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Sul Copyright

Pubblicato da Gamberetta il 16 settembre 2008 @ 19:45 in Insalata di Mare,Libri,Non Fantasy,Straniero | 184 Comments

Qualche giorno fa Cory Doctorow ha pubblicato un nuovo libro, Content: Selected Essays on Technology, Creativity, Copyright, and the Future of the Future. Come chiarisce il titolo non è un romanzo, è un raccolta di articoli e brevi saggi scritti da Doctorow negli ultimi anni e già apparsi su riviste online e cartacee. Fosse un altro parlerei di mezza truffa, visto che si cerca di vendere roba vecchia e in molti casi ancora reperibile in Rete, ma Doctorow, fedele alle sue idee, ha deciso anche questa volta di rendere disponibile per il download il testo completo del libro. Perciò chi vuole può pagare i 15 dollari del prezzo di copertina, e chi non vuole può lo stesso leggerlo.

Copertina di Content
Copertina di Content

Gli articoli trattano i temi più svariati, dalle fanfiction, ai MMORPG, alla Singolarità e tanti altri argomenti. La parte del leone è però appannaggio del discorso sul diritto d’autore e il futuro della scrittura nell’epoca di Internet. Doctorow ha una posizione radicale in merito, non a caso durante tutta la sua carriera di scrittore ha sempre distribuito i suoi romanzi e racconti con licenza Creative Commons. E bisogna subito notare un particolare importante: Doctorow ha una carriera. Non è facile inventarsi una carriera come scrittore, specie scrittore di fantascienza, Doctorow ci è riuscito e secondo lui uno dei fattori è stato proprio il distribuire liberamente i suoi romanzi.
Io non ho (ancora) una carriera come scrittrice di fantascienza, ma sono d’accordo con Doctorow.
Ho già affrontato la questione in diversi articoli, ma mai in maniera sistematica. Come nel caso della scrittura, con il Riassunto delle Puntate Precedenti, è giunto il momento di chiarire in maniera inequivocabile quale sia la posizione della Barca dei Gamberi rispetto al diritto d’autore e problemi affini. E per non suscitare inutili polemiche, puntualizzo subito un fatto incontrovertibile, una verità auto evidente: io ho ragione, chi non è d’accordo sbaglia!

Sul Copyright

Partiamo dal principio. Il principio è che le opere d’arte sono utili per la società nel suo complesso. Qui per “opere d’arte” intendo quelle opere che così sono comunemente definite, da Beethoven a Moccia, ovvero non entrerò nella polemica: “Mozart è arte, Britney Spears è spazzatura!” Può essere che ascoltare Mozart sia benefico e ascoltare Britney Spears no, può essere che leggere la Troisi sia addirittura dannoso, ma nel complesso, assumerò che leggere, ascoltare musica, andare al cinema o a teatro, e attività simili suscitano emozioni e trasmettono conoscenze che arricchiscono l’individuo e di conseguenza l’intera società.
Il ruolo positivo dell’arte lo darò per scontato; non tutti la pensano così, ma discutere questo punto esula dagli scopi del presente articolo. Questo articolo parte dal presupposto che più gli individui fruiscono delle opere d’arte, meglio è per tutti.

Dunque è necessario produrre e distribuire più arte possibile. Purtroppo la tecnologia attuale non permette di creare arte in maniera industriale. Se la società ha bisogno di sedie, pomodori pelati in scatola o carri armati, non è un problema, materie prime permettendo, produrre tali beni in quantità. Con l’arte non funziona così. Creare un’opera d’arte richiede l’intervento specialistico di un essere umano (credo, certi romanzi fantasy me ne fanno dubitare). Ci sono programmi per computer che in automatico scrivono brevi racconti o poesie, ma almeno per ora i risultati non sono all’altezza. Non è detto che sarà sempre così: a molti piace pensare che solo il sublime intelletto umano possa partorire le Cronache del Mondo Emerso o Vacanze di Natale, tuttavia non ci sono prove scientifiche a sostegno di questa tesi; è possibile che il segreto di un buon romanzo sia più semplice di quanto non si creda e che perciò non sia lontano il giorno nel quale sarà un software a scrivere in automatico i romanzi di Licia Troisi. Con la differenza che saranno belli! Sfortunatamente quel giorno, purché forse vicino, è ancora di là da venire.

Licia Troisi & cosplayer
Licia Troisi (a sinistra) e fan. Guardando queste immagini (altre qui) non è difficile credere che presto le Intelligenze Artificiali saranno in grado di scrivere romanzi…

Non potendo industrializzare l’arte, una società deve spronare chi è in grado di produrla a darsi da fare. E qui nasce il diritto d’autore: la società conferisce dei diritti particolari agli artisti quale incentivo a produrre più arte possibile. Questo è un punto fondamentale. Il copyright non ha basi morali, non sancisce diritti divini, è una sorta di contratto: io società ti sventolo davanti al naso la carota di vivere e diventar ricco scrivendo invece di lavorare in miniera, e tu artista in cambio produci più arte possibile. Ed è anche la ragione per la quale il copyright ha durata limitata: se io, i miei figli, i miei nipoti, i miei amici, il mio editore e tutti i suoi dipendenti potessimo vivere di rendita in eterno sulla base dei diritti delle opere già create, non avrei più nessun incentivo a crearne altre. L’idea è che quando i diritti su Topolino stanno per scadere, il signor Disney esclami: “Ostrega! Adesso devo inventarmi un altro personaggio!”, invece il signor Disney paga più o meno sottobanco i membri del Congresso americano per far allungare la durata del copyright. Ma questa è un’altra storia.
C’è da notare che la società potrebbe cambiare i termini dell’accordo con gli artisti andando in altre direzioni: se ogni individuo adulto non produce la sua quota di arte, pubblica fustigazione e galera! Da quanto ne so nessuno ci ha mai provato, nondimeno potrebbe funzionare.
Le leggi sul copyright possono essere paragonate a un condono edilizio: si offre un incentivo perché delle persone compiano azioni ritenute utili allo società (mettersi in regola / evitare di continuare a costruire senza permesso), tuttavia nulla vieta che l’anno dopo invece del condono ci siano ruspe e manette. Siamo su questo piano, parliamo di un incentivo, con lo scopo ultimo di accrescere la quantità di opere d’arte fruibili dalla società nel suo complesso, tutto qui, da nessuna parte il copyright sancisce un fantomatico diritto al guadagno degli artisti, al massimo offre una possibilità di guadagno.

Come accennato, oltre a produrla, l’arte occorre distribuirla. Prima dell’invenzione della stampa, distribuire un libro significava innanzi tutto ricopiarlo a mano, lavoro che poteva richiedere anni. È facile intuire come i benefici dell’arte sulla società siano minimi quando l’accesso è così limitato.
Con il passare dei secoli la tecnologia è via via progredita, rendendo sempre più facile usufruire delle opere d’arte. Quindi sono arrivati i computer e Internet. Internet è quell’incredibile Rete con decine di milioni di nodi il cui unico scopo è trasmette informazioni. Grazie a Internet il costo di diffusione dell’arte si è avvicinato a zero, almeno nei paesi occidentali. Con un normale abbonamento ADSL da 15 euro al mese posso spedire un film su DVD dall’Italia all’Australia spendendo pochi centesimi. Una frazione infinitesimale rispetto ai costi del mondo pre Internet. Meraviglioso! Il problema è che questo risultato è ottenibile solo violando il diritto d’autore. Il punto di forza di Internet è la possibilità per ognuno dei nodi di ricopiare e (ri)trasmettere le informazioni. Ma come recitano le parole scritte in piccolino in ogni libro, DVD, e quant’altro, la riproduzione dell’opera in oggetto senza autorizzazione è vietata.
Perciò da un lato abbiamo un sistema che permette di abbattere in maniera stratosferica i costi di distribuzione, ma dall’altro, per raggiungere tale risultato, deve necessariamente violare il copyright[1]. Qual è la soluzione? Storicamente è stato adattare il copyright alle nuove tecnologie.
Doctorow illustra vari casi, per altro piuttosto famosi: per esempio la minaccia delle pianole sulla salute degli Americani.
Ai primi del ’900, se si voleva ascoltare della musica, era necessario andare a un concerto o pagare qualcuno perché venisse a suonare a casa nostra. Poi iniziarono a diffondersi le pianole e i pianoforti automatici. Questi apparecchi musicali non avevano bisogno che qualcuno li suonasse, le note venivano lette da rulli di carta perforata. Com’è facile immaginare, superato l’investimento iniziale della pianola, era molto più semplice ed economico acquistare i rulli con i vari brani, piuttosto che ogni volta affittare un pianista. Inoltre i produttori di rulli non pagavano un centesimo di diritti a nessuno: prendevano gli spartiti, li convertivano in rulli e i compositori potevano pure morire di fame!

Piano roll
Un “rullo” (piano roll) sbobinato

Compositori e musicisti andarono a piangere presso il Congresso americano, lamentando che se non fossero state proibite le pianole era la morte dell’arte musicale. Peggio, i giovani, soverchiati dall’incessante gracchiare delle infernali macchinette, avrebbero perso ogni entusiasmo per il canto, finché le loro corde vocali non fossero avvizzite, lasciando in dote all’America una generazione di muti.
Il Congresso decise che i produttori di rulli dovessero pagare una licenza per usufruire degli spartiti, e dall’altra parte fosse obbligatorio concedere tale licenza, secondo termini stabiliti per legge. Alla faccia del Libero Mercato! Però, alla fine, ci guadagnarono tutti.
La stessa storia si ripeté con la radio, le musicassette, i videoregistratori e la televisione via cavo. Ogni volta nasceva un sistema più economico ed efficiente di distribuire le opere d’arte e ogni volta qualcuno si abbandonava a previsioni catastrofiche piangendo miseria. Ogni volta si è deciso che non era nell’interesse della società rinunciare a un progresso tecnologico in nome di privilegi presunti inviolabili, e dunque si sono adattate le leggi per tener conto dei diritti di tutte le parti in causa.
Poi è arrivato Napster, il sistema per scambiare musica via Internet. L’antesignano di eMule, Gnutella, BitTorrent e soci. Napster in poco più di un anno ha raccolto 50 milioni di utenti: mai nessuna tecnologia nella storia era stata adottata tanto in fretta. Le società discografiche, come sempre, si sono messe a piangere – e qui cominciano i guai – il Congresso ha dato loro ragione.
Da leggi utilitaristiche, le leggi sul copyright sono diventate Vangelo, per cui tutto può cambiare ma il diritto d’autore diviene intoccabile. Napster è stato chiuso, le pene per la violazione di copyright sono state inasprite, e gli USA hanno cominciato a richiedere come base per eventuali accordi commerciali che le leggi dei vari Paesi venissero modificate fino a copiare quelle americane.
Da non dimenticare poi la nascita di campagne pubblicitarie terroristiche, come quelle basate sul concetto che la violazione del diritto d’autore sia equivalente a rubare beni fisici. Questa è una stronzata, ma purtroppo più di qualcuno ci ha creduto e ci crede tutt’ora.

Il demenziale spot antipirateria che equipara il rubare allo scaricare da Internet. No, non ruberei mai una macchina, però spaccherei volentieri il cranio di chi ha inventato questa idiozia

Ricordo perciò che perché ci sia furto io devo impossessarmi di qualcosa di un altro. Entro in un museo e mi frego un quadro: questo è rubare. Se entro in un museo e fotografo il quadro, non lo sto rubando! Quando si copia un film o un libro non si sta portando via niente a nessuno, il legittimo proprietario è ancora legittimo proprietario.
“Ma, ma, cioè tu è come se rubassi!!! Perché ecco se non avessi la copia compreresti il libro e dunque hai rubato il guadagno all’autore!!!” Vicino a casa mia c’è una fermata dell’autobus e a meno di venti metri un concessionario. Ogni volta che prendo l’autobus invece di pagare 5.000 euro per un’auto, sto derubando il concessionario!!! Perché, se non ci fosse l’autobus, sarei costretta a prendere la macchina. Stronzate. Se non ci fosse l’autobus, andrei a piedi. Se il tal romanzo non è disponibile su Internet, non spendo 20 euro per comprarlo, ne leggo un altro o non leggo niente del tutto e mi metto a giocare a Puzzle Quest (piratato).

Trailer di Puzzle Quest. Un gioco semplice ma divertentissimo!

E qui torniamo al discorso di partenza: più gli individui usufruiscono dell’arte, meglio è. Perciò è più utile per la società che io legga il romanzo gratis piuttosto che non lo legga a 20 euro.

Ciò non significa che non spenderò mai 20 euro – in fondo anche se ci sono gli autobus quasi tutti un’auto la comprano – significa che la società deve approfittare del fatto che la tecnologia permette di distribuire gratis l’arte, perché è questo lo scopo, non creare un regime da borsa nera, dove artificialmente si riduce l’offerta per tenere alti i prezzi.
Non sto parlando in teoria, basta guardare il pastrocchio delle regioni sui DVD. I produttori cinematografici si sono accordati per dividere il mondo in 7 regioni, e si sono garantiti per legge che i lettori di DVD venduti in una regione possano riprodurre solo i DVD pensati per quella regione. E questo perché i signori produttori sanno benissimo che in Europa o in America possono vendere un DVD a 30 euro, ma nessuno lo comprerà a quel prezzo in Cina o in Russia. Dunque era necessario un meccanismo perché le regioni più ricche non potessero importare i DVD venduti a prezzi bassi nelle regioni più povere. In Russia non è raro trovare DVD a 5 euro e anche meno. Non piratati, DVD ufficiali, di film appena usciti. E con i DVD a 5 euro le case cinematografiche ci guadagnano. Però che brutto guadagnare 5 quando puoi guadagnare 30, facendo approvare quelle due o tre leggi che danneggiano la collettività ma ti favoriscono…

Con la chiusura di Napster si è persa l’occasione di legalizzare l’utilizzo di Internet come sistema per la diffusione dell’arte. Da un lato i “detentori dei diritti” hanno cominciato la loro opera tendente a censurare Internet, dall’altro le persone hanno continuato a scambiarsi opere d’arte a costi vicini allo zero.
“Censurare” non è un termine scelto a caso: secondo i signori discografici & amici, il copyright è così sacro che non solo è inammissibile distribuire opere protette da diritti senza permesso, ma è inammissibile discutere di come si possano distribuire tali opere, è inammissibile discutere delle opere stesse e addirittura citarle. La MLB, la lega americana dei giocatori di baseball professionisti, ha denunciato gente sulla base che secondo lei, le statistiche dei giocatori erano coperte da copyright![2] Sarebbe come dire che io non posso utilizzare o comunicare il fatto che Maradona ha segnato 115 gol col Napoli senza il permesso della Lega Calcio! In questi giorni quei mentecatti di Scientology hanno spedito 4.000 diffide a YouTube perché togliesse altrettanti video, sostenendo che citare Scientology senza permesso è violazione di copyright. Ascoltare la radio ad alto volume con le finestre aperte non è disturbo della quiete pubblica, ma un reato ben più grave: violazione di copyright! Anche in questo caso ci sono state denuncie.
Come ovvio il solo denunciare non basta. È importante che ci siano pene esemplari, che la gente vada in galera per essersi scambiata informazioni.
Ci sono poi i lecchini che fanno a gara a essere “più realisti del Re”. Quel citrullo di Sarkozy ha per esempio introdotto in Francia la così detta “dottrina Sarkozy”: i provider devono staccare la connessione a Internet quando un utente raggiunge le tre violazioni del copyright. Chi decide delle violazioni? I detentori dei diritti. Se io casa cinematografica decido che tu stai violando il mio copyright, faccio in modo di staccarti la connessione (e questo non esclude una successiva denuncia).

Sarkozy
Secondo Sarkozy, a causa della pirateria via Internet, “corriamo il rischio di essere testimoni della distruzione della cultura.” Come si fa a discutere con gente così? Mazzate, questo è l’unico atteggiamento civile da tenere

Qualcuno – ingenuo! – potrebbe pensare che forse sarebbe il caso indagasse qualcuno esterno alle parti, tipo un giudice, ma purtroppo il reato di violazione di copyright è troppo grave perché ci si possa affidare alla giustizia, tanto più che i tribunali funzionano in questa maniera assurda: prima di condannare qualcuno ci devono essere delle prove. Chi ha bisogno di prove, quando basta il sospetto? Passare per vie legali va bene per lo stupro o l’omicidio o le rapine a mano armata, ma per fatti davvero gravi, che minano le basi stesse della società, come lo scambio senza fini di lucro di musica, bisogna intervenire in maniera drastica e senza tentennamenti. Naturalmente i detentori dei diritti svolgono loro le opportune indagini, affidandosi a sofisticati metodi per scoprire i violatori dei diritti, non a caso in questi anni grazie a tali sopraffini metodi hanno scoperto che infrangevano il copyright vecchietti morti da tempo, così come gente che non lo sa neppure usare un computer, e appurato ciò, è toccato ai figli essere torchiati. D’altra parte una commissione del Senato USA ha stabilito che le reti P2P con il loro scambio libero di opere protette da diritti finanziano il terrorismo. Osama & soci scaricano i film via eMule, masterizzano migliaia di copie, le rivendono e con il ricavato si comprano il tritolo! È palese come l’unica soluzione sia chiudere i sistemi P2P, così i terroristi non potrebbero più procurarsi i film. Proprio.

Ma lasciamo perdere questi pazzi. Quello che sostengono molti è che in un regime di sistematica violazione del copyright, venga a mancare l’incentivo che il copyright offriva. In poche parole l’artista pensa: “Brutti bastardi piratoni! Ogni volta che scrivo qualcosa me la copiate e la gente legge a sbafo senza pagarmi, non diventerò mai ricco! Basta! Non scrivo più neanche una riga!”
Assumiamo sia vero; è, in altri termini, la morte del professionismo in campo artistico. L’arte può essere al massimo solo un hobby, dato che i piratoni impediscono qualunque guadagno. È così grave? Kafka è stato un impiegato per tutta la vita, Tolkien era professore, Tom Clancy mentre scriveva il suo primo e miglior romanzo lavorava come assicuratore. Se questi tre signori fossero stati professionisti della scrittura, se avessero potuto dedicare 24 ore su 24 all’arte dello scrivere, avrebbero creato opere più belle? Forse sì, forse no. Clancy da quando si è dedicato esclusivamente alla scrittura ha prodotto materiale più scadente. In ogni caso mi sembra ovvio che anche se sparisse il professionismo, non necessariamente sparirebbe la (buona) arte. Kafka forse avrebbe potuto fare più di quel che ha fatto, ma già così ad averli tutti questi Kafka!

Casco
Questo è un casco antinfortunistico, del tipo che gli operai dovrebbero sempre tenere in testa mentre lavorano nei cantieri, per evitare incidenti. Ebbene, è stato inventato da nient’altri che Franz Kafka!

Inoltre non si tiene conto di un altro fatto: già ora la gran parte delle opere artistiche sono prodotte da dilettanti. In Italia si stampano decine di migliaia di libri l’anno, ma come noto, i personaggi che possono sopravvivere grazie alla sola scrittura sono pochissimi. Perciò il 99% della produzione è frutto di hobbysti che non ci guadagnano niente o quasi. Siamo sicuri che tutto questo esercito che non guadagna niente, smetterebbe di scrivere solo perché ha il sospetto che non guadagnerà mai niente? Davvero questi migliaia di libri nascono unicamente dalla prospettiva per gli autori d’intascare tanti soldi quanti la Rowling? Io non credo, perché se sul serio l’obbiettivo di una persona fosse la ricchezza, non ci proverebbe neanche con la scrittura.

Ricapitolando:

  • La qualità artistica non è legata al professionismo; intuitivamente se una persona ha la possibilità di dedicare tutto il suo tempo a un’attività è probabile che la svolga al meglio, tuttavia non è una condizione indispensabile, anche part time si può diventare scrittori sopraffini.
  • La prospettiva del guadagno non può essere la sola motivazione a spingere così tanta gente a scrivere. Perciò, se dovesse sparire tale prospettiva, rimarrebbero lo stesso un buon numero di scrittori.

E questo partendo dal presupposto: assumiamo sia vero. Ma non è vero. Già da diversi anni ogni singolo album musicale, videogioco o film è disponibile gratis in Rete. Con i romanzi non siamo ancora a questa copertura capillare ma non manca molto. Ebbene, se fosse vero che i piratoni mangiano tutti i guadagni, la cosidetta “Industria dell’intrattenimento” sarebbe dovuta crollare da tempo. Ma se si sommano i guadagni di discografici, editori, produttori cinematografici e di videogiochi, nel complesso sono stabili o in crescita. In particolare i videogiochi hanno avuto un boom in questi ultimi anni, raggiungendo in America gli introiti di musica e cinema. Eppure ogni singolo gioco lo posso scaricare, senza difficoltà.
Perciò il piagnisteo dell’artista dovrebbe essere questo: “Ecco, 10 anni fa c’erano 1.000 artisti professionisti, e io avrei potuto essere uno di questi, ma ho preferito giocare a ping-pong, adesso ci sono 2.000 artisti professionisti, e dunque le possibilità sono aumentate, però se non ci fossero i piratoni bastardi, forse ci sarebbero 3.000 artisti professionisti! Ecco, i piratoni mi hanno rubato 1.000 possibilità di successo! Ho deciso: non scriverò mai più una riga!” Dobbiamo davvero rispondere a questo frignone? Non credo.
Anche qui partendo dall’ipotesi più negativa, cioè che la libera diffusione delle opere abbia intaccato i possibili guadagni globali riducendo la crescita. È vero? Non ci possono essere riposte certe, ma con ogni probabilità no.

Signora che gioca a ping-pong
Avrebbe potuto essere una scrittrice fantasy di successo, invece ha scelto di dedicare la vita al ping-pong

Studi empirici hanno dimostrato che la disponibilità gratuita di un’opera artistica non incide sulle vendite, e quando questo avviene è un’incidenza positiva. Per rimanere in campo editoriale, come avevo già ricordato in un articolo di qualche mese fa, può far testo l’esperimento svolto dal signor O’Reilly, che ha provato a misurare l’andamento delle vendite di un libro da lui pubblicato in presenza della contemporanea distribuzione gratuita del testo. In breve, le vendite sono state in linea con le previsioni, la libera disponibilità del libro non ha avuto alcuna influenza negativa. Però 180.000 persone hanno potuto leggere tale libro, la società nel suo complesso è stata arricchita.
Lo stesso Doctorow racconta come all’inizio Tor Books (il suo editore – uno dei più grandi editori di fantasy e fantascienza del mondo) fosse un po’ scettico riguardo quest’idea balzana di offrire online gratis i libri, ma dopo i primi tentativi, adesso è l’editore stesso a spingere perché gli scrittori adottino questa tattica. E per una semplice ragione: perché così si vendono più libri!
Si vendono più libri perché la disponibilità libera del testo genera pubblicità, rende conosciuto il nome dell’autore. Infatti in un celebre articolo ancora il signor O’Reilly spiega che per un artista il problema numero uno non è certo la pirateria, bensì l’anonimato. La gente non compra il romanzo del tal scrittore perché può leggerlo a sbafo o perché non piace il genere o per le critiche negative, non compra perché non sa neanche che lo scrittore e il suo libro esistono! La distribuzione gratuita online può far molto per ovviare al problema.

Qui i miscredenti fanno notare che il “trucco” funzionerà finché saranno pochi gli autori ad adottare questa tattica, quando tutti o quasi distribuiranno liberamente, sparirà la novità e la gran parte degli artisti torneranno nell’anonimato. Forse, ma nel frattempo i rapporti di forze potrebbero cambiare. Un mondo di opere libere significa che se io scrivo una recensione negativa di un romanzo della signora Troisi, ognuno può verificare, e se viceversa la Mondadori intasa di pubblicità la Rete, ognuno può controllare se le affermazioni entusiastiche corrispondono alla realtà. Credo che la possibilità di accedere alle fonti senza pagare possa cambiare il rapporto con la pubblicità tradizionale. Se prende piede l’abitudine di prima leggere e poi pagare, può essere che si crei un nuovo ambiente, dove la selezione naturale favorisca i più bravi e non i più ricchi.
Sourceforge.net è uno dei più frequentati siti di Internet. Raccoglie progetti software open source e gratuiti. Allo stato attuale ci sono 133.256 progetti, eppure se si controlla la pagina con i progetti più scaricati, si può notare come molti di questi siano di qualità eccelsa. I migliori sono stati premiati. eMule è il notissimo programma di filesharing, programma che uso regolarmente, Azureus è un client BitTorrent (non il migliore, il migliore è uTorrent, anch’esso gratuito – ma comunque Azureus è buon secondo), VirtualDub è un programma di editing video che, in un centesimo dell’occupazione di memoria di mastodonti come Adobe Premiere, svolge una marea di funzioni (è il programma che uso per tagliare, montare, e correggere i colori dei video che metto qui sul blog), guliverkli racchiude vari sottoprogetti tra i quali il Media Player Classic, il miglior player multimediale per Windows.
In TV o sui giornali non si è mai visto uno spot per Azureus o VirtualDub, e nonostante questo i download si contano a decine di milioni.
Non vedo perché con la letteratura non possano attivarsi gli stessi meccanismi, facendo emergere le opere più meritevoli.

VirtualDub
Uno screenshot di VirtualDub. Maggiori informazioni al sito ufficiale

Riassumendo, i vantaggi di un’abolizione delle attuali norme sul copyright – o anche solo un ritorno alla punibilità per il solo lucro, il che renderebbe legale la distribuzione gratuita via Internet da parte di chiunque:

  • Costo zero per chi vuole usufruire dell’arte, con aumento della diffusione, a beneficio di tutta la società.
  • Maggiori vendite per gli artisti coinvolti, perché la distribuzione in Rete garantisce pubblicità.
  • Ulteriore incentivo per i nuovi artisti, dato che le possibilità di guadagno sono aumentate.

E gli svantaggi? Nessuno.
Qui ci sono analogie con il Proibizionismo e la “Guerra alla Droga”. Liberalizzare le droghe significa privare la Mafia e le altre organizzazioni criminali di enormi guadagni, significa far sparire tutti i reati connessi ai prezzi artificialmente alti delle sostanze, significa poter fornire prodotti più controllati e meno dannosi per la salute. Non lo si fa perché sarebbe immorale.
Con il copyright è uguale: stringi stringi la motivazione di chi vuole mantenere o inasprire il presente stato di cose è che è immorale usufruire di un servizio senza pagare.
Nei due campi c’è chi parla così sapendo di mentire (la già citata Mafia nel caso della droga, e la MAFIAA nel caso del copyright): costoro si mascherano da difensori della moralità solo per coprire ben più concreti interessi economici. Per gli altri, quelli sul serio convinti che sia un problema morale, non ho risposte, perché questi sono in pratica quelli che citavo a inizio articolo, quelli che non pensano che la diffusione dell’arte sia in assoluto un beneficio per la società.
Ben inteso, il fatto che non possieda i mezzi retorici o di coercizione fisica per convincere i “moralisti” non implica che la mia posizione e la loro siano sullo stesso piano. Ripeto: io ho ragione. Punto.

Concludo raccomandando di leggere Doctorow, perché gli argomenti sono interessanti, la prosa brillante e nel primo articolo scrive persino come Capitan Gambero, facendo il pirata! Arrrrr! (sic)

Edit del 12 Gennaio 2009: Content è disponibile anche in lingua italiana. Vedi relativa segnalazione.

* * *

note:
 [1] ^ Prendiamo YouTube, il famoso sito di condivisione di video. YouTube spende da 1 a 6 milioni di dollari al mese per acquistare la banda necessaria a fornire il servizio. E i video su YouTube hanno qualità infima. Se un’azienda volesse vendere film in formato HD (tipo Blu-Ray) usando Internet come mezzo di distribuzione avrebbe spese enormi in termini di banda da acquistare. Tali costi sarebbero ugualmente inferiori a quelli di un trasporto del disco fisico fino ai negozi, ma non sarebbero certo prossimi a zero. Lo zero si raggiunge solo quando si ha l’attiva collaborazione di migliaia e più nodi, come avviene nei sistemi peer-to-peer (P2P). Ognuno dei nodi deve sostenere una spesa infinitesimale e nel complesso il sistema sposta quantità enormi di dati. Ma questo significa che molteplici copie devono esistere in diversi nodi, violando così il copyright.
L’unica eccezione può essere l’editoria: i libri sono piccolissimi e a differenza dei film o dei videogiochi non è prevedibile che crescano in grandezza con il passare del tempo (riguardo ai film si parla già di Ultra HD). In altre parole un editore, pur mantenendo un solo punto di distribuzione, può lo stesso diffondere i suoi libri via Internet a un costo prossimo allo zero.
EDIT: YouTube ha cominciato a “trasmettere” anche in HD, ma ha aggiunto la pubblicità…

 [2] ^ Per fortuna dopo un paio d’anni di tira e molla le richieste della MLB sono state respinte: non è possibile pretendere di avere il copyright sui fatti. Ma non dubito ci riproveranno e magari la prossima volta troveranno giudici e politici più “malleabili”…


Approfondimenti:

bandiera EN Content su Amazon.com
bandiera EN Il sito di Content da cui è possibile scaricare il testo completo

bandiera EN Il sito della Electronic Frontier Foundation in prima linea nella difesa delle libertà digitali
bandiera EN TorrentFreak, uno dei siti più aggiornati per le notizie riguardanti il P2P
bandiera EN Freedom to Tinker, noto blog che si occupa degli argomenti trattati nell’articolo

bandiera EN Il sito ufficiale di Puzzle Quest

 


184 Comments (Mostra | Nascondi)

184 Comments To "Sul Copyright"

#1 Comment By wewec On 16 settembre 2008 @ 20:32

Ah, finalmente un nuovo articolo! Iniziavo ad entrare in crisi d’astinenza!

#2 Comment By Ann On 17 settembre 2008 @ 00:39

Ottimo articolo, inutile dire che sono d’accordo con te.
Solitamente io compro le cose a cui ho dato 8-10 gamberi durante la mia prima visione “da pirata”, per il puro piacere di collezionare dvd, o per sentire il profumo della carta stampata.
Possiedo non meno di 3 copie del mio libro preferito (la saga di Earthsea, della Le Guinn, l’hai mai letto?Mi piacerebbe avere la tua recensione!), vado al cinema un paio di volte al mese e sostengo il mio cantautore “di fiducia” andando ai suoi concerti e comprando i cd.
Scarico il resto non perché devo risparmiare, ma per alleggerire la mia anima tra un problema e l’altro….se non potessi scaricarli non li comprerei, e mi riposerei semplicemente dormendo, con buona pace dei miei neuroni affamati di fantasia.
Buonanotte, e grazie ;)

#3 Comment By Steampunker On 17 settembre 2008 @ 01:48

Beh, che dire, sono assolutamente d’accordo, Gamberetta.
Se non fossi un feticista dei libri stampati, scaricherei pure quelli (che con musica, film e videogiochi si va alla grande :D).

#4 Comment By Steampunker On 17 settembre 2008 @ 01:51

E comunque devo dire che non avevo mai pensato al “problema copyright” dal punto di vista dell’arte.

#5 Comment By Morgante On 17 settembre 2008 @ 06:44

Sì,
è tutto molto interessante…a parte l’immagine grottesca di una produzione “industriale” di arte! (intendo fatta da macchine). Penso soprattutto ai libri. Mi sono venuti i brividi di disgusto a pensarci. Capisco che ci siano in giro montagne di brutte opere, ma quando penso a quanto è meno gustosa la pasta industriale da quella fatta a mano, o i biscotti prodotti in serie da quelli appena sfornati di cui senti il profumo a cinquanta metri…Mi ci è voluto l’intero articolo per riprendermi. Mentre leggevo continuavo a vedere dei tizi di fronte a un macchinone di pulsanti luminosi, stile anni ’70.
Oggi computer, sforneremo 17 romanzi fantasy: tredici a lieto fine, uno dal finale incerto, uno con finale che preveda un seguito, e due con il cattivo che sbaraglia tutti. Ecco il file con tutte le caratteristiche studiate degli esseri umani, mescolale in un intreccio possente. Fatto?
Ora calcola le probabilità di reazione di fronte a forti emozioni e pericoli, o incontri con altre razze. Fatto? Fine programma. Stop.
Bah!
A parte questo, è vero, io scriverei anche gratis. Quel che desidero dalla mia stanzetta ammuffita è che qualcuno conosca quello che scrivo. Forse l’ho già scritto altrove, ma è così; se mi dicessero: puoi vendere duecentomila copie e guadagnare cinquantamila euro, o un milione trecentomila persone leggeranno un tuo libro, ma tu non guadagnerai mai più di una semplice cassiera…
Beh, dove devo firmare per la seconda? Ma c’è da chiedere?

#6 Comment By Morgante On 17 settembre 2008 @ 06:54

Ops, ho dimenticato le ultime righe.
Ovvio che quella della produzione industriale di arte era solo una riflessione e non il tema centrale dell’articolo, ma grazie di mettere sempre qualche dettaglio che mi toglie il sonno! : )
Che diamine, ho la salute fragile, certe idee maneggiale con cura, o farai una strage.

#7 Comment By Benmot On 17 settembre 2008 @ 08:49

Hai ragione? Certo che hai ragione. Soprattutto sono d’accordissimo quando parli della scrittura part-time citando gli esempi di Kafka, Tolkien e Clancy. Che poi sono solo tre dei nomi ‘famosi’ che è possibile utilizzare ad esempio. Quasi tutti gli scrittori affermati facevano tutt’altro nella vita, e continuavano a farlo pur dopo la pubblicazione dei loro capolavori. Ora con Internet i nodi sono venuti al pettine del copyright e di tutti quei parrucconi che associano la ‘pirateria’ al latrocinio. A me pare un latrocinio spendere 20 euro per un cd, 20 euro per un libro o via dicendo per qualcosa da sorbirmi a scatola chiusa. Certo, ci sono le recensioni, ma quante recensioni entusiastiche (e disoneste perché scritte sotto la ‘sudditanza’ della casa editrice ) e quante oneste vi sono della tua autrice (odiata) preferita, l’astro eclissante del fantasy italiano Licia Troisi ? Ecco, io mi sono sentito derubato, una volta acquistata quella roba, non certo la Mondadori. Comunque alla fine penso che le maglie si apriranno…è la naturale conseguenza dei fatti.
Ottimo articolo scritto con la consueta e mai doma verve!

#8 Comment By Tanabrus On 17 settembre 2008 @ 09:45

Concordo in pieno con tutto l’articolo.

#9 Comment By Angra On 17 settembre 2008 @ 10:07

Sai, uno spot contro la pirateria come quello qua sopra non deve stupire se si pensa che il nostro presidente del consiglio è proprietario di una casa di distribuzione cinematografica. Anche gli altri avranno i loro amici in questo campo (mi pare che Cecchi Gori fosse stato senatore nell’allora PDS).

#10 Comment By Simone On 17 settembre 2008 @ 13:14

Scaricare qualcosa che normalmente sarebbe in vendita contro la volontà dell’autore è ovviamente un furto. Non è come fare una rapina in banca, ma è sempre rubare. Non stiamo parlando di brevetti di medicinali o altre cose di necessità primaria. Stiamo parlando di un prodotto di intrattenimento da cui i legittimi proprietari desiderano trarre profitto: se a voi sta bene lo pagate, se non vi sta bene non lo pagate ma nemmeno avete il diritto di possederlo ugualmente. Se decidete di prenderlo senza pagarlo, significa che giusto o sbagliato che sia (qualcuno potrebbe essere contrario alla proprietà privata, no?) lo avete comunque rubato. Tutti gli altri discorsi servono solo ad alleggerirsi la coscienza.

Simone

#11 Comment By Gamberetta On 17 settembre 2008 @ 13:55

@Morgante.

Capisco che ci siano in giro montagne di brutte opere, ma quando penso a quanto è meno gustosa la pasta industriale da quella fatta a mano, o i biscotti prodotti in serie da quelli appena sfornati di cui senti il profumo a cinquanta metri…

La musica che si può ascoltare a un concerto è di qualità nettamente superiore a quella di un MP3. Però il concerto costa molto di più e solo pochi possono partecipare. Perciò anche se ipotetici software futuri non saranno all’altezza dei migliori autori umani, non sarà un dramma. Chi potrà leggerà gli umani (come chi può si reca ai concerti) e gli altri potranno comunque accedere a ottima letteratura a costo bassissimo e senza nessun problema di diritti.

@Angra. In realtà quella pubblicità è internazionale, qui una parodia.

@Simone. Non è rubare finché il legittimo proprietario rimane in possesso della propria opera. Il presunto mancato guadagno non può essere considerato oggetto di reato, perché altrimenti, come già illustrato, si arriverebbe a situazioni paradossali stile concessionario.
Io ho tutto il diritto di possedere una copia di qualcosa che è stato pubblicato, ovvero reso pubblico. Nessuno verrà mai a casa tua a fregarti i romanzi, ma una volta che li rendi pubblici, non puoi impedire che le persone usino la conoscenza acquisita come meglio credono (compreso imparare a memoria il testo e ripeterlo a terzi, stile Fahrenheit 451).
In quanto alla coscienza, non ci siamo proprio: i monaci che ricopiavano a mano i testi antichi sono considerati paladini della cultura, e oggi giorno i cosidetti “pirati” sono altrettanto degni di considerazione. Offrire alle persone cultura a costo zero è da premiare non da condannare.
Chi ha la coscienza sporca sono i tizi meschini ed egoisti, quelli che mettono avanti un ipotetico guadagno agli interessi collettivi. Quelli che vogliono diventar ricchi sfruttando il fatto che gli altri rimarranno ignoranti. Sono costoro quelli che hanno problemi con la coscienza, e così s’inventano stronzate come il fatto che copiare equivale a rubare.

#12 Comment By Angra On 17 settembre 2008 @ 14:00

@Simone: il discorso di Gamberetta parte invece proprio dal presupposto che fruire dell’arte (senza stare a discutere di cosa sia arte e cosa no) sia proprio un bisogno primario come quello dei medicinali. Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtude e conoscenza.

Se vuoi sostiruire a tutto quanto sopra i medicinali comunque il discorso non cambia: anche quelli sono coperti da brevetto, e se non hai i soldi per comprarteli schiatti, come succede in Africa.

#13 Comment By Angra On 17 settembre 2008 @ 14:12

@Gamberetta: sì, la parodia la conoscevo ^_^. Ce ne sono parecchie, tipo quella che finisce con “fatti furbo, ruba davvero”. Più che della pubblicità avrei dovuto infatti citare l’infame Legge Urbani, nata sotto il governo Berlusconi con l’astensione (conato di vomito) di DS e Margherita. Sotto il governo Prodi venne modificata la legge sostituendo le parole “per trarne profitto” (che comprende l’arricchimento spirituale) con “a scopo di lucro”.

#14 Comment By gugand On 17 settembre 2008 @ 15:05

Ecco altre 2 parodie della famosa pubblicita’ anti pirateria:
uarning, uarning 2

#15 Comment By Aletheia Loki On 17 settembre 2008 @ 15:19

Non stiamo parlando di brevetti di medicinali o altre cose di necessità primaria. Stiamo parlando di un prodotto di intrattenimento da cui i legittimi proprietari desiderano trarre profitto: se a voi sta bene lo pagate, se non vi sta bene non lo pagate ma nemmeno avete il diritto di possederlo ugualmente.

Insomma, traducendo: se sei ricco hai diritto alla cultura, se sei povero o se quei venti euro ti servono per comprare una maglia a tua figlia che è senza vestiti, quel diritto non ce l’hai. Se tutti la pensassero come te, oggi molti di noi non saprebbero leggere né scrivere.
Grazie per avermi ricordato anche oggi perché provo antipatia per l’umanità. <3

ps: non temete; quando sarò Somma Imperatrice Divina del Mondo Intero abolirò i brevetti, che non sono mai riuscita a digerire, e il copyright com’è pensato oggi. ù_ù

#16 Comment By Morgante On 17 settembre 2008 @ 15:31

Capisco,
quindi Gamberetta, tu ipotizzi un affiancamento agli scrittori umani, non una sostituzione. Già così suona meno orribile, anche se… continuo a preferire che dietro le scelte di un personaggio ci sia qualcuno che ha ragionato pensando alla propria esistenza o a quella di chi ha conosciuto nella sua vita. Che ci possa essere dietro il calcolo meccanico di una probabilità, mi riempe di sgomento, è così inumano. Quindi lontano anni luce dal calore che cerco.
Diciamo però che se uno si è letto una montagna di scempiaggini, potrebbe arrivare al punto di preferire un po’ di coerenza, sacrificando il calore dell’autore, se questo si è rivelato un deficiente. Era questo il tuo messaggio, giusto? Se con il tuo bagaglio di esperienza non riesci a mettere insieme qualcosa di sensato, forse è meglio che lasci fare ad altri.
Per i diritti, non me ne intendo molto, ma so che preferirei che più persone possibili conoscessero le storie scritte. Se potessi, le metterei in rete, sul retro del latte; che fossero ovunque, e alla portata di tutti.
Non so dire altro.

#17 Comment By Federico Russo “Taotor” On 17 settembre 2008 @ 15:39

Sarò un pazzo, ma secondo me solo uno scrittore idiota e scarsissimo può pretendere di diventare ricco con la scrittura. E i libri sono fatti per essere letti, quindi se si vieta la diffusione si va in contraddizione col principio stesso di letteratura. Un tempo si tramandavano i canti attorno al fuoco, per intrattenere, ora invece si stampano (o si visualizzano sul monitor) libri.
Concordo con tutto quello scritto nell’articolo. Per quanto riguarda la musica, i musicisti (“seri”, non quelli come Gigi D’agostino o simili) campano con i concerti, quindi diffondere gratis la musica è normale, se vogliono guadagnare nei concerti. E chiunque spenderebbe qualcosa, per godersi il proprio gruppo preferito.

È vero che Tom Clancy non scrive? È vero che lui dà solo le idee e si prende il merito? Così sapevo…

P.S. “Lilletta”, la cosplayer, è caruccia. Spero solo non sia una ragazzina. Ah, queste ragazze, dovrebbero tenere attaccato un bigliettino con l’età in fronte, così non si creano “malintesi”. ^_^”

#18 Comment By GiD On 17 settembre 2008 @ 17:44

(…) più gli individui fruiscono delle opere d’arte, meglio è per tutti.

Questo è un principio valido e concordo che sia da ammirare uno scrittore che mette on-line un romanzo in modo che sia accessibile a tutti, però mi chiedo se va demonizzato lo scrittore che vuole trarre un guadagno dal proprio lavoro.
Quello che voglio dire è che penso sia giusto dare allo scrittore voce in capitolo per quanto riguarda la diffusione di un suo lavoro. Lo scrittore ha il diritto (d’autore) di pretendere un pagamento per il tempo e la fatica che ha impiegato nel creare un qualcosa, senza per questo doversi sentire meno onesto di chi distribuisce gratis.
E’ un po’ come parlare di professionisti e volontari; Ci sono tantissimi volontari che aiutano persone sole ospiti di case di riposo e simili, così come ci sono tantissime persone badanti per mestiere, che vogliono essere pagate per il tempo che dedicano ai pazienti.
I volontari impiegano il loro tempo, fanno un gesto stupendo e migliorano la società. Questo rende sbagliato che ci siano badanti che pretendono uno stipendio?

Sul discorso rubare=scaricare sono d’accordo che non si possa parlare di furto, ma non accetto neanche il ragionamento di chi (non Gamberetta) paragona lo scaricare a prestare/avere prestato un libro.
Anche se parlare di furto è esagerato sta di fatto che se io, autore, decido (legittimamente) di pretendere un pagamento per la diffusione di un mio romanzo e tu, piratone, scarichi il romanzo in questione, tu avrai preso possesso del romanzo, frutto del mio lavoro, ma io non ho riscosso alcun pagamento. Qualcosa che non va c’è.

Se Egisto presta un libro a Pancrazio non me ne frega niente. Egisto l’ha pagato, prestandolo sta limitando la sua proprietà del libro e anche per Pancrazio non sarà come aver comprato il libro. Contenti loro…

L’esempio paradossale del concessionario non è tanto calzante. Potrebbe starci dal punto di vista del libraio che si lamenta perché non vende libri, ma qui chi si lamenta è più spesso l’autore.
Se tu prendi l’autobus rinunci al bene materiale della macchina, a tue spese (tipo ritardi e sovraffollamenti). Se invece scarichi un romanzo rinunci al bene materiale del libro, sempre a tuo discapito (odio leggere a video!), ma godi a pieno del bene virtuale/immateriale del romanzo.
Leggendo a video tu rinunci a copertina, pagine, bei caratteri e quant’altro. Ma io autore non ho lavorato su quegli aspetti. Io ho creato con il mio lavoro personaggi, dialoghi e situazioni, e tu godi pienamente del mio lavoro senza che io venga ricompensato in alcun modo.
Prendendo l’autobus non usi le auto del concessionario, ma scaricando il mio romanzo usi il mio lavoro (trama, dialoghi, ecc…). Ripeto che non si può parlare propriamente di furto, ma c’è qualcosa di sbagliato, moralmente e legalmente.
Ora, per chi scrive solo e soltanto per la gloria e per essere letto non è un problema, ma ripeto: non penso sia amorale pretendere un compenso per un lavoro fatto.

In breve: la tua visione poggia sull’assunto che un romanzo, in quanto arte, appartiene alla società e non all’autore (almeno questo si legge fra le righe). Io sinceramente non riesco a essere d’accordo.

p.s.

Se prende piede l’abitudine di prima leggere e poi pagare, può essere che si crei un nuovo ambiente, dove la selezione naturale favorisca i più bravi e non i più ricchi.

Io, sinceramente, se prima leggo poi non pago. Se leggo gratis un romanzo, anche bello, con i venti euro che avrei dovuto spenderci mi vado a comprare qualcos’altro e non penso a “premiare l’autore”… sono una persona tanto orribile?

#19 Comment By Morgante On 17 settembre 2008 @ 17:58

@ Gid
Mi piace quello che hai scritto.
Credo anch’io che uno scrittore che conceda di leggere gratuitamente le sue opere sia da ammirare, ma non mi passa mai per il cervello di lanciare anatemi contro chi viene pagato.
Continuo lo stesso a non avere un’opinione precisissima e ferrea come molti, qui, ma la discussione si sta facendo molto interessante.
Continuate! : )

#20 Comment By Aletheia Loki On 17 settembre 2008 @ 17:59

Io, sinceramente, se prima leggo poi non pago. Se leggo gratis un romanzo, anche bello, con i venti euro che avrei dovuto spenderci mi vado a comprare qualcos’altro e non penso a “premiare l’autore”… sono una persona tanto orribile?

Beh, io invece lo comprerei un libro che mi piace, anche se l’ho già letto. O_o Scherzi? E se mi sveglio alle 4 di mattina con l’improvvisa necessità di rileggere una certa pagina di quel certo libro (realmente successo)? Io do di matto se non ho quel libro lì a portata di mano… e se me l’hanno prestato, non posso certo andare a riprendermelo. Se l’ho scaricato sul pc la situazione cambia poco: alle 4 di mattina non mi va di riaccendere il computer, ma proprio per nulla. Capisco che non sono un buon esempio di umanità media, ma non penso di essere l’unica che comprerebbe i libri pur avendoli già letti. o.ò
Se questo fosse vero, solo le biblioteche comprerebbero libri e noi privati avremmo in casa forse due o tre volumi. u_ù

#21 Comment By Angra On 17 settembre 2008 @ 18:07

Io, sinceramente, se prima leggo poi non pago. Se leggo gratis un romanzo, anche bello, con i venti euro che avrei dovuto spenderci mi vado a comprare qualcos’altro e non penso a “premiare l’autore”… sono una persona tanto orribile?

In realtà non si tratta di spendere 20 euro per comprare il cartaceo ma di mandare 1 o 2 euro all’autore dopo che abbiamo letto il pdf e ci è piaciuto. Per l’autore sarebbe più di quanto alla fine gli verrebbe corrisposto dall’editore.

#22 Comment By Gamberetta On 17 settembre 2008 @ 18:22

@GiD.

Lo scrittore ha il diritto (d’autore) di pretendere un pagamento per il tempo e la fatica che ha impiegato nel creare un qualcosa, senza per questo doversi sentire meno onesto di chi distribuisce gratis.

Dici che lo scrittore ha diritto di pretendere? Allora non posso non comprare, se non compro niente, lo scrittore non vede un soldo, dunque il suo diritto che diritto era? Se tu pensi che uno abbia il diritto di pretendere pagamento per il tempo e la fatica, non puoi affidarti al mercato. Lo Stato (ovvero tutti i cittadini) devono pagare una tassa con la quale finanziare gli scrittori. Perché se uno ha diritto, ha diritto.
Ma se non premiamo il risultato bensì il tempo e la fatica, direi che tutti i cittadini potrebbero essere scrittori. Ognuno s’impegna per un tot ore e ha diritto al sovvenzionamento. Quando tutti sono sovvenzionati dai soldi di tutti è come se nessuno ricevesse niente. D’oh!
Il tempo e la fatica non valgono niente. Può valere il risultato che ottieni con quel tempo e quella fatica. Ma se il risultato è buono, che senso ha limitarne articialmente la diffusione? Perché devono poter leggere solo le persone che possono permetterselo? Se è un bel romanzo, il fatto che tutti possano leggerlo è positivo per la società, più della singola ricchezza dello scrittore.

Per il resto sfugge sempre il solito concetto: il “piratone” non si appropria del tuo romanzo, bensì di una copia di esso.
Comunque come dicevo nell’articolo ne fai un problema morale. Tu non ci perdi nienti (hai ammesso tu stesso che per esempio non ti scoccerebbe il possibile mancato guadagno di un prestito), ma ti rode che qualcuno usufruisca di un servizio senza pagarlo. Il problema è, perché?
Perché trovi così sbagliato che una persona possa essere felice senza pagare? C’è chi ti paga e legge, e altri che leggono, si divertento e non ti hanno pagato, e allora? NON CI PERDI NIENTE Il romanzo è ancora tuo, le idee, la trama, i personaggi sono ancora nella tua testa, nelle librerie ci sono ancora le varie copie in vendita, si può sapere perché dovresti negare la possibilità di divertirsi, imparare, godere a un altro?
Un sud coreano appassionato di letteratura italiana scarica il tuo romanzo e se lo gode. Cosa c’è di sbagliato? Perché a tuo modo di vedere la faccenda diviene “morale” solo quando intaschi soldi? Dunque la prostituzione è il massimo della moralità!
Vivi e lascia vivere! Se una persona ti vuol pagare ti paga, se non vuole non si capisce perché dovresti negargli la possibilità di diventare una persona migliore, visto che per te non cambia una virgola.

#23 Comment By giupina On 17 settembre 2008 @ 18:58

Il tempo e la fatica non valgono niente. Può valere il risultato che ottieni con quel tempo e quella fatica. Ma se il risultato è buono, che senso ha limitarne articialmente la diffusione?

gamberetta hai ragione, il tempo e la fatica non valgono niente, ma il loro risultato si. tu parti dall’assunto che il diritto d’autore non sia un “diritto”

Le leggi sul copyright possono essere paragonate a un condono edilizio…[ ] Siamo su questo piano, parliamo di un incentivo, …[ ]da nessuna parte il copyright sancisce un fantomatico diritto al guadagno degli artisti

ma su quale base? cito da wikipedia

Il diritto nasce al momento della creazione dell’opera, che il codice civile italiano identifica[4] in una «particolare espressione del lavoro intellettuale». Quindi è dall’atto creativo che, incondizionatamente, il diritto si origina; non vi è pertanto alcun obbligo di deposito (ad esempio, presso la SIAE), di registrazione o di pubblicazione dell’opera (a differenza del brevetto industriale e dei modelli e disegni di utilità che vanno registrati con efficacia costitutiva). Tuttavia, tali forme di pubblicazione costituiscono una manifesta e facilmente dimostrabile attribuzione della paternità (specie in caso di controversia).

tutte le altre considerazioni sono interessanti e utili, anche per me, non lo nego, ma non cambiano di una virgola la lettera e lo spirito della legge.

giupina

#24 Comment By Okamis On 17 settembre 2008 @ 19:42

Articolo interessante, come sempre dopotutto. Mi focalizzo però su un punto rimasto un po’ in disparte (forse perché esula parzialmente dal tuo discorso generale).

Sul fatto che i diritti d’autore, intesi come retribuzione di un autore a seconda delle copie vendute della sua opera, siano un paradosso da abolire mi trovi perfettamente d’accordo. Dopotutto, da anni ormai sono grande sostenitore (e ovviamente fruitore) di programmi open source o che mi permettano comunque di raggiungere i medesimi risultati di analoghi prodotti a pagamento, senza però l’obbligo di sborsare un centesimo (mi riferisco in particolare a Linux). Unica eccezione, lo ammetto, è Office, in quanto nel bene o nel male è un ottimo programma. Ma non voglio divagare…
Oltre a regolare quanto da te esposto, i diritti d’autore regolano anche la diffusione dell’opera medesima, o meglio la sua paternità. Mi spiego: senza l’apparato dei diritti d’autore si potrebbe arrivare al paradosso che io potrei dire di essere l’autore di “Harry Potter e i doni della morte” (non che ci tenga particolarmente). Certo, mi si può rispondere che il libro in questione è talmente noto che nessuno oserebbe sputtanarsi in questo modo. Ma cosa accade con le opere di misconosciuti esordienti? Per fare sempre un esempio, se io, mister Nessuno, scrivo un libro, lo pubblico sul mio sito senza avere possibilità alcuna di dimostrare la paternità di quell’opera, potrebbe benissimo accadere che qualcuno mi soffi l’idea e la spacci per sua, magari lucrandoci sopra. Insomma, una qualsiasi forma di tutela artistica deve esistere a mio modo di vedere. Che poi le vare SIAE o chi per loro siano spesso e volentieri delle società di truffatori legalizzate, quello è un altro discorso.

Ora, diritti d’autore (intesi in senso pecuniario) e paternità dell’opera sono concetti del tutto estranei l’uno all’altro, e non bisogna chiamarsi Einstein per capirlo. Eppure in Italia (ma non solo nel nostro caro Bel Paese) gli articoli che regolamentano tali questioni sono fra loro legati, creano un binomo inscindibile.
Mi chiedevo quindi, per concludere, quale fosse la tua opinione, Gamberetta, in merito alla parte dei diritti d’autore che regolamenta la paternità dell’opera (ma la domada ovviamente può essere intesa come rivolta a qualsiasi fuitore di questo blog). Spero che il mio pensiero sia risultato chiaro. Qualora così non fosse, chiedo venia (purtroppo sono abbastanza di fretta e non ho nemmeno il tempo di rileggere).

#25 Comment By Gamberetta On 17 settembre 2008 @ 20:31

@giupina. Sto parlando appunto dello spirito delle leggi sul diritto d’autore, in generale. Non mi sto basando sulle attuali normative dello Stato Italiano (fra l’altro le modifiche in materia sono state parecchie negli ultimi anni, quello che è “vero” oggi può non esserlo più fra sei mesi). Infine non ho particolare rispetto per certe leggi, fatte addirittura su pressione di governi esteri (l’ambasciata americana – vedi qui). Quando un parlamento si fa “suggerire” le leggi dall’ambasciata americana quelle leggi sono carta straccia.

@Okamis. Sì, sono discorsi diversi. Se si vuole creare una protezione riguardo alla paternità delle opere, credo sarebbe facilissimo: lo Stato organizza un server sul quale uplodare i film, libri, musica, ecc. che si vuole, e ne certifica con validità legale la data di upload. Gratis o al massimo facendo pagare il costo della banda consumata (che comunque viste le tariffe attuali per l’ADSL corrisponderebbe a circa 3 centesimi per un film in qualità DVD).
In ogni caso il rischio di plagio è sopravvalutato. Prendiamo proprio Harry Potter: come noto il primo libro (una potenziale miniera d’oro) ha girato diverse case editrici prima di essere pubblicato. In altre parole anche gli addetti ai lavori non è che abbiano questa gran capacità d’intuire le idee migliori (anche solo dal punto di vista commerciale). Che interesse ci sarebbe a “rubare” le idee a uno sconosciuto, quando gli sconosciuti fanno loro a gara a mandare manoscritti?
Mi sembra anche abbastanza bislacco che uno sconosciuto prenda il testo di un altro e… spenda lui i soldi per spedirlo a n case editrici? Improbabile.
Se invece di plagio vero e proprio si parla di copia di idee, il discorso cambia. Non c’è niente di male: è proprio copiandosi le idee a vicenda che nascono i bei romanzi. Se una persona ha una bella idea è naturale che anche altri la vogliano elaborare. Tutto di guadagnato!
E La Guerra dei Mondi di Wells è in ristampa continua da 100 e passa anni nonostante di gente che abbia “rubato” l’idea dell’invasione aliena ce ne sia a iosa.

#26 Comment By Okamis On 17 settembre 2008 @ 21:13

In campo informatico mi viene in mente quanto successo in questi anni con i progetti Compiz e Beryl, ovvero i due più famosi “Desktop Environment 3D” disponibili per sistemi Linux. Compiz nasce, raccoglie consensi, s’impone sul mercato. Ma qualcuno crede di poterlo migliorare. Così recupera il codice sorgente (cosa perfettamente legale in ambito open source), lo modifica a suo piacimento e crea Beryl, programma del tutto analogo al primo ma con differenti effetti visivi. Alla fine l’utente finale si ritrova a poter usare due programmi: a lui la scelta del migliore.
Un discorso simile in ambito artistico non è propriamente assimilabile, anche se la cosa non mi dispiacerebbe. Ad esempio se uno scrittore dovesse scrivere un romanzo basandosi su un apparato di base preesistente (in maniera analoga a quanto succede con le opere basate su D&D) senza l’obbligo di dover pagare i diritti d’autore, cosa ci sarebbe di male? Perché non è possibile, come accade in ambito informatico, riscrivere le opere andando a correggere quelli che si ritiene esserne i difetti? Non mi riferisco a semplici fan fiction, ma vere e proprie riscritture globali. Al di fuori di un discorso estetico (che andrebbe a toccare i singoli lavori) non ci vedrei nulla di male. Certo, ciò avrebbe senso soprattutto se vivessimo in una società dove “prima usufruisci e poi decidi se pagare”. Nella nostra… beh, lasciamo stare.

PS: l’idea del sistema di upload è analoga a quella che avevo in mente pure io (una sorta di SIAE “aggratis”). Ero solo curioso di vedere se pure su quell’ambito specifico potessimo trovarci d’accordo ;-)

#27 Comment By DelemnO On 17 settembre 2008 @ 21:32

Quello dei diritti d’autore è un discorso complesso. Io faccio recensioni per una webzine black metal, con il ritmo di una o due recensioni alla settimana ( il tempo è poco, vero). A meno che non ci siano uscite che mi interessano particolarmente addirittura giro sui blog dove mettono a disposizione cd da scaricare e scelgo quelli che più mi ispirano, scegliendo a casaccio. Ci si possono trovare ottimi lavori ( l’omonimo dei Nhaavah) o incappare in album più deludenti (l’ultimo dei Proclamation che ho appena finito di recensire). Calcolando poi che è estremamente difficile ( diciamo pure impossibile) andare in un negozio di cd e trovarsi questi album davanti, così come andare in una libreria anche decente e trovarci Ash della Gentle è difficile, io appoggio il download e la distribuzione di opere via internet. I cd se li trovo poi li compro volentieri ( se ho i soldi..), idem per i libri. Alla peggiore si ordina via internet.
Poi è chiaro che è bello avere il libro in mano, sentirne l’odore e accarezzarne la carta, così come sfogliare il libretto di un cd magari in confezione speciale.
Di solito, nè musicisti nè scrittori, a parte quelli veramente famosi (che non accetto vedere piangere miseria a causa del download), ci mangiano con questa loro passione.

Però ad esempio, se io postassi sul mio blog un estratto del mio libro ( ancora non pubblicato, mettiamo) in cui compare la razza Elara e uno lo leggesse e, poniamo, la inserisse nel suo libro con un altra storia, altri personaggi e via dicendo, e lo pubblicasse io vorrei fargli causa. Non è come gli elfi che appartengono comunque alla tradizione mitologica nordica, è qualcosa di creato da me che vorrei in qualche modo tutelato. Poi se qualcuno si scarica il mio libro e lo legge, e gli piace, sono contenta, anche se la possibilità di far su qualcosina non mi schifa io non scrivo certo per soldi.

#28 Comment By GiD On 17 settembre 2008 @ 21:38

Dici che lo scrittore ha diritto di pretendere? Allora non posso non comprare, se non compro niente, lo scrittore non vede un soldo, dunque il suo diritto che diritto era?

Lo scrittore ha il diritto di pretendere nel senso che ha diritto di chiedere qualcosa in cambio del proprio romanzo/saggio/scritto. Non intendevo dire che vanno pagati fatica e tempo persi, come da te specificato è il frutto di tempo e fatica che va pagato. Non penso che tu non avessi capito cosa intendevo, ma meglio chiarire il concetto.

Io scrivo un romanzo.
Tu vuoi leggere il mio romanzo.
Io ho il diritto di pretendere un pagamento per farlo leggere.
Tu hai il diritto di mandarmi a quel paese e giocare a Puzzle Quest (ci mancherebbe!).

Di norma fra me che scrivo e te che vuoi leggere c’è l’editore che pubblica, ma quanto sopra è in linea di principio. Il punto è: Io autore ho il diritto di pretendere un pagamento in cambio di un mio romanzo. Se vuoi invece di scrivere “pretendere” scrivo “chiedere”, ma il succo non cambia. “Se vuoi leggere il mio romanzo devi pagarmi”: un autore può pensarla in questo modo e credo sia una posizione leggittima.

Ma se il risultato è buono, che senso ha limitarne articialmente la diffusione? Perché devono poter leggere solo le persone che possono permetterselo? Se è un bel romanzo, il fatto che tutti possano leggerlo è positivo per la società, più della singola ricchezza dello scrittore.

Siamo sempre alla stessa idea di base: per te un romanzo appartiene alla società, perché bene comune. Per me un romanzo appartiene all’autore, perché frutto della sua mente e del suo lavoro.

Tutte le questioni del tipo “che senso ha limitarne articialmente la diffusione?“, “Se è un bel romanzo, il fatto che tutti possano leggerlo è positivo per la società” e tutti i discorsi sulla felicità altrui sono problemi che deve porsi l’autore e sempre l’autore deve agire come meglio crede.
Il piratone che mette on-line un link per permettere a chiunque di usufruire del mio lavoro (di tutto il mio lavoro, non di una copia di qualità inferiore come capita spesso coi film) si sta arrogando un diritto non suo, il diritto di distribuzione di un’opera, di una mia opera. Mia l’opera, mio il diritto di distribuirla come voglio, gratuitamente, dietro pagamento on-line o appoggiandomi a un editore.

Dev’essere una mia scelta.

p.s.
Capisco che il concetto di prestito può suonare simile allo scaricare un file, ma non è del tutto uguale. Come già detto chi presta e chi si fa prestare qualcosa rinuncia a qualcosa, in altre parole si mette in una condizione di disagio, rispetto a chi compra, pur di risparmiare. Chi compra rilegge una storia quante volte vuole, chi ha un libro in prestito No. Comunque è sempre una copia del mio lavoro che gira, copia per cui ho avuto il mio tornaconto.

p.s.2
Che poi molte delle leggi e delle restrizioni che ruotano attorno al diritto d’autore siano assurde è anche vero. Non sto dicendo di No. Mi sembra comunque sbagliato ignorare del tutto la volontà e il ruolo dell’autore che sul proprio lavoro deve poter vantare dei diritti.

p.s.3
mi rendo conto che durante il commento son stato un po’ egocentrico. E’ tutto mio, mio, MIO!!!

#29 Comment By GiD On 17 settembre 2008 @ 21:40

il post precedente riporta citazioni di Gamberetta.
(Ho dimenticato a scriverlo!)

#30 Comment By Angra On 18 settembre 2008 @ 12:42

A me meraviglia il fatto che non sia stato ancora introdotto nella legislazione sul diritto d’autore un cavillo che di fatto vieti il prestito. Sarebbe difficilmente applicabile, d’accordo, ma la nostra legislazione è piena di norme impossibili da applicare. Una cosa del genere non è per niente lontana dalla situazione attuale: già se compro un cd o un dvd me ne è vietata la pubblica riproduzione. Basta rendere un po’ più restrittiva la norma e il gioco è fatto.

#31 Comment By BlackArcana On 18 settembre 2008 @ 13:00

Sono della tua stessa opinione riguardo il copyright. E’ di pochi giorni fa un “caso” letterario piuttosto controverso. A quanto pare Stephenie Meyer (la “mamma” di Twilight e Co.)si è vista “tradire” da un suo collaboratore che ha dato in pasto ad popolo della rete una versione non completa di“Midnight Sun” nuovo libro( si fa per dire visto che era una rivisitazione di Twilight raccontata dal punto di vista del bel bambolotto iper-dentuto Edward) a cui la scrittrice stava lavorando. Da brava autrice “fiera del suo lavoro” la Meyer, incavolata come una iena idrofoba, ha deciso , in barba ai desideri dei fan che fino ad ora le hanno foraggiato la bella vita, di cancellare del tutto la pubblicazione del libro. Come affermo nel mio blog la soluzione sarebbe stata semplice. Finire il libro e condividerlo in rete. Un scelta che, a quanto pare, una “grande scrittrice” come la Meyer ritiene impraticabile.

#32 Comment By Carraronan On 18 settembre 2008 @ 13:35

Sono d’accordo con le idee riportate da Gamberetta. E poi, diciamolo, la questione NON è se è possibile fermare la pirateria degli ebook, ma solo COME gli scrittori devono integrarsi nel futuro inevitabile e conviverci al meglio. Non un SE, solo un COME. Gli ebook esistono ed esisteranno nel prossimo futuro (ma io confido sempre in un bel conflitto nucleare nei prossimi decenni). Questo non è contestabile, è un dato di fatto. Le tecnologie per leggerli in modo agevole (aldilà dei lettori ebook veri e propri) sono in aumento, questo è un altro dato di fatto. Bisogna convivere con l’ovvietà dei fatti, non con le chiacchere dei cartofili o dei profeti di disastri che vogliono la cultura uccisa dai libri elettronici (mentre invece dei terreni disboscati per i libri su carta e dell’inquinamento che l’industria correlata produce non gliene frega niente).
E l’ovvietà dei fatti ci permette di immaginare un mondo dell’editoria molto migliore e molto più libero di quello attuale GRAZIE AGLI EBOOK e ai lettori per visualizzarli (siano essi palmari, cellulari, lettori e-ink veri e propri, console portatili ecc…). Ci si prospettano immensi vantaggi per gli scrittori del futuro, a patto di voler competere sulla qualità e non sulla fortuna, sulla pubblicità e sulle raccomandazioni come sembra funzionare ora l’editoria.

I rischi di “censura dell’informazione” correlati alla futura implementazione di qualunque tecnologia veramente efficace (ma nessuna lo è, perfino le Console vengono modificate senza problemi -ho due amici che le rivendono-) di “blocco” sugli eBook “venduti” sono tali da minacciare l’intera idea di libertà di una democrazia occidentale. E già ora le cose non è che vadano benissimo, visto che i nostri flussi di informazioni riservate sono molto più pubblici di quanto il cittadino medio pensi.

Avevo fatto un articolo relativo alla questione Libro/eBook nel luglio scorso, prendendo ispirazione proprio da un discorso di Doctorow del 2004, ma aggiungendo i dati di vendita degli eBook negli anni successivi in Giappone, USA e Corea del Sud per dimostrare che, proprio come con la vendita di musica online, gli eBook non sono solo un fenomeno di pirateria, ma anche un mercato reale.
Ecco il link (dentro c’è un indice di consultazione):
Ebook e Futuro del Libro

E qui un link aggiornato con i dati di vendita degli eBook in USA (un ambiente molto meno avanzato tecnologicamente del Giappone o della Corea del Sud, e con problemi editoriali non molto dissimili da quelli italiani) nel secondo quarto del 2008:
Vendite eBook USA 2008

@Black Arcana:
Secondo me quella della Meyer, alla luce di certe sue affermazioni su Breaking Dawn, è tutta una messa in scena pubblicitaria, magari per liberarsi di una serie scomoda in modo tollerabile per i suoi lettori -il tradimento!!!- e ripartire con nuove storie. In fondo aveva scritto anche L’Ospite, no?
Ho dedicato alla Meyer un commento qui:
La Meyer fa i capricci: tutta una farsa?

#33 Comment By Gamberetta On 18 settembre 2008 @ 13:59

@GiD. Ti faccio un altro esempio: compri un’automobile. È a tutti gli effetti tua. Giri per il giardino di casa come ti pare, ubriaco, andando su due ruote, con i fari spenti alle tre di notte. Finché rimani nel giardino di casa tua nessuno ti dirà niente. Ora invece inbocchi una strada pubblica: non puoi più fare come ti pare, o ti ammazzi (e/o ammazzi qualcun altro). Dunque la società t’impone dei limiti sull’utilizzo del tuo mezzo. L’automobile non è più tua? No, è ancora tua, solo devi renderti conto che adesso le tue scelte devono essere messe in relazione con le scelte altrui.
Così il romanzo: finché te lo tieni per te o lo leggi agli amici tuoi puoi farci quello che vuoi, quando lo rendi pubblico rimane tuo, ma l’utilizzo non è più una tua scelta. Non può la tua scelta limitare la MIA scelta di prendere la MIA copia del romanzo farne 500 fotocopie e spedirlo in Cina.
Il romanzo rimane tuo, le copie sono della società.

@DelemnO. Se uno prende gli Elara con nome e cognome e li inserisce in un suo libro è possibile che vinceresti un’eventuale causa (forse, è una questione complicata). Ma direi che è imbrobabile: quello che può capitare è che il tipo prenda gli Elara, cambi il nome o qualche altra caratteristica secondaria e inserisca il bello dell’idea nel suo di romanzo. Qui non solo non c’è niente da fare, ma è un fatto positivo. È anche mettendo assieme le buone idee degli altri che nascono i bei romanzi.

#34 Comment By Sandy85 On 18 settembre 2008 @ 15:26

Articolo veramente interessante, ma anch’io concordo con GiD per quanto riguarda la “richiesta” dell’autore.

Ho una domanda: se vale sempre il prima leggi e poi paghi, che fine fanno le biblioteche?
Di solito in biblioteca trovi una gran quantità di libri, anche i più scadenti, puoi prenderli in prestito, li leggi e decidi quale vale la pena di andare a comprare e quale no. È la stessa cosa dello scaricare un’opera, leggerla e poi decidere di pagarla o di comprarla se non vuoi farti venir male agli occhi per aver fissato per ore uno schermo.
C’è il rovescio della medaglia: la biblioteca non sempre è vicino casa o devi uscire e fuori fa freddo, questo può dar fastidio a quelli che sono abituati ormai ad avere tutto su internet o starsene al calduccio d’inverno senza dover far usare le gambe… se non per prendersi una bibita in cucina.

#35 Comment By Sandy85 On 18 settembre 2008 @ 15:31

dover far usare le gambe

Ho aggiunto un “far” di troppo, perdonate la svista, ma rileggendo non l’avevo notato.

#36 Comment By GiD On 18 settembre 2008 @ 16:09

@ Gamberetta

L’esempio, ancora una volta, non è così calzante.
La libertà di ognuno finisce dove comincia la libertà dell’altro. Perché non posso guidare ubriaco e andarmi a schiantare contro un pioppo? Perché guidando ubriaco posso danneggiare altre persone. Quindi io non ho il diritto/la libertà di guidare come mi pare. In generale la mia libertà viene vincolata quando gli effetti del mio agire ricadono su terzi.
(Per inciso, in pratica non è sempre così. Mettere il casco o No dovrebbero essere cazzi miei visto che ne dipende solo la mia salute, ma non è così. va be’…)

Passando alla questione romanzi e simili la situazione si complica…

Il romanzo rimane tuo, le copie sono della società.

Qui, certamente senza volerlo, fai il mio stesso discorso. Il romanzo è mio perché l’ho ideato e scritto, la copia è tua perché l’hai comprata.
Ma quando tu rendi disponibile il testo tramite link, o mandi in giro per il mondo delle fotocopie, cosa stai diffondendo? cosa stai usando? la TUA copia o il MIO romanzo?
Io dico che usi, gestisci e distribuisci il mio romanzo, illegittimamente (perché senza il mio consenso). Se tu fai ciò che ti pare del mio romanzo me ne togli il possesso e me ne lasci solo la paternità.
Pubblicando io acconsento al fatto che la casa editrice che pubblica distrubuisca il mio romanzo, NON acconsento al fatto che il mio romanzo diventi “cosa di tutti”.
E qui arriviamo al punto cruciale: Tu, comprando il mio romanzo, hai il diritto di usufruirne, di usarlo, NON di distribuirlo. Sono due diritti diversi. Per il diritto di distribuzione una casa editrice mi paga ben più di 15 euro. Tu non puoi avere il diritto di distribuire come meglio ti pare il mio romanzo solo perché ne hai comprato una copia.

Se tu presti, presti la TUA copia, se tu riproduci e diffondi, diffondi il MIO romanzo.

Non può la tua scelta limitare la MIA scelta di prendere la MIA copia del romanzo farne 500 fotocopie e spedirlo in Cina.

Non è così semplice. Occorre vedere quale delle due scelte è più leggitima, oppure chiunque può dire che la tua scelta di dormire non può limitare la scelta del tuo vicino di suonare la batteria alle quattro del mattino.
Fra la mia scelta (dell’autore) e la tua scelta (del fruitore) c’è una differenza, anche abbastanza netta.

-La scelta dell’autore di pretendere un compenso in cambio del bene che offre (fruizione del romanzo) è di certo legittima. Sta offrendo qualcosa e può chiedere in cambio qualcos’altro, non sta obbligando nessuno a fare niente.

-Dal punto di vista del fruitore: qual è la sua libertà che io, autore, intralcio? Nel tuo esempio è innegabile che gli altri abbiano il diritto di vivere e la libertà di circolare per le strade. Nel caso del romanzo, anche pubblicato, è diverso: dal momento che il romanzo viene pubblicato tutti hanno il diritto di poterlo comprare NON il diritto di leggerlo. O meglio, il diritto di leggere è vincolato dall’acquisto e quindi è nei fatti diritto di comprare.
Il tuo discorso e il tuo esempio possono reggere solo se si parte dall’assunto che esiste un diritto di leggere e che questo non possa essere vincolato dall’acquisto. Penso capirai che sostenere un tale diritto è un tantino più complesso del sostenere il diritto alla vita del pedone investito dall’ubriaco al volante. Può davvero, secondo te, esistere questo diritto ed essere così importante da scavalcare il diritto di possesso dell’opera da parte dell’autore?

#37 Comment By Simone On 18 settembre 2008 @ 17:25

Mi spiace ma resto della mia opinione. Se vendo una cosa fatta da me, o la prendi o la paghi o non la prendi e non la paghi. Prendere senza pagare è un furto e pure Robin Hood era bravo e buono a dare i soldi ai poveri ma sempre furto era giusto o sbagliato che fosse.

Oltre a questo, senza il copyright non esisterebbe l’incentivo alla ricerca e all’innovazione. Se investi 100 milioni di dollari in un film o nella ricerca di un medicinale lo fai perché ti aspetti di rientrare di molto dell’investimento fatto. Se il risultato del lavoro intellettuale diventasse immediatamente di dominio pubblico nessuna grossa società investirebbe e non ci sarebbe un avanzamento nella ricerca. Il fatto che chi scoprirà la cura per il cancro se ne fotterà di salvare la gente ma lo farà solo per i soldi, non toglie che a quel punto la cura per il cancro esisterà mentre senza soldi la ricerca non andrebbe avanti.

Ancora, il fatto di comprare se ci piace, dopo aver “saggiato” è una boiata. Io lo faccio da anni con i miei ebook e nessuno se li compra. Non è questione di qualità, è che quasi nessuno di coloro che scaricano poi amano mettere mano al portafogli. Se uno può non pagare semplicemente non pagherà, anche se il libro gli piace, e ancora di più se l’acquisto si può fare solo attraverso Internet visto che pagare con carte di credito è anche una scocciatura. Se un altro autore scegliesse allora di vendere e basta, senza distribuzione gratuita, sarebbe suo diritto farlo perché il lavoro è il suo e ci fa quello che gli pare.

Ovviamente il discorso è molto più complesso, perché io ritengo che se ti viene un’idea non sia comunque al 100% tua ma che appartenga all’umanità. Resta il fatto che la soluzione “prendo e copio tutto” è un sistema per avvantaggiare noi stessi a scapito dell’autore fregandosene dei diritti degli altri, e rischia di porta a “prodotti” di basso livello.

Simone

#38 Comment By Okamis On 18 settembre 2008 @ 19:04

Il problema di qualsiasi disussione inerente i Diritti d’Autore (e in senso lato anche la paternità artistica di un’opera) è di per sé complesso in quanto genera un paradosso tutto suo:

Se uno stato, attraverso azioni di ambito legislativo, regolamenta il compenso che un autore è tenuto a ricevere per ogni copia della sua opera, avremo piena libertà dell’autore medesimo di fare del suo lavoro quello che egli preferisce, ma una limitazione sul diritto di libera fruizione da parte del pubblico. D’altra parte, una totale libertà di divulgazione porterà a un completo vantaggio per il pubblico, ma una limitazione per l’autore.

Quale delle due limitazioni di libertà è la migliore? A mio avviso la seconda, in quanto va a raccogliere una fetta più ampia di popolazione. Sennza contare che tale sistema, dal mio punto di vista, faciliterebbe una qualità dei testi generalmente più alta. Un libro mi è piaciuto? Bene, dono all’autore una quota di denaro (che di certo sarebbe maggiore all’elemosina che ricevono dai diritti d’autore), oppure decido di comprare la versione cartacea. Gli svantaggi di un simile sistema? Beh, probabilmente (per non dire quasi sicuramente) molte case editrici (diciamo le più piccole) fallirebbero, generando un conseguente aumento della disoccupazione (certo, nulla di paragonabile a quanto sta per accadere ad una certa Alitalia, ma la perdita del lavoro anche di una sola persona sarebbe comunque un fatto da non festeggiare). Insomma, prese di posizione nette non ci sono (e questo è forse l’unico punto in cui l’articolo di Gamberetta non è efficace, non prendendo in considerazione le possibili conseguenze che il sistema da lei, come da me, auspicato provocherebbe). Ma se andiamo a vedere vantaggi e svantaggi dell’uno e dell’altro sistema, l’eliminazione dei Diritti d’Autore la farebbe comunque da padrona.

#39 Comment By Laurie On 18 settembre 2008 @ 19:40

Potrei dire sinteticamente che “quoto” tutto. Ma siccome tale commento sarebbe inutile per la discussione, vorrei proporre una domanda che mi è balzata in mente alla conclusione della lettura.
Premessa: sono una persona che sostengo l’assurdità del copyright con piglio entusiastico e con argomenti del tutto simili a quelli esposti nel post. Non miei originali, ma presi da varie fonti, tra cui Punto Informatico dove ogni tanto compaiono articoli sull’argomento. Non molto tempo fa ho “difeso” i Radiohead quando una sagace persona ha profetizzato il loro fallimento perché avevano venduto il loro disco online. Con offerta libera (il che vuol dire che potevi dargli anche un centesimo). Eppure loro non sono nuovi a simili pratica, non mi sembra abbiano mai protestato per la diffusione online delle loro canzoni e (potrei ricordare male ma) hanno dichiarato che era un ottima pubblicità il fatto che i brani di Hail to the thief fossero online prima che il disco uscisse fisicamente nel mercato. Stranamente i Radiohead non sono sul lastrico. Mi piace pensare perché sono bravi, e non hanno bisogno di farsi pubblicità con videoclip accattivanti in tv per conquistare gli ascoltatori.
Ma sto divagando. Anche perché qui si parla di letteratura, non di musica, dove comunque gli artisti possono ricavare fonti di denaro dai concerti (anche se chi va a pagare 30 euro di biglietto per una band che non gli piace? E quindi per piacergli deve aver ascoltato i dischi, piratati o no).
Dicevo, la domanda, probabilmente provocatoria e che vorrei indirizzare sinbolicamente ai diretti interessati: ma perché le case editrici, o discografiche o qualsiasi altra azienda che produce e vende prodotti artistici, non investono sulla diffusione via web? Perché nonostante se ne parli in toni positivi tra noi, e certe ricerche sembrano darci ragione, la tendenza attuale è verso un inasprimento delle sanzioni contro la cosidetta “pirateria”?

#40 Comment By Gamberetta On 18 settembre 2008 @ 22:21

@Sandy85. Le biblioteche sono un’ottima istituzione ma in prospettiva non molto utili. Le biblioteche, così come sono organizzate, funzionano solo perché sono frequentate da una minoranza. Se 100.000 persone si presentano per leggere la Troisi invece che comprarla, l’ultimo fa a tempo a morire prima che giunga il suo turno.
Quello che potrebbe fare lo Stato è organizzare una biblioteca via Internet e offrire le varie opere in formato elettronico. Sarebbe un bel segnale di civiltà, e un concreto incentivo alla lettura, invece di tante chiacchiere idiote.

@Laurie. Gli editori tradizionali non investono nel web perché ne hanno una gran paura. Quello che davvero li terrorizza non è tanto la pirateria, ma Lulu.com o simili.
Quando c’è qualcuno che ti stampa il libro (Lulu), qualcuno che lo distribuisce (l’infrastruttura di Internet) qualcuno che lo può vendere (il sito dell’autore con pagamenti “virtuali” invece delle banconote) e infine qualcuno che può fare l’editing (volontari o liberi professionisti a pagamento), ecco che le case editrici, i distributori e i librai possono pure sparire. Alcuni di questi signori, magari in settori specialistici potrebbero sopravvivere, ma il grosso è destinato all’estinzione.

@Okamis. Come spiegato a Laurie le case editrici chiuderanno comunque e indipendentemente dal problema del diritto d’autore.

#41 Comment By Okamis On 18 settembre 2008 @ 23:00

Mmh… Non ne sarei tanto convinto. Al massimo potrà avvenire una loro evoluzione sui modelli da te menzionati (un po’ come avvenne all’avvento della stampa meccanica, dove alcuni grandi gruppi di amanuensi colsero l’importanza dell’evoluzione tecnologica e vi si adattarono). E’ vero, molte case editrici hanno paura della rivoluzione informatica che sta crescendo in maniera esponenziale, in quanto andrà ad intaccare il loro “monopolio” e soprattutto le loro tasche. Ma alla fine credo che apriranno gli occhi e troveranno nuove vie da seguire. Se vedo un futuro nero, è per le piccole case editrici, non certo per le grosse. Su una cosa però sono d’accordo: forse non domani o dopodomani, ma di certo il mercato (e il modo in cui esso viene fruito) sta mutando molto rapidamente. Da qui però ad ipotizzare “estinzioni di massa” ne passa di acqua sotto i ponti ;-)

#42 Comment By Angra On 18 settembre 2008 @ 23:17

@Gamberetta: anche il gruppo L’Espresso ha il suo Lulu adesso, e ci sta investendo parecchio in pubblicità. Volevo giusto scrivere un articoletto per confrontarlo con Lulu soprattutto per quello che riguarda i prezzi. Il problema è che se in libreria si trova un sacco di spazzatura, lì la spazzatura (in senso buono) è la norma. Ho provato a leggere gli incipit dei libri più venduti (basta comprarsene qualche copia da soli per schizzare in alto nelle classifiche) e nelle maggior parte dei casi è roba illeggibile. E’ vero che ci sono in giro ottimi editor anche volontari migliori di quelli che trovi nelle case editrici, ma è anche vero che la maggior parte degli autori da Lulu a farsi rivedere il libro da una persona competente prima di darlo alle stampe non ci pensa nemmeno, perché non sa di averne bisogno. Anch’io comunque sono convinto che cambierà tutto, solo che non riesco a immaginare come: non credo che Lulu e simili possano essere il futuro della letteratura. Anche perché se il buongiorno si vede dal mattino a me i signori di Lulu sembrano più che altro dei furbastri che al pari di certi editori non si fanno scrupoli a sparare stronzate pur di guadagnare.

#43 Comment By castelloincantato On 18 settembre 2008 @ 23:59

Innanzitutto quoto tutto quello che ha detto Gid, sono perfettamente d’accordo con te.

Ma la teoria di Okamis secondo me non regge:

Una totale libertà di divulgazione porterà a un completo vantaggio per il pubblico, ma una limitazione per l’autore.
Quale delle due limitazioni di libertà è la migliore? A mio avviso la seconda, in quanto va a raccogliere una fetta più ampia

Mettiamo che io ipnotizzo (o prendo in ostaggio) un panettiere e gli faccio fare e distribuire del pane gratis. La popolazione ne avrà un bel vantaggio, i poveri potranno mangiare gratis, ma sto facendo un’ingiustizia bella e buona al panettiere, sto sfruttando il suo lavoro. Anche lo scrittore lavora, forse è più simile a un’artigiano che non al panettiere, ma il succo è lo stesso: produce un qualcosa e per questo deve essere ricompensato. E’ una questione di scambio: se lui mi dà qualcosa, io devo ricambiare. Se poi decide di produrre gratis, meglio, ma dev’essere una scelta sua. Il fatto che sia un bene per la comunità avere libri gratis non è una buona giustificazione: anche a me piacerebbe che il muratore lavorasse gratis (ho la casa da ristrutturare), allora potrei schiavizzare i muratori e tutta la comunità ne gioverebbe. Quasi, quasi…

#44 Comment By mhrrr On 19 settembre 2008 @ 10:43

uau, che post ricco, che commenti ricchi.

devo dire anch’io la mia.
ma prima un paio di commenti puntuali.

@gamberetta: lulu, purtroppo, se si acquista un servizio di distribuzione, impone il copyright. se non si acquista nessun servizio di distribuzione, invece, permette di ricorrere alle creative commons, ma solo alla versione 2.0 (non è cambiata granché, ma checcazzo).
con utp ho messo la nota di copyright e, dopo il lancio, lo rilascerò sotto cc 3.0 (by,sa,nc) camminando sul filo di un’ambiguità contrattuale, se i miei legali mi confermano che si può fare, altrimenti mi autopiraterò sul mulo.
quindi lulu ha poco da far paura, in questo momento.

@angra: attenzione: lulu è una casa editrice on demand, ilmiolibro del gruppo l’espresso è una vanity press senza funzioni di casa editrice (ad esempio non attribuisce isbn). sono due cose assai diverse.

@GiD (primo commento): sì, sei un mostro.
applica la logica del razziatore che davvero non attribuisce nessun valore al lavoro altrui se questo lavoro non è difeso con le armi: se esiste un copyright allora sono costretto a pagare l’autore, altrimenti se ne vada affanculo morendo di stenti.
preferisco ragionare nei termini di: se mi piace il tuo lavoro ti sostengo (e mi sento un piccolo mecenate), anche dopo.

un aspetto che mi pare essenziale, e che ha già in effetti anticipato carraronan ma che è emerso prepotentemente negli scambi tra gamberetta e gid, è che l’attuale normativa è semplicemente inadeguata perché, ad esempio, non distingue tra copia e “originale”.
non vi annoierò con racconti di vita vissuta, ma mi sono occupato un po’ di diritto d’autore qualche anno fa, in particolare in relazione al copyright sulle banche dati e i corpora linguistici. già allora, e la situazione non è cambiata, dovemmo escogitare degli artifici legal-informatici per permetterci di distribuire liberamente e gratuitamente dei contenuti protetti, perché la normativa non concepiva certi tipi di trattamento di dati!
il punto è che il mondo cambia più rapidamente delle leggi (non sono originale, lo so) e il miglior approccio alla questione (non morale, pratico) viene da definizioni più puntuali e specificeh possibile sugli usi delle opere, invece che dalle opere. mi spiego: il diritto tradizionale si concentra sulla proprietà delle opere e ne definisce il ventaglio di usi più ampio possibile, le licenze creative commons invece, ad esempio, definiscono gli usi e i trattamenti cui può essere sottoposta un’opera qualsiasi nel modo più specifico possibile.
il cambiamento di prospettiva risolve, ad esempio, il problema di cosa si possa e non si possa veramente fare di un oggetto qualsiasi.

penso che una normativa sia necessaria, a vantaggio di tutti, che la questione non sia morale ma pratica, che l’attuale sistema di leggi patisca l’influenza di modi di pensare vecchi (non credo, in tutta onestà, che la universal o la virgin fallirebbero se la gente potesse controllare prima la qualità dei loro prodotti, solo che sarebbero costretti a spendere un po’ di più per assicurarsi prodotti di buona qualità).
ops, devo andare.

#45 Comment By gugand On 19 settembre 2008 @ 10:58

Vorrei dire la mia su tutta questa storia.
Spero che non mi citerete per violazione del copiright se dico qualcosa gia’ detto da altri :)
Sono d’accordo con Gamberetta, credo su tutto.
Intanto partirei da come si dovrebbe considerare un opera d’arte che va distinta dal brevetto (anche se qui ci sarebbe un discorso sulla durata):
Il brevetto e’ un progresso tecnologico mai sviluppato prima e il guadagno e’ tanto maggiore tanto e’ utile, se altri vogliono applicare il brevetto e’ giusto che dividano i guadagni con l’ideatore, come fosse uno dello staff che progetta l’applicazione finale.
Un opera e’ una cosa fatta per soddisfare il bisogno dell’artista di comunicare un suo pensiero o raccontare una storia.
Gia’ il solo fatto che l’artista abbia fatto un’opera riconosciuta come valida e’ motivo di soddisfazione e appagamento per l’artista che si dichiari tale.
L’unica cosa che deve essere riconosciuta e’ la paternalita’ dell’opera in modo che nessun’altro si spacci per autore.
Un autore famoso trova i modi per fare i soldi perche’ qualcuno sara’ disposto a pagarlo per vedere una sua mostra, per una intervista, una pubblicita’, un convegno et similia.
Un autore che piace ad una ristretta cerchia di persone e’ come se avesse la cerchia di amici che lo apprezzano, non ha soddisfatto la richiesta di arte della comunita’ in modo consistente, quindi la societa’ non gli da automaticamente credito, in tutti i sensi.
Simone che non riesce a guadagnare anche se mette a disposizione gratis il suo lavoro lo dovrebbe far pensare che il suo lavoro non sia abbastanza valido altrimenti i passaparola lo avrebbero portato da qualche parte. Se continua a creare opere significa che gli piace e quindi lo fa per passatempo.
Bisogna mettersi in testa che se qualcuno dopo aver letto/visto l’opera non lo compra significa che non la reputa abbastanza buona.
Per concludere vorrei far sapere che ci sono fumettisti che mettono a disposizione gratuitamente i loro fumetti on-line e con le donazioni guadagnano dai 1000 ai 3000 dollari mensili e a chi fa una donazione consistente manda dei gadget. Qualcuno si mette a vendere anche i fumetti stampati senza per questo smettere di pubblicare gratuitamente.
Se questi artisti avessero chiesto soldi credete che avrebbero mai raggiunto simili cifre?
Se lo facessero adesso che hanno fama, secondo me, perderebbero di colpo tanti lettori.

#46 Comment By Gamberetta On 19 settembre 2008 @ 11:34

Quando parlo di Lulu parlo in generale dell’idea del POD più del sito specifico o altri simili. Inoltre il POD resterà solo per il periodo di transizione dal cartaceo al digitale. Quando ci saranno solo ebook anche Lulu chiuderà i battenti.

@castelloincantato. No, l’analogia non regge: non prendi in ostaggio il panettiere, tu compri una michetta e poi stile moltiplicazione dei pani e dei pesci ne crei 1.000, senza alcuno costo per la società e nessun ulteriore lavoro per il panettiere.

#47 Comment By GiD On 19 settembre 2008 @ 15:45

@ Gamberetta

@castelloincantato. No, l’analogia non regge: non prendi in ostaggio il panettiere, tu compri una michetta e poi stile moltiplicazione dei pani e dei pesci ne crei 1.000, senza alcuno costo per la società e nessun ulteriore lavoro per il panettiere.

L’analogia non regge neanche così. Non si può ragionare allo stesso modo parlando di beni materiali (il pane) e di beni immateriali (un romanzo). Una michetta è appunto una, e il panettiere può vendere solo quella. Un romanzo non è uno, è un’idea sfruttabile in più modi, e l’autore può venderlo, distrubuirlo, farne poi un fumetto o un film…
Facendo esempi e analogie non si arriva da nessuna parte, perché come dice Okamis la questione dei diritti d’autore ha problematiche tutte sue.

@ Okamis

Se uno stato, attraverso azioni di ambito legislativo, regolamenta il compenso che un autore è tenuto a ricevere per ogni copia della sua opera, avremo piena libertà dell’autore medesimo di fare del suo lavoro quello che egli preferisce, ma una limitazione sul diritto di libera fruizione da parte del pubblico. D’altra parte, una totale libertà di divulgazione porterà a un completo vantaggio per il pubblico, ma una limitazione per l’autore.

Ecco, la problematica di fondo è questa. Quello che hai scritto sintetizza il discorso su libertà e diritti che abbiamo fatto io e Gamberetta.
Almeno su questo io e te siamo d’accordo. Abbiamo visualizzato esattamente lo stesso problema, ed è già qualcosa visto che molti sembrano non considerare la libera diffusione come limitazione della libertà dell’autore (all’insegna del “tanto non ci perdi niente!”).
Sulla soluzione del problema, però, abbiamo pareri diametralmente opposti.

Quale delle due limitazioni di libertà è la migliore? A mio avviso la seconda, in quanto va a raccogliere una fetta più ampia di popolazione.

Come posizione non è di per sé inaccettabile, ma il principio di fondo è secondo me sbagliato.
Fra due libertà in conflitto deve essere tutelata la più legittima, la più valida, non quella che conviene a più persone. Se il tuo vicino non può suonare la batteria alle quattro del mattino non è perché disturba molte persone ma perché il tuo diritto di dormire è più legittimo del suo di suonare. Se ipoteticamente il vicino disturbasse solo te, sarebbe comunque la tua libertà a essere tutelata, indipendentemente quindi dal numero di persone coinvolte.

Ritornando alla questione romanzo, Abbaimo due libertà in conflitto. La libertà dell’autore, che protremmo definire libertà di gestione (pubblicazione, messa on-line, rielaborazione in altri modi…) del proprio romanzo, e la libertà di fruizione del pubblico.
Valutando le due alternative
-Se tutelo la libertà dell’autore la libertà di fruizione del pubblico non viene negata, ma vincolata (di solito all’acquisto, ma anche allo scaricare da un determinato sito e non da un altro). Quindi abbiamo integra la libertà dell’autore e parziale la libertà del pubblico.
-Se tutelo la libertà di fruizione del pubblico la libertà di gestione dell’autore viene del tutto annullata. L’autore può sempre pubblicare o mettere online il suo lavoro, ma come lui chiunque altro. L’autore ha solo la paternità dell’opera, non ha più controllo sulla modalità di distribuzione. Quindi abbiamo integra la libertà di fruizione del pubblico e nulla la libertà di gestione dell’autore.
Tra le due opzioni mi sembra più accetabile ed equa la prima.

Poi si può, e si deve, discutere anche su quanto sia legittimo questo diritto di fruizione, su quanto sia difendibile. Insomma ci si dovrebbe chiedere quanto è valido un diritto che si fonda su azioni e prodotti altrui (perché se io non scrivo, tu che leggi? di che usufruisci? dei broccoli?).
Questo per dire che non è poi un diritto così scontato come possono essere il diritto alla vita o alla libertà (uno ha diritto di essere libero e vivo a prescindere dalle azioni altrui).

P.s.
Ribadisco che il mio difendere il diritto d’autore non è un dire “va tutto bene così com’è, perché se non pago un romanzo 20euro non me lo godo!“. Semplicemente penso che una qualsiasi soluzione non debba ripercuotersi sulla libertà dell’autore di “usare” il proprio lavoro come meglio crede.

#48 Comment By Angra On 19 settembre 2008 @ 17:56

@mhrr: in realtà Lulu per default non è l’editore del tuo libro ma un semplice stampatore on demand, proprio come ilmiolibro. Esiste l’opzione per far sì che il romanzo sia edito da Lulu, cosa che in concreto non cambia la situazione di una virgola: non c’è comunque né selezione né editing. Il codice isbn è ancora un altro paio di maniche: chiunque può richiedere e ottenere un codice isbn presso http://www.isbn.org. Un singolo isbn costa la bellezza di 125 dollari, ma se ne ordini 1000 puoi averli a 1,69 dollari circa l’uno. Non ho ancora capito cosa se ne facciano gli autori fai da te del codice isbn, né perché ci spendano dei soldi, deve essere una specie di status symbol :) Comunque i libri stampati con Lulu non hanno isbn: puoi averlo pagando 99,95 dollari.

#49 Comment By Okamis On 19 settembre 2008 @ 18:37

@ Gid: come hai detto anche tu, ci troviamo d’accordo sulle premesse, ma non sulle conclusioni ;-)
Per non ripetermi, faccio un esempio pratico di libero scambio gratuito attivo già da anni. Mi riferisco in particolare al mondo del cosidetto Open Source, ovvero di tutti quei programmi distribuiti gratuitamente su internet aventi le più svariate utilità (OS, antivirus, programmi gestionali, compilatori ecc.). Se il sistema dell’Open Source non funzionasse, come farebbero tali società, i cui costi sono mille volte più alti di quelli di un artista, a campare e a guadagnarci? In due modi: grazie alla pubblicità e alle donazioni.
Quando ho cominciato ad usare Linux, il primo OS utilizzato è stato Fox, sistema operativo sviluppato in Italia e distribuito gratuitamente. Una volta provato, lo trovai ottimo, tanto che decisi di effettuare una donazione ai programmatori per finanziare il loro lavoro.
Ora, vogliamo paragonare i costi di simili società informatiche con quelle di uno scrittore? Se queste persone riescono a guadagnarci attraverso l’Open Source, perché non ci dovrebbero riuscire gli artisti, anzi i bravi artisti.
Perché è questo il nocciolo della questione: a difendere i diritti d’autore sono soprattutto coloro che pensano che togliendo tale funzione legislativa andrebbero a cadere i loro guadagni (comunque irrisori). Eppure la pratica dimostra l’esatto contrario… Un sistema a donazione o ad acquisto posticipato pemetterebbe una maggiore qualità di quanto ci viene proposto. Quell’opera mi è piaciuta? Bene, allora finanzio l’autore nel suo lavoro. Non mi è piaciuta? E allora perché lo dovrei pagare? Dopotutto, non funziona proprio così con gli appalti? Diverse società mostrano i loro progetti e il migliore si becca il finanziamento (almeno quando non ci sono giochi di potere di mezzo XD). Quindi perché approvare tale sistema a livello societario e non a livello artistico? E per tali anomalie che sono portato a prediligere l’open source anche in campo artistico.

@ Castelloincantato: Gamberetta ha risposto esattamente come avrei voluto, soprattutto in maniera più concisa XD

#50 Comment By Lo Sparviero On 19 settembre 2008 @ 19:58

Gamberetta:

Licia Troisi (a sinistra) e fan. Guardando queste immagini (altre qui) non è difficile credere che presto le Intelligenze Artificiali saranno in grado di scrivere romanzi…

Tsk, tsk. Infangano anche il buon nome dei coslpayer seri. :(

Trailer di Puzzle Quest. Un gioco semplice ma divertentissimo!

Ci ho giocato anche io. Quoto: e’ davvero divertente. ;)

#51 Comment By GiD On 19 settembre 2008 @ 21:15

@ Okamis

Se il sistema dell’Open Source non funzionasse, come farebbero tali società, i cui costi sono mille volte più alti di quelli di un artista, a campare e a guadagnarci? In due modi: grazie alla pubblicità e alle donazioni.

Ho letto le tue considerazioni sull’Opensource e possono starci in un discorso generale sui diritti d’autore, ma si discostano da quello di cui parlavo con te e Gamberetta.
Il fatto che un sistema di libera fruizione possa funzionare non risolve il problema di base: l’autore privato della libertà di gestire il proprio lavoro.
Negare all’autore il diritto di “usare” come vuole un proprio lavoro non è sbagliato perché altrimenti crolla l’mpero economico dei libri. Negare all’autore il diritto di “usare” come vuole un proprio lavoro è sbagliato a prescindere.

Se poi il tempo dimostrerà che il sistema Opensource è applicabile all’editoria, gli scrittori potranno scegliere di adeguarsi. E’ nella scelta che sta la differenza. E c’è dentro tutta la differenza del mondo.

#52 Comment By Okamis On 19 settembre 2008 @ 22:51

Capisco ciò che intendi, ma se andiamo ad analizzare le due filosofie di pensiero, ci accorgeremo che non sono molto distanti in verità, ma che una porta un maggior numero di vantaggi. Innanzitutto, in entrambe tali teorizzazioni all’autore vengono proposte due possibilità identiche: o tenersi la propria opera per sé oppure pubblicarla. Queste invece le differenze:

PRO DIRITTI D\’AUTORE: l’autore che pubblica lo fa alle sue condizioni. Può decidere di condividere con tutti la sua opera facendo suoi i principi dell’Open Source, oppure può decidere di chiedere un contributo per accedere a quanto da lui creato. In questo secondo caso è ovvio che obbiettivo dell’autore è anche guadagnare su quanto da lui creato (e non c’è nulla di male in ciò, anzi), che è poi la ragione per cui non si affida all’Open Source.

NO DIRITTI D’AUTORE: l’opera viene condivisa sin da subito con la massa. Poi, l’autore può decidere se vuole o meno affidarsi ad una edizione cartacea e quindi vendibile (è sostanzialmente il processo inverso a quello di prima).

Ora, poniamo che il nostro autore sia interessato a guadagnare qualcosa dalla sua opera. Anche con il sistema dell’Open Source ci guadagnerebbe. Anzi, potrebbe persino guadagnare di più! Non scordiamoci che i diritti d’autore sono da fame (in Italia la media è di 0.5€ per copia). Faccio un esempio monetario (NB: mi soffermo sul piano economico perché alla fine i diritti d’autore riguardano proprio questo campo): leggo un e-book, mi piace, decido di retribuire l’autore. Ovviamente non gli darei 0.5€, perché sarebbe quasi offensivo. Decido di dargli invece 5€ (la media delle donazioni che faccio per l’Open Source). In pratica, l’autore guadagna 10 VOLTE quanto prenderebbe con i diritti d’autore, mentre io ho speso 1 QUARTO di quanto avrei speso con il sistema ora in funzione. Come vedi, i vantaggi sono per tutti. E’ il classico discorso della filiera: tolti i passaggi intermedi (in questo caso gli editori, o meglio gli stampatori) il prezzo si abbazza per l’acquirente, ma il guadagno si alza in maniera indirettamente proporzionale per l’autore. Che questo sistema funzioni e sia vantaggioso per tutti è ormai dimostrato. L’Open Source non esiste da pochi mesi, da più di quindici anni! Senza contare che tale discorso è lo stesso di cui si discute in questi anni in campo agricolo. Ora dimmi, dove sta il lato negativo in tutto ciò?

Possibili risposte:
1) “Non tutti gli autori (ma il discorso potrebbe toccare anche se in forma diversa anche altre forme d’arte) trarrebbero vantaggi da tale sistema.” Vero, ma quali sarebbero tali autori? Quelli che non meriterebbero la fiducia del pubblico, in parole povere i cattivi artisti.
2) “Molte case editrici guadagnerebbero di meno, con conseguente rischio di perdita di posti di lavoro.” Vero, ma solo in parte. Come ho già spiegato in un precedente intervento, le case editrici difficilmente fallirebbero, preferendo invece mutare la propria struttura. In fondo l’editoria non è fallita con l’avvento di Gutemberg, il quale grazie alla sua invenzione permise proprio una più RAPIDA ed ECONOMICA diffusione dei testi (esattamente quello che permette di fare l’Open Source). Al contrario si sono sviluppate, mutando la loro struttura nel corso dei secoli.

Quindi, ancora una volta: dove sono gli svantaggi, visto che alla fine ci guadagnano tutti, ma in maniera più equa?

#53 Comment By GiD On 20 settembre 2008 @ 01:23

@ Okamis

Scusa, ma stai creando un contrapposizione diritti d’autore Vs Opensource che in realtà non esiste. La filosofia dell’Opensource è che lo stesso autore metta a disposizione della collettività il proprio lavoro.
(Poi c’è chi lo rimaneggia e lo ri-diffonde, ma inizialmente è sempre l’autore il primo a condividere.)
Contro una filosofia di questo tipo io non ho assolutamente nulla in contrario. Anche senza entrare nel merito del guadagno economico, la concezione dell’autore che mette in Opensource il suo romanzo mi sta bene.
Il problema nasce quando TU (Piratone, per usare i termini di Gamberetta) metti il MIO romanzo in Opensource senza il mio consenso, o anche senza che io lo sappia. Ecco, questa concezione di Opensource non mi va bene.
Il tuo ragionamento sul guadagno economico e sulla convenienza collettiva può starci tutto, ma un tale ragionamento deve avere come scopo quello di sensibilizzare l’autore e non quello di giustificare il “Piratone”.

Ripeto, a costo di essere pedante: La scelta dell’autore è l’elemento cruciale che, secondo me, non può e non deve essere scavalcato.

P.s.

leggo un e-book, mi piace, decido di retribuire l’autore.

Volendo poi parlare sul piano della messa in atto dell’Opensource: Quello che hai detto funziona bene in linea teorica, per essere sicuri che vi sia anche un riscontro pratico occorrerebbe fare una ricerca di mercato seria. Riferirsi al fatto che la filosofia Opensource dura (e produce guadagno) da parecchio non è particolarmente significativo se si considera che parlando di software si parla di diffusione internazionale.
Parlando di un romanzo in lingua italiana, tale romanzo verrebbe scaricato soltanto da italiani (o al limite da stranieri che parlano italiano). Andrebbe quindi fatta una ricerca di mercato su campo nazionale, visto che il successo della filosofia Opensource dipende da una precisa impostazione mentale che i fruitori devono avere.
In parole spicciole: siamo sicuri che ci sarebbe chi scarica e (soprattutto) chi dona anche se non obbligato? Non dico che la risposta sarebbe di certo negativa, ma ci si deve porre il problema, perché il discorso “all’estero lo fanno” non sempre funziona, soprattutto se si parla di comportamenti legati alla cultura (che cambia persino da regione a regione).

p.s.2
Oh, non è che continuo a risponderti perché voglio convincerti. Anzi, dall’ultimo tuo commento mi sono convinto che in fondo non stiamo dicendo cose contrapposte, semplicemente parliamo su due piani diversi.
Io dico “Però l’autore deve fare ciò che vuole col suo romanzo” e tu dici “Però sarebbe bene per lui e per gli altri metterlo in Opensource”. Quel che dico io non esclude quel che dici tu.
Il discorso “Piratone” forse ci divide…

#54 Comment By gugand On 20 settembre 2008 @ 13:16

@GiD
Il problema non e’ se non e’ diritto dell’autore scegliere come distribuire la propria opera, ma se e’ vantaggiosa veramente la sua esistenza per la societa’.
Se non esistesse il copyright l’autore non si porrebbe nemmeno il problema perche’ non esisterebbe niente che tuteli questa sua voglia di impedire la diffusione gratuita.
Rimarrebbe una sua bizzarria come la mia voglia di andare a letto con Angelina Jolie.
Non sarebbe possibile e basta.

#55 Comment By Laila On 21 settembre 2008 @ 13:18

Eh, Napster quanti bei ricordi… ora c’é Emule! Ti quoto, straquoto, è sempre un piacere venire qui a lezione da i gamberi… sopratutto ci sono rimasta sbigottita quando ho letto delle sette regioni nel mondo o_O! Invece di progredire, mettiamo il copyright qua e la’, limitiamo i lettori, spettatori, etc… tanto nemmeno se ne accorgono! Certo uno non scrive unicamente per la gloria, alla fine un guadagno lo vuole, ma se considero il prima leggo poi pago (se mi piace ciò che leggo) penso che l’idea valga. Anzi di più, forse darebbe un responso più realestico di quelli che abbiamo oggi con le pubblicità fregatura!

#56 Comment By mhrrr On 22 settembre 2008 @ 09:35

@gamberetta: tutti i pod devono in qualche misura guadagnarci, per questo rimango dell’idea che lulu (ma potrebbe essere qualsiasi altro stampatore/editore) non faccia paura a nessuno.
E: gli e-book saranno sempre più diffusi, ma il libro non scomparirà. è una legge non detta del mondo dei media: i media non scompaiono, nel peggiore dei casi si ritagliano un uso specifico (il telegrafo elettronico è ancora usato, così come le segnalazioni luminose e quelle con le bandierine) ma non vengono rimpiazzati. è vero che il betamax, il cdi e le cassettone a nastro magnetico da 10×10 sono scomparsi, ma si trattava di supporti sostanzialmente analoghi a quelli che li hanno sostituiti (le audio/videocassette sono rimaste ferme sulle loro posizioni fino a quando non si sono diffusi i masterizzatori di cd e poi di dvd; ma i nastri magnetici sono ancora molto usati ad esempio come memoria per le unità di backup a livello server).

@angra: su ilmiolibro, come autore, devi comprare un tot di copie. su lulu no, perdonami ma non mi pare una differenza da poco. anche se l’isbn su lulu è opzionale e a pagamento.
l’isbn (che con lulu puoi comprare da loro, insieme all’intero pacchetto di distribuzione — che significa un mucchio di lavoro di segnalazione alle varie banche dati –, mentre con ilmiolibro devi comprarti per i fatti tuoi) è un buon modo per dichiarare legalmente che una certa opera è tua ma, soprattutto, è uno strumento per accedere più facilmente ai circuiti di vendita che, nelle migliori speranze, porteranno l’aspirante autore a diventare da “sfigato autore autopubblicato” a “autore con un pubblico e una casa editrice vera”.

#57 Comment By Angra On 22 settembre 2008 @ 12:42

@mhrr: in realtà no, il codice isbn non tutela affatto la proprietà intellettuale dell’autore (spero di non andare OT, ma visto che stiamo parlando di copyright e diritti vari…). Quando compri un codice isbn non depositi il testo dell’opera. Se consideri che può capitare che due romanzi abbiano lo stesso titolo (vedi “Il segreto dell’alchimista”), capisci come un codice isbn associato a un titolo possa dire ben poco. Il codice isbn ha né più né meno la stessa utilità del codice a barre sulle scatole dei pelati: serve per questioni gestionali a distributori e librai. Se il tuo libro non viene distribuito, il codice isbn non serve a niente.

Poi, lasciami dire, tutta questa paura che la propria opera venga rubata è tipica dell’esordiente convinto di aver scritto un inarrivabile capolavoro che da lì a poco venderà qualche miliardo di copie, il che generalmente è falso.

Sui pacchetti di distribuzione di Lulu: bah. Anche quando il tuo titolo figura sul catalogo di Amazon fra qualche altro milione di titoli, chi è che se lo va a comprare? Il romanzo di un perfetto sconosciuto scaricabile gratuitamente su Lulu può sperare di ottenere un centinaio di download, e stiamo parlando di qualcosa di gratuito. Immagina di pretendere invece che uno spenda 16 euro tra stampa e spedizione e vedi cosa viene fuori.

Infine: dove l’hai letto che su ilmiolibro.it l’autore deve comprarsi un certo numero di copie? E’ solo una curiosità, beninteso, per me possono chiudere tutti e due anche oggi stesso ^_^ L’unica vera utilità che ci vedo è nella stampa di tesi di laurea.

#58 Comment By mhrrr On 23 settembre 2008 @ 09:48

@angra: ups, temo di avere scritto una cazzata.
avevo fatto una prova di pubblicazione all’uscita di ilmiolibro e avevo memorizzato che fosse in tutto e per tutto come una qualsiasi vanity fair. ho riprovato e, a meno che la cosa non salti fuori all’ultimo passaggio ma tendo ad escluderlo (sarebbe ai limiti della truffa), non mi hanno chiesto nulla.

vero che acquistando un isbn non depositi l’opera, ma è anche vero che nel momento in cui distribuisci un testo con un isbn (ovvero lo iscrivi in qualche registro ufficiale associato all’isbn), hai una documentazione ufficiale dell’associazione data+testo+testesso.
condivido l’idea che questa cosa della proprietà sia una specie di paura/desiderio da scrittore emergente e, infatti, rimango dell’idea che l’elemento principale sia l’accesso ai canali distributivi diversi da lulu (nel caso di lulu, ovviamente).
personalmente ho acquistato un pacchetto di distribuzione perché voglio fare alcuni esperimenti di promozione… quindi spero proprio che lulu non fallisca. almeno fino alla fine dei miei esperimenti! :)

#59 Comment By roana On 23 settembre 2008 @ 13:08

Non credo che le leggi sul copyrigth abbiano nulla di morale, anzi. Consentono solo che un’opera d’arte venga trattata come un prodotto commercializzabile che quindi possa esser venduto, abbia un valore di mercato, un costo e adempi ad un servizio al fruitore. E’ tutto un fattore economico.
Chiaramente, vista la particolare natura del prodotto (è duplicabile, copiabile, moltiplicabile facilmente, non vincolato a un’unica forma materiale), la sua gestione è diversa rispetto quella, riprendendo un esempio letto tra i commenti, di un’automobile: l’automobile è tua e se rispetti le regole della strada puoi farci quello che vuoi, ma non puoi far ciò che vuoi del nome, del marchio della casa automobilistica che ha prodotto la tua auto; la copia del libro è tua, ma non il contenuto. E non perché questo sia GIUSTO, ma perché è l’unico modo per tutelare il prodotto da un punto di vista esclusivamente, ripeto, economico.

E’ orrendo considerare l’arte in questi termini, ne convengo, ma da questa nostra società non ci si può aspettare altro. L’unica soluzione possibile pare sia la scelta da parte degli artisti di non commercializzarsi, di rendere libero e fruibile il loro prodotto. Secondo me però, possono esserci diverse altre modalità intermedie che consentono agli artisti di render libera la loro arte e riceverne comunque un adeguato compenso. Un esempio, abbozzato e non pretenzioso: un’artista potrebbe render libere parte delle sue opere e soggette a copyright altre, permettendo ai suoi fruitori di farsi un’idea della sua arte e decidere se approfondirne la conoscenza.

#60 Comment By Uljanka On 23 settembre 2008 @ 19:59

Innanzitutto complimenti al “comitato di gestione” del blog e all’autrice dell’articolo per la maturità e l’ironia con cui è stata trattata la materia.
Complimenti anche ai partecipanti al dibattito. In qualità di bibliotecaria ho partecipato a vari corsi sul Diritto D’Autore e raramente ho sentito discutere la questione in modo così complesso.

Mi permetto di contribuire con il mio punto di vista. io lavoro in una biblioteca scientifica e posso tranquillamente dire che la ricerca, a livello internazionale, può procedere solo in barba al copyright. Tra i ricercatori c’è un fittissimo traffico “illegale” di copie di articoli in ogni forma senza il quale le informazioni non sarebbero diffuse e i progetti non procederebbero.

La maggior parte degli sitituti dei paesi in via di sviluppo, impegnati in attività fondamentali per il progresso della loro comunità, andrebbe a catafascio senza il benefico “aumma-aumma” dello scambio di pubblicazioni tra docenti e tra biblioteche.

Io mi ricordo eroiche spedizioni di materiale al “nemico”, alle università Di Teheran e di Basra (ancora sotto Saddam), oppure a Cuba, pacconi voluminosissimi di gloriose ricerche meid in iuesei diretti in ogni stato canaglia immaginabile, inviati proditoriamente, senza batter ciglio, dalla segreteria del nostro dipartimento.

Voi dite giustamente che non tutti si sentono di spendere 20 euro per un romanzo. E non tutti, allora, possono permettersi di spenderne 500 per un testo di medicina, oppure 20 per un articolo di 5 pagine, ovvero 2500 per abbonarsi a 6 pidocchiosi numeri di rivista. E allora? Copie, fotocopie, scansioni, trascrizioni a mano… tutto in burla alla famigerata c cerchiata.

Quanto guadagna un professore universitario (attenzione si parla delle facoltà scientifiche, a lettere è diverso…) dalla pubblicazione di un articolo ovvero di un libro dalla tiratura limitatissima che poche centinaia di istituti in tutto il mondo possono permettersi? Nulla. Il copyright gli fa il servizio di tutelare solo la paternità dell’opera. L’autore sa benissimo che il suo progetto verrà ripreso da altri per effettuare attività indipendente e che ciò potrà essere effettuato solo in seguito a copia della pubblicazione. Non per nulla le case editrici delle università di Africa e Cina, Sud America e Europa Orientale, spesso e volentieri consentono l’accesso on-line gratuito alle loro riviste.

Noi bibliotecari dovremmo fare salti più che mortali per rispettare pedissequamente le attuali leggi sul diritto d’autore. Noi siamo le figure più esposte, rintracciabili, perseguibili penalmente. Siamo obbligati a far rispettare la regola del 15% nella riproduzione di opere stampate, e dello 0% di quelle accessibili solo in formato elettronico. Non riuscirò mai a quantificare la totalità dei no balordi che ho dovuto sbattere in faccia a utenti e colleghi a causa di tali norme idiote. Il solo fatto che coloro che dovrebbero essere i diffusori dell’informazione siano invitati a diventarne i biechi custodi, i “carcerieri” della parola scritta, dovrebbe invitare a pensare riguardo all’inadeguatezza delle norme vigenti. Il diritto d’autore dev’essere ripensato, soprattutto vista l’attuale popolarità di mezzi come il web, atti ad una rapida diffusione delle informazioni.

Condivido pienamente il sogno di Gamberetta:

Quello che potrebbe fare lo Stato è organizzare una biblioteca via Internet e offrire le varie opere in formato elettronico. Sarebbe un bel segnale di civiltà, e un concreto incentivo alla lettura, invece di tante chiacchiere idiote.

E’ quello che tentano di fare molte università, concedendo agli iscritti l’accesso gratuito alle opere possedute in formato elettronico, tramite nome e password, e invitando i docenti a pubblicare sul server d’ateneo almeno la versione provvisoria, non ancora mandata all’editore, dei loro lavori. Però la strada è ancora lunga.

#61 Comment By Angra On 23 settembre 2008 @ 21:59

@Uljanka: aggiungici anche che quando ho fatto io il dottorato il laboratorio didattico (così come quello di ricerca) andava avanti a forza di software piratato. Non c’era una lira nemmeno per comprare il sapone liquido per i bagni, figurati per le licenze. L’alternativa, pura e semplice, sarebbe stata quella di chiudere i laboratori. Credo che ora dal punto di vista economico le università siano messe anche peggio, però sono disponibili molte più risorse open source.

Per quello che riguarda le biblioteche, come dicevo sopra non mi stupirebbe se tra un po’ uscisse una legge che vieta il prestito di opere coperte da copyright.

P.S. Attenta che ora ti mettono sulla lista nera di FM ;)

#62 Comment By Uljanka On 25 settembre 2008 @ 12:23

P.S. Attenta che ora ti mettono sulla lista nera di FM ;)

Ci sono già. Dopo vari litigi con Franz, la Bracchetta d’Aqui e la Modessa.

Non è di certo un problema per me.

non mi stupirebbe se tra un po’ uscisse una legge che vieta il prestito di opere coperte da copyright.

Ufficialmente le biblioteche dovrebbero pagare la SIAE per usufruire del loro materiale, e pretendere soldi dai lettori per il solo fatto di guardare le poche cartacce a cui riescono ad accedere (leggi UE).

Grazie agli Dei lo stato rimborsa (ancora) la SIAE direttamente, risparmiandoci questa farsa. L’Unione Europea però continua a rognare… a condannare l’Italia per questi orrendi crimini, a chiedere multe… siamo sotto assedio, signori.

#63 Comment By Storione Sacchi On 10 ottobre 2008 @ 09:17

Ciao. Scopro con piacere questo interessante blog, e questo ancor più interessante post, dove si fanno delle analisi puntuali e precise e si offrono spunti particolarmente interessanti su tematiche di mio interesse.
Volevo dare il mio contributo, modesto e probabilmente non molto utile.
Prima di tutto volevo sostenere la tesi di GiD, onestamente non attaccabile. Gamberetta e gli altri dicono cose interessanti e valide, ma in democrazia un punto di vista non può essere imposto: loro pensano che la cultura sia un bene da difendere e diffondere a tutti i costi; come pure che il libero accesso gratuito via Internet alle opere d’ingegno garantisca ritorni economici addirittura superiori al vecchio sistema.
Possono anche avere ragione, ma io sto scrivendo un romanzo, probabilmente di pessima qualità (non mi accontento mai!), e ben so da questa mia esperienza quanto sia difficile e laborioso questa opera d’ingegno: le vostre argomentazioni forse mi hanno convinto a diffonderlo via Internet; ma ben comprendo che un altro autore può non essere disposto a ciò, dopo la fatica che ha fatto, e giustamente va tutelato in almeno una minima aspettativa economica o, comunque, almeno di avere il completo controllo di tutte le copie della sua opera; e affermare ciò non vuol dire affatto dare ragione ai prezzi ladrocinio che alcuni editori (ma anche case discografiche, cinematografiche e quant’altro) propongono, per interessi che magari non coincidono o non compensano adeguatamente le aspettative dell’autore, il discorso è diverso.
Onestamente, poi, credo poco al teorema: “io provo; se mi piace, poi ricompenso”. Una prospettiva troppo ideale: non scarico quasi niente da Internet; ma se scarico qualcosa, non verso neanche un centesimo, anche se mi è piaciuto tantissimo; e credo veramente che la maggior parte delle persone si comportino così, altrimenti le industrie cinematografiche e televisive dovrebbero essere floridissime, in barba a qualsiasi crisi finanziaria!
Secondo me è un problema di dimensioni (scusate l’eventuale battuta involontaria): nessuno potrebbe trovare nulla di così malvagio nello scaricarsi l’mp3 di una canzone famosa, magari per usarla come suoneria del proprio telefonino (e fare, così, della pubblicità indiretta all’autore e all’interprete); la stessa cosa si può dire per un semplice racconto, il cui costo in termini di fatica dell’autore non è stato affatto eccessivo ed è stato scritto proprio per diffondere un messaggio. Altro esempio stupido: molti sposini fanno il libretto della messa del loro matrimonio e vi inseriscono anche i testi delle canzoni (da Chiesa!); parlereste mai di violazione di copyright per una cosa del genere? Eppure è così!
Cosa dire, però, quando, invece di scaricarmi una sola canzone, mi scarico un intero albo o, addirittura, l’intera discografia di un cantautore? Di fatto per l’intero lavoro della vita del cantautore ho versato zero centesimi! Stessa cosa se confrontiamo un racconto con un romanzo: per il primo forse è bastato una giornata e nulla di più; per il secondo, anche anni, se non sei uno scrittore a tempo pieno; e perchè lo scrittore DEVE essere disposto a vedere circolare i pdf del suo romanzo via Internet, solo perchè un “piratone” vuole imporre il suo punto di vista?
Naturalmente non ho ricette pronte: ma, francamente, sarei molto disposto a rendere liberi di essere scaricate i singoli estratti da ciascun albo di un cantante e diffusi per radio, in quanto resi pubblici, od alcuni capitoli selezionati di un romanzo; fermo restando che per il resto dell’album o del libro, se si apprezza quanto già scaricato, va offerto il contributo richiesto (dall’autore, in particolare, non dall’editore).
Giusto un altro spunto di riflessione: ma se mi scarico una canzone, ledo i diritti dell’interprete o dell’autore della canzone? Sopratutto del secondo, a mio avviso, perchè il primo ci mette solo la voce e qualche ora in sala di registrazione, riceve compensi prefissati dalle case discografiche (uno dei motivi portati avanti dalle stesse per giustificare il prezzo ladrocinio dei loro cd!), e poi ha i concerti per ricaricarsi; il secondo, invece, no.
Certo, però, che se avessero ricevuto dei compensi prefissati anche loro, il discorso potrebbe cambiare: ma chi ha investito in tutti questi compensi prefissati, non avrebbe a questo punto diritto a non vedersi soffiare il guadagno dell’investimento da qualche piratone non autorizzato? In un film, poi, il discorso è ancora più complesso: sceneggiatori, attori (solitamente riccamente precompensati), registi, produttori, etc.
Una cosa è certa: il tema è complesso; ma non basta certo una dichiarazione di intenti o un punto di vista, per semplificarlo in questa maniera; continuando, comunque, a ripetere che molte delle cose dette sono assolutamente vere …

#64 Comment By gugand On 10 ottobre 2008 @ 10:40

@storione sacchi
Se l’autore vuole avere sotto controllo la diffusione dell’opera lo faccia in luoghi chiusi e controllati ed eviti di far uscire copie al di fuori di tali luoghi perche’ di fatto lui non vuole la diffusione tra il pubblico, vuole vendere un prodotto. Tutti i prodotti, da che mondo e’ mondo, sono di chi li compra e il diritto d’autore invece non lo permette perche’ vincola l’uso all’acquirente.
Che ci voglia una tutela per il riconoscimento di paternalita’ dell’opera e’ sacrosanto.

#65 Comment By Gamberetta On 10 ottobre 2008 @ 11:07

@Storione Sacchi.

[...] ma ben comprendo che un altro autore può non essere disposto a ciò, dopo la fatica che ha fatto, e giustamente va tutelato in almeno una minima aspettativa economica o, comunque, almeno di avere il completo controllo di tutte le copie della sua opera;

E allo stato attuale quale sarebbe la tutela? La buona parte degli scrittori in Italia (e non solo) morirebbe di fame, letteralmente, se dovesse vivere di quello che scrive.
Dunque, allo stato attuale, ovvero in un regime di feroce difesa del diritto d’autore, quali tutele ci sono? Nessuna.
D’altra parte, se ci fossero concrete tutele (intervento statale) ci sarebbero ancor meno ragioni per non distribuire gratuitamente i libri: anche se questo danneggiasse le vendite, non importa, perché l’autore è comunque tutelato con altri mezzi.
Inoltre, come già spiegato, a mio parere “il completo controllo di tutte le copie della sua opera” non può essere accettabile dalla società, perché lede diritti ben più fondamentali di tutti i suoi membri. Il completo controllo l’autore l’ha finché le copie se le tiene per sé, quando le rende pubbliche ha volontariamente ceduto una parte di tale controllo.

Stessa cosa se confrontiamo un racconto con un romanzo: per il primo forse è bastato una giornata e nulla di più; per il secondo, anche anni, se non sei uno scrittore a tempo pieno; e perchè lo scrittore DEVE essere disposto a vedere circolare i pdf del suo romanzo via Internet, solo perchè un “piratone” vuole imporre il suo punto di vista?

Perché DEVI frequentare la scuola dell’obbligo, pagare le tasse, prendere la patente, ecc.? Rinunci a uno spicchio di libertà e controllo in cambio dei benefici che la società nel suo complesso ti garantisce grazie a tale rinuncia.
Una società dove l’accesso alla cultura è libero e a costo vicino allo zero è una società migliore dove c’è più gente informata, che prende decisioni più sagge, dove più persone hanno la possibilità di sviluppare i propri talenti. Magari (tutto da dimostrare) guadagnerai meno con il tuo romanzo, però sarai avvantaggiato dal vivere in una società più feconda.
Tornando alle tasse: per esempio una fetta di tasse è usata per la scuola pubblica. Tu potresti dire: col cavolo! Io se voglio andare a scuola mi pago la privata, e non vedo perché devono portarmi via i soldi solo perché qualcuno vuole imporre il suo punto di vista che tutti hanno diritto all’istruzione!
In realtà (spero tu sia d’accordo), non sono soldi buttati, perché la possibilità per tutti di frequentare una scuola non è utile solo ai diretti interessati, ma alla società nel suo complesso, te compreso.
Col copyright è lo stesso e tu non devi neanche pagare!

#66 Comment By Morgante On 10 ottobre 2008 @ 11:49

Ho detto un po’ in giro: “che ne diresti se potessi scaricare gratis opere di ogni autore, anche famoso, e poi, in caso fossero state di tuo gradimento, lasciassero a te la scelta di fare un’offerta in segno di supporto…”
Un sorriso sornione, un lampo negli occhi, e la stessa identica risposta (da casalinghe, studenti, o lavoratori fissi): “Ma perché se una cosa me la sono presa gratis, devo dare dei soldi dopo? I soldi me li tengo!”

Questo è stato il mio piccolo sondaggio. Che poi ci siano persone, mi ci aggiungo io, che sarebbero anche felici di sostenere un autore che apprezzano, ne sono convinta. Ma il sistema che immagini tu, Gamberetta, lo vedo ancora nell’universo Utopia. Alla gente piace tenersi i propri soldi in tasca, di gesti nobili, o generosi, non mi pare importi a molti.
Ma chissà che un giorno…

#67 Comment By Gamberetta On 10 ottobre 2008 @ 12:09

@Morgante. Se fosse vero, i produttori discografici, cinematografici, ecc. avrebbero già chiuso da un pezzo, perché già adesso puoi scaricare tutto quel che ti pare e non pagare.

#68 Comment By gugand On 10 ottobre 2008 @ 15:54

In un newsgroup ho fatto una discussione simile.
Alla fine c’e’ solo una cosa da dire per mostrare l’ingiustizia del copyright:
l’artista pretende che il controllo della diffusione di un’opera d’arte sia fatto dalla comunita’ quando e’ lui che ci guadagna. Se l’autore vuole controllare la diffusione lo faccia con le sue risorse.

#69 Comment By Morgante On 10 ottobre 2008 @ 16:30

Io mi riferivo semplicemente a una minuscola parte del discorso, al motto: “Fa una donazione all’autore”. :)
Ho sentito una sola risposta. Tutto qui. Non vado a scomodare discografici, o altro. Non ne so abbastanza per lanciarmi in pronostici o proiezioni sul futuro, anche perché, a dire il vero, reputo sia i miei quanto i tuoi, discorsi comunque abbastanza campati per aria, ragionamenti interessanti, sì, ma come se fossimo di fronte a una tazza di the o cioccolata insieme a 4 amici. Non è che non ci mettiamo impegno o non ci ragioniamo a fondo, ma per conoscere meccanismi così vasti ci vogliono parecchie teste più esperte di noi (giovani o vecchie non conta). Un conto è parlare di scrittura citando articoli, tecniche riscontrabili direttamente. Ma ci manca una vasta esperienza nell’economia mondiale, conoscenza di cavilli, vicoli ciechi, intrecci di aziende che magari noi non sappiamo neanche collegate!
Scusa, ma per me è così, spero di non offenderti.
L’importante è continuare a ragionarci su.
ciao ciao

#70 Comment By GiD On 10 ottobre 2008 @ 17:18

gugand:

Alla fine c’e’ solo una cosa da dire per mostrare l’ingiustizia del copyright:
l’artista pretende che il controllo della diffusione di un’opera d’arte sia fatto dalla comunita’ quando e’ lui che ci guadagna. Se l’autore vuole controllare la diffusione lo faccia con le sue risorse.

E pensare che ci sono deficenti convinti che quella del copyright sia una questione complessa! Perché? è tanto semplice… Sei l’autore di un romanzo? Sei riuscito finalmente a farlo pubblicare? Non vorresti diffonderlo gratuitamnete ma c’è già chi lo sta facendo per te su miliardi di siti? La cosa non ti sta bene?
CAZZI TUOI! (la risposta facile e veloce a qualsiasi problema, da oggi disponibile anche per voi scrittori!)

Tornando seri…
Ma che CAZZO di discorso è?!
Davvero, quando qualcuno spara queste perle di saggezza come verità cadute dal cielo mi viene da spaccare a testate la scrivania!
Dove viviamo? Nella giungla o in una società? Se uno ha un diritto è normale che lo Stato (Stato, e non comunità) lo tuteli, anche se ci guadagna solo lui. Non è che se ti rubano la macchina chiami i carabinieri e quelli ti rispondono “E a noi che ce ne frega? La recuperi con le sue risorse!”.
Tra l’altro non è la comunità che controlla e vigila, ma lo Stato. Tu, membro della comunità, non devi fare proprio niente, a parte (ovvio!) non violare la legge (sì, lo so, può essere un impegno gravoso…).
Se non sei d’accordo con le leggi sul copyright è un discorso, se sei convinto che lo Stato non debba tutelare uno scrittore perché “è lui che ci guadagna” è un’idiozia.

Gamberetta:

Inoltre, come già spiegato, a mio parere “il completo controllo di tutte le copie della sua opera” non può essere accettabile dalla società, perché lede diritti ben più fondamentali di tutti i suoi membri.

Questi “diritti ben più fondamentali” son sempre tutti da vedere, comunque…

#71 Comment By Uriele On 10 ottobre 2008 @ 19:20

@Gamberetta: Se tutto il mondo fosse come l’Italia probabilmente sarebbero falliti. Più del 46% dei software proprietari in circolazione è pirata, siamo quelli che scaricano più film e dischi piratati d’europa (Laura Pausini e i vari gruppi italiani, a parte forse gli Elii campano, non si sa per quale buon motivo, vendendo molti dischi in sudamerica); insomma siamo quasi un anomalia, una singolarità matematica riguardo al rispetto del copyright.
L’editoria finora ha avuto un destino leggermente diverso perchè, non essendo diffuso l’uso dell’ereader, la lettura sul PC di testi più lunghi di qualche pagina è fastidiosa e stancante.

#72 Comment By DelemnO On 10 ottobre 2008 @ 19:23

Io su una cosa rimango della mia idea, riprendendo quanto detto da Gamberetta tempo fa.
C’è una cosa che, se dovessi pubblicare il mio libro, mi seccherebbe alquanto. A parte quelli che lo scaricano, naturalmente.
Se qualcuno dovesse prendere razze, personaggi o idee distintive dal mio libro per una sua opera. Se qualcuno mi chiedesse il permesso, chissà, al massimo una cosa a 4 mani se mi gira particolarmente bene. Ma ci sono cose che non voglio condividere, sarebbe come condividere il mio ragazzo, non ha senso. A parte che si potrebbe dire, ma non hai un minimo di fantasia da inventarti roba tua? , ma io non riuscirei a vedere gente che copia da me e sorridere. ecco, ho trovato un paragone migliore: cedere a destra e manca idee mie sarebbe come far prostituire mia figlia ( per assurdo, non ho mica figli). Mi ci affezionerei troppo per vederli usare da altri, scusate tanto per l’egoismo e se non faccio il bene del mondo letterario, Secondo me fare il contrario dimostra quasi uno scarso attaccamento verso la propria opera, per me inconcepibile.
Non so se mi son spiegata.

#73 Comment By Angra On 10 ottobre 2008 @ 21:44

@Delemno: io invece non so cosa darei per riuscire a scrivere qualcosa di talmente buono da far venire voglia ad altri autori di ambientare le loro storie nel mondo che ho creato ;) Se questo succede, vuol dire che le tue storie vendono e sei già ricco e famoso, e allora di che ti lamenti? ^_^

@Storione Sacchi: credo si stia ragionando con in mente una situazione troppo ideale. Come aspirante scrittore cerco di tenere presente che nessuno guadagnerà dal suo primo romanzo. Il problema è semmai arrivare a farsi conoscere, e per questo la gente è disposta a pagare. La maggior parte degli autori che vengono pubblicati in Italia sono loro a pagare l’editore: 1500, 2000 e persino 3000 euro per stampare 150 pidocchiose copie e fare un bel buco nell’acqua. In una situazione simile il fatto che gli autori abbiano diritto a godere il frutto del loro lavoro è un po’ una discussione sul sesso degli angeli. Per tutta questa gente il fatto che la loro opera possa circolare su internet è tutto grasso che cola, come minimo non gli costa niente. Purtroppo molti non se ne rendono conto e preferiscono farsi truffare dagli editori a pagamento.

#74 Comment By gugand On 10 ottobre 2008 @ 22:10

@GiD
Non sono un avvocato, ma mi sembra che se il possessore di un bene non mette un minimo di controlloil bene rubato non e’ tale a meno che tu non abbia qualche documento che attesti che il bene e’ tuo e dimostri che tu non glielo hai regalato o dato di tua volonta’.
Se lasci qualcosa in giro sul marcapiede e te ne vai senza fare una denuncia di smarrimento non puoi rivendicare nulla. In ogni caso il pirata non toglie il possesso al proprietario.
In poche parole pretendere che la gente ti controlli al posto tuo un tuo bene e’ un po’ pretestuoso e alla collettivita’ tutelarti e’ troppo costoso.
Una volta che una persona ha una copia di qualcosa di tuo puo’ dire benissimo che tu glielo hai dato cosi’ e non hai modo di dimostrare il contrario.

#75 Comment By Federico Russo “Taotor” On 10 ottobre 2008 @ 23:26

Condivido il parere di DelemnO. Io sinceramente non avrei problemi a rilasciare un mio romanzo-racconto aggratis, e quando pubblicherò – perché, perdonate la presunzione, pubblicherò – non lo farò per i soldi. In primo luogo non si può campare colla scrittura, in Italia, in secondo luogo sarebbe assurdo, perché la scrittura (buona) è pur sempre un’arte, ergo si dovrebbe praticarla principalmente per ispirazione.
E, sì, vedere la propria opera stuprata da chicchessia sarebbe orrendo. Non dico condividere la propria ragazza/o. Se si è ubriachi o ci si annoia, perché no? lol. Ma l’esempio dei figli che si prostituiscono calza. ^^

#76 Comment By GiD On 11 ottobre 2008 @ 01:46

@ gugand

Il fatto è che coi romanzi e opere simili nascono problemi nuovi, tipici di questi prodotti. Per non ripetere cose già dette leggiti (se vuoi) cosa ho detto nei miei precedenti post in risposta a Gamberetta, e anche cosa ha detto Okamis (che sui problemi da focalizzare era d’accordo con me).
Poi, in generale, ti ripeto che è ridicolo dire che un diritto non va tutelato solo perché tu non ci guadagni. Lo Stato (che comunque è diverso dalla “gente”) deve tutelare qualsiasi diritto, purché legittimo (di nuovo, leggi i miei post precedenti). Poi si può discutere sulla legittimità del diritto d’autore, ma dire che lo Stato non deve tutelare l’autore perchè “è lui che ci guadagna” è sbagliato. L’autore fa parte dello Stato come ne fai parte tu, e deve essere tutelato nei suoi diritti.

#77 Comment By gugand On 11 ottobre 2008 @ 10:29

@GiD
A parte che sono d’accordo con gamberetta che l’autore non ha il diritto di guadagnare con le sua opere con la “carota” del guadagno.
L’artista fa arte per soddisfazione personale o per bisogno personale di comunicare qualcosa al mondo, a meno che non sia un lavoro su commissione, quindi la distribuzione del messaggio alla gente e’ l’unico scopo dell’autore di un opera.
Se l’arte la si vuole considerare un prodotto (perche’ e’ quello che diventa) l’artista lavora con lo scopo di guadagnare. Come per tutti i prodotti il controllo della distribuzione e’ a carico del produttore.
Se vuoi che il tuo testo arrivi solo a chi ti paga, devi gestire da sola l’affare facendo firmare un contratto che vincola l’acquirente nell’uso del libro in modo che tu sappia a chi hai venduto il libro e possa accusare chi distribuisce contro la tua volonta’. Non puoi accusare chi trova una copia in giro di furto. Se non hai un documento che attesti che il tizio non e’ tra quelli a cui tu l’hai venduto o regalato non puoi pretendere nulla. Il controllo “automatico” della distribuzione non e’ corretto perche’ per tua pigrizia vorresti sperare che chi compra un libro si comporti come se avesse firmato qualcosa.
A questo punto non sapendo con chi prendertela vai dal tizio che ha trovato la copia non legale e lo accusi di furto e magari a lui e’ stato regalato? Il tizio come fa a sapere che e’ roba non autorizzata? Mica pretenderai che la gente sappia cosa sia pubblicato e cosa no? Ci sono scritti come la divina commedia che hanno i diritti d’autore scaduti.
E pretenderesti pure che le forze pubbliche pagate coi soldi di tutti si prendessero la briga di controllare che le copie della tua opera siano state autorizzate?
Tutt’al piu’ puoi pretendere una restituzione o la distruzione della copia se a te ti capita di trovarne una e dietro espressa denuncia.
Questo e’ quello che succede con qualunque merce di scambio, non
si capisce perche’ le opere d’arte devono avere una tutela diversa.

#78 Comment By GiD On 11 ottobre 2008 @ 14:18

@gugand

A parte che sono d’accordo con gamberetta che l’autore non ha il diritto di guadagnare con le sua opere con la “carota” del guadagno.
L’artista fa arte per soddisfazione personale o per bisogno personale di comunicare qualcosa al mondo, a meno che non sia un lavoro su commissione, quindi la distribuzione del messaggio alla gente e’ l’unico scopo dell’autore di un opera.

Ma ognuno potrà scrivere per quel cazzo che gli pare, o no? Se uno scrive per soldi, sarà libero di farlo? Come dice Gamberetta, visto che sei d’accordo con lei, “nello scrivere, per piacere, tecnica e fantasia”. Le motivazioni sono diverse per ognuno. Tu scrivi per distribuire, qualcuno scrive per sé, altri scrivono anche per guadagnare. Ognuno fa come crede. Per essere uno che professa tanto l’arte hai vedute molto chiuse…

Il controllo “automatico” della distribuzione non e’ corretto perche’ per tua pigrizia vorresti sperare che chi compra un libro si comporti come se avesse firmato qualcosa.

Sì, capisco che aspettarsi che uno rispetti la legge è troppo, sono sempre stato un sentimentale…
Battute a parte, non devi firmare niente. Fai parte dello Stato e devi rispettarne le leggi, che tu lo voglia o no. Lo Stato mette una tassa? La paghi. Lo Stato riconosce il diritto d’autore? Lo rispetti. Poche ciance.
L’autore e l’editore pagano perché un tal romanzo non possa essere riprodotto da terzi, non è “automaticamente” protetto.
Chiunque voglia diffondere qualcosa deve prima accertarsi che non sia coperta da copyright, per chi semplicemente scarica il discorso può essere diverso, ma se nessuno distribuisce materiale protetto va da sé che nessuno lo scarica.
Tu che acquisti una copia sai che non puoi distribuirne liberamente il contenuto, e se non lo sai peggio per te, la legge non ammette ignoranza.

E pretenderesti pure che le forze pubbliche pagate coi soldi di tutti si prendessero la briga di controllare che le copie della tua opera siano state autorizzate?

Ancora una volta: Anche gli scrittori fanno parte dello Stato (eh, è dura ma è così…). E ancora una volta: Lo Stato tutela i diritti dei singoli cittadini, a volte coinvolgendo le forze dell’ordine pagate da tutti (pensa tu che inciviltà!).

#79 Comment By Gamberetta On 11 ottobre 2008 @ 15:15

@GiD. Esempio di diritto fondamentale messo in crisi da un’aggressiva difesa del copyright: il diritto alla riservatezza.
L’unica maniera per accusare qualcuno di violazione dei diritti d’autore su Internet è sorvegliare le sue comunicazioni. Ora, se si tratta di omicidio, su mandato di un Giudice, può essere accettabile una violazione del proprio spazio privato (così come succede con una perquisizione). Ma siamo sicuri che sia accettabile nell’ambito della violazione di copyright?
Una perquisizione, l’intercettazione di comunicazioni private, la sorveglianza, sono fatti gravi, che dovrebbero essere messi in atto solo per questioni di vitale importanza. Non certo per un’infrazione di scarsissimo (se non nullo) impatto sociale.
Sarebbe come sparare ai bambini che rubano le caramelle. Concesso (solo per amor di discussione) che “rubare le caramelle” sia sbagliato, se l’unica maniera è sparare ai bambini la cura è più grave del male.
Non si può sorvegliare una persona, sequestrargli il computer, perquisirgli la casa, con la scusa della violazione di copyright, è un assurdo.

@Uriele. Non ti fidare di certi dati. Sono messi in giro a scopo terroristico e non hanno nulla a che vedere con la realtà. Per un esempio recente, leggi questo articolo.

#80 Comment By gugand On 11 ottobre 2008 @ 16:44

@GiD
Intanto vorrei dire che chi fa arte per commerciare l’opera si chiama artigiano. Io sono dell’opinione che nessuno ha chiesto nulla all’artista o artigiano quindi non vada piangendo perche’ c’e’ qualcuno che apprezza il suo lavoro e non e’ andato a pagarlo. La gente potrebbe anche mandarlo a quel paese o mettersi a giocare con Puzzle Quest, comprato giusto per non essere coerente.

Che la legge va rispettata d’accordo e che la legge non prevede ignoranza pure, ma resta il problema che chi ha la copia non puo’ essere accusato di averla presa illecitamente perche’ nessuno e’ tenuto a sapere come e’ arrivata a lui. Il problema semmai e’ di chi la diffonde contro il permesso del’autore, ma qui vorrei fare dei distinguo.
La SIAE ha abbastanza buon senso da non parlare mai di permesso d’uso, ma solo di diffusione.
A me sembra la situazione di quello che fa musica ad alto volume e pretenderebbe dai vicini che non pagano di non ascoltare, anzi dovrebbero fargli il favore di chiudere la finestra magari con i doppi vetri. Comunque sia:
Riconosciuto il diritto all’autore il diritto di fare i soldi col suo ingegno deve anche essere cura dello stesso far in modo da proteggersi dalla concorrenza e controllare che tutti coloro che hanno una copia di rispettare un contratto sulla diffusione. Piu’ o meno e’ quello che fa la SIAE (o equivalenti) delegata dagli artisti, dietro pagamento, a controllare la diffusione. Chi vuole diffondere un’opera va dalla SIAE e la paga. Questa a sua volta paga gli artisti oppure la SIAE fa da “notaio” dell’accordo tra autore e distributore.
SIAE, artisti e distributori fanno un contratto che li vincola uno all’altro.
Il problema e’ che la legge estende arbitrariamente questo contratto non solo anche a chi acquista copie dell’opera (magari facessero firmare qualcosa in modo da sapere chi ha acquisito la licenza), ma anche a coloro che hanno copie distribuite illegalmente. Questo e’ assurdo. Uno non rispetta un contratto vendendo o regalando copie e ci va a finire di mezzo chi la riceve?
E poi l’autore che pretende? Che vengano distrutti i supporti o gli vengano restituite le copie? Gratis? Almeno pagasse i supporti quanto li ha pagati il possessore delle copie illegali, se non lui quello che ha distribuito illegalmente. L’ultimo della fila non ha sottoscritto nessun contratto e dovrebbe diventare vittima quanto l’autore per la legge.
Lo stato deve entrare nella questione solo per far rispettare il contratto.
Il resto deve essere auto gestito da autore, editore e qualunque associazione di tutela degli artisti.

#81 Comment By Uriele On 11 ottobre 2008 @ 20:33

@ Gamberetta: Non era dei dati delle Majors che parlavo (sempre strapompati a loro vantaggio), ma proprio di ricerche della comunità europea sulla quantità di software pirata rispetto al totale in Italia (articolo riportato da punto informatica appunto). Siamo al secondo o terzo posto in europa (appena dopo la Grecia).
In Italia, non pagare quando si può e “metterla in quel posto al produttore indipendentemente dal prezzo” sono leggi non scritte, per cui il meccanismo virtuoso del “compro solo quello che mi piace dopo che l’ho letto” non penso possa funzionare. D\’altra parte tutti i supporti di registrazione COMPRESI GLI HARD DISK sono sovrapprezzati in modo che una parte dei guadagni vada direttamente alla SIAE (in poche parole: anche se non scarichi cose protette da copyright, ti facciamo pagare in modo trasversale i diritti, stronzo!).
@Gugand: bhè sul buon senso della SIAE avrei da ridire… leggi questo:
http://sandronedazieri.nova100.ilsole24ore.com/2008/10/la-siae.html
(so che il link potrebbe far finire in commento in SPAM, ma penso sia interessante. Ho saputo di quest’incidente perchè seguo da un po’ i collettivi narrativi, specialmente quelli di Bologna)

#82 Comment By gugand On 12 ottobre 2008 @ 13:08

@Uriele
Quell’esempio mostra quanto siano assurde le leggi.

Credo che i diritti delle persone andrebbero tutelati senza andare a discapito di altri. Il problema del copyright e di tutte le leggi a tutela del diritto d’autore e’ che per essere applicabili devono andare a ledere i diritti delle persone che potenzialmente potrebbero danneggiare l’autore.
Ci potrebbe stare anche il principio di protezione di questo diritto di guadagnare con la propria opera, ma per i problemi qui sopra e’ l’autore che deve ideare un sistema di distribuzione che gli rimanga sotto controllo.
Credo che questo sia sufficiente a spiegare l’ingiustizia di queste leggi.

#83 Comment By simone pietro spinozzi On 12 ottobre 2008 @ 15:33

Avevo scritto un messaggio tanto tempo fa su questo argomento, la risposta di gamberetta in un altro campo mi ha fatto capire che probabi,mente avevo messo troppi link e sono stato bloccato dal filtro antispam. Stavolta ripeto qualcosa di simile senza mostrare link cosi’ spero che non venga bloccato.

Essenzialmente tutto questo casino sulla difesa degli autori, e di tante altre cose belle… e’ un problema dovuto ad alcuni fattori:

1) c’e’ gia’ una viziatura del mercato dovuta ad un sistema obsoleto, quello della SIAE di vendita di opere artistiche. La SIAE sta tentando di pararsi il culo, pero’ e’ evidente che cosi’ facendo sta ledendo i diritti delle stesse persone che dovrebbe proteggere (autori ed editori)
2) la rivoluzione del mercato, con forme di vendita che permettono tranquillamente ad autori ed editori di tirare avanti e’ stata una cosa recente.
3) C’e’ troppa pubblicita’ e troppi interessi dietro alla pubblicita’.
4) C’e’ troppa disinformazione da parte degli utenti che non recepiscono il bisogno da parte degli autori di vedere ripagati i loro sforzi.

Tento di spiegare queste mie 3 o 4 idee:

E’ ormai evidente, da diverso tempo, che la rete ha permesso, al giorno d’oggi, di tentare nuove forme di vendita che prima non erano possibili. Una delle forme di vendita con piu’ successo in assoluto, che ha messo su un mercato proprio in asia e che non sta attecchendo per nulla da queste parti (a causa delle viziature del nostro mercato, che non esistono in asia, visto che li’ non esiste proprio un mercato strutturato come il nostro) e’ stata quella della distribuzione gratuita delle opere, dietro pagamento l’autore forniva un extra all’acquirente.

Per film si trattava essenzialmente di cd audio, commenti dell’autore e scene tagliate, le stesse coe che qui da noi troviamo in un DVD, per i libri vengono rilasciati la versione stampata, con (spesso) anche una aggiunta elettronica od online, una sorta di equivalente dei commenti dell’autore e delle scene tagliate, ovvero appunti ed altro che l’autore ha usato per creare il libro, per i videogiochi, spesso si rilasciano moduli aggiuntivi del gioco o contenuti extra (equipaggiamento, quest, nuove macchine, nuovi personaggi, etc.) che pur non cambiando nulla ai fini del gioco ne aumentano l’esperienza.

E’ un sistema decisamente diverso dai trailer o dalle demo che si vedono qui da noi. L’opera e’ pienamente fruibile da parte del lettore, ascoltatore o giocatore. Cio’ che manca sono degli extra che l’autore rilascia come incentivo a venire pagato per il suo lavoro.

Attualmente chi compra un DVD nel 90% dei casi manco se li guarda gli extra. Per come e’ formato quel mercato, invece, chi paga l’autore viene anche incentivato ad esaminare come l’autore ha creato la sua opera o a godersi alcuni extra (nei videogiochi) che pur non sbilanciando niente, aggiungono qualcosa di piu’. In un certo qual senso educa anche meglio l’acquirente che sente di dover perlomeno guardare le cose che gli sono state date come incentivo per il suo pagamento e si rende meglio conto dell’impegno profuso nell’opera.

C’e’ da dire che purtroppo cio’ si adatta malissimo con una politica attuale del mercato che prevede pubblicita’ costosissima. Intere sezioni del mercato sono composte da riviste che si montano sul niente. Ovvero parlano senza fare recensioni e che alla fine non ci fanno sapere niente del libro, film gioco o CD di cui dovrebbero parlare. Evitano infatti accuratamente qualunque genere di confronto, qualunque genrere di rimando e qualunque spinta a fare del lettore qualcuno che dovrebbe comprendere di cosa si stia parlando. L’acquirente deve pagare e basta, quindi meglio bombardarlo e rincoglionirlo con la regola della figata piuttosto che farlo pensare o fargli rendere conto di cosa stia per acquistare.

Quando si vede poi la pubblicita’ in TV si nota come letteralmente milioni di euro vengano spesi per dare un impatto invece di presentare un prodotto, ed alla fine e’ solo una gara a chi fa la voce piu’ grossa.

Diverse idee messe in piazza da famose ditte di elettronica riguardo l’impossibilita’ di saltare la pubblicita’ (obbligatoria per molti DVD gia’ in commercio e si sta tentando di renderla obbligatoria anche per la TV normale) fanno rendere pienamente conto dell’estrema viziatura del mercato.

Qualcosa di osceno dal mio punto di vista.

Non solo si e’ perso il concetto di fare una recensione comparata, ma si tende a dare piu’ voce a chi paga di piu’ indipendentemente da quello che potrebbe essere la qualita’ del suo lavoro. Per cui oggi vediamo film come Disaster Movie che vengono addirittura tradotti in italiano. Qui non si sta parlando piu’ di un qualcosa che e’ interessante perche’ ha delle qualita’. Si sta parlando di creare un mercato spingendo sui punti deboli conosciuti della mentalita’ per ottenere un unico scopo: vendere un prodotto che qualcuno ha pagato perche’ sia venduto.

Pagare per vendere il proprio prodotto.

Sarebbe da incorniciarla come frase. Non si tratta piu’ di un qualcosa di normale come: “investimento” o “percentuale delle vendite”. Si tratta di creare un mercato sulla fuffa dove per entrare bisogna sborsare una marea di soldi. E dopo logicamente ci si incazza se non si riesce a venderlo, quindi ci si ribella alla casa che si pagava per vendere il prodotto.

In inghilterra i musicisti si stanno un po’ svegliando e vogliono iniziare a tornare ad un sistema piu’ normale: loro si tengono le loro canzoni e poi chiamano le case per affittargli le loro opere per avere la distribuzione, nel frattempo preferiscono la vendita via internet dove hanno visto he ricevono una fetta maggiore delle vendite.

Gia’ perche’ il mercato attuale e’ talmente viziato che l’autore non e’ piu’ padrone delle sue opere, sara’ almeno un secolo che non e’ piu’ cosi’, ma spesso non ce se ne rende conto.

Basta pensare a come diverse case musicali creano dal nulla alcune band che hanno come unico punto di vendita una buona immagine o una voce carina (spesso enanche entrambe). Non si preoccupano di creare una possibile fonte di rendita futura insegnando a quella gente ad essere indipendente (possibilmente, quindi, anche salvandosi il culo da sole perche’ diventerebbero utili e quindi la loro posizione non sarebbe messa in discussione).

Certo il caso speciale che non rimane una meteora che svanisce subito c’e’ sempre, ma alla fine si rimane solo col pensiero di aver visto il classico raccomandato che si e’ fatto il suo giro di gloria per un po’ dopo aver frignato o pagato abbastanza. E cio’ non e’ bene. Preferisco pagare dei raccomandati come Jason Mewes e Kevin Smith, figli di capi di una famosa casa produttrice di film, che pero’ si sono ricorciati le maniche e oltre a fare delle opere perlomeno vagamente decenti, si prendono per culo da soli (bellissimo il pezzo sul set finto di un improbabile Will Hunting 2 dove due famosi attori si scambiano una battuta proprio su questi temi e poi guardano direttamente la telecamera per sottolineare il tutto), ed in generale riescono a fare dei film che fanno riflettere, anche se guardati superficialmente sembrano essere solo una accozzaglia di battute scurrili.

Purtroppo la classica meteora invece crea una impressione decisamente opposta.

Gli strumenti, come detto sopra, esistono gia’ e permettono un riconoscimento da parte dell’autore ed una grossa fettona di guadagni.

Il problema sarebbe rimodernare o tagliare strutture obsolete di supporto che si sono pervertite ed hanno finito con il perdere di vista il loro obiettivo originario e diventare (come nel caso della SIAE o di una sua parziale equivalente americana, la RIAA che si occupa solo di musica) una parodia periscolosa e vagamente mafiosa di quello che avrebbe dovuto essere uno scopo nobile.

Dopotutto ricordiamoci che, esattamente come mafia e socialismo sulla carta (e se riassunti male) sono molto poco differenti, anche la maggior parte dei piu’ grandi terroristi e dittatori sono partiti dai nobili scopi del socialismo per pervertirli. In una maniera molto simile e’ successa qui in Italia ed in buona parte del mercato occidentale proprio con tutte quelle associazioni (pubblicitarie, di supporto e tutela o anche persino editori) che sono partite per aiutare autori e creatori di opere artistiche ed hanno finito con l’arrogarsi diritti che non gli competevano e arroccarsi su posizioni dannose per la stessa fonte dei loro guadagni.

Dopo aver tentato di fare il minor numero di nomi e link possibili spero si non finire un’altra volta nell’antispam…

#84 Comment By gugand On 12 ottobre 2008 @ 18:10

Per rimarcare quello che ho detto sopra c’e’ un giudice che dice le stesse mie cose:
http://www.overlex.com/leggisentenza.asp?id=226

#85 Comment By gugand On 12 ottobre 2008 @ 19:13

Niente nego quanto sopra.
Non ricordavo che la legge e’ cambiata da “fine di lucro” a “fine di trarne profitto” quindi e’ reato possedere la copia per aver allargao l’applicabilita’.

#86 Comment By Simone Pietro Spinozzi On 12 ottobre 2008 @ 19:20

@gugand
eccetto per un dettaglio: i supporti copiati spesso sono diversi dai supporti originali. Un CD originale va a perforazione di una lamina, un CD copiato va a scolorimento di un pigmento. Tanto e’ vero che i CD originali durano tranquillamente 50 anni, mentre un CD copiato raramente supera i 3 o 4 anni, soprattutto se letto spesso.

Piu’ che altro io mi lamenterei dell’impossibilita’ di crearsi legalmente copie di backup dei CD originali e di come l’attuale pratica di software anti-pirateria sia spesso piu’ lesiva della gente che fa le cose per legge che non di quelli che vanno contro la legge. Dovrebbe essere il contrario.

Se io voglio ascoltarmi un CD dal mio computer non devo farlo solo dopo che il CD mi ha infilato non so quale schifezza dentro per certificare che e’ originale.

Se io compro un prodotto online non voglio avere casini perche’ ad un certo punto il cretino che me l’ha venduta cambia supporto DRM o lo rimuove (tre casi abbastanza grossi sono successi di recente) e quindi io devo ricomprarmi tutto perche’ quello che ho non e’ piu’ utilizzabile.

Come ho detto sopra: alternative di mezzo esistono. Non serve schierarsi per forza su due fronti e fare del male a tutti.

#87 Comment By Kai Zen J On 23 ottobre 2008 @ 11:42

Visto che si parla di diritto d’autore approfitto per raccontare quanto ci è successo poco fa:

La SIAE ci ha chiesto il pizzo.
Il comune di Negrar (VR) deve sborsare ben 300 euro per aver portato in scena (gratuitamente) lo spettacolo della Compagnia Fantasma “I Sentieri di Seth” tratto dal nostro libro “La Strategia dell’Ariete“ (Mondadori ma in copyleft).

Due funzionari SIAE, abbigliati come agenti immobiliari della periferia povera di Lugano, hanno assistito alla piéce per poi palesarsi con tanto di distintivo per “difendere” gli interessi degli autori, cioé noi. Noi eravamo presenti. Abbiamo sottolineato che la licenza creative commons di cui ci avvaliamo consente a chiunque di riprodurre, modificare ecc. ecc. (senza scopo di lucro) la nostra opera.*

Ora, a qualche mese di distanza, la SIAE multa il comune perché dice che La Strategia dell’Ariete non è in creative commons e che noi andiamo protetti. Insomma pretendono il pizzo sulle nostre produzioni, che da sempre sono libere di circolare.

Bene. Sappiano i signori della SIAE che a metodo mafioso risponderemo con metodo mafioso. D’ora in poi fate attenzione a presentarvi alle nostre “esibizioni”. Siamo in quattro, incazzosi e feroci.

Ora mi chiedo… i soldi della multa verranno a noi? In questo caso li daremo di ritorno a chi l’ha pagata – la fiera dell’assurdità insomma…
A Mondadori – che poi ne girerà una percentuale a noi, che poi rigireremo questa cifra a chi pagato la multa, tamponando una parte di “danno”? Alla SIAE? e in quest’ultimo caso per quale motivo?

Per quanto riguarda le musiche dello spettacolo, che sono firmate dai ragazzi della Compagnia Fantasma, è poi partito un balletto burocratico dal sapore kafkiano che ha fatto rimbalzare i compositori da un ufficio all’altro della SIAE senza che nessuno sapesse bene dove e come dovessero compilare il borderò. A Verona? A Bologna? Quale Borderò? Avete parlato con me? Chi siete? Cosa volete? Due fiorini.)

** Nel colpophon dei nostri libri si trova questa dicitura che ci sembra abbastanza chiara in proposito – evidentemente la SIAE assume funzionari analfabeti – :

Quest’opera è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons: si consente la riproduzione parziale o totale dell’opera e la sua diffusione per via telematica, pubblicazione su diversi formati, esecuzione o modifica, purché non a scopi commerciali o di lucro e a condizione che vengano indicati gli autori e che questa dicitura sia riprodotta.
Ogni licenza relativa a un’opera derivata deve essere identica alla licenza relativa all’opera originaria.
Gli autori difendono la gratuitá del prestito bibliotecario e sono contrari a norme o direttive che, monetizzando tale servizio, limitino l’accesso alla cultura. Gli autori e l’editore rinunciano a riscuotere eventuali royalties derivanti dal prestito bibliotecario di quest’opera.

http://kaizenology.wordpress.com/2008/09/04/siae-?-mafia/
http://kaizenology.wordpress.com/2008/09/25/siae-connection/

#88 Comment By gugand On 23 ottobre 2008 @ 12:06

Il tuo caso non era passato inosservato.
Uriele poco piu’ su aveva gia’ linkato la notizia
Indubbiamente la SIAE si comporta da mafiosa e il tuo purtroppo e’ uno dei tanti casi anche se e’ eclatante perche’ coinvolge il comune.

#89 Comment By Kai Zen J On 24 ottobre 2008 @ 13:12

Me ne sono reso conto tornando a ritroso nel post. Scusate.
Su http://kaizenology.wordpress.com c’ è però il nuovo commento di Daniele della Compagnia Fantasma che racconta un’altra vicenda assurda… La stessa cosa poi è successa anche in USA a una piccola etichetta discografica. Vieni multato in “difesa” dei tuoi stessi diritti…

#90 Comment By Gamberetta On 24 ottobre 2008 @ 15:41

@Kai Zen J. Se ho ben capito, la SIAE sta facendo il proprio dovere, impedendovi di farvi del male da soli. Vi protegge da voi stessi! E voi protestate pure…
Leggondo boingboing, freedom to tinker, ecc. di queste storie assurde ce ne sono a bizzeffe, sullo stile: il tizio fa un video e lo mette su YouTube, la grossa società televisiva lo ritrasmette e poi denuncia il tipo per violazione di copyright, visto che su YouTube c’è a nome suo un video trasmesso da loro.
Non ho idea di come se ne esca. L’unica cosa sensata è smettere di acquistare libri, dischi, e quant’altro originali e invece cercare di pagare direttamente gli artisti. Ma se davvero funzionasse, se davvero il danno economico fosse importante, non cambierebbero le cose, sarebbero mandati i poliziotti a manganellare la gente fuori dai negozi per far comprare, come accadde nel 1848 con lo sciopero del fumo a Milano.
Non si può neanche emigrare all’estero, perché tutto sommato in Italia le leggi sono ancora morbide rispetto sia alla buona parte dei paesi Occidentali sia rispetto a quelli Orientali.

#91 Comment By Gargaros On 25 ottobre 2008 @ 12:32

C’è una cosa che mi pare non sia stata affrontata: il Copyright riconosce l’autore come produttore dell’opera prodotta. Se non ci fosse, l’opera prodotta sarebbe alla mercé anche del furto “spirituale”… Immaginate che avete scritto un romanzo e che lo distribuite in rete. Immaginate poi lo stesso romanzo che però, da un’altra parte, viene attribuito a un altro autore, il quale ha copiato il vostro testo e l’ha distribuito sotto il suo nome! Senza Copyright non ci sarebbero vie legali per difendervi da furti come questi.

E no, mi dispiace, ma se è vero che molti autori scrivono gratis per passione, che però ci sia uno strumento che salvaguardi almeno il nostra dignità di creativi!

#92 Comment By gugand On 25 ottobre 2008 @ 15:05

@Gargaros
Veramente il riconoscimento della paternalita’ dell’opera nessuno lo nega ed e’ stato piu’ volte ripetuto.
Il problema e’ un altro: e’ giusto o no che l’artista abbia il controllo della diffusione?
Per la risposta rileggiti i commenti.

#93 Comment By Gargaros On 25 ottobre 2008 @ 23:29

Gugand, in effetti avevo proprio cominciato a leggere i commenti quando questo dubbio mi ha preso, e l’ho voluto scrivere di fretta e di furia prima che me ne dimenticassi!

Non tenete conto del mio intervento.

Tra l’altro, ripensandoci col senno di poi, anche un avvocato appena sfornato riuscirebbe a far vincere una causa sollevata per un caso simile. La Rete mette una prova fondamentale per ogni difesa, a tal proposito: la data.

#94 Comment By Kai Zen J On 27 ottobre 2008 @ 10:55

In Inghilterra i diritti restano all’autore che può decidere a chi “affittarli” in materia di tutela.
@ Gamberetta: In effetti abbiamo bisogno di essere protetti da noi stessi, anzi d’ora in avanti contratterò una guardia privata che mi manganelli quando sto troppo davanti allo specchio. :-)
Su kaizenology ho postato un commento di Daniele Bergonzi della Compagnia Fantasma che narra una vicenda altrettanto assurda…
http://kaizenology.wordpress.com/2008/09/04/siae-?-mafia/#comment-50

#95 Comment By Ava On 3 novembre 2008 @ 18:56

Riallacciandomi ai recenti commenti di Gargaros…

La materia sul diritto d’autore per me è sempre rimasta un mistero. Personalmente, ritengo in gran parte corretto il discorso di Gamberetta (di cui applaudo la preprazione, e il raffinato e graffiante cinismo, ma questa è un’altra storia).

Un esempio: realizzo illustrazioni. L’iter più utilizzato è questo: mi viene spedita copia di un racconto, romanzo, quel che volete da illustrare. Realizzo l’illustrazione. La metto a disposizione dell’editore x che me l’ha richiesta e mi paga la concessione di utilizzo. L’illustrazione resta in concessione di utilizzo all’editore x per un periodo concordato. Solitamente la metto a disposizione nel mio sito web in qualità di portfolio, pubblicità et cetera.

Ora… nulla in contrario se se la scaricano in 15.000 utenti, ne fanno ciascuno 15.000 fotocopie e le spediscono a scatoloni in cina aggratise. Basta che ci stia scritto sopra il mio nome e cognome, l’immagine circola, la gente mi conosce: pubblicità. Santa pazienza, è così. Io Victoria Francès l’ho conosciuta grazie al template di un blog.

Esempio limite, giocherebbe pure a mio favore (chiamasi pubblicità) vedere un romanzo che so, di Mondadori, con una bella illustrazione fatta dalle mie mani… Fantascienza: trovata in rete dal Dazieri che dice oggessù, è talmente strafaiga che adesso la usiamo per un bel romanzo e, sempre fantascienza ancor più spinta, si dimentica di pagarmi. Sottolineo: fantascienza…

Il problema semmai è diverso. Ovvero: quando il mio nome di autrice viene omesso. E quando questa circostanza si accosta ad un’altra, ovvero: io sono un’autrice poco conosciuta.

Chiunque potrebbe aprire un bel sito, metterci una galleria di disegni della Frances e dire “li ho fatti io”. Verrebbe smentito in breve tempo. Ma io non sono la Frances. (E, detto tra noi, un po’ mi roderebbe il culo sapere che i cinesi pure magari ci lucrano, su quegli scatoloni di fotocopie. Vai a sapere, magari diventano copertine del Libro Rosso di Mao vendute ai turisti. Ma qui voglio parlare di un altro problema…)

Io, per l’appunto, non sono la Victoria Francès, e mi è già capitato, grazie ad una piccola indagine, di trovare lavori realizzati da me “copincollati” e utilizzati per farne cosiddetti lavori di “grafica”, ma senza manco un credit al mio nome di autrice. Ovviamente c’era quello della graficatrice, tra l’altro con minacce di ritorsioni, maledizioni e scomuniche a te e a i tuoi figli fino alla settima generazione se avessi osato “rubarle” il codice html (da quando in qua un comune codice html si ruba?). Ma il mio nome, come autrice dell’illustrazione ciuffata per farne l’header di un blog, quello no.

Ora, se capita alla Frances poco male… la conoscono pure i sassi. Se capita a me è diverso. E qui non parlo di asilate del tipo “gne gne gne sul mio blog c’ho questa gif, io cce ll’ho e te no”.

Non parlo nemmeno di denaro. Uno al limite può pure fotocopiarsi una delle mie illustrazioni da un libro che si è legittimamente comprato, e farci quello che crede ci mancherebbe. Non parlo nemmeno di prendere a prestito un’idea mia e lavorarci sopra per creare qualcos’altro. Magari… vorrebbe dire che qualcosa di buono ho saputo fare.

Ancora una volta Gamberetta hai ragione: non esistono ingredienti alieni i cucina, al massimo si trovano ricette nuove per cucinare la stessa minestra. Nè tantomeno pretendo di essere pagata se uno utilizza una delle mie illustrazioni per metterla che so, nel suo blog. Gradirei perlomeno essere avvisata però. E che fosse chiaro che sono e resto l’autrice dell’originale di quell’immagine. Se ciò fosse omesso, chiunque potrebbe pure aprirsi quella famosa gallery di lavori miei a proprio nome. E a mme, chimmelovieneaddì?

Come tutela il proprio lavoro chi come me non è una star riconosciuta dell’illustrazione, quando non della musica o della letteratura? O per meglio dire, come lo si tutela senza il diritto d’autore?

Confesso la mia ignoranza: sulle creative commons non so quasi nulla.

#96 Comment By Gamberetta On 3 novembre 2008 @ 23:13

@Ava. Puoi inserire dei watermark invisibili nelle tue immagini. Un watermark invisibile riesce a codificare dei dati nell’immagine resistenti alle trasformazioni, risalvataggi, cambiamenti di formato, ecc.
In questo modo puoi sempre dimostrare che un’immagine è stata realizzata da te, anche se il “ladro” l’ha ridimensionata, magari ha cambiato i colori, salvata da .jpg a .png od operazioni simili.
Qualche programma che svolge questa funzione:
Icemark
Digimark
SignMyImage

Inoltre se cerchi “invisible watermark” con google ne trovi molti altri.

#97 Comment By uriele On 4 novembre 2008 @ 01:25

http://www.watermarkingworld.org/stirmark/stirmark.html

Nell’arco di 5 minuti sono craccabili questi sistemi (difficilmente superano la prova di stirmark e ancora più difficilmente quella dell’ormai introvabile unzign) esistono software commerciali o progetti universitari che offrono una protezione maggiore e hanno algoritmi molto più sicuri, anche se lontani dall’essere impenetrabili (immagino tu parlassi di invisible watermark, quelli visible sono una scioccheza da fregare)
In alternativa c’è il metodo brutale: stampi e scannerizzi l’immagine in modo da creare un file totalmente nuovo… Non so se sia possibile eludere il watermark semplicemente facendo uno screenshot dello monitor con l’immagine a tutto schermo (in modo da non perdere di qualità come con il passaggio da stampa a scanner), ma lo ritengo probabile
È sempre meglio avere qualcuno a cui affidarsi per dimostrare di essere gli autori dell’opera (un’organizzazione che potrebbe essere anche la SIAE se non fosse quello che è). Se esistesse un archivio completo e confrontabile di tutte le opere prodotte sotto creative common con i rimandi ai vari autori, la cosa potrebbe tornare davvero utile per determinare la paternità di un’opera

PS: non sono un esperto hacker di watermark, mi è bastato aprire la seconda pagina di google dopo aver scritto ” remove invisible watermark”… Se l’autore di una foto mi minacciasse di farmi causa per avergli rubato l’immaggine, se fossi stronzo, la prima cosa che farei sarebbe togliere il watermark e fregarmene bellamente…

#98 Comment By Ava On 4 novembre 2008 @ 11:25

Mah, per quello alla fine, non parlando di immagini digitali ma di cose fatte “alla maniera di una volta” (eh si, sono una delle poche illustratrici che ancora non cedono all’uso del digitale ma fa tutto con carta, matita, china e inchiostri) alla fine un archivio degli originali credo che sia più che sufficiente, quello c’è. E c’è pure la testimonianza dell’editore che mi commissiona l’immagine, fin qua ci siamo.

Il mio problema è che mica posso andare a rompere le scatole achiunque si freghi scansioni dei miei disegni per farne templates per blog senza chiedermelo, semplicemente perchè ne posso beccare uno o due a caso, ma non ho la possibilità (nè la voglia) di tenere sotto controllo la rete. =)

La questione che volevo sollevare era quella sul diritto d’autore come tutela della “paternità” di un’opera. Il mio problema l’ho ovviato (e NON volevo davvero farlo) con un bel “tutti i diritti riservati” e il solito bla bla bla.

In realtà vorrei poter rendere le scansioni dei miei disegni più libere di circolare. Ma ci sono sempre quelle “dimenticanze” di citarmi (almeno) come autrice.

Sulla questione watermark, seguo con interesse.

#99 Comment By uriele On 4 novembre 2008 @ 13:55

Il creative common può essere usato per questo: esistono varie licenze che variano dalla riproduzione dell’opera senza fini di lucro segnalando la fonte, alla possibilità di modificarla in parte o totalmente ma indicando sempre l’autore originale.
Il fatto che tu abbia un archivio fisico alla vecchia maniera e un editore per le tue opere ti tutela molto di più di qualsiasi pseudo protezione algoritmica. Se trovi una tua immagine in giro è tuo diritto e dovere far valere la tua maternità sull’opera anche senza fini di lucro. Generalmente, se hai delle prove più tangibili di un file che ti indicano come l’autrice dell’illustrazione, basterà parlare all’autore del sito e chiedere di introdurre o nel codice o in modo visibile i tuoi crediti. Per un’artista emergente potrebbe essere un buon modo di farsi conoscere

#100 Comment By Ava On 4 novembre 2008 @ 14:55

Grazie Uriele. Vedrò di informarmi sulle licenze Creative Commons. =)

#101 Comment By Kai Zen J On 5 novembre 2008 @ 15:52

#102 Comment By jiggly On 9 novembre 2008 @ 15:39

Le chiacchiere stanno a 0. Senza diritti di copyright molte case editrici fallirebbero. Chi crede che alla maggioranza degli italiani freghi qualcosa di chi ha fatto un libro, tanto da pagarlo anche se ha l’opportunità di non farlo, forse dovrebbe chiedersi come mai le case editrici una volta non si facevano pagare dagli autori per pubblicarli, oltre a chiedersi come mai l’industria discografica (che a differenza di quella editoriale vanta numerosissimi utenti nel nostro paese) ha avuto un secco tracollo negli ultimi anni.

Fatto sta che tra non pagare e pagare, la gente preferisce non pagare, anche se un’opera è ottima.
Se gente come Doctorow riesce a vivere è perchè il messaggio che lancia è questo: “fate bene a rubare! Perchè tanto le cose peggiori non le avreste copiate, quindi non danneggiate chi le ha fatte (cazzata perchè solitamente i libri si comprano anche se non ci piacciono, perchè non possiamo sapere quello che c’è dentro e una volta letti ormai i soldini li si ha spesi) e perchè a chi ha fatto le cose migliori prima o poi, in un modo o nell’altro, date abbastanza da permettergli di sopravvivere”. A questo punto se vuoi continuare a rubare in santa pace da tutte le parti, senza eccessivi rimorsi di coscienza, devi dargli soldi o comprare i suoi libri o farli compare a qualcun altro, se no lo smentiresti e vorrebbe dire che fai male a fare ciò che fai (fai, fai fai..). Una sorta di investimento.
Inoltre, per chi non ci ha mai pensato, la gente che usa internet regolarmente è meno di chi non lo usa, soprattutto in Italia. Per questo può partire il passaparola dalla “gente di internet” e influenzare gli acquisti di chi non sa accendere un computer. E magari qualche sporadico utente di internet si compra pure il libro per etica personale, per collezionismo o quant’altro. Ma se non esistessero certi diritti fiorirebbero centri di “edizione libri” selfservice. Immaginatevi una macchina che inserito il file fabbrica un libro con tanto di copertina. Tanti saluti a chi compra libri, altrimenti gratis, unicamente in quanto preferisce la carta ai bit.
E tanti saluti al guadagno di chi l’ha scritto.
E visto che qualcuno qui dentro sembra interessato alla qualità letteraria, potrebbe anche facilmente comprendere che un professionista che dedica la vita a scrivere in linea di massima scrive cose migliori di chi lo fa per passatempo.
Quindi è giusto che questo genere di leggi ci sia, salvo poi che ognuno fa sempre ciò che gli pare. L’importante è che almeno non si cominci a dire che la legge è sbagliatissima, che tutti siamo in dovere di infrangerla etc. Perchè in questo caso, come nel caso della gambera, facciamoci dare nome e cognome e denunciamolo per istigazione a delinquere

#103 Comment By jiggly On 9 novembre 2008 @ 15:44

Giusto, piccola postilla. come sempre scrivo scrivo e mi viene in mente qualcos’altro subito dopo. Ben vengano tutti quelli che scrivono e rilasciano file gratuiti! Ci mancherebbe! Li stimo moltissimo e continuerò a farlo! Stessa cosa per tutti programmi gratuti, musica condivisa etc. Sempre forza OPENSOURCE! Ma diamo la possibilità a chi vuole guadagnare qualcosa con metodi tradizionali e a chi vuole comprare qualcosa senza che la pubblicità si metta in mezzo di continuare a farlo.

#104 Comment By gugand On 10 novembre 2008 @ 14:02

Jiggly:

Le chiacchiere stanno a 0. Senza diritti di copyright molte case editrici fallirebbero.

Se non ci fosse mai stato il copyright nessun editore avrebbe messo i soldi per la distribuzione, nessuno sarebbe fallito perche’ stava facendo qualcos’altro.
Il copyright crea un mercato che non si reggerebbe da solo perche’ si basa su cose immateriali (le idee) che non possono essere controllate.

Chi crede che alla maggioranza degli italiani freghi qualcosa di chi ha fatto un libro, tanto da pagarlo anche se ha l’opportunità di non farlo, forse dovrebbe chiedersi come mai le case editrici una volta non si facevano pagare dagli autori per pubblicarli, oltre a chiedersi come mai l’industria discografica (che a differenza di quella editoriale vanta numerosissimi utenti nel nostro paese) ha avuto un secco tracollo negli ultimi anni.

‘Sti cazzi?
Il copyright alla fine e’ solo una buffonata (immorale secondo me) che non serve a nulla. Nella realta’ gli editori guadagnano lo stesso milioni di dollari con le “poche” copie della gente “onesta” che paga.

Dove sta scritto che l’artista debba vivere con le sue opere?
Gia’ per il fatto che un autore si metta a fare un’opera con l’intenzione di guadagnarci meriterebbe la gogna, sempre che non lo faccia su richiesta esplicita di un committente.
E il copyright non e’ un incentivo: quando non esisteva le opere d’arte venivano prodotte ugualmente.

#105 Comment By jiggly On 10 novembre 2008 @ 15:49

Tante stupidate Gugand. La storia che se le case editrici non fossero esistite non sarebbero fallite è una buffonata da scuole elementari. Le idee sono sempre state oggetto di mercato e non vedo perchè non dovrebbero esserlo. Come ti ho già detto chi si dedica completamente a qualcosa in generale la sa fare meglio di chi lo fa nel tempo libero. Anche in passato c’era chi si occupava della pubblicazione e ci guadagnava su, a causa del costo dei supporti. Questo permetteva che professionisti creassero edizioni di valore e non robaccia da principianti.

Ti ricordo nuovamente che chi dedica una vita a qualcosa deve perlomeno riuscire a viverci. Ti ricordo che il guadagno spinge a creare cose ancora migliori, ad ogni modo E’ un incentivo.

Ti ricordo che quando non esisteva il “copyright” gli autori si facevano pagare ugualmente in quanto riprodurre le loro opere richiedeva sforzi e risorse enormi e non era possibile creare copie di serie. Vai a dire a Leonardo o Michelangelo che meriterebbero la gogna perchè hanno guadagnato con ciò che hanno creato. Vallo a dire a Pavarotti. Vallo a dire alla stragande maggioranza dei grandi che hanno dato un contributo enorme alla crescita della nostra società. Vallo a dire a Fleming. Barboni morti di fame da mettere sulla gogna tutti. Che fossero andati tutti a coltivare la terra.

#106 Comment By gugand On 10 novembre 2008 @ 17:41

@jiggly
Non hai controbattuto, ti sei limitato liquidare tutto con “cretinate”.

Le idee non sono sempre state oggetto di mercato, ma solo dal giorno in cui e’ stato inventato il diritto di copia.
Comunque sai bene che la pirateria e’ un dato di fatto. Chiunque voglia una copia di un programma o di un libro puo’ ottenerlo da internet. Eppure libri e programmi continuano ad essere venduti facendo fare milioni agli editori e a qualche autore.
Nel prezzo di copertina sono compresi gia’ tutti i rischi perche’ gli editori gia’ sanno quanta gente (piu’ o meno) e’ disposta a pagare per il prodotto a quel prezzo, chi non paga (il pirata) non rientra manco nelle indagini di mercato.

Inoltre a livello di legge, come dice gamberetta, si puo’ avere solo il sospetto nei confronti del possessore di copia non legale. Nessuno ti dice che l’ha avuta da altri o dagli stessi autori o messa da loro in circolazione. Non esiste un elenco delle opere coperte da diritto che ognuno e’ tenuto a conoscere come nel caso delle leggi pubblicate nella gazzetta ufficiale.
Di fatto il diritto di copia non e’ tutelabile.

Sono chiacchere? Eppure e’ lo stato attuale. Per ora vengono puniti solo coloro che distribuiscono copie eppure i milioni fioccano.

Tornando al discorso morale:
Una persona che si dedica una vita a qualcosa non e’ giusto che ci guadagni. Ha fatto qualcosa per soddisfazione personale, ma non c’e’ scritto da nessuna parte che debba essere pagato.
Se non si riesce a campare solo con una cosa se ne fanno altre che fanno fare piu’ soldi. Se alla gente piace quello che un autore fa vedrai che in qualche modo ci guadagna. Sara’ richiesto per opere personalizzate, per dire la propria opinione, per scrivere articoli, come testimonial pubblicitario, etc…

Aggiungo che ritengo immorale impedire a chiunque di fare cio’ che vuole, pure ricopiare, qualcosa che ha pagato.

Una volta i lavori artistici erano al 99% su commissione, le altre opere erano solo o per soddisfazione personale o come promozione delle capacita’ dell’artista stesso.
Il fatto che le cose siano piu’ semplici da ricopiare significa solo che l’opera viene distribuita piu’ in fretta.

#107 Comment By uriele On 10 novembre 2008 @ 18:30

@Gugand: Se non ci fossero state case editrici che pubblicavano riviste letterarie per tutta America, Bukowsky sarebbe morto in uno scantinato senza aver pubblicato nulla. Ah sì, se mio nonno avesse avuto le ruote sarebbe strato un Tramvai. Siamo seri, il copyright è servito eccome, specialmente nel periodo pretelematico. Sono state una cosa giusta. Nessun autore (o quasi) avrebbe potuto permettersi di pubblicare un opera a sue spese e ovviamente, visti i prezzi dei macchinari di stampa, degli operai che gestivano le macchine, i costi di esercizio, i traduttori, i correttori di bozze, sarebbe stato impensabile che l’editore non avesse un profitto dall’opera, e sarebbe stato ingiusto che qualcun’altro lucrasse del lavoro tanto dell’autore quanto dell’editore.
Allora introduciamo l’assioma numero 1: IL COPYRIGHT ERA GIUSTO!
Oggi le cose sono cambiate, siamo in un mondo globale, una starnuto a taiwan può essere rebloggato a Castel S.Angelo in meno di un minuto, senza nessuna spesa*.
L’editoria ha inoltre introdotto una preselezione delle opere (ci stiamo lamentando del lassismo attuale che permette di far pubblicare opere come quella della Troisi, ma conosco gente che ha come modello del suo romanzo nel cassetto Le cronache dei draghi stagionali o la saga dei gemelli di T&W e se quello è il paradigma, tremo solo a pensare all’opera dell’esordiente e senza una selezione, seppure minima, questa “roba” vedrebbe la vita)

Punto due: le opere d’arte una volta erano commissionate e pagate fior di quattrini (Michelangelo non era un Tagger con voglia di esprimersi sulle volte di una chiesa, lo stesso si dica per Leonardo e tutte le altre tartarughe ninja). Una volta c’erano le botteghe dove gli artisti andavano ad imparare l’arte e poi, essendo artigiani, vivevano di quella.
Per quanto riguarda la letteratura… il 90% degli artisti i cui scritti sono arrivati fino a noi (parlo dei tempi passati) erano o nobili o tutori di famiglie spaventosamente ricche o gente che comunque poteva permettersi di fare un cazzo nella vita (cerca Orti Oricellari và) oltre a scrivere.
Quindi se in un periodo preinternet non fosse esistito il diritto d’autore gli unici libri , a parte i saggi degli intellettuali cattedrati, sarebbero stati quelli di persone spaventosamente ricche che scrivevano per divertissement. Oggigiorno la scrittura sarebbe un mestiere aristocratico o alto borghese e probabilmente non avremmo avuto opere come Asimov, Salgari, forse lo stesso Tolkien (i saggi erano materie di studio, ma i racconti e i romanzi…), il sopracitato Bukowski, SICURAMENTE John Fante (che ci voleva campare sulle sue opere), probabilmente Borges, eccetera… Al massimo avremmo opere di Berlusconi, Bill Gates, del creatore dell’Ikea, i reali d’Europa eccetera.
L’editoria ha messo tutti sullo stesso livello, quello della qualità E/O della vendibilità dell’opera.

Quindi dire che un autore non scriva per guadagnarci è pura ipocrisia, un autore VUOLE vendere le sue opere, VUOLE farsi conoscere e VUOLE lasciare un segno del suo passaggio. In America e in Canada (il centro culturale del mondo si è spostato piano piano da Parigi a New York nell’ultimo secolo), ma anche in Francia o in Germania, gli autori veramente affermati e gli intellettuali (questi ultimii anche in Italia) di lavoro tendono a fare gli scrittori affermati o gli intellettuali, scrivendo per giornali e riviste, collaborando con case editrici, eccetera. Se poi il suo scopo non è questo, ma si parla di puri e romantici sognatori, che non vogliono modificare la propria opera per adattarla al mercato (e le case editrici te lo chiedono di modificare qualcosa qua e là per rendere in tutto più scorrevole/commercializzabile) allora c’è quel fantastico cassetto o quel bellissimo blog (se si è esibizionisti) che non richiede nessun copyright.
Il copyleft è l’altra faccia del copyright, la faccia moralmente più integra vedendo come le leggi sul secondo siano degenerate, ma è pur sempre un copyright (diritto dell’autore sull’opera, letteralmente):
-l’autore non vuole che nessuno (a parte lui stesso) lucri sulla sua opera (il che è comprensibile, in periodi preglobalizzati in questa storia entrava anche l’editore comprensibilmente)
-l’autore vuole essere riconosciuto come “padrone” dell’idea (si è sbattuto, quindi giustamente richiede la sua libbra di carne)
-l’autore vuole farsi conoscere ed essere premiato per la sua opera
Il file pdf e la libera diffusione dell’opera, per i proffessionisti, altro non è che una moderna pubblicità. Sanno infatti che, non essendo diffusi i lettori palmari ed essendo scomoda la lettura su schermo, molto probabilmente un lettore li premierà comprando l’opera o regalandola ad un amico, una parte dei soldi dell’opera acquistata andrà agli editori e l’altra agli autori. Per intenderci NON LO FANNO PER LA GLORIA e per regalare a tutti un’esperienza, lo fanno per un tornaconto personale.

In america il copyleft sta attecchendo perchè da loro la pirateria informatica è vista davvero come un crimine dalla gente, le grandi reti mettono a disposizione i programmi su internet gratuitamente e legalmente MA SOLO PER LA VISIONE (serie come i simpson, family guy, dr house, ecc..) e per periodi limitati dopo la messa in onda (un paio di mesi), mentre è SEVERAMENTE punita la detenzione di una copia digitale. Da noi la piraterie è vista solo come un ottenere gratuitamente quello che potremmo avere pagando (io stesso solo raramente ho premiato opere meriteveli, perchè avevo già letto o visto il prodotto e avevo comunque una copia cartacea o telematica gratuita a casa); avessi voluto avrei potuto alzare il culo e andare in “sala borse” (una biblioteca pubblica di bologna NdU) a prendere la copia del libro/film che avevo voglia di vedere, ma questo avrebbe voluto dire:
1)Alzare il culo
2)Sperare che nessuno avesse già preso il libro/film
3)Restituirlo una volta finito in modo che qualcun altro potesse usufruirne (vedi punto 1)
Anche questo processo è gratuito (non spendo neppure i soldi del collegamento se pago il traffico in ingresso ed uscita, in più risparmio sulla bolletta se spengo tutte le luci prima di uscire), in più posso migliorare le mie capacità di interazione sociale (perchè devo interagire con delle altre persone reali per ottenere quello che voglio) e una passeggiata fa sempre bene alla salute (30 minuti al giorno dicono gli esperti).

Il demone non è il copyright (il cui principio è anche giusto, riconoscere i diritti dell’autore e, se presenti, rimborsare le spese dell’editore ed è ripreso anche dalla filosofia del copyleft) quanto piuttosto l’applicazione attuale e gli estremi a cui si è arrivati oggigiorno (con la SIAE e tutto il resto) che non proteggono più l’autore, ma penalizzano semplicemente l’utente finale privilegiando alcune lobby

*esistono le spese di gestione della rete, gli abbonamenti, la bolletta elettrica, eccetera. Ma sono spese sommerse e distribuite sull’uso complessivo di internet.

#108 Comment By gugand On 10 novembre 2008 @ 18:53

@uriele
Un autore puo’ fare le opere a tempo perso.
Lavora e produce come tutti e durante il tempo libero, invece che gironzolare per i bar o farsi “la vasca al corso” (da noi si chiamano cosi’ le paeggiate in centro) fa un opera. E la fa perche’ gli piace farla e, forse, spera di acquistare fama.
La fama porta guadagni in qualche modo, almeno a livello di soddisfazione personale.
Se sono un bravo artista e le mie opere distribuite gratis vengono viste da qualcuno puo’ succedere:
1) qualcuno mi cerca e mi paga per un lavoro su commissione (quello che si e’ sempre fatto dall’antichita’ fino ad adesso)
2) qualcuno mi dona qualche soldino perche’ pensa che sia giusto che mostri il suo apprezzamento in quel modo (qualche programmatore/musicista/fumettista free ed open source, madonnari e artisti di strada ci campano)
3) divento famoso e qualcuno e’ disposto a pagarmi per far pubblicita’ o promuovere mostre, fare convegni, interviste (succede a tanta gente che acquista fama per eventi di tutti i tipi)

Ecco il guadagno.
Chi non riesce a guadagnare abbastanza con uno o piu’ dei modi qui sopra fara’ l’artista a tempo perso, gli altri faranno mestiere.

Il copyright permette di avere dei guadagni minimi piu’ facilmente e basta, ma non incentiva un cavolo, se non coloro che si credono artisti e invece sono dei cani.

#109 Comment By uriele On 10 novembre 2008 @ 18:56

il motivo per cui la maggioranza dei software sono legali (dove controllano almeno) è data dal fatto che, se un software è usato in un azienda la copia DEVE essere registrata perchè se arriva la finanza a fare un controllo (eventualità non trascurabile), l’azienda rischia di dover pagare così tanto per ogni copia non legale che il gioco non vale la candela (non è virtuosismo è paura di dover pagare in seguito).
La pirateria informatica del privato, almeno in italia, è più tollerata; diciamo che più che altro è un fattore aggiuntivo che si sfrutta quando ti beccano per qualcos’altro (e lì paghi, uhu se paghi).

Per quanto riguarda i sistemi operativi invece è molto difficile che uno li abbia piratati (oggigiorno più del 80% dei pc arriva con installato windows in una delle sue versioni, quindi la licenza l’hai già comprata con l’acquisto del computer, se passi a linux, di solito passi a una versione non commerciale che è uguale tranne che per il supporto e alcuni programmi proprietari, se sei scemo passi all’ OSX, ma vabbè lì poverino… ) e uno che rifiuta windows e si fa restituire parte dell’importo sull’acquisto del pc (sì lo paghi meno senza windows, non molto ma qualcosina di meno) difficilmente poi si scaricherà quel sistema operativo.
Per quanto riguarda i giochi: le console modificate perdono la garanzia, alcuni giochi copiati non vanno in internet e alcune volte non si può accedere a servizi per live, network o comunque li chiamino. I MMORPG (i giochi per nerd per intenderci), necessitano di un abbonamento per partecipare ai server ufficiali (è sicuramente più divertente un WOW originale che un server che crasha sempre) e crearsi un fake account è difficile e spesso ti beccano. Quindi se uno vuol giocare a un gioco online difficilmente potrà evitare di pagare (sui giochi offline per PC fanno qualcosina per evitare le copie, ma “gliela stanno dando sù” come si suol dire).

#110 Comment By gugand On 10 novembre 2008 @ 18:58

Dimenticavo:
e’ la millessima volta che dico che la paternalita’ dell’opera va tutelata, ma il copyright non e’ solo questo.

#111 Comment By gugand On 10 novembre 2008 @ 19:07

@uriele
Ti sfugge il fatto che i programmi spesso vale la pena acquistarli per avere servizi aggiuntivi:
-aggiornamenti sempre disponibili
-assistenza tecnica
-add-on ed altro
E non e’ poco.
I programmi professionali non frega nulla al professionista di pagarli, li scarica dall’imponibile e in piu’ ha sempre i servizi di cui sopra che sono cose importanti per chi lavora.

#112 Comment By uriele On 10 novembre 2008 @ 19:25

trovami un autore di webcomics BRAVO che, acquistata una certa notorietà o un certo successo non abbia poi pubblicato per case editrici le sue opere (guadagnandoci) o si sia messo a callaborare con riviste o giornali importanti (come il meritatissimo spazio Blue di Canemucca, probabilmente l’unico che abbia capito che il webcomics non è una strip, ma un nuovo linguaggio di comunicazione); trovamene uno che non cerchi di venderti l’invendibile a Lucca Comics (anche di non bravi). Certo il fumetto in Italia è sempre stato bistrattato, ma l’obbiettivo dei vari autori è sempre stato quello di diventare, se non indipendenti autosostentati, autori Disney, Bonelli, Blue, Eura o Marvel, Vertigo e DC (se Veramente eccezionali). E quello alla fine è un mestiere. Alan Moore fa un mestiere, Gaiman fa un mestiere (infami profittatori dirai tu) e son pagati per le loro opere.
Quelli che non ci campano senza copyright, non ci camperebbero neanche con. Il diritto d’autore (nella forma più pura intesa come opera su cui non possa lucrare nessun’altro oltre l’autore e riconoscimento dell’opera e dei guadagni ottenuti dalla stessa, quindi anche il copyleft) è indispensabile per quelli bravi, i dilettanti scarsi possono lamentarsi, ma tanto con o senza loro dilettanti scarsi rimangono.
Si può discutere poi della percentuale nel profitto dell’autore dalla vendita di copie; della possibilità di riprodurre l’opera a fini didattici gratuitamente (che è un caso simile alle librerie ed è giusto che le fotocopie di materiale didattico siano disponibili per gli studenti gratuitamente senza gravare sulle spalle delle famiglie o delle strutture); del fatto che la riproduzione o l’adattamento non a fine di lucro di parte o dell’intera opera sia resa possibile e incentivata (è pubblicità per gli stessi autori che poi possono vendere di più). Nonostante questo deve esistere una forma di diritto che tuteli l’autore e la sua opera.
Se non esistesse, tu pubblichi un libro io lo vendo a mio nome e ci guadagno dei soldi (o comunque acquisto fama di letterato con il tuo lavoro), senza un diritto che tuteli la mia opera o i guadagni relativi alla stessa come faccio ad intervenire??? Se ho un documento nel cassetto scritto a mano di cui non posso provare la data sono fregato, se ho il file sul pc o l’ho pubblicato in internet sotto creative common (e ci sono numerose persone che lavorano per adattare i principi del CC alle leggi dei vari paesi, non sono solo due lettere dentro un cerchio che attacchi ad un file), guardando ai metadati potrei essere riconosciuto come creatore dell’opera ed avere diritto ad un risarcimento finanziario per il danno morale o agli introiti derivanti dall’opera pubblicata senza il mio consenso (oltre al prestigio che mi spetta e al nome sulla copertina).

Se non esitesse nessuna forma di tutela per l’autore allora Omnia Sunt Communia (che in un Utopia dove nessuno cerca di approfittare di noi sarebbe anche corretto) e nessuno sarebbe incentivato a scrivere nulla per gli altri. Lo scrittore, come gli artisti in genere, è una creatura egocentrica (anche gli “artigiani” orgogliosi della loro opera lasciavano il loro tratto distintivo sulle opere su commissione) che vuole essere ricordato e/o celebrato per le sue opere, altrimenti non cercherebbe a tutti i costi di rendere pubblici i suoi pensieri e le sue opere firmandole.
A mio parere il concetto e la filosofia dietro il diritto d’autore in tutte le sue forme è corretta e condivisibile, la cosa sbagliata sono le leggi che supportano tale diritto

#113 Comment By uriele On 10 novembre 2008 @ 19:43

Scali l’imponibile non il prezzo complessivo del programma e quando sono software costosi è una bella spesa. Perchè secondo te molti ingegneri professionisti passano a software open source quando possibile, rinunciando ad un utile assistenza (solo se è possibile fare una transizione indolore), perchè molte aziende passano da Office (che è obbiettivamente migliore come software) a OpenOffice (che è un ottimo programma, lo uso sempre in casa, ma ha alcuni problemi di compatibilità con Excel nelle funzioni complesse, problema che ho riscontrato durante la tesi, e con le ultime estensioni del software microsoft). Se non gli costasse, fregandosene della filosofia opensource, perchè non scegliere il software con assistenza?!

Se, a parità di prestazioni, il professionista non usasse il programma proprietario non solo non avrebbe da scaricare nulla, ma non avrebbe speso nulla per il programma, ergo a parità di lordo, avrebbe un netto maggiore: ABC di economia.

#114 Comment By uriele On 10 novembre 2008 @ 19:55

Poi ovvio, se sei un dipendente non te ne frega nulla, ma se sei o un libero professionista o “il padrone” che deve tirare fuori i soldi allora le cose son diverse. Qui si parla di software professionali per il lavoro ovviamente, se devi “battere a macchina” ti va bene word come openword, se devi solo fare delle tabelle senza funzioni particolari o grafici complessi openexel è perfetto.
Quando si usano programmi specialistici bisogna essere sicuri che ci sia compatibilità con il software più usato in commercio, perchè al risparmio in termini economici potrebbe non corrispondere un risparmio in termini di tempo, quindi di profitti. Già le differenze di sintassi fra un Matlab (proprietario) e un Octave in un codice di calcolo, anche se minime, ti fanno perdere ore di lavoro per capire dove e cosa hai sbagliato in un certa riga (per esempio la sintassi per aprire un file di dati è diversa e non c’è compatibilità fra i due sistemi). Io uso MATLAB e usare alcuni PC in facoltà su cui gira Octave (costava troppo per i fondi di laboratorio acquistare abbastanza licenze) alle volte fa perdere molto tempo. Ultimamente ho preso l’abitudine di scrivere un doppio programma, non ci si mette il doppio del tempo perchè gran parte del codice è uguale, ma è comunque una perdita di tempo considerevole.

#115 Comment By gugand On 10 novembre 2008 @ 19:56

Uriele, ci sono dei modi per tutelare la paternalita’ e se tu non ti tuteli andando a registrare l’opera dalla SIAE o qualunque ente equivalente sei semplicemente un pirla, magari genio, ma comunque pirla.
Tolto questo diritto, il diritto di essere l’unico a fare soldi con un opera(che il copyright protegge) e’, oltre ad essere nella pratica impossibile da attuare e la pirateria ne e’ la prova, per me immorale e non e’ nemmeno un incentivo agli artisti.
Se tu, artista, non vuoi che la gente possa riprodurre la copia che tu hai venduto, non la vendi e non pemetti di farla uscire dai luoghi da te controllati cosi’ da essere sicuro che chi consulta l’opera abbia gia’ pagato e non possa farsene una copia.
Quello che fa l’artista quando pubblica la sua opera e pretende il rispetto del copyright e’ molto simile a quello che sfrutta la pubblica piazza per farsi pubblicita’ e contemporaneamente farsi pagare per la pubblicita’ stessa.
La gente che apprezza magari te li mette 4 soldi nel cappello, ma dagli altri non devi pretendere nulla.

#116 Comment By jiggly On 10 novembre 2008 @ 19:59

Gugand, come di sovente capita alla principale responsabile di questo sito, non ti sei preso la briga di pensare. Ho controbattuto eccome, e nemmeno te ne sei accorto. Se avessi solo detto “cretinate”, il mio commento sarebbe stato decisamente più corto, non ti pare? Ho risposto parola per parola a ciò che hai detto, a parte la storia delle opere su commissione che mi è sfuggita. Lol. Permettimi una risata. Ma cominciamo dal principio.

Ti ho già detto che le idee sono SEMPRE state oggetto di mercato, non c’era bisogno di copyright in quanto le risorse disponibili non permettevano di fare copie su copie di un’opera. Per cui i diritti degli autori su quelle che chiami “idee” erano comunque tutelati e il commercio su tali “idee” si faceva eccome. Ti ho spiegato precedentemente anche il perchè nonostante la pirateria si venda un discreto numero di beni intellettuali. Ti reinvito a riflettere sul perchè le vendite delle case discografiche siano calate notevolmente in questi ultimi anni. Rifletti ragazzo mio.

Nel prezzo di copertina sono già compresi i rischi dici? Ma dove vivi? Pensi che se alzano il prezzo di 10 euro perchè compra la roba meno gente di quella che dovrebbe la comprerebbero ancora tutti quelli che l’avrebbero presa per 10 euro in meno? C’è un limite per l’alzamento dei prezzi ragazzo, soprattutto per beni secondari. E’ inutile che parli a caso, prova a guardare il trand dei ricavi di chi stà dall’altra parte prima. Chi vende il suo lavoro è giusto che guadagni quello che guadagnerebbe se i disonesti non si mettessero in mezzo e niente di meno. A parte questo, che già di per sè basterebbe, il pirata non rientra in nessuna indagine di mercato perchè il pirata non dovrebbe esistere. Il pirata non è una categoria stabile e non può essere esclusa nè inserita.

Anche a “livello di legge” Gamberetta dice un’idiozia. Come sempre. La legge non ammette ignoranza, come vi è stato ricordato. E’ tuo DOVERE sincerarti se la copia che hai in mano è legale o meno. Chissà perchè gente che è stata trovata con copie illegali si è beccata delle multe. Mah. Vallo a dire a loro che non potevano dimostrare niente. Sono a conoscenza di una persona che non distribuiva copie, le “immagazzinava” soltanto e che ha ricevuto una multa salata. Ho sentito di altre mille persone che hanno avuto la stessa esperienza ma visto che su loro non posso essere sicuro e visto che vi piace attaccarvi a tutto evito di puntare troppo su ciò che è capitato a loro.

Tornando al tuo ritorno al discorso morale… A te non te ne deve fregare perchè qualcuno fa qualcosa. A te deve fregare che se qualcuno ha fatto qualcosa è giusto che ne disponga. A parte questo, se qualcuno fa cose solo per soddisfazione personale e ci dedica la vita, la sua vita sarà piuttosto breve. Se è costretto a fare altro non potrà mai produrre quello che avrebbe potuto dedicandosi unicamente a quello cui si proponeva. Poi ho letto di alcuni vaneggiamenti che mi lasciano senza parole. Opere “personalizzate”? lol.. Per dire la sua opinione? Hai idea di quanti opinionisti girino? Scrivere articoli? Pensi che chiunque crei prodotti tipo musica e narrativa abbia la predisposizione del giornalista? Testimonial pubblicitario? OMg… E se una crea un’opera media e non un capolavoro non esiste? E chi crea opere meravigliose ma è semi-incompreso? E tutti quelli che scrivono ora saranno opinionisti e testimonial? Dai, non bestemmiamo.

Immorale impedire a chiunque di fare ciò che gli pare. OK. Assassini, mafiosi e bella gente, continuate così!

Secondo te perchè la maggior parte delle opere prima era per commissione? Mah, chissà. Forse perchè pochi potevano permettersi ciò che non poteva essere distribuito su larga scala? Questo cosa significa per te? Che dobbiamo tornare a mille anni fa quando le opere non le aveva nessuno perchè chi le ordinava se le teneva? Ottimo ottimo! Evviva la crescita sociale ragazzo! Che tutti coloro che fanno cose bellissime le facciano unicamente per una sola persona! Così loro sopravviveranno e la società si beerà della sua ignoranza e della perdita di spessore!
Il fatto che le cose siano più semplici da ricopiare significa solo che ci sia più circolaz.. ma cosa stiamo dicendo? Che gli autori devono fare opere su commissione che avrà una persona sola e se la terrà ben stretta. Una persona sola che dovrà pagare decine di migliaia di euro per un libro o altro. E ovviamente il nostro bravo autore si prenderà una pausa di 2 o 3 anni per scrivere un’opera fantastica da dare al mondo gratis. Morirà di fame, non potrà scrivere nient’altro ma il mondo tutto ne avrà guadagnato.

#117 Comment By jiggly On 10 novembre 2008 @ 20:10

Gugand, rifletti. Se qualcuno vuole che tanta gente abbia la sua opera, ma anche che quest’ultima la paghi, e non vuole che altri che non hanno pagato per il suo lavoro ne usufruiscano, chi sei tu per impedirlo? La cosa l’ha scritta LUI. Lui deve poter decidere a chi darla. E se vuole darla solo a chi la paga ne ha tutto il diritto.

Il tuo esempio dell’artista in piazza è patetico, perchè se uno vuole fare l’artista da piazza ok, ma se uno vuole farlo in un circo e far pagare il biglietto a chi entra ne ha tutto il diritto.

Aboliamo i teatri! Aboliamo i cinema! Aboliamo le discoteche! Aboliamo i circhi! Aboliamo tutto ciò che si fa pagare per le sue prestazioni! Sono delle vergogne! Aboliamo i musei che fanno pagare il biglietto! Tutti dentro gratis!! IMBUCATEVIIII muhahaha

#118 Comment By uriele On 10 novembre 2008 @ 21:33

Sull’aboliamo le discoteche mi trovi d’accordo, ma proprio sull’abolirle in toto.
i musei gratuiti potrebbero tranquillamente esserci, anzi in Italia molto spesso ci sono, oppure ci sono occasioni come le notti bianche che sono intellettualmente stimolanti.
L’usufrutto di un opera d’arte (tramite le sopracitate biblioteche o videoteche) può e deve essere gratuito perchè la cultura deve essere alla portata di tutti. Il diritto d’autore applicato deve tutelare il POSSESSO di una copia dell’opera, c’è un po’ di differenza. La copia comprata dalla biblioteca è già pagata e nessuna legge vieta il prestito della propria copia (prestito non noleggio), quando io presto qualcosa a qualcuno, mi privo momentanemente di quel bene per permettere a qualcun’altro di usufruirne. La copia circolante è comunque una e l’autore non subisce nessuna perdita perchè, in quel momento il proprietario non può utilizzare il prodotto, ma concede questo diritto ad un’amico.

La copia digitale è perfettamente indistinguibile dall’originale e da una copia ne nascono molte, tutte consultabili contemporaneamente. Fra le due cose c’è la stessa differenza che prestare 10 euro ad un amico e dare una copia perfettamente identica della stessa banconota con lo stesso numero di serie ad un’altra persona, tenendo per noi la nostra; nel primo caso si parla di prestito, nel secondo di falsificazione (che è reato).

Io ammetto di fare uso di materiale pirata (più che altro film in lingua originale non disponibili in Italia, libri fuori catalogo o fumetti non più in edizione economica o introvabili come sandman e miracleman o film visti al cinema che non ho voglia di aspettare che arrivino in dvd), ma non lo considero scambio etico (perchè lo scambio sottintende che io dia qualcosa in cambio di un’altra non potendo più usufruire della cosa data), lo considero pirateria. Ti posso anche dire che raramente quando trovo un prodotto che merita il suo prezzo, se ne ho già un copia digitale, lo compro (non ho nessun valore aggiunto, lo farei nel caso si trattasse di un’edizione speciale che mi da un valore aggiunto rispetto a quello che ho)

Sono contrario alle leggi che impediscono la riproduzione, segnalando l’autore originale, di parte del materiale acquistato o le “opere derivate” (quando spendo i miei soldi con la copia dovrei poterci fare quello che voglio compresi rotoli di carta igenica e falò);
Sono contrario al divieto di fotocopiare i libri di testo universitari (perchè lo studente già paga le tasse universitarie, quindi il materiale didattico dovrebbe essere reso disponibile allo stesso, cosa che fra l’altro molti professori fanno, mettendo a disposizione pdf di libri di testo loro o di terzi) anche perchè le copie disponibili nelle biblioteche non riescono a coprire la richiesta per un dato corso (e a differenza di un romanzo che può essere letto in un secondo momento, l’esame deve essere dato entro una certa data se non si vuole finire fuori corso);
Sono contrario al sovrapprezzamento dei supporti digitali (compresi Hard-disk e computer) per garantire un guadagno alla SIAE, perchè questo implica che, qualsiasi cosa ci faccia in realtà, io usi quel supporto per violare le leggi del copyright (e questo essendo ingiusto verso tutte le persone oneste, mi provoca un certo piacere quando “rubo” i profitti a SIAE e autori: mi avete fatto pagare per la mia disonestà, allora essere disonesto mi sembra il minimo)

#119 Comment By jiggly On 10 novembre 2008 @ 21:45

Ti quoto quasi in toto Uriele, solo che dovendo rispondere a una stupidata come la storia del tipo che si esibisce in piazze ce ne vuole una altrettanto stupida per far capire qualcosa a chi ha scritto la prima.

Però io non sono molto d’accordo sul divieto di fare copie dei libri universitari se gli autori non vogliono che vengano fatte. Le tasse che gli studenti pagano non c’entrano con gli editori dei libri stessi. Al massimo sarebbe interessante che le università disponessero di un notevole numero di copie da dare in prestito in modo che poi esse vengano restituite.

#120 Comment By uriele On 10 novembre 2008 @ 22:08

ma non è così e sarebbe economicamente e logicamente impossibile che lo fosse (300 studenti di Meccanica, ognuno con un testo per un esame curricolare senza contare gli studenti fuori corsi o al secondo o terzo appello). In alcune facoltà i professori (fortunatamente non i miei, ma ho sentito queste storie), scrivono libri e poi all’esame vogliono che lo studente porti una copia del LORO libro all’esame (questo è un metodo infame, ti pago come professore e tu non mi fornisci il materiale didattico, ma ti fai pagare due volte, la seconda facendomi comprare la copia originale del tuo libro).
I professori e i ricercatori (o il loro dipartimento), ma anche i professionisti poi COMPRANO una copia del libro in questione (i testi di Anatomia buoni costano delle centinaia di euro, ma sono indispensabili per medici e professori e non è pensabile che non ne abbiano una copia, lo stesso per molti testi di ingegneria o di critica letteraria o di chimica o di fisica, ma uno studente che non sa ancora se farà un certo lavoro o se necessiterà in futuro di quel testo non può e non deve affrontare tale spesa, soprattutto perchè, nella sua futura carriera, alcuni di quei testi non gli serviranno a nulla oltre che a superare uno stupido esame per cui aveva già pagato).
L’istruzione deve essere libera e le fonti di sapere liberamente accessibili, nelle università molti programmi con licenze costose sono concessi in usufrutto agli studenti e spesso anche alle strutture universitarie in genere GRATUITAMENTE (o a un prezzo forfettario), perchè il loro utilizzo non è commerciale (o più propriamente non è direttamente commerciale, alcune ricerche sono finanziate dalle aziende e alcuni studenti lavorano per professori stipendiati in parte da aziende, ma questa è un’altra storia), lo stesso dovrebbe essere per i libri di testo, specialmente se richiesti o obbligatori per riuscire a sostenere l’esame.

Considera che il diritto di Copyright attuale “tutela troppo” anche gli autori, che sono costretti a rendere disponibile il loro libro in piccole parti agli studenti (mi pare inferiori al 15% l’una) durante tutta la durata del corso per non violare la legge sul copyright (altri forniscono la password per l’upload via internet del formato digitale)

#121 Comment By jiggly On 10 novembre 2008 @ 22:21

OK, hai ragione :P

Io pensavo ai corsi con non troppi studenti per le copie a disposizione e magari per i corsi in cui era improponibile fare cose del genere non richiedere la conoscenza totale di un determinato libro ma fare in modo che il professore prenda ciò che gli serva, fornisca le nozioni necessarie o lasciassero a disposizione di chi deve studiare dispense atte allo scopo senza obbligarli a comprare 2 o 3 libri. Volendo si potrebbero anche trovare modi diversi che non la copia legalizzata di interi libri.

#122 Comment By uriele On 10 novembre 2008 @ 22:35

infatti ci sono già: la copia ILLEGALIZZATA di interi libri (poi il professore può chiederti sempre qualcosa non presente nel programma e magari neppure nei libri per vedere se hai capito la materia, figurati se non può chiederti qualcosa presente sul libro). Poi se i corsi sono di poche persone, le copie da consultazione necessarie saranno ancora minori per non gravare sulle finanze dell’università . Considera che su un libro di proprietà o su una copia puoi prendere annotazioni, chiosare, sottolineare passaggi o disegnare grafici e tabelle, su uno in prestito no (e tutte queste cose sono molto utili nel processo di apprendimento). Poi è ovvio che si possa prendere 30 e lode anche senza sapere a memoria tutto il testo (o più spesso i testi) “consigliati dal docente”, ma questo non toglie che se gli gira quello può chiederti tutto perchè parte del programma (se non è stato espressamente detto il contrario, tipo NON STUDIATE QUESTO PARAGRAFO O QUEST’ALTRO CAPITOLO).
Lo studente ha diritto ad una copia “stropicciabile” sia essa una dispensa o un libro di testo. Alcuni professori durante le lezioni ti fanno più o meno ricopiare il libro dalla lavagna aggiungendo del loro, altri te lo forniscono, per altri ancora (pochi per fortuna) devi procurartelo con “le tue forze”.
Ma adesso stiamo uscendo dal tema Copyright vero e proprio e sarebbe meglio parlarne in altra sede o in altro luogo (se proprio vuoi discuterne chiedi la mia email ai gestori del sito, non me la sento di continuare a parlare di qualcosa di così poco inerente all’argomento in discussione)

#123 Comment By gugand On 11 novembre 2008 @ 11:25

Le cose sono piu’ semplici e logiche delle chiacchere che avete fatto.
Le opere sono facilmente ricopiabili e si diffondono che l’artista voglia o no.
Se le vendite di musica e’ calata non e’ detto sia colpa della pirateria, ma solo del fatto che la gente ascolta meno musica. Tutt’alpiu’ potresti parlare di coincidenza con la diffusione di internet.

Tieni conto che chi scarica quasi gratis qualcosa lo fa perche’ ritiene il prezzo troppo elevato. Spesso chi scarica gratis sono adoloscenti (tutt’alpiu’ gli universitari) squattrinati che non possono permettersi certe spese ed hanno si e no i soldi per uscire il sabato sera con gli amici.
Chi ha i soldi invece di ricorrere ad internet per avere quello che vuole usa internet per informarsi prima tramite altri parerie poi decide se comprare o no.
A livello di danni la pirateria tocca una percentuale piccola di perdita e lo dimostra che nonostante i cali di vendita delle case discografiche queste contuinuano a fare soldi, come i cinema continuano ad essere costruiti e riempiti da gente appassionata, i videogiochi hanno subito un’impennata di vendite (basta vedere l’esplosione di titoli).
Film e videogiochi spendono milioni di euro e dollari signifia che i soldi si rifanno.

Infine altra stupida questione.
Che differenza passa tra un prestito e una copia?
Oppure se si fa una colletta tra amici e si compra una copia che poi fa il giro?
Il risultato sia del prestito che del pagamento di una copia da passarsi e’ lo stesso:
Piu’ persone “godono” della stessa opera senza pagare la “quota” stabilita dall’autore.

PS: l’ignoranza della legge? Dove e’ scritto che qualunque cosa che mi capita tra le mani devo sapere se e’ legale? A me puo’ arrivare in mano un pacco di fogli scritti e devo sapere se l’autore lo sta diffondendo gratuitamente?

#124 Comment By uriele On 11 novembre 2008 @ 12:13

Sì devi saperlo perchè questa è la legge. Se tu vieni in Italia con 2 mogli sei condannato per poligamia (c’era un bellissimo film sull’argomento che facevan vedere spesso nelle scuole). Se uccidi qualcuno e non sai che uccidere è reato sei lo stesso condannato per omicidio. Se ti trovi in possesso di una copia pirata devi lo stesso pagare una multa (sempre che tu non possieda ANCHE la copia originale). Se evadi le tasse perchè non sai fare il 740, evadi comunque le tasse. Questa è la legge, può essere giusta o sbagliata, ma l’ignoranza purtroppo non è una scusante per il tribunale: è tuo diritto/dovere informarti. (ah sì sta scritto nella legislazione italiana che l’ignoranza non è una scusa)

Come ho detto sopra quello che tu paghi all’autore NON è l’usufrutto dell’opera, ma il POSSESSO di una copia dell’opera (sennò non esisterebbero le biblioteche o le videoteche pubbliche). Quante persone godano di quell’unica copia poi non ha importanza. Nessuna legge regola il prestito di una copia privata (c’è qualcosa riguardo al noleggio, ma nulla sul prestito). Se tu hai una copia di un film, la puoi guardare tranquillamente con gli amici. Un videogame una volta finito lo puoi prestare perchè ci giochi un tuo amico.

“Chi ha i soldi invece di ricorrere ad internet per avere quello che vuole usa internet per informarsi prima tramite altri parerie poi decide se comprare o no.”

Questa poi è una cazzata, non a livello globale, ma sicuramente per quanto riguarda l’Italia (se guardi le statistiche il paese europeo con la più alta concentrazione di pirateria insieme alla grecia). In Italia non sono solo gli studenti squattrinati a scaricare film o musica (il download di ebook è ancora limitato per i motivi che ho già citato prima), ma tutti.

La storia poi che la gente ascolti meno musica è un’altra cavolata di dimensioni colossali: fra gli studenti è pieno di hard disk pieni di Gb di musica (così tanta che uno fa fatica ad ascoltarla tutta), la genti non scarica più il brano singolo (come si faceva una volta con la cassetta e la radio) ma, essendo più facile, si tira giù direttamente il torrent con la discografia completa dell’autore. Di musica probabilmente ce n’è più in giro ora che in passato, dire il contrario è pura ipocrisia.

Passiamo ora all’argomento case editrici/discografiche: non sono le major, che ridurranno i profitti, ad essere in pericolo quelle sono comunque sostenute da lobby o da leggi ad personam e vivono comunque di altri introiti non direttamente collegati alla vendita del cd o del libro. Quelle che ci rimettono sono le case medio-piccole e i piccoli negozi (cose un po’ più d’essay per intenderci), sono queste realtà, anche grandi ma non mastodontiche che pagano il prezzo più alto. Poi per quanto riguarda i cinema… stanno aprendo le multisale e chiudendo tutti i piccoli cinema, trovare un film che non sia o una supervaccata americana o vacanze di natale (i film classici da multisale) è sempre più difficile. A Bologna ormai se vuoi vedere qualcosa di particolare ti rimane più o meno solo il Lumiere e quando c’è un film interessante rischi di rimanere fuori per mancanza di posti.

Per quanto riguarda i videogame, ultimamente case come Ubisoft, per limitare i danni della pirateria hanno incomiciato a distribuire i commercial game: “regalano” la copia originale di un gioco nuovo scaricabile legalmente da internet, però durante il gioco è presente della pubblicità, gli sponsor servono a ripagare il prezzo alla società (purtroppo questi giochi, generalmente scaricabili su game’s hell richiedono un server proxy per il download perchè sono disponibili solo per gli americani).

Poi ognuno può vivere in un modo fatto di bambini con sorriso di caramello che nuotano in fiumi di cioccolata, ma dire che la pirateria sia come lo scambio e che non incida sul mercato è comunque una balla mostruosa… Se ti serve come scusa etica e morale tientela stretta, io riesco a vivere anche senza. Se diciamo che la legge sul copyright è sbagliata è ha bisogno di una completa revisione siamo tutti d’accordo, se diciamo che il copyright (o left) è il male e non dovrebbe esistere bhè stiamo mentendo a noi stessi.

#125 Comment By Kai Zen J On 11 novembre 2008 @ 15:08

Mi sembra ci sia un equivoco di fondo. Il Copyleft, al di là dei giochi di parole, non è in contrasto con il copyright. le licenze Creative Commons sono modifiche elastiche al più canonico diritto d’autore. Credo che l’autore abbia diritto di scegliere le forme con cui vuole licenziare il suo lavoro. Il CL non toglie soldi a nessuno. Per esperienza personale posso testimoniare che una copia scaricata è una copia venduta.

#126 Comment By jiggly On 11 novembre 2008 @ 17:03

Kai, penso che sia tu quello in equivoco. Nessuno qui dice che il copyleft è sbagliato. Diciamo solo che scaricare roba coperta da copyright senza pagarla è vietato dalla legge e che questa legge di per se non è sbagliata. E aggiungo che se qualcuno infrange la legge si assume le sue responsabilità, sapendo che lo sta facendo. Non sopporto però chi cerca pure di dire che sta facendo la cosa giusta dicendo a tutti di delinquere, oltre che a favorirli e basta.

#127 Comment By jiggly On 11 novembre 2008 @ 17:06

NB. Dicendo di per se intendo come principio teorico. Che poi sia strutturata in modo a volte discutibile e applicata ancora peggio non è qualcosa che sono interessato a mettere in dubbio

#128 Comment By uriele On 11 novembre 2008 @ 18:41

Sperando di fare un favore e di rendere più produttiva la discussione, allego il link della normativa vigente sul diritto d’autore (in modo che tutti possano leggerla):

http://www.math.unipd.it/~derobbio/dd/copyr06.htm

a mio avviso l’articolo 12 è corretto ed è da quello che bisognerebbe partire per riformare la legge (certo il comma uno è molto restrittivo se si legge anche l’articolo 13, ma penso sia più giusto modificare l’articolo 13). Il diritto esclusivo di pubblicazione dell’autore è giusto, infatti se l’autore desidera rendere disponibile la sua opera a tutti basterebbe introdurre una delega del tipo “è permesso a chiunque riprodurre in parte o interamente l’opera NON a fini di lucro e specificando l’autore originario”.
La legge è discutibile in molti punti (come il fatto di dover pagare dei diritti per la riproduzione pubblica e gratuita ), ma il principio fondamentale è corretto. Bisogna lottare per migliorare (o creare un percorso alternativo) la legislatura sul diritto d’autore non per abolirla Questo è il principio su cui si basa il copyleft:

Il copyleft non è una sorta di sistema legale alternativo al copyright, tanto meno una forma di rifiuto totale della tutela giuridica riservata alle opere dell’ingegno. Il copyleft è solo un modello alternativo di gestione dei diritti d’autore: alternativo rispetto alla prassi tradizionale che vuole tali diritti trasferiti in blocco e con parametri temporali e soggettivi piuttosto standardizzati. Il copyleft dunque si fonda strettamente sul diritto d’autore ed è grazie a quest’ultimo che può sussistere e funzionare.

Per maggiori informazioni consiglio a tutti di dare un occhiata a questo interessantissimo sito (da cui ho ripreso la citazione), prima di scagliarsi a testa bassa e ideologicamente contro la filosofia alla base del copyright:

http://www.copyleft-italia.it/intro/index.htm

#129 Comment By Kai Zen J On 12 novembre 2008 @ 15:28

Nessuno mi aveva ancora chiamato Kai…
Per non tediarvi in questa sede vi rimando qui:
http://kaizenology.wordpress.com/2008/10/24/pop-its-lit-to-pop-and-nobody-is-gonna-stop-3/

#130 Comment By gugand On 12 novembre 2008 @ 18:11

@uriele
So bene che la gente ruba se sa di non rimettirci nulla, ma renditi conto che la lotta alla pirateria costa molto piu’ dei danni che produce la pirateria stessa, a differenza di altri reati. Ragionando in termini di denaro pubblico non e’ conveniente.
T’immagini la GdF che si fa un giro in casa di tutti coloro che hanno il figlio che scarica roba gratis? O che verifichino che il tizio che va in giro con il lettore MP3 abbia le copie originali a casa? Ci vuole un esercito di finanzieri dietro a gentaglia che spesso se ne frega dell’opera (che se gli fosse costata un solo centesimo non l’avrebbe mai comprata) e non controlla gli editori che magari evadono a piene mani. Chi paga la finanza?

Io dico solo che l’autore dovrebbe provvedere da solo a fare protezioni efficaci (non puoi accusare qualcuno di avere qualcosa di tuo se lasci la tua roba incustodita specie se non puoi dimostrare di non averla mai data di tua volonta’ o che il tizio non l’abbia avuta dal vero ladro, invece le opere d’ingegno sono strane e per loro questo principio non vale solo perche’ e’ facile la copia…) e tutelarsi da solo facendo un contratto con ogni persona che acquista una copia (magari al banco si firma l’acquisto come i passaggi di proprieta’ di schede dei telefonini, auto, moto e case).
La copia a sua volta deve essere univocamente identificabile cosi’ da colpire non il possessore, ma chi distribuisce. E’ l’autore che deve dimostrare che una persona ha una copia acquisita illegalmente (una copia di back-up e’ consentita e il possessore puo’ dire che gli e’ rimasta solo quella)
quindi se avesse l’elenco dei suoi compratori potrebbe anche capire chi l’ha fornita.

ritengo solo il copyright un sistema per scaricare sulla societa’ i costi del controllo della distribuzione:
A editori e autori i guadagni della vendita, alla comunita’ le spese di controllo che tutto si svolga secondo i desideri dei primi 2.

Tu manderesti un carico di merci su un camion senza assicurarti che la roba non cada per strada e ti aspetteresti pure che ci sia gente che sia pronta a raccoglierla e portarla a destinazione dove tu volevi?
Non ti sembra di pretendere un po’ troppo?

Invece immagina che il copyright non esista (a meno del riconoscimento dell’autore naturalmente).
Dimmi ora che differenza farebbe con la distribuzione pirata.
In questo caso per invogliare una persona a comprare un’opera “originale” bisogna che questa sia migliore in qualche modo (i libri con copertine di fattura particolare, carta di qualita’, gadget, l’autografo dall’autore e tutto quello che la fantasia permette).

PS:Io non sto giustificando la pirateria, penso solo che l’ingegno umano non sia mercificabile e non e’ giusto che una persona viva semplicemente col fatto abbia avuto una volta nella vita un’idea buona, ma pretendo che tutti si sbattano a lavorare tutti i santi giorni per produrre di continuo roba di qualita’. Il copyright va, invece, nella direzione opposta: tutti provano a fare gli artisti ed una volta che fanno una cosa giusta potrebbero (tanti non lo fanno) sedersi e non fare piu’ un cavolo il resto della vita. Inoltre chi ci guadagna sopra sono comunque gli editori che spesso non ci hanno messo un dito e guadagnano un’esagerazione rispetto alle spese di distribuzione.

#131 Comment By Uriele On 12 novembre 2008 @ 19:12

Vabbè allora forse in Italia costa più la guardia di finanza di quello che realmente si riesce a riprendere dagli evasori fiscali (che se non si accordano vanno avanti per anni con i processi che costano e tanto) e dalle bancarotte fraudolente (che spesso risultano nullatenenti sulla carta), e allora? Bisogna lasciarli fare perchè ipoteticamente forse non ci si guadagna?
Poi alcune cose
1) la finanza se ne frega un po’ di più del privato per quanto riguarda la pirateria informatica e punta sulle aziende che sono costrette a sganciare dei soldoni sicuri, mentre andare casa per casa sarebbe una spesa enorme. Se però vieni indagato (anche per sfiga) tu o uno della tua famiglia e ti vengono in casa, controllano anche la roba pirata (che non gli costa nulla) e ti fanno il culo anche per quello.

2) La perdita non per le grosse case non è così eclatante perchè negli altri paesi non è un fenomeno così virulento come da noi o in grecia (se tutti facessero come gli Italiani non è che ci perderebbero, fallirebbero proprio). Da noi imparano ad usare programmi P2P prima che ad usare un word processor persone over 60 (in un certo senso è un bene se si parla di informatizzazione). Ricorda quando si parla di combattere la pirateria selvaggia NOI, come stato, siamo una goccia.

3)Non è mai facile parlare senza cifre. Dove sono i dati numerici che dicono che combattere in modo sistematico la pirateria sia più costoso che lasciare le cose come stanno?! Una punizione esemplare e veloce quando ne beccano uno potrebbe essere abbastanza per spaventare molte persone (non dico che sia la strategia d seguire, ma se facessero un raid veloce rintracciando l’ip dei computer che scaricano file .torrent da pirate bay, iso hunt, eccetera… ne beccherebbero tanti in poco tempo)

“non puoi accusare qualcuno di avere qualcosa di tuo se lasci la tua roba incustodita specie se non puoi dimostrare di non averla mai data di tua volonta’ o che il tizio non l’abbia avuta dal vero ladro, invece le opere d’ingegno sono strane e per loro questo principio non vale solo perche’ e’ facile la copia…”
bhè allora ci sono reati che sono chiamati furto e ricettazione anche nel caso di facile copiatura o clonatura (quando ti clonano la tessera del cellulare o la carta di credito, non ti liquidano con “sfiga”, ti rimborsano parte del maltolto e se beccano i criminali li incriminano). Quando vai a denunciare il furto o lo smarrimento del portafoglio non è che devi dimostrare che non gliel’hai dato tu il portafoglio…

Poi scusa il passaggio di proprietà è un contratto ufficiale che deve essere verificato da un notaio (e costa), quando c’è un passaggio di proprietà le spese notarili si pagano e poi è impossibile ed anti economico fare un contratto per ogni copia quando si parla di cifre elevate (stipula tu un milione di contratti per un libro da 20 euro…)

Altra cosa in teoria per legge tu dovresti tenere a casa TUTTI gli scontrini per almeno 10 anni (anche quelli del caffè). Se hai comprato il libro o il film allora dovresti avere in casa lo scontrino che lo prova. Poi se hai una copia di un film cam o qualità divx ma ancora nelle sale, come lo spieghi??? Poi in generale quando scarichi con il P2P sei contemporaneamente utente e distributore (leeacher o seed), quindi tu stesso diventi fornitore di una copia pirata.

Poi probabilmente tu ancora non lavori, sennò sapresti che molte spese nostre sono a carico della società, insomma io pago per la tua istruzione, per la tua sanità, in parte per il tuo servizio di assistenza sociale, eccetera e così fai tu ( o i tuoi genitori) per me è per tutti noi. Insomma molte spese sono distribuite sull’intera società. E così deve essere (il sistema americano di assicurazioni sanitarie premia i ricchi e punisce i poveri, e non è che sia giusto). Poi più guadagna una società o una persona più passe paghe per contribuire allo sviluppo della società (o così dovrebbe).
Non è giusto che chi lavora ed investe su un prodotto interessante (perchè chiamalo come vuoi, ma un libro o un film sono anche prodotti) spendendoci dei soldi deve essere punito perchè qualcuno vuole godere del prodotto senza pagare nulla. Per fare un esempio paradossale, considera le persone truffate per milioni di euro o fallite perchè hanno investito in aziende che poi hanno fatto bancarotta fraudolenta o hanno falsificato i bilanci per anni. Lo stato tutela queste persone e paga la guardia di finanza, giudici eccetera per garantire a queste persone un risarcimento; se io non appartengo al gruppo delle persone truffate perchè il costo di queste indagini che non mi riguardano personalmente devono gravare sulle mie tasche???

Come vedi se applichi lo stesso ragionamento a molte cose che magari ti sono più vicine, ma in un certo senso sono situazioni similari a quello della guardia di finanza che hai portato, il tuo punto di vista sull’argomento (probabilmente) sarà molto diverso. Perchè? Perchè non provi lo stesso livore irrazionale che provi verso il concetto di editori ed autori.

Gli editori ci mettono i macchinari di stampa o registrazione, il costo dei supporti, i correttori di bozze, gli esperti di marketing, le spese pubblicitarie, i costi di produzione, gli accordi con i canali di distribuzione, i costi per gestione e affitto del server per le vendite online, gli analisti di mercato, i lettori che scelgono le opere, per quanto riguarda i film spesso ci mettono il capitale iniziale… Direi che non è poco o comunque non sono cose economiche…Probabilmente se si parla solo di costi spenderà di più l’editore che l’autore (sempre che non pubblichi con case editrici a pagamento, ma quelle non le considero neppure case editrici, come non considero quelli autori).
Seconda cosa nessuno mette sotto brevetto l’idea (se leggi il pdf sulla legge lo vedrai), ma l’opere completa. Io posso scrivere una storia fantastica con cavaliere, dame, draghi e gnomi anche se l’ha scritto anche un’altra persona, certo non posso riscrivere la sua storia cambiando solo i nomi e qualche vocabolo, ma quella è paraculaggine, non scrittura.

Un ultimo esempio sui nababbi milionari: Salgari ERA protetto dal diritto d’autore, ma ha vissuto nell’indigenza ed è morto suicida con un biglietto in cui insultava i suoi editori e gli chiedeva di occuparsi delle spese per le esequie. La Troisi ha avuto una buona idea (fantasy per ragazzine adolescenti e nerd arrapati) e non è miliardaria, ma continua a sfornare romanzi uno dietro l’altro e ne ha fatto un lavoro (qui non sto parlando della qualità del suo lavoro, ma della vendibilità).
Ti chiedo solo questo: fammi un esempio di un autore che abbia prodotto una sola opera buona poi non abbia fatto nulla e sia vissuto di rendita tutta la vita (o di un editore che abbia pubblicato un solo prodotto e poi sia sopravvissuto senza fare nulla con i diritti d’autore).

#132 Comment By Uriele On 12 novembre 2008 @ 19:24

Le leggi POSSONO e DOVREBBERO essere cambiate per adattarle ai tempi moderni però devono esserci e non solo per stabilire di chi è un’opera, ma anche per garantire un possibile guadagno. Quello dello scrittore è un lavoro (alcuni come i ghost writer sono pagati su commissione,ma molti sono liberi professionisti). Come dice giustamente Gamberetta:
“da nessuna parte il copyright sancisce un fantomatico diritto al guadagno degli artisti, al massimo offre una possibilità di guadagno.”

Quindi se lo scrittore non vende il suo libro non lo ripaga nessuno (tranne una piccola percentuale stabilita con la casa editrice), e il libro piace ci guadagna. Il guadagno non è l’unico incentivo dello scrittore, ma è uno degli incentivi e non è trascurabile. Per tutti gli altri ci sono i blog o i siti personali o le opere autoprodotte e regalate. Se il tuo unico scopo è quello di esprimerti e di permettere alla gente (che gentili) di poter godere del frutto dei tuoi lomb… della tua penna, cosa te ne cala della grande produzione professionistica e dell’editoria???

#133 Comment By Kai Zen J On 12 novembre 2008 @ 20:05

Considerazione estemporanea ma tangente.
1) Nel momento in cui pubblichi, rendi per l’appunto pubblica la tua opera, non ti appartiene più. È giusto che il tuo lavoro venga pagato, certo, non sarò certo io a metterlo in dubbio. Anzi dovrebbe essere pagato molto di più… :-) Ma non in eterno e non ai figli dei figli dei tuoi figli che non hanno fatto un emerito cazzo… Credo inoltre che ognuno possa fare con l’opera, proprio perché diventata pubblica, quello che vuole…
2) In teoria dovrebbe essere la SIAE a controllare e visto che è un ente privato i costi di controllo dovrebbero essere a carico suo. Eppure non è così. Chi mi spiega per quale motivo?
3) Se la tua opera fa cagare?
Con i dischi, puoi assaggiare prima in un negozio, o sentire in radio alcuni pezzi o con last fm, con i film… be’ tuttalpiù hai sputtanato 7 euro al cinema e due ore della tua vita… Ma con i libri come la mettiamo? se fosse l’autore a rendere disponibile il suo lavoro in rete con una licenza creative commons ad hoc, darebbe prova di onestà intellettuale. In fondo un libro si compra, nel 99% dei casi , non o lo si legge a schermo o stampato in a4. quindi se ti piace acquisti se no fai a meno.

#134 Comment By Uriele On 12 novembre 2008 @ 21:04

e su questo siamo perfettamente d’accordo. Qundi ridurre i tempi di copertura da parte del copyright (bellissimo il cortometraggio con Molly Malone sulla trappola Disney) e affidarsi a una normativa più elastica (come ad esempio il copyleft e le licenze CC )
Poi come ha ripetuto anche Jadel, difficilmente uno in Italia (tranne Gamberetta e poche altre persone) o si stampa un’intero romanzo o lo legge sul palmare a meno che non si tratti di romanzi molto brevi. Di solito uno saggia e poi compra (io ho fatto così con Stella del Mattino e Manituana, due romanzi distribuiti sia in versione cartacea in libreria, sia gratuitamente in digitale)

#135 Comment By Kai Zen J On 13 novembre 2008 @ 10:26

Eccovi i link ai filmati di Molly Bloom a cui si riferisce Uriele… Naturlamente sono in copyleft…

http://www.youtube.com/watch?v=MqySp7Nq5j0
http://www.youtube.com/watch?v=e4E0sUU9Sm4

#136 Comment By Jiggly On 10 dicembre 2008 @ 12:55

Il diritto d’autore viene sempre più sovente messo in discussione. Ha scatenato numerose polemiche tra i suoi sostenitori e i suoi detrattori, tra chi ritiene che tali diritti siano da tutelare e si trova concorde con il principio a cui la legge si ispira e chi al contrario vorrebbe abolirla con metodi istituzionali e non. Sui forum presenti in internet, la maggior parte degli utenti si schiera dalla parte di coloro che criticano il principio del diritto d’autore e alcuni hanno la sconveniente abitudine di promuovere l’infrazione della legge in merito, commettendo il reato penale di istigazione a delinquere. Proprio da qui dobbiamo partire. Chi non rispetta il diritto d’autore, chi riproduce opere senza autorizzazione, è un delinquente. E chi delinque non deve cercare scusanti morali per non sentirsi tale. Chi infrange la legge commette reato, non possono esserci dubbi. Per quelli a cui non basta questa semplice constatazione, mi addentrerò ora nel merito della questione.
C’è chi dice che l’autore di un’opera può guadagnare semplicemente attraverso la richiesta di donazioni. Un’altra linea di pensiero sosterrebbe che un autore dovrebbe distribuirla per semplice interesse umanitario, non pretendendo di guadagnare su una sua “idea”, perché la diffusione della cultura non dovrebbe comportare il pagamento. L’autore potrebbe dedicarsi all’attività artistica o scientifica in aggiunta ad una sua professione principale. Prendo in considerazione le ipotesi.
Senza diritti di copyright molti centri di edizione come li conosciamo oggi fallirebbero, perché nella maggior parte dei casi chi ha l’opportunità di non pagare non paga. Lo dimostrano i netti cali che ha avuto l’industria discografica dalla diffusione dei programmi di scambio dati(1). Lo dimostra la bizzarra consuetudine che si è avviata, per la quale diverse case editrici si fanno pagare anticipatamente dall’autore per la pubblicazione della sua stessa opera, o la propensione a ignorare autori esordienti seppur molto capaci, con l’intento di tutelarsi. E se i centri di edizione fallissero, l’autore da solo non potrebbe garantire la stessa qualità alla propria opera o la stessa visibilità. La società ne risulterebbe così svantaggiata non solo per la produzione di beni di qualità inferiore, ma anche perché ottimi autori potrebbero passare inosservati, assieme a cioè che hanno creato. La sola pubblicazione in internet non basterebbe, perché il moltiplicarsi delle opere creerebbe caos. Più opere ci sono, più è difficile trovare quelle buone. La funzione critica preventiva delle case editrici, permette invece di ovviare a questo problema. Attraverso il mercato si ha una selezione utile alla società.
Si sono osservati casi in cui scrittori che rilasciavano gratuitamente su internet copie dei propri lavori siano nonostante ciò riusciti a guadagnare qualcosa(2). Bisogna però ricordare il contesto in cui questo è accaduto. Il contesto è un mondo in cui sono attive leggi che tutelano i diritti d’autore che non permettono di portare alle estreme conseguenze i meccanismi che si creano. Allo stato attuale delle cose, esiste una sorta di guerra tra chi sostiene un certo tipo di tesi e chi ne sostiene l’opposto. Chi pensa che i diritti d’autore dovrebbero essere aboliti e che tutto dovrebbe essere gratuito, tende a acquistare l’opera di autori che sostengono la stessa tesi, o finanziarli attraverso donazioni. Siamo in un contesto in cui le case editrici esistono ancora grazie ai sopraccitati diritti e che possono distribuire copie a pagamento che, chi non usa internet (In Italia solo il 43% delle famiglie ha a disposizione una connessione internet e solo il 22,6% a banda larga(3)), chi non sa che sono disponibili gratuitamente e chi sostiene la causa, compra.
Se i diritti d’autore non esistessero, invece, diverrebbe conveniente la fondazione di “centri edizione” selfservice capaci di riprodurre ciò che al giorno d’oggi spinge molti utenti ad acquistare ciò che sa di poter trovare gratuitamente, come ad esempio un libro con tanto di copertina. A quel punto le possibilità di guadagno di chi scrive si ridurrebbero ancora di più.
Parlando della seconda ipotesi, ridurre l’attività creativa a qualcosa da fare necessariamente per hobby è quanto mai dannoso. E’ chiaro, infatti, che chi dedica la vita intera a qualcosa ha possibilità maggiori di produrre innovazione rispetto a chi lo fa nel tempo libero. La formazione, la ricerca, il perfezionamento continuo aggiungono indiscutibilmente valore a qualsiasi tipo di opera. Se chi dedica il suo tempo ad un’attività ha il diritto di chiedere di essere ricompensato per i suoi sforzi, chi dedica la vita a qualcosa, deve almeno riuscire a viverci. Lo stesso guadagno è un incentivo a creare cose sempre migliori.

1 Per informazione, reperire i dati del MIDEM 2006 con le dichiarazioni del CEO di IFPI
2 Cory Doctorow= http://craphound.com/littlebrother/about/#freedownload; Paulo Coelho= http://piratecoelho.wordpress.com; Wu Ming
3 Dati ISTAT nel rapporto 2008 sull’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella società italiana

#137 Comment By Uriele On 10 dicembre 2008 @ 21:06

bellissimo intervento che fornisce ottimi spunti di riflessione. Ho un dubbio però. Quelli che definisci centri edizione selfservice non renderebbero un libro un prodotto fuori mercato? Secondo te produzione al dettaglio di una copia rilegata, rispetto a una politica di scala, non incrementerebbe il costo di produzione del singolo elemento?

#138 Comment By jiggly On 16 dicembre 2008 @ 18:39

Penso proprio di no, perchè alla fine potrebbe essere fatto su larga scala ugualmente tramite produzione informatizzata on demand. I costi di acquisto sarebbero comunque sempre molto minori che non dovendo pagare diritti a case editrici e autori. Ma anche se non fosse tramite internet credo che le risorse tecnologiche per personalizzare un libro lasciando invariato il materiale per la sua produzione o appena modificato con pochissimo spreco economico ci siano, e tutto questo renderebbe l’intera produzione di libri come una politica di larghissima scala.

#139 Comment By jiggly On 16 dicembre 2008 @ 18:45

intendo per larghissima scala il fatto che i materiali standardizzati iniziali potrebbero essere anche nelle mani di una sola grande azienda in tutto il mondo ad esempio (volendo esagerare), non ci sono grosse limitazioni sotto quel punto di vista

#140 Comment By gugand On 17 dicembre 2008 @ 12:15

@jiggly
Ci sono 2 frasi che proprio non mi vanno giu:

E’ chiaro, infatti, che chi dedica la vita intera a qualcosa ha possibilità maggiori di produrre innovazione rispetto a chi lo fa nel tempo libero

E’ vero, ma il primo libro almeno dovrai farlo nel tempo libero…
Mica c’e’ qualcuno che paga lo scrittore mentre ancora sta abbozzando la storia.

chi dedica la vita a qualcosa, deve almeno riuscire a viverci

Chi lo dice?
Se non sei abbastanza bravo nonostante l’impegno perche’ dovresti guadagnarci lo stesso? Il muratore potra’ dire che si e’ impegnato tanto, ma se mi fa un muro storto io non solo non lo pago, ma lo denuncio.
Il problema dell’arte e’ che ha una qualita’ soggettiva e quindi, per logica, non puo’ avere un prezzo uguale per tutti e non c’e’ modo di rivalsa sul produttore se ti rifila una schifezza (che non puoi conoscere o provare prima). Si paga per una speranza di non buttare via i soldi.
Per questo l’arte non puo’ essere un prodotto.
Il copyright tutela i “cani”, non i bravi autori che farebbero comunque dei soldi.

Comunque resta sempre il fatto che il mercato artistico (musicale, videogiochi, cinematografico e letterario) e’ fiorente nonostante la pirateria. E non servono le statistiche, ma basta vedere la pubblicita’ di questi prodotti come e’ cresciuta nel tempo nonstante la parallela diffusione di internet e della banda larga.
Il motivo e’ che i prodotti artistici non fanno fare soldi con le vendite delle copie, ma il grosso flusso di denaro e’ soprattutto dovuto all’indotto:
concerti, gadgets (tra i quali includo la copia “originale” che e’ piu’ uno sfizio del fan, visto che si puo’ avere gratis o quasi senza reali conseguenze legali), testimonials, mostre, fiere, etc…

#141 Comment By M. On 15 gennaio 2009 @ 13:22

Ciao, sono un professionista della scrittura, mi guadagno da vivere scrivendo da vent’anni (e – se può essere utile precisarlo – non sono ricco). Sono d’accordo con buona parte delle cose che hai scritto, ma non credo che la scomparsa del professionismo non danneggerebbe l’arte. Punto primo, in linea di principio credo che sia giusto che l’artista possa *scegliere* se fare il doppio lavoro o no, e non credo sia giusto *obbligarlo* a fare il doppio lavoro. Punto secondo: l’arte richiede tempo, materiale e mentale. Se fosse così facile tenere i piedi in due staffe, Crichton avrebbe continuato a fare il medico e Turow l’avvocato. Infine: è vero, magari puoi scrivere un romanzo nei ritagli di tempo dal tuo “lavoro vero”. Certamente non puoi dirigere “2001 – Odissea nello Spazio”, tanto per citare un capolavoro unanimemente riconosciuto come tale, o creare/scrivere/dirigere una serie televisiva.
Comunque, complimenti vivissimi per il blog, davvero interessante.
M.

#142 Comment By Umberto On 31 luglio 2009 @ 22:00

Gamberetta, fregatene di quello che dicono i vari “eugeal” (vedi la recensione della Ragazza Drago II), continua a dare indicazioni sulla disponibilità dei romanzi/racconti su eMule.
Che vadano a fare in culo i feticisti della carta e della brutta letteratura.
Che si sbattano loro pagando caro dei libri di merda che non hanno potuto leggere prima.

Complimenti per il blog. Guida insostituibile nel mondo fantasy ormai.

Ciao.
Con affetto, Umberto.

#143 Comment By eugeal On 1 agosto 2009 @ 10:49

Visto che sono stata tirata in causa, rispondo qui, altrimenti per me la discussione poteva essere conclusa visto che ho detto come la penso e non è mia intenzione convincere gli altri a pensarla come me.
Io non ho assolutamente NULLA contro gli ebook (personalmente preferisco la carta, ma se avessi un buon lettore probabilmente cambierei idea) e sarei favorevolissima a vedere le case editrici venderli a prezzo basso (tolte le spese di stampa e produzione, i loro costi si riducono notevolmente, quindi potrebbero venderlo a poco mantenendo i guadagni inalterati o quasi). Quello che non condivido è lo scaricare gratis e illegalmente un prodotto che viene venduto. L’autore scrive, il suo lavoro è stato scelto per essere pubblicato e l’editore investe per stamparlo, distribuirlo e pubblicizzarlo. Ora questo libro può fare anche schifo, ma comunque c’è del lavoro dietro e se uno ne usufruisce è giusto pagarlo. Se fa schifo, con internet recensioni negative e oneste come quelle di gamberetta si trovano, il modo di evitarlo come la peste si trova. Non è che uno va a mangiare in una bettola e poi non paga perché tanto non se lo meritano e il cibo fa schifo. Se hai paura di mangiare male, prima ti informi e poi casomai vai altrove.
Per i libri c’è anche la buona cosa che prima o poi li trovi in paperback a pochi euro oppure si possono scambiare, prenderli in biblioteca etc.
Io spero di riuscire a pubblicare quello che scrivo prima o poi e come autrice trovare il mio libro su emule con gente che dice “scarichiamolo, che non vale i soldi che costa” mi darebbe fastidio, anche perché poi di solito chi scarica è difficile che si compri il libro anche se poi gli è piaciuto.
E la mia non è una questione solo di soldi, ma principalmente di rispetto per un autore che il lavoro lo ha fatto, ci ha creduto e ci si è impegnato.

#144 Comment By Angra On 1 agosto 2009 @ 11:02

@Eugeal:

Non è che uno va a mangiare in una bettola e poi non paga perché tanto non se lo meritano e il cibo fa schifo. Se hai paura di mangiare male, prima ti informi e poi casomai vai altrove.

No, non è così. Se entro in un ristorante mi aspetto un livello minimo di decenza e commestibilità del cibo. Se è avariato, o se c’è scritto che il pesce è fresco e invece è stato surgelato nel ’54, chiamo la Asl o i carabinieri. Il cuoco poi può metterci anche tanto impegno, ma se non è capace di distinguere il sale dallo zucchero…

#145 Comment By Mauro On 1 agosto 2009 @ 14:18

Personalmente il concetto di “Lo scarico, lo leggo, se mi piace lo compro” non mi trova contrario, significa semplicemente valutare l’oggetto dell’acquisto prima di valutarlo; e valutarlo con recensioni non è sempre facile o possibile, se non altro perché non se trovano, men che meno fatte bene, per ogni singolo libro esistente. Il problema viene quando ci si “dimentica” l’ultima parte, ponendosi in pratica “Lo scarico, lo leggo”.
Ora, sebbene possa essere d’accordo con i discorsi sulla dannosità del diritto d’autore qualora impedisca la fruizione di un’opera (per esempio quando l’editore non lo stampa e le copie sono esaurite), in linea di massima l’idea che i lettore abbia il diritto di leggere tutto quello che vuole senza pagare a prescindere dal fatto che l’autore abbia messo o no l’opera disponibile gratuitamente mi lascia perplesso. Va bene il diritto del lettore, ma l’autore non ne ha? Perché una volta che un libro arriva in libreria (e su Internet) chiunque dovrebbe avere il diritto di scegliere se pagare o no a prescindere di quello che vuole l’autore? Va bene i diritti del lettore, ma a questo punto quelli dell’autore che fine fanno?
Da parte mia non trovo sbagliato che l’autore possa decidere se far pagare o no la sua opera, e che chi voglia fruirne corrisponda quanto richiesto (sempre nell’ipotesi che l’opera piaccia, ovviamente: il concetto di “prima la provo, poi pago” mi trova d’accordo, come detto).
È anche vero che lo scaricamento di libri non ha portato alla fame gli autori, ma questo perché c’è ancora una grande maggioranza che compra: se tutti scaricassero senza pagare gli autori non vedrebbero molte entrate… in pratica, il discorso “Ma scaricando non affamo l’autore” è vero, ma solo perché si puntella sulle spalle di quelli che pagano l’opera.

#146 Comment By Dr Jack On 1 agosto 2009 @ 14:27

Suppongo che qua tutti quanti quando trovano un libro che piace finiscono per comprarlo.
Ora… la vera domanda sarebbe: è giusto pagare per un libro a scatola chiusa?
Suggerisci di informarti prima di comprarlo? Eppure siamo piani di siti e recensioni che puntano a disinformarci, si rischia sempre di beccarsi la fregatura.
Questo discorso si potrebbe fare se si presentasse Dio e ti dicesse: sì quello è il libro per te! Allora avresti un’informazione sicura :).

Anche il ristorante è un’altra cosa.
(a meno che tu non sei Gesù Cristo, chiaro… se sai moltiplicare i pani e i pesci come sul web si copiano e-book allora l’esempio si potrebbe valutare:p)

Se un prodotto piace io sono dell’idea che sia giusto comprarlo.
Se un prodotto fa schifo no.

Poi… a me sembra che biblioteca e filesharing puntino ai medesimi principi: puntare ad aumentare la cultura comune.

Insomma, commenti divini a parte, io sono d’accordo che il lavoro di un’autore debba venire tutelato, ma non sono d’accordo che sia giusto sborsare soldi per cose che NON vuoi.
Se uno vuole guardarsi un libro in biblioteca o scaricarlo dal web (che è la stessa cosa, solo che scaricarlo è più efficiente) prima di comprarlo/regalarlo per vedere se ne vale la pena io sono d’accordo.

#147 Pingback By Grondaie – II « V(ale)ntinamente On 16 novembre 2009 @ 12:52

[...] Qui, invece, c’è un bel post di Gamberetta. [...]

#148 Comment By Cecilia On 13 gennaio 2011 @ 09:40

Gamberetta, qualcosa qui non mi quadra.
Liberalizzado le droghe toglieremo un settore alla mafia, ma si permetterebbe (più facilmente) a un sacco di gente di rovinarsi. val la pena farlo?
Il copyright non dovrebbe servire perchè uno non rubi il lavoro di un altro, nel senso di rubare le idee?

#149 Comment By Gamberetta On 13 gennaio 2011 @ 10:31

@Cecilia.

Il copyright non dovrebbe servire perchè uno non rubi il lavoro di un altro, nel senso di rubare le idee?

No. Non funziona così. Non si può avere il copyright sulle idee (per fortuna!). Se tu rendi pubblica un’idea, chiunque può “rubartela”. Io posso tranquillamente scrivere, stampare, vendere un romanzo con una ragazzina che arriva in una cittadina piovosa e si innamora del compagno di banco che in realtà è un vampiro, ecc. ecc. e la Meyer non può dirmi niente.
Naturalmente la questione cambia se oltre a “rubare” le idee (legittimo), rubo anche veri e propri passaggi da Twilight. In questo caso si tratta di plagio e non è consentito. Ma non è consentito al di là del copyright: se la Meyer avesse distribuito il suo romanzo con licenza Creative Commons (perciò senza i tradizionali vincoli del copyright), comunque sarebbe stato illegale plagiarlo.
Dunque il copyright non difende dal furto di idee e non offre particolare protezione contro il plagio.

#150 Comment By france On 13 gennaio 2011 @ 11:11

Però se in sede di tribunale io dico: “lui mi ha copiato, e la prova è che io avevo pubblicato in rete prima di lui, sotto CC” è molto più difficile da dimostrare che dire “lui mi ha copiato, e la prova è che io ho iscritto alla siae il mio libro nel 1995 e lui nel 2005″.

Legalmente, la SIAE è accettata come prova al di sopra delle parti. Su internet per la legislazione è difficile definire cosa nasce prima di cos’altro.

#151 Comment By Gamberetta On 13 gennaio 2011 @ 12:21

@france. Se sei preoccupato per il plagio e pensi che la SIAE possa aiutarti, depositi l’opera presso di loro. Poi la distribuisci con licenza CC. Il copyright non c’entra.

#152 Comment By Cecilia On 13 gennaio 2011 @ 13:26

@Gamberetta
Adesso ho capito, grazie. Effettivamente parlavo di plagio, ho le idee un po’ confuse sul copyright, pensavo che servisse ad evitare appunto quello. Per “plagio” s’intende anche il furto di personaggi riconoscibili nonostante alcuni cambiamenti, vero?
La SIAE è effettivamente valida?

#153 Comment By Gamberetta On 13 gennaio 2011 @ 14:11

@Cecilia.

Per “plagio” s’intende anche il furto di personaggi riconoscibili nonostante alcuni cambiamenti, vero?

In generale no. Se tu inventi il personaggio di Buffy l’ammazzavampiri, nessuno vieta a un altro di scrivere le storie di Bunny la scannademoni. Perché ci sia plagio ci dev’essere uguaglianza nel testo, o comunque una notevole vicinanza (quanto vicino dipende dal giudice e da chi ha gli avvocati migliori).
Se prendono un tuo personaggio e ci cambiano nome, finché usano parole diverse per descriverne le gesta, è legittimo.

La SIAE è effettivamente valida?

Per quanto riguarda le opere inedite, la SIAE non fa altro che sigillare il manoscritto che le mandi e testimoniare che il giorno tale all’ora tale ha ricevuto il tale manoscritto. Questo può essere utile: se sei in causa con qualcuno che sostiene di essere l’autore originale del romanzo, tu puoi portare la testimonianza della SIAE e dimostrare che avevi depositato il manoscritto 5 anni prima.
Ma se la questione è più complessa – per esempio se il tizio non contesta il fatto che tu sei arrivata prima, contesta che c’è abbastanza differenza tra il tuo e il suo romanzo – la SIAE serve a poco.

Detto questo i casi di plagio in narrativa sono una rarità. Io non mi porrei neanche il problema.

#154 Comment By france On 13 gennaio 2011 @ 14:23

…continuo a pensare che se spendo tempo e fatica per scrivere un libro, è giusto che mi vengano pagati i diritti di sfruttamento della mia opera. Il che significa che se lo ripubblicano dopo 5 anni, bé, io voglio una percentuale sulle vendite. Se poi mi dici che il costo la C.E. non lo dovrebbe riapplicare sul lettore, possiamo essere d’accordo, ma temo non sia questo il punto. O sbaglio?

#155 Comment By Gamberetta On 13 gennaio 2011 @ 14:41

@france. Ma cosa c’entra? Se tu hai firmato un contratto con una casa editrice e quelli (ri)pubblicano il romanzo, ti pagheranno i diritti. Questo è indipendente dalle leggi sul copyright. I romanzi dei Wu Ming sono distribuiti con licenza CC, sono disponibili in biblioteca e si trovano “piratati”: comunque Einaudi paga regolarmente i diritti.
Se c’è un accordo scritto tra te e la casa editrice perché non dovrebbero pagarti?

#156 Comment By Mr. Giobblin On 13 gennaio 2011 @ 15:14

@ Gamberetta

Dato che stiamo parlando di copyright, ne approfitto…
Per caso hai avuto modo di leggere Remix, l’ultimo libro di Lessig?

#157 Comment By france On 13 gennaio 2011 @ 16:02

Se il copyright non è la stessa cosa dei diritti d’autore, allora mi sfugge che cos’è di preciso. Tu lo definisci un “incentivo”, ma non credo che lo Stato paghi ogni autore pubblicato, no? Come sta la faccenda?!

#158 Comment By Gamberetta On 13 gennaio 2011 @ 17:10

@Mr. Giobblin. L’ho nel lettore di ebook da più di un anno, ma non l’ho ancora letto.

@france. Il copyright è un diritto che lo Stato ti garantisce, ma non è un diritto al guadagno è un diritto al controllo sulla possibilità di copia della tua opera. Questo potenzialmente può diventare un guadagno e dunque è visto come un incentivo.
Infatti di solito un autore va da una casa editrice e cede il proprio “diritto alla copia” (così la casa editrice può stampare quanti libri ritiene opportuno) e in cambio riceve quanto pattuito dal contratto (che può essere tanto o poco, anche niente).
Notare che se non ci fosse il copyright non cambierebbe molto, ci sarebbe sempre l’autore che va dalle case editrici a dire: “Ho scritto un romanzo sui vampiri, se lo volete sganciate 1 euro per ogni copia che ne stamperete”. Se trova chi è d’accordo, firma il contratto e la faccenda prosegue come al solito, copyright o non copyright.
Dove interviene il copyright? Interviene quando una casa editrice rivale della prima stampa anche lei lo stesso identico romanzo senza pagare nessuno. In altre parole il copyright all’atto pratico difende più le case editrici dalla concorrenza sleale che non gli autori in prima persona.
Nessuno condanna questo aspetto del copyright, è giusto che se c’è del guadagno debba essere ad appannaggio dell’autore (o della casa editrice a cui l’autore ha ceduto i diritti). Ma se non c’è guadagno? Il copyright, così come inteso adesso, blocca qualunque distribuzione, anche quando non sono lesi gli interessi economici dell’autore. E questo porta un danno complessivo alla società e spesso un danno all’autore stesso.

Ma ciò detto non ho voglia di riprendere il discorso, ci sono 100 e passa commenti già a proposito, la mia opinione l’ho espressa in maniera chiara nell’articolo. Se ti interessa approfondire consiglio i saggi di Lessig, Doctorow e James Boyle.

#159 Comment By france On 13 gennaio 2011 @ 17:58

Ma infatti avevo appena riletto l’articolo… la tua posizione era molto Chiara (XD che fine umorista sono!) ma non altrettanto COSA fosse, nei fatti, il Copyright. Io infatti lo confondevo col diritto d’autore.
Spiegato così, un suo ridimensionamento è assolutamente auspicabile!

#160 Comment By Marco Albarello On 13 gennaio 2011 @ 19:14

Argomento ricco, mi ci ficco!
Direi innanzitutto di trovare una definizione per l’arte, da wikipedia nell’antichità: Sanscrito Are (ordinare) Latino: Ars, Greco: ????? indica la capacità umana di fare un qualsiasi oggetto. La capacità consiste nella conoscenza delle regole.

“Ma cm, ma l’arte nn si può piegare a delle regole! L’arte è libera, io posso fare cm voglio, io sn l’artista!!!” <– Discorso FAIL di base.

Nel periodo ellenistico iniziarono le prime classificazioni e le arti vennero divise in comuni e liberali, a seconda che richiedessero uno sforzo fisico o uno sforzo intellettuale.
Nel Medioevo si cominciano a rivalutare le arti comuni, che verranno chiamate meccaniche, ma continueranno ad avere un ruolo subalterno rispetto alle arti liberali.
La condizione sociale degli artisti, che migliorò notevolmente nel corso del Rinascimento, contribuì a separarli dagli scienziati e dagli artigiani.
Nel 1735 Baumgarten conia il termine estetica utilizzandolo per la prima volta nella propria tesi di laurea. Nel 1750 pubblicherà un saggio intitolato Æsthetica.
Dalla fine del Settecento cominciarono le prime crisi del concetto di bello e di arte. Stavano nascendo nuove forme di espressione come la fotografia, l'architettura industriale, l'oggettistica per la casa, e bisognava farle rientrare nel concetto di arte.
Per tale motivo nel Novecento si è abbandonata l'idea di una definizione onnicomprensiva di arte e di opera d'arte. Il termine arte diventa un concetto aperto, in cui tutte le possibili definizioni dell'arte confluiscono.

Qui si ferma wikipedia e continuo io. L’arte io la definisco così: “L’arte è come l’amore, non si può vendere o comprare, solo trasmettere.”
“Ma cosa dici? Sai quante volte ho pagato per fare l’amore? Se io compro un quadro di Picasso ho comprato la sua arte! È mia ora!”
“Si chiama sesso, non amore.”
“La meccanica è la stessa, io vengo, dunque godo. -Coito ergo cum-, insegna il saggio, quindi è la stessa cosa.”
“Allora anche quando ti masturbi dovresti provare la stessa sensazione, la meccanica non è forse la stessa? Dunque perché dovresti aver bisogno di un’altra persona?”
L’equazione è Sesso : Amore = Pagamento : Arte. L’artista che produce esclusivamente per sé stesso e per profitto, non è un vero artista, al più lo si può considerare un gigolò o una puttana. C’è qualcosa di male in questo? Certamente no, ma questo non toglie il fatto che io posso chiamarlo gigolò o puttana. Se la cosa gli da fastidio, non è un problema mio, ha un problema con se stesso/a perché fa una cosa, ma non vuole che sia riconosciuta tale. Per quanto mi riguarda l’artista deve essere un bravo amante e trasmettere sinceramente ciò che sente al suo eventuale pubblico (partner).

Il resto è inutile ribadirlo per l’ennesima volta, i produttori, discografici, editori ecc. Sono degli impotenti che hanno bisogno della carica erotica altrui per eccitarsi. Sono i papponi della situazione. Liberalizzando droghe, prostituzione e l’arte, si porrebbe fine ad un mercato che mantiene più delinquenti che onesti cittadini.
Artista.

Gigolò.

Decidete voi chi è cosa.

#161 Comment By pu*pazzo On 13 gennaio 2011 @ 19:41

marco albarello @ la penso esattamente come te … però c’ anche da dire che è mooolto pericoloso fare questi discorsi… perche poi dal bellissimo concetto di arte per l’arte (tutto moderno a dir la verità) si può scivolare nel “se l’arte è ammmore allora non servono regole, serve solo passione e starnuti” etc etc xD

#162 Comment By Mauro On 13 gennaio 2011 @ 20:06

Quindi la stessa opera, a seconda che sia messa in giro gratuitamente o a pagamento, acquista o perde lo status di arte? e il suo autore quello di artista?

#163 Comment By pu*pazzo On 13 gennaio 2011 @ 21:25

mauro@ noo almeno … se ho capito bene il discorso è a monte ! se una mattina ti svegli con in testa la storia di un mega coniglietto zombie che devasta tokio, e ti metti a scriverla è un conto. Diverso è se sfogli le classifiche delle librerie, vedi che il tema mega coniglietti zombie è gettonatissimo e “vende” e ti metti a produrlo all’unico scopo di farci dei soldi.
Cosa che in sé non è affatto sbagliata ehh, però toglie quel pizzico di “romanticismo” all’arte dello scrivere.
Poi è ovvio che se uno scrive da cani può avere tutto il romanticismo e l’amore che vuole che rimane un cane (magari un cane romantico ..però ;))

#164 Comment By Tapiroulant On 13 gennaio 2011 @ 23:27

Il discorso sulle intenzioni mi sembra poco pratico e inconcludente.
Spiego.

Innanzitutto è molto difficile fare un processo alle intenzioni.
Posso accusare uno scrittore (o un cantante, un regista) di essere commerciale, di essere senz’anima, di essersi venduto; di aver creato un’opera solo con l’interesse di venderla, e per dirla con le parole di pupazzo: “sfogli le classifiche delle librerie, vedi che il tema mega coniglietti zombie è gettonatissimo e “vende” e ti metti a produrlo all’unico scopo di farci dei soldi”; che non ti interessa trasmettere qualcosa (amare il tuo pubblico), ma solo speculare su quel che tira in quel momento.
Posso accusarlo – ma posso dimostrarlo? Come posso sapere cosa c’era dentro la testa dell’autore quando ha creato? Lui negherà. Certo, posso obiettare che è curioso che se ne venga fuori con un romanzo sui vampiri nel pieno di un boom dei vampiri; ma la mia è solo un’ipotesi indimostrabile. E del resto, non necessariamente vera. Di recente c’è stato un (piccolo) boom dello Steampunk. Molti, sniffando danaro, si sono gettati subito sulla preda. Ma è anche vero che molti hanno scoperto solo allora che esistesse una cosa chiamata “Steampunk”, e che c’era una bibliografia sull’argomento. Qualcuno può allora maturare un sincero desiderio di creare qualcosa di ambientazione Steampunk – la sua intenzione è “pura”, non viziata dal mercato. Ma presterà il fianco alle stesse accuse di chi invece si è gettato sulla preda.

E qui muoviamo al secondo punto, più importante, che del resto è quello su cui Gamberetta batte sempre il chiodo.
Nelle parole di Albarello mi pare di scorgere, implicita, l’idea che se qualcuno è animato da una nobile e sincera aspirazione artistica, e dal desiderio di donare le proprie idee agli altri, allora ne viene che sarà in grado di produrre risultati degni (arte), e viceversa chi lo fa per narcisismo, per adempiere a esigenze materiali (soldi? fama?) produrrà risultati indegni.
Invece no. Perché se io sono animato da grandissimo Amore e Impegno, ma non sono capace perché non so scrivere, o dipingere, o comporre, mi verrà fuori merda lo stesso. Viceversa posso anche essere il più grande stronzo della Terra, e guardare con spregio i miei lettori, ma se mi sono studiato la tecnica narrativa, ho una bella prosa e idee intriganti, farò comunque la gioia del mio pubblico.

Indi per cui: ciò che conta non sono le intenzioni, ma il risultato finale.
Se dobbiamo dare una definizione di arte, allora la definizione più pratica e al contempo più ragionevole mi pare sia questa: “E’ arte ciò che suscita un interesse in un pubblico”.
Se io, scrittore, metto tutto il mio impegno, l’amore, la voglia di comunicare in un libro, ma i miei lettori a pag.3 desidereranno buttarlo dalla finestra per la noia o per il fastidio, allora avrò fallito nel mio intento artistico.
Quella che Albarello chiama “arte” andrà allora ridefinita come “aspirazione all’arte”, nel senso di disposizione, da parte dell’aspirante artista, a capire e imparare quali sono i mezzi per produrre un’opera degna. Non è un requisito necessario, né sufficiente, ma un’attitudine utile per acquisire le capacità necessarie.

Concludo e vado un po’ fuori tema, dicendo che la dicotomia sesso/amore mi appare un po’ trita e falsa. Il sesso è sempre un atto d’amore, innanzitutto verso sé stessi, eventualmente verso il partner. Si può amare il partner solo mentre si fa l’amore con esso, o sia durante che dopo, o amarlo normalmente e non amarlo durante il sesso (per esempio perché non è bravo), o cominciare ad amarlo solo durante il sesso per poi scoprire di amarlo anche dopo.
Inoltre, se è vero che sono artistiche tutte quelle creazioni dell’attività umana che suscitano interesse, allora il sesso senza amore può essere assai artistico con un po’ d’impegno.

#165 Comment By Marco Albarello On 14 gennaio 2011 @ 03:29

Evvai che si gioca un doppio a tennis! La coppia Albarello/pu*pazzo gioca fuori casa contro la coppia Mauro/Tapiroulant. Qui nello stadio della retorica c’è tensione sugli spalti. Nessuno può prevedere come andrà a finire, rimanete collegati. Alla battuta di Mauro ha risposto un rovescio di pu*pazzo, ribatte l’avversario Tapiroulant, ce la farà Albarello a colpire?

Il processo esiste solo se c’è un reato in corso. Ho mai parlato di reato? Assolutamente no, ho anzi specificato: “C’è qualcosa di male in questo? Certamente no”. Dunque non essendoci processo, non c’è nemmeno accusa e non ho bisogno di provare niente. La mia è una semplice catalogazione, se l’artista si ritiene offeso per tale schema i casi sono due. Può controbattermi dimostrando che il mio punto di vista è sbagliato per motivi oggettivi, oppure ha la coda di paglia e si ritiene offeso perché ho ragione e lì non posso farci niente, la vita continua.

Secondo punto, confondi il concetto di amore con quello di carattere. Amare qualcuno o qualcosa non significa essere buoni, essere stronzi non significa non riuscire ad amare qualcosa o qualcuno. Visto che citi Gamberetta, la userò come contro esempio. Lei viene dipinta come una “ragazza invidiosa, acida, frustrata, sadica, maleducata, supponente e arrogante” (tratto dalle F.A.Q.), supponiamo che sia vero, per questo motivo non può amare la scrittura o il suo coniglietto Grumo? Ovvio che no, dato che ha dedicato un intero blog, pagando di tasca sua a questi due argomenti. Amare significa prendersi cura e prestare attenzioni all’oggetto amato che sia un concetto o una persona o un’opera d’arte. Anzi, paradossalmente spesso gli stronzi sono molto più bravi ad amare perché tendono a mantenere un distacco emotivo giusto nel momento del bisogno.

Esempio: Una notte prima di andare a dormire non trovavo il mio coniglietto. Lo vidi per terra che tremava con spasmi. Chiamai immediatamente il veterinario alla una e glielo portai tenendolo fermo per aiutare il dottore. Aveva ingerito del veleno per le lumache in giardino, la sua temperatura era arrivata a 40° (a 42° sarebbe morto) l’abbiamo salvato appena in tempo. Questo perché sono riuscito con il mio cinismo a tenermi calmo e ad ottimizzare il tempo a sua disposizione. Se fossi stato un animo dolce l’avrei perso perché il panico per l’emozione subita sarebbe stato fatale. Il fatto che io sia rimasto freddo per l’intera operazione non significa che io non lo ami, esattamente il contrario, sapevo di cosa avesse bisogno. Se una persona piange al funerale di qualcuno non significa che l’amasse di più di qualcuno che invece non lo fa, sono solo due diversi modi di esprimere lo stesso sentimento, questione di carattere. Sai quante “care” signore portano caramelle nella struttura dove lavoro e quante volte ho tentato di spiegare loro che ci sono dei diabetici che non si rendono conto di cosa siano? Se dai caramelle ad un diabetico non gli vuoi bene, vuoi solo far bella figura con te stesso o con altri.

Se la tua intenzione d’amore è pura, allora ti documenti su ciò che ami (se vuoi posso dirti che tipo di dieta segue il mio coniglietto, quanto pesa, come funziona il suo apparato digerente ecc.), lo curi e infine ci tieni che coloro che ne beneficeranno non siano trattati male, perché ami sia la tua opera che il pubblico. Questo significa che se l’intenzione è creare per amore e non per profitto, il risultato non può essere negativo. Se invece è il profitto che ti interessa non vedo perché perdere mesi di manuali, stile e correzione. Mi informo sulla moda, copio e in meno tempo ottengo soldi. Se eliminiamo o riduciamo la possibilità di profitto, diminuiranno anche coloro che scrivono solo per soldi, dunque diminuiremo la quantità d’arte prodotta, ma di sicuro sarà di qualità migliore perché solo coloro che la amano e dunque si documentano, la produrranno. Parafrasando Giorgio Gaber: La qualità non è nemica della quantità, è la quantità che è nemica della qualità. (Tratto da qui.)

“E’ arte ciò che suscita un interesse in un pubblico”

Secondo questa legge il film dei Vanzina, Natale in Sudafrica, è arte. Mi spiegheresti dopo la sua visione se secondo te i registi lo hanno fatto per amore o per soldi? Bene, io catalogo la loro opera una merda e loro due come gigolò, non mi pare “poco pratico e inconcludente”.

Io parlo di Amore, non di ego proiettato su qualcun altro. Fammi pensare… parlo di amore come potrebbe essere quello del lichene. Il lichene è un organismo formato da due individui, un alga e un fungo. Molto semplificato l’alga trae energia da sole tramite fotosintesi clorofilliana, il fungo trae sostanze minerali dal terreno. Essi sopravvivono all’ambiente ostile grazie a questo scambio. Aria e terra, che grazie al fuoco della passione si sono scambiati calore nella notte dei tempi e questo ha permesso la produzione d’acqua, la vita.

Il sesso è sempre un atto d’amore

Stupro.
Tu chiederesti alla persona che ami dei soldi per fare l’amore? Se si è solo sesso, sennò è amore. Non mi pare così difficile come concetto.

#166 Comment By france On 14 gennaio 2011 @ 10:36

Non mi ci metto nemmeno a parlare di cos’è l’arte e del binomio sesso-amore, perché trovo che non siano temi così semplicistici da liquidare in due parole.

Tuttavia i miei 5 cents di saggezza: da che mondo è mondo, gli artisti hanno sempre lavorato per pagare. Anzi, spesso hanno sfruttato un talento che possedevano, senza che gliene fregasse o ci tenessero particolarmente, solo per fare quattrini.
Esempio perfetto: Pirandello. Uno stronzo terribile, un fancazzista bamboccione buono a nulla che alla fine s’è sposato solo per la dote della moglie. Poi alla moglie è venuta la depressione, e lui per pagarle le medicine s’è messo a scrivere. Se non avesse avuto bisogno di soldi, non avremmo mai avuto “Sei personaggi in cerca d’autore”. E scusa se è poco.

Alta letteratura, robaccia commerciale…
“non esistono libri morali e immorali, solo libri scritti bene o scritti male”.
Perché dovrei disprezzare la Troisi, Moccia o Ken Follett solo perché scrivono “commerciale”? Li disprezzo perché trovo che come autori non valgano una cicca e i loro libri, che ho letto, mi fanno schifo (sì, Ken, anche tu dopo i primi 5 libri che hai scritto. Pirla.).
Queste cose di “commerciale” o “artistico” fanno taaanto “intellettuale VS comunisti”… son passati gli anni ’70, ovvìa.
Scrivi bene? Yu-huu, ho qualcosa da leggere!
Scrivi male? Datti all’agricoltura, idiota.
Scrivi male ma cerchi di migliorarti? In bocca al lupo! Vuoi una mano?
Che poi tu lo faccia perché o percome, chi se ne sbatte. Mi basta avere roba buona da leggere.

#167 Comment By france On 14 gennaio 2011 @ 10:41

gli artisti hanno sempre lavorato per pagare.

chiaramente intendevo “per venire pagati”, auto-LOL.

#168 Comment By Tapiroulant On 14 gennaio 2011 @ 12:25

@Marco Albarello: I discorsi sull’amore sono futili, perché sull’amore chiunque può dire quello che vuole senza sentire il bisogno di dimostrarlo. Tu ne sei un esempio perfetto. Arbitrariamente hai deciso che cosa significa “amare” e cosa “non amare”.

Prendiamo il tuo stesso esempio del coniglio che sta male. Se un altro, al tuo posto, vedendo il coniglio agonizzante, fosse caduto in preda al panico e avesse perso i sensi per lo stress, condannandolo a morte certa; costui avrebbe amato il suo coniglio meno di te? Non c’entra nulla. Forse amava il suo coniglio esattamente come te il tuo; o magari, lo amava anche più di quanto tu odi il tuo; ciononostante, per una debolezza di carattere l’ha lasciato morire.
Proprio il tuo esempio ci insegna che la più nobile e onesta delle intenzioni può risolversi in un fallimento pratico; e ciò per le più diverse ragioni: debolezza di carattere (non ho la forza di impegnarmi per migliorare il mio romanzo, ogni volta che ci provo mi metto a piangere), stupidità (non riesco a rendermi conto che il mio romanzo è scarso), ignoranza (non so che esistono delle tecniche che permetterebbero di migliorare la mia scrittura), circostanze esterne (vivo in Zimbabwe e non ho Internet, solo la biblioteca di mio padre).
Prima di capitare per puro caso su Gamberi Fantasy, non avevo mai sentito parlare di show, don’t tell. Ora, se mi fossi messo in testa di scrivere, pur con tutta la buona volontà, non avrei mai potuto scrivere qualcosa in ottemperanza dello show, don’t tell. E non per spregio delle regole (spregio che non ho mai avuto): ma perché non puoi metterti a cercare qualcosa, che non hai nemmeno la più pallida idea che possa esistere.

Quando parlo dell’inutilità del processo alle intenzioni (e se non ti piace la parola “processo” usane pure un’altra, sebbene il “processo” sia esattamente quello che tende a fare il pubblico rispetto all’opera di un autore che non è piaciuta), intendo quindi dire che:
1. Non solo si perde tempo, perché è impossibile provare le intenzioni dell’autore quando ha prodotto la sua opera (il che porta a un circolo vizioso di accuse e controaccuse);
2. Ma è ininfluente, perché la bontà dell’opera dipende dalle capacità e non dalle intenzioni.
Le intenzioni, come dicevo, possono favorire l’acquisizione delle capacità – ma anche no. E’ addizionale.

Quanto alla mia definizione di arte.
Non è una definizione “giusta”, in quanto non penso che esista una definizione giusta di “arte” (e questo perché non penso esista un concetto unitario che si possa chiamare arte, e quindi definire).
La mia vuole essere, come dicevo prima, una definizione “pratica” e “ragionevole”. Pratica e ragionevole, perché l’artista che l’adotta impara a mettersi al livello del pubblico, e a ricercare come fine della sua attività l’interessamento del pubblico. Se pensi che l’arte sia Amore, può produrre qualsiasi cosa; chi pensa che l’arte sia Interessare un pubblico, si porrà attivamente il problema di come suscitare quest’interesse, come ottenere un risultato bello per gli altri quanto per sé.
Tu puoi dire che la tua definizione è migliore, e che chi dice di voler spandere amore e invece spande merda, o è in malafede o ha frainteso. Beh, la tua rimane comunque una definizione che troppo facilmente si può fraintendere (e questo perché, come spiegato sopra, salta diversi passaggi logici, si fonda su convinzioni arbitrarie e non è controllabile scientificamente). La mia difficilmente si può fraintendere.

Quanto a Natale in Sudafrica: non l’ho visto, non esprimo un parere. Il problema, forse, è che invece di fare gli snob, bisognerebbe chiedersi perché piace. Forse piace perché, pur nella desolante banalità del suo contenuto, ha delle tecniche narrative accattivanti. Forse la gente lo va a vedere solo perché in mancanza di meglio, o per abitudine. Forse lo va a vedere perché incolta di cinema, come chi non ha mai letto un libro fantasy in vita sua, e legge la Troisi, pensa che si tratti di un’opera originale e sorprendente.
Non ha senso scartare una definizione solo perché “allora dovremmo dire che i cinepanettoni sono arte!”. Al contrario, questa apparente contraddizione dovrebbe semmai spingere a indagare il perché i film di Natale incontrino tanto successo di pubblico. La gente non butta via i soldi per qualcosa che consapevolmente disgusta.

Quanto infine al sesso.
Il colpo basso dello stupro potevi risparmiartelo. Oltretutto non contraddice la mia tesi. Io ho detto che il sesso è sempre un atto d’amore, innanzitutto verso sé stessi ed eventualmente verso il partner: chiaramente lo stupro rientra nel primo tipo e non nel secondo. Se io amo solo me stesso, è ovvio che tratterò i miei partner alla stregua di strumenti per il mio piacere fisico, o di mezzi per incrementare la mia autostima. Ma questo non significa che non ci sia amore: c’è appunto amore dello stupratore verso sé stesso (adesso l’amore ti sembra qualcosa di meno nobile mh?).
Ovviamente sto semplificando moltissimo la psicologia dello stupro (ci saranno probabilmente infinite motivazioni diverse dietro uno stupro), volevo solo dimostrarti come questo non neghi la mia tesi.
Per quanto riguarda il sesso a pagamento: devo forse ricordarti le numerose storie (di fiction, ma anche reali) di clienti che dopo lunga frequentazione si sono innamorati delle prostitute che frequentavano?

#169 Comment By Marco Albarello On 14 gennaio 2011 @ 14:38

Poi alla moglie è venuta la depressione, e lui per pagarle le medicine s’è messo a scrivere.

Ecco la motivazione. L’amore per sua moglie. Sarà stato anche la pessima persona che mi dici, ma questa intenzione l’ha spronato a scrivere al meglio. Se fosse stato un bastardo insensibile se ne sarebbe fregato e nemmeno avrebbe scritto. Non sto parlando di libro morale o immorale, quello riguarderebbe il contenuto, sto parlando del perché è stato scritto, è diverso.

Queste cose di “commerciale” o “artistico” fanno taaanto “intellettuale VS comunisti”… son passati gli anni ’70, ovvìa.

Non ero nemmeno nato in quegli anni, mi spiace di aver fatto la figura dello snob o intellettuale, non era mia intenzione.

Che poi tu lo faccia perché o percome, chi se ne sbatte. Mi basta avere roba buona da leggere.

Sto solo avallando la tesi che se uno lo fa per profitto il lavoro farà schifo, se uno lo fa per amore il lavoro sarà migliore e finora non ho letto contro esempi soddisfacenti. Non è impossibile farmi cambiare idea, ma non mi basta un: “Perché la penso così.” Altrimenti ammetti che sono punti di vista ed entrambi sono validi, mi basta un pareggio. xD

Prima di capitare per puro caso su Gamberi Fantasy, non avevo mai sentito parlare di show, don’t tell.

Nemmeno io. Ma quando ho deciso di provare a scrivere qualcosa di serio (se così si può dire), ho chiesto consiglio ad una mia amica e mi sono informato, il che mi ha condotto qui, il che mi ha condotto ai manuali di narrativa ecc. Sono d’accordo che non si può avere accesso a tutto e non sapere tutto, ma con una forte motivazione alla base si può approfondire con i mezzi che si hanno a disposizione e trovare ciò che serve per migliorare il proprio operato. Io sono stupido e ignorante, ciò non significa che non possa migliorare informandomi ed approfondendo, il carattere può essere cambiato fino ad una certa età in quanto frutto di una relazione tra l’individuo e l’ambiente in cui vive, la biblioteca del padre è già un ottimo punto di partenza.

Il colpo basso dello stupro potevi risparmiartelo.

Non vedo perché, era perfettamente inerente al discorso. Solo perché la morale comune lo considera un crimine particolarmente esecrabile allora non se ne può parlare? Solo perché da fastidio parlarne? Esiste anche questa realtà ed è anzi un bene parlarne. In questo modo non si tiene tutto nascosto sotto il tappeto. Non parlare di qualcosa non la fa sparire per magia dal mondo. Se c’è una cosa che odio è la censura di certi temi perché considerati “poco puliti”. È la mancanza di informazioni la prima a creare pregiudizi.

c’è appunto amore dello stupratore verso sé stesso (adesso l’amore ti sembra qualcosa di meno nobile mh?).
Ovviamente sto semplificando moltissimo la psicologia dello stupro (ci saranno probabilmente infinite motivazioni diverse dietro uno stupro), volevo solo dimostrarti come questo non neghi la mia tesi.

Ma anche no. Tu hai affermato che “il sesso è sempre un atto d’amore” (la tua tesi), ci sono moltissimi casi in cui il sesso è fatto per vendetta. Una persona che ha subito abuso potrebbe compiere lo stesso gesto verso qualcun altro come comportamento rituale, non perché ama se stesso. O ancora perché facendo parte di un “branco” deve dimostrare il suo potere e il suo carattere. E altri millemila casi dei più disparati. Quindi la tua tesi vacilla pesantemente. Dite a me di non semplificare e poi fate lo stesso, o la rispettiamo tutti la stessa regola o essa non vale. Nessuno stupratore ama se stesso, la violenza nasconde sempre frustrazione che è un malessere verso se stessi.

Per quanto riguarda il sesso a pagamento: devo forse ricordarti le numerose storie (di fiction, ma anche reali) di clienti che dopo lunga frequentazione si sono innamorati delle prostitute che frequentavano?

Hai invertito i ruoli. Se il pubblico (cliente) si innamora del tizio che fa ciò che fa solo per soldi (prostituta) non mi interessa. La prostituta rimarrà tale e non amerà il suo cliente finché continuerà a farlo pagare. Se preferisci, la sindrome di Stoccolma è una condizione psicologica nella quale una persona vittima di un sequestro può manifestare sentimenti positivi (talvolta giungendo all’innamoramento) nei confronti del proprio sequestratore.
Viene spesso citata anche in riferimento a situazioni simili, quali le violenze sulle donne o gli abusi su minori e tra i sopravvissuti dei campi di concentramento. Dunque, siccome le vittime si innamorano dei loro carnefici, questo automaticamente scagiona i carnefici dalle loro colpe? Forse abbiamo un concetto diverso dell’amore e questo può starci, ma il tuo mi spaventa, lo trovo fortemente a senso unico e non inteso come scambio reciproco. Poi ognuno è libero di amare come vuole, per carità.

PS: Scusate se discuto così tanto, ma voglio tenere allenato il cervello. Nel mondo reale e non virtuale il massimo che mi capita è di parlare del tempo e del lavoro. Sono affamato di temi più vasti. E non ce l’ho con nessuno anche se abbiamo posizioni diverse, ho molto rispetto per coloro che decidono di giocare alla retorica, anche se in posizioni diverse. ^_^ Quindi avanti, mettetecela tutta per battermi, posso essere sconfitto. xD “Avendo voglia, tempo e la serata adatta tutto è dimostrabile, soprattutto il contrario, con un’abile manipolazione dello scenario.”(cit.) ;)

#170 Comment By france On 14 gennaio 2011 @ 18:38

Poi alla moglie è venuta la depressione, e lui per pagarle le medicine s’è messo a scrivere.

Ecco la motivazione. L’amore per sua moglie.

No, non hai capito. A lui della moglie non glien’è mai fregato niente, tanto che si lamentava con gli amici del fatto che non morisse.
La moglie aveva spesso grida isteriche (a buona ragione, visto quante corna le metteva), e le medicine servivano a tenerla sedata.
E non è una questione di scrivere seriamente: proprio di SCRIVERE e basta. Il Fu Mattia Pascal, primo romanzo, fu scritto proprio durante le notti in cui non poteva dormire a causa della moglie. E cominciò a scrivere teatro solo dopo il ricovero di lei in manicomio, perché la retta era troppo salata.
Amore? Ma dove? Zero.

Se fosse stato un bastardo insensibile se ne sarebbe fregato e nemmeno avrebbe scritto.

Non poteva lasciarla o ripudiarla, perché dipendeva economicamente dai genitori di lei e dalla loro carità. Era obbligato a viverci insieme, e lei urlava.

Che poi tu lo faccia perché o percome, chi se ne sbatte. Mi basta avere roba buona da leggere.

Sto solo avallando la tesi che se uno lo fa per profitto il lavoro farà schifo, se uno lo fa per amore il lavoro sarà migliore e finora non ho letto contro esempi soddisfacenti.

Bukowski: doveva pagarsi alcool e puttane, dell’arte non glien’è mai fregato nulla, dichiaratamente.
Pirandello, già detto.
Dickens pubblicava episodi a pagamento sui giornali, come Salgari, De Amicis, Collodi (gli ultimi tre non è che fossero brave persone, tra l’altro).
Emily Bronte: voleva avere anche lei i soldi come la sorella Charlotte.
Sono i primi che mi sono venuti in mente, immagino che ne esistano altri.
Essere bravo a scrivere richiede motivazione; ma non è assolutamente detto che questa motivazione debba coincidere con la voglia di fare arte.

O ancora perché facendo parte di un “branco” deve dimostrare il suo potere e il suo carattere.

E perché? Perché ha bisogno di sentirsi accettato, ossia amato, dagli altri. Se no resta solo.
E’ sesso degli angeli ‘sta cosa…

#171 Comment By Il Guardiano On 14 gennaio 2011 @ 19:55

Beh, credo che siamo andati completamente OT.
Comunque volevo dire la mia:
se Tizio scrive un bel romanzo, ben venga. Sono contento di poterlo leggere. Se Tizio ha scritto un bel romanzo e lo ha fatto solo per soldi, a me importa che lo abbiamo fatto bene.
Non è assolutamente vero che se si scrive per soldi o per fama automaticamente nasce una schifezza come non è vero che uno che ci mette amore scrive una cosa migliore di chi lo fa per soldi.
Tu pensi (Marco) che autori come Martin (che io amo) o Jordan (che apprezzo) scrivano per puro amore? Il solo fatto che le loro saghe siano lunghe rispettivamente 4 libri (9 in italiano) e altri 3-4 da scrivere e 12 libri con altri 2-3 da scrivere fa pensare che lo facciano per tirare il più possibile…ma fino a quando lo fanno bene, ben venga.

#172 Comment By pu*pazzo On 14 gennaio 2011 @ 22:34

secondo me si discute del sesso degli angeli! da sempre gli artisti sono anche artigiani, e spesso si sono “prostituiti” ai potenti per campare ..tirando fuori anche cose meravigliose (michelangelo vi dice nulla? XD) e in questo non c’è proprio alcun male, anzi! ! Io credo che il discorso sia teorico, semplice arte retorica. Certo è che alcuni prodotti artistici, chiamiamoli cosi, che escono sul mercato negli ultimi anni, sono deprimenti … cosi tanto commerciali e fatti ad hoc per vendere da risultare nauseanti!! (ottimo l’esempio di natale in sud africa XD). E comunque un “artista” che produce un opera senza studiare, senza metterci l’impegno etc etc NON AMA davvero la sua opera, ma semplicemente il suo ego. Infatti è tanto arrogante da pretendere che tutti lo elogino solo per il fatto di “esistere” senza aver fatto nessuno sforzo per migliorare. E questo è un difetto tipico di noi aspiranti scrittori “innamorati” . Dobbiamo però capire che il vero “amore” , di qualsiasi genere sia, pretende dedizione e sacrificio, e fare tesoro di questo! spero di essere stato chiaro, anche se ne dubito fortemente stasera sono più rimbambito del solito XD

#173 Comment By Marco Albarello On 15 gennaio 2011 @ 01:11

Avete vinto, Game Over. xD
Complimenti france e il guardiano, siete arrivati al punto nel minor tempo possibile. Avete una capacità di pensiero decisamente sintetica. In realtà vi avevo aiutato anche lasciando un errore grossolano in un commento precedente sperando che lo trovaste, ma non ci avete fatto caso. Ho scritto film dei Vanzina, Natale in Sudafrica, ma in realtà questo film è di Neri Parenti, da quando c’è stata la scissione Boldi e De Sica disgraziatamente i film di questo stampo gustosamente grottesco sono diventati due all’anno. Tipo i Gremlins, si moltiplicano senza controllo.
Se aveste fatto notare questo errore l’intera credibilità del commento e della mia esposizione sarebbe crollata dimostrando che parlo di cose senza saperne nulla. ^^ Abbattere l’ethos dell’avversario è un ottimo sistema per sconfiggerlo nella retorica.

A parte questi esercizi puramente estetici, ci tenevo a dire due cose seriamente. È solo un punto di vista, nessuna farlocca legge universale per animare discussioni, quindi non preoccupatevi di doverla distruggere. xD Io penso che l’essere umano sia spinto a creare sostanzialmente per due motivi e paradossalmente opposti. Un motivo è la necessità e l’altro è l’abbondanza. Mi spiego, Fedor Michajlovic Dostoevskij, durante la gestazione del romanzo “Il giocatore”, fu costretto a concludere in soli trenta giorni per poter liquidare i propri debiti. D’altra parte invece, secondo la teoria umanistica di Maslow e la sua piramide dei bisogni (Riferimento), il bisogno di creatività è l’ultimo della lista. Nel senso che secondo lui (la teoria è già stata criticata in quanto non sperimentalmente provata e dunque non oggettiva, ma alcuni la reputano valida) la prima cosa che un uomo cerca è la soddisfazione dei bisogni fisici e via discorrendo. Solo quando egli ha soddisfatto tutti i precedenti bisogni da lui individuati, ecco che sentirà il bisogno di creare ed esprimersi. Questo spiegherebbe, a mio avviso, perché nell’attuale società dove sostanzialmente vi è il benessere, il desiderio di scrivere sia molto diffuso. Semplicemente perché “non hai un cazzo a cui pensare” (usiamo termini brutali del pubblico di Natale qui e là). La cosa è positiva, ma diventa negativa nel momento in cui poi gli autori si devono scontrare con la realtà del copyright, del mondo dell’editoria ecc. C’è una poesia di Rainer Maria Rilke che trovo adatta alla situazione:
La pantera
Nel Jardin des plantes, Parigi

Il suo sguardo, per lo scorrere continuo delle sbarre,
è diventato così stanco, che non trattiene più nulla.
E’ come se ci fossero mille sbarre intorno a lui,
e dietro le mille sbarre nessun mondo.

L’incedere morbido dei passi flessuosi e forti,
nel girare in cerchi sempre più piccoli,
è come la danza di una forza intorno a un centro
in cui si erge, stordito, un gran volere.

Soltanto a tratti si alza, muto, il velo delle pupille.
Allora un’ immagine vi entra, si muove
Attraverso le membra silenziose e tese
E va a spegnersi nel cuore.

Colui che crea si sente come una pantera in gabbia. Un gran volere impossibilitato di correre libero. Per questo spero seriamente che tutto ciò presto abbia fine e ci sia maggiore libertà in senso generale.
Credo poi sinceramente che un certo tipo di “arte” (tipo i famosi cinepanettoni) siano ormai assimilati per una sorta di sindrome di Stoccolma. Ormai il pubblico e la critica li hanno subiti così a lungo che se ne sono innamorati, come succede alle vittime dei sequestratori. Si identificano nei loro aguzzini. Non ci sarebbe nulla di male in realtà se non ci fosse la logica del profitto e che dunque le altre opere non vengono nemmeno prese in considerazione. Ho assistito con tristezza ad un’intervista di Giorgio Faletti, il quale si struggeva dal dolore perché sperava di riuscire a fare una trasposizione cinematografica di uno dei suoi romanzi “Io uccido” e quando ha provato a bussare alla porta dei produttori gli hanno risposto circa: “In Italia un film del genere non lo guarderebbe nessuno.” E lui giustamente tra lo sconforto dice: “Ma diamine, fanno i film di Moccia, fanno il film sul libro di Melissa P., io gli porto un libro che tutto sommato ha venduto più di quattro milioni di copie e niente”. Ora, io non sarò il maggior espero mondiale di libri al mondo, ma a me il suo romanzo è piaciuto. E sinceramente avrei anche pagato per vedere il film se l’avessero fatto. Cosa che non mi è passata nemmeno per l’anticamera del cervello con gli altri due citati. Ma come si dice in questi casi, vox populi vox dei. Ho visto Faletti come la pantera della poesia. Come vedete dunque, non solo i piccoli e sconosciuti scrittori ne risentono, quando la spazzatura riempie lo spazio, te lo puoi dimenticare il giardino fiorito. Magari e dico magari, se non fosse esistito il copyright e avessimo avuto la prostituzione legale, Moccia avrebbe fatto il gelataio e Melissa P. un altro lavoro dignitoso… secondo me l’intera società italiana, ma che dico, il mondo ne avrebbe giovato. È solo una mia idea è, probabilmente sbaglio.

@pu*pazzo

E comunque un “artista” che produce un opera senza studiare, senza metterci l’impegno etc etc NON AMA davvero la sua opera, ma semplicemente il suo ego. Infatti è tanto arrogante da pretendere che tutti lo elogino solo per il fatto di “esistere” senza aver fatto nessuno sforzo per migliorare. E questo è un difetto tipico di noi aspiranti scrittori “innamorati” . Dobbiamo però capire che il vero “amore” , di qualsiasi genere sia, pretende dedizione e sacrificio, e fare tesoro di questo!

Grazie al cielo qualche sognatore esiste ancora. :)

#174 Comment By france On 15 gennaio 2011 @ 10:21

Ahimé, Moccia avrebbe scritto lo stesso: giunse fino all’autopubblicazione pur di elargire le sue perle ai porci, finché un intuitivo editor Feltrinelli non lo “scoprì”!
Per Melissa P. non saprei, onestamente… ma ho la sensazione che sarebbe stata maiala aggratis anche senza copyright. Così, a pelle eh.

La retorica in sé non mi appassiona più da parecchio tempo… una volta che ne hai capito abbastanza per diminuirne l’effetto, è sempre più interessante confrontarsi sui concetti che non sulla forma :)
Inoltre non avrei mai potuto vedere l’indizio su vanzina / parenti, visto che… scopro ora che esiste un regista di nome Parenti Neri! xD e pensare che i Vanzina hanno fatto così tante cose belle ai tempi d’oro… hmmm… no, in realtà mi viene in mente solo ATTILA. E’ loro, no? Credo o_O Un mito, comunque.

#175 Comment By Marco Albarello On 15 gennaio 2011 @ 14:14

in realtà mi viene in mente solo ATTILA. E’ loro, no? Credo o_O Un mito, comunque.

Non ricordavo nemmeno io e ho controllato. xD Non possiamo salvarli nemmeno per quello, è un film di Castellano e Pipolo. Ma in realtà forse mi sono espresso male, non sono contro l’intero mondo del trash, per esempio sono un estimatore non sospetto del personaggio de: “Er Monnezza”. Non riesco mai a non ridere vedendo un film in cui è presente, mi ricorda Buster Keaton, prendi un personaggio che è fatto tutto a suo modo e lo butti in un mondo che segue le sue regole e le sue logiche e puntualmente ne esce qualcosa di assurdo. xD
Però sinceramente non avrei sentito la mancanza di un cinepanettone se in cambio avessi potuto avere un film thriller ispirato ad un romanzo di Faletti per fare un esempio. Devo ammettere che i primi tre della serie li ho visti, ma quando ho capito che poi erano sempre le stesse cose, ho lasciato perdere. Al confronto Boa contro Pitone è un capolavoro: Trailer.
C’è tutto: la scienziata gnocca (che esiste solo nei film), il rapporto tecnologia/natura/uomo, le teorie del governo che insabbia sempre tutto, doppisensi sessuali ad ogni angolo, tamarraggine sparsa. Quando ho finito di vederlo sono rimasto così. O_O Il pensiero è stato: gli hanno permesso di farlo? O_O Oppure Pluto Nash: Trailer. Altra roba trash xD Però anche il trash, quando viene ripetuto all’infinito tipo cinepanettone alla fine stufa e risulta completamente inutile, non aggiunge niente a ciò che hai già visto. Citando un discorso di Silvano Agosti: “Pensa alla cosa più bella che la Natura propone, che è quella di, mettiamo, di fare l’amore, no?!
Immagina che tu vivi in un sistema politico, economico e sociale dove le persone sono obbligate, con quello che le sorveglia, a fare l’amore otto ore al giorno… sarebbe una vera tortura… e quindi perché non dovrebbe essere la stessa cosa per il lavoro che non è certamente più gradevole di fare l’amore.” (Riferimento) Per me il cinepanettone è la stessa cosa. Riassunto del cinepanettone. xD

#176 Comment By Tapiroulant On 18 gennaio 2011 @ 13:46

@Marco Albarello: Ti rispondo solo adesso perché in questi giorni non ho avuto momenti liberi. In realtà mi rendo conto che gli altri ti hanno risposto già quasi a tutto, per cui non mi rimane granché da dire^^’

Faccio solo qualche precisazione ai miei post precedenti, per correttezza.
- Ho tirato in ballo la questione del sesso perché avevo trovato banale e scorretta la tua equazione; la cosa mi aveva infastidito e non avevo saputo resistere. Lungi da me aprire una complicata parentesi sul sesso che andrebbe completamente OT rispetto al discorso principale.
- Ho definito “colpo basso” il riferimento allo stupro non perché lo ritenga un argomento di cui non si deve parlare; ma perché mi sembrava evidente che non confutava in alcun modo la mia definizione e mi sembrava che tu l’avessi citato più per motivi retorici (“guardate! Dice che lo stupro è amore!”) piuttosto che per una seria voglia di discutere.
- Gli esempi ulteriori che hai fatto, come il desiderio di vendetta o la voglia di essere accettati dal branco, si possono tutti ricondurre a forme di “amore verso sé stesso” (mi vendico per sentirmi in pace con me stesso, etc.). Sono comunque d’accordo che parlare semplicemente di “forme di amore verso sé stessi” è terribilmente riduttivo e semplificatorio (anche se, ritengo, corretto). La vendetta è stata (e per certi versi, è ancora) un modello culturale, un sistema di riferimento di molte culture, e così anche lo stupro e le altre manifestazioni di violenza o di amore hanno una serie di cause psicologiche, sociali, culturali che non posso certo mettermi a raccontare qui (né ne avrei le competenze). Perciò propongo di chiuderla qui: difficilmente avrò altre cose da dire sull’argomento.
- Non volevo esprimere una visione personale sull’amore, volevo cercare di essere preciso, oggettivo e onesto. Chiaro che non ho simpatie per lo stupro.
- Oltre una certa soglia di ignoranza, io non posso sapere che ci sono cose che non so ma che dovrei sapere per fare bene una cosa che mi piace (es. scrivere). Quindi posso essere così ignorante, da non capire di cosa ho bisogno per diventare un bravo scrittore, ma sentire comunque un amore spasmodico per la scrittura. Quel che voglio dire, banalmente (come hanno detto anche gli altri), è che non c’è un rapporto vincolante tra l’amore, o la passione, e la capacità.

#177 Comment By Marco Albarello On 18 gennaio 2011 @ 14:59

la cosa mi aveva infastidito e non avevo saputo resistere.

L’ho fatto apposta, adoro stuzzicare le persone alla riflessione e alla scrittura. :P E poi mi alleno nella retorica, se riesco a convincere qualcuno di questi temi, sarà più facile convincerlo che esistono alieni, elfi, draghi, ecc.

Io non sono uno stinco di santo e non sono un romantico della domenica, ma continuo a pensare che il sesso e l’amore siano due concetti distinguibili. C’è la prosa e c’è la poesia. Sono emozioni diverse, almeno per me.

non c’è un rapporto vincolante tra l’amore, o la passione, e la capacità.

Sarà vero, ma non sai come mi piacciono i biscotti fatti in casa rispetto a quelli fatti in fabbrica. =)

#178 Comment By france On 22 agosto 2011 @ 23:48

penso che segnalare qui questo sia IT :)

#179 Comment By Keane On 21 ottobre 2011 @ 00:06

Gamberetta, ma se come dici “la diffusione dell’arte è in assoluto un beneficio per la società
–> l’arte non cresce sugli alberi, è fatta dagli artisti
–> gli artisti lavorano gratis
–>solo chi può mantenersi con altro farà arte
=
meno arte da diffondere, meno benefici.

E’ questo che non capisco del tuo discorso: gli artisti devono lavorare sempre gratis o devono fornire due vie d’accesso al loro prodotto, una gratis e una a pagamento?
Questa è la prima domanda.

Nella situazione attuale, la strategia di Doc è la migliore, perchè se da una parte aumenta la visibilità diffondendosi gratis, poi incassa in libreria. Ma in futuro – molto prossimo – , quando sarà tutto online, tu pensi che potendo “mangiare gratis” e a parità di contenuto, la maggioranza dei lettori pagherà?
Questa era la seconda domanda.

Comunque, quello che nessuno ha evidenziato è il vero elefante nella stanza: la copia, che la si consideri pirateria o meno, è inevitabile; non serve a nulla piangere, chiamare l’esercito, riunire il parlamento per un giro di vite legislativo.
Quindi il vero problema per uno scrittore non è come difendere il copyright ma come convincere il suo pubblico, in un modo on nell’altro, come già fanno le altre categorie di artisti, a pagarlo :D
(per fare questo, le strategie sono diverse e abbastanza efficaci, come ha già detto Spinozzi. Io penso che prima o poi si inventeranno una piattaforma stile Steam anche per i libri, con i primi capitoli gratis e gli altri trattati come Downloadable Content a pagamento).
Tu che pensi?

#180 Comment By Piruti-tuti On 7 novembre 2011 @ 15:19

sono d’accordo con tutto, tranne che con la legalizzazione della droga.Quella roba UCCIDE,punto.Anche le sigarette, ma appunto perchè abbiamo già qualcosa di mortale a spassoper il mercato, perchè aggiungere qualcos’altro?

#181 Comment By Blu On 30 gennaio 2012 @ 10:56

Ciao a tutti
commento a questo post perchè l’argomento è attinente;
segnalo questo post di Paulo Coelho dove promuove una nuova iniziativa di The Pirate Bay:

The Pirate Bay starts today a new and interesting system to promote arts
Do you have a band? Are you an aspiring movie producer? A comedian? A cartoon artist?
They will replace the front page logo with a link to your work.
As soon as I learned about it, I decided to participate. Several of my books are there, and as I said in a previous post, My thoughts on SOPA, the physical sales of my books are growing since my readers post them in P2P sites.
Welcome to download my books for free and, if you enjoy them, buy a hard copy – the way we have to tell to the industry that greed leads to nowhere.
Love
The Pirate Coelho

Anche Paulo Coelho dice che le vendite dei suoi libri sono aumentate da quando questi sono apparsi in siti p2p, invita a scaricarli gratis e, se sono piaciuti, comprarli ^_^

#182 Pingback By E adesso, cosa leggerà il Tapiro? | Tapirullanza On 23 febbraio 2012 @ 09:47

[...] Content e per il romanzo YA Little Brother, libri di cui Gamberetta ha parlato rispettivamente qui e [...]

#183 Comment By Sandro On 3 marzo 2012 @ 17:58

A titolo informativo ci tenevo a informarvi che per tutelare la paternità di un’opera esiste il CopyZero, che è un’ottima, moderna, alternativa alla SIAE.

Ciao!

#184 Comment By Andrea Tiscalino On 11 settembre 2014 @ 10:46

La questione su “che fine fanno i nostri file quando non possiamo più gestire noi” mi sembra fondamentale.
Che il copyright non passi da noi, ai gestori del servizio!!
Io firmerei qui:
http://digital-will.net/node/12


URL dell'articolo: http://fantasy.gamberi.org/2008/09/16/sul-copyright/

Gamberi Fantasy