “dell’altra parte”? Chi, almeno secondo te, vuole solo mostrare un esercizio di stile ricamato e pizzi di parole.
Chi devo pensare che stai indicando al banco degli imputati: Umberto Eco? Manzoni? Baricco? Tolstoj? Proust?
Mi basterebbe qualche nome, per ristabilire l’equilibrio, altrimenti al mio metro di paragone mancheranno parecchie tacche!

Grazie

#29 Comment By mhrrr On 16 luglio 2008 @ 09:38

cara gamberetta,

In realtà a me pare così ovvio che non ci sia neanche bisogno di spiegare: hai due possibilità, la prima è raggiungere Giove su una nave spaziale con a bordo un computer assassino, la seconda è un viaggio a Rimini. Davvero scegli il viaggio a Rimini?

come lettore e — almeno un tempo — sapienturiero, mi capita spesso di finire in luoghi eccezionali. pianeti lontani, buie cave, selve oscure, castelli assediati, astronavi senzienti, cimiteri infestati, isole volanti, palazzi pieni di torturatori, templi nei quali vengono celebrati culti innominabili, case di piacere che galleggiano nel nulla, radure che ospitano mercati fatati, bazaar gestiti da mutanti, guerre di cloni… tutto questo, e molto altro, è il pane per i miei denti.

ma, a volte, per un poco, rimini va bene.
e non credere che per me valga di meno.

con stima,

un tuo affezionato lettore

#30 Comment By Okamis On 16 luglio 2008 @ 09:47

Dunque, Infinita è il nome con cui talvolta viene indicata l’Immortale, per distinguerla meglio dall’altra storica Immortale, ovvero l’epico incontro finito in patta tra Kasparov e Short tenutosi a Londra nel 1993. Mi è venuta da chiamarla Infinita solo perchè così la chiamava il mio maestro. E’ stato un riflesso incondizionato ;-)
Comunque quando dicevo che è una “brutta partita” intendevo che tecnicamente non è straordinaria (certo, per noi comuni mortali rimane pur sempre una partita di livello sublime, ma tra i professionisti non è considerata una delle più belle partite di sempre). Poi, sul fatto che da un punto di vista per così dire “spettacolare” sia piena di carisma, mi trovo perfettamente d’accordo con Flavio.
Infine, per quanto riguarda l’esempio di Lagal, intendevo solo indicare una partita veloce veloce caratterizzato da un’ottima intuizione da parte del vincitore. Oggi quella mossa, a studiarla, sembra quasi ovvia, però rimane il fatto che sia stato Lagal il primo a teorizzarla. E gli scacchi e lo studio delle strategia non è che fossero proprio agli albori ;-)

Scusate di nuovo l’OT scacchistico. Il prossimo commento prometto che sarà di ambito letterario :-)

#31 Comment By Diarista incostante On 16 luglio 2008 @ 10:33

Non sono d’accordo.
Interessante l’articolo, ma non credo che porti da nessuna parte, o almeno che non porti lontano, il dividere in questo modo la letteratura. Quella con la L che è tutta fuffa, e quella interessante che sarebbe il fantasy. Semplicistico e persino impreciso.

Il mondo (letterario) non è solo bello perchè è vario nel senso che ognuno ama ciò che ama, è questione di gusti, ecc.
Il mondo letterario è interessante. Interessante proprio perchè è vasto e variegato. E siccome l’essere umano è altrettanto variegato (un giorno mi piace vestirmi di nero, un’altro di blu, un’altro giro nuda e via così) la letteratura può accompagnarlo lungo tutta la sua vita, a seconda di stati d’animo, età, gusto del periodo ecc.

A 14 anni tolkien mi sembrò il massimo, adesso mi annoia. Una volta amavo lo stile trasparente che decanti tu, Miss G., adesso lo trovo piatto se non è servito con una pietanza particolarmente gustosa. Ovvero: qualcosa di veramente nuovo, e per veramente intendo ESTREMAMENTE originale.

Per esempio, le avventire di Laura scritte da te (ho tentato di leggere quella coi gargoyle) non mi piacciono. Sono sia lo stile che la storia che non mi prendono. Il racconto mi ha annoiata tanto che dopo un po’ ho lasciato perdere, esattamente come faccio coi libri di chiunque altro.
D’altra parte le tue rece mi piacciono molto, condivido il tuo punto di vista praticamente al 100% e anche se non hai recensito brian di boscocoso fa lo stesso, non te ne voglio.
La differenza qual’è? Lo stile. Lo stile dei racconti è moscio, nelle rece invece sei brillante e dici cose ben più interessanti.

In linea di massima lo stile trasparente è una cosa buona per il fantasy. Ma non c’è solo il fantasy a questo mondo (e per fortuna). Non è questione di Genio della Letteratira che se la prende se Gamberetta gli dà addosso. Come lettore chiunque ha il diritto di dire a qualsiasi autore che i suoi libri fanno cagare. E’ questione del fatto che come in qualsiasi altro campo l’assolutismo è inutile, persino puerile. Perchè io leggo questi assoluti, poi pesco un libro a caso tra quelli che adoro e mi accorgo che se fosse stato scritto secondo le Auree Regole sarebbe monnezza, sarebbe palloso, piatto, noiosissimo.
E io odio lo scrivere Aulico, intendiamoci bene. Non sopporto la letteratura infiorettata, con la prosa alta, che se la mena. Nonostante ciò credo anche che lo Scrivere Trasparente vada bene non per tutti, non sempre. A te per esempio dona poco.

Non sono una che crede che la mano dello scrittore sia tutto in un libro. Lo stile personale a me piace, ma se è preponderante sul contenuto leggere un libro diventa come mangiare aria: non sazia e ti gonfia (i maroni).
D’altra parte un libro trasparente o racconta una storia da urlo, (e allora lo leggo solo per sapere come va a finire, poi non lo rileggerò mai più perchè so già cosa succede) o è una palla mostruosa.

Come sempre il meglio è la metà strada, imho. Un libro cioè che avrò sempre voglia di rileggere, quindi scritto in uno stile che mi prende, e con una storia BELLA e ORIGINALE, che non mi annoi.

Non s’è capita una mazza di quel che volevo dire, ma ho da lavorare quindi non posso dilungarmi, nè cercare i refusi nel mio commento. Sorry!

#32 Comment By Gamberetta On 16 luglio 2008 @ 17:05

@Simone Spinozzi. Nessun problema. Poi non è detto che anch’io sappia sempre spiegarmi al meglio, capitano i fraintendimenti.

@Morgante.

Ma potresti fare qualche esempio (titolo) anche della famigerata e ricercata, viva o morta, literary fiction?

Premesso che me ne tengo il più lontano possibile e ne voglio sapere il meno possibile, uno dei tipici esempi è l’Ulisse di James Joyce.
Altri tizi contemporanei che ho pure provato a leggere:
Roberto Cotroneo
Don DeLillo
Heather McGowan

@Diarista incostante.

La differenza qual’è? Lo stile. Lo stile dei racconti è moscio, nelle rece invece sei brillante e dici cose ben più interessanti.

Uhm, sei allora davvero sicura che sia questione di stile? Perché se nelle recensioni dico cose ben più interessanti, be’, probabilmente ti piacerebbero lo stesso qualunque stile adottassi.
In ogni caso lo scopo di quel racconto era far (sor)ridere, era una mezza parodia, perciò è un po’ al di fuori rispetto al discorso di quest’articolo. Poi possiamo indagare sul perché non ti sia divertita, ma lì lo scopo non era narrare una storia particolarmente originale, era raccontare una tipica storia da anime giapponese con però una protagonista “sfasata” rispetto al mondo della storia, per alimentare l’ironia.

Perchè io leggo questi assoluti, poi pesco un libro a caso tra quelli che adoro e mi accorgo che se fosse stato scritto secondo le Auree Regole sarebbe monnezza, sarebbe palloso, piatto, noiosissimo.

Non è possibile, se è davvero così, se davvero cambiando lo stile diventa noiosissimo, vuol dire che le idee alla base non erano abbastanza interessanti. Io posso ri-raccontare gli episodi dell’Odissea e del Don Chisciotte e se uno non li ha mai sentiti si appassiona lo stesso, nonostante non abbia l’abilità di Omero e Cervantes. Un libro che diventa noiosissimo solo cambiano lo stile (peggio, semplicemente adottando non un stile “brutto”, ma trasparente) è molto probabile non sia degno di essere letto.

D’altra parte un libro trasparente o racconta una storia da urlo, (e allora lo leggo solo per sapere come va a finire, poi non lo rileggerò mai più perchè so già cosa succede) o è una palla mostruosa.

Hai centrato il punto e siamo d’accordo. I libri di narrativa devono raccontare una storia da urlo. Se la storia non è eccezionale, perché mai dovrei perderci tempo? Certo, poi con lo stile posso coprire tutto, come mettere quintali di senape sulla carne avariata, ma a che pro? Il punto di partenza è la storia eccezionale, quando hai la storia eccezionale lo stile è in fin dei conti superfluo.
Questo in generale; all’atto pratico ci possono essere mille eccezioni, e si può concepire un tipo di “narrativa” il cui scopo non sia propriamente narrare (per esempio appunto il comico/commedia, dove vuoi far ridere, la storia e lo stile sono intercambiabili, basta che il risultato sia lolloso), ma almeno l’aspirazione dev’essere scrivere storie eccezionali.

#33 Comment By Okamis On 16 luglio 2008 @ 18:54

Non è possibile, se è davvero così, se davvero cambiando lo stile diventa noiosissimo, vuol dire che le idee alla base non erano abbastanza interessanti. Io posso ri-raccontare gli episodi dell’Odissea e del Don Chisciotte e se uno non li ha mai sentiti si appassiona lo stesso, nonostante non abbia l’abilità di Omero e Cervantes. Un libro che diventa noiosissimo solo cambiano lo stile (peggio, semplicemente adottando non un stile “brutto”, ma trasparente) è molto probabile non sia degno di essere letto.

Scusa, ma non sono d’accordo. Una storia, per come la vedo io, per risultare efficace non deve possedere un buon “cosa”, ma anche un buon “come”. Trama e stile (e ci aggiungerei pure tema) sono aspetti imprescindibili e indissolubili all’interno di una buona opera narrativa (parlo di opera narrativa e non di romanzo, in quanto ritengo che tale principio valga anche per la poesia, il cineme e per certi aspetti pure per la musica). Prendiamo ad esempio un romanzo che personalmente adoro alla follia: “Perdido Street Station di China Mieville”. La storia che sta alla base del romanzo, a ben vedere, non è certo tra le più originali (un gruppo di “ricercati” che scappa dalle forze dell’ordine nel tentativo di salvare il mondo da uno stormo di creature malefiche). Ma il “come”, lo stile, il guizzo artistico adottato da Mieville rendono PDS uno dei migliori romanzi di narrativa del nuovo millennio. Pensa a tutti quei romanzi che ti sono piaciuti, alla tua lista delle opere da salvare. Sei sicura che con uno stile diverso ti piacerebbero lo stesso?
E lo stesso vale per il discorso inverso. Penso al mio romanzo prediletto: “Io sono Leggenda” di Richard Matheson (OT: che schifo l’ultima trasposizione cinematografica). Se fosse stato scritto da uno con lo stile di Moccia, difficilmente lo avrei apprezzato in egual misura. Avrei pensato invece: “Caspita, che bella storia! Però che stile di merda…”

#34 Comment By Niccolo’ On 16 luglio 2008 @ 19:23

Io mi dichiaro d’accordo a metà. Tendenzialmente sono ostile allo stile per lo stile, tipico di tanta narrativa italiana, dove l’infiorettamente e l’abbellimento e’ solo un paravento per il vuoto che c’e’ sotto nonchè per gettare un osso al pubblico velleitario (esempio classico: Baricco), oppure dove lo stile si fa involuto e meta-meta-qualcosa perchè è solo frutto di scrittori incapaci che imitano grandi autori americani con anni di ritardo (es. Genna o i Wu Ming con Dos Passos, Ellroy, Pynchon, Vonnegut). Questa è una. Dall’altra ci sono quegli scrittori che fanno sia quello che dici te (creare una narrazione ed immergertici) sia, utilizzando un linguaggio particolare, conferire alla narrazione medesima un tono particolare con un determinato scopo. Valga l’esempio di Jack Vance, che sceglia spesso parole particolari, si focalizza nella descrizioni di attività inconsuete e stravaganti, indugia molto sui colori, sugli odori, sull’aspetto sensoriale per enfatizzare l’esotismo delle sue ambientazioni. Lo stile barocco ed elaborato di Vance non è così a cazzo per fare il ganzo, ma è funzionale ad uno scopo ben preciso: rendere ancora più esotici i suoi mondi esotici. Dall’altro lato ci sono (e mi piacciono molto) i maestri della scrittura asciutta, essenziale, talmente viva e realistica che ti buttano direttamente dentro la storia senza che tu te ne accorga, facendoti scoprire in maniera indiretta dettagli e particolari etc – vedi Robert Heinlein o Mark Twain o Raymond Chandler.
In sostanta, quel che voglio dire è che entrambe le vie sono percorribili, e nessuna prevale sull’altra – dipende dal singolo caso e da cosa si vuole ottenere.
Ciao!

#35 Comment By Okamis On 16 luglio 2008 @ 21:59

Aggiungo un piccolo particolare per rendere meglio il pensiero che intendevo esprimere. Quando parlo di stile, anzi quando SI parla di stile non bisogna solo intendere la volontà da parte di un autore (in questo caso specifico di uno scrittore) di usare parole auliche o formule ricercate. S’intende anche l’impronta che l’autore vuole dare all’impianto della sua storia: la costruzione dei personaggi, la scelta se farli evolvere o meno, la struttura temporale degli eventi (inizio in medias res, progressione per elissi, per flashback ecc.), tono (colloquiale, solenne ecc.) e così via. La scelta del lessico ricopre solo una parte del lavoro “stilistico” dello scrittore. Faccio un altro esempio, forse più efficace di quelli proposti in precedenza: “Il profumo” di Patrick Suskin. Come si potrebbe rendere la sua opera con uno stile colloquiale, come se stessimo raccontando una storiella a un amico. Qui, temo, non ci riusciresti, Gamberetta. Non tutte le opere devono necessariamente ruotare attorno ad una trama densa di EVENTI interessanti. A volte ad interessare il lettore possono anche essere i pensieri dei personaggi, il substrato dell’opera. Un ultimo esempio? “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, opera sublime ma in cui non accade pressochè nulla dall’inizio alla fine (ho volutamente scelto un’opera teatrale, sempre per riferimento al mio precedente discorso “sull’opera narrativa”).

#36 Comment By Diarista incostante On 17 luglio 2008 @ 11:33

CiaoG.,
ho letto la tua risposta. Sono di corsa di nuovo e mi hanno appena fregato il cell, quindi spero di spiegarmi meglio, ma temo che il risultato non sarà eccelso.

Sono sicura che uno stile meno palloso avrebbe fatto sì che io leggessi la storia di laura e i gargoyle? Sì. Per lo meno sarei arrivata alla parte in cui succede qualcosa, invece che fermarmi quando si mangiano il cane e il pappagallo (era un pappagallo?) e piantare tutto lì.
Non ti sto dicendo che non hai talento/che non sei brava/o che ne so io. Quel ( e magari solo quello) racconto mi ha annoiata. Punto.

Le tue rece alle volte sono noiose, ma lo stile brillante me le fa leggere lo stesso, perchè rido leggendole, perchè sono argute, perchè mi sforzo e ne vale la pena. Ma se fossero scritte in uno stile trasparente, diretto, asciutto e sterile non le leggerei perchè sono troppo pigra per arrivare in fondo a qualcosa di interessante ma piatto e lunghissimo. E\’ un mio limite, intendiamoci bene.

Odissea e Don C. saranno pure appassionanti, ma visti al cine, non letti, mai (non omero per carità non ce la posso fare). Io (l\’avrai già capito) sono un\’ignorantona, e sulla velocità nello scartare un libro sono assai peggio di te. Leggo tre righe di incipit. Non mi prende il libro. Passo ad altro. Ma questo da sempre: la metà degli incipit che hai citato tu nell\’articolo apposito io li avrei bocciati, mentre tu li hai promossi. Sgozzano un maiale di fronte ad una chiesa? Chi se ne frega. Passiamo oltre. Per me uno stile che mi catturi è particolarmente importante, a 35 anno ho letto quanto basta per sapere che le storie da urlo sono pochissime, che lo stile può fare molta differenza, che i miei libri favoriti contano sia storie da urlo che storie medio-originali con uno stile fantastico (o almeno che a me risulta tale).

Riassumendo. Secondo me:

storia da urlo + stile trasparente -> leggo 1 volta, bello, addio per sempre perchè so già cosa succede.

storia schifosa + stile trasparente -> non lo apro nemmeno

storia media + stile trasparente -> leggo qualche capitolo (diciamo 3). Addio per sempre, troppa noia.

storia da urlo + stile che mi prende -> rileggerò quel libro fino all\’ultimo giorno della mia vita, lo consiglierò a tutti e lo comprerò persino. In più copie, da regalare.

storia schifosa + stile che mi prende -> leggo 2 capitoli, forse meno. Addio per sempre.

storia media + stile che mi prende -> leggo e apprezzo, magari anche moltissimo. Rileggerò prima o poi.

Come vedi una storia schifosa con uno stile trasparente rende meno di una schifosa con stile che mi prende, ma comunque alla fine del libro non ci arrivo, e decretare che è monnezza è un lampo. La sostanza resta tale, qualsiasi sia lo stile. Ma lo stile non è un optional. Fa la sua differenza, eccome. Poi nulla vieta di approvare, apprezzare ed amare solo quello trasparente. Se lo preferisci, perchè no? Io lo preferisco in certi ambiti, in altri no. Tutto dipende che libro ho in mano, praticamente.

Spero di essere stata un po\’ più chiara.
Ciao!

#37 Comment By Gamberetta On 17 luglio 2008 @ 12:38

@Okamis & Niccolo’. Quando parlo di stile trasparente non nego che possa essere formato da linguaggio aulico e struttura narrativa complessa. Secondo me la trasparenza è più facile da raggiungere con semplicità e precisione, ma è un’ipotesi. Non importa come sia lo stile, l’importante è che comunichi con efficienza la storia, che non attragga l’attenzione su di sé, poi ognuno può adottare le soluzioni narrative che preferisce.
Ma è ovvio che se narri attraverso flashback in terza persona plurale al futuro con linguaggio aulico è difficile che tu riesca a essere trasparente. Se poi ci riesci lo stesso, buon per te. Puoi essere barocco finché vuoi, il punto cruciale è che io devo vedere la storia, non il tuo essere barocco, tutto qui.

P.S. L’esempio di Matheson non sta in piedi: Moccia non ha uno stile trasparente, Moccia ha lo stile delle pubblicità televisive per cerebrolesi. Non credo che “Io sono leggenda” sarebbe stato poi così più brutto se scritto per esempio da Heinlein.

@Diarista incostante. Hanno impiccato un maiale di fronte alla Chiesa, non l’hanno sgozzato. E non mi sembra di dire una cosa strana se penso che sia curiosa l’idea di impiccare un maiale.
Poi se mi dici che abbandoni i libri all’incipit o alle prime pagine se lo stile non ti è congeniale, come la trovi la storia da urlo? Se io penso alle storie da urlo, erano tutte in romanzi scritti con stile trasparente o quasi.
“Quando Gregor Samsa si svegliò una mattina da sogni inquieti, si trovò trasformato nel suo letto in un immenso insetto.” Lo butti o lo tieni? E se lo butti, posso chiederti un esempio di storia da urlo che hai letto nonostante l’atroce stile trasparente?
(fra parentesi, il chi se ne frega può essere applicato a tutto, dev’esserci una motivazione dietro, per me il chi se ne frega è quando si parla di qualcosa di già visto, di stranoto, di mondano).

#38 Comment By Niccolò On 17 luglio 2008 @ 12:49

“Non importa come sia lo stile, l’importante è che comunichi con efficienza la storia, che non attragga l’attenzione su di sé, poi ognuno può adottare le soluzioni narrative che preferisce.”

Perfetto, sono d’accordo! Mi incuriosisce molto sapere che ne pensi di autori come John Brunner o Alfred Bester, eheh…

#39 Comment By Diarista incostante On 17 luglio 2008 @ 13:49

La metamorfosi l’ho tenuta, l’ho letta perchè me lo sono imposto (insomma: è kafka, qualcosa di kafka dovrò pur leggerlo in vita mia!), e non mi è piaciuta. E’ stato 10 anni fa, magari rileggendola adesso mi piacerebbe, chissà.

Comunque. Gamberetta, sul serio, non capisco quale sia il problema: impiccano un maiale. Non mi interessa, per quanto sia strano non mi interessa proprio. Leggo altro. Non mi sembra strano. Tu hai letto e apprezzato il libro del maiale impiccato, hai ragione a dire che impiccare un maiale sia strano, ma a me non interessa leggere di maiali appesi a soffocare di fronte ad una chiesa. Intendiamoci, magari così facendo ho perso qualcosa. Ma magari non ho perso chissà che, in ogni caso correrò il rischio e leggerò felice altre storie. E’ un mio diritto.

Mi rendo conto che in questo modo (smettendo di leggere molto in fretta un libro) rischio di perdere delle storie belle, anche se difficilmente ne perdo di quelle da urlo. Perchè se ho il dubbio prima di abbandonare un libro leggo anche qui e là, per essere certa di non fare una cazzata colossale. (Si può dire cazzata nei commenti?)
Una storia da urlo anche letta randomicamente qualcosa ti lascia, uno o più d’uno particolari che ti catturano ce li deve avere. Non può essere da urlo una narrazione con 1 singolo mega colpo di scena a pagina 338, poniamo, e nè prima nè dopo più nulla. Mi sembra pochino. Letto a spizzichi (come un trailer di un film) un libro da urlo un po’ di voglia di sapere com’è la storia te la mette addosso. Secondo me, ovviamente.

Infine, non ho detto che lo stile trasparente che evidentemente è il tuo karma faccia schifo sempre e comunque. Ho detto che applicato il 100% delle volte al 100% della narrativa impoverisce le storie, toglie sale alla lettura, fa sbadigliare. Ma in certi casi va benissimo, è lo stile più adatto. Penso semplicemente che riconoscere che altri stili possano essere egualmente efficaci, indovinati ed azzeccati, sia onesto. Tutto qui.

Ciao!

#40 Comment By Gamberetta On 17 luglio 2008 @ 14:09

@Diarista incostante. È ovvio che è un tuo diritto leggere quello che ti pare, ci mancherebbe, io sto solo sostenendo che dando l’importanza che dai allo stile, ti perdi una buona fetta di narrativa, la fetta davvero affascinante. Dopo di che, è una scelta tua, non c’è nessun problema.

#41 Comment By Okamis On 17 luglio 2008 @ 14:53

P.S. L’esempio di Matheson non sta in piedi: Moccia non ha uno stile trasparente, Moccia ha lo stile delle pubblicità televisive per cerebrolesi. Non credo che “Io sono leggenda” sarebbe stato poi così più brutto se scritto per esempio da Heinlein.

Beh, Heilein non mi pare abbia uno stile poi così distante da quello di Matheson, visto che, pur non avendo la stessa semplicità di linguaggio dell’amico Richard, difficilmente si lasciava andare ad aulicismi o a toni più alti del dovuto. Senza contare che entrambi scrivevano fantascienza (seppur di stampo decisamente diverso e sebbene a Matheson tale genere sta alquanto stretto). Tu invece in un tuo intervento precedente (scusa se non lo vado a cercare ;-) affermavi che anche raccontata a voce, una bella storia mantiene il suo fascino. Forse la storia sì, ma di certo non sarà in grado di darti le medesime emozioni dell’originale. Ergo, rimango della mia opinione: un’opera perchè sia realmente grandiosa deve presentare sia una trama che uno stile grandiosi. In mancanza dell’uno o dell’altro ci troveremo di fronte ad un’opera mediocre (in maniera più o meno accentuata). Comprendo comunque le ragioni che ti portano a sciegliere un libro piuttosto che un altro, e sono comunque logiche. Semplicemente abbiamo una diversa scala di valori riguardo su cosa un’opera si dovrebbe fondare :)

#42 Comment By Leekanh On 17 luglio 2008 @ 17:11

Ho come il sospetto che l’articolo sia stato troppo frainteso, magari non è spiegato nel modo più chiaro del mondo, anche perché ci ho dovuto riflettere un po’ su prima di capire tutto tutto (sarà che era notte tardi!)

Comunque la faccenda dello stile non è tanto della forma di scrittura in se, uno allo stile trasparente (impossibile da raggiungere a causa dei limiti del mezzo) ci si avvicina un po’ come gli pare, posso scrivere come Joyce (che nonostante faccia literary fiction mi piace!) o come Mark Twain ed avere uno stile che risulti trasparente, solo che se scrivo come Joyce devo essere un genio, perché è molto più difficile! (e già scrivere come Joyce ce ne vuole, insomma, scriverci una storia decente è quasi utopico!)…

L’importante è che io dica “Bella storia, raccontata bene”, non “La storia fa schifo, ma quella metafora a pagina 53 mi ha fatto pensare al dramma giovanile nella nostra società che…”

Come lo faccia sono dettagli, l’importante è che lo faccia! Se Vance doveva rendere esotico il posto esotico e ci è riuscito buon per lui, se invece ti fa pensare “Wow! che sublime accostamento di parole!” ha sbagliato qualcosa! (genere, solitamente)

#43 Comment By Niccolo’ On 17 luglio 2008 @ 18:19

No, tranquillo/a che Vance ci riesce – quella scelta di parole etc. etc. rende vivo il “colore” dei posti e le incredibili civilta’ che elabora, non sono vezzi da cazzaro. Almeno quanto Heinlein utilizza uno stile asciutto, secco, essenziale, vivo – lo leggi e suona semplice, ma mai semplicistico. Noti, se vuoi, quanto e’ bravo a scrivere dialoghi naturali e quotidiani, a rendere le sue ambientazioni mediante un meticoloso utilizzo della descrizione indiretta e del dettaglio buttato lì con nonchalance. E’ un semplicita’ ingannevole, molto difficile da ottenere, che fa risultare tutto come naturale, spontaneo, vissuto. Giuseppe Lippi parlava di stile vagamente hemingwayano, e non a torto.

#44 Comment By Crakowski On 18 luglio 2008 @ 16:02

Da quello che ho capito, la tenutaria, parla primariamente di letteratura fantasy e discutendo di fantasy è chiaro (pur non avendo mai letto un libro di fantasy) che “la storia prima di tutto” a prescindere dallo stile (che naturalmente se è lo stile di moccia puoi avere la miglior storia da raccontare, ma dopo due secondi vomiti sul libro). Non avendo mai letto fantasy non posso che fare un discorso generale.
Se si fa un discorso di “genere” è chiaro che ci sono generi dove “è la storia non chi la racconta” (fermo restando naturalmente che lo scrivente abbia almeno una qualche minima capacità di mettere in fila una frase sensata e corretta) ad essere la regola d’oro, ma non sarà mai una regola d’oro valida sempre e comunque.
“Fiesta” di Hemingway non ha una storia, la trama è semplice quanto una puntata dei puffi….ma lo stile rende il libro un gioiello e questo si può dire di quasi tutti i romanzi dello scrittore.
“L.A Confidential” è un capolavoro assoluto per lo stile, per il registro narrativo usato da Ellroy; svuotato di questo sarebbe una storia come tante di poliziotti corrotti, partite di droga etc etc: noiosa e poco interessante.
Bukowski era puro stile (dialoghi caustici e perfetti, ironia assoluta) ma in quanto a storie era sempre la stessa minestra riscaldata.
Poi ci sono gli autori che non hanno nè stile nè storie come Kafka e Dostoevskij, che senza girarci intorno non sapeva proprio scrivere, dove tutto non è funzionale nè ad una storia nè al raccontarla bene ma esprimono l’essenzialità stessa dell’essere umano. E sono autori questi che esulano da qualsiasi commento sulle strutture narrative in se e per se perchè hanno altro di universale da dire.
Poi ci sono gli autori come King che non possono far altro che affidarsi alle storie e possono solo quello. Vuoi per capacità artistiche, vuoi perchè il genere, appunto, non chiede altro che storie interessanti e perchè solo questo hanno il “dovere” di offrire. Senza che questo sminuisca minimanete il valore dell’opera o dell’ autore.
Ci sono generi dove la storia di Giove è quanto di più si può chiedere e generi dove è “Rimini” il massimo spendibile.
Ma sinceramente discorsi tipo è sempre meglio Giove o sempre meglio Rimini non sono discorsi da applicarsi in toto a tutta la letteratura.

#45 Comment By Clio On 19 luglio 2008 @ 01:48

Articolo interessante, anche se c’è un punto che mi rimane un po’ dubbio:

Nessuno mi vieta di scrivere un saggio sul problema del razzismo nell’Europa del XXI secolo, e ne può venire un ottimo saggio, ma non sarà buona narrativa. La narrativa che si ferma a rielaborare la Realtà, senza andare oltre, senza aggiungere altro, è solo una perdita di tempo.
Ci sono autori che si compiacciono d’immergere le loro opere in un bagno di Angosciosi Problemi del Nostro Tempo; costoro credono che così facendo le loro opere di narrativa acquistino significato, invece succede l’opposto, ne vengono svilite.

Non sono completamente d’accordo. Zola scriveva narrativa, e scriveva della realtà, i suoi romanzi sono bei romanzi da leggere e una denuncia sociale (per certi versi ancora attuale), quindi non solo dilettevoli, ma anche utili.
Ora, se si parla specificamente di letteratura fantasy, il discorso è parzialmente diverso secondo me. Io non ci vedo niente di sbagliato se qualcuno scrive un libro fantasy che, parafrasato, è una denuncia delle stragi in Cecenia, se è scritto bene (non nel senso di stile ma nel senso di ambientazioni, caratterizzazioni, ecc.) dov’è il problema? In definitiva, chi dispone i pezzi come nella scacchiera dedicata all’alfiere nero è un buffone o meno secondo le circostanze, e comunque merita un minimo di più di chi fa una faccina sorridente fine a sè stessa.
Questo a grandi linee ovviamente…

#46 Comment By Hanuman On 20 luglio 2008 @ 14:00

Mah, premetto una cosa. Anche io, come Gamberetta, preferisco di gran lunga la letteratura fantastica. Il motivo è molto semplice: mi sembra che quanto più uno si discosti dalla realtà e parli con simboli, fantasia, immaginazione etc… tanto più colpisca l’essenza delle cose. Molti romanzi colpiscono il mio cervello, il fantastico colpisce la mia pancia. E questo è esattamente ciò che chiedo da una storia, essere colpito allo stomaco. Sentire paura per qualcosa di mostruoso, sgranare gli occhi per qualcos’altro di meraviglioso.

Detto questo, va anche detto che 5000 versi su un filo d’erba verde – se scritti bene – possono darmi una nuova idea di “verde”. E un viaggio a Rimini ben descritto può farmi apparire Rimini in una luce diversa da come l’ho sempre vista.
Il discorso storia versus stile mi sembra una grossa stronzata, con tutto il rispetto. Non è “cosa vs come”. Cosa e come sono esattamente sullo stesso piano. Anche gli autori con lo stile più piatto del mondo, a meno che non siano dei cani, hanno scelto quel modo di raccontare perchè si adattava bene sulla storia. Alla base c’è lo stesso studio e la stessa… diciamo artificialità di chi scrive in stile aulico.
Continuare a dividere la trama dallo stile porta a una visione sbagliata dello scrivere una storia. Soprattutto a una visione sbagliata del concetto di stile: da buona parte degli esempi nei commenti qui sopra, bene o male sembra che vi riferiate allo stile come l’infiorettatura. O la metafora elaborata. Lo stile è la forma, senza la forma le idee restano nell’iperuranio. Senza le colonne doriche-ioniche o quel che sono, l’edificio non esiste, non sta in piedi.
O forse sono io (e allora se ne può parlare) che non capisco bene cosa intendiate per “stile trasparente”. Perché anche l’incipit della Metamorfosi mi sembra tutto oltre che trasparente, con l’inizio così, sparato di colpo, quasi ovvio.

E contando che abbiamo millenni di gente alle nostre spalle che racconta delle storie, penso davvero che non potremo più dir molto di davvero originale, sul livello della trama pura (a meno che forse non ti chiami Calvino).
Nessuno, credo veramente nessuno (parlando sempre di gente brava, eh) si affida solamente alle storie. E sicuramente non lo fanno i cosiddetti “autori di genere”.
Anche perchè sennò, tra ribelli che combattono contro l’Impero, umani in società di mostri, ragazzi che imparano che da grandi poteri derivano grandi responsabilità, siamo ben lontani dall’avere un primato della storia sul modo di raccontarla.

Ultima cosa…

Poi ci sono gli autori che non hanno nè stile nè storie come Kafka e Dostoevskij, che senza girarci intorno non sapeva proprio scrivere,

Eh? ti droghi?

#47 Comment By Riki On 22 luglio 2008 @ 11:02

Capisco il tuo argomento, ma purtroppo si può anche ottenere l’effetto contrastante. Se l’autore non mi da niente di informazioni, io dopo un po’ mi perdo. Mi è successo con un libro molto bello, affascinante e accattivante, dove però l’autore ha lasciato tutto a me. Non spiega nemmeno una cosa, racconta, e questo molto bene, la storia, descrive le persone e nomina le cose. Ma io non sono riuscita a finire il romanzo. Avevo troppo poco per essere veramente dentro nella storia, non perchè l’autore non sapesse mostrare il suo mondo, ma perchè non mi lasceva entrare. Se due ingenieri si raccontano una barzelleta e io non capisco ma voglio poter ridere anch’io, vorrei avere una spiegazione. Se non me la danno mi sento esclusa. Certo che alcune cose ti arrivano da solo, chi è il popolo xy e che tipo di arma sta usando l’eroe. Ma non entri nella cultura, nel vero mondo. Le somiglianze che riesci a spiegarti vengono dal tuo di mondo…e finiscono lì. Per cui bisogna sicuramente informarsi per scrivere, non c’è da discutere, ma poi tenere conto che il lettore magari non sa tutto ciò che hai ricercato per scrivere in maniera decente. E spiegare per attiralo.

#48 Comment By Lo Sparviero On 25 luglio 2008 @ 21:52

A chiunque stia leggendo questo commento: Non mi ritengo un esperto in materia di recensioni ma credo che questo possa interessare a qualcuno. :)

#49 Comment By Pamy & Moldy On 30 luglio 2008 @ 11:30

Ue raga, tutto bene? Qui mi sa che la Gamberetten è in ferie. E’ diventato un mortorio. Tutto desolante e triste, come il suo ultimo articolo che paragona scacchi e letteratura. Una sbrodolata allucinante per esporre, con la sua consueta verve millantatrice che la scrittura debba essere trasparente. Non è assolutamente detto. Non hai capito niente come tuo solito Gamberetta. A parte il fatto che la gamma di interpretazioni della scrittura è talmente vasta che nessuno, figuriamoci tu, potrebbe permettersi di imprigionarla in categorie convenzionali allo scopo di facilitare le cose. Molti autori rivelano il loro fascino essendo criptici e facendo lavorare la materia grigia del lettore che deve sforzarsi di ragionare, capire, interpretare, unire i pezzi di storie e altro.

Lo stile perfetto (o non stile) nella narrativa è quello totalmente trasparente.

Cazzata mondiale. Allora dovremmo eliminare moltissimi autori eccelsi che la letteratura mondiale abbia annoverato fino ad oggi. Si vede che sei abituata a leggere libri che ti preparano la pappa bella e pronta. Sforzo mentale zero. Immaginazione meno di zero. Complimenti! Tu sì che hai davvero compreso l’essenza della scrittura, che per inciso non è solo comunicare… il volantino informativo comunica, le tabelle orarie dei treni comunicano; la scrittura dei libri deve andare oltre, molto oltre.
Se proprio scrivi “Lo stile perfetto nella narrativa SECONDO GAMBERETTA è quello totalmente trasparente” e finiscila di scassare propinando “verità assolute” che NON hai (come tenti di fare). Esponili come pareri e falla finita. Puoi argomentare quanto vuoi. Sono e saranno sempre ciance farcite da tuoi pareri.

Ora, l’argomento non è off-topic. Vedi di non metterlo in fogna, dittatrice che non sei altro.
A proposito, a quando la tua famosa pubblicazione in stile perfettamente trasparente ?
E’ inutile che ignori la questione. Mica ce lo siamo scordate che tanto detesti questa piccola cosuccia.
Non starai diventando ipocrita come i seguaci di fantasy magazine ci auguriamo!

#50 Comment By mariateresa On 4 settembre 2008 @ 19:54

Qual è lo stile perfetto? Tutti o nessuno, dipende dai casi. Se io scrivo un poema epico, lo stile che più gli si adatta è quello del linguaggio epico semi-aulico. In quel caso, quel tipo di linguaggio sarà il linguaggio perfetto(per quel tipo di narrazione). Stessa cosa se scrivo una commedia. Posso alternare linguaggio aulico e comico ottenendone uno tragi-comico, ma non potrò di certo usarne uno epico. Ogni linguaggio serve a creare un determinato tipo di atmosfera nelle varie narrazioni. Un bravo scrittore deve sapere come dosare bene i vari linguaggi a seconda delle sequenze del suo romanzo, e se sceglie di narrare una storia con un unico sfondo deve stare attento alle sbavature di stile. Mischiare gli stili è, credetemi perchè io l’ho fatto, molto rischioso e molto divertente. SI ottiene qualcosa di unico e raro, di un’originalità incredibile. Guardate la Divina Commedia di Dante, per esempio. Mischia gli stili in continuazione a seconda delle varie vicende vissute dai protagonisti, spaziando dal più sublime dei linguaggi alle più volgari espressioni(volgari nel senso di colorite e dialettali, come saprà chi conosce il volgare di Dante).
Ci sono però alcuni linguaggi che, in tutti i casi, andrebbero evitati perchè nati per mutilare le parole. Il primo è quello che io chiamo smsese, la lingua del cellulare. Se schiere di uomini hanno inventato tante belle e adorabili lettere per comporre le parole, perchè mai storpiarle a quel modo? Certo, se si va proprio di fretta non sono un crimine le abbreviazioni, ma le mutilazioni(pkè ad esempio) sono davvero mortificanti. Secondo linguaggio da evitare è quello che io chiamo il parolaccesco. Serie di insulti bassissimi e improperi della peggior specie vengono ripetuti a raffica ogni tre o quattro righe, al solo scopo di avvolgere il libro magari decente in una nuvola temporalesca di squallore. Invece di colorire il linguaggio, esagerando con queste orribili parole(nate col solo scopo di rovinare la buona educazione nella lingua italiana)lo si scolorisce ed imbratta di schifezze. E sarebbe meglio, per tutti, se simile linguaggio venisse eliminato anche nel parlato, perchè conduce a vie assai poco felici.
Il terzo linguaggio da evitare come peste è quello che molti ritengono trasparente ed limpido, ma che in realtà è opaco e torbido nel significato e nella musicalità. Io lo chiamo il demenziale moderno. Ne esiste anche una versione antica, molto in voga nel seicento sotto il nome di lingua barocca, dove il le parole sono accozzate le une alle altre senza armonia e logica al solo scopo di creare uno stile ampolloso e falsamente arcaico(vedesi l’inizio dei Promessi Sposi di Manzoni, ovvero la trovata del manoscritto). Il demenziale moderno differisce di poco da quello antico ma è più pericoloso perchè molti giovani ingenui sono attratti dalla sua apparente semplicità. Vi si trovano tante parole di facile comprensione accuratamente strette vicine vicine, o messe dopo serie infinite di punti e virgole allo scopo di creare suspence, che ripetono sempre la stessa cosa in maniera davvero noiosa e martellante, magari un concetto che con poche ma buone e belle parole potrebbe essere espresso in due righe anziche dieci. Scopo di tale linguaggio?Far diventare demente chi lo legge,tramite una continua e insospettata lavanda celebrale. Alla fine del discorso, solitamente non resta nulla di tutto quello che ha detto l’autore, eccetto le varie parole facili facili e prive di significato, vuote e inespressive. Un esempio di tale linguaggio? la strazzulla e la troisi. Non mi dilungo oltre.

#51 Pingback By Papiri: Lara e Yoda sulla narrativa fantastica « Laramanni’s Weblog On 26 settembre 2008 @ 10:04

#52 Comment By LaCate On 28 luglio 2009 @ 12:35

Sullo stile:
Mai letto l’incipit in originale di Lolita (Nabokov, ma lo sai)? E’ una prosa d’artista e l’autore per primo ironizza sull’uso dello stile: “Si può sempre contare su un assassino per una prosa elegante”.
Sono, in linea di massima, d’accordo sul fatto che un obiettivo possibile della narrativa sia far vivere e anche io preferisco quello stile.
Esistono però esempi di buona narrativa in cui autore e lettore sono complici e assistono alle vicissitudini dei personaggi in modo distaccato ma non meno interessato. Tre uomini in barca, con il narratore inattendibile, è un esempio decente. Anche Ammanniti – che non amo più di tanto – usa questo sistema di narratore onnisciente credo anche dialogante con il lettore (della serie: “non dimenticarti che questo è un libro e quelli sono personaggi, adesso guarda cosa combino”)..
Di fatto esiste tutta una produzione di narrativa che non si impone come obiettivo la totale immedesimazione del lettore con l’azione/protagonista. Anche Ellis e Mc Carthy credo possano rientrare in questi canoni. Io ci metterei pure molto Kafka in questo calderone.
Non per fare polemica, solo qualche impressione. Mi pare che “prosa ornata” non sia lo stesso di “scrittura curata” e “scrittura trasparente” mi suona più come “minimo indispensabile”. Anche se ho capito che non intendi questo.
Si dice che ci siano gli Scrittori e i Narratori. Gli scrittori hanno un bello stile. I narratori ti fanno vivere altri mondi e altre vite.
Tutti amano i narratori. Ovvio.
Quello che mi lascia perplessa è che per immedesimarsi basta troppo poco. Basta la quantità di pagine. Basti vedere i recenti fenomeni (Troisi, Larsson, Rowlings).
Con mille pagine ti immedesimi anche in uno stronzo nel mondo di fognaland.
A parità di soggetto scarso è lo stile che da la cifra dell’autore. Nella maggioranza dei casi il romanzo che “scorre” e basta dovrebbe essere accantonato per le influenze o l’estate. No?

#53 Comment By Gamberetta On 28 luglio 2009 @ 15:10

@LaCate.

Non per fare polemica, solo qualche impressione. Mi pare che “prosa ornata” non sia lo stesso di “scrittura curata” e “scrittura trasparente” mi suona più come “minimo indispensabile”. Anche se ho capito che non intendi questo.

In generale “minimo indispensabile” è una buona idea, qualunque concezione della scrittura tu abbia. Il narrare solo l’essenziale con meno parole possibili si chiama eleganza. È una qualità.

Quello che mi lascia perplessa è che per immedesimarsi basta troppo poco. Basta la quantità di pagine. Basti vedere i recenti fenomeni (Troisi, Larsson, Rowlings).

Se entriamo nel commerciale non ne usciamo più. Perché la gente non acquista un libro in base a considerazioni sulla (presunta) qualità del testo. Compra perché:
– È al supermercato impilato in colonne più alte di un altro libro simile.
– La copertina è accattivante.
– Ci sono elfi o vampiri nella storia.
– Ha sentito il nome dell’autore in TV.
E così via.
Inoltre libri come quelli della Troisi (e in parte la Rowling – non ho letto Larsson) si rivolgono a un pubblico inesperto (perché molto giovane o perché a digiuno di narrativa fantastica). È facile affascinare chi non ha termini di paragone. Anche la tortina preconfezionata presa al supermercato può sembrare buona se non sei mai stata in pasticceria.

#54 Comment By Angra On 28 luglio 2009 @ 16:34

Aggiungerei un motivo per cui un libro viene comprato:

- è lungo 1200 pagine e il lettore fa il pendolare e passa molte ore in treno a leggere in uno stato di torpore. Idem se ha intenzione passare l’estate a leggere sotto l’ombrellone.

#55 Comment By Merphit Kydillis On 18 ottobre 2009 @ 17:42

Parlando di scacchi: questo è il capitolo CXLIII (143) de La Trilogia di Magdeburg – La Furia di Alan D. Altieri. Come lo giudichi questo passo?

«Scacco»
Alessandro Colonna depose il cavallo nero, terza di torre. Ne ruotò il muso verso il sovrano bianco.
«Al re.»
Padre Cornelius van Straat appoggiò il mento sui palmi delle mani, dita intrecciate. Studiò la scacchiera in mezzo a loro.
«Mossa temeraria, Eminenza.»
«O temerariamente calcolata.»
«Dite?» Padre Cornelius indicò da un pezzo a un altro. «Non state esponendo il cavallo?»
Alessando non rispose.
Padre Cornelius tenne la mano sospesa sull’alfiere bianco. Non toccò il pezzo. «A un controattacco in arretramento sulla diagonale di regina, intendo.»
Ancora silenzio da Alessandro.
«Prendo il vostro cavallo» risolse Padre Cornelius,
Prese il cavallo.
Alessandro spostò la torre nera destra. Da un estremo all’altro della scacchiera.
«Scaccomatto.»
«Eminenza?»
«re bianco intrappolato dal vostro arrocco dietro gli ultimi due pedoni bianchi.» Alessandro si rilassà contro lo schienale. «Unica via di fuga: la diagonale di cavallo. Sbarrata dalla regina nera.»
«Lo scacco si merita…» Padre Cornelius alzò gli occhi dal cielo. «Questo vecchio troppo distratto.»
«Una magnifica partita comunque, Padre Cornelius.» Alessandro bevve un sorso di liquore d’erbe. «Combattuta all’ultimo sangue.»
«Tradizione dei Dekken.» Era stranamente privo di calore il sorriso di Padre Cornelius. «All’ultimo sangue.»
(…)

#56 Comment By Gamberetta On 21 ottobre 2009 @ 15:59

@Merphit Kydillis.

Parlando di scacchi: questo è il capitolo CXLIII (143) de La Trilogia di Magdeburg – La Furia di Alan D. Altieri. Come lo giudichi questo passo?

Fa schifo. È pretenzioso e artefatto. Certe cose fanno sorridere tipo: “Alessandro spostò la torre nera destra. Da un estremo all’altro della scacchiera.” “la torre nera destra” non ha molto senso per indicare una torre, visto che entrambe possono essere a destra (di chi o cosa?) nella stessa colonna e notare “Da un estremo all’altro della scacchiera” come frase separata, per dare enfasi, quasi che spostare una torre di otto caselle sia più cool di spostarla di una.
“«re bianco intrappolato dal vostro arrocco dietro gli ultimi due pedoni bianchi.»
Alessandro si rilassò contro lo schienale. «Unica via di fuga: la diagonale di cavallo. Sbarrata dalla regina nera.»”: non vuol dire niente. Se il re bianco dopo l’arrocco è “intrappolato”(sic) dai pedoni bianchi, molto probabilmente è in H1, con pedoni in H2 e G2, l’unica mossa è muoversi da H1 a G1. Non ci sono diagonali.

#57 Comment By Merphit Kydillis On 21 ottobre 2009 @ 21:21

@ Gamberetta

Messaggio ricevuto… ma qualcosa mi dice che, se dovessi recensire Magdeburg, nessuna pagina verrà risparmiata
Effettivamente non ci ho capito granché di questa rappresentazione degli scacchi. Però, piano, questo è uno dei miei romanzi preferiti :D

#58 Comment By WordSmuggler On 21 ottobre 2009 @ 23:55

@merphit e gamberetta:

Mi son fatto l’idea che “intrappolato” sia un’iperbole e che il re sia in G1, con pedoni in G2 e H2, la “diagonale di cavallo” (che nella denominazione bislacca di questo brano immagino sia F2) coperta dalla regina (in diagonale dalla regina nera in H4 o in verticale con regina in colonna F), un alfiere interposto in riga 1 che viene mosso per catturare il cavallo e la torre nera che dà il matto muovendo A1. Di fatto non è matto, ma è comunque matto in una mossa: l’alfiere può tornare a interporsi, ma poi la torre se lo mangia e siamo punto e daccapo.

Ciò non toglie che è un finale di partita goffo (non dai libertà di scorrazzare a una torre avversaria, se lo fai ti meriti di aver perso e dovevi abbandonare da un po’) e che comunque è scritto in modo da farmi sollevare più d’un sopracciglio.

#59 Comment By Gamberetta On 22 ottobre 2009 @ 00:32

@WordSmuggler. Hai ragione. Il Re è per forza in G1, perché poi dice che cattura il cavallo con l’alfiere che percorre la diagonale della regina, dunque il cavallo è in F3 o E2.
L’unica posizione che mi viene in mente è quella qui sotto:

Dove comunque c’è ancora una mossa per il bianco con l’alfieri poi in F1. Ma è tutto molto forzato e in ogni caso perché il bianco non si accorga di quello che succede vuol dire che il personaggio ha imparato a giocare da non più di mezzora.
La mia idea: Altieri non aveva in mente nessuna posizione precisa, è andato a caso.

#60 Comment By La mappa definitiva del Giovane Esordiente « Werehare’s Burrow On 8 agosto 2010 @ 15:55

[...] su come impostare un dialogo; * Il punto sul fantasy italiano, Riassunto delle puntate precedenti, Scacchi e scrittura, On fairy stories, Educazione e timidezza, Gli scrittori e il troppo Amore, Come non scrivere [...]

#61 Comment By Ettore On 2 ottobre 2011 @ 15:57

Guarda, quando parli di narrativa di genere secondo me ne sai a pacchi, sei un punto di riferimento per molte persone che vogliono scrivere. Ma questi discorsi sono un po’ limitanti:

Al lettore di literary fiction spesso piace darsi arie. Lui legge Letteratura con la L maiuscola, Arte con la A maiuscola, si compiace di perder tempo con Opere che mischiano in un unico pastrugno mezzo e fine, parole e loro significato. In realtà è come il tizio che non riesce ad andare oltre una faccina sorridente, non saprà mai quanto è molto più travolgente L’Immortale. Lo scrittore di literary fiction poi non lo prendo neanche in considerazione, è nient’altro che un buffone (so benissimo di aver appena dato del buffone a chissà quanti presunti Geni Riconosciuti della Letteratura, fatti loro!)

Posso immaginare che molte persone abbiano la puzza sotto il naso, ma ribadirlo con questo tono è un po’ come a giocare ai piccoli ribelli, o all’Inner Circle dei blog di narrativa.
Abbiamo tutti il diritto che dire cosa ci piace e cosa non ci piace, ma su cose del genere non si può usare questo tono, se no sembra che vi diate un sacco di arie. In effetti, quando parli così, tra questi Geni Riconosciuti della Letteratura ti ci vedo bene, lo Sgarbi della controcultura.
Se poi dietro questo rancore c’è qualcosa di personale, allora chiedo venia.

#62 Comment By Ezra On 2 ottobre 2011 @ 19:03

Non avevo letto questo articolo (e quello collegato cui si rinvia)… e che dire… l’ho trovato “singolare”.

Domanda “stupida”: ma non credi che un “film” (o una animazione) sia più trasparente della narrativa? (Forse anche le scienze cognitive possono provare che la “visione” su schermo di Marte sia più coinvolgente della sua “narrazione” per quanto si domini al meglio la regola aurea dello “show don’t tell”). E in questo caso, se si vuole ottenere la migliore trasparenza, non è meglio fare e vedere film? Insomma, non sono “buffoni” anche quelli che “creano nuovi mondi narrativi” quando tali mondi potrebbero essere meglio “mostrati” attraverso il medium cinematografico (visione+suoni)?

Ora, dire che è cosa da “buffoni” baloccarsi con le parole e che la narrativa deve solo “creare mondi” (in modo trasparente)… non è limitante? Perché non riconoscere il valore anche di un genere letterario che si precisi – ad esempio – solo in giochi di parole? Forse perché è una perdita di tempo o inutile? Ma non credi che anche leggere di “mondi popolati da fate” (o guardare la TV o passare ore coi videogiochi o studiare l’Egitto) sia parimenti una perdita di tempo o inutile?

Poi non capisco chi sono questi Sommi Scrittori che sono in realtà dei Buffoni. Insomma, posso immaginare i vari Joyce, Gadda e co., secondo quanto scrivi. Ma visto che attacchi anche chi scrive di cose “reali” (meglio andare a Rimini o su Giove?)… un Thomas Mann che scrive “I Buddenbrook” è un buffone? Detto questo, io preferisco di gran lunga andare nella Russa di Dostoevskij o nella Germania di Mann o nell’America di Franzen piuttosto che su Giove o al centro della terra. Sono gusti: c’è chi preferisce incontrare un “uomo” diverso da sé, altri invece preferiscono gli spazi siderali o i microbi… ma insomma, parlare di “valore” oggettivo e dire che Giove è meglio di Rimini mi pare eccessivo.

#63 Comment By Davide On 2 ottobre 2011 @ 23:14

Grande articolo!

@Ezra provo a risponderti io.

ma non credi che un “film” (o una animazione) sia più trasparente della narrativa?

Ovviamente si, e, aggiungo, vivere di persona una storia fantastica e’ ancora meglio e più trasparente.

Insomma, non sono “buffoni” anche quelli che “creano nuovi mondi narrativi” quando tali mondi potrebbero essere meglio “mostrati” attraverso il medium cinematografico (visione+suoni)?

Gamberetta da del buffone nell’articolo a chi si diletta con il mezzo invece che con la storia. Nel caso cinematografico, immagina un regista che si prodiga ad esplorare la funzione zoom o a farti sentire come varia la qualità del suono piuttosto che mostrarti una storia.
Per quanto riguarda la domanda e’ lo stesso che chiedere “non sono buffoni quelli che creano un documentario sulla giungla invece di pagare a tutti il biglietto e portarci li direttamente?”.

Perché non riconoscere il valore anche di un genere letterario che si precisi – ad esempio – solo in giochi di parole?

Perchè poi dovresti riconoscere anche il valore letterario di chi scrive l’elenco del telefono.

Ma non credi che anche leggere di “mondi popolati da fate” (o guardare la TV o passare ore coi videogiochi o studiare l’Egitto) sia parimenti una perdita di tempo o inutile?

Non e’ una questione di inutilita’. Il punto e’ che leggere l’elenco del telefono o leggere un libro con le rime inventate dal parroco solitamente non e’ divertente.

Detto questo, io preferisco di gran lunga andare nella Russa di Dostoevskij o nella Germania di Mann o nell’America di Franzen piuttosto che su Giove o al centro della terra

E’ una preferenza legittima. Il punto del discorso e’ che nella letteratura fantasy e’ preferibile un racconto che stimola tanta fantasia ad uno che ne stimola meno. Se preferisci andare in Russia perchè li ti mostrano Zangief che bara alla gara dei rimbalzi su fiume utilizzando folletti al posto dei sassi, io, Giove o non Giove, vengo con te.

#64 Comment By Ezra On 3 ottobre 2011 @ 10:40

Se preferisci andare in Russia perchè li ti mostrano Zangief che bara alla gara dei rimbalzi su fiume utilizzando folletti al posto dei sassi, io, Giove o non Giove, vengo con te.

Solo per questo hai conquistato la mia simpatia!

Per quanto riguarda il discorso circa la “trasparenza”. Dico che se si vuole ridurre la narrativa solo a una tecnica che serve a “mostrare” nel modo più trasparente possibile un “mondo nuovo”, allora occorre riconoscere che la scrittura è una tecnica limitata e che è abbondantemente superata da altre tecniche: quella cinematografica in primis. E allora non si capisce perché scrivere, se ci sono modi migliori per “creare nuovi mondi”.
Io credo invece che la scrittura abbia un valore intrinseco, e in questo senso ha valore la narrativa fantastica che crea “nuovi mondi fantastici” (e che per crearli DEVE attenersi a rigide regole… e tre volte grazie a Gamberetta per aver divulgato queste regole). Ma pure altri generi hanno valore: la poesia (vabbé, troppo facile), il cosiddetto “romanzo borghese” (che crea mondi, sebbene non fantastici), ma anche quei generi che nascono dal bisticciare con le parole, e che invece di costruire “mondi” costruiscono architetture che magari non dicono nulla in termini di “trama” di “storia”, ma che sono geometricamente e stilisticamente ben riuscite (come un quadro astratto: che può essere piacevole da guardare a seconda dei vari equilibri di geometrie e di colore, ma che dice ben poco in termini di “senso”… al di là degli sbrodolamenti dei vari critici d’arte). Ora, non si tratta di elenchi telefonici, ma di “bello stile”, come lo chiama Gamberetta… anche se ci si potrebbe chiedere (a proposito di elenchi) come mai un Gassman che legge “La lista della spesa” o un Carmelo Bene che bisticcia con i classici possono essere più piacevoli di un qualunque attore che recita Shakespeare a teatro: forse perché c’è un quid che va oltre la semplice “storia” e che si precisa appunto nello “stile”? E se si riconosce uno “stile” recitativo che può valere a prescindere da ciò che la recitazione comunica come oggetto narrativo, perché non riconoscere anche uno “stile” di scrittura che può valere di per sé come genere proprio? Insomma, perché non riconoscere che la scrittura può essere diversa da una partita a scacchi, per cui vi è solo e un solo scopo da raggiungere?
Un conto è dire a uno che sta scrivendo Fantasy che si sta perdendo in “stronzate” (cioè in un modo di scrivere che in vista dell’intero – cioè una storia fantasy – è per forza una stronzata); diversa cosa (a mio avviso errata) invece è dire che il “bello stile” è una stronzata a prescindere, senza considerare che il “bello stile” ha un suo valore proprio (se non si intrude in generi che non lo possono tollerare).

#65 Comment By Davide On 3 ottobre 2011 @ 16:05

@Ezra:

Dico che se si vuole ridurre la narrativa solo a una tecnica che serve a “mostrare” nel modo più trasparente possibile un “mondo nuovo”, allora occorre riconoscere che la scrittura è una tecnica limitata e che è abbondantemente superata da altre tecniche: quella cinematografica in primis.

Io infatti la vedo proprio cosi’. Perchè un viaggiatore perfetto (libero da vincoli e ottimamente disposto) deve accontentarsi di immaginare (libro) quando puo’ vedere/sentire/immaginare (film) ?
In realta’ il grosso problema e’ che realizzare un film e’ molto più complicato e costoso. E poi il viaggiatore di solito ha delle tare tipo “voglio viaggiare rigirandomi sul letto” oppure “oh no, odio Nicolas Cage, perchè proprio lui?”.

Di nuovo: la scrittura e’ un mezzo per raggiungere uno scopo. Se un altro mezzo permette di raggiungere lo stesso fine ma in maniera migliore, allora e’ da preferirsi.
Stesso discorso per i generi letterari: ogni genere letterario deve avere uno scopo ed essere giudicato per come lo raggiunge.
Se l’obiettivo e’ far visitare Giove a tizio e scelgo la poesia, so già che non farò un lavoro ottimale. Non lo farò perche’ esiste il mezzo “racconto” che funziona meglio. O il mezzo “film”, meglio ancora. O il mezzo “viaggio spaziale”. Poi sta a me capire quali mezzi sono in grado di usare e quali sono costretto a scartare per motivi economici.

Un dipinto astratto può aver valore se lo scopo e’ stupire con l’astrazione, ne ha bel poco se lo scopo era ritrarre fedelmente una vecchia, ed in ogni caso ne ha meno di qualunque altro mezzo in grado di “migliorare” l’obiettivo.

Insomma, perché non riconoscere che la scrittura può essere diversa da una partita a scacchi, per cui vi è solo e un solo scopo da raggiungere? (..)
(..) diversa cosa (a mio avviso errata) invece è dire che il “bello stile” è una stronzata a prescindere, senza considerare che il “bello stile” ha un suo valore proprio (se non si intrude in generi che non lo possono tollerare)

Sono d’accordo. Il bello stile ha valore ma principalmente solo se lo scopo e’ quello di far bello stile (riconosco che potrebbero esserci altri fini, ma non ho voglia di immaginarmeli). Altrimenti diventa un contorno poco efficace.
Se io scrivessi un libro pieno di punti esclamativi ed in mezzo ogni tanto la parola “elfo” con tutti i ghirigori, sarei poco efficace in letteratura esclamativa (a causa dei dannati elfi) oltre che un buffone nella letteratura fantasy. Non importa quanto difficile e artistitico sia scrivere “elfo” in quel modo. Certo qualcuno che apprezza i ghirigori si trova sempre.

Concludo dicendo che se Gassman leggesse una barzelletta al posto della lista della spesa, sarebbe più divertente. Allo stesso modo se leggesse una voce dell’enciclopedia sarebbe più utile. Quindi la lista della spesa, se non devo andarci davvero al supermercato, come mezzo non e’ efficace.

#66 Comment By Ezra On 4 ottobre 2011 @ 09:36

@Davide
ma finora abbiamo detto la stessa cosa. Io sono al 100% con te e Gamberetta, quando si tratta di analizzare il Fantasy e considerare le regole per scrivere nel migliore dei modi narrativa Fantasy.
Quello che sto dicendo è che è riduttivo affermare che la sola narrativa che ha senso (e Gamberetta vuole far passare questa sua opinione come un giudizio oggettivo) è la narrativa fantastica, perché è la sola che crea nuovi mondi.

Quando scrive cose del genere, capiscimi, non posso essere d’accordo, perché qui Gamberetta dimostra di avere una concezione limitatissima della letteratura, nel senso che la riduce a un solo aspetto. C’è sense of wonder? Allora è buona letteratura. Non c’è? Allora è una buffonata. Leggi:

La narrativa non ha bisogno d’imitare la Realtà, può farlo, ma questo non è un merito, è un altro pasticciare da bambini stupidotti, è ancora un rifiuto del gioco per disegnare invece faccine carine. La narrativa deve ampliare la Realtà, generare nuove Realtà, allargare i confini dell’immaginazione della nostra specie.
Nessuno mi vieta di scrivere un saggio sul problema del razzismo nell’Europa del XXI secolo, e ne può venire un ottimo saggio, ma non sarà buona narrativa. La narrativa che si ferma a rielaborare la Realtà, senza andare oltre, senza aggiungere altro, è solo una perdita di tempo.
Ci sono autori che si compiacciono d’immergere le loro opere in un bagno di Angosciosi Problemi del Nostro Tempo; costoro credono che così facendo le loro opere di narrativa acquistino significato, invece succede l’opposto, ne vengono svilite. Questi autori rientrano anche loro nel calderone dei buffoni

Farsi domande sul senso del proprio tempo (addirittura scrivere saggi) è cosa inutile. Gamberetta non sospetta che anche un romanzo che narra di una famiglia borghese dell’Ottocento crea un mondo e un senso. Solo che Gamberetta passa per oggettivo quello che è un gusto e un interesse personale e crede che sia universale il “desiderio di trovarsi su Giove”. Questo è il limite del discorso di Gamberetta: non si coglie che universale è il desiderio di “trovarsi altrove”; mentre il “dove” (Giove o Rimini) è un elemento empirico che varia di persona in persona. Insomma fa lo stesso errore di chi privilegiando il romanzo psicologico perché pone al centro della realtà l’uomo e i suoi conflitti interiori giudica come sciocchezze tutto il resto che serve solo a divertire. L’errore è identico. Si prende un elemento del proprio interesse e lo si universalizza e da qui dimostrazioni che lasciano il tempo che trovano, perché appunto l’esempio della scacchiera va bene se si considera la narrativa in senso stretto come una tecnica che ha un solo fine. Un approccio più equilibrato dovrebbe farci dire che quello della scacchiera è un ottimo esempio per quanto riguarda la narrativa fantastica. Esprimersi in modo risentito (mi pare sia così) contro la narrativa non-fantastica mi pare limitante, e qui l’intelligenza (che non è poca) di Gamberetta pare abbia fatto posto al risentimento (magari per ribattere agli ottusi che credono che solo romanzi come “I Buddenbrook” possono considerarsi tali, mentre il resto è spazzatura). (Oddio, quest’ultima è una congettura, ma credo di aver colto nel segno).
Ripeto, io mi sono trovato bene in posti come “Gormenghast” o sulle “Montagne della follia”… tuttavia mi sono trovato meglio, te l’ho già detto, nella Pietroburgo di Dostoevskij. Perché? Forse perché Dostoevskij tratta temi universali rispetto i quali tutti DEVONO sentirsi coinvolti e rispetto i quali soltanto gli idioti NON SANNO che ne sono coinvolti? No… semplicemente perché un Raskol’nikov o un Ivan Karamazov rispondono meglio di altri a quello che è il mio interesse attuale, o l’altrove che qui ed ora desidero. Vai dalla persona che ha perduto il proprio amore che è fuggito a Rimini e chiedigli: preferisci andare su Giove o avere la possibilità di andare a Rimini e ritrovare la tua amata… la scelta sarà (probabilmente) per Rimini. Una scelta cretina? Sì, per chi crede che Giove sia un oggetto del desiderio universale. Per chi crede che universale sia il desiderio e che l’oggetto cambi di persona in persona, allora un simile giudizio (“la scelta è cretina”) non si formula. E per fortuna c’è chi è ancora disposta a sacrificare ogni cosa, compresa la sua vita, per riconquistare il proprio amore che si trova a Rimini.

Sul resto, che sia necessario scrivere bene, fare film bene, far leggere a Gassman non la lista della spesa ma un sonetto di Shakespeare, ti ripeto: siamo d’accordo.

Ciao!

#67 Comment By Gwenelan On 4 ottobre 2011 @ 10:30

@Ezra:
Scusa se mi intrometto, ma hai equivocato il passaggio di Gamberetta che citi. Lei non intende dire che la narrativa fantastica sia superiore alle altre forme di narrativa o ai saggi. Quando parla di “creare nuove realtà” si rifererisce a una storia qualunque. Quando tu hai in mente una storia – che si tratti degli alieni su Giove o del Raskol’nikov a Rimini – stai creando una nuova realtà. E il modo in cui scrivi la storia dev’essere “subordinato” rispetto alla storia stessa. Per dire, l’alieno su Giove non può cominciare una pippa sul razzismo, e Raskol’nikov non può cominciarne una sull’inquinamento (a meno che fare pipponi non sia nel personaggio, ma beh, dipende dai casi). Quello che intende Gamberetta con:

Nessuno mi vieta di scrivere un saggio sul problema del razzismo nell’Europa del XXI secolo, e ne può venire un ottimo saggio, ma non sarà buona narrativa. La narrativa che si ferma a rielaborare la Realtà, senza andare oltre, senza aggiungere altro, è solo una perdita di tempo.
Ci sono autori che si compiacciono d’immergere le loro opere in un bagno di Angosciosi Problemi del Nostro Tempo; costoro credono che così facendo le loro opere di narrativa acquistino significato, invece succede l’opposto, ne vengono svilite.

è che nella buona narrativa, di qualunque genere, devi prima pensare ad essere originale, creativo, a imbastire una buona storia, con personaggi vivi e credibili, e non a riempire il romanzo dei Grandi Problemi, perchè spesso questo rende la lettura pesante. Poi, se sei capace, riuscirai a coniugare le due cose senza fare disastri, senza riempire il libro di pipponi e senza suonare paternalistico. Ma di per sè, inserire le tematiche del razzismo, o dell’inquinamento industriale o dei problemi dei ggiovani non rende la tua narrativa migliore. Al contrario, se questi temi ti interessano così tanto che, scrivendo, tutta la tua storia è subordinata a loro, fai meglio a scrivere un saggio (un *buon* saggio magari). Gamberetta non dice che “leggere saggi è inutile”, dice che un saggio non è narrativa :). Quindi l’obiettivo è diverso. Nella narrativa, l’obiettivo è la storia, nel saggio l’obiettivo è l’argomento.

#68 Comment By Ezra On 4 ottobre 2011 @ 11:03

@Gwenelan
Beh, se è come dici, bene. Forse ho letto male e dunque capito male. (Sia chiaro: non volevo trollare). Anche se il passo di Gamberetta che ho citato, pur rileggendolo secondo i tuoi chiarimenti, ancora mi crea dei problemi. Ma appunto, forse è un problema mio e di cattiva lettura.
Ciao!!

#69 Comment By arnica On 4 ottobre 2011 @ 13:50

concordo con l’interpretazione di Gwenelan

#70 Comment By Gwenelan On 4 ottobre 2011 @ 15:48

@Ezra:
Non pensavo volessi trollare (altrimenti non avrei risposto), tranquillo :).

#71 Comment By Ettore On 6 ottobre 2011 @ 11:47

Che poi, mi sembra che sottovaluti un po’ la narrativa di genere.
Dici di attenerti solo ai fatti, ma volente o nolente, quando mostri un mondo che hai creato e popolato, mostri un po’ di te, e questo è arte: l’espressione di una persona, o almeno il meglio di lei.
Il discorso sulla morale è intimamente collegato al narratore onnisciente, che non va bene, ma quando scrivi lo fai come persona, e il tuo punto di vista, anche se non traspare, c’è, muove le azioni dei personaggi e corrobora l’atmosfera del racconto, è quello che rende il mondo “vivo”. Racconti di genere scritti male sono tali perché, oltre magari alle molte incongruenze ed errori tecnici, sono “morti”. L’autore non c’ha messo l’anima.

#72 Comment By kurdt On 16 novembre 2011 @ 01:29

Il numero di partite possibili è 10^120 il numero degli atomi nell’universo è 10^80 è impossibile che un computer giochi la partita perfetta.

E “l’immortale” è bella, ma contiene un banale errore dell’avversario di Andersen che la rende “frutto” appunto, di un errore.

#73 Comment By Uno qualsiasi On 18 novembre 2011 @ 21:14

Dal momento che hai citato gli scacchi eterodossi, vi segnalo questo sito, dove è possibile provare a giocare le diverse varianti:

http://www.pathguy.com/chess/ChessVar.htm

(richiede java, anche una versione molto vecchia va bene)

#74 Comment By Maroc On 21 novembre 2011 @ 21:11

“Come ricordato non ci vuole più di un quarto d’ora per imparare a giocare, e ci vuole ancor meno tempo per la narrativa”

“Se il romanzo è di narrativa fantastica (fantasy, fantascienza, horror soprannaturale) e la qualità è alta, sì. Ma prima di segnalarlo devo leggerlo. E deve piacermi. E quando parlo di “qualità alta” intendo che è molto più facile che il romanzo venga pubblicato da Mondadori o da Rizzoli piuttosto che io lo ritenga degno”.

Scusa, posso chiederti che esperienze letterarie hai avuto? No perchè a quanto pare mi sa che è ora di dedicare una letteratura al tuo personaggio.
Dalle tue parole si deduce non solo che tu non sia assolutamente pericolosa per la letteratura, ma ANCHE E SOPRATTUTTO per il gioco degli scacchi.
Piccola ignorantella.

Ops, ti ho insultato. Ma posso, giusto? Lo hai scritto nella FAQ.

Maroc

#75 Pingback By Sul Gioco di Ruolo parte prima – Verosimiglianza e realismo | Space of entropy On 3 febbraio 2012 @ 14:46

[...] seguente soluzione.   Credo sia perché quando giochi a D&D parti dal presupposto che “hey, dopotutto è fantasy!” E visto che è fantasy, tutto e il contrario di tutto può avvenire. Non ti poni eccessivi [...]

#76 Comment By Dumb3rs On 18 maggio 2016 @ 09:31

Mi sono messo a vedere Numb3rs. In qualche puntata (specie della terza stagione, se non ricordo male) compaiono gli scacchi – gioco per intelligentoni… Oltre agli errori da te elencati, aggiungo l’insinuazione dell’idea che le espressioni facciali possano giocare un ruolo, un po’ come nel poker: magari per evitare che l’avversario scopra che abbiamo una bella mossa da fare, o per capire se stiamo per farne noi una brutta.


URL dell'articolo: http://fantasy.gamberi.org/2008/07/13/scacchi-e-scrittura/

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