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Finch Incipit

Pubblicato da Gamberetta il 23 ottobre 2010 @ 10:46 in Fantasy,Insalata di Mare,Scrittura,Straniero | 65 Comments

Pochi giorni fa criticavo lo scarso livello degli incipit dei racconti che hanno partecipato al Concorso Steampunk. A proclamazione del vincitore avventura, magari discuterò in dettaglio quali sono stati gli errori più comuni. Adesso voglio presentare un buon incipit. Non magistrale, non perfetto, ma lo stesso interessante.
È l’incipit di Finch (qui la segnalazione, qui la recensione). Analizzerò la scrittura di VanderMeer, cercando di mostrare le parti venute bene, quelle migliorabili e i pochi errori.

Prima di cominciare, chiarisco un punto che spesso sfugge: se si vuole imparare a scrivere bisogna partire dal presupposto che la forma è più importante del contenuto. Questo presupposto non è vero in assoluto, ma all’atto pratico se vi impelagate in problemi di contenuto non ne uscite più e non imparerete mai niente.

Mettere il contenuto davanti alla forma rischia di sfalsare la percezione di quello che scrivete e leggete. Faccio un paio di esempi:

• “Ah, visto la Meyer che idiota con i vampiri che brillano? I miei vampiri invece sono veri vampiri, perciò il mio romanzo è meglio!” No, non lo è. Lo è solo se è scritto almeno al livello di Twilight. Se è scritto da cani lo butto a pagina 5 e non lo saprò neanche se i vampiri erano veri o no.

Copertina del volume 1 della graphic novel di Twilight
Copertina del volume 1 della graphic novel di Twilight

• “Ah, visto quel romanzo che porcheria? Pieno di parolacce, bestemmie, scene di sesso & violenza. Il mio romanzo invece è raffinato ed elegante, perciò il mio romanzo è meglio!” No, non lo è. Lo è solo se è scritto almeno al livello del romanzo pieno di porcherie. Se è scritto da cani lo butto a pagina 5 e non noterò le raffinatezze.

In altri termini: attenzione a non farsi depistare dai gusti. Il romanzo pieno di porcherie magari vi disgusta, ma lo stesso potrebbe insegnarvi di più sulla tecnica narrativa di un romanzo che vi piace scritto con i piedi.
Le idee così geniali che per loro intrinseca natura rendono un romanzo splendido indipendentemente da come è scritto capitano una volta ogni mai. Negli altri casi dovete supportare buone idee con una scrittura adeguata.

La tecnica non è secondaria. Tutti gli scrittori degni di questo nome sudano dietro ogni parola.
Prendiamo Robert A. Heinlein, da molti considerato il più grande scrittore di fantascienza di tutti i tempi. Heinlein aveva cultura, fantasia e una notevole capacità di estrapolazione[1], eppure era conscio del peso fondamentale dello stile. In una lettera al suo agente Lurton Blassingame si lamenta di un editing troppo pesante al manoscritto de Il Terrore dalla Sesta Luna (The Puppet Masters, 1951):

bandiera EN Look, Lurton, my plots are never novel, I am not an originator of brand-new and wonderful ideas the way H. G. Wells was; my reputation rests almost solely on how I tell a story … my individual style. It is almost my entire stock in trade.

bandiera IT Guarda, Lurton, le mie trame non sono mai nuove, non ho mai idee originali e meravigliose alla maniera di H. G. Wells; la mia reputazione dipende quasi esclusivamente da come racconto una storia… dal mio stile personale. Il mio stile è quasi la mia unica risorsa.

L’enfasi è di Heinlein. Più avanti nella lettera Heinlein non contesterà solo i cambiamenti di sostanza, ma anche quelli che sembrano minimi, per esempio il sostituire l’aggettivo “lean” con “slender”.

bandiera EN In another place I describe the heroine as “lean”; Gold changes it to “slender”—good Lord, heroines have always been “slender”; it’s a cliché. I used “lean” on purpose, to give her some reality, make her a touch different.

bandiera IT In un altro punto ho descritto l’eroina come “lean” [snella]; Gold ha cambiato in “slender” [slanciata] – Dio santo, le eroine sono sempre state “slender”; è un cliché. Ho usato “lean” per una ragione, per darle un po’ di credibilità, per renderla un pizzico differente.

La verità è che Heinlein ha ragione: ogni singola parola ha un peso. Ogni singola parola va meditata.
Questo tipo di meditazione prende il nome di “tecnica narrativa”. E sì che Heinlein di “wonderful ideas” ne aveva sul serio!

Copertina di The Puppet Masters
Copertina di The Puppet Masters

Morale della favola: anche se avete idee meravigliose, dovete curare lo stile.[2] Se la faccenda vi annoia o non ne cogliete l’utilità, forse avete sbagliato ambito artistico. Provate a riversare le vostre idee in musica, o in un videogioco. Piazzatevi davanti alla tastiera e digitate a caso finché il gioco non è pronto. Auguri!

* * *

Quello che segue è l’incipit di Finch, la prima scena del romanzo. Sono in totale 174 parole.

Finch, at the apartment door, breathing heavy from five flights of stairs, taken fast. The message that’d brought him from the station was already dying in his hand. Red smear on a limp circle of green fungal paper that had minutes before squirmed clammy. Now he had only the door to pass through, marked with the gray caps’ symbol.
239 Manzikert Avenue, apartment 525.
An act of will, crossing that divide. Always. Reached for his gun, then changed his mind. Some days were worse than others.
A sudden flash of his partner Wyte, telling him he was compromised, him replying, “I don’t have an opinion on that.” Written on a wall at a crime scene: Everyone’s a collaborator. Everyone’s a rebel. The truth in the weight of each.
The doorknob cold but grainy. The left side rough with light green fungus.
Sweating under his jacket, through his shirt. Boots heavy on his feet.
Always a point of no return, and yet he kept returning.
I am not a detective. I am not a detective.

La mia traduzione. Ho cercato di rendere al meglio lo stile di VanderMeer, ma non è semplice mantenere lo stesso ritmo. Se possibile fate riferimento alla versione inglese.

Finch, alla porta dell’appartamento, il respiro corto per le cinque rampe di scale, fatte di corsa. Il messaggio che lo aveva condotto lì dalla stazione gli stava già morendo in mano. Macchia rossa su un cerchio floscio di carta fungina verde, che fra pochi minuti si sarebbe contorta in una massa viscida. Ora Finch doveva solo attraversare la porta, contrassegnata dalla scrittura dei cappelli grigi.
239 Manzikert Avenue, appartamento 525.
Un atto di volontà, superare quella soglia. Sempre. Portò la mano alla pistola, poi cambiò idea. Alcuni giorni erano peggio di altri.
Un flash improvviso del suo collega Wyte, mentre gli dice che è stato compromesso, lui che risponde: “Non ho un’opinione a riguardo.” Scritto su un muro, presso la scena di un delitto: Tutti sono collaborazionisti. Tutti sono ribelli. Il peso della verità in ognuna delle affermazioni.
La maniglia fredda ma ruvida. Il lato sinistro incrostato da funghi verde pallido.
Stava sudando sotto la giacca, attraverso la camicia. Gli stivali pesanti ai piedi.
Sempre un punto di non ritorno, ma Finch continua a tornare.
Non sono un detective. Non sono un detective.

* * *

Finch, alla porta dell’appartamento, il respiro corto per le cinque rampe di scale, fatte di corsa.
  • L’incipit è in medias res; non è l’unico modo per cominciare una storia, ma è un buon modo. È il modo più semplice per catturare l’attenzione del lettore.
    Il rischio degli incipit in medias res è che il lettore, catapultato in mezzo agli eventi, si ritrovi spaesato. Per questo è importante stabilire appena possibile dei punti fermi. Infatti nella prima riga VanderMeer chiarisce subito chi è il personaggio punto di vista (Finch) e dove si trova (davanti a una porta di un appartamento al quinto piano). Il dettaglio sulle scale fatte di corsa suscita curiosità: perché il nostro eroe si è precipitato a salire le scale?

  • Il difficile è capire quanti particolari sono necessari per far capire al lettore la situazione senza perdere di immediatezza e senza scivolare nell’inforigurgito.
    Confrontate l’incipit di VanderMeer con:

    Il detective della polizia John Finch si trovava davanti alla porta di un appartamento al quinto piano di un palazzo alla periferia di Ambergris. Aveva il respiro affannoso, dopo aver salito di corsa le scale.

    La situazione è meglio chiarita, e rimane un discreto incipit, ma io preferisco la versione di VanderMeer. Più tagliente e d’impatto.
    Ora la versione scritta dal tipico autore alle prime armi che ha paura di non essere capito:

    John Finch, da quindici anni detective nella polizia di Ambergris, era molto alto, con gli occhi azzurri e i capelli neri tagliati corti. Indossava un cappello e un impermeabile grigio che lo copriva completamente. Ai piedi portava stivali scuri. Era fermo davanti a una porta di legno con una targhetta di ottone ecc. ecc.

    I dettagli superflui affievoliscono l’effetto positivo di cominciare in medias res. Notare che l’autore di cui sopra non è un autore privo di talento, perché fornisce dettagli di troppo, ma almeno sono quasi tutti dettagli concreti. È solo un autore inesperto.
    Non mi abbasso a mettere l’incipit come potrebbe scriverlo il tipico autore fantasy nostrano. Quella non sarebbe narrativa, sarebbero gli scarabocchi di un mongoloide sui muri nei cessi della metropolitana.

Il messaggio che lo aveva condotto lì dalla stazione gli stava già morendo in mano. Macchia rossa su un cerchio floscio di carta fungina verde, che fra pochi minuti si sarebbe contorta in una massa viscida.
  • Quel “morendo in mano” è una piccola sbavatura. È un raccontare quando di seguito c’è il mostrato. Faccio un altro esempio:

    Tengo in braccio il coniglietto mentre muore: le orecchie flosce, gli occhietti che sanguinano, la schiuma alla bocca, le zampette rigide. Il coniglietto esala l’ultimo respiro.

    Il “mentre muore” si può tagliare con il vantaggio che le condizioni orribili del coniglietto sono sbattute in faccia al lettore senza preparazione. È più efficace.

    Tengo in braccio il coniglietto. Le orecchie flosce, gli occhietti che sanguinano, la schiuma alla bocca, ecc. ecc.

  • Nel caso di VanderMeer la piccola sbavatura è compensata dall’effetto di straniamento di unire i concetti di “messaggio” e “morendo in mano”. Siamo a metà tra il bizzarro e il pauroso, puro new weird. E come bonus c’è persino la blasfemia, almeno a dare retta ad Arthur Machen nel prologo del racconto “The White People”:

    bandiera EN “And what is sin?” said Cotgrave.
    “I think I must reply to your question by another. What would your feelings be, seriously, if your cat or your dog began to talk to you, and to dispute with you in human accents? You would be overwhelmed with horror. I am sure of it. And if the roses in your garden sang a weird song, you would go mad.
    [...]
    “Well, these examples may give you some notion of what sin really is.”

    bandiera IT “E cos’è il peccato?” disse Cotgrave.
    “Penso che mi vedrò costretto a rispondere alla tua domanda con un’altra domanda. Quale sarebbe la tua reazione se, seriamente, il tuo gatto o il tuo cane cominciassero a parlarti, discutessero con te con voce umana? Saresti sopraffatto dall’orrore. Ne sono certo. E se le rose nel tuo giardino cantassero una strana canzone, impazziresti.”
    [...]
    “Bene, questi esempi possono darti un’idea di cosa sia veramente il peccato.”

    Il “messaggio che muore” è una specie di “rosa che canta”. Ha lo stesso tipo di intrinseca stranezza che vira al pauroso e al “peccaminoso”.

  • La descrizione del messaggio e della sua (futura) morte avviene per mezzo di termini concreti: macchia, rosso, floscio, cerchio, verde, carta, viscido, contorcersi.
    Confrontate l’effetto che si ottiene levando termini concreti e aggiungendo termini astratti (ogni riferimento a persone note è puramente casuale):

    Il blasfemo messaggio che lo aveva condotto lì dalla stazione gli stava già orribilmente morendo in mano. Repellente macchia su un’oscena carta che fra pochi minuti sarebbe diventata ripugnante.

    Non solo non fa alcun effetto, ma sembra una parodia. Se suscita un sentimento, è un sentimento di ilarità. Eppure c’è ancora gente convinta che uno stile del genere sia “evocativo”.

  • Una domanda legittima: perché è “sbagliato” dire che gli occhi sono azzurri o i capelli neri tagliati corti, e invece è “giusto” dire che la carta è floscia, verde, umida, ecc.?
    Perché stai scrivendo fantasy. Mostrare il fantastico è la ragione per cui il pubblico ti legge (e magari ti paga). Se invece stessi scrivendo un romanzo rosa, è probabile sarebbe più sensata una descrizione fisica del protagonista che non una descrizione della carta fungina vivente.
    Inoltre, sempre perché stai scrivendo fantasy, devi cercare di essere verosimile; di rendere concreto l’impossibile. E questo si può ottenere solo assommando i dettagli. Non hai bisogno di dire che Finch ha gli occhi azzurri per renderlo credibile al lettore, il lettore non ha problemi a immaginare “vero” un essere umano; tuttavia hai bisogno di molti dettagli per rendere “vera” la carta vivente.

  • Come sempre non bisogna scadere nell’inforigurgito. Se io continuassi:

    La carta vivente fungina era stata scoperta nel 1284 dal professor Gobulus e usata per spedire messaggi fin da pochi anni dopo. Si ricava dall’allevamento del fungo porcino reale ecc. ecc.

    Aggiungerei un sacco di dettagli, ma non renderei più verosimile la carta vivente, annoierei solo il lettore. Per capire se si sta esagerando occorre porsi la domanda: “Il personaggio punto di vista, in quel momento, penserebbe a quel dettaglio?” e se la risposta è no, il dettaglio non lo si mette.

  • Un altro punto da sottolineare: evitate il più possibile di spiegare, in particolare di spiegare il fantastico. Descrivete la morte della carta, ma non spiegate perché muore.
    Se spiegate perché Michele preferisce la pizza alle acciughe alla pizza con il prosciutto cotto al massimo sarà una manciata di parole inutili; se spiegate perché la pizza parla, il lettore percepirà il tentativo esplicito di convincerlo della sensatezza di una pizza parlante, con il risultato che la pizza parlante sembrerà meno credibile. È lo stesso meccanismo del excusatio non petita, accusatio manifesta. Le scuse non richieste vi accusano.
    Non date giustificazioni, non date spiegazioni. Mostrate quello che succede e stop. Se rileggendo vi accorgete che c’è qualcosa che non quadra, che la pizza parlante non è credibile, non aggiungete spiegazioni, cambiate solo i dettagli mostrati perché il risultato sia più verosimile.
Un atto di volontà, superare quella soglia. Sempre. Portò la mano alla pistola, poi cambiò idea. Alcuni giorni erano peggio di altri.
  • Discreto passaggio. C’è un solo gesto concreto (il portare la mano alla pistola), però i pensieri sono ben inseriti. Intuiamo che Finch è titubante, ha paura, e non è la prima volta che affronta queste emozioni.
    Confrontate con questa versione:

    Ogni volta, Finch ha paura di varcare la soglia, di trovarsi sulla scena del delitto. Tentenna. Porta la mano alla pistola, poi cambia idea. Certi giorni gli sembra di non avere la forza di volontà necessaria per vincere la paura.

    È orribile? No. Ne trovate a mucchi di libri scritti così. Però guardate come cambia la distanza e il coinvolgimento: come scritto da VanderMeer siamo ben dentro la testa di Finch, mischiati con i suoi pensieri; come ho scritto io siamo fuori, al sicuro, mentre il Narratore – non più Finch – illustra la situazione.

  • Lo ho definito un passaggio discreto e non ottimo perché quell’iniziale “Un atto di volontà, superare quella soglia. Sempre.” per me è già troppo spiegato, raccontato; avrei tagliato lasciando solo il gesto di portare la mano alla pistola per poi ritrarla e il pensiero sui giorni peggiori.
    Il “poi” (“[...] poi cambiò idea”) si può anche quello tagliare.
Un flash improvviso del suo collega Wyte, mentre gli dice che è stato compromesso, lui che risponde: “Non ho un’opinione a riguardo.” Scritto su un muro, presso la scena di un delitto: Tutti sono collaborazionisti. Tutti sono ribelli. Il peso della verità in ognuna delle affermazioni.
  • “Un flash improvviso” è un errore. Non c’è mai bisogno di dire che qualcosa succede “all’improvviso” o “improvvisamente”, basta farla succedere:

    Anna camminava per strada. Si aprì una voragine nel marciapiede.

    Se io metto l’“improvviso”, non solo appesantisco la narrazione, ma la rendo meno improvvisa, perché avverto il lettore che sta per succedere qualcosa:

    Anna camminava per strada. Improvvisamente si aprì una voragine nel marciapiede.

  • Come non c’è bisogno di specificare l’improvviso succedersi degli eventi, così non c’è bisogno di introdurre i ricordi, basta mostrarli direttamente.
    Dunque perché VanderMeer ha piazzato quel brutto flash improvviso? Penso per ragioni pratiche: se non lo avesse scritto, il lettore avrebbe potuto pensare che Wyte fosse lì con Finch e non un ricordo. Soluzione pigra. VanderMeer avrebbe dovuto cambiare il paragrafo per rendere evidente il ricordo senza doverlo specificare. Notare infatti che il secondo ricordo, quello della scritta sul muro, non ha introduzione.

  • A parte il dettaglio del flash improvviso, è un passaggio molto buono. Con una riga di dialogo e una scritta sul muro, comunica la confusione morale nella testa di Finch e la confusione morale dell’intera ambientazione.
La maniglia fredda ma ruvida. Il lato sinistro incrostato da funghi verde pallido.
  • Confrontate:

    La maniglia fredda ma ruvida.

    con:

    Finch strinse la maniglia, era fredda ma ruvida.

    All’apparenza non cambia molto, ma evitando di descrivere l’azione e descrivendo solo le conseguenze (il sentire la maniglia fredda ma ruvida) si mantiene sempre la telecamera ben dentro la testa di Finch.
    Faccio un altro esempio:

    Michele imbracciò il fucile, lo puntò alla testa di Anna.

    La telecamera è esterna, inquadra per intero il gesto di Michele, poi inquadrerà anche Anna.

    Il calcio del fucile contro la spalla, la testa di Anna nel mirino.

    La telecamera sono gli occhi di Michele che prima controllano che il fucile sia ben piazzato e poi scrutano Anna attraverso il mirino.

  • Ogni volta che il personaggio punto di vista compie un’azione, la telecamera si deve allontanare per riprendere l’azione stessa. Perciò se volete la telecamera sempre ben piantata nella testa del personaggio non dovete descrivere le azioni, ma solo le conseguenze delle stesse.
Stava sudando sotto la giacca, attraverso la camicia. Gli stivali pesanti ai piedi.
Sempre un punto di non ritorno, ma Finch continua a tornare.
Non sono un detective. Non sono un detective.
  • La frase sul punto del non ritorno è un po’ cliché, la taglierei senza pensarci due volte. Il pensiero a conclusione della scena è buono. Crea tensione e curiosità: ci si chiede come mai il personaggio insista a non definirsi un detective quando lo sembra e se d’altra parte non è un detective cosa ci fa armato sulla scena del delitto?
    Viene voglia di voltare pagina… ma non c’è bisogno perché siamo solo a metà di pagina 1. chikas_pink28.gif

* * *

Per ricapitolare le cose azzeccate da VanderMeer:

Icona di un gamberetto Inizio in medias res con il giusto livello di dettaglio.

Icona di un gamberetto Elementi fantastici/weird fin dalla seconda riga, resi credibili da descrizioni concrete.

Icona di un gamberetto Ottima gestione del punto di vista, con la telecamera sempre ben dentro la testa di Finch.

Cosa si poteva fare meglio:

Icona di un gamberetto Nonostante la buona eleganza, si potevano limare altre parole.

Icona di un gamberetto La storia intriga, ma non da rotolarsi per terra dalla curiosità.

* * *

Notare: non ci sono avverbi, non ci sono metafore/similitudini, i termini sono quasi tutti concreti. Non c’è mai il Narratore a esporre cartelli che spiegano come il personaggio abbia “paura”, o sia “titubante”, o “preoccupato” o altro. Non ci sono verbi superflui: non è riportato che il personaggio “vede”, “tocca”, “sente”, è descritto direttamente l’ambiente intorno a lui.
Questa è narrativa decente. L’arte di acchiappare il lettore e ficcarlo in un altro mondo. Poi il lettore può andarsene a gambe levate se l’altro mondo non lo affascina – I funghi mi fanno schifo! gne gne gne! Non voglio essere nella testa di Finch! gne gne gne! –, ma almeno è stato trattato con dignità. Non è stato preso per i fondelli dopo aver pagato 20 euro.

Beata ingenuità

Icona di una stellina Gamberetta, vediamo se ho capito giusto: io dovrei star lì ad analizzare parola per parola tutto quello che scrivo???
Esatto! Non durante la prima stesura, ma in fase di editing, sì, sarebbe il caso di meditare su ogni singola parola. Non è un lavoro così improbo come sembra: all’inizio è difficoltoso, ma più si impara, meno si fanno errori. Si imparerà a scrivere di getto senza usare avverbi, senza che gli eventi capitino all’“improvviso”, senza aggiungere termini astratti e così via. D’altra parte non si diventa bravi dall’oggi al domani, occorrono anni.

Icona di una stellina Gamberetta, è un lavoro inutile, perché tanto penserà a tutto il mio editor quando sarò pubblicata!!! Vero???
Certo, come no. E i coniglietti volano. In Italia il 99% degli editor non ne capisce un tubo di narrativa, e quell’1% competente preferisce giocare a FarmVille su FaceBook invece di perdere tempo dietro al tuo manoscritto di vampiri, pubblicato solo perché sei amyketta di qualche dirigente della casa editrice.
Se ti interessa sul serio la qualità, mettiti in mente di fare da sola. Se arriva l’aiuto altrui tanto meglio, ma non ci contare.

Uno screenshot di FarmVille
Uno screenshot di FarmVille: perché lavorare quando puoi giocare?

Icona di una stellina Gamberetta, ma l’incipit di quel romanzo famoso è tutto diverso, e il romanzo è famosissimo!!! Allora chi devo imitare???
Bisogna stare attenti nel giudicare gli incipit. Non bisogna confondere “famoso” con “buono”. Molti incipit sono diventati celebri solo perché danno l’avvio a romanzi considerati (a torto o a ragione) capolavori. Questo non implica che l’incipit sia perfetto.

Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione.

Non è che sia proprio un granché. Però, se una persona ha apprezzato Moby Dick, quando le si cita “Chiamatemi Ismaele” è deliziata, perché il suo cervello richiama alla memoria le ore di piacere passate a leggere. Lo stesso capita a me, quando per esempio si citano le parole dall’incipit de La Guerra dei Mondi, con le intelligenze, vaste, fredde, ostili che scrutano la Terra con occhi invidiosi. Ciò non vuol dire che l’incipit di H. G. Wells sia eccezionale in sé… ma sempre meglio di quello di Melville.
Se si imita bovinamente Melville o H. G. Wells o magari il Manzoni con il suo ramo del lago di piscio, si scriveranno incipit atroci.
Non bisogna neppure imitare VanderMeer: per esempio non consiglio di usare frasi così brevi e frammentate. Anche perché quel modo di esprimersi è di Finch e solo di Finch, il vostro personaggio deve avere un’altra voce, non dev’essere una parodia o uno scimmiottamento.
Bisogna cavare dallo stile di ogni scrittore la tecnica e costruirsi il proprio.

È un discorso lungo e questo articolo voleva più illustrare un buon incipit che non discutere di incipit in generale. Se l’argomento vi interessa, potete dare un’occhiata al seguente manuale (per maggiori informazioni su gigapedia si veda questo articolo):

Copertina di Hooked Hooked: Write Fiction that Grabs Readers at Page One and Never Lets Them Go di Les Edgerton (Writer’s Digest Books, 2007).

Non l’ho trovato utile quanto altri e sono scettica su molti punti, però è meglio che niente. In più è un libro che si legge volentieri: l’autore è molto simpatico e ha uno stile incisivo.

* * *

note:
 [1] ^ Dimostrabile con tanto di carta bollata: per esempio, il costruttore del primo letto ad acqua, Charles Hall, non poté brevettare la sua invenzione perché già descritta con dovizia di particolari in precedenti romanzi di Heinlein.

 [2] ^ Qui stiamo parlando di scrivere buona narrativa, narrativa degna di essere letta. Se lo scopo è solo pubblicare o vendere esistono strade più efficaci.
Interessante comunque che Heinlein, in chiusura alla citata lettera, si lamenti anche da un punto di vista commerciale: ha paura che la diminuita qualità danneggi le vendite.


Approfondimenti:

bandiera EN L’incipit su Wikipedia
bandiera IT 10 righe dai libri

bandiera EN Robert A. Heinlein su Wikipedia
bandiera EN The Puppet Masters su Wikipedia
bandiera EN Arthur Machen su Wikipedia
bandiera EN “The White People” leggibile online

 


65 Comments (Mostra | Nascondi)

65 Comments To "Finch Incipit"

#1 Comment By GSeck On 23 ottobre 2010 @ 13:27

Sull’incipit di Moby Dick, credo che la sua efficacia non sia trasmissibile in italiano. “Call me Ishmael” significa, in pratica “Dammi del tu”, e colpisce per il rapporto che crea col lettore. Poi c’è di meglio, certo, ma mi pare comunque un buon inizio.
Sui Promessi sposi, ahimé, Manzoni paga il dazio della storia della letteratura italiana, poverissima di narrazione e ricca di poesia. Lo pagano anche gli scrittori moderni. “Quel ramo del lago di Como” nasce da un gusto poetico, fuori luogo nel racconto di una storia.
Sulla questione forma VS contenuto, direi che è un problema sbagliato in partenza. Attraverso la forma esprimiamo il contenuto, e viceversa. Alla fine si corrispondono. Se un autore gegnale afferma di essere costretto a scrivere con uno stile noioso e artificiale pur di esprimere un contenuto eccelso, c’è da scommettere che i Grandi Concetti che vuole trasmettere siano emerite fesserie.

#2 Comment By Airon On 23 ottobre 2010 @ 15:06

Ciao.
Ho un dubbio: dici di tagliare certe frasi introduttive e un po’ astratte, come appunto “l’atto di volontà” prima di “portar mano alla pistola”.

Ma questo consiglio lo dai dopo aver letto la scena con tanto di frasette introduttive. Ti sei creata in testa la sensazione che prova Finch, lo sforzo che fa per varcare la soglia, grazie a quella frase; inelegante e astratta quanto vuoi, ma ti ha aiutato a calarti nella situazione.

Dopodichè tu ri-analizzi l’incipit e la giudichi superflua, ma sai già che tono ha la scena. Non puoi dimenticarlo momentaneamente mentre recensisci. Per te il fatto che Finch porti mano alla pistola ha una valenza precisa, anche senza leggere dell’atto di volontà. Se leggessi la scena per la prima volta, senza quella frase, daresti lo stesso peso a quel gesto? Sapresti immaginartelo nel corretto contesto emotivo?

#3 Comment By zeros On 23 ottobre 2010 @ 16:00

Parere sull’incipit senza aver letto il resto e senza la minima idea del contesto:
L’inizio è buono, arriva al punto con poco, la carta fungina intriga e fa porre domande.
L’indirizzo dell’appartamento mi ha fatto pensare: “Embè?”
Il paragrafo successivo fa abbastanza schifo: non avendo la più pallida idea di chi sia Finch, cosa faccia nella vita e soprattutto cosa faccia lì, l’”atto di volontà” suona orrido, e il “sempre” mi fa pensare che la difficoltà sia legata a quella specifica porta, nessun’altra nell’universo così difficile da attraversare. “Alcuni giorni erano peggio di altri”, sempre ignorando tutto il background, non vuol dire nulla.
Il paragrafo successivo l’ho letto tre volte (in inglese e altre tre in italiano) cercando di capire cosa esattamente voglia dire fino in fondo, non il senso delle singole parole ma lo scopo del paragrafo: senza sapere trama e storia di Finch, le possibilità sono troppe per essere un paragrafo apprezzabile.
I due paragrafi successivi non sono male. L’ultimo è un insieme di “Embè?” e “In che senso?”, dove la seconda domanda alla fin fine è positiva perché spinge a continuare a leggere per avere una risposta.

Leggendo il tuo commento e vedendo l’incipit inserito nel suo contesto, molti dubbi e perplessità si risolvono.
Restano due fatti: che come incipit non mi convince al 100%, ma le parti salvabili sono piuttosto sfiziose; e che il paragrafo sul collega, la scritta sul muro e “il peso della verità” a me fa schifo.
Tra l’altro, temo che in quarta di copertina non ti dicano che Wyte sta diventando un uomo-fungo, quindi il flash su di lui continua a non avere senso finché Finch non pensa più estesamente al collega, e magari uno in quel momento manco si ricorda del flash a pag 1 ;).
E poi “il peso della verità”… Dei, quanto sa di già sentito! Temo che faccia a gara solo col peso della colpa! O_o

#4 Comment By tasso barbasso On 23 ottobre 2010 @ 17:21

Non durante la prima stesura, ma in fase di editing, sì, sarebbe il caso di meditare su ogni singola parola.

Secondo te, in genere, la prima stesura di un incipit dovrebbe essere più curata rispetto alle altre parti del testo?
Vorrei anche chiederti un’opinione sull’ottimale punto di equilibrio (per così dire) tra accuratezza e rapidità in fase di prima stesura, ma forse preferisci che io posti la domanda (è piuttosto OT) sotto un altro articolo?

#5 Comment By Angra On 23 ottobre 2010 @ 18:17

E’ tipico sentire autori che si giustificano riguardo ai primi capitoli sostenendo che è normale che siano quelli peggio riusciti perché il romanzo è un’opera prima. Manca del tutto l’idea di revisione: la prima stesura è anche l’unica.

Per l’autore clueless, specialmente nel campo del fantasy, scrivere un romanzo significa inventarsi una storia supermegafantastica e buttarla giù in un italiano più o meno comprensibile. Poi spesso la storia è il fantasy #9132, ma basta non conoscere gli altri 9131 ed ecco che ti sembra originale.

La cosa strana è che questo atteggiamento, comprensibile nell’autore alle prime armi, riesce a superare le selezioni delle redazioni editoriali e la fase di editing per arrivare indenne fino agli scaffali delle librerie.

Senza scomodare un abominio come Arsalon, la nuova edizione de L’Acchiapparatti ha un incipit che fa cascare le braccia, da come è scritto coi pov a caso e i dialoghi alla come viene fino al tema non proprio originale del misterioso ninja nella taverna che fa fuori quattro mercenari ubriachi. Barbi dice di essersi impegnato tanto, lui e un esercito di editor superprofessionali, per ben due edizioni. Considerazioni come quelle che si trovano in questo articolo, su cosa rende efficace e cosa danneggia la scrittura, per tutti questi fior di Autori e Grandi Professionisti continua a sembrare fantascienza. Eppure giurano che loro ce la mettono tutta…

#6 Comment By Giuseppe Falvo On 23 ottobre 2010 @ 22:40

Azz… e io che ero mezzo intenzionato a comprare l’acchiapparatti prima o poi considerandolo uno dei pochi romanzi fantasy italiani che meritassero.

#7 Comment By Ylunio On 23 ottobre 2010 @ 22:43

Sono d’accordo con Zeros.
Anche a me l’incipit ha fatto più che altro storcere il naso e più o meno per gli stessi motivi.
Anch’io leggendo della porta avevo pensato proprio a *quella* porta, e non a un generale panico causato dal fatto di dover fare irruzione in un appartamento.
Poi non avevo pensato che l’uomo fosse sulla scena di un crimine finché non ha parlato di “pistola”. Fino a quel momento pensavo che fosse in ritardo per una riunione d’affari, o qualcosa del genere. Un appuntamento, forse.
La carta fungina non mi è sembrata strana, per il semplice fatto che non mi è sembrato fosse strana *per lui*, quindi leggendo ho avuto l’impressione che l’uomo fosse abituato ad avere fogli di carta fungina moribondi tra le mani.
In pratica avevo interpretato *male* queste prime righe.

Poi non vorrei azzardare una critica, ma, come ha detto anche Airon, credo che la tua analisi sia fortemente influenzata dal fatto che sai cosa succede dopo e hai già chiara in testa non solo la scena, ma anche la personalità del personaggio, il suo background e così via.
Io non ho idea di quale sia l’argomento del libro o di dove possa andare a parare.
Leggendo solo l’incipit le mie sensazioni sono queste.

#8 Comment By Gamberetta On 23 ottobre 2010 @ 23:47

@Airon.

Se leggessi la scena per la prima volta, senza quella frase, daresti lo stesso peso a quel gesto? Sapresti immaginartelo nel corretto contesto emotivo?

Non lo so. Ma in ogni caso quando le frasi sono troppo astratte/generiche si può far di meglio. Nel caso specifico secondo me il gesto della pistola sarebbe sufficiente, magari con maggiore enfasi (per esempio descrivendo le dita che stringono il calcio dell’arma e poi lo lasciano andare).
In ogni caso è come con gli avverbi o le sensazioni: se trovi scritto “Finch aveva paura”, puoi fare di meglio per definizione; c’è di sicuro una soluzione più elegante. Qui non è così palese, ma siccome è una frase troppo astratta, si può fare di meglio.

@zeros.

Parere sull’incipit senza aver letto il resto e senza la minima idea del contesto:

Ok, qui ho sbagliato io a non dare maggiori dettagli. Perché comunque non è che ti capita mai di leggere un incipit non sapendo assolutamente niente del romanzo. Due righe di trama o la quarta di copertina o almeno genere e sottogenere di solito li sai.

Tra l’altro, temo che in quarta di copertina non ti dicano che Wyte sta diventando un uomo-fungo, quindi il flash su di lui continua a non avere senso finché Finch non pensa più estesamente al collega, e magari uno in quel momento manco si ricorda del flash a pag 1 ;).

Ti dico come l’ho interpretata io quando l’ho letto. Ovviamente non sapevo niente di Wyte, il suo destino non è sulla quarta di copertina. Leggendo quella frase ho inteso che era stato scoperto a fare il doppio gioco o qualcosa del genere. Sbagliando. Però è così importante sapere il preciso significato di quel “compromesso”?
Qualunque sia il significato ha l’aria di una cosa importante, la reazione di Finch rimane bizzarra. Secondo me rende bene la confusione nella testa del personaggio (che infatti non sempre è molto lucido).

E poi “il peso della verità”…

In inglese è un poco meglio, l’ho messo così in italiano perché ogni altra traduzione era ancora più farraginosa (e già non scorre come nell’originale).

@tasso barbasso.

Secondo te, in genere, la prima stesura di un incipit dovrebbe essere più curata rispetto alle altre parti del testo?

No. Anche perché non è per niente detto che il primo capitolo o la prima scena con cui cominci una stesura saranno poi il primo capitolo o la prima scena a romanzo ultimato. Magari conviene andare a prendere un’altra scena più avanti, più d’impatto e usare quella.
Perciò è inutile preoccuparsi dell’incipit in prima stesura, ci si preoccupa durante l’editing.

Vorrei anche chiederti un’opinione sull’ottimale punto di equilibrio (per così dire) tra accuratezza e rapidità in fase di prima stesura, ma forse preferisci che io posti la domanda (è piuttosto OT) sotto un altro articolo?

Tanto non saprei come rispondere. Ognuno ha i suoi ritmi. In generale si cerca di scrivere senza interrompersi, lasciando che i pensieri diventino naturalmente parole. Se ti blocchi a controllare ogni paragrafo perdi il filo. Ma non è una “regola”, ognuno procede come gli pare.
Tanti per esempio prima di cominciare a scrivere fanno un primo editing veloce di quello scritto il giorno prima. Oppure lo fanno dopo aver terminato la sessione di scrittura.

La carta fungina non mi è sembrata strana, per il semplice fatto che non mi è sembrato fosse strana *per lui*, quindi leggendo ho avuto l’impressione che l’uomo fosse abituato ad avere fogli di carta fungina moribondi tra le mani.
In pratica avevo interpretato *male* queste prime righe

No, non hai interpretato male: per Finch la carta fungina è (quasi) normale. Ugualmente non ti sembra strana?
Se io scrivo: “Ieri tornando a casa ho comprato il giornale, ho appiattito un grobolone e poi sono passata al supermercato a fare la spesa.”
Non c’è nessuna sorpresa nel mio tono, ma tu non ti chiedi che diavolo sia un grobolone? Qui lo stesso, nonostante per Finch non sia gran cosa, non ti fa una strana impressione di leggere della carta fungina?
Se ti fa una strana impressione il passaggio funziona, perché appunto dovrebbe essere questo l’effetto cercato. In fondo parliamo di new weird. Se invece non hai nessuna reazione, VanderMeer non è stato efficace nello scrivere.

Io non ho idea di quale sia l’argomento del libro o di dove possa andare a parare.
Leggendo solo l’incipit le mie sensazioni sono queste.

Come risposto a zeros, colpa mia. Un minimo di informazioni le avrei dovuto fornire (quelle normali che ci si aspetta prima di leggere).

#9 Comment By Tapiroulant On 24 ottobre 2010 @ 18:33

@Angra: Già che citi l’Acchiapparatti… visto che Gamberetta ne aveva parlato discretamente bene (della prima versione), sono rimasto a lungo indeciso se procurarmelo o meno. Vale il tempo di lettura (se non i soldi che costa)?
Già mi sono scottato con Alice (Okamis! Hai tradito la mia fiducia!! ‘>.>), non vorrei scottarmi anche con l’Acchiapparatti.

(tornando un momento IT, faccio i miei complimenti a Gamberetta perché questa vivisezione d’incipit m’è piaciuta parecchio)

#10 Comment By zeros On 24 ottobre 2010 @ 19:30

Ti dico come l’ho interpretata io quando l’ho letto. Ovviamente non sapevo niente di Wyte, il suo destino non è sulla quarta di copertina. Leggendo quella frase ho inteso che era stato scoperto a fare il doppio gioco o qualcosa del genere. Sbagliando. Però è così importante sapere il preciso significato di quel “compromesso”?
Qualunque sia il significato ha l’aria di una cosa importante, la reazione di Finch rimane bizzarra. Secondo me rende bene la confusione nella testa del personaggio (che infatti non sempre è molto lucido).

Mah, ti dirò: io sono tutt’ora in dubbio se lo scambio Wyte-Finch è
“sono stato compromesso” (fisicamente, e diventerò un bell’ibrido fungino! Argh!)
“non ho un’opinione a riguardo” (ma poi prometterò di ucciderti prima che diventi del tutto fungo, tranquillo amico mio, l’atarassia è solo una maschera)
oppure
“penso che tu sia stato compromesso” (eticamente, sei troppo dalla parte di quegli schifosi funghi!)
“non ho un’opinione a riguardo” (ma farti un po’ i c***i tuoi, amico mio? Non prenderti a calci è solo la mia buona azione del giorno)
… ;)
Penso sia più la prima, ma vista la “sega mentale” sul tutti ribelli / tutti collaborazionisti, anche la seconda potrebbe starci… Qual è la giusta? (per curiosità personale)

Però è così importante sapere il preciso significato di quel “compromesso”?
Qualunque sia il significato ha l’aria di una cosa importante, la reazione di Finch rimane bizzarra.

Beh, lo dici tu stessa: ha l’aria di una cosa importante, ergo sarebbe bello capire cosa vuol dire e perché è importante. ;) (non a pagina 1, ovviamente, perché la cosa butterebbe nel cesso la suspance, ma entro pagina 50 o giù di lì :P)

Secondo me rende bene la confusione nella testa del personaggio (che infatti non sempre è molto lucido).

Nessun dubbio su questo, diciamo che ci aggiunge una nota di freddezza imperturbabile che stride con l’agitazione delle righe attorno.

In inglese è un poco meglio, l’ho messo così in italiano perché ogni altra traduzione era ancora più farraginosa (e già non scorre come nell’originale).

Hai ragione, chiedo venia, e sono d’accordo sulla difficoltà di traduzione. Però non so se “The truth in the weight of each” sia esattamente una frase che scorre… ^_^ Per stare sul tema del “no alle frasi troppo atratte e generiche”, non è una gran frase ;) Troppo astratta per i miei gusti, credo avrei preferito un pensiero più preciso, come un rozzo “Quanta verità in ste due frasi!”, che fa schifo ed è cafone, ma almeno va diritto al punto :P

#11 Comment By Enry On 24 ottobre 2010 @ 20:57

In altri termini: attenzione a non farsi depistare dai gusti. Il romanzo pieno di porcherie magari vi disgusta, ma lo stesso potrebbe insegnarvi di più sulla tecnica narrativa di un romanzo che vi piace scritto con i piedi.

Queste considerazioni mi hanno ricordato Gombrich quando scrive che l’opera d’arte non sta nel suo contenuto ma nel modo in cui riesce a trasmettere quel contenuto. E dal momento che la trasmissione del contenuto avviene attraverso la materia e la tecnica, entrambe risultano fondamentali per la comunicazione opera-spettatore. Secondo me questa comunicazione somiglia al rapporto scrittore-lettore, anche se nel caso specifico la materia sono le parole e la tecnica è quella narrativa. :)
Scusa lo spostamento di campo ma sono più ferrata in storia dell’arte… ;P

#12 Comment By Airon On 24 ottobre 2010 @ 20:57

L’Acchiapparatti è onesto. L’incipit è bruttino e farraginoso (non l’intero prologo, solo l’incipit), il libro in genere è accettabile, in alcuni punti forse un po’ ingenuo. A me piace il low fantasy e l’ho apprezzato.

#13 Comment By Angra On 24 ottobre 2010 @ 21:22

@Tapiroulant:
@Airon:

L’Acchiapparatti non l’ho letto tutto, solo il lungo estratto pubblicato su Linus. L’ho trovato scritto male, non solo l’incipit e non solo il prologo, ma tutto quanto l’estratto. Scritto male al di sopra della mia soglia di tollerabilità, oltre la quale non esiste storia tanto bella da ripagarmi il fastidio di leggerla scritta in quel modo. Se dovessi definire quel tipo di scrittura in una parola, direi impacciata.

La stessa cosa mi è successa con Alice di Dimitri. Lì l’aggettivo più appropriato sarebbe sgangherata.

#14 Comment By Tapiroulant On 24 ottobre 2010 @ 22:59

Alice per me è stato una grossa delusione, ed effettivamente ho fatto parecchia fatica a finirlo (certo più di quella che meritava).
Ho afferrato il concetto: l’Acchiapparatti rimarrà in libreria. Ci ripenserò quando potrò scaricarlo. Forse.

#15 Comment By Gamberetta On 25 ottobre 2010 @ 00:01

@zeros.

Penso sia più la prima, ma vista la “sega mentale” sul tutti ribelli / tutti collaborazionisti, anche la seconda potrebbe starci… Qual è la giusta? (per curiosità personale)

Penso si riferisca a Wyte fungo, anche perché è l’unica ragione della reticenza di quel “compromesso” invece di mettere in chiaro il concetto (infatti solo molto più avanti si scopre cosa sta succedendo a Wyte, prima ci sono solo indizi sul suo aspetto fisico, come gli altri poliziotti lo evitino, ecc.) Credo che VanderMeer volesse lasciare la curiosità di sapere cosa sta succedendo a Wyte.

Per stare sul tema del “no alle frasi troppo atratte e generiche”, non è una gran frase ;) Troppo astratta per i miei gusti, credo avrei preferito un pensiero più preciso, come un rozzo “Quanta verità in ste due frasi!”, che fa schifo ed è cafone, ma almeno va diritto al punto :P

Sì, in generale concordo, anche se qui non mi è suonata così fastidiosa, forse perché in inglese è molto più corta che in italiano; pare più naturale come commento.

Per quanto riguarda L’Acchiapparatti: ho letto la seconda versione ma prima che fosse svolto l’editing da BCD. È scritta meglio dell’originale Acchiapparatti di Tilos, e secondo me non è una scrittura così inadeguata da impedire il proseguimento della lettura. Certo devono interessare tema/ambientazione/personaggi (per i quali rimando alla recensione della prima versione, la trama non è cambiata). Se non c’è interesse in quello la qualità della scrittura non è sufficiente da sola a spingere a proseguire.

Alice quasi sicuramente lo recensirò (ma non so bene quando, questi articoli che vedete adesso sui Gamberi si basano su appunti vecchi e ho ancora un paio di articoli pronti, poi non so quando avrò di nuovo tempo), e perciò preferisco non fare anticipazioni. A parte di non spendere i soldi ché non vale la pena.

#16 Comment By Angra On 25 ottobre 2010 @ 11:12

@Gamberetta:

non dico che l’Acchiapparatti sia scritto in modo orribile, però è anche lontano da [...]ogni singola parola ha un peso. Ogni singola parola va meditata.

Se ogni singola parola è stata meditata, allora mancavano comunque strumenti adeguati per avere un risultato soddisfacente, mentre i miei 18 euro e 50 sono fatti proprio a regola d’arte, e io non do 18 euro e 50 fatti a regola d’arte in cambio di un romanzo scritto così così! ^___^

#17 Comment By DagoRed On 25 ottobre 2010 @ 12:21

Gamberetta, mi daresti un’opinione sull’incipit di uno dei miei libri preferiti? Non ti dico il titolo, tanto è (credo) inconfondibile:

Mostra spoiler ▼

E -se non tedio troppo- anche su quest’altro incipit, di uno dei libri di Sven Hassel:

Mostra spoiler ▼

#18 Comment By Tapiroulant On 25 ottobre 2010 @ 17:50

A parte di non spendere i soldi ché non vale la pena.

Sapevo che l’avresti detto ^-^

Comunque penso che per L’Acchiapparatti aspetterò, diciamo, prezzi migliori. Il tuo commento positivo mi ha riacceso un po’ di curiosità. Molto più probabile invece che legga Finch (prima o poi <_<')

#19 Comment By Mauro On 25 ottobre 2010 @ 18:01

“Macchia rossa su un cerchio floscio di carta fungina verde, che fra pochi minuti si sarebbe contorta in una massa viscida”: Red smear on a limp circle of green fungal paper that had minutes before squirmed clammy non dovrebbe essere “Macchia rossa su un cerchio floscio di carta fungina verde, che pochi minuti prima si era contorta in una massa viscida”?

#20 Comment By Feleset On 25 ottobre 2010 @ 18:23

Oddio, sarà che è un po’ che non leggo un fantasy, ma ho faticato molto a capire la parte del messaggio che spariva. Colpa mia, istintivamente mi è venuto da pensare a un thriller o a un noir, quindi pensavo che quella cosa del messaggio fosse una specie di metafora e non ci avevo capito niente.

A me quell’incipit sembra buono, però io sinceramente non ho molto in simpatia le frasi descrittive senza verbo, quindi la prima frase non mi invogliava a proseguire (solo per quel motivo, non per altro).

#21 Comment By Gamberetta On 25 ottobre 2010 @ 18:55

@DagoRed. Come ti ho già spiegato una volta, usa gli spoiler solo se sono effettivamente spoiler. Tanti, me compresa, seguono i commenti via feed e non si vedono gli spoiler nel feed. Grazie.

Poi, io non conosco bene Hassel o Rigoni Stern o altri scrittori che si sono dedicati alla seconda guerra mondiale. Perciò il mio parere lascia il tempo che trova. Tu evidentemente sei appassionato di questo genere di romanzi; bene, gli incipit che hai riportato ti invogliano alla lettura? Se sì, funzionano. Se no, no.
Dopodiché nessuno dei due è scritto in maniera scandalosa, lascio ulteriori giudizi a chi se ne intende del genere.

@Mauro. Dici che è come se ci fossero le virgole? “fungal paper that had, minutes before, squirmed clammy”.
Uhm, può anche darsi. Se è così, senza virgole è veramente una costruzione balorda, perché non scrivere: “fungal paper that minutes before had squirmed clammy”? Boh.

#22 Comment By tasso barbasso On 25 ottobre 2010 @ 19:21

@Gamberetta.

Se è così, senza virgole è veramente una costruzione balorda, perché non scrivere: “fungal paper that minutes before had squirmed clammy”?

Forse perche’, come dice il suo collega americano, usa la punteggiatura in maniera un po troppo… moderna?

#23 Comment By Mauro On 25 ottobre 2010 @ 19:58

Gamberetta:

Dici che è come se ci fossero le virgole? “fungal paper that had, minutes before, squirmed clammy”

L’impressione che mi ha dato è quella, e si lega bene col fatto che was dying; mi sono immaginato la scena come “ora è diventato un affare viscido, sta morendo”.
Sul perché della costruzione… non so se in Inglese in un simile caso siano obbligatorie le virgole (in Italiano è ammissibile senza: “che pochi minuti prima si era” invece di “che, pochi minuti prima, si era”. In caso, magari non le ha messe per accompagnare la stranezza della scena? Pura ipotesi, ovvio.

#24 Comment By Akenathon On 26 ottobre 2010 @ 07:59

Sto leggendo Finch e devo dire che é duro. Leggo e scrivo normalmente in Inglese e devo dire che faccio fatica. Sono un sostenitore delle frasi corte e del non spiegare tutto ma credo che le frasi senza un verbo (vedi l’incipit) sono un pesce in faccia al lettore. Va bene la licenza poetica pero… In quanto ai pensieri del personaggio tipo “alcuni giorni erano peggio di altri” sono fumosi e non evocativi. Non conosco Finch sto cominciando a conoscerlo non so nulla della sua storia e delle sue motivazioni buttarmi dentro la testa senza un minimo di background mi genera confusione e non curiositá. Per caritá non voglio un paragrafo dell’enciclopedia britannica che me lo spieghi tutto, pero si puó costruire la frase come giá ha fatto gamberetta rendendola un po´piú chiara al lettore.
Meno originale? Forse. Ma molto piú fruibile. Non dimentichiamoci che il lettore vuole diversione. Se io devo leggere un libro tornando indietro sulle frasi a rileggerle cercando di sviscerarne il senso e i contenuti mi stanco e lascio giú il libro e mi leggo un lavoro scientifico, tanto lo sforzo é lo stesso ma per lo meno per il secondo mi pagano. Senza contare che se si aggiunge che la storia non mi sembra al momento superpazzesca mi resta un po’ di amaro in bocca pensando che alla fine tutto sia un vuoto esercizio di stile: Guarda come sono gnokko scrivo senza verbi! Ci metto dentro i funghi parlanti! Pazzeschissimo! Va bene le regole che sono sacrosante e ci vogliono eccome, peró attenti a non trasformarsi in tanti Capuana
del fantastico. Luigi Capuana era il teorico del verismo (da come scriverlo a cosa scrivere) ma i suoi romanzi lasciavano il tempo che trovavano. La storia conta, eccome se conta!
Ciao

#25 Comment By Akenathon On 26 ottobre 2010 @ 08:12

Questo é un gran incipit:

The sky above the port was the color of television, tuned
to a dead channel.
“It’s not like I’m using,” Case heard someone say, as he
shouldered his way through the crowd around the door of the
Chat. “It’s like my body’s developed this massive drug defi-
ciency.” It was a Sprawl voice and a Sprawl joke. The Chatsubo
was a bar for professional expatriates; you could drink there
for a week and never hear two words in Japanese.
Ratz was tending bar, his prosthetic arm jerking monoto-
nously as he filled a tray of glasses with draft Kirin. He saw
Case and smiled, his teeth a web work of East European steel
and brown decay. Case found a place at the bar, between the
unlikely tan on one of Lonny Zone’s whores and the crisp naval
uniform of a tall African whose cheekbones were ridged with
precise rows of tribal scars. “Wage was in here early, with two
Joe boys,” Ratz said, shoving a draft across the bar with his
good hand. “Maybe some business with you, Case?”
Case shrugged. The girl to his right giggled and nudged
him.

Neuromancer, William Gibson.

#26 Comment By Uriele On 26 ottobre 2010 @ 09:44

@ Akenathon: è sempre stato un incipit sopravvalutato. Tutta la prima parte, fino all’arrivo di Armitage è di una noia mortale (poi ingrana, e ingrana bene, la scena dei telefoni che suonano è una delle mie preferite; il Flatline e le ROM mi hanno fatto impazzire, per non parlare del Kuang Grade Mark Eleven). Siamo onesti, se non avessi saputo nulla del romanzo, lo avresti preso dall’incipit? (io l’ho letto perché mi era stato caldamente consigliato da alcuni amici, e li ringrazio ancora, ma se fosse stato di pinco pallo e avessi letto per caso le prime pagine, lo avrei lasciato lì). Non ti intriga di più un incipit come questo:

They sent A SLAMHOUND on Turner’s trail in New Delhi, slotted it to his pheromones and the color of his hair. It caught up with him on a street called Chandni Chauk and came scrambling for his rented BMW through a forest of bare brown legs and pedicab tires. Its core was a kilogram of recrystallized hexogene and flaked TNT.
He didn’t see it coming. The last he saw of India was the pink stucco facade of a place called the Khush-Oil Hotel.
Because he had a good agent, he had a good contract. Because he had a good contract, he was in Singapore an hour after the explosion. Most of him, anyway The Dutch surgeon liked to joke about that, how an unspecified percentage of Turner hadn’t made it out of Palam International on that first flight and had to spend the night there in a shed, in a support vat.
It took the Dutchman and his team three months to put Turner together again. They cloned a square meter of skin for him, grew it on slabs of collagen and shark-cartilage polysaccharides They bought eyes and genitals on the open market The eyes were green.
He spent most of those three months in a ROM-generated simstim construct of an idealized New England boyhood of the previous century. The Dutchman’s visits were gray dawn dreams, nightmares that faded as the sky lightened beyond his second floor bedroom window You could smell the lilacs, late at night. He read Conan Doyle by the light of a sixty-watt bulb behind a parchment shade printed with clipper ships He masturbated in the smell of clean cotton sheets and thought about cheerleaders. The Dutchman opened a door in his back brain and came strolling in to ask questions, but in the morning his mother called him down to Wheaties, eggs and bacon, coffee with milk and sugar.

- Count Zero, William Gibson

Cosa diavolo è uno Slamhound? Che diavolo di lavoro stava facendo Turner? Cos’è questa strana “poliza” contro gli infortunei? Occhi e genitali comprati al mercato?
Alla fine ho preferito Neuromante (in Count Zero, la storia della gallerista non è che sia entusiasmante e Wintermute è una grande AI), però come incipit ho sempre preferito questo: mi butta nell’azione ed eccita la mia immaginazione, immergendomi da subito nella storia. Un incipit che mi vende il libro

#27 Comment By Paolo S On 26 ottobre 2010 @ 12:46

Bello l’articolo, interessante la discussione. Una nota per Gseck – certo che “Chiamami Ismaele” fa fare un gran balzo dentro la storia, non ci avevo mai pensato! Chiamatemi lo dice un fantasma evocato da un medium o un attore sul palcoscenico, Chiamami lo dice il marinaio che hai incontrato nella taverna, cui hai appena offerto una birra in cambio della storia che ha promesso di raccontarti, e che riprende dalla frase successiva. Chapeau al vecchio Melville :)

#28 Comment By Akenathon On 26 ottobre 2010 @ 13:13

@ uriele
Non sono ovviamente d’acordo. A me L’incipit di Neuromante mi mette immediatamente nel “mood” del romanzo quello di Count Zero mi fa pensare “ma che caz…!”Ma d’altronde qua siamo giá a livello dei gusti personali. Si lo avrei letto dall’incipit perché quell’incipit é uno dei mie favortiti. Ma anche count zero mi é piaciuto anche se nettamente inferiore a Neuromancer. Non penso che l’incipit di Neuromancer sia sopravvalutato. Solo perché lo dicono in tanti non significa che sia automaticamente brutto. Per me Neuromante é un capolavoro. Gibson non ha mai piú scritto niente al livello e con quella forza a parte un paio di racconti.
Saluti

#29 Comment By Uriele On 26 ottobre 2010 @ 13:47

@Akenathon: gusti personali, lo so. Nel complesso ho preferito Neuromante, ma ti giuro che ho fatto davvero fatica a superare lo scoglio della prima parte (mio fratello me l’ha risbattuto in faccia dicendo “cos’è questa stronzata”). Ha incominciato a prendermi pesantemente dopo il reclutamente di Chase e del suo nuovo fegato. Poi, come ha detto Gamberetta prima, se tu mi dici “Il cielo sopra il porto aveva il colore di un televisore sintonizzato su un canale morto”, mi scende un brivido lungo la schiena :)

#30 Comment By Gamberetta On 26 ottobre 2010 @ 14:37

@Akenathon. Onestamente non ho trovato VanderMeer così ostico. Per me è risultato più facile da leggere di Swanwick o Miéville o John Crowley.

A parte questo, l’incipit di Neuromancer è così così.
Posso essere d’accordo che crea un certo “mood”, ma se un lettore è neutro (non apprezza né disgusta quel tipo di “mood”) secondo me non è particolarmente invogliato.
Cominciare un romanzo con il cielo non è che sia il massimo, anche se bisogna dare atto a Gibson di aver azzeccato la similitudine. Forse. Nel senso, la frase rimane impressa, ma se il romanzo fosse stata una boiata secondo me quella similitudine sarebbe stata presa a modello del come non si scrive, alla stregua di:

It was a dark and stormy night;

E in ogni caso, anche considerando buono il colore del cielo*, io trovo sia più efficace per esempio:

I always get the shakes before a drop.

Subito un personaggio e subito una situazione di tensione.

===
* Certe volte penso che passando dalla similitudine alla metafora sarebbe venuto meglio:

Il cielo sopra il porto era un televisore sintonizzato su un canale morto.

#31 Comment By Akenathon On 26 ottobre 2010 @ 15:02

@ gamberetta
Finch lo trovo faticoso, non scorre, per farti una similitudine é come un videogioco quando la scheda video non ce la fa: si blocca, riparte, salta un paio di frames si riblocca… Riesci a seguire il gioco peró che fatica… Uhf. Forse tra qualche anno lo rileggo e penso “come ha fatto a non piacermi?”. Sará che leggo la sera prima di dormire perché durante il giorno ho ben poco tempo per leggere e magari ho sempre troppo sonno… Swanwick l’ho trovato piú facile da degluttire. La Mieville mi fa venire voglia di cavarmi gli occhi con un cucchiaio… l’incipit di Neuromancer a me piace veramente tanto e quella frase iniziale mi ha sempre messo un brivido lungo la schiena peró nel senso buono… anche se in effetti suona esattamente come era una notte buia e tempestosa…. Anche quello di starship troopers é bellissimo (adoro quel romanzo) come d’altronde a me piace anche “In a hole in the ground there lived a hobbit.”
Come on, you apes! You wanta live forever?

#32 Comment By DaoRed On 26 ottobre 2010 @ 17:12

@Gamberetta: chiedo scusa per la questione degli spoiler. Era passato un po’ di tempo e mi ero dimenticato del problema. Normalmente in forum e blog ho l’abitudine di mettere sotto spoiler i testi lunghi per non appesantire il post e non affaticare la vista di chi legge.

#33 Comment By Doc.Herbert West,M.D. On 27 ottobre 2010 @ 01:25

Se un autore sta scrivendo una parodia,secondo me può lasciar stare almeno alcune delle regole che fanno un buon incipit.
Casomai io incominciassi una storia con

” Era una notte buia e tempestosa ”

tipo Snoopy,per esempio,è una caduta nel grottesco troppo lampante per non poter essere voluta!
Però il mio lavoro dovrebbe essere comunque un’ opera ‘tongue-in-cheek’ per reggere il gioco,perché con le parodie esplicite à la Aerosol già la cosa non si terrebbe più…

#34 Comment By ??? On 9 novembre 2010 @ 15:11

Ecco l’incipit de “Il cimitero di Praga” del “grande” Umberto Eco:

Il passante che in quella grigia mattina del marzo 1897 avesse attraversato a proprio rischio e pericolo place Maubert, o la Maub, come la chiamavano i malviventi (già centro di vita universitario nel Medioevo, quando accoglieva la folla degli studenti che frequentavano la Facoltò delle Arti nel Vicus Stramineus o rue du Fouarre, e più tardi luogo dell’esecuzione capitale di apostoli del libero pensiero come Etienne Dolet), si sarebbe trovato in uno dei pochi luoghi di Parigi risparmiato dagli sventramenti del barone Haussmann, tra un groviglio di vicoli maleodoranti, tagliati in due settori dal corso della Bièvre, che laggiù ancora fuoriusciva da quelle viscere della metropoli dove da tempo era stata confinata, per gettarsi febbricitante, rantolante e verminosa nella vicinissima Senna.

120 parole = 1 FRASE
Azioni = nessuna
PDV = narratore
Infodump = presente, fra l’altro tra parentesi

WTF?
32 Lauree Honoris Causa e scrive così da cani?

A ‘sto tizio lo “stile” di Manzoni gli fa una s@%a.

Ah professò: PRRRRR!

Per chi volesse torturarsi: il libro è disponibile GRATIS su Gigapedia.

#35 Comment By Gamberetta On 9 novembre 2010 @ 15:37

@???. Considerata l’età può essere demenza senile. Oppure è apposta un’imitazione di un pessimo romanzo per qualche ragione inerente alla storia. Se è serio c’è da piangere.

Per chi fosse interessato, il libro si trova anche su emule:
iPBook ITA 0257 Eco Umberto - Il Cimitero di Praga  [by ISG].rar (10.523.338 bytes)

#36 Comment By Airon On 9 novembre 2010 @ 19:38

Beh ma attenzione: mica tutti i romanzi vogliono fiondarti nell’azione e farti sentire “lì presente”. Quella è una caratteristica di buoni romanzi “d’azione” (in senso lato), in cui si vuole far sentire il lettore partecipe.

Prendete l’incipit dello Hobbit

In una caverna sotto terra viveva uno Hobbit. Non era una caverna brutta, sporca, umida, pieni di resti di vermi e di trasudo fetido, e neanche una caverna arida, spoglia, sabbiosa, con dentro niente per sedersi o da mangiare: era una caverna hobbit, cioè comodissima.
Aveva una porta perfettamente rotonda come un oblò dipinto di verde, con un lucido pomello d’ottone proprio nel mezzo. la porta si apriva su un ingresso a forma di tubo, come un tunnel: un tunnel molto confortevole, senza fumo, con pareti foderate di legno e pavimento di piastrelle ricoperto di tappeti, fornito di sedie lucidate, e di un gran numero di attaccapanni per cappelli e cappotti: lo hobbit amava molto ricevere visite.

Se lo valutiamo con gli stessi criteri con cui Gamberetta ha valutato quello dei Promessi Sposi, fa pena. Una lunga immensa infinita descrizione.

Però lo reputo un ottimo incipit: questo perchè Tolkien non cerca di catapultarti lì di fianco a Bilbo, bensì evoca l’immagine di un nonno che si siede a fianco del tuo letto e inizia a dipingerti un mondo di fiaba. Tutto il tono del romanzo è così: forse non ti senti lì a fianco di Bilbo, ma la sensazione di questo narratore dalla voce calda e dal linguaggio fiabesco è ugualmente appagante.

Quindi attenzione: valutare con i paramentri qui descritti da Gamberetta è un modo ottimo di approcciarsi a romanzi simili come tono ed intento. Ma ci sono romanzi che sono godibili in altro modo (nei Promessi Sposi la descrizione infinita è condita da linguaggio stucchevole che lo rende in effetti pesantissimo). Le descrizioni dinamiche sono un punto fondamentale della scrittura moderna: ma se voleste scrivere una fiaba come lo Hobbit sarebbero fuori tono.

Ora, non so il tono con cui Eco vuole portare avanti il suo romanzo, ma mi sembra eccessivo criticarlo così, non essendo certo il suo stile comparabile a quello di una speculative fiction.
Con questo non voglio difendere a tutti i costi Eco. Voglio solo esprimere la mia opinione che certi paramentri non si applicano a tutti i romanzi ed incipit.

#37 Comment By Il Guardiano On 9 novembre 2010 @ 20:20

A me “Lo Hobbit” non è piaciuto eppure quell’incipit mi sembra buono perché Lo Hobbit vuole sembrare più una favoletta per bambini che un romanzo alla “Signore degli Anelli”.

#38 Comment By Gamberetta On 9 novembre 2010 @ 22:40

@Airon.

Però lo reputo un ottimo incipit: questo perchè Tolkien non cerca di catapultarti lì di fianco a Bilbo, bensì evoca l’immagine di un nonno che si siede a fianco del tuo letto e inizia a dipingerti un mondo di fiaba. Tutto il tono del romanzo è così: forse non ti senti lì a fianco di Bilbo, ma la sensazione di questo narratore dalla voce calda e dal linguaggio fiabesco è ugualmente appagante.

Hai ragione. Ma questa “voce calda” da nonnetto, che pure può piacere, è, dal punto di vista della narrativa, una mezza schifezza. Vedi l’altrove citato articolo di Moorcock.
D’altra parte sia Tolkien sia Eco per quanto riguarda la narrativa sono dei dilettanti. Non si può pretendere troppo.

#39 Comment By ??? On 9 novembre 2010 @ 23:54

@ Airon

Capisco quel che intendi, ma qui io sento puzza del Grande Scrittore Artista con un Botto di Cultura che deve vomitarmi informazioni.

Stile Merd Dan Brown, per capirci.

Prima ho scritto che l’infodump era tra le parentesi, ma in effetti e tutta una serie di info e basta.

#40 Comment By Murasaki On 10 novembre 2010 @ 00:41

Per quanto riguarda Eco, il suo inizio è una parodia voluta, o forse una citazione, di un certo modo di iniziare un certo tipo di romanzi scadenti a fine Ottocento – che lui ha studiato per anni e letto a vagonate. Diciamo una specie di parodia, o pastiche o come accidente si chiamano, e per un lettore che conosce abbastanza la letteratura dell’Ottocento, compresa quella andante, è un inizio che dice molte cose.
Come dite? Vi sembra pesante?
Ehm. Sì, lo è, ma non solo per libera scelta dell’autore. Eco ha sempre avuto un gusto tutto suo per gli incipit goffi, nei romanzi.

#41 Comment By Tom On 10 novembre 2010 @ 01:33

Sull’incipit di Eco.
Va bene, può anche essere una scelta voluta. A me non piace, ma posso capire che una persona con la sua cultura letteraria voglia giocare con lo stile e proporre qualcosa che richiami i volumoni del passato.
Questo, però, fa sì che una grande fetta di pubblico si addormenti dopo poche righe e io non voglio credere che Eco non ne sia consapevole.
Sta forse scrivendo di proposito perché siano solo i suoi “pari” ad apprezzare?

Su Tolkien.
Sono d’accordo sul fatto che per alcuni tipi di storia uno stile come quello de Lo Hobbit funzioni.
Almeno per quanto riguarda me, quel tipo di descrizioni a sé stanti creano un senso di familiarità. Mi portano nel mondo della storia perché me lo dipingono davanti, ancora prima di presentare le vicende. Probabilmente io sono un’eccezione, però, e immagino che altri lettori non si interessino ai dettagli del mondo di cui stanno leggendo.
Io credo, tra l’altro, che questo sia sempre stato il limite di Tolkien: è un glottoteta e un “creatore di mondi”, non un narratore (per sua stessa ammissione). A lui interessava più creare un mondo articolato che inventare e raccontare vicende “da vicino”. È questa la sensazione che ho avuto leggendo ISDA, con la sua narrazione distaccata e impersonale, quasi un resoconto storico (ripeto, almeno per me). Alla fine, ISDA mi ha annoiato e devo ammettere di aver letto con molto più interesse le appendici, dato che lì non si stava sforzando di narrare. Ecco, forse è per questo che l’incipit de Lo Hobbit (e la nota introduttiva de ISDA, “A proposito degli Hobbit”) è piacevole nonostante le lunghe descrizioni: Tolkien scrive ciò che gli interessa e a cui probabilmente aveva dedicato molto più tempo che non a Frodo che si scarrozza il giardiniere verso l’Afghanistan.

#42 Comment By Airon On 10 novembre 2010 @ 10:25

Hai ragione. Ma questa “voce calda” da nonnetto, che pure può piacere, è, dal punto di vista della narrativa, una mezza schifezza. Vedi l’altrove citato articolo di Moorcock.
D’altra parte sia Tolkien sia Eco per quanto riguarda la narrativa sono dei dilettanti. Non si può pretendere troppo.

Aspetta: mi dai ragione sul fatto che la voce calda da nonnetto sia piacevole, ma poi dici che narrativamente è una mezza schifezza. Non capisco.
Lo scopo di un romanzo è quello di piacere, non di rientrare in canoni prestabiliti di narrativa. Detti canoni servono, in genere, per scrivere un romanzo piacevole, ma se uno riesce a uscirne e comunque creare qualcosa di gradevole, non è che ha scritto una schifezza narrativa che, per qualche motivo arcano, funziona; ha scritto una cosa bella in modo non convenzionale.

Posso capire che a te non piaccia il nonno-narratore, ma non lo vedo come una schifezza “oggettiva” come quelle che critichi sui POV nelle recensioni negative etc…

@ Airon

Capisco quel che intendi, ma qui io sento puzza del Grande Scrittore Artista con un Botto di Cultura che deve vomitarmi informazioni.

Stile Merd Dan Brown, per capirci.

?
Anche qui, non capisco. Se l’incipit (e la storia nel suo complesso) funziona, perchè devi sentire questa puzza?
Dan Brown lo fa con malagrazia in un thriller in cui la nozioncina c’entra come Pan di Stelle sulla pizza; Tolkien lo fa con coscienza, abilità e tempismo in una fiaba. Mi sembra non si possano valutare allo stesso modo.

Su Tolkien.
Sono d’accordo sul fatto che per alcuni tipi di storia uno stile come quello de Lo Hobbit funzioni.
Almeno per quanto riguarda me, quel tipo di descrizioni a sé stanti creano un senso di familiarità. Mi portano nel mondo della storia perché me lo dipingono davanti, ancora prima di presentare le vicende. Probabilmente io sono un’eccezione, però, e immagino che altri lettori non si interessino ai dettagli del mondo di cui stanno leggendo.
Io credo, tra l’altro, che questo sia sempre stato il limite di Tolkien: è un glottoteta e un “creatore di mondi”, non un narratore (per sua stessa ammissione). A lui interessava più creare un mondo articolato che inventare e raccontare vicende “da vicino”. È questa la sensazione che ho avuto leggendo ISDA, con la sua narrazione distaccata e impersonale, quasi un resoconto storico (ripeto, almeno per me). Alla fine, ISDA mi ha annoiato e devo ammettere di aver letto con molto più interesse le appendici, dato che lì non si stava sforzando di narrare. Ecco, forse è per questo che l’incipit de Lo Hobbit (e la nota introduttiva de ISDA, “A proposito degli Hobbit”) è piacevole nonostante le lunghe descrizioni: Tolkien scrive ciò che gli interessa e a cui probabilmente aveva dedicato molto più tempo che non a Frodo che si scarrozza il giardiniere verso l’Afghanistan.

è esattamente la stessa impressione che ho avuto io. La storia è quasi un pretesto per prenderti per mano e portarti a spasso nel suo mondo.

nello Hobbit funziona benissimo, storia leggera dai toni fiabeschi.
Nel SdA un po’ meno, a mio parere, questa infinita saga epica tende a tirarti fuori dagli stracci, anche se ci sono alcuni momenti indubbiamente esaltanti sepolti qua e là.

Probabilmente è per questo che il Silmarillion è tanto apprezzato (io non lo reggo, abbandonato ad 1/3): un resoconto stile Bibbia, è esattamente ciò che Tolkien ha nelle sue corde.

#43 Comment By Gamberetta On 10 novembre 2010 @ 11:32

@Airon. Un romanzo di genere non deve essere piacevole. O meglio, a fine lettura magari potrai definire l’intera esperienza come “piacevole”, durante no. Con un racconto d’orrore devi avere paura, con un romanzo di guerra devi sentire l’adrenalina della battaglia, con un romanzo erotico devi eccitarti e così via. Se leggo narrativa fantastica voglio sense of wonder; è difficile ottenerlo quando è marcata la presenza del narratore – con gli inevitabili effetti sull’immersione –, specie quando il narratore ha la voce calda del nonno.
Poi puoi dirmi, con Tolkien, che lo scopo del fantasy è invece consolatorio, e allora va bene il nonnetto. Io però se quel nonnetto lo incontro lo ammazzo di botte. ^_^

#44 Comment By Tapiroulant On 10 novembre 2010 @ 11:47

Mi inserisco brevemente nella discussione su Tolkien.

Globalmente Lo Hobbit non m’è piaciuto; pochi momenti memorabili annegati in una marea di noia, infantilismo e superficialità. La guerra dei cinque popoli o come diavolo si chiama, alla fine del libro, mi ha fatto vomitare.
Ciononostante l’incipit è un buon incipit. Comincia con una frase breve che in un colpo solo ti immerge nell’ambientazione, ti nomina il protagonista, e ti comunica il mood ‘confidenziale’ della storia. Le frasi successive ampliano e specificano tutto quello che ti ha trasmesso la prima frase (approfondisce l’ambientazione, dipinge le abitudini del protagonista, e continua a immergerti nel mood della storia), invitandoti a continuare la lettura.
Quello di Lo Hobbit è oggettivamente un buon incipit. Qui la posizione di Gamberetta mi sembra ideologica, e devo dare ragione ad Airon. Confonde un suo gusto personale (non le piace il tono da Narratore Confidenziale) con un errore oggettivo.
Porta a dimostrazione del fatto l’articolo di Moorcock; ma se lo fa, forse è perché non ha capito bene cosa Moorcock stia dicendo. Moorcock non contesta tanto lo stile, quanto piuttosto l’ideologia che sta dietro allo stile; Moorcock si scaglia contro la mentalità perbenista piccolo-borghese di Tolkien e del pubblico di Tolkien. E’ una critica all’uomo, alle idee; non è una critica strettamente letteraria.
Ora ve lo dimostro.
Consideriamo uno scrittore completamente agli antipodi da Tolkien come modo di vivere; un Philip Dick, ad esempio, che odia il mondo borghese, che ha trasformato la sua casa in una comune di tossici e disgraziati, fatto come un cavallo per la maggior parte del tempo, e che scrive romanzi che mettono a disagio, che mettono in dubbio tutto, che mettono anche angoscia a volte. Ora, immaginiamo che Dick a un certo punto faccia un esercizio di stile, e componga un romanzo nello stile de Lo Hobbit. Ora: le critiche di Moorcock sarebbero applicabili a questo libro, o a Dick? No. Dunque le critiche di Moorcock non si riferiscono allo stile del romanzo ma a quello che sta dietro al romanzo. Di conseguenza, non si può dire che il tono dell’incipit de Lo Hobbit sia oggettivamente uno schifo sulla base dell’articolo di Moorcock.

Detto questo, non vedo nemmeno molti punti in comune tra l’incipit de Lo Hobbit e quello del Cimitero di Praga. Il primo comincia con una frase breve e lineare, che poi viene approfondita da frasi successive, mentre il secondo è un periodo lunghissimo che confonde più di quanto non chiarisca; il primo ci parla del protagonista attraverso l’ambientazione, il secondo ci ha descritto solo un luogo; il primo ci fa vedere la casa e ci fa immaginare le abitudini dell’hobbit, il secondo è un grosso infodump difficile da tradurre in immagini; il primo ha uno stile caldo e bonario, il secondo un tono didascalico da vecchio romanzo.
Non si assomigliano per niente.

#45 Comment By Tapiroulant On 10 novembre 2010 @ 11:55

@Gamberetta: Una precisazione! Ho scritto il mio post mentre tu scrivevi il tuo, quindi non avevo ancora letto la tua ultima replica.

Ciononostante secondo me hai torto.
Lo Hobbit è una declinazione molto particolare di fantasy, praticamente è una fiaba. Come tale, non vuole né ti propone sensazioni analoghe a quello che potrebbe darti Cuore d’acciaio, o la Canzone del ghiaccio e del fuoco, eccetera. Al contrario, lo stile di Lo Hobbit mi sembra molto onesto: chiarendoti fin dalla prima frase qual’è il mood di tutto il romanzo, fa subito capire al lettore se può interessargli o no.
Quell’incipit è come se dicesse al lettore: “Guarda, io voglio raccontare una storia così e così, se l’idea non ti piace, chiudilo e mettilo via, se ti piace, hai un’idea di cosa puoi aspettarti”.

#46 Comment By Airon On 10 novembre 2010 @ 12:38

Lo Hobbit è una declinazione molto particolare di fantasy, praticamente è una fiaba. Come tale, non vuole né ti propone sensazioni analoghe a quello che potrebbe darti Cuore d’acciaio, o la Canzone del ghiaccio e del fuoco, eccetera. Al contrario, lo stile di Lo Hobbit mi sembra molto onesto: chiarendoti fin dalla prima frase qual’è il mood di tutto il romanzo, fa subito capire al lettore se può interessargli o no.
Quell’incipit è come se dicesse al lettore: “Guarda, io voglio raccontare una storia così e così, se l’idea non ti piace, chiudilo e mettilo via, se ti piace, hai un’idea di cosa puoi aspettarti”.

Questo è esattamente il mio punto.
Che a Gamberetta piaccia il sense of wonder, il weird, la telecamera vicina è appurato, e fa benissimo il suo mestiere nel recensire romanzi con quei canoni. Ma non puoi applicarli a tutti i romanzi pedissequamente e senza spirito critico (verso i criteri stessi, spirito critico verso i romanzi ne ha a palate).

Ecco, forse un articolo interessante potrebbe essere un’analisi del concetto “romanzo di genere” – che ha accennato in “riassunto delle puntate precedenti” distinguendolo da literary fiction.

* * *

sulla differenza incipit Eco – Tolkien posso essere d’accordo; non volevo difendere Eco ma porre l’attenzione sulla non-universalità di certi criteri.

#47 Comment By Il Guardiano On 10 novembre 2010 @ 13:10

Se Lo Hobbit iniziasse con un “C’era una volta” non mi stupirei affatto.
Il tono è proprio qullo della Fiaba “sciocca” (non capitemi male) per bambini con tanto di avventure sciocche coi Cattivoni Stupidoni, col Draghetto Ritardato e il Re degli Elfi Sempliciotto.
E quando sento dire: Si ma il target è per bambini, mi incazzo perché un romanzo banale e scritto male non è un romanzo per bambini.
Lo Hobbit invece, a mio avviso, ci rientra tutto; e cosa c’è di meglio del Nonnetto Narratore per dei bambini?
Ripeto, Lo Hobbit non mi è piaciuto ma è scritto bene, compreso l’incipit.

#48 Comment By Tapiroulant On 10 novembre 2010 @ 13:12

@Airon: Voglio precisare una cosa.
Le discussioni attorno alle definizioni non mi interessano. Gamberetta può anche dire che lo scopo preciso del fantasy è quello di generare sense of wonder; in tal caso, non ho nessun problema a dire: “Allora Lo Hobbit non è fantasy”. Possiamo prendere un insieme X, definirlo come l’insieme di tutte le storie in cui il narratore ti prende per mano come un nonnino e ti mostra il suo mondo, e metterci dentro Lo Hobbit. Possiamo chiamare questo insieme “Fiaba”, “Fairy Tale”, “Gattomatto” o come vogliamo. Oppure possiamo prendere l’insieme chiamato Fantasy, sezionarlo, e dire: “Questo sottoinsieme di Fantasy è l’insieme di tutte le storie in cui l’autore vuole farti provare genuino sense of wonder”, “Questo sottoinsieme di Fantasy invece è l’insieme di tutte le storie in cui il narratore ti prende per mano come un nonnino e ti mostra il suo mondo”.
Che uno preferisca il primo o il secondo modello, per me è del tutto indifferente. E’ solo una polemica terminologica, che non ha nessun valore. Rimane il fatto che esiste oggettivamente un luogo narrativo dove l’uso del tono confidenziale da nonnetto è uno stile valido, sia esso un tipo di fantasy o un genere a sé stante.

Detto questo, preciso che Lo Hobbit, nel suo complesso, non si mantiene affatto al livello del suo buon incipit.

#49 Comment By Gamberetta On 10 novembre 2010 @ 13:24

@Airon.

Che a Gamberetta piaccia il sense of wonder, il weird, la telecamera vicina è appurato, e fa benissimo il suo mestiere nel recensire romanzi con quei canoni. Ma non puoi applicarli a tutti i romanzi pedissequamente e senza spirito critico (verso i criteri stessi, spirito critico verso i romanzi ne ha a palate).

Distinguiamo: io non ho mai applicato i miei criteri pedissequamente. E tanto meno a “tutti i romanzi”. Infatti mi sono permessa di recensire solo romanzi di narrativa fantastica. Quell’unica volta che mi sono accorta di avere tra le mani un romanzo che, pur presentato come tale, non era fantasy, ovvero Vampire Kisses, mi sono astenuta dal dare un giudizio.
Se tu mi dici che l’Hobbit non è un fantasy, ma una favola per bambini, io mi astengo da qualunque considerazione. Non entro neanche nel merito dell’incipit, perché se mi presenti una favola per bambini la mia risposta è: “No, grazie”, senza neanche leggere una riga. Non per cattiveria, perché semplicemente certe cose non mi interessano. Non conosco i canoni, non conosco le “regole”, e non mi interessa saperle.

Poi, il weird e al limite il sense of wonder possono rientrare nella categoria dei gusti, la telecamera vicina no. La telecamera vicina è dimostrato che è più efficace della telecamera lontana, è più adatta a suscitare emozioni nel cervello delle persone. Un romanzo può essere bello anche con la telecamera lontana? Sì. Ma sarà bello nonostante la telecamera lontana.

#50 Comment By Airon On 10 novembre 2010 @ 13:58

@ Tapiroulant
Ok. Sono d’accordo (trenne che sul prosieguo dello Hobbit). Vedi però il successivo post di Gamberetta in cui mi suggerisce la divisione.

Che tu distingua fiaba/fantasy o due diversi tipi di fantasy, ciò che conta è appunto la parte in grassetto del tuo post. Discutere e stabilire classificazioni e nomenclatura non è un fine, è un mezzo per chiarirsi meglio quando si parla.

@ Gamberetta
Certo, le tue recensioni infatti sono tutte coerenti. É negli esempi buttati qui e là (come i Promessi Sposi, che non hanno una recensione tutta per loro) che intravedo questa tendenza ad usare i criteri senza ragionarci sopra. Sono sprazzi, non articoli interi, e può essere che io esageri ti sia solo scappato una o due volte.
La tua risposta mentre io parlavo dello Hobbit sembrava in linea con questa mia impressione – da lì il mio dubbio sul sunto del tuo post “è piacevole ma narrativamente una schifezza”.

#51 Comment By Anonimo Qualsiasi On 10 novembre 2010 @ 15:21

@Gamberetta/@???

Vi rassicuro su Umberto Eco. Cito dalla sinossi introduttiva del libro:
“[...]
Ottimo materiale per un romanzo d’appendice di stile ottocentesco, tra l’altro illustrato come i feuilletons di quel tempo. Ecco di che contentare il peggiore tra i lettori. Tranne un particolare. Eccetto il protagonista ecc… [...]”
Non credo si discosti molto dalla tradizione dell’Eco scrittore, se non per i contenuti del romanzo, ovviamente (o almeno spero, dal momento che ho intenzione di leggerlo!).

#52 Comment By Gamberetta On 10 novembre 2010 @ 17:56

@Airon. Però non è che puoi pretendere di postare incipit da due righe e poi io devo spendere migliaia di parole e decine di ore (quante ne richiedono un articolo approfondito) per illustrare la mia opinione altrimenti ho una “tendenza ad usare i criteri senza ragionarci sopra”.

#53 Comment By Airon On 10 novembre 2010 @ 18:20

scusa, forse mi sono spiegato male.

ho approfittato del tuo commento sull’incipit di Eco al post #35 per esprimere un’opinione che ho notato qua e là sui TUOI articoli – per i quali hai già speso il tuo quantitativo di ore – non nei commenti. La tua risposta al mio commento con lo Hobbit (che era solo per aiutarmi nell’esposizione) ha corroborato un’opinione che c’era già, non l’ha fatta nascere dal nulla.

Non “pretendo” niente, non accuso. Seguo un blog che mi interessa e, laddove vedo un qualcosa di correggibile (ovviamente ai miei occhi, altri la penseranno diversamente), esprimo i miei 2 cents. Se ritieni che la mia opinione possa avere un fondamento di verità valuterai e agirai di conseguenza. Se ritieni che non sia una critica costruttiva, o che stia palrando a vanvera, non agirai.
Il tutto con molta serenità.

#54 Comment By Tapiroulant On 10 novembre 2010 @ 19:21

Poi, il weird e al limite il sense of wonder possono rientrare nella categoria dei gusti, la telecamera vicina no. La telecamera vicina è dimostrato che è più efficace della telecamera lontana, è più adatta a suscitare emozioni nel cervello delle persone. Un romanzo può essere bello anche con la telecamera lontana? Sì. Ma sarà bello nonostante la telecamera lontana.

Mi permetto di dissentire.
La dimostrazione è contenuta nello stesso incipit. Lo posto di nuovo per comodità:

In una caverna sotto terra viveva uno Hobbit. Non era una caverna brutta, sporca, umida, pieni di resti di vermi e di trasudo fetido, e neanche una caverna arida, spoglia, sabbiosa, con dentro niente per sedersi o da mangiare: era una caverna hobbit, cioè comodissima.
Aveva una porta perfettamente rotonda come un oblò dipinto di verde, con un lucido pomello d’ottone proprio nel mezzo. la porta si apriva su un ingresso a forma di tubo, come un tunnel: un tunnel molto confortevole, senza fumo, con pareti foderate di legno e pavimento di piastrelle ricoperto di tappeti, fornito di sedie lucidate, e di un gran numero di attaccapanni per cappelli e cappotti: lo hobbit amava molto ricevere visite.

Ora, leggendo questo incipit, e a differenza di quanto mi accade leggendo quello del Cimitero di Praga, io ho una visualizzazione perfetta della scena. Quando nel terzo periodo Tolkien mi descrive la tana partendo dalla porta, io m’immagino quasi d’essere un ospite, una telecamera che apre la porta, varca la soglia, vede davanti a sé un corridoio fatto a forma di tubo, mi immagino addentrarmi in questa casa guardandomi intorno e registrando tutti gli oggetti che vedo (che poi, immagino, era la precisa intenzione di Tolkien). Contemporaneamente, completo la visualizzazione con le informazioni dei due periodi precedenti, i quali, informandomi dello stile di vita dell’Hobbit, mi danno un’idea di pulizia e di ordine nell’arredamento, un’idea di borghese accoglienza.
Ora, ricordo bene quell’articolo in cui parlavi dei risultati dello studio scientifico, quindi so di cosa mi stai parlando. Ciò non cambia la realtà dei fatti: ossia che, pur non essendo nella testa dell’Hobbit o in prossimità degli occhi dell’Hobbit, io visualizzo con la massima naturalezza e semplicità la scena. Dico di più: utilizzando il POV dell’Hobbit stesso non avrebbe potuto rendere la casa dell’Hobbit più facilmente visualizzabile di così. Avrei avuto una visualizzazione diversa, forse (ad esempio la scena sarebbe potuta partire in camera da letto e in salotto, e l’autore avrebbe calcato su un’atmosfera di quotidianità piuttosto che mostrarci curiosamente tutta la casa), ma non migliore.
E non è che io sia speciale: dai commenti che leggo, credo che la maggior parte delle persone provi questa stessa sensazione.
Il narratore esterno onnisciente non è un errore automatico se mantiene una sua coerenza interna. In molti casi non è una scelta intelligente, perché ovviamente smorza la catarsi, la suspence, la partecipazione emotiva. Nel contesto della fiaba, tuttavia, sta a meraviglia.

#55 Comment By Tom On 10 novembre 2010 @ 21:08

Sono d’accordo con Tapiroulant, soprattutto quando dice che:

Ora, leggendo questo incipit, e a differenza di quanto mi accade leggendo quello del Cimitero di Praga, io ho una visualizzazione perfetta della scena.
(…) pur non essendo nella testa dell’Hobbit o in prossimità degli occhi dell’Hobbit, io visualizzo con la massima naturalezza e semplicità la scena.

Poi:

Il narratore esterno onnisciente non è un errore automatico se mantiene una sua coerenza interna. In molti casi non è una scelta intelligente, perché ovviamente smorza la catarsi, la suspence, la partecipazione emotiva. Nel contesto della fiaba, tuttavia, sta a meraviglia.

E infatti ne Lo Hobbit coinvolgimento e tensione non mettono piede nemmeno per sbaglio.

#56 Comment By ??? On 10 novembre 2010 @ 22:17

@ Airon

Hai frainteso.
Nel mio ultimo commento mi riferivo sempre allo scritto di Eco.

Con il paragone a Brown, intendo che l’incipit da l’idea di esser stato scritto da un’autore che si è fatto un bel po’ di ricerche per il libro, e che, invece di utilizzare le informazioni indispensabili mostrandole all’interno di una scena, te le scarica tutte addosso (infodump) facendo vedere a te, Stupido Lettore Infimo, quante ne sa Lui, il Grande Scrittore Artista con un Botto di Cultura.

Ad esempio prendi questo passaggio:

(già centro di vita universitario nel Medioevo, quando accoglieva la folla degli studenti che frequentavano la Facoltà delle Arti nel Vicus Stramineus o rue du Fouarre, e più tardi luogo dell’esecuzione capitale di apostoli del libero pensiero come Etienne Dolet)

Il romanzo è ambientato nel 1897.

Che straminchia me ne frega di che succedeva nel Medioevo a Place Maubert? E’ inerente alla storia? Ci serve saperlo?

No. E’ pura masturbaz autocelebrazione!

Ma Eco se ne fotte non se ne cura ti guarda in faccia e ti urla:

“Ehi! Io insegno all’Università, stronzo! Beccati sta camionata di Sapienza e non osare fiatare! E scritto tutto pesante perché è 100% Cultura!”

E infatti dice bene Tom:

Sta forse scrivendo di proposito perché siano solo i suoi “pari” ad apprezzare?

Sì, e con tutti gli altri vuol farsi bello.

Ora, facciamo finta di non trovarci di fronte a un romanzo e rileggiamo l’incipit.

Non potrebbe benissimo essere l’inizio di un saggio storico?

Senza un punto di vista, né dell’azione, non è l’inizio di un romanzo. Almeno non di un romanzo fatto bene.
Punto.

Spero di esser stato un po’ più chiaro adesso.

Ciao!

P.s. scusa se suono aggressivo: oggi sono un po’ inca@%ato. ^___^

#57 Comment By Gamberetta On 11 novembre 2010 @ 11:39

@Airon. Le accuse generiche fanno incazzare. Se vedi nei miei articoli qualcosa che non ti convince e vuoi dire la tua opinione nello specifico sei il benvenuto. Va anche bene che tu dica: “Nell’articolo X hai detto che il particolare Y era giusto, mentre nell’articolo Z il particolare Y era sbagliato.”
Non va bene che tu dica: “Applichi i tuoi criteri a tutti i romanzi senza spirito critico”. Lo pensi? Rivolgiti a un blog dove invece tutti i romanzi sono sempre giudicati con lo stesso spirito critico.
Se io applico i criteri senza spirito critico o sono disonesta o sono scema o entrambi: non leggere il blog scritto da una così. I miei 2 cent.
Lo so che dà fastidio sentirsi dire che quello che piace è una mezza schifezza, ma ti assicuro che è un giudizio tecnico, non un giudizio su di te. A me piace Sailor moon, se mi dicono che fa schifo per questa e quest’altra ragione io rispondo: “Lo so. E allora? Mi piace lo stesso! ^_^”. Ma non penso che l’altra persona non abbia spirito critico o sia prevenuta o sia dogmatica o quello che ti pare. Anzi, le do ragione. Sono consapevole che mi piace nonostante gli oggettivi difetti.
Il narratore che ti prende per mano è un oggettivo difetto, a meno di opere comiche. Può darsi che vada bene per una storia specificatamente pensata per i bambini, ma capirai che è un caso particolare e comunque fuori dalla nostra (almeno la mia) capacità di giudizio, visto che qui nessuno è più bambino.

@Tapiroulant. Quando vedi un narratore onnisciente e una scena statica, si può sempre fare meglio. Visualizzi la scena perché c’è una serie di particolari concreti (la porta, gli arredi, ecc.), nonostante la presenza del narratore e il suo spreco di parole (taglia il primo paragrafo e non cambia niente).
Ti ricordi la storia del ponte? Quando sostenevi che non era possibile una descrizione più vivida usando lo stesso numero di parole e io ti ho dimostrato il contrario? Qui è uguale. Può piacere o non piacere, ma si può fare dieci volte meglio. Dopodiché se invece a te pare già perfetto così, tanto meglio. Il guadagno è solo tuo.

Poi, e rispondo anche a Tom, se volete leggere narrativa che apposta non sia coinvolgente ed emozionante è una scelta legittima. Ma non è buona narrativa. In nessun contesto.

#58 Comment By Airon On 11 novembre 2010 @ 14:51

Le accuse generiche fanno incazzare. Se vedi nei miei articoli qualcosa che non ti convince e vuoi dire la tua opinione nello specifico sei il benvenuto. Va anche bene che tu dica: “Nell’articolo X hai detto che il particolare Y era giusto, mentre nell’articolo Z il particolare Y era sbagliato.”
Non va bene che tu dica: “Applichi i tuoi criteri a tutti i romanzi senza spirito critico”. Lo pensi? Rivolgiti a un blog dove invece tutti i romanzi sono sempre giudicati con lo stesso spirito critico.
Se io applico i criteri senza spirito critico o sono disonesta o sono scema o entrambi: non leggere il blog scritto da una così. I miei 2 cent.

Ma porc…

QUALI ACCUSE?

- Il tuo blog si occupa di narrativa fantastica
- il tuo utilizzo dei criteri di giudizio nella branca della narrativa fantastica di cui ti occupi è appropriato.

questo mi sembrava di averlo specificato più sotto, quindi il tuo commento stizzito sul leggere un altro blog è fuori luogo.

il vero punto di disaccordo – l’accusa, se vuoi chiamarla tale – arriva qui:

Lo so che dà fastidio sentirsi dire che quello che piace è una mezza schifezza, ma ti assicuro che è un giudizio tecnico, non un giudizio su di te. A me piace Sailor moon, se mi dicono che fa schifo per questa e quest’altra ragione io rispondo: “Lo so. E allora? Mi piace lo stesso! ^_^”. Ma non penso che l’altra persona non abbia spirito critico o sia prevenuta o sia dogmatica o quello che ti pare. Anzi, le do ragione. Sono consapevole che mi piace nonostante gli oggettivi difetti.

Ecco, arriviamo al punto.
Forse è una questione di linguaggio, ma io non capisco questa considerazione. Non ha senso.

Alcuni difetti deliberati sono ESATTAMENTE il motivo per cui alcuni tipi di intrattenimento sono così apprezzati.

Giudicheresti difetti oggettivi il disrispetto per le leggi della fisica in un film come Batman (vedi la Batmobile che va sui tetti senza sfondarli in Begins, o la faccia di Two-Face in Dark Knight che dovrebbe cadere a pezzi e impedirgli di parlare comprensibilimente ) o Indiana Jones (vedi il disgraziato in Temple of Doom che sta a pochi metri dalla lava eppure non cuoce vivo)?

Giudicheresti un difetto oggettivo il Flynning in un film di Zorro o in Pirati dei Caraibi?

Io no. Non sono difetti. Sono scelte consapevoli e il successo del film è funzione anche di queste deliberate assurdità. Non è bello nonostante, è bello anche grazie a.

Uccidere un uomo in corsa da 50 m con un revoler è un errore oggettivo in un film storico di guerra tipo Salvate il soldato Ryan o poliziesco tipo the Departed; non è un difetto in Die Hard.

Se tu invece li giudichi difetti oggettivi, e apprezzi il film nonostante essi (oppure ti rovinano proprio il film), bene, abbiamo parlato tanto per nulla: non giungeremo mai ad un punto comune.

Il narratore che ti prende per mano è un oggettivo difetto, a meno di opere comiche. Può darsi che vada bene per una storia specificatamente pensata per i bambini, ma capirai che è un caso particolare e comunque fuori dalla nostra (almeno la mia) capacità di giudizio, visto che qui nessuno è più bambino.

In riferimento a quanto sopra, non sono d’accordo. É sicuramente un errore per la narrativa di cui ti occupi nel blog. Non lo è per altri generi – non necessariamente comici o per bimbi.

#59 Comment By Airon On 11 novembre 2010 @ 14:52

chiedo scusa per aver fatto esempi cinematografici anzichè letterari. Mi sono sembrati più immediati e c’è sicuramente più possiblità di aver visto gli stessi film che non di aver letto gli stessi libri.

Il ragionamento resta.

#60 Comment By Tom On 11 novembre 2010 @ 15:05

Poi, e rispondo anche a Tom, se volete leggere narrativa che apposta non sia coinvolgente ed emozionante è una scelta legittima. Ma non è buona narrativa. In nessun contesto.

Io ho difeso l’incipit de Lo Hobbit, non ho mai detto che mi piace l’intero romanzo. :-)
Lo Hobbit è una favoletta per come prosegue, ma un incipit di quel tipo potrebbe benissimo fare da preambolo a una storia emozionante.

Sono d’accordo sull’uguaglianza “narrativa coinvolgente = narrativa di qualità”, ma aggiungo che secondo me un pezzo può essere coinvolgente anche senza turbare o sconvolgere. Prendi Harry Potter, che con tutti i suoi mille difetti rimane comunque molto coinvolgente proprio grazie al tono di quotidianità e familiarità con cui sono dipinte le scene.

#61 Comment By Gamberetta On 11 novembre 2010 @ 15:34

@Airon.

Alcuni difetti deliberati sono ESATTAMENTE il motivo per cui alcuni tipi di intrattenimento sono così apprezzati.
[...]
Se tu invece li giudichi difetti oggettivi, e apprezzi il film nonostante essi (oppure ti rovinano proprio il film), bene, abbiamo parlato tanto per nulla: non giungeremo mai ad un punto comune.

Sono difetti oggettivi e in alcuni casi mi hanno rovinato il film. Gli errori “voluti” non esistono, sono solo scuse. Die Hard potrebbe essere ugualmente emozionante, divertente & rocambolesco pur rimanendo realistico. È solo che è più faticoso e gli sceneggiatori se ne fregano.
E in ogni caso, se la pensi così, di cosa potremmo mai discutere? La Troisi può sempre dirti che le sue incoerenze sono tutte volute, dimostrazione: al pubblico piace. La Meyer può dirti che l’idiozia dei vampiri al Liceo che brillano è voluta, dimostrazione: al pubblico piace.
E così via.
Il tuo è solo un modo contorto per dire: se piace è bello. No, non è vero. Non ci credi? Amen.

#62 Comment By Airon On 11 novembre 2010 @ 16:26

Ok. Continuo a pensarla in maniera diversa, ma almeno so perchè.

bye

#63 Comment By Tapiroulant On 11 novembre 2010 @ 16:36

@Tapiroulant. Quando vedi un narratore onnisciente e una scena statica, si può sempre fare meglio. Visualizzi la scena perché c’è una serie di particolari concreti (la porta, gli arredi, ecc.), nonostante la presenza del narratore e il suo spreco di parole (taglia il primo paragrafo e non cambia niente).
Ti ricordi la storia del ponte? Quando sostenevi che non era possibile una descrizione più vivida usando lo stesso numero di parole e io ti ho dimostrato il contrario? Qui è uguale. Può piacere o non piacere, ma si può fare dieci volte meglio. Dopodiché se invece a te pare già perfetto così, tanto meglio. Il guadagno è solo tuo.

Sì, ricordo la faccenda del ponte ^^’ Avevi ragione.
Quanto alla faccenda dell’incipit… guarda, non lo so; istintivamente mi verrebbe da dare ragione a te; mah. Ci devo pensare. Credo che tu abbia ragione a dire che quell’incipit sarebbe migliorabile, però nel leggerlo non avverto l’esigenza di migliorarlo, non mi fa venire il nervoso come molti altri incipit (es. I promessi sposi) o il prosieguo dello stesso Hobbit. Lo stesso l’incipit di Moby Dick. Mi piace molto. Ma non perché rievochi il romanzo in generale; mi piacque subito la prima volta che lo lessi e non sapevo nulla del libro ^^’
Non so. Davanti a questi due incipit non ho la sensazione che ho di fronte a cose che mi piacciono ma che so oggettivamente brutte; mi piacciono e non le trovo nemmeno brutte.
In sostanza? Forse rimetterò mano alla discussione dopo aver studiato la questione un po’ di più!
(questo post non serve a niente, vero? Ma volevo rassicurarti di aver letto la tua replica)

#64 Comment By pu*pazzo On 10 gennaio 2011 @ 00:41

ho riflettuto parecchio su questa questione, perche ultimamente mi sto scornando con l’incipit del mio libro. Come riuscire a rendere bene una scena, senza cadere nella noia, nel piattume della mera descrizione ma riuscendo comunque a far capire al lettore dove, come e quando si trova?
l’incipit di finch non mi entusiasma molto, sinceramente ! è vero che ti catapulta dentro una scena “movimentata” però trovo questo modo di scrivere parecchio pesante da leggere. Insomma ho letto con piacere D.Alan Altieri, che utilizza uno stile abbastanza simile, secco, con frasi brevi e senza verbi, ma l’ho comunque trovato macchinoso, lento. Non vorrei che nel tentativo di semplificare, e trascinare il lettore dentro la scena, si ottenesse poi l’effetto contrario … E’ una mia impressione ? Io, nella mia ignoranza in materia, francamente apprezzo una giusta via di mezzo. Un incipit diretto, si , che ti immerga nella scena, ma anche abbastanza descrittivo, per non risultare “spiazzante”.
Ammetto di essere un lettore pigro. Sei tu scrittore, a dovermi dire che succede…se mi devo immaginare tutto io, te che ci stai a fare? XD (esagero ma insomma il succo è un po’ quello ;)) che ne pensate ?

#65 Comment By Coniglio Lunare On 16 maggio 2012 @ 02:04

A proclamazione del vincitore avventura, magari discuterò in dettaglio quali sono stati gli errori più comuni.

è un refuso?


URL dell'articolo: http://fantasy.gamberi.org/2010/10/23/finch-incipit/

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