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Manuali 1 – Descrizioni

Pubblicato da Gamberetta il 3 ottobre 2009 @ 18:01 in Insalata di Mare,Italiano,Libri,Scrittura,Straniero | 221 Comments

In altra sede mi era stato chiesto un articolo che parlasse di manuali di scrittura. È un argomento enorme e dunque ho deciso di suddividerlo per temi.
Ho poi preparato un articolo dove sono elencati i manuali di scrittura presenti su gigapedia (ho messo i manuali che parlano di narrativa in generale e quelli rivolti nello specifico a chi vuole scrivere fantasy/fantascienza, non ci sono i manuali dedicati al thriller o al romanzo rosa o ad altri generi), cercherò di tenerlo aggiornato, ma non garantisco.

Altri articoli nella serie dei Manuali:
• Manuali 2 – Dialoghi.
• Manuali 3 – Mostrare.

Dato che quando parlo di manuali spesso i commenti prendono una piega idiota – “le regole uccidono la creatività!”, “le regole sono fatte per essere infrante!”, “Augusto Pepponi non ha mai seguito le regole, e guardate che capolavori!” – ho già preparato una serie di risposte ai miti più frequenti. Se vi riconoscete nei commenti virgolettati di cui sopra, per piacere leggete. Gli altri possono passare oltre.


Risposte ai Miti

Icona di una stellina Mito: Le regole uccidono la creatività.
Né vero, né falso. Può essere una posizione filosoficamente sostenibile, ma se si parte da questo presupposto, la creatività è già morta e sepolta, ben prima di arrivare ai manuali di scrittura. Dietro un libro ci sono un’infinità di regole: dalle leggi della fisica, alle proprietà di carta e inchiostro, dalle convenzioni tipografiche, fino alle regole dell’ortografia e della sintassi. Una montagna di regole. Difficile credere che la creatività sopporti tutto ciò ma crepi di fronte a una regola di tecnica narrativa.
Viceversa è facile mostrare come le regole stimolino la creatività: se a una persona le si mette davanti un pianoforte e nient’altro, comincerà a battere i tasti a caso, fino a stufarsi poco dopo. Se si aggiunge un corso di musica, lo strumento si trasformerà in un passatempo che divertirà per anni e magari la persona diventerà un compositore.

Icona di una stellina Mito: Le regole sono fatte per essere infrante.
È falso. Ma assumiamo sia vero. Per infrangerle le benedette regole occorre conoscerle. Per superare il limite di velocità bisogna sapere quale sia. A ottanta all’ora puoi essere il ribelle che infrange le regole, oppure puoi essere uno scemo superato da tutti. La differenza è conoscere quale sia il limite su quella strada.
Così, se pure le regole della narrativa sono state ideate per essere stravolte, occorre prima di tutto conoscerle. Dunque bisogna leggere i manuali.

Icona di una stellina Mito: Se tutti seguissero i manuali, i romanzi sarebbero tutti uguali!
È falso. I manuali si occupano del come, non del cosa. Nessun manuale ti dice quali argomenti trattare. Vuoi parlare dei marziani? Delle difficoltà matrimoniali di un tranviere? Di quanto siano belli i tramonti in montagna? Della simpatia dei compagni di scuola? Affari tuoi. I manuali ti dicono solo quale sia il modo più efficace per farlo.
D’altra parte, non mi sembra che siamo pieni di romanzi tutti uguali, nonostante la rigidità delle regole grammaticali. E nell’alfabeto ci sono appena ventisei lettere. Ma così verranno solo parole tutte uguali! Come faremo a esprimerci?
I manuali sono una mappa. Non ti dicono dove andare, ti mostrano solo quali sono le strade per arrivare a destinazione, una volta che l’hai scelta.

Icona di una stellina Mito: I manuali di scrittura non servono, per imparare basta leggere i Classici e i Grandi Romanzi.
È falso. Anzitutto, c’è il problema di decidere quali testi siano i “Classici” o i “Grandi Romanzi”. Ma mettiamo si trovi un accordo e si stabilisca che il tale o il tal altro romanzo è un “Classico”. Leggendolo non si imparerà a scrivere, a meno di non saperlo già fare.
Quando si legge un romanzo, si legge un prodotto rifinito, dietro al quale ci sono magari dieci revisioni dell’autore, due dell’editor, cinque anni di ricerca e documentazione a monte e l’intervento della moglie. Il lettore vede solo la superficie, non si accorge dei meccanismi interni.
Prendiamo che si voglia imparare a costruire automobili imitando le Ferrari. Se non si sa niente di meccanica, si potrà pensare che la caratteristica chiave delle Ferrari è la carrozzeria rossa – non è forse la caratteristica più vistosa? Ma, dipinto un catorcio di rosso, diviene un’auto anche solo lontanamente accostabile a una Ferrari? No.
Per imitare una Ferrari devi guardare sotto il cofano e smontare il motore, ma per farlo, devi già sapere come funziona un motore. Così l’analisi di un “Classico” ha senso solo se già si sa dove guardare. Se già si conoscono i meccanismi e dunque si possono riconoscere i vari ingranaggi.
È un’illusione quella di poter “carpire i segreti” da un “Grande Romanzo”. Non c’è modo di aguzzare la vista senza che qualcuno ti insegni a farlo, indichi dove e cosa guardare, e cosa invece scartare.
Quando qualcuno si vanta di cambiare di continuo il punto di vista – perché lo fa anche l’incommensurabile Augusto Pepponi! – è come il fesso che si vanta di aver dipinto di rosso il catorcio. Eh, bravo, niente da dire, se vuoi fare l’imbianchino hai il futuro assicurato.

500 rossa
Lovecraft riempie i suoi racconti di aggettivi e sono bei racconti. Dunque se anch’io riempio i miei racconti di aggettivi, diventano bei racconti. Le Ferrari sono rosse e sono macchine splendide. Dunque se anch’io dipingo di rosso la mia 500 sfasciata, diventa una macchina splendida

Icona di una stellina Mito: I Grandi Autori non hanno mai letto manuali.
Né vero, né falso. Probabile che ci siano Grandi Autori – Augusto Pepponi su tutti – che non hanno mai letto manuali, ma molti altri non solo li hanno letti, ma li hanno pure scritti, da Louis Stevenson a Stephen King.

Icona di una stellina Mito: I manuali sono noiosi, sembrano i libretti d’istruzioni degli elettrodomestici.
È falso. La narrativa non è matematica. Nessun manuale spiega come montare un romanzo quale fosse un mobile componibile. I manuali danno consigli, offrono alternative motivate, forniscono esempi significativi. Non c’è niente di “asettico” o “forzato”. Lo scopo di un manuale è aiutare l’aspirante scrittore a esprimersi al meglio.
Inoltre i manuali di scrittura sono quasi sempre scritti da scrittori. Il manuale di pesca d’altura sarà stato scritto da un esperto pescatore che forse però non se la cava molto bene con le parole. Il manuale di narrativa è scritto da qualcuno che maneggia le parole per mestiere.
Spesso leggere i manuali è divertente in sé, al di là del possibile insegnamento.

Icona di una stellina Mito: I manuali inglesi funzionano solo se scrivi in inglese.
È falso. La narrativa è su un piano diverso rispetto alla lingua. Le regole della narrativa non cambiano da una lingua all’altra. Si parla di principi generali, non legati all’inglese, al francese o all’italiano. Ogni tanto può capitare qualche consiglio specifico – per esempio quando Stephen King discute del genitivo sassone –, ma sono casi rari. Al 99,9% quello che dicono i manuali inglesi può essere applicato all’italiano senza problemi.

Icona di una stellina Mito: Be’, sarà, io però l’inglese non lo conosco e i manuali non li leggo!
Questo non è un mito. Sei semplicemente tu ignorante come una capra: se non sai l’inglese, imparalo! E comunque qualche manuale discreto si trova anche in italiano.

Icona di una stellina Mito: Leggere i manuali non serve a niente, perché tanto il tuo romanzo non lo pubblicano lo stesso.
È vero. Per essere pubblicati in Italia occorre essere particolarmente fortunati, o scrivere di argomenti che vanno di moda o avere qualcuno che ti raccomandi. La qualità del testo è un fattore secondario. Perciò se l’unico scopo è pubblicare, sì, leggere manuali di scrittura serve a poco o niente.
Ansen Dibell, nel suo di manuale, distingue gli autori in due categorie: quelli che vogliono scrivere e quelli che vogliono aver scritto. I manuali sono dedicati al primo gruppo, a chi ha passione per la scrittura in sé. Quelli che invece desiderano aver scritto sono più interessati all’eventuale guadagno, o al prestigio, o comunque alle conseguenze della scrittura. Per costoro i manuali sono inutili.
Nota: non esprimo alcun giudizio. È altrettanto legittimo sognare di scrivere un bel libro come sognare di pubblicare un libro, bello o brutto che sia.

Descrizioni

Come primo argomento ho scelto le descrizioni. Le fonti primarie sono:

Copertina di Description Description di Monica Wood (Writer’s Digest Books, 1999).
Copertina di Description & Setting Description & Setting: Techniques and Exercises for Crafting a Believable World of People, Places, and Events di Ron Rozelle (Writer’s Digest Books, 2005).
Copertina di Word Painting Word Painting: A Guide to Writing More Descriptively di Rebecca McClanahan (Writer’s Digest Books, 1999).

(per maggiori informazioni riguardo gigapedia, consultate il seguente articolo).

Tengo a precisare che questo articolo è un invito alla lettura. Cercherò di dare consigli sensati e buoni suggerimenti, ma per forza di cose sarò costretta a scartare le eccezioni, i casi particolari, le sfumature. Se l’argomento vi interessa, non fermatevi qui, ma leggete i libri segnalati.

Scopo

Scopo delle descrizioni è creare il contesto nel quale si svolgerà la storia.
In alcuni casi il contesto è addirittura lo scopo stesso di esistenza della storia: per esempio nei racconti di viaggi fantastici, che appunto descrivono mondi esotici, pianeti alieni, strane creature. Ma anche quando il contesto non è la ragione d’essere della storia, è comunque vitale perché il lettore possa seguire gli avvenimenti.
Prendiamo questo dialogo:

«Sei un pazzo, Michele!»
«No, non è vero.»

Senza descrizioni il lettore è sperduto. La scena può essere drammatica o divertente, può avere un significato o il significato opposto, è il contesto che lo determina:

Anna si alza in punta di piedi per sbirciare dentro la cella. Michele è in un angolo. È seduto in mezzo a una pozza di escrementi e urina. Ogni pochi secondi immerge l’indice nella merda e lo usa per tracciare linee sghembe sulla parete. Anna ricostruisce lettere e parole, sull’intonaco è scritto: “LORO STANNO ARRIVANDO”.
«Sei un pazzo, Michele!» esclama.
Lui si volta. Sanguina dalla fronte, si deve essere strappato i punti. «No, non è vero.»

oppure:

Anna alza il viso dal libro di geografia. Michele è in piedi sulla cattedra. Ha recuperato i gessetti colorati del prof di matematica e sta disegnando lettere cubitali, rosse, verdi e blu. La scritta dice: “ABASO LA SQUOLA”.
Anna scuote la testa. «Sei un pazzo, Michele!»
Lui lancia per aria i gessetti e li recupera al volo, come un giocoliere. «No, non è vero.»

Questa è la scoperta dell’acqua calda, ma ribadire concetti giusti non fa mai male.
Dunque, perché il lettore possa capire quello che sta succedendo – possa seguire la storia – è necessario descrivere il contesto. D’oh!

Una buona descrizione

Una buona descrizione è concreta, stimola i sensi, è dinamica e ha significato per la storia.
Questo non perché , questo perché, se si rispettano i precetti di cui sopra, il cervello del lettore riesce a vivere gli avvenimenti; il lettore è perciò coinvolto e non chiude a metà il libro.

Per illustrare il concetto, prendiamo le classiche descrizioni dello scrittore alle prime armi: “Anna è una bella ragazza”, “Michele fa ribrezzo”, “Se c’è una brava persona è Giuseppe”, ecc.
Descrizioni così sono vuote, troppo generiche, non offrono niente alla fantasia del lettore. “Michele fa ribrezzo”: cosa dovrebbe vedere il lettore? Cosa dovrebbe sentire? Annusare? Toccare? Assaporare? È un fotogramma nero nel mezzo del film.
Vediamo di trasformarla in una descrizione decente.

Michele barbone
Michele. L’avevamo già conosciuto mesi fa. Era uno scrittore, prima che la pirateria lo costringesse a vivere sotto i ponti

Innanzi tutto bisogna capire – e lo scrittore lo deve sapere – perché Michele è così rivoltante. Mettiamo che lo sia perché non si lava: “Michele è sporco”. Ma ancora non c’è molta carne per il lettore, non c’è molto in cui affondare i denti.
Spacchettiamo la sporcizia:

Michele ha i denti gialli, il naso sporco di moccio, i capelli unti e pieni di forfora.

Questa è una descrizione concreta. Il lettore vede la sporcizia sul viso di Michele e molto probabilmente proverà un certo ribrezzo a quella vista.
Tuttavia si può far di meglio. Quella di prima è una descrizione statica, come se avessimo fotografato Michele. Ma è raro che ci si metta a fotografare le persone; quando vediamo una persona, di solito si sta facendo gli affari propri, non è in posa per noi. Proviamo a dare un po’ di vita a Michele:

Michele sta digitando un sms sul cellulare. Ma ogni pochi secondi si ferma per scostarsi i capelli unti dagli occhi. O per pulirsi con le dita il moccio che gli cola dal naso. O per spazzolare via la forfora dalle spalline della giacca. Intanto sorride, rivolto allo specchio. Denti gialli gli sorridono di rimando.

Meglio. Michele non è più una fotografia messa tra le pagine, è calato nello scorrere del tempo.
Lo scorrere del tempo è sempre presente, anche quando si stanno osservando luoghi od oggetti: le nuvole corrono in cielo e cambiano la luce, una mosca ti ronza attorno e ti distrae, ti annoi – ma che diavolo ci sto facendo a fissare un sasso da dieci minuti? – e la percezione cambia. Tutto scorre (parola di Eraclito): non esistono due istanti uguali, e se non esistono due istanti uguali nella realtà, così non devono esistere nella narrativa, dato che stiamo provando a essere verosimili.

saputella Angolo della saputella!
Quando è nata l’idea che sia meglio descrivere qualcosa in movimento invece di riprenderlo in modo statico? I furboni risponderanno che è un’americanata dovuta alla diffusione del cinema, in realtà è un consiglio che già dava Aristotele nel libro terzo della Retorica.

Facciamo un ulteriore passo in avanti:

Mi accorgo che Michele è in camera prima ancora di vederlo. Per la puzza dolciastra che arriva fino in corridoio e per quel rumore che fa quando si morde le unghie. Tic. Tic. Tic. Poi con un gorgoglio sputa per terra e passa al dito successivo.
È in piedi davanti allo specchio. Sta digitando un sms sul cellulare, ma ogni pochi secondi si ferma per scostarsi i capelli unti dagli occhi; per pulirsi con le dita il moccio che gli cola dal naso; per spazzolare via la forfora dalle spalline della giacca; per mangiarsi le unghie.
Si gira nella mia direzione. Mi sorride e mette in mostra i denti gialli e cariati. Arretro di un passo: ho ancora vivido il ricordo di quando mi ha sfiorata con le sue mani luride; sono subito corsa in bagno a lavarmi il braccio, per grattare via il ricordo di quel tocco molle e viscido.

Adesso Michele puzza, fa rumore, ed è spregevole al tatto – e per renderlo al meglio ho cambiato punto di vista, passando dal Narratore ad Anna.
Questa è una descrizione decente. Non brillante – non c’è niente di molto ispirato –, ma fornisce tutti gli elementi necessari per comunicare il concetto che “Michele fa ribrezzo”.
Notare che non ho detto quanto Michele sia alto, o che età abbia o come sia vestito (a parte l’accenno della giacca). Questo perché i dettagli di una descrizione devono essere funzionali alla storia. Non ci si deve sperdere, se la ragion d’essere di Michele è il suo suscitare ribrezzo, lì devo puntare.
Naturalmente avrei potuto scegliere particolari diversi: per esempio i vestiti rattoppati e sporchi avrebbero potuto essere inseriti o sostituire altri particolari. O magari se Michele è storpio o grasso o gobbo, sarebbero potuti essere altri dettagli da inserire o sostituire. Non ci sono vincoli, se non l’avere sempre ben presente dove si vuole andare a parare.

A tal riguardo, si pensi a quante volte si legge nei testi dei dilettanti (e non solo): “Anna ha diciotto anni”, “Michele ha ottantanove anni”, ecc.
Ma comunicare l’età, in questa maniera, è brutto e rozzo. Perché è importante per la storia che Anna abbia 18 anni? Se non è importante è inutile scriverlo, e se lo è tanto vale mostrare questa importanza, invece di raccontare in maniera asettica l’età.

«Non mi interessa quello che pensate tu e mamma. Non sto chiedendo il vostro permesso, vi sto solo comunicando che lunedì andrò a Livorno per frequentare l’Accademia.»

Il punto della storia è che Anna, avendo compiuto diciotto anni, può decidere lei di arruolarsi. Tanto vale dunque entrare in argomento senza fare i pedanti.

Accademia Navale di Livorno
Da qualche anno, l’Accademia Navale di Livorno è aperta anche alle donne

Oppure:

Scatta il rosso. L’autobus riapre le porte.
Giuseppe tira la manica di Michele. «Andiamo, nonno! Se corriamo riusciamo a prenderlo!»
«No, no, non ce la faccio.»

Il povero Michele è troppo vecchio e stanco per correre fino alla fermata. Meglio così che non dire che ha ottantanove anni.

Preparare le schede dei personaggi, dove è chiarito aspetto fisico, età, gruppo sanguigno, vestiti preferiti, titolo di studio, biografia e quant’altro, può essere un buon esercizio e in certo tipo di opere con un cast ampio può essere un passo necessario, ma lo schedario deve rimanere dietro le quinte. Le descrizioni pedanti, statiche, piene di dettagli inutili, ammazzano il fluire della storia.
Ciò non vale solo per i personaggi. Anche i luoghi devono essere descritti con gli stessi criteri. Se Michele è una casa, non sarà “brutta”, “vecchia” o “malandata”. Avrà i muri scrostati, gli infissi gonfi di umidità, il soffitto pericolante e mancherà l’acqua corrente. E ancora si dovrà cercare di rendere la scena dinamica: il soffitto non è semplicemente pericolante, quando Anna entra in soggiorno, le cadono i calcinacci in testa. Quando Giuseppe prova ad aprire il rubinetto in bagno, si sporca le dita di ruggine e sente il gorgogliare lontano dell’acqua, ma dal tubo esce solo puzza di marcio.
E ovviamente il fatto che la casa sia una stamberga deve avere importanza per la storia.

saputella Angolo della saputella!
Quando è nata l’idea che un particolare, per quanto ben descritto, debba essere tolto se non partecipa al disegno complessivo? I furboni risponderanno che è un’americanata dovuta alla diffusione del cinema, in realtà è un consiglio che già dava Orazio nell’Ars Poetica.

Infine, non è sbagliato ribadire un particolare più volte, se ha molta importanza. Come dice Flaubert, un oggetto ha bisogno di essere nominato almento tre volte perché il lettore creda che esiste sul serio.

Linguaggio e punto di vista

Dettagli significativi, dinamici e concreti, che stimolino i sensi. Se si riesce a rispettare questi precetti, si è sulla buona strada per scrivere descrizioni efficaci. Bisogna però stare attenti anche ad altro, in particolare al linguaggio in rapporto con il punto di vista.

In generale, più si è precisi meglio è. Scrivere “fiammifero” è meglio di scrivere “legnetto corto e stretto che se lo sfreghi fa fuoco”. Scrivere “automobile” è meglio di scrivere “affare con quattro ruote”. Ed è la ragione per cui occorre documentarsi: se la storia è ambientata prima in un laboratorio dove si producono armi chimiche, poi su un campo da golf, infine nell’abitacolo di un bombardiere, bisogna conoscere la terminologia appropriata nei tre casi, altrimenti le descrizioni risulteranno goffe e fiacche.
Questo vale sempre. Non è neanche questione di narrativa di genere, literary fiction, poesia o saggio: per descrivere in maniera accettabile qualcosa, bisogna conoscerla. Non ci sono scappatoie.
Come recita la regola numero 13 di Twain riguardo la scrittura: “Use the right word, not its second cousin.” Non la parola che si avvicina, non il termine quasi giusto; bisogna usare le parole adatte, i termini corretti.

L’unico limite è il punto di vista. Infatti – a meno che le descrizioni non siano a opera del Narratore, ma per ragioni di verosimiglianza è sconsigliabile usare un Narratore onnisciente in un testo di fantasy/fantascienza – le descrizioni sono sempre dal punto di vista di un personaggio. Se il personaggio è un laureato in biologia userà la terminologia migliore nel laboratorio, ma forse non saprà distinguere le mazze da golf. Viceversa il campione di golf userà la propria esperienza per parlare di Ferro 8 o Legno 3, ma è probabile non saprà dire molto osservando un virus al microscopio.
Mantenere il punto di vista è fondamentale. Si capisce subito quando un personaggio parla con voce non sua e, quando succede, la sospensione dell’incredulità si incrina.
In certi casi, pur di mantenere senza sbavature il punto di vista, si possono trasgredire perfino le regole della grammatica. Nel classico Fiori per Algernon di Daniel Keyes, il protagonista e narratore è un ritardato mentale (così stupido da perdere una gara d’intelligenza con un topo – insomma stupido quasi quanto il tipico autore fantasy italiano): fin quando il nostro eroe non diventerà più furbo, il suo modo di raccontare sarà sgrammaticato e pieno di errori.
Anche se non si desidera arrivare fino a questo punto di “fanatismo”, in ogni caso bisogna aver sempre presente chi descrive.

Copertina di Fiori per Algernon
Copertina dell’edizione italiana di Fiori per Algernon

La prima persona è particolarmente ostica: è difficile scacciare dal romanzo la sensazione di straniamento dovuta al fatto che il protagonista è un medico, uno studente, un’attrice, ma – guarda caso – sembra esprimersi proprio come se fosse uno scrittore.
La prima persona inoltre limita moltissimo quello che può essere descritto, dato che la telecamera è nella testa di un personaggio e non può essere spostata. Si potrà descrivere solo quello che il personaggio vede, sente, annusa, ma nulla di più.
Se oggetti, persone, ambienti sono al di là dei sensi del personaggio, sono inaccessibili.

Questo crea tutta una serie di problemi, il classico è: come si fa a descrivere l’aspetto del personaggio che narra in prima persona?
E non c’è una soluzione semplice, perché non è naturale per una persona meditare in dettaglio sul proprio aspetto – non quando la Terra è stata invasa dai marziani, i vampiri si sono trasferiti in città e gli scienziati hanno riportato in vita i dinosauri. Tuttavia, se proprio si vuole lo stesso descrivere il personaggio, bisognerebbe almeno evitare due cliché ultra abusati: lo specchio e l’ammiratore.
Lo specchio è quando Anna si specchia nella vetrina del negozio, nelle limpide acque del fiume, nello specchietto retrovisore della macchina parcheggiata e naturalmente davanti allo specchio in bagno. Questa scena suona sempre forzata, spesso risulta noiosa; se capita nel mezzo dell’avventura diviene ridicola. No, non è normale che mentre gli zombie battono le strade in cerca di cervelli, Anna all’improvviso si scopra ad ammirare il proprio profilo nella vetrina del negozio di scarpe – o forse sì, magari Anna non ha niente da temere dai morti viventi, avendo la zucca vuota! chikas_pink32.gif
L’ammiratore è quando Anna incontra Simona e Simona comincia: “Ah, se avessi i tuoi splendidi occhi verdi, i tuoi capelli neri e lisci, il tuo fisico slanciato bla bla bla“. Appare subito chiaro che Simona sta recitando un copione obbligata dall’autore, altrimenti non si esprimerebbe mai così.
Se non capita l’occasione per Anna di descriversi in modo che suoni naturale, che abbia senso nel fluire della storia, pazienza. Meglio evitare che aggiungere scene forzate.

Un vantaggio dell’usare un punto di vista ben saldo è il poter essere incisivi. Se per il lettore è chiaro che la telecamera è piazzata nella testa del personaggio, si possono tagliare un sacco di verbi inutili: “Avverto il dolore strisciare dal polso al gomito” diviene il più diretto “Il dolore striscia dal polso al gomito”. “Ho come la sensazione di precipitare in un pozzo nero” diviene “Precipito in un pozzo nero”.

Metafore

Uno strumento che può essere molto efficace per scrivere descrizioni ma di cui è facilissimo abusare è l’utilizzo di similitudini e metafore.

Prima di continuare: la similitudine è quando una cosa è paragonata a un’altra, la metafora è quando una cosa diventa un’altra.

“Michele è un leone”: questa è una metafora.
“Michele è feroce come un leone”: questa è una similitudine.
“Michele ruggisce”: questa è ancora una metafora, la trasformazione in animale è implicita.

Michele
Michele uomo-leone

Lo scopo di usare una metafora o una similitudine è rendere più chiaro il discorso. Non si mettono le metafore per “far colore”, si mettono le metafore perché non c’è un modo diretto migliore per esprimere il concetto che si desidera (o magari il modo esiste, ma non può essere usato dal personaggio punto di vista).

“Il lamento del verme assassino di Venere è come il ruggito di un leone”: questo è un uso corretto della similitudine. Un suono alieno, che forse non può essere descritto, è paragonato a un suono famigliare. Il lettore è a suo agio.
“La folla che esce dal cinema è un fiume in piena”: questa è una metafora accettabile. Il “fiume in piena” è un concetto facile da immaginare, e rende bene il movimento tumultuoso della gente.

Le metafore hanno sempre un prezzo: dato che per loro natura mettono in relazione cose diverse, allontanano il lettore dalla storia. Nel primo caso il lettore è su Venere e d’improvviso spunta un leone: non c’entra un tubo. Nel secondo caso siamo in città, in mezzo ai palazzi, e d’improvviso ecco scorrere le acque di un fiume: non c’entra un tubo.
Bisogna meditare bene se vale la pena introdurre immagini estranee. Non si è più scrittori se si trovano sempre metafore e similitudini, spesso è un sintomo di scarsa proprietà di linguaggio.

Alcuni hanno la bizzarra convinzione che più una similitudine è bislacca, più è Arte:
“Michele barcollava in mezzo alla strada, si muoveva come un furgoncino guidato da un procione con il mal di testa.” Se il testo è comico o il narratore ubriaco, va bene, altrimenti una roba del genere è uno schifo. Una roba del genere non comunica niente riguardo alla storia, comunica solo: “Guarda, mamma! Guarda come sono bravo: ci ho messo il procione! Con il mal di testa! Che guida il furgoncino!” e la risposta dovrebbe essere: “Bravo, Andreino, bravo, ma adesso lavati i denti e corri a letto. Lascia stare la narrativa, ché è cosa per i grandi.”

Non importa quanto una metafora possa sembrare “bella” o “fantasiosa”: se non svolge lo scopo, deve sparire. E spesso la metafora “fantasiosa” deve sparire comunque, perché porta con sé una sfilza di immagini che allontanano troppo il lettore dalla storia.

Meglio una metafora o una similitudine? Le metafore sono più “radicali” – Michele non ha solo il ruggito del leone, è un leone – e dunque hanno maggior impatto. Però bisogna sceglierle con ancora più cura, perché magari il ruggito leonino applicato a Michele funziona bene, la criniera meno.

Ricapitolando

Icona di un gamberetto Per far capire al lettore la storia è necessario descrivere il contesto.

Icona di un gamberetto Stabilito quale sia il contesto che vogliamo, occorre documentarsi.

Icona di un gamberetto Poi si sceglie il personaggio punto di vista, colui che fornirà al lettore la descrizione.

Icona di un gamberetto Durante la descrizione vera e propria bisogna essere concreti, stimolare i sensi e riprendere la scena in movimento.

Icona di un gamberetto Non sempre più particolari si mettono meglio è. Bisogna tenere solo quei particolari significativi per la storia.

Icona di un gamberetto Il linguaggio dev’essere preciso, ma soprattutto deve suonare naturale in bocca al personaggio che descrive.

Icona di un gamberetto Descrizioni particolarmente complesse possono essere aiutate da metafore o similitudini, ma sono figure retoriche da maneggiare con cautela.

E non bisogna scordarsi dei principi alla base di una scrittura decente: evitare le frasi troppo incasinate, gli aggettivi o gli avverbi in sovrannumero, i salti temporali superflui, i cambi di punto di vista ingiustificati, ecc.

Paura del buio

Appurato come dovrebbe essere una buona descrizione, vediamo qualche esempio di descrizioni riuscite male. Avrei da pescare a piene mani dai romanzi già recensiti, ma dato che l’orrore fresco è più spaventoso dell’orrore raffermo, rovisterò in un libro appena uscito. Sto parlando di Buio, pubblicato a inizio mese da Fazi. L’autrice, al suo esordio, è Elena P. Melodia – che almeno ha il buon gusto di non essere una quattordicenne.
Buio è il primo volume nella trilogia (tanto per cambiare…) urban fantasy di My Land; è spacciato al modico prezzo di 18 euro e 50.

Copertina di Buio
Copertina di Buio. Quando non si paga la bolletta…

La trama vede tale Alma, diciassettenne “bellissima, apparentemente sicura di sé, ma fragile e inquieta”(sic), coinvolta in una serie di omicidi, che paiono ispirati ai racconti che la stessa Alma scrive. Per fortuna ha come alleato Morgan “il ragazzo più misterioso e sfuggente della scuola, i cui incredibili occhi viola sanno leggerle nel cuore come nessun altro”(sic).
E già la trama basterebbe a scoraggiare qualunque persona con un quoziente intellettivo di almeno due cifre, ma l’editore ha fatto di più: offre la possibilità di leggere gratis le prime pagine del romanzo. Così anche chi fosse in dubbio può decidere di lasciar perdere. kaos-whiteusagi01.gif
Trovate il PDF con l’incipit di Buio, qui.

A parte la bruttezza generale, vorrei concentrarmi su alcune descrizioni ed evidenziarne i difetti, in base a quanto illustrato in precedenza.

Prima scena: la protagonista sta sognando. Sogna il buio (no comment):

È buio. Cammino, ma non mi muovo. Ho le gambe pesanti come piombo e nella testa mi battono i colpi di passi immobili, che martellano senza sosta, mentre comincio a sentire freddo. Tremo e non ho modo di scaldarmi. Anche le mie braccia sono paralizzate. Mi fanno male, un male che non ho mai provato prima, quasi stessero per staccarsi.
Provo a gridare, ma non ci riesco. Emetto solo un filo di voce roca e stonata, come il suono di uno strumento a fiato rimasto troppo a lungo sott’acqua.

Vediamo qualche punto particolarmente osceno: le braccia “Mi fanno male, un male che non ho mai provato prima, quasi stessero per staccarsi.” Tipica frase vuota: dopo che la protagonista ha abortito un feto alieno, le hanno amputato una gamba, ha passato la notte a mollo nel mar glaciale artico, allora, “un male che non ha mai provato prima” ha un significato. A tre righe dall’inizio del romanzo non significa niente.
“quasi stessero per staccarsi” è un pochino meglio, perché almeno richiama, sebbene in maniera vaga, un’immagine. Ma rimane un passaggio molto fiacco. Devi descrivere un dolore simile all’avere gli arti strapparti dal corpo, non mi sembra che ci siamo molto…
“un filo di voce roca e stonata, come il suono di uno strumento a fiato rimasto troppo a lungo sott’acqua.” Una similitudine o una metafora mettono in rapporto due cose diverse perché il lettore possa avere più facile comprensione. Ora, se dico: “voce roca” penso che non ci siano grossi problemi a sentire quello di cui si parla, ma quanti di voi hanno mai preso uno strumento a fiato, l’hanno lasciato troppo a lungo sott’acqua e infine hanno provato a suonarlo? Nessuno? No, tu lì in fondo non conti.
In altre parole qui c’è una similitudine che rende più difficile la comprensione della frase. Due piccioni con una fava: prima si butta fuori il lettore dall’incubo (improvvisamente il buio è riempito dall’acqua e da uno strumento stonato), e in cambio si ottiene di non fargli capire a quale suono ci si voglia riferire.
E non è finita qui: nelle descrizioni bisogna essere precisi, usare il preciso nome delle cose – la giusta parola, non la seconda cugina. Cosa dovrei immaginarmi a “strumento a fiato”? Una zampogna? Un flauto? Un trombone? Aggravante: la narrazione è in prima persona. Il Narratore onnisciente può usare termini generici per ragioni letterarie, ma un personaggio no. Nessuno immagina uno “strumento a fiato”, una persona immagina appunto una tromba o una cornamusa o qualcos’altro.

Tromba
Una tromba immersa nell’acqua (troppo a lungo?) È proprio l’immagine giusta per calare il lettore in un incubo tenebroso

C’è infine da domandarsi quale personaggio ha il sangue freddo per analizzare la propria voce e metterla in relazione con uno strumento a fiato bagnato, mentre si trova ad affrontare il dolore fisico più intenso della propria vita. Forse basta dire perché sì!!! Perché è fantasy!!! Perché imparare a scrivere è brutto!!!
Tralascio altri dettagli di cattiva scrittura in quelle poche frasi, perché non sono attinenti al problema delle descrizioni.

Andiamo avanti:

È successo di nuovo. Il confine tra sonno e veglia non esiste più, ormai, e gli incubi sono veri, la realtà un inferno. Il sogno diventa realtà. E anche il sogno è un inferno.

Poco da aggiungere. Una sfilza di termini astratti: incubi, realtà, sogno, inferno, ecc. Non c’è niente a cui il povero lettore possa aggrapparsi. Frasi del genere sono letteralmente inchiostro buttato. Non comunicano niente.

Scena immancabile:

Mi guardo allo specchio e il buio si scioglie, a poco a poco. Sono bella, nonostante tutto.
Resto lì, a fissarmi.
Ogni tanto mi capita di pensare come sarebbe la mia vita se fossi brutta, se non avessi gli occhi verdi, che mi piace piantare addosso ai ragazzi per metterli in imbarazzo, o i capelli neri e lisci, lucidi da far invidia a una geisha, o questo corpo che rimane magro, qualunque cosa mangi. Come sarebbe la mia vita?
Sarebbe un unico, colossale, irrimediabile schifo.

Come si diceva, le scene allo specchio nella narrazione in prima persona sono cliché in maniera insopportabile. E per non farci mancare niente l’autrice riprende i canoni di bellezza più scontati: occhi verdi, capelli neri e lisci, corpo sempre magro. Persino Nihal in una scena analoga si era trovata un difettuccio (la poverina aveva gli occhi troppo grandi!), qui invece c’è solo piatta perfezione. Comunque è da apprezzare almeno un tentativo di dare movimento alla descrizione, per esempio gli occhi piantati addosso ai ragazzi.

La protagonista arriva a scuola:

Fuori, il solito gruppetto di ragazzi mi fissa mentre passo nel corridoio affollato del primo piano.

Uhm? C’è un gruppo di ragazzi che la fissa da fuori la scuola mentre lei cammina in corridoio? E perché non entrano? Un gruppo di ragazzi che non sono della scuola tutte le mattine si appostano fuori per spiare lei? E come fanno a seguirla nella loro opera di spionaggio se il corridoio è affollato? Qualcuno ha capito il senso di questa descrizione?

La protagonista arriva in classe:

Le mie amiche invece sono diverse. Ognuna con la propria personalità vincente. Seline, sempre allegra e curiosa, sarebbe capace di vivere una settimana solo facendo shopping. Agatha, taciturna e introversa, è indipendente e determinata. E Naomi, vivace ma equilibrata, è una di quelle che dicono sempre quello che pensano.

Voglio un attimo imitare Naomi: “questa è la descrizione di personaggi più squallida che abbia mai letto in un libro pubblicato da casa editrice non a pagamento”. È una descrizione che fa schifo perché è vuota in modo imbarazzante. Non ci sono immagini, non ci sono suoni, non ci sono sapori, non ci sono sensazioni, non c’è un beneamato niente. Ci sono un mucchio di aggettivi, Agatha ne ha appiccicati addosso addirittura quattro: taciturna, introversa, indipendente e determinata. Ovviamente sono tutti aggettivi astratti, perché guai se il lettore riesce a immaginare qualcosa. Se almeno Agatha fosse stata bassa, grassa, gobba e zoppa, avremmo avuto un qualcosa a cui aggrapparci. Invece niente, dobbiamo aggrapparci all’eterea indipendenza o determinatezza.
Per Seline e Naomi vale altrettanto.
Senza contare che descrivere il carattere dei personaggi è un’idea balorda in sé: quando agiranno, il lettore capirà il loro carattere. Quando scopriremo che Agatha vive già da sola e si prende cura della sorella malata, magari ne dedurremo che è “indipendente” e “determinata”. Quando Naomi si alzerà dal suo posto per mandare a quel paese l’insegnante di matematica, sapremo che è una che dice sempre quello che pensa. Quando Seline si presenterà in classe ubriaca e con i vestiti in disordine, capiremo che è “sempre allegra”.

Amiche di Alma
Seline, Agatha e Naomi. Notare l’aura di vivacità che circonda Naomi e la distingue subito dalle altre

La cosa che fa rabbia non è tanto l’incompetenza della signorina Melodia, dell’editor o di chi altri ha letto prima della pubblicazione, quello che fa rabbia è vedere quanto il lettore sia tenuto in poco conto. Tra le righe della descrizione di cui sopra in verità si legge: “Chi se ne fotte? Tanto ‘sta merda se la devono sorbire delle ragazzine cerebrolese. Povere scemotte che si bevono qualsiasi cosa. Perché impegnarsi?”
Be’, niente da dire, se si vende è sempre tutto ok, no? Ma un mondo così mette addosso tristezza.

Come mette addosso tristezza:

Le aule sono grandi e illuminate da chilometri di luci al neon, come gigantesche stanze di un vecchio ospedale, dove una parola riecheggia con la forza di un urlo e il bianco disarmante dei soffitti ti ricorda il vuoto che hai dentro ogni giorno varcando l’ingresso.

A parte l’inutile complessità della frase, che parte da “Le aule sono grandi” e finisce con il lamento della protagonista per il vuoto dentro, abbiamo il ritorno della similitudine dannosa!
“Le aule sono grandi”: si capisce, o sbaglio?
“illuminate da chilometri di luci al neon”: questa è una prima figura retorica, un’iperbole, forse ci può stare, perché il significato rimane chiaro.
“come gigantesche stanze di un vecchio ospedale”: questa similitudine dovrebbe avere lo scopo di rendere più semplice per il lettore comprendere il significato di “aule grandi con un mucchio di luci al neon”. E invece confonde: perché non è esperienza comune frequentare le stanze (gigantesche) dei vecchi ospedali, e perché nei vecchi ospedali ci sono sale di ogni dimensione e con ogni gradazione di luce.
“[...] il bianco disarmante dei soffitti ti ricorda il vuoto che hai dentro ogni giorno varcando l’ingresso.” Scusate, sono stufa di essere razionale e gentile quando è evidente la presa per i fondelli. “Il bianco disarmante dei soffitti”? “Il vuoto che hai dentro (varcando l’ingresso)”? WTF?
«Ciao, Marco. Che ci fai con quell’arnese in mano?»
«Ciao, Chiara. Eh, nuove disposizioni del Ministero: devo fare il vuoto dentro a tutti gli studenti che varcano il cancello.»

Bonus, lo gnokko:

Approfitto di quella sua esitazione per studiarlo meglio. Non so se dipenda dal fisico slanciato e perfetto o dai capelli biondi da angelo o dagli occhi quasi viola, oppure dalla fossetta che, quando sorride, segna il lato sinistro della bocca, ma il fatto è che Morgan è senza dubbio il ragazzo più interessante che conosco.

Va bene, ma è bello come un dio greco?
Per il resto penso possiate commentare da soli: fotografia statica, con dettagli cliché e solo la vista è stimolata. Non è una descrizione atroce come quella delle compagne di scuola, ma certo sarebbe bello che uno scrittore si sforzasse un attimo di più – tanto per cambiare, eh.

vampiro
Per me Morgan è un vampiro. E in più ha gli occhi viola. Sarà mica un vampiro mezzelfo?

Con questo non voglio dire che Buio sia un brutto romanzo, magari la storia brillante compensa lo stile, io però, lette queste prime pagine, non ho nessuna voglia di proseguire.

Quali manuali leggere

Se volete approfondire, leggete i manuali segnalati. In particolare, quello che ho trovato più interessante è stato Word Painting: A Guide to Writing More Descriptively. È un testo a tratti dispersivo, che non sempre rimane focalizzato sull’argomento, ma le divagazioni mi hanno divertita.

Gli aneddoti che l’autrice inserisce qui e là sono simpatici. Uno su tutti mi ha fatto meditare: l’autrice ricorda quando consegnò all’insegnante di inglese delle medie un poema, nel quale era descritta una signora che rinvasava un geranio. L’insegnante glielo restituì dicendo che doveva essere più creativa, mettere maggior fantasia nello scrivere, per esempio imitare il compagno di banco, che aveva scritto un racconto di fantascienza con gli alieni che uscivano dai fiori.
Mi chiedo in quale scuola italiana, di qualunque ordine o grado, un insegnante non solo preferisce un racconto di fantascienza a una poesia con i gerani, ma addirittura incita il sedicente poeta a essere più fantasioso.
Nota: in realtà Rebecca McClanahan ha continuato a scrivere di gerani & simili, non si è mai convertita al fantastico – l’aneddoto rimane significativo.

Piacevole anche quando, molti anni dopo, la Rebecca, questa volta nel ruolo di insegnante, dimostra la pochezza del suo allievo che non si abbassa a costruire una storia basata su dettagli concreti, perché lui deve pontificare sull’”ansietà dell’essere” o sul “caos della modernità indefinita”. Da noi i gonzi di questo genere, invece di essere bocciati, finiscono a scrivere sulle riviste letterarie.

Inoltre in Word Painting sono trattati molti argomenti che per ragioni di spazio qui non ho potuto affrontare, per esempio l’importanza del suono delle parole in determinate descrizioni. Dunque, lettura consigliata.

Description di Monica Wood non è allo stesso livello. Anche qui ci sono buone cose, ma la Wood non ha il carisma, né la competenza della McClanahan. In particolare gli esempi della Wood sono pessimi: invece di citare da autori più o meno noti, la Wood si è costruita i propri esempi, e non si è impegnata molto. Gli esempi “sbagliati”, da non seguire, sono brutti. Gli esempi “giusti”, da imitare, sono brutti uguale.
Spesso il discorso è confuso: per esempio, quando parla di “mostrare” e “raccontare”, giustamente dice che ci sono momenti dove è meglio “mostrare” e altri dove è più utile “raccontare” – le relative citazioni sono perfino attinenti –, tuttavia si rimane con l’impressione che le due tecniche siano equivalenti. E non è proprio così: le occasioni dove il “raccontare” è più funzionale alla storia rispetto al “mostrare” non sono molte.
Comunque, meglio leggere Description che gnente.

Description & Setting di Ron Rozelle mi è parso monotono e superficiale. All’inizio l’autore proclama che si occuperà sia di narrativa di genere sia di literary fiction, ma quando si arriva alle pagine dedicate ai generi, sono poche, inconcludenti e scritte da qualcuno che non conosce bene la materia. Ho trovato la cosa irritante. Ma forse è un problema mio.
Leggetelo se vi avanza tempo.

Compiti a casa

Per concludere, vi propongo un esercizio. Guardate l’immagine qui sotto:

Ragazza con fucile e coniglio
I giapponesi sono strani

Prendete un punto di vista (qualcuno nascosto nell’ombra, dietro una delle tante finestre o la ragazza seduta o magari i conigli rosa distesi sulle scale) e provate a descrivere la scena. C’è di tutto: una ragazza con i capelli di un colore strano e vestita in maniera bizzarra, armata di un fucile che sembra vero ma è decorato con coniglietti; altri coniglietti (vivi?) abbandonati sui gradini, insieme con delle mele; sullo sfondo un coniglio nero antropomorfo, forse un uomo in costume? E il poster appeso vicino alla galleria, sarà la pubblicità del circo, o è un avviso della polizia per la ricerca di un pericoloso coniglio mannaro, o ancora è la foto di un coniglio scomparso?

Divertitevi!


Approfondimenti:

bandiera EN Description su Amazon.com
bandiera EN Description & Setting su Amazon.com
bandiera EN Word Painting su Amazon.com

bandiera EN Il sito di Monica Wood
bandiera EN Il sito di Ron Rozelle
bandiera EN Il sito di Rebecca McClanahan

bandiera IT Fiori per Algernon su iBS.it
bandiera EN Flowers for Algernon su gigapedia
bandiera IT Buio su iBS.it
bandiera IT Il sito ufficiale della trilogia My Land

bandiera IT Ars Poetica di Orazio su Wikipedia
bandiera IT Retorica di Aristotele su Wikipedia

 


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221 Comments To "Manuali 1 – Descrizioni"

#1 Comment By Gamberetta On 3 ottobre 2009 @ 18:02

Purtroppo, giusto poche ore prima della pubblicazione di questo articolo, i link di gigapedia per Word Painting sono morti tutti. Il libro può lo stesso essere scaricato qui ma non ho idea ancora per quanto.

#2 Comment By Teo On 3 ottobre 2009 @ 18:27

Mi è scesa la lacrimuccia all’esempio di Keyes.

Non ho apprezzato solo la frase

Anche se non si desidera arrivare fino a questo punto di “fanatismo”

… a meno di non voler scrivere uno dei più grandi racconti di fantascienza, certo.

Per il resto complimenti, un GRAN bel post.

#3 Comment By Maudh On 3 ottobre 2009 @ 21:30

Ottimo articolo, sicuramente uno dei migliori mai pubblicati sulla barca.
Riguardo ai manuali, per chi come me parla un pessimo inglese sono intellegibili (sono al livello the pen is on the table per capirci).
La mia descrizione da aspirante scrittore fantasy inizia così: Dopo l’ennesimo eccesso di polvere di fata mi ritrovai in una strada brutta con una ragazza molto strana e singolare che aveva un coso che spara con un coniglio piccolo, carino e rosa sopra.
La ragazza aveva un carattere forte e incline al pianto, ed era molto indipendente e seria e festaiola.

Non vedo perhcè Fazi mi dovrebbe negare la pubblicazione!XD

P.S. (scritto dopo la fine dell’effetto della polvere di fata) Scusate per l’orrore, ma dopo la descrizione delle amiche era doveroso scrivere la descrizione della mercenaria conigliesca con lo stile di un vero professionista. Cioè, cavolo, a lei la pubblica FAZI!!!! LA STESSA DI TUAiLàIT!!!

#4 Comment By Angra On 3 ottobre 2009 @ 22:13

Avevo già una mezza idea di dover dedicare un’ultima rilettura del mio romanzo alle descrizioni, e questo articolo me ne ha convinto. Da incorniciare.

#5 Comment By Izzy On 3 ottobre 2009 @ 22:56

Il motivo per cui trovo fastidiose le persone che criticano gli scrittori italiani pavoneggiandosi di aver letto quello o quel altro manuale, non è per il manuale in sé, quanto perché quando espongono le loro sentenze le giustificano con un “perché lo ha detto King”. Almeno tu hai mostrato parte dei motivi che ti spingono a credere in quei manuali. Un articolo interessante.

#6 Comment By Okamis On 4 ottobre 2009 @ 00:46

Ottimo articolo, come sempre dopotutto.
Mi soffermo solo un attimo sulla questione della dinamicità delle descrizioni. Alcuni anni fa lessi “A volte la magia funziona” di Terry Brooks. Per quanto Brooks non rientri minimamente tra i miei autori preferiti, in quel testo trovai parecchio materiale interessante. Riguardo proprio le descrizioni, ricordo un suo esempio decisamente funzionale. In pratica s’inventa questo personaggio senza un braccio. Sorge il quesito sollevato anche da te: come descriverlo senza cadere nei soliti cliché? La sua risposta è proprio attraverso le azioni. Ad esempio, si potrebbe descrivere un movimento inconscio del braccio (magari per cercare di afferrare un oggetto che sta cadendo; non ricordo se questo è il medesimo esempio di Brooks, ma il concetto non cambia); movimento ovviamente inutile e che riporta il protagonista alla cruda realtà.
Da noi, invece, se ti va bene ti becchi la descrizione in Strazzulla Style, dove a ogni nuovo personaggio (anche il più insignificante) partono venti righe di descrizione dell’aspetto e dei vestiti, colore e misura delle mutande compresi…

PS: Nel secondo angolo della saputella è presente una piccola svista ;)

#7 Comment By Federico Russo “Taotor” On 4 ottobre 2009 @ 01:02

Cronache della scrittura secondo Gamberetta – Volume I. Bello. XD
Segnalo una piccola svista:

Dai noi i gonzi di questo genere

.

#8 Comment By D7 On 4 ottobre 2009 @ 11:21

Zampettavo verso l’uscita della galleria, andando incontro ai due amici che correvano verso di me. Agitavano le zampe in segno di saluto e zigavano felici.
Poi scomparvero.
Mi fermai. Ero confuso, non riuscivo a capire cosa fosse successo. Ma non ebbi il tempo di pensarci: qualcosa era sbucato dall’angolo in fondo alla strada, e si avvicinava al punto in cui erano spariti i due conigli. Una psicololi!
Terrorizzato e tremante, mi appiattii contro la parete.
La seguivo soltanto con gli occhi, troppo spaventato per muovere la testa. Quando quella piccola ma letale creatura si fermò a pochi balzi dalla galleria, fui certo che mi avesse visto. Ma mi accorsi che non guardava nella mia direzione: il suo sguardo era fisso sul terreno.
Si chinò e raccolse qualcosa dal fondo della strada, e lo infilò nella la borsa che portava al fianco. Non avevo avuto il tempo di osservare bene, ma sembravano due… bambolotti? Spalancai gli occhi. Erano loro! I due amici che correvano verso di me, diventati peluche! La maledetta li aveva convertiti con il suo fucile ammazzaconigli, un arnese alto quasi quanto lei che teneva stretto nella mano destra. Restando lì avrei presto fatto anch’io la stessa fine. Dovevo scappare, e in fretta!
La psicololi si alzò e si guardò intorno, e pensai che fosse già troppo tardi, che mi avrebbe preso. Invece si spostò sul lato della strada e sedette sugli scalini davanti all’ingresso di un edificio. Posò la borsa e ne estrasse uno dei conigli convertiti; lo afferrò per le zampe lo fece saltellare sulle sue ginocchia, mentre cominciava a canticchiare. Mi si rizzarono le orecchie nell’udire quella dolce melodia. Volevo avvicinarmi. Zampettare da lei per farmi coccolare, accarezzare. Era più forte di me, non riuscivo a resisterle. Proprio quando ero sul punto di uscire dal mio nascondiglio, la melodia cessò. Mi riebbi. Ancora un secondo, e sarei corso da lei. E da lei avrei trovato la morte.
Lasciò andare il coniglio di peluche, che cadde sugli scalini, e ritornò a frugare nella borsa. Questa volta ne estrasse una mela. La portò alla bocca e le diede un morso, masticò e inghiottì. Dischiuse il palmo e la mela cadde, rotolando e fermandosi qualche gradino più in basso.
Osservavo ogni suo movimento, pronto a defilarmi appena fossi stato certo che la psicololi fosse abbastanza distratta. Quando cominciò a far roteare la mano davanti a sé, impegnata in un qualche tipo di operazione che non riuscivo a comprendere, ma che sembrava assorbire tutta la sua attenzione, capii che era il momento giusto. Uscii dall’ombra della galleria e, un passo dopo l’altro, cercando di non fare rumore, imboccai la strada alla mia destra e mi allontanai dalla pericolosa assassina.

#9 Comment By Mick On 4 ottobre 2009 @ 14:50

“insieme con delle mele”?

#10 Comment By Mick On 4 ottobre 2009 @ 15:04

Mario chiuse la porta di casa con due giri di chiave. Tre va. Ci si buttà contro di peso, premendoci la fronte con forza. Aveva gli occhi gonfi e screpolati e cosi tanta ansia addosso che gli fischiavano le orecchie. Rantolava e ansimava come se avese visto la morte in faccia.
“Cazzo ho magiato? Cristo, questa volta giuro che li ammazzo”.
Mario li aveva anche provati gli acidi quando era piu giovane, assieme alla massa di bisonti sessantottini che facevano sbarramento davanti l’università di lettere, ma questa roba proprio non l’aveva mai vista. Forse era stato il ciccio – vedeva già le sue dita grassocce e sudate che premevano quei piccoli proiettili di LSD nella sua pizza.
“Ok” – si disse – “adesso apro la porta e non c’è piu”. Nessuno coniglietto geleè che scivola dai gradini, di casa, nessun cielo rosa tipo fenicottero dei Pink Floyd. Nessuna ragazza con il fucile in mano e la tuba in testa.
Si toccò la fronte. Era freddo come un morto. Sudava. Si guardò le mani tremanti e notò che il sudore era rosa come il cielo. Come i marshmellow. E gli stava bruciando la carne.

#11 Comment By Clio On 4 ottobre 2009 @ 15:36

Gli umani sono dei sadici. Non hai voce per gridare? Possono farti quello che vogliono senza essere infastiditi dalle tue lamentele. Quello che vogliono! Tipo appiccicarti addosso un coniglietto rosa.
Sono il prodotto geniale di secoli di evoluzione, posso esploderti la testa con un colpo, sono una macchina di morte essenziale e precisa. Ma no, che gliene frega? Mi hanno dotato di caricatore, grilletto, mirino, ma un allarme no? Un allarme che scatti appena una cerebrolesa mi prende in mano… No, niente. Sono una macchina per uccidere inerme nelle mani di un’umana lobotomizzata.
Scommetto che neanche sai come imbracciarmi. Mocciosa coi capelli blu, va’. Scommetto che ti punteresti il calcio sul naso. Magari. Poterti spaccare il muso col rinculo…
Gli umani non sono sani. Creano oggetti perfetti come me, e aggeggi totalmente inutili, tipo l’adesivo rosa che questa deficiente mi ha incollato addosso. E non fanno neanche la differenza, oh no! Non sia mai detto che questa mocciosa mi degni di riguardo! Sono ore che se ne sta seduta sui gradini di questo palazzo a guardar passare la gente, si appoggia a me come se fossi un… un bastone da passeggio! Nemmeno, un accessorio gotico da accoppiare al suo ridicolo cappellino a cilindro o alle sue calzette bianche.
E’ triste, è umiliante! Uno della mia batteria è stato trafugato da un assassino seriale, ho sentito. Lo ha usato per crivellare di colpi una famiglia al parco giochi. Accidenti… Certo, non è emozionante come essere messo in mano a un vero soldato. Ma almeno è qualcosa, ha fatto qualcosa! Io non servo ad altro che a far figura. Avesse deciso di sparare a qualcuno. Nah. La gente passa, la guarda, tira dritto. Il massimo dell’azione? Ha pescato una mela dalla borsa, l’ha rosicchiata un po’, poi l’ha buttata sui gradini. E nel processo a rovesciato tutto il suo ciarpame in terra, mele e pupazzetti coniglietti. Wow, davvero eccellente, brava! Si vede che appartieni alla razza dominante del Pianeta!
Odio i coniglietti rosa. Ma odio di più le squinternate che li amano.
E questa se ne sta cosce all’aria su questa scala, tutti ci guardano. Che vergogna! Penseranno che sono un fucile giocattolo!
Qualcosa deve essere sbagliato nella razza umana. Sono troppo incoerenti. Hanno costruito me. Insomma, fate un momento astrazione dall’adesivo e guardatemi! Sono perfetto: efficiente, resistente, preciso. E non sono l’unico prodotto decente della razza!
Come mai, mi chiedo, cervelli che hanno creato me o costruito queste scale mettono insieme roba che non serve a nulla, tipo gli stracci che porta questa mocciosa? E non prendiamoci in giro parlando di arte e di moda! Sono tutte baggianate! I vestiti servono a una cosa sola: proteggere dal clima! Sono stati inventati apposta, come io sono stato inventato per uccidere. Minigonna e corpetto succinto, da cosa proteggono? Non servono a niente vestiti così! E le scarpe? A che servono le scarpe? A camminare senza scorticarsi i piedi. Ora, io non ho i piedi, ma se li avessi non metterei certo quelle cose con la suola di una spanna! Se questa stupida decidesse, sia mai, di camminare (magari per andare a tirarsi giù dal ponte), rischierebbe di troncarsi una caviglia, o di cadere e spaccarsi le gambine anoressiche. Eh, perché poi non è solo il vestito, è lei che è sbagliata!
Il corpo è stato fatto per agire, ragazza! Muoversi, correre, mangiare, accoppiarsi, uccidere… Intendi? Tutta ossa… Sei un fallimento. Se io fossi uscito debole e carino dalla catena, mi avrebbero sbattuto tra i rottami, altro che mettermi in mostra sulla via!
Buona a nulla, va’. Che per fortuna il mondo gira anche senza di te. Va’, che tanto c’è abbastanza gente sana per far marciare l’industria.
Queste scale sono sbeccate e polverose. Io odio la polvere. E odio i conigli. Ma non ho un dispositivo per comunicarlo, merda! Va’, mi consolo, che almeno sono inossidabile. Quando questa cretina si taglierà le vene per il verso giusto io sarò ancora perfettamente efficiente. Magari si stuferà della vita e si sparerà in bocca usando me. Magari.

#12 Comment By francy On 4 ottobre 2009 @ 16:02

Alice si sedette esausta sulla gradinata del palazzo ducale, abbandonando in malo modo la sua valigetta a tracolla accanto a sè. Ptonf, fece la valigetta quando atterrò sul gradino, e poi Sfrush, fecero le fibbie mentre si aprivano, rivelando il contenuto della borsa. C’erano tante mele rosse e dei piccoli pupazzetti rosa a forma di coniglio. I pupazzetti a forma di coniglio. Alice li guardò con astio e ne afferrò uno con un gesto brusco, urtando una delle mele che cadde dalla valigetta, rotolando parecchi gradini più in basso. La ragazza strinse il pupazzetto come volesse strangolarlo. Bambola woodoo del piffero! pensò, con incavolatura più che evidente. Se ripesco la vecchia che me l’ha venduta… altro che farmi trovare il Bianconiglio, ‘sta cosa mi porta solo sfiga! Al colmo della stizza, fece per buttarla a terra, poi però parve calmarsi e la scintilla di rabbia svanì dai suoi grandi occhi rossi. Era una RR lei, una Rabbit Ranger! Una simile perdita di controllo non si addiceva di certo a un membro dell’Esercito Reale di Sua Maestà la Regina di Cuori! Appoggiò delicatamente il pupazzetto di fianco a lei e si sistemò la piccola tuba nera regalatale dal Cappellaio Matto, per ridarsi un certo contegno. Poi, non contenta, iniziò a sistemarsi anche il gantino sulla mano sinistra, con i lunghi capelli verde acqua che le ricadevano sul braccio magro e pallido. Dovette usare la bocca per stringere le stringhe di cuoio, perchè l’altra mano era impegnata a stringere un grande fucile militaresco. E, per la cronaca, l’adesivo a forma di coniglietto rosa non lo rendeva meno minaccioso. Lontano da Alice, intanto, una figura a metà tra un uomo e un coniglio si muoveva furtiva tra le ombre, decisa a non farsi scoprire. Se solo la RR avesse saputo che il bianconiglio era poco distante da le…
Uh uh^_^ compito finito, spero che vi piaccia!=D

#13 Comment By Evangeline On 4 ottobre 2009 @ 20:10

Mi guardavo attorno, annoiata. L’intonaco scrostato dei muri, i gradini sbeccati e l’odore dolciastro di una mela andata a male mi sembravano i dettagli più significanti di quel quartiere, dove il silenzio regnava sovrano. L’unico suono che si udiva era quello di Angelica che puliva con una pezza il proprio fucile. Un tipo strano, la mia amica: riusciva ad avere caldo persino in una mattina di Ottobre, ragion per cui si vestiva in maniera minima, con una gonnellina di pizzo e un busto che la copriva quanto bastava. Ridicola. Molto meglio i miei pantaloni di pelle.
Sbuffai, stufa dell’attesa. Tirai un calcio ad un coniglietto di pezza rosa e Angelica mi scoccò un’occhiataccia. Non ci badai. Lei adorava i conigli, tanto da portarsi sempre dietro quei pupazzetti inutili e da applicare adesivi a forma di coniglio ovunque, sul monitor del pc, sull’agenda, perfino sul fucile che usavamo al lavoro.
“Ti sbrighi, Ange? Non ne posso più di aspettare” sbottai.
“Ho finito, ho finto, smettila di farmi fretta” rispose lei.
“Possiamo andare?”
“Sì, adesso andiamo.” Angelica ritirò i suoi coniglietti nella valigetta e alzò gli occhi al cielo rosato dell’alba. “Guarda che bella giornata” disse. “Ideale per una caccia. Allora, chi dobbiamo far fuori oggi?”

#14 Comment By Lupo On 4 ottobre 2009 @ 20:15

@ tutti quelli che hanno fatto i compiti a casa
Parere personale: la mancanza più evidente che avete commesso, in relazione a questo articolo di Gamberetta è stata ignorare totalmente la descrizione dell’arma della ragazza. Forse per poca familiarità con le armi, ma non avevate detto più volte che prima di scrivere qualcosa ci si deve documentare?
Il massimo della descrizione è stato questo:
fucile ammazzaconigli, arnese, fucile, fucile militaresco, fucile.

Anche un nome di fantasia andava bene. Es:K-BU7
Con Google mi sono bastati 20 sec. per trovare l’ Heckler & Koch G3 (che si avvicina molto a quello disegnato) http://it.wikipedia.org/wiki/Heckler_%26_Koch_G3

Una buona descrizione
Una buona descrizione è concreta, stimola i sensi, è dinamica e ha significato per la storia.
Questo non perché sì, questo perché, se si rispettano i precetti di cui sopra, il cervello del lettore riesce a vivere gli avvenimenti; il lettore è perciò coinvolto e non chiude a metà il libro.
[...] Ciò non vale solo per i personaggi. Anche i luoghi devono essere descritti con gli stessi criteri.
[...]

Un minimo di approfondimento sull’arma era necessario, anche solo per dare l’idea della potenza di fuoco. Senza Esagerare:

Le descrizioni pedanti, statiche, piene di dettagli inutili, ammazzano il fluire della storia

Comunque il mio intervento è da interpretarsi solo come un consiglio.
Pensate anche al Duca Carraronan, che si starà rigirando nella tomba.

;)

#15 Comment By D7 On 4 ottobre 2009 @ 21:11

L’unico limite è il punto di vista. Infatti – a meno che le descrizioni non siano a opera del Narratore, ma per ragioni di verosimiglianza è sconsigliabile usare un Narratore onnisciente in un testo di fantasy/fantascienza – le descrizioni sono sempre dal punto di vista di un personaggio. Se il personaggio è un laureato in biologia userà la terminologia migliore nel laboratorio, ma forse non saprà distinguere le mazze da golf. Viceversa il campione di golf userà la propria esperienza per parlare di Ferro 8 o Legno 3, ma è probabile non saprà dire molto osservando un virus al microscopio.

#16 Comment By Lupo On 4 ottobre 2009 @ 21:45

@D7 Ma che cosa voul dire? Non potevi mettere una descrizione migliore dal punto di vista del fuggitivo?

…convertiti con il suo fucile ammazzaconigli…

Il fucile che fa? Li converte o li ammazza? non ti sembra che il lettore ne rimanga confuso? Il fuggitivo come può sapere che è stata la ragazza a convertire i suoi amici se non sa come funziona il fucile? Lo chiama ammazzaconigli, quindi qualcosa conosce, di quel fucile. Sprecare una o due frasi in più sull’arma e come/cosa spara non mi sembra un errore, anzi. (visto che è proprio in primo piano)

#17 Comment By Clio On 4 ottobre 2009 @ 21:46

@ Lupo
Dissento ^_^ La tua critica sarebe fondata in un contesto. Se la descrizione fosse tratta da una storia dove le armi sono fondamentali, avresti ragione. Ma chi dice che sia così?
k-BU7 non vuol dire nulla, non evoca nessna immagine in un brano. In un libro che parla di un sicario armato del novissimo K-BU7 sì, ma non è il caso.
Avendo a disposizione poco spazio e un tema preciso (descrivere l’immagine), fucile ammazzaconigli va bene perché non c’è contesto, e l’arma disegnata potrebbe non essere uno Heckler & Koch G3, ma un fucile ammazzaconigi che ci somiglia.
A chiosa, usare linguaggio troppo specifico può essere controproducente. Per esempio:
Makabe accostò la tachi al viso. Il saya era decorato, la tsuba era costituita da due eleganti tsuru. Ammirò la grana della samei che rvestiva lo tsuka decorata con un maneki che, come il kashira, rapresentav delicate foglie di momiji. Lo ito era scuro, perfetamente bloccato dal fuchi.
Sono stata estremamente precisa, e io so benissimo cosa sta succedendo, ma dubito che il lettore medio capisca. Se non voglio narrare una storia sulle spade (il che porrebbeil problema del lessico), ma voglio solo descrivere, per esempio, uno spzzone di un flm, scriverò:
Makabe accostò la lunga sciabola al viso. Il fodero era decorato, la guardia era costituita da due eleganti gru. Ammirò la grana della pelle di razza che rivestiva l’elsa, decorata con un ornamento che, come il pomo, rapresentava delicate foglie di acero. Il nastro che fasciava il tutto era scuro, perfetamente bloccato dal collare d’acciaio che toccava la guardia.
E’ meno preciso, ma ho raggiunto lo scopo: mostrare un tizio che studia una spada.

#18 Comment By cafeine On 4 ottobre 2009 @ 22:29

Ho letto i primi due capitoli di Buio e lo trovo assolutamente agghiacciante. Non credo però che la descrizione allo specchio sia un clichè così fastidioso: se viene inserita durante un attacco di zombie, o se il protagonista si ferma a rimirarsi sulla corazza del nemico mentre combatte contro dodici gladiatori…beh, in questi casi è semplicemente atroce. Nei momenti riflessivi, invece, non mi sembra affatto una brutta soluzione.
Sono favorevole anche all’uso della prima persona: non è dispersivo, ti permette di seguire il personaggio come un lungo piano sequenza e di immergerti a fondo nel suo mondo e nei suoi pensieri. La terza persona alla lunga può stancare, rischia di somigliare a una cronaca: la prima persona ti permette maggiore fluidità.
Tornando a Buio, alcune cose non sono proprio pessime, ma il peggior difetto di questa autrice mi sembra la tendenza a divagare, cioè a interrompere la narrazione per parlare di un quaderno viola, del lavoro di infermiere, di un professore che non è ancora comparso in scena e così via. Tremende poi le riflessioni esistenziali che butta qua e là.
Per il resto, non credo che si possa parlare di mezzi sbagliati, ma di utilizzatori incapaci.

Riguardo la lettura come migliore scuola, sono d’accordo. Quando inizi a notare le differenze tra gli autori, gli stili e i tipi di narrazione, automaticamente inizi a intuire i meccanismi della scrittura. O perlomeno, capisci che ci sono delle impalcature invisibili, delle strutture nascoste. I manuali servono a chiarirsi le idee e a perfezionarsi, ma suppongo che scrivere sia anche e soprattutto questione di orecchio.

#19 Comment By Gamberetta On 4 ottobre 2009 @ 22:39

@Okamis / @Federico. Grazie per le segnalazioni, ora correggo.

@Maudh. Ottima descrizione, da vero scrittore di fantasy italiano! Forse mancano un po’ di avverbi. ^_^

@D7. “psicololi” LOL!
Che il fucile sia alto quasi quanto la ragazza è un po’ una forzatura, dato che non è così nel disegno. La “psicololi” andava descritta di più, anche perché chi non è addentro agli anime, non ha presente chi sia una “loli”.
“Terrorizzato” o “spaventato” potevi toglierli, magari aggiungendo qualche particolare: abbassare le orecchie? Improvviso desiderio di rannicchiarsi? Mettersi a rosicchiare il legnetto portafortuna?

@Mick. Le mele sono dentro la cartella e una morsicata sui gradini.

@Clio. Originale il punto di vista, una scelta surreale degna della scena in esame.
Manca anche solo un accenno al coniglio nero, che mi sembra un particolare importante.
Per quanto riguarda il linguaggio usato o il tipo di descrizione è difficile dire qualcosa perché non ho idea di come penserebbe un fucile senziente. Comunque è interessante.

@francy. Non è brutto. In effetti “grande fucile militaresco” è infelice, se scrivi solo fucile è uguale.
“E, per la cronaca, l’adesivo a forma di coniglietto rosa non lo rendeva meno minaccioso. Lontano da Alice, intanto, una figura a metà tra un uomo e un coniglio si muoveva furtiva tra le ombre, decisa a non farsi scoprire. Se solo la RR avesse saputo che il bianconiglio era poco distante da le…”
Questo pezzo ha il problema che cambi il punto di vista da Alice al Narratore. Per parlare del particolare dell’adesivo sul fucile, potevi, non so, mostrare Alice che preme l’adesivo perché si è un po’ scollato. Il coniglio nero sarebbe stato meglio se lo (intra)vedeva direttamente Alice.

@Evangeline. L’inizio è un po’ raccontato, puoi essere più diretta:
“Mi guardavo attorno, annoiata. L’intonaco scrostato dei muri, i gradini sbeccati e l’odore dolciastro di una mela andata a male mi sembravano i dettagli più significanti di quel quartiere, dove il silenzio regnava sovrano.”
“mi sembravano i dettagli più significativi” è inutile, basta che li dici, ed è ovvio che per il personaggio che li elenca sono i dettagli più significativi, se no non li direbbe! ^_^
Manca poi un accenno al coniglio nero.
In ogni caso non è male.

@Lupo. Sì e no. Non mi è parso che in nessuna descrizione il punto di vista necessitasse di parlare in termini tecnici del fucile. Ma se qualcuno l’avesse fatto può essere ne sarebbe uscita una descrizione migliore. Non so.

#20 Comment By Clio On 4 ottobre 2009 @ 22:49

A Gamberetta
Avevo accennato al coniglio nero, poi mi sembrava che la faccenda diventasse troppo lunga. Dopotutto il fucile si ta autocommiserando. Magari non il tizio travestito da coniglio nemmeno lo ha notato.

Però potrei seguire l’esempio di certi Indicussi Maestri del Fantasy (non solo italiano) e aggiungere un brutale cambio di POV in cui la signora Brambilla incontra un Puka leporino a grandezza umana e schiatta d’infarto!

#21 Comment By Il Duca Carraronan On 4 ottobre 2009 @ 22:54

Un paio di ipotesi sul fucile.
Facciamo finta che il fucile possa essere un fucile dei nostri, come il corsetto è un corsetto (e probabilmente non un’arma nucleare), il cappellino un cappellino (e onn una trappola per orsi) ecc… fingiamo che ciò che vediamo sia davvero ciò che vediamo.

Detto questo, si può analizzare l’arma.
Cercherò di spiegare in modo da essere comprensibile per tutti, evitando termini tecnici inutili o altro.

A prima vista, senza guardarla con attenzione, avevo pensato prima al FN FAL e non al G3A3 perché: 1) il rompifiamma è piuttosto lungo (a metà strada tra quello di alcuni FN FAL e quello del G3A3); 2) il caricatore ha tre solchi molto accentuati che ho visto più spesso nei caricatori del FN FAL che in quelli del g3; 3) l’impugnatura a pistola ricorda più quella del FN FAL che quella del g3 per un aspetto (la curva e il modo in cui si adagia nel palmo); 4) quattro; 5) l’impugnatura indietreggia fino all’altezza in cui inizia il calcio come nel FN FAL, e non si ferma ben prima come nel G3A3.

(Ripeto sempre il costruttore FN per non confonderci col “fal”, il nomignolo storico usato dai veci per indicare il Beretta BM59 che è totalmente diverso)

E’ invece chiaramente un G3A3 per altri motivi: 1) il manicotto (la parte poggiamano frontale, per intenderci) che non avvolge completamente, ma lascia scorgere il metallo in cima; 2) l’aspetto dell’arma nel punto in cui il caricatore si inserisce (notate quelle tre piccole depressioni); 3) la forma del calcio è quella del G3A3 più che del FN FAL (più dritto); 4) quattro; 5) le mire non sono subito accanto al calcio, ma un po’ distanziate (confrontate le tacche di mira del FAL e del G3A3) e la forma è proprio quella del G3 e non quelle del FN FAL (più dritte);

Poi c’erano altre cose che è inutile citare per esteso sia a favore del FN FAL che del G3A3 (o del G3 SG3), ma comunque, se dovessi abbinarlo a un’arma vera, sarebbe un G3A3 (o un G3 SG3). Senza dubbio: un G3A3 disegnato male, ma un G3A3.

Insomma, è un “fucile da battaglia” in 7,62×51, quindi un calibro serio e non un calibro intermedio come il 5,56×45. La balistica dei due nelle ferite è completamente diversa: il primo si ribalta e può attraversare da parte e parte le automobili e anche far saltare il motore di un veicolo in avvicinamento sospetto; il secondo se inizia a ribaltarsi quando è ancora molto veloce (nei primi 100-20 metri in base alla lunghezza della canna e alla velocità alla bocca) esplode in mille pezzi a causa della blindatura troppo debole rispetto all’impeto del piombo che racchiude, causando ferite devastanti con cavità enormi nel corpo… peccato che se si spara attraverso un veicolo, farà lo stesso lì dentro magari devastando i sedili senza uscire fuori per raggiungere il bersaglio nascosto e, inoltre, è un calibro troppo anemico per usarlo contro il motore di un’auto in corsa (motivazione per cui i soldati inglesi in Irlanda del Nord chiesero di mantenere i vecchi L1A1, FN FAL-inch semiautomatici in 7,62, al posto dei nuovi SA-80 automatici in 5,56).

Ora passiamo alla questione seria: cosa ce ne frega che possa essere in 7,62×51? Non molto a meno di non volere che freghi. Uno può anche inventarsi che sia in un 7,62 diverso, sottodimensionato come carica di lancio per via del fisico minuto della Cacciatrici (e abbassato, diciamo, ai livelli di un 5,56) che impiega proiettili esplosivi pieni di liquido anticoniglio mannaro che ha, più o meno, l’effetto che ha l’acqua santa contro i vampiri in certe storie trash: morte istantanea o comunque ferite gravissime.
In tal caso sapere la balistica vera del 7,62 è inutile. Probabilmente avrà la gittata di un 7,62×39 sovietico, tiro teso ai 400 metri massimi invece che al chilometro. Gli organi di mira vanno tutti ritarati o più probabilmente rifatti da zero e rimontati nuovi, ma non ci vuole un genio per farlo: se la Ditta può fabbricare munizioni anticoniglio mannaro, può anche fare un pomeriggio di spari al poligono per riprogettare gli organi di mira. Il tromboncino rompifiamma più accentuato può servire per l’impiego di granate da fucile anticoniglio (i pupazzetti?) e per aumentare i gas espulsi verticalmente per abbattere un altro po’ il problema del rilevamento dopo lo sparo.

La questione è che se uno conosce le armi, può decidere di sfruttare le informazioni per motivi narrativi o può decidere di inventare le cose basandosi sulle informazioni in possesso o rendendo tutto “maGGico” (entrambe le cose vanno benissimo, SE uno le fa con un buon motivo e sapendo cosa fa), ma se invece uno non sa niente allora non ha scelta: può solo inventare di sana pianta!
L’assenza della scelta è il problema, non la decisione di scegliere. Più la questione armi è importante nel corso della storia (scontri a fuoco ecc…) e più il problema di non aver scelto in modo consapevole diventa grave (può anche non essere grave per niente! ^__^).

Riguardo al modo in cui descrivere l’arma.
Se il POV è del fucile, è un dannato fucile da battaglia in 7,62×51 in un mondo di frocetti in 5,56×45, ha un orgoglio decennale ferito dal cambio di calibro di preferenza nel paesi NATO, ma sa fare il suo lavoro e sa che nei campi aperti della Polonia (in caso di conflitto continentale) o in Afganistan dove si spara anche a 800+ metri di distanza o in IRAQ (dove conta la capacità di perforare lamiere e simili), lui può far mangiare polvere a quel finocchio del M16A3. Cazzo, sì. Polvere a manetta.
E con tutto l’orgoglio di casta di un vero pezzo di alta tecnologia, come è la meccanica straordinaria del G3, ci tiene a far sapere cosa è e a pensare in termini sprezzanti dei rivali (anche se invidia un po’ la maggiore velocità alla bocca del FN FAL, con la canna più lunga…).
E di certo non penserà di stare “in batteria” come se fosse uno di quei grossi, ottusi, pezzi di artiglieria arteriosclerotici. ^___^

Se il POV è della ragazza, lei conosce il suo fucile. Magari non gliene frega niente di sapere il peso in grani dei proiettili o la velocità alla bocca (mica fa le ricariche, li riceve già pronti dalla Ditta), ma sa come è fatto, cos’è, come usarlo e come ripararlo. Ma probabilmente, proprio perché è abituata, lo penserò come “fucile” e basta, senza sbavare sui dettagli del nome (che però, se interrogata nel dettaglio, sa) un po’ come il Beretta BM59 per generazioni di soldati di leva è stato solo “il fal” (Fucile Automatico Leggero).

Se il POV è di uno qualsiasi che passa, potrebbe riconoscere che è un G3 (anche se magari è modificato) o pensare che sia un fucile e basta o pensare che si tratti di “un mitra”. Dipende quanto ne capisce di armi. In fondo una persona qualsiasi non è tenuta a conoscere nello specifico quel pezzo di equipaggiamento: è solo un fucile. E basta.

In generale i dettagli tecnici servono per decidere cosa scrivere, ma non per scriverli. ^__^

#22 Comment By Lupo On 4 ottobre 2009 @ 23:08

@Clio

Sono stata estremamente precisa, e io so benissimo cosa sta succedendo

Ma che razza di esempio hai fatto?? Hai solo usato le parole in giapponese al posto delle loro omologhe in italiano, non hai usato nessun termine incomprensibile o troppo tecnico. (tachi/lunga sciabola, saya/fodero, tsuba/guardia, tsuru/gru ecc.)

A parte questo, capisco quello che vuoi dire, ma non ho mai detto di fare una relazione tecnica sul fucile d’assalto:Calibro, Munizioni, Cadenza di tiro, Gittata Lunghezza della canna, Peso, Alimentazione, ecc. Ho consigliato solo di descrivere meglio il fucile. Tra parentesi, quello che hai scritto tu mi andava anche a genio, perchè si capisce com’è fatto, questo benedetto fucile! Ho come l’impressione che non hai letto bene quello che ho scritto. =)

#23 Comment By Clio On 4 ottobre 2009 @ 23:48

A Lupo
Du calme, du calme ;) Io non ho parlato di fucili ammazzaconigli, ma non c’entra. Volevo solo dire che in questo contesto e condizioni essere precisi non era essenziale. Può aggiungere alla storia, se c’è una storia. Non è questo il caso, si tratta solo di una descrizione, e la maggor parte della gente non sa a cosa assomiglia un G3.
Quanto ai termini giapponesi, non ci sono perfetti omologhi in italiano. Si può scrivere in italiano se il punto è descrivere una scena (siegare a Mr.X l’immagne di un tizio che esamina una spada), ma non sono termini precisi.
Tra l’altro sono d’accordo quando dici che i termini devono essere precisi, ma a seconda dei contesti penso si possa essere più “rilassati”.
In definitiva sono io quella che ha scritto la descrizione peggiore, perché ho usato un POV senza riuscire a dargli il giusto carattere.

Al Duca
Niente da dire, chiedo perdono per aver tavisato il carattere del fucile. Per farmi perdonare sacrificherò diciassette conigli a Nyarlathotep (o come diavolo si chiama, insomma, Lui!)

#24 Comment By cafeine On 5 ottobre 2009 @ 00:03

HO FATTO PURE I COMPITI

Davanti ai suoi occhi si presentò una scena surreale.
Si trovava ancora in città, nella solita squallida periferia, ma l’atmosfera era cambiata completamente. Le strade erano deserte, i palazzi sembravano scatoloni vuoti costellati da file e file di finestre chiuse, e non c’era segno di vita. Tutto galleggiava in un’atmosfera rosata, straniante. Il tempo si era fermato.
Nessun rumore.
La città si era ridotta a un fondale dipinto.
L’uomo mosse qualche passo, con cautela. In quel silenzio, sarebbe bastato lo scricchiolio della ghiaia sotto uno stivale a tradirlo.
Ma la sua preda sembrava ancora convinta di esser sola.
Seduta sui gradini della stazione, a una decina di metri di distanza, la ragazza fissava il vuoto con un’espressione totalmente assente.
Era davvero molto giovane: tredici o quattordici anni, appena una ragazzina. Sembrava una scolaretta ribelle: gonnellina frou frou e calze bianche, un bustino scuro con i lacci, una gran quantità di fiocchi, pizzi e cianfrusaglie, scarpe nere con la zeppa. Portava una piccola tuba sui capelli azzurri, e teneva appoggiato a terra il fucile con la stessa noncuranza con cui aveva buttato la borsa sui gradini. C’erano conigli rosa sparsi ovunque.
Conigli.
Rosa.
L’uomo storse il naso.
Nel piccolo mondo idiota di quella razza là, neanche le armi avevano più una dignità: le mocciose andavano in giro con kalashnikov coperti di strass e fiorellini, e maneggiavano spade tempestate di pietruzze rosa.
L’uomo sospirò. Provava qualcosa a metà tra il disgusto e la compassione. Quel cappellino, quei conigli, una mela morsicata e lasciata sui gradini…una tale inconsapevole stupidità…
Al diavolo! Mai, mai guardare una preda troppo a lungo!
Con la rapidità di un veterano, l’uomo mise il colpo in canna e sparò.
Un solo proiettile, dritto in testa. La ragazza crollò a terra con un sussulto e rimase immobile.
L’uomo si passò una mano tra i capelli e sentì la tensione svanire. Un lavoro preciso e impeccabile, come sempre.
Gettò un’ultima occhiata alla mocciosa accasciata tra i conigli.
-Cosplayer del cazzo!-
Rinfoderò la pistola, girò i tacchi e se ne andò.

#25 Comment By D7 On 5 ottobre 2009 @ 00:07

@Gamberetta

Che il fucile sia alto quasi quanto la ragazza è un po’ una forzatura, dato che non è così nel disegno.

Mi sono lasciato prendere un po’ troppo la mano, dando priorità all’idea che mi si era formata in mente piuttosto che al disegno. Ma non mi pare grave.

La “psicololi” andava descritta di più, anche perché chi non è addentro agli anime, non ha presente chi sia una “loli”.

Vero. Ma senza esagerare. Dopotutto è un coniglio antropomorfo terrorizzato dal suo predatore naturale a parlare: penso veda soltanto una “mostruosa giovane femmina umana”, forse da inserire al posto del vago “piccola ma letale creatura”.

“Terrorizzato” o “spaventato” potevi toglierli, magari aggiungendo qualche particolare: abbassare le orecchie? Improvviso desiderio di rannicchiarsi? Mettersi a rosicchiare il legnetto portafortuna?

Toglierli magari no, a meno di trovare una soluzione brillante che li renda superflui. Mostrare meglio il terrore, aggiungendo particolari, sì.

#26 Comment By Il Duca Carraronan On 5 ottobre 2009 @ 00:11

Niente da dire, chiedo perdono per aver tavisato il carattere del fucile. Per farmi perdonare sacrificherò diciassette conigli a Nyarlathotep (o come diavolo si chiama, insomma, Lui!)

Eh, sì, il fucile era troppo lamentoso… aveva un carattere da fucile da assalto in 5,56×45, non da fucile da battaglia in 7,62×51.

Un M16A2 è sempre nervoso, si lagna, si lamenta di ogni cosa, della polvere, dello sporco, della roba attraverso cui non passano i suoi colpi… un tedesco G3 gli va dietro e gli rifila una sberla sulla canna “Sta zitta, stupida checca yankee”. Intanto gli AK-74 in 5,45 russo e gli AK-47 in 7,62×39 rimangono in silenzio, scuotono la testa e continuano a fumare: anche i loro calibri sono anemici rispetto al 7,62×51, ma sono armi rozze e abituate a faticare senza fiatare tra sporco e cattive condizioni ambientali. Il Galil israeliano invece non dice niente per un altro motivo: sta prendendo a calci una mitraglietta skorpion cecoslovacca finita a lavorare per i palestinesi…

Il 5,56×45 è calibro for pussy.
Però in quell’immagine non penso ci sia un HK33: sarebbe praticamente uguale, ma col caricatore un po’ più curvo e lungo (e con più proiettili essendo il 5,56 molto più piccolo e leggero del 7,62).

#27 Comment By GSeck On 5 ottobre 2009 @ 01:10

Ciao. Qui è Giovanni.

Rotolai verso casa così veloce da farmi uscire del succo.
Una volta un amico mi ha detto che è inutile cercare di evitare le conigliatrici: sono talmente più potenti di noi mele che un tentativo di fuga o di salvataggio può solo peggiorare le cose. Ma l’avvertimento che una di loro si aggirava nel mio quartiere mi obbligò a correre.
Durante la strada verso casa, mi venne in mente come avevo corso nel campo quando erano nati i miei figli. Seme del mio seme, cinque piccole mele che sarebbero diventate alberi solenni. Chissà quanto sarebbero diventate alte, e quante altre mele avrebbero fatto.
Da quando erano scese le conigliatrici, questi semplici pensieri, diritto di ogni genitore, erano diventati spazzatura. Un colpo del loro fucile e una mela diventava un coniglio. Un coniglio si ricorda chi era, cosa voleva, chi amava prima della trasformazione, ma un nuovo pensiero li domina. La sete di succo di mela. Pesano ventuno grammi in meno rispetto a quanto erano mele, ma il loro corpo è enorme, più forte, più agile di prima. Con delle zanne tremende che reclamano succo, fosse anche quello dei loro amici, dei genitori, dei fratelli.
Svoltai l’angolo che porta al mio quartiere, e vidi un coniglio nero che camminava vicino a un muro, forse in caccia. Prima di quel giorno queslla visione mi avrebbe terrorizzato, ma lì intorno poteva aggirarsi una conigliatrice, e al loro confronto i conigli sono innocui come granuli di terriccio. Notai anche il manifesto del ricercato, un coniglio killer. Avevo già letto quel cartello: quel killer era stato una povera mela, assalita da un baco quando era ancora sull’albero, ed era cresciuta deforme. Da allora era stata emarginata e adesso, con il suo potere di coniglio, si divertiva a fare strage di nemici che prima non aveva neanche il coraggio di guardare nella buccia.
L’immagine che vidi di fronte all’entrata del mio condominio si congelò nella mia mente. La conigliatrice era seduta sui gradini del mio appartamento, e si stava infilando un guanto nella mano sinistra, mentre con la destra teneva il fucile. Era poco vestita. Pare che nel loro corpo circoli un liquido chiamato sangue, che scorrendo veloce le riscalda. Il nostro cielo, talmente caldo da essere rosso, le fa soffrire per il caldo. Era identica a come le immaginavo dai racconti. L’elmo cilindrico in testa, la stoffa nera e dura stretta nel torso per resistere a ogni lama, la tela attorno al bacino per attutire gli urti, le fasce per proteggere le gambe senza limitarne i movimenti, i rialzi sotto i piedi per permettergli di correre dove la terra era morbida: tutto in lei era fatto per cacciarci. Guardai più in basso. Da genitori, li riconobbi d’istinto: uno dei miei figli, delle mie piccole meline, era stato conigliato. Un altro era sui gradini, e giaceva senza vita con un morso sul fianco. Capii cosa era successo: una mia melina conigliata non aveva resistito alla tentazione di mordere suo fratello, e poi si era uccisa per il dolore. Altre due miei figli erano nella borsa della conigliatrice, assieme a un altro mio figlio conigliato. Non si muovevano. Erano sempre così energici e giocosi in vita…

- Perché? Voglio solo sapere perché siete venute nella nostra terra!

Lei fece il nodo con lentezza, lo controllò e sorrise soddisfatta.

- Sai, le mele ritratte nella ringhiera di casa tua sembrano piccoli conigli. Prova a vederla così: voi un tempo eravate conigli, noi vi stiamo solo riportando alla normalità.

Io rimasi senza parole, ed ero talmente sconvolto da non rendermi conto del colpo che mi sparò.
Non so quanto tempo passò prima del mio risveglio. Guardai attorno a me. Ero in una caverna scura dove circolava poca aria. Non c’era né terra né acqua attorno a me, solo un mucchio di paglia in un angolo e un libro dalla copertina nera e dalle pagine ingiallite. Non avevo mai visto un libro così vecchio, anzi, così antico. MI alzai in piedi, ed ero molto più alto di prima. Guardai il mio corpo. La forma ricordava quella delle conigliatrici, ma avevo le braccia e le gambe pelose, come zampe di conigli. Dal petto spuntavano due grosse mele morbide. Non sapevo nulla su cosa ero diventato. Tranne una. Avevo sete. Sete di quel liquido sconosciuto chiamato sangue.

- Non chiederti cosa sei: chiediti perché ha conservato i tuoi figli nella borsa.

Mi voltai di scatto seguendo la voce. Alle mie spalle c’era il coniglio killer del manifesto affisso vicino a casa mia.

- Comunque ti rassicuro, non sei un coniglio. Adesso ascoltami. Ci sono delle cose che devi sapere.

#28 Comment By Vincent Law On 5 ottobre 2009 @ 01:37

Pure io i compiti a casa! Pure iooo

L’MSG90 è un buon fucile. Il lavoro praticamente lo fa lui, per quanto mi riguarda posso anche scaldare un po’ di fumo.
-Ma che diavolo fai?-
-Ah, ma voi della USRobotics non coltivate cannabis nel tempo libero?-
Lo sguardo carico di disgusto che mi lancia il cliente non mi contraddice.
-Amico, quando avete partorito quella non dirmi che eravate lucidi.- Gli poso una mano sulla spalla e inizio a scuoterlo. -Eravate strafatti, te lo dico io. E rimediami un po’ di quella roba che pare bella potente.-
Non risponde. Anzi no, grugnisce. E mi toglie pure la mano, scortese. Sembra un tipo di poche parole, inizia a starmi quasi simpatico.
-Allora, il silenziatore l’ho montato, così non si saprà che due adulti hanno ucciso una bambina. Perché devo ucciderla, no?-
-Non si tratta di “uccidere”, te l’ho già spiegato: quella non è una bambina.- Rovista in una delle sue tasche e tira fuori un fazzoletto rosa per asciugarsi il sudore della fronte. – E qui sul tetto fa troppo caldo, sbrigati. -
Naturalmente mi ricordo, di quando ieri questo tizio mi ha pagato per “disattivare” questo “prototipo”. Ma quella che vedo nel mirino assomiglia maledettamente ad una bambina qualsiasi. D’accordo, una bambina qualsiasi abbastanza stravagante.
-Senti un po’- Mi volto verso di lui. -Ma il fatto dei peluches rosa a forma di coniglietto e della gonna a girofica era voluto? – Butto la cicca ormai spenta oltre il parapetto, e la osservo cadere. – No perché ho una mezza idea di andare lì e provarci con lei. Ha pure la passione per le armi. Quello che abbraccia è un softair, io li collezionavo.-
-Il prototipo è difettoso, per questo sono stato costretto a comprare un tiratore come te. Appena il nostro agente lo ha avvistato…
- Ma quale agente? Quel babbeo vestito da coniglio? –
- Sì, e per la cronaca è uno dei migliori. Appena abbiamo saputo dov’era, ti ho contattato. Quale nazione farebbe uso di un automa da battaglia con la fissazione per il gothic-lolita che colleziona mele? -
Non so che accidenti sia questa gothic-cosa, ma ho cambiato idea sul tipo silenzioso: è un imbecille. Io avrei trovato interessantissimo combattere al fianco di una così. -Cos’hai contro le mele? Sono ricche di vitamine. –
Un altro grugnito, ed un colpo di tosse. -Spara.-
-Iniziavi a diventare un tipino intrigante, signorina automa da battaglia. Peccato che questo tizio balordo ti vuole morta. – Mentre aggiusto la mira mi sorge un dubbio, che pongo prontamente al tizo balordo: – E’ uguale se la colpisco vicino alle cosce? Mi scoccia un po’ spostare il mirino. -
-Dio santo, ma ho pagato un assassino o un fenomeno da circo? Spara a quella dannata cosa, ora!- Mentre urla mi sputacchia tutta la giacca, e questo non è un bene. Oltretutto mi ha pagato una miseria. Un’altra parola e giuro che lo ammazzo.
- … -
Bang!
Prendo una Beretta dalla tasca interna e lo ammazzo lo stesso, con un colpo in fronte. Poi lo trascino sul bordo e lo spingo di sotto. Dovrei levarmi questo vizio di gettare l’immondizia dalle altezze, è incivile.
Torno giù in strada e mi avvicino alla bambina.
-Qualcuno chiami un ambulanza! Un uomo si è buttato dal tetto!
-Ma è ferito alla testa!
-Un uomo si è sparato e si è buttato dal tetto!
-Ciao piccola. Ti va un succo di mela?-

#29 Comment By ancos On 5 ottobre 2009 @ 11:57

Ciao.

Ottimo articolo, complimenti. Sono d’accordo con te al 100% sui miti riguardo le regole e con le tue risposte. Io in genere riassumo con: “in realtà, non hai voglia di imparare”.

Mi permetto di suggerire altri tre manuali. Sono manuali per il fumetto, più per lo scenggiatore che per il disegnatore. Vi si trovano spunti molto interessanti anche per chi vuole scrivere fiction.

Scott McCloud: Understanding Comics

Will Eisner: Comics and Sequential Art

Eisner ha scritto anche Graphic Storytelling, ma non lo trovo su Gigapedia.

Tutti e tre i manuali sono stati tradotti in italiano, una buona libreria o fumetteria dovrebbe averli.

#30 Comment By Lerajies On 5 ottobre 2009 @ 12:57

Articolo interessante, anche se non concordo molto. Secondo me si capisce lo strumento rimasto a lungo troppo in acqua, a me fa venire i suoni che facevo col flauto -.-
Piuttosto una volta trovai in un libro di Wilbur Smith metafore sui raccoglitori di perle, qualcosa del tipo “sono venuto da te come un raccoglitore di perle del mar nero”. Sono rimasta così O_o. Ancora peggio un’altra frase “Il tuo sesso è talmente bello che Dio avrebbe dovuto metterlo sulla fronte di un feroce leone affinchè solo i più coraggiosi potessero averlo”. XD

#31 Comment By Vale On 5 ottobre 2009 @ 14:12

Ecco il mio compito.

I Cacciatori si spingevano ovunque. Erano arrivati anche a Dublino.
Quella che avevo intravisto sulle scale dell’albergo in cui alloggiavo non era molto diversa dallo standard.
Giarrettiera, scarpe di vernice, capelli tinti.
Era intenta a legarsi un guanto con i denti, per non lasciare nemmeno per pochi secondi il fucile. Aveva appiccicato un coniglietto sul calcio.
Come tutti loro portava una borsa piena di mele. Ne aveva addentata una, ma non pareva averla gradita.
Mi chiesi come avrei fatto a rientrare, quando mi accorsi che una persona passeggiava in fondo alla strada. Non distinguevo altro che le lunghe orecchie, non sapevo se fosse dei loro o solo un turista.
Tornai tra i perdigiorno di Grafton Street, anche se mi faceva male la schiena e avevo bisogno di una toilette.

Bellissimo post.
Ho letto anche la parte dedicata ai nemici delle regole, anche se io non lo sono.

#32 Comment By Maudh On 5 ottobre 2009 @ 15:13

@ gamberetta: gli avverbi, porco Ak-47!

#33 Comment By Evangeline On 5 ottobre 2009 @ 15:21

@Lupo. Forse hai ragione, avrei potuto descrivere di più il fucile, ma non mi sembrava un dettaglio così importante. Dopotutto dovevo descrivere la scena, non l’arma. Ho preferito concentrarmi sull’ambientazione e sul personaggio. ^^ Grazie comunque per avermi dato il tuo parere.

@Gamberetta. Con inizio intendi solo la parte che hai citato o anche la descrizione della ragazza? Sul coniglio nero hai ragione, ho evitato apposta di inserirlo. Ho pensato che potesse avere rilevanza in un altro tipo di scena, se ad esempio Angelica avesse detto che dovevano dare la caccia ai conigli antropomorfi notare il coniglio nero avrebbe significato l’inizio di un’azione, la caccia appunto, e allora non sarebbe stata più una descrizione. : ) Farlo notare ad una delle due ragazze come un elemento dello sfondo mi sembrava un dettaglio inutile, volevo evitare di appesantire. In ogni caso grazie per avermelo fatto notare. ^^

#34 Comment By Sophitia On 5 ottobre 2009 @ 17:03

Non voglio diventare una scrittrice, e penso proprio che si leggerà la differenza tra chi scrive abitualmente, però è venuta voglia anche a me di provare.

Questa è l’ultima volta, lo giuro.
Sono stufo di far dei danni. Che colpa ne ho se mi hanno creato con la capacità di distruggere? Oh, pensare che è una cosa così facile. Basta farmi immettere nel HTML, o in qualsiasi altro linguaggio inventano ogni giorno gli umani. Cancello un solo tag a caso. E puff, come un castello di carte cadono tutti gli altri tag, mandando in tilt il sito internet.
Me lo dice sempre il Capo. Sei speciale. Sei unico. Il web è troppo pieno di robaccia. Collassa. Basta che ci paghino e noi facciamo piazza pulita.
Posso diventare una gif animata, un’immagine statica, un effetto carino, comparire su uno dei tanti portali della nostra Associazione proprio quando la vittima sta navigando da queste parti. Lui pensa che ci sia capitato per caso grazie a quei motori di ricerca e che fortuna, e invece è tutto già deciso.
E’ ora. Mi devo trasformare, ho solo dieci minuti. I calcoli dell’Associazione sono precisi e… aspetta cos’è questa sirena che suona? Merda, altro che calcoli precisi, devo fare in fretta. Scandaglio freneticamente il contenuto del suo blog. Qualcosa che attiri la sua attenzione, qualcosa che gli piaccia…. Porca miseria, ho poco tempo. E’ già nell’home del nostro sito, e tra poco cliccherà sulla Galleria.
Andrà come andrà, anzi se oggi fallisco è meglio.
Sono un’immagine. Generata in base alle parole più frequenti nel blog che dovrò distruggere. Sono una ragazza. Non che la cosa mi dispiaccia, tanto io non sono né uomo né donna. Sono anche carina. Ho un abito però strano, cosa sono questi pizzi, e che dire di queste scarpe dal tacco assurdo? Per non parlare del cappello nero con il nastro rosa che ho in testa. Pazienza. Sono stato di peggio. Almeno posso sedermi. Dietro di me ci sono degli scalini. Alquanto mal messi e pieni di crepe, ma sempre meglio di quella galleria oscura che c’è a sinistra e che non m’ispira per niente. Potrei mettermi in piedi davanti all’entrata, in una posa figa, ma odio il buio.
Mi siedo.
E non sono più solo. La mia mano tocca qualcosa. Che cavolo… un fucile? “Tienimi stretto e peggio per te se fai mosse false”. Stringo l’impugnatura. C’è sopra una faccia rosa dalle orecchie lunghe. E’ Carota. Mi hanno sentito? Sposto la mano più in alto, sulla canna. “Ciao” Guardo in basso e incrocio gli occhi di un coniglio di pezza. Conosco anche lui. Ci sarà anche il suo pigro gemello? Eccolo. Addormentato dentro una borsa, riversa sulla scala, da cui fuoriescono delle mele. Ma non è la cosa peggiore. Una delle mele. Morsicata. La Terminatrice? Cazzo hanno sentito la mia titubanza. “Sembravi in difficoltà, così siamo venuti ad aiutarti. Non sei felice?”. Dal buio della galleria emerge. Il Capo. Lui in persona. Sono nei guai. “Sembra che gli piacciono i coniglietti, così abbiamo deciso di prendere una forma che li ricordasse. Tranne la Terminatrice che non vuole sentire ragioni. Non sono carino?”. Già, come può esserlo un grosso coniglio nero, senza né occhi né bocca, che mi controllerà e che dopo il lavoro mi punirà. Se solo potessi scappare.
Ci immobilizziamo.
E’ qui.
Vedrà questa immagine che gli piacerà.
La salverà sulla sua memoria.
Mi spiace.
Ci inserirà domani del suo blog.
Non posso commettere errori.
Domani “Gamberetti Fantasy” cesserà di esistere.

P.S. non voglio portare male a questo sito ^^

#35 Comment By Clio On 5 ottobre 2009 @ 18:02

Al Duca
Grazie, la prossima volta che inserirò come voce narrante un fucile da battaglia in 7,62×51 me ne ricorderò :D
Anzi no. D’ora in poi userò come narratori solo oggetti che conosco bene. La prossima volta a narrare sarà una pipa.

#36 Comment By Gamberetta On 5 ottobre 2009 @ 19:15

@GSeck. Niente da dire sul punto di vista scelto, non ci avrei pensato neanch’io. Notevole.
Dal punto di vista tecnico è probabile ci sia qualche pensiero di troppo della mela; sono pensieri che sembrano rivolti a un pubblico più che un fluire di coscienza naturale nell’animo di un frutto. Ma ovviamente è dibattibile, data la particolarità del punto di vista.

@Vincent Law. Una nota tipografica: se usi il trattino ( – ) per i dialoghi, non c’è bisogno di chiuderlo se non ci sono altre parole che seguono.
Il dialogo tutto sommato è buono, e potrebbe essere una scena decente, ma mancano proprio le descrizioni ^_^”.
Per esempio:
“Ma quale agente? Quel babbeo vestito da coniglio?”
Qui magari due righe in cui illustri il tizio guardandolo dal mirino ci starebbero bene, dato che era lo scopo del compito.

@Vale. Forse potevi spendere qualche parola in più, anche se già così ci sono diversi particolari concreti. Una curiosità, come mai ti è venuto in mente Dublino?

@Evangeline. Solo l’inizio. In prima persona puoi essere più decisa, come hai fatto con l’amica: “vestiva in maniera minima, con una gonnellina di pizzo e un busto che la copriva quanto bastava” che è meglio di scrivere: “mi soffermai a guardare la mia amica, e il particolare che più mi colpì era che vestiva ecc.”
Così all’inizio puoi solo dire, non so:
“Che schifo di quartiere! Muri scrostati, gradinate piene di buchi, puzza di mele marce, ecc.” È implicito che la protagonista si guardi attorno e scelga quei particolari.
Comunque queste sono sfumature, non errori.

@Sophitia. Bello il punto di vista. Interessante anche la descrizione, come in altri casi è difficile dire se il linguaggio sia adeguato, data la particolarità del punto di vista scelto.
Spero ovviamente che l’immagine non mi distrugga il blog! ^_^

#37 Comment By francy On 5 ottobre 2009 @ 19:53

In effetti hai ragione, Gamberetta ù.ù Mi sa che devo esercitarmi ancora un po’, ovviamente seguendo i tuoi manuali^_^

#38 Comment By Vincent Law On 5 ottobre 2009 @ 19:56

Lol è vero ho descritto poco poco… perché mi sono divertito a scrivere il dialogo e tutto il resto è noia xD
Per punizione mi rileggo il primo capitolo dei promessi sposi e del signore degli anelli.
Sui trattini hai ragione. Non li uso mai, metto sempre loro , ma non so perché quando li scrivo qua firefox mi blocca lo script dell’anteprima del commento, e mi si impalla xD
Comunque bell’idea quella del compito a casa, ho visto che molti utenti si sono divertiti parecchio a descrivere la scena.

p.s.
Duca io voglio leggere un romanzo fantasy scritto da te in cui il protagonista è un fucile :D

#39 Comment By Vincent Law On 5 ottobre 2009 @ 20:00

con “loro” intendevo le virgolette caporali, che proprio non mi appaiono nel commento. Ma succede solo a me?

#40 Comment By Gamberetta On 5 ottobre 2009 @ 20:15

@Vincent Law. Per i caporali veri e propri, ovvero questi due simboli « e », non dovrebbero esserci problemi. Per i simboli di maggiore e minore devi usare i codici HTML, altrimenti wordpress li prende come tag malformati:
Per scrivere < devi usare: &#60; Per scrivere > devi usare: &#62;

Aggiungo, se avete problemi con la tastiera a fare « e » potete anche lì usare l’HTML:

Per scrivere « bisogna usare &#171;
Per scrivere » bisogna usare &#187;

#41 Comment By GSeck On 5 ottobre 2009 @ 20:29

@Gamberetta
Neanche io so come ragioni una mela: facciamo finta che pensino come ho scritto, così il mio post risulta più bello!

Dopo averlo inviato ho notato un refuso, la ripetizione di “attorno a me” a una riga di distanza e che la scena in cui riconosce il coniglio killer è raccontata e non mostrata.
Una cosa del tipo “riconobbi il buco nel cranio del coniglio ritratto nel manifesto” sarebbe stata migliore.
Peto venia.

#42 Comment By Vincent Law On 5 ottobre 2009 @ 21:16

Perfetto, grazie per il chiarimento :3

#43 Comment By Anna On 5 ottobre 2009 @ 22:06

Premetto che non ho mai provato seriamente a scrivere, ma questo post mi ha fatto venir voglia di provare! Spero solo che non ne uscirà qualcosa in stile strazzulla:

Mi mordicchio la punta delle orecchie. La punta del mio problema ora è tra i miei denti ed è decisamente pelosa. Finalmente, dopo mesi di ricerche, l’ho trovata: è lì, davanti a me, seduta su quelli scalini. Mi allontano un po’ dall’angolino dove sto nascosto, spero che nessuno mi noti: non voglio essere costretto a fuggire come l’ultima volta!
La guardo: lei non è cambiata. Tre mesi fa l’ho conosciuta in un bar, in città ed era la cameriera più carina che avessi mai visto. Sono rimasto, incantato dalla tinta blu così naturale dei suoi capelli e dai suoi incantevoli occhioni, fino all’orario di chiusura. Abbiamo bevuto. Abbiamo fumato. Poi, la ragazza tirò fuori il fucile, proprio mentre io la stavo per invitare a passare il resto della serata nel mio letto! La mattina dopo, ero schiantato in un vicolo, mezzo congelato e con il mio problema ben attaccato ai lati della testa, nero e peloso: due enormi orecchie da coniglio.
Ora che ho trovato la ragazza, come faccio? Non posso certo andare lì e dire “Ciao, scusa, sono il ragazzo che hai conosciuto a quel bar, quello che ti voleva portare a letto ma che si è ritrovato con due enormi orecchie da coniglio”!
Intanto lei ha preso uno dei laccetti del corsetto e se lo è ficcato nella sua splendida boccuccia. Almeno posso dire che abbiamo qualcosa in comune: la mania di avere sempre in bocca qualcosa.
Non oso avvicinarmi, perché nell’altra mano ha sempre il fucile e non voglio ritrovarmi con una coda a batuffolo o peggio, con due dentoni che crescono continuamente, costretto ad andare in giro con un bastoncino da rosicchiare. Inoltre, il mese scorso, quel pupazzetto rosa che si porta dietro, mi ha azzannato alla gamba mentre cercavo di raggiungerla dopo averla vista in una discoteca. Il dolore era stato terribile e ho ancora una cicatrice sul polpaccio sinistro: un enorme macchia traslucida rosa che ricorda la testa di un coniglietto.
Quant’è bella! Da quando ho le orecchie è come se mi attirasse ancora di più. Ogni notte sogno la sua tuba nera, quel cappellino che non si scolla mai dai suoi capelli, nemmeno se lo fosse cucito dulla testa.
Da quando seguo le sue tracce, ho sempre trovato in giro torsoli di mela. Quando mi sono risvegliato con le orecchie, ne avevo uno sotto casa. Nella discoteca, ne ho intravisto uno in mezzo alla pista da ballo. Ora, dalla borsa sembra che stiano uscendo delle mele.
Devo nascondermi. Inizio a muovermi verso il muretto, ma a un tratto non resisto e le lancio un’ultima occhiata, a lei, ai suoi capelli azzurro cielo. La ragazza si gira, puntando i suoi occhioni fragola sui miei. La sua bocca si tende in un sorriso dolce, dolcissimo, mentre con l’altra mano carica il fucile. E spara.

#44 Comment By Asher^Kunitz On 5 ottobre 2009 @ 23:43

Oddio, io ci provo, ma non assicuro niente!

Chi è che ha avuto la brillante idea di vestirsi da coniglio? Io. E di scegliere un costume nero con questo caldo cocente? Sempre io. Dannazione, sto morendo di caldo! Calmati Mirha, calmati. Devi stare calmo. Ricordati perché sei qui, l’onore e la gloria che ti aspettano. Alla centrale tutti ti sorrideranno, finalmente ti considereranno parte del gruppo e non il pivellino appena trasferito.
Pivellino.
Questa parola mi fa incavolare. Come possono chiamarmi pivellino? Dopotutto… no Mirha, smettila. Pensa alla missione, non lasciarti trasportare da questi pensieri inutili. Come diceva sempre la nonna? “Chiudi gli occhi e pensa all’Inghilterra”… no, forse il contesto è sbagliato.
Dannazione! Sapevo che sarei finito per inciampare. Con questo costume non riesco a vedere niente! Dovevo allargare le fessure per gli occhi, sono stato uno scemo! Di sicuro Lei mi avrà sentito. E ora verrà qui e mi sparerà in testa, come ha fatto con gli altri.
Non sono pronto a morire! Sono solo un pivellino!
…?
Come mai non succede niente? Avrebbe già dovuto spararmi in testa! Provo a sollevarmi, ci riesco solo al terzo tentativo. Quarto a dire il vero, ma il secondo non può definirsi davvero un tentativo, nessuno poteva prevedere che a terra ci fosse una bottiglia di vetro. Non è colpa mia se sono scivolato.
Sento già le risate dei miei colleghi… no!
Lei è ancora seduta. Che cavolo sta facendo? Sembra quasi si stia allacciando un guanto con i denti. La sua mano destra è ancora stretta attorno al fucile. E dire che ad un primo sguardo potrebbe passare per la classica cosplayer in cerca di una fiera in cui esibirsi. Ne ha tutte le caratteristiche: bustino nero, gonna corta, calze chiare che le fasciano le lunghe gambe. Nessuno direbbe che si tratta di una spietata assassina!
Riprendo a ciondolare, fingo di osservare un manifesto appeso al muro. Non so bene cosa ritragga, non lo sto davvero guardando. Provo ad usare la vista periferica per controllare Lei, ma il costume è troppo ingombrante. E caldo.
Come vorrei togliermelo, estrarre la pistola e gridare “Sei in arresto!”. Ma la verità è che non ho una pistola, sono ancora in prova. Tutt’al più potrei minacciarla con la testona di lana a forma di coniglio. Sempre che sopravviva al caldo.
Mi avvicino come se niente fosse. Adesso che la vedo meglio mi accorgo che si sta davvero allacciando un guanto con i denti. Mi pare di vederla gemere per il nervoso, non deve essere facile stringere dei nodi senza le mani. Perché cavolo non lascia a terra il fucile? Dopotutto le ci vorrebbero solo una manciata di secondi…
“Ecco cosa distingue Lei, una serial killer professionista, da te, un pivello appena trasferito”. Dannata coscienza. Almeno lei dovrebbe parteggiare per me! Ci manca solo il subconscio a prendermi a calci nel sedere.
Ok, basta, mi sono stancato. Mi tolgo la testa di coniglio e mi preparo a gridare. Mi sento sopraffatto dalla frescura, finalmente riesco ad inspirare dell’aria fresca. Ma non mi lascio distrarre.
-Sei in arresto!- urlo, con tutto il fiato che ho in corpo.
Lei mi fissa, sul volto un’espressione strana. Rabbia? Forse si sta preparando ad uccidermi… oppure… non può essere! Lei scoppia a piangere, coprendosi il viso con la mano libera.
Non riesco a dire nulla. E, se anche volessi, non ne avrei il tempo. Con la coda dell’occhio vedo un movimento rapido alla mia destra.
Lei.
Ho sbagliato persona! Dannazione, come si fa a sbagliare persona? Forse è stata colpa dei capelli, hanno un colore così strano, tra il blu, verde e grigio.
No Mirha, non c’è tempo! Smettila di fare il pivello e recupera la tua preda.
Già immagino le risate dei miei colleghi.

#45 Comment By il_Fabri On 6 ottobre 2009 @ 02:37

Cerco di dare del mio peggio, ovviamente non garantisco oscenità quali alcune realmente pubblicate.

Mostra spoiler ▼

Se alla terza riga siete rimasti schifati state tranquilli, è accaduto pure a me mentre lo scrivevo, fate voi :)

#46 Comment By Adriano On 6 ottobre 2009 @ 04:31

Provo anche io!

La galleria in cui camminavo ormai da una decina di minuti era scura e silenziosa. Nonostante tenessi le orecchie ritte e le girassi in ogni direzione possibile, riuscivo solo a sentire l’eco dei miei passi. Era un’eco decisamente assordante, forse perché proporzionata alla dimensione dei piedi che la producevano.
Improvvisamente vidi una luce in lontananza. Drizzai il capo e strinsi gli occhi: sì, era proprio l’uscita! Distava ancora un centinaio di metri, ma io vedevo tutto quello che si trovava oltre il varco. Grazie ad una dieta a base di carote, la mia vista aveva quattordici decimi.
Accelerai il passo, arrivando in pochi attimi all’aperto, sbattei le palpebre nella luce del tardo pomeriggio e mi appoggiai al muro per riprendere fiato. C’era qualcosa di appiccicoso dietro la mia schiena: mi voltai e il mio cuore, già sovraeccitato per la corsa, accelerò i battiti fino all’inverosimile: da un manifesto sul muro, attaccato in maniera approssimativa, la mia stessa faccia mi stava osservando, contorta in un ghigno satanico. Fissai con orrore il naso che pareva sul punto fremere e arricciarsi, gli smisurati incisivi scoperti pronti per affondare nella prossima vittima e la pelliccia nera come la notte.
Forse dovrei precisare che sono un coniglio. Ecco, sarà meglio metterlo in chiaro, prima che qualcuno si faccia delle strane idee. Non è colpa mia e non è nemmeno merito mio. Insomma, ognuno di noi ha qualche peculiarità: c’è chi è biondo, chi ha le lentiggini, chi si abbronza più facilmente… Io sono un coniglio: alto un metro e novanta (senza contare le orecchie), pesante settanta chili (le carote mi mantengono sempre snello), con il quarantotto di piede (ma all’occorrenza mi strizzo in un quarantasette), ma pur sempre un coniglio! E’ semplice, fin troppo. Sono anche un coniglio cattivo, a quanto dicono.
O almeno questo è ciò che mi venne in mente non appena ebbi visto il numero sotto la mia faccia. Era un uno con mille zeri dietro. Mille, nel senso di “più di quattro”: non sono mai stato forte in matematica, ma d’altronde non ho mai saputo di un coniglio matematico. Doveva essere una ricompensa per chi mi avesse catturato. Forse si erano offesi quando avevo sgozzato quei mille bambini che cercavano in tutti i modi di montarmi in groppa ed accarezzarmi: quei piccoli esserini fastidiosi…
Un tonfo sordo mi strappò alle mie riflessioni. In un batter d’occhi ne individuai la provenienza: una mela mangiucchiata stava rotolando giù per i gradini all’ingresso di un palazzo, qualche metro più avanti. Mele? Chi potrebbe mai volere quelle cose tonde che devono per forza essere mangiate un po’ alla volta quando le carote possono essere ingoiate in un lampo? Solo un (inutile) umano avrebbe potuto fare una cosa simile.
I miei sospetti vennero confermati quando udii un’imprecazione soffocata, seguita da dei passi pesanti sui gradini (il mio udito non ha niente da invidiare alla mia vista). Un’umana stava scendendo le scale dietro alla mela. Aveva un ciuffo di peli verdi sulla testa e indossava pezzi di tessuto che coprivano a malapena il suo corpicino esile e glabro; alle zampe posteriori piedi portave delle stupide scarpe con la suola troppo spessa che le impedivano di camminare. Avrei anche riso, se non avessi visto quello che aveva a tracolla: un gigantesco fucile alto quasi quanto lei, con dei piccoli adesivi a forma di coniglietto appiccicati sopra. Io conoscevo quella persona: era Kiara Little Shrimp, una delle più temibili Bunny-Killer in circolazione. Di sicuro era sulle mie tracce!
La ragazza incespicò nelle sue stesse zampe e cadde all’indietro, seduta sui gradini, mentre la canna della sua arma schizzava verso l’alto e il contenuto della sua borsa si spargeva sulle scale. Per nulla infastidita dal capitombolo, rimase seduta con lo stesso sorriso ebete e si aggiustò il guanto che le copriva una zampa anteriore. Era il momento per reagire! Raccolsi tutto il mio coraggio e zampettai verso la mia destra, sperando di non essere visto. Il mio curicino batteva sempre più forte, dopo avere visto il contenuto della borsa: pelli di coniglio essiccate e rimpicciolite, un macabro trofeo di guerra.

Sapete, questo gioco mi ricorda quel test che fanno alcuni psicologi: mostrano un ‘immagine al paziente e poi gli chiedono di descrivere quello che vede. In base alle risposte si fanno un’idea sulle sue condizioni mentali. Chissà cosa direbbe uno strizzacervelli che passasse di qui…

#47 Comment By Vale On 6 ottobre 2009 @ 10:38

Oh, grazie!
In effetti hai ragione (ah, io sono una di quelli che pagherebbe per avere il tuo editing!) poche parole.
Se ho una scusante, è che sono in ufficio e non avevo molto tempo quando l’ho scritto.
Io di solito lavoro così: butto giù quello che ho in testa in poco tempo – dopo aver passato tanto temp oa raccogliere info – e poi faccio un sacco di revisioni.
Nel pezzo ci sono troppe voci del verbo avere, e il particolare del guanto è grossolanamente sbagliato: se lo sta sfilando, non allacciando.

Dublino mi è venuta in mente perché questo scorcio di cità somiglia alla strada in cui era il mio albergo quando ci sono stata, la scorsa primavera, allora ho pensato, bè, perché no? mettiamola a Dublino.

Lavorerò su questa mia “telegrafia”…

#48 Comment By Diarista incostante On 6 ottobre 2009 @ 14:14

Non riesco a respirare. Per la vergogna, l’eccitazione e la rabbia. Da qui le vedo le mutandine, circondate dal pizzo nero della gonna alta una spanna, e sento il profumo della sua pelle morbida. Mi manca il respiro, mi sento svenire, e mi accascio su questo scalino freddo, tra crepe e ciottoli, mentre il mio papillon mi strangola. Quando siamo usciti di casa non avevo capito che avesse accettato di posare per il calendario soft porno del presidente del suo club di fotografia. Eravamo d’accordo che non l’avrebbe fatto, dopotutto. Come potevo immaginare che avesse cambiato idea? Ma forse sono solo un idiota.

« Non hai bisogno di svenderti. Se fosse il ragazzo giusto ti avrebbe già notata » le avevo ripetuto proprio stamattina

« Sì, sì. Me l’hai già detto, Ponpon » aveva risposto lei frugando irritata tra i costumi di scena di sua madre

« Quindi non lo farai, vero? »

« Mmh? » aveva mugugnato lei provandosi un babydoll ti vedo- non ti vedo (più ti vedo, secondo me) e scartandolo subito
Ancora aggrappato al ricordo della vecchia Susanna mi ero illuso che quel suono fosse un sì.

« E… ehm… questo nuovo colore di capelli? » avevo chiesto cercando di ritrovare con lei un minimo di dialogo. Come prima, come quando contavo ancora qualcosa per lei

« Ti piace? Si chiama Siren lolita » aveva trillato lei, infilando il corpetto stringato con le plissettature scarlatte ai bordi, quello che sua madre aveva indossato per la parte di Carmilla la vampira
« Oh. Molto originale. Anche il vestito… »

Ma lei non aveva dato segno d’avermi sentito. Si era infilata la gonnellina, le calze, e le giarrettiere. Poi mi aveva afferrato ficcandomi nella borsa assieme a Fiocco, intenta a ronfare sodo come al solito. Passando dal salotto aveva preso le mele che mi aveva scaraventato addosso, poi aveva chiuso la tracolla e si era avviata. Non a scuola. Non al parco. In un viottolo dietro al porto, tra squallidi edifici neofascisti, con altre undici ragazze seminude. Su un set fotografico.
Oscar si avvicina e io sento Susanna trattenere il respiro. Le sorride malizioso mentre le porge un cappellino idiota e un fucile di plastica
« Ci sono i coniglietti sopra, sembra fatto apposta per te » dice quel lurido porco additando il fucile. E poi aggiunge « Apri un po’ di più il corpetto, Susy, d’accordo? E rimettiti seduta che adesso scattiamo due polaroid, giusto per vedere come viene l’insieme »

E io sono qui, ancora sparpagliato assieme alle mele, come un banale oggetto di scena. Faccio pandant con un adesivo rosa su un’arma giocattolo, e con le ringhiere finto liberty dell’azienda import/export RA.bit sullo sfondo.
Mentre distolgo lo sguardo dalle mutandine della mia migliore amica, del mio unico amore, sento Fiocco che russa. Con gli occhi pieni di lacrime vedo un coniglio lontano, nero, enorme, che esce da una galleria buia. Salutandomi annuisce, fa una capriola e mi deride. Perché ha capito tutto. Che amo Susanna, che vorrei che certe cose le facesse solo per me, che fino a ieri credevo davvero che noi due fossimo la coppia più bella e felice del mondo.
O forse è solo un’allucinazione. La mia testa è sempre più leggera, mentre Susanna fa quanto le chiede Oscar. Apre le gambe, si morde le labbra, sporge il mento, e mi pianta il calcio del fucile nello stomaco. E spinge forte, forte, forte…

#49 Comment By demonio pellegrino On 6 ottobre 2009 @ 15:26

Segnalo l’intervista all’autrice di Buio su booksblog:
http://www.booksblog.it/post/5333/intervista-a-elena-p-melodia-autrice-del-crossover-buio

Interessante quello che l’intervistatrice scrive nell’introduzione: “Se credete che qualcosa di confuso e offuscato si nasconda dietro questo primo episodio della trilogia ‘My land’ di Elena P. Melodia, siete stati depistati”.

Chissa’ a chi si riferisce…

Per quanto mi riguarda, gia’ avevo molta poca voglia di comprarlo dopo aver visto recensioni entusiastiche apparire PRIMA dell’uscita ufficiale del libro (spiegazione data: pare che i libri nei supermercati si trovino prima dell’uscita ufficiale in libreria), ma dopo le prime dieci pagine sono sicuro che non lo comprero’.

In bocca al lupo all’autrice.

PS: ottimo post, in ogni caso. Frequento da pochissimo questo blog, ma ho trovato informazioni e post interessanti. Anche se mi hanno gia’ dato dell’imbecille per averlo detto. Per cui lo ripeto.

#50 Comment By ??? On 6 ottobre 2009 @ 16:12

Previa autorizzazione vi presento i miei compiti a casa. Divertitevi!

Giro l’angolo e percorro via Garibaldi. In fondo alla strada vedo un tizio vestito da coniglio gigante uscire dalla galleria che porta in via Roma.
“Sfigato!” penso, lisciandomi la barba “Se spera di far colpo sui giudici con un costume così banale sta manzo.”
Faccio scorrere lo sguardo sulla divisa e poso la mano sul pomo della sciabola d’ordinanza che mi pende dal fianco.
Sono impeccabile. Originale. Ho un irresistibile fascino retrò. Vincere la gara sarà una passeggiata!
A metà via un odore famigliare cattura la mia attenzione. E’ un profumo agrodolce di umori corporali e calore da sfregamento.
Chiudo gli occhi e inspiro a fondo.
“Santo Quattro!” penso. “Questo è odore di mutandine!”
Riapro gli occhi di scatto. Mi ritrovo in paradiso.
Seduta sulle scale di un palazzo malconcio vedo una Gothic Lolita. Calze rosa, gonna di pizzo, corsetto nero e una piccola tuba sulla testa. Ha perfino i capelli blu! Come Nihal!
Sto per svenire dall’emozione. A stento mi trattengo dal saltarle addosso, quando noto che con la sinistra stringe un G3A3. Dal calcio un adesivo a forma di coniglietto rosa mi sorride.
Coniglietto.
Rosa.
Rischio davvero d’imbrattarmi la divisa.
“Ok, stai calmo” penso. “Sembra molto giovane. Bisogna giocarsela bene!”
Mi avvicino.
“Bel costume.” dico “Dove l’hai trovato il fucile? E’ molto carino.”
Lei si sistema un guanto con i denti e poi mi guarda. Ha gli occhi grandi, rossi.
“Grazie!” mi dice, sorridendo “Non sai che fatica ho fatto a mettere tutto assieme. Prima volevo vestirmi da fatina cocainomane, ma mi è sembrata un’idea troppo banale. Cosi sono ripiegata sul look Gothloli. Il fucile non é vero: è la replica di un HK33.”
Scuoto la testa. “No, guarda che ti sbagli.”
“Come? Che vuoi dire?”
“Sì, ehm, posso?” Le prendo il fucile. “Vedi il caricatore? E’ dritto. Questo qui è un G3A3. L’HK33 ha il caricatore curvo in avanti. ”
“Davvero?”
“Sì, sì!” ribatto, annuendo. “Ma non ti preoccupare è un errore comprensibile. Sono fucili molto simili.”
Le ripasso il fucile, ma le scivola la presa. Il G3A3 cade sulla borsetta e quella si rovescia sulle scale: due coniglietti rosa e una mela rotolano giù per i gradini.
Lei sbuffa. “Ma… cazzo” Raccoglie tutto e lo rimette in borsa.
“Senti” le dico ”A casa ho dei manuali di artiglieria. Se ti va dopo la gara posso mostrarteli”
Lei mi studia un attimo.
Speriamo se la beva.
“Be’ grazie, sei gentile. Verrei molto volentieri, se posso.”
“Ma certo che puoi! Così già che ci siamo ti mostro i miei coniglietti”
“Hai dei conigli? Anch’io! Ne ho due: Batuffolo e Fiocco di Neve. I tuoi come si chiamano?”
Le porgo la mano e l’aiuto a mettersi in piedi.
“Be’, c’è Napoleone III, Bismarck, Carlo V e poi il mio preferito: Tamer l’ano.”
Facciamo due passi e lei si sbatte una mano in fronte.
“Ma che scema che sono. Non mi sono nemmeno presentata. Mi chiamo Licia e tu?”
“Duca. Puoi chiamarmi Duca.”

#51 Comment By Gamberetta On 6 ottobre 2009 @ 16:57

@Anna. C’è bisogno di un po’ di editing, per esempio: “Sono rimasto, incantato dalla tinta blu così naturale dei suoi capelli e dai suoi incantevoli occhioni, fino all’orario di chiusura.” A parte la prima virgola inopportuna, forse è il caso di spezzare la frase, del tipo: “Sono rimasto incantato dalla tinta blu così naturale dei suoi capelli e dai suoi occhioni incantevoli. Non sono riuscito a staccarle gli occhi di dosso per l’intera serata, fino all’orario di chiusura.”
In ogni caso non c’è paragone con la Strazzulla. Le descrizioni della Strazzulla sono di una piattezza sconfortante, qui invece la scena è molto più fluida e movimentata.

@Asher^Kunitz. Divertente. Forse potevi descrivere anche la cartella, le mele, i coniglietti sui gradini: magari nel narratore potevano sorgere dei dubbi a quella vista, poteva cominciare a sospettare che non fosse Lei.
“Non so bene cosa ritragga, non lo sto davvero guardando.” Espressioni così sono un po’ infelici, specie quando lo scopo del compito è descrivere! ^_^ Meglio tagliare se non trovi la maniera giusta di dire cosa c’è sul manifesto.

@il_Fabri. Uhm, no. Troppi aggettivi, troppo raccontato, e la scena richiede un punto di vista preciso, è difficile renderla con il Narratore. Be’, farai meglio il prossimo compito. ^_^

@Adriano. Buona la descrizione della ragazza dal punto di vista del coniglio.
In generale devi tagliare diversi aggettivi, specie all’inizio, e tutte le frasi rivolte al lettore. Per esempio: “(il mio udito non ha niente da invidiare alla mia vista)” o anche “Un tonfo sordo mi strappò alle mie riflessioni.”, puoi evitare il “mi strappò ecc.”, non devi “giustificarti”.

@Diarista incostante. Nota tipografica: se usi i caporali (« »), non ci vuole lo spazio prima e dopo: «Niente spazio.»
Scritto nel complesso bene. Mi è piaciuto.
Un paio di sfumature:
“« E… ehm… questo nuovo colore di capelli? » avevo chiesto cercando di ritrovare con lei un minimo di dialogo. Come prima, come quando contavo ancora qualcosa per lei
« Ti piace? Si chiama Siren lolita » aveva trillato lei”
Qui per esempio dovresti descrivere il colore dei capelli, altrimenti questo dialogo – benché buono – rimane un po’ campato per aria per il lettore.
In generale forse dovevi trovare la maniera di accennare al fatto che il narratore è un coniglietto (di pezza?). Magari sfruttando il compagno Fiocco, dicendo, non so, che dorme con le zampette (di stoffa?) strette intorno al musino.

@???. LOL! Be’, credo che qui sia richiesto il parere del Duca, più che il mio.

@demonio pellegrino. Letta l’intervista. In pratica non dice niente, a parte questo:

“Credo che la forza di “Buio” sia nel fatto che è una storia, in cui tutti possono riconoscersi. Racconta di un percorso, spesso accidentato, ma che ognuno di noi, a suo modo, ha compiuto per arrivare al punto in cui è oggi”.

Affermazioni simili le ripetono in tanti e onestamente mi sfuggono. Io leggo narrativa fantastica per seguire percorsi che non solo non ho compiuto, ma che non mi sarei neanche immaginata di compiere. L’autore di fantasy è lì per andare oltre, per farti vedere cose al di là di quello che da sola puoi sognare. Non ho bisogno di aiuto per immaginare il bello e misterioso della scuola che si innamora di me, non spendo 19 euro per quello – in un fantasy da 19 euro ci devono essere visioni e idee sbalorditive. In altre parole, sense of wonder.

#52 Comment By demonio pellegrino On 6 ottobre 2009 @ 17:29

Sai che c’e’? Che mi e’ venuta a mente un’altra spiegazione di questa intervista all’autrice (alla quale, ribadisco, auguro ogni bene).

Su anobii e su un’altra discussione su booksblog (http://www.booksblog.it/post/5291/buio-my-land-di-elena-p-melodia-thriller-soprannaturale-per-una-trilogia-tutta-italiana) in parecchi (e anch’io tra questi) avevano avanzato dubbi proprio sul fatto che recensioni positive fossero apparse PRIMA della pubblicazione. E sul perche’ Fazi proponesse il tutto come il primo urban fantasy italiano, mostrando disprezzo o ignoranza per il lavoro di altri.

Forse hanno pensato di dover tornare sull’argomento. Fazi, dico. Non lo so. Sta di fatto che l’intervista non e’ granche’, ma non per demerito dell’autrice. Le domande mi parevano un po’ insipide.

Sul resto, concordo. Ma d’altro canto molti invece ricercano opere che riflettano in toto la propria vita, e non solo nella letteratura fantastica: altrimenti non si spiegherebbe il perche’ del successo di boiate come cento vetrine in tv. La gente vuole vedere la propria banale vita e poter dire “ecco, quello con il mutuo da pagare, e la moglie che lo tradisce e la figlia malata sono io”. Non vogliono sognare un’altra vita.

Non tutti, ovviamente, sto banalizzando.

#53 Comment By ??? On 6 ottobre 2009 @ 18:10

@ Gamberetta

Il Duca pare aver gradito.

Comunque, a parte gli scherzi, com’era dal tuo punto di vista
(intendo forma e tutto il resto)?

Grazie! Ciao!

#54 Comment By Venzo On 6 ottobre 2009 @ 18:20

voglio provare anche se il manga non e’ il mio genere preferito

non riesco a descrivere la scena… mi sembra che a descriverla ci si perda l’aspetto psicologico (come se fosse una lista della spesa)… quindi ho cercato di creare delle eroine^^ e una cerca tensione

pink street – prima dello scontro

L’ora era tarda.
Marielle aspettava le altre Sexy-Hunters, erano in ritardo.
Da ore non avevano notizie della loro amica, Andreine era andata in esplorazione quella stessa mattina, non potevano piu’ attendere, la situazione era diventata critica, i Conigli Mannari stavano conquistando la citta’.
L’autorita’ pubblica aveva sottovalutato il problema e anche le forze dell’ordine cittadine erano state sopraffatte.
Solo Marielle, Stefanie e Catrine conoscevano il covo del nemico.
Il pensiero che fosse gia troppo tardi la inquieto’, insieme avevano elminato alcuni dei Mannari, bastavano pochi colpi dei loro fucili semi-automatici.
La prova che le attendeva non era facile, ma nessuna Sexy-Hunters degna di questo nome si sarebbe tirata indietro di fronte il pericolo.

#55 Comment By Il Duca Carraronan On 6 ottobre 2009 @ 18:58

@???
Come già detto in privato, la scena è ben scritta e penso che segnalerò su Baionette la fanfic sul Duca. ^__^

Alcuni accorgimenti: i “penso” come i “sento”, “vedo”, “dico” ecc… sono evitabili. Sarebbero evitabili anche con la terza persona, ma con la prima lo sono ancora di più perché l’ancoramento dietro gli occhi del pov-char è maggiore.

Va benissimo quando metti direttamente “Sto per svenire dall’emozione” o “Rischio davvero d’imbrattarmi la divisa” omettendo i “penso”. Andrebbe fatto tutto così, perché è già tutto filtrato dalla mente del pov-char e il “penso” è un elemento estraneo: una persona non pensa di pensare qualcosa, ma pensa direttamente quel qualcosa e basta. Chiaro? ^_^

Esempio di omissione del “penso”:

Da:
Rischio davvero d’imbrattarmi la divisa.
“Ok, stai calmo” penso. “Sembra molto giovane. Bisogna giocarsela bene!”
Mi avvicino.

A:
Rischio davvero d’imbrattarmi la divisa.
Devo mantenere la calma. Sembra molto giovane: bisogna giocarsela bene!
Mi avvicino.

Ho anche messo un “due punti” per alleviare la sgradevolezza della sequenza troppo spezzata di frasi brevi generata dall’omissione del “penso”.

Anche i gerundi inseriti per dare un ulteriore contesto al parlato e ai pensieri secondo me sarebbe meglio evitarli: distolgono l’attenzione dal dialogo e dal pensiero in sé a favore dell’azione “in simultanea”. Meglio allora formulare le frasi in modo diverso, senza i gerundi, spostando le azioni a prima/dopo o esprimendole senza gerundio, suddividendo in modo diverso le battute del dialogo.

Da:
Mi avvicino.
“Bel costume.” dico “Dove l’hai trovato il fucile? E’ molto carino.”
Lei si sistema un guanto con i denti e poi mi guarda. Ha gli occhi grandi, rossi.
“Grazie!” mi dice, sorridendo “Non sai che fatica ho fatto a mettere tutto assieme. Prima volevo vestirmi da fatina cocainomane, ma mi è sembrata un’idea troppo banale. Cosi sono ripiegata sul look Gothloli. Il fucile non é vero: è la replica di un HK33.”

A:
Mi avvicino.
“Bel costume. Dove l’hai trovato il fucile? E’ molto carino.”
Si sistema un guanto con i denti e poi mi guarda. Ha gli occhi grandi, rossi. Mi sorride.
“Grazie! Non sai che fatica ho fatto a mettere tutto assieme. Prima volevo vestirmi da fatina cocainomane, ma mi è sembrata un’idea troppo banale. Cosi sono ripiegata sul look Gothloli. Il fucile non é vero: è la replica di un HK33.”

Il “mi sorride” preferisco porlo prima del grazie, in quanto il cambio di espressione da neutra a felice credo avvenga prima della prima parola detta in risposta e non durante il dialogo.

Per il resto la resa del Duca è perfetta: dai nomi dei coniglietti al modo in cui il Duca pensa, alle preferenze femminili, agli elementi su cui si sofferma, all’approccio usato… è il Duca, senza dubbio. Io sono così.

Ho provato a esprimere il mio punto di vista sul brano, nonostante fossi influenzato dal piacere dall’aver ricevuto una fanfiction, quindi lascio a Gamberetta, più neutra, l’ultima parola sulla qualità del brano e su come migliorarlo. ^__^

#56 Comment By Maudh On 6 ottobre 2009 @ 19:05

Ci provo seriamente, ma non assicuro niente, La descrizione è volutamente corta, solo il minimo necessario.
Vedo la Difforme con la coda dell’occhio, su una strada laterale. Meglio non avvicinarsi.
Si sta stringendo i lacci dei guanti, si prepara al combattimento. Il fucile che stringe in mano non lo riconosco, deve essere uno dei modelli speciali che il centro mette loro a disposizione, il corpo dell’arma è dritto, dipinto di verde, un coniglio assistente mascherato da adesivo*.
Indossa una gonnellina e scarpe alte, nere: da bravo agente del centro indovino i fasci di fruste neurali nascoste come fossero un ricamo o un fiocco del suo cappellino.
Dalla borsa rotola una delle bombe a implosione, sembra una mela morsicata. La difforme non la vede, i suoi occhi fissano qualcosa oltre la mia visuale. Altre due fanno capolino dalla borsa, insieme a uno dei due demoni. Loro sembrano pupazzi conigliformi, rosa.
Una delle ciocche verdi cede per un tremore del terreno e le ricade sull’avambraccio. Sento un fastidio alla punta delle orecchie. Mi affretto ad andarmene. Giusto in tempo, un melo ha appena fatto la sua comparsa.

*per esigenze di scrittura mi sono permesso di dotare l’uomo-coniglio di vista ai raggi X, altrimenti non potrebbe vedere il fucile e l’adesivo.

@GSeck: il POV della mela è fantastico!

#57 Comment By ??? On 6 ottobre 2009 @ 19:56

@Duca

Questa è la prima volta in assoluto che provavo a scrivere in prima persona.

Grazie mille per le dritte. (Sì, adesso mi è molto più chiaro. Un esempio vale 1000 consigli.) La prossima volta proverò ad applicarle (anche alle cose scritte in terza).

Adesso aspetto il commento di Gamberetta, se ha qualcosa da aggiungere. (^___^)

Grazie! Ciaoz

P.s.
Ti ho scritto una mail.

#58 Comment By gugand On 6 ottobre 2009 @ 20:01

Wow. Sto impazzendo di felicita’ a leggere i commenti. Credo di star apprendendo come si scrive piu’ da questi discorsi che in anni di scuola.
Veramente, veramente bravi tutti :D

#59 Comment By Gamberetta On 6 ottobre 2009 @ 20:14

@???. Nota tipografica: se usi il corsivo per i pensieri, non c’è bisogno di metterli tra virgolette.
Non ho molto da aggiungere alle (giuste) osservazioni del Duca. È in generale una scena ben scritta, la descrizione della ragazza mi sembra ben fatta e in accordo con il punto di vista scelto.
Forse potevi spendere qualche parola in più per il coniglio gigante, o potevi spenderne una in meno: “vedo un tizio vestito da coniglio gigante”, un tizio vestito da coniglio è per forza vestito da coniglio gigante. ^_^
Un altro punto in cui magari potevi inserire qualche particolare in più è quando il Duca prende in mano il fucile: possibile che una persona così fanatica per le armi non provi alcuna sensazione? Non tolga e rimetta il caricatore solo per sentire il clic? (Nota: io avrei fatto dire alla ragazza che il fucile era vero).

@Venzo. Non è questione di manga, la scena l’ho scelta apposta perché fosse bizzarra e dunque difficile da scrivere. Altrimenti che gusto c’è? ^_^

@Maudh. Non è ben chiaro il punto di vista. Chi ha visto il disegno intuisce sia il coniglio nero, ma ovviamente dovresti descrivere pensando che una persona non abbia mai visto il disegno.
La descrizione della ragazza poi scorre abbastanza, ma c’è bisogno di qualche sistematina, ad esempio: “Dalla borsa rotola una delle bombe a implosione, sembra una mela morsicata. La difforme non la vede, i suoi occhi fissano qualcosa oltre la mia visuale. Altre due fanno capolino dalla borsa, insieme a uno dei due demoni.” Qui il soggetto prima sono gli occhi non le bombe, dunque sarebbe meglio ripetere: “Altre due bombe fanno capolino, ecc.”

#60 Comment By ??? On 6 ottobre 2009 @ 20:30

@ Gamberetta

Grazie dei consigli. Sì, il coniglio è ovviamente gigante. M’è sfuggito.

Le virgolette sono un residuato di come ho imparato a scrivere. D’ora in poi proverò a eliminarle. Stessa cosa vale per i “dico/penso” di cui ha parlato il Duca.

Per quanto riguarda il comportamento del Duca in effetti non ci avevo pensato a una reazione per il fucile.

Mi ero più concentrato sulle priorità esistenziali maschili. (^___^)

#61 Comment By Diarista Incostante On 6 ottobre 2009 @ 22:29

Trovando sensati gli appunti di Gamberetta riscrivo (non avevo precisato il colore di capelli perchè non lo faccio quasi mai):

Non riesco a respirare. Per la vergogna, l’eccitazione e la rabbia. Da qui le vedo le mutandine, circondate dal pizzo nero della gonna alta una spanna, e sento il profumo della sua pelle morbida. Mi manca il respiro, mi sento svenire, e mi accascio su questo scalino freddo, tra crepe e ciottoli, mentre il mio papillon mi strangola.

Quando siamo usciti di casa non avevo capito che avesse accettato di posare per il calendario soft porno del presidente del suo club di fotografia. Eravamo d’accordo che non l’avrebbe fatto, dopotutto. Come potevo immaginare che avesse cambiato idea? Ma forse sono solo un idiota.

«Non hai bisogno di svenderti. Se fosse il ragazzo giusto ti avrebbe già notata» le avevo ripetuto proprio stamattina

«Sì, sì. Me l’hai già detto, Ponpon» aveva risposto lei frugando irritata tra i costumi di scena di sua madre

«Quindi non lo farai, vero?»

«Mmh?» aveva mugugnato lei provandosi un babydoll ti vedo- non ti vedo (più ti vedo, secondo me) e scartandolo subito
Ancora aggrappato al ricordo della vecchia Susanna mi ero illuso che quel suono fosse un sì.

«E… ehm… questo nuovo colore di capelli?» avevo chiesto cercando di ritrovare con lei un minimo di dialogo. Come prima, come quando contavo ancora qualcosa per lei

«Ti piace? Si chiama Siren lolita» aveva trillato lei, passandosi le mani tra le ciocche turchine prima di infilarsi il corpetto stringato con le plissettature scarlatte ai bordi, quello che sua madre aveva indossato per la parte di Carmilla la vampira

«Oh. Molto originale. Anche il vestito…»

Ma lei non aveva dato segno d’avermi sentito. Si era infilata la gonnellina, le calze, e le giarrettiere. Poi mi aveva afferrato ficcandomi nella borsa assieme alla mia gemella di pezza Fiocco, intenta a ronfare sodo come al solito, tanto da farsi vibrare le orecchie. Passando dal salotto aveva preso le mele che mi aveva scaraventato addosso, poi aveva chiuso la tracolla e si era avviata.
Non a scuola. Non al parco. In un viottolo dietro al porto, tra squallidi edifici neofascisti, con altre undici ragazze seminude. Su un set fotografico.

Oscar si avvicina e io sento Susanna trattenere il respiro. Le sorride malizioso mentre le porge un cappellino idiota e un fucile di plastica

«Ci sono i coniglietti sopra, sembra fatto apposta per te» dice quel lurido porco additando il fucile. E poi aggiunge « Apri un po’ di più il corpetto, Susy, d’accordo? E rimettiti seduta che adesso scattiamo due polaroid, giusto per vedere come viene l’insieme »
E io sono qui, ancora sparpagliato assieme alle mele, come un banale oggetto di scena. Faccio pandant con un adesivo rosa su un’arma giocattolo, e con le ringhiere finto liberty dell’azienda import/export RA.bit sullo sfondo.

Mentre distolgo lo sguardo dalle mutandine della mia migliore amica, del mio unico amore, sento Fiocco che russa. Con gli occhi pieni di lacrime vedo un coniglio lontano, nero, enorme, che esce da una galleria buia. Salutandomi annuisce, fa una capriola e mi deride. Perché ha capito tutto. Che amo Susanna, che vorrei che certe cose le facesse solo per me, che fino a ieri credevo davvero che noi due fossimo la coppia più bella e felice del mondo.

O forse è solo un’allucinazione. La mia testa è sempre più leggera, mentre Susanna fa quanto le chiede Oscar. Apre le gambe, si morde le labbra, sporge il mento, e mi pianta il calcio del fucile nello stomaco, schiacciando la mia imbottitura che esce dalle cuciture allentate.
E spinge forte, forte, forte…

#62 Comment By Fea On 6 ottobre 2009 @ 22:33

Articolo molto professionale e ricco di informazioni pratiche, è stato un piacere leggerlo. Come primo commento, provo anch’io a fare il compito ^^

-Oggi non sono qui per te, sparisci.
Dopo queste parole, l’uomo si rese conto di aver perso ogni interesse agli occhi della strana ragazza che le aveva pronunciate. Lui invece, non riusciva a fare a meno di fissarla, le pupille dilatate e la mascella contratta dal terrore, consapevole di essere arrivato tardi.
Aveva assistito a tutta la scena, troppo lontano per intervenire. La bambina, addentando una mela appena tirata fuori dalla cartella, aveva appena fatto in tempo a posare il piede nel primo gradino quando l’Operatrice era uscita dall’edificio di fronte a lei. In una frazione di secondo aveva imbracciato il fucile e fatto fuoco. Il rumore era stato assordante ai timpani dell’uomo, ormai a pochi metri di distanza, e il piccolo corpo era stato scaraventato in avanti dalla violenza del colpo. Per quanto fosse abituato ai metodi delle Operatrici, la violenza e la freddezza dell’esecuzione lo avevano lasciato pietrificato, lo sguardo fisso sul sangue che si allargava in una pozza dal corpo quasi diviso in due della bambina. Sfiancato dalla corsa, era arrivato di fronte alla ragazza, ma ormai era tutto finito. I polmoni gli bruciavano dalla mancanza di ossigeno, dal forte odore di polvere da sparo portato dal gas espulso dal fucile e dalla nuvola che si era alzata da terra dove il proiettile aveva colpito l’asfalto dopo aver attraversato la bambina.
A causa del sangue che gli pompava violento nelle orecchie aveva percepito, più che realmente udito, le parole con cui la ragazza riteneva di averlo congedato. La osservo sedersi nelle scale dove si era svolta l’esecuzione, all’apparenza per nulla preoccupata di doversi allontanare dopo aver portato a termine il lavoro. La cartella della bambina nella caduta si era rovesciata, e ne era fuoriuscito un coniglietto di peluche rosa che ora giaceva nei gradini. Un secondo coniglietto si intravedeva ancora all’interno della cartella insieme ad alcune mele, mentre quella già addentata rotolava alla base delle scale. Per non lasciare il fucile, la ragazza si era appoggiata col suo peso ad esso, mentre con i denti stringeva il laccio del guanto che portava alla sinistra.
Sul calcio dell’arma, poggiato a terra, era ben visibile la ragione della sua sicurezza: un marchio, un coniglio rosa stilizzato che all’uomo pareva sorridesse, osservandolo. Simbolo ufficiale del Governo, rappresentava l’insindacabile autorità della ragazza che gli stava davanti. Immune a qualsiasi legge, intoccabile per chiunque; gli unici obbiettivi l’eliminazione dei dissidenti: questo era un’Operatrice. Tutto in quelle folli ragazzine era smodato e portato all’eccesso, a partire dall’arma in dotazione, un fucile d’assalto tedesco, sino ai loro vestiti, vistosi e inadatti al combattimento. Del resto, l’uomo sapeva bene che non dovevano preoccuparsi di essere appariscenti. Nessuno poteva opporsi, né verbalmente né fisicamente, la Legge per quel reato prevedeva solo una misura: la morte. La droga che prendevano, e che dava quel caratteristico colore rosso ai loro occhi, le rendeva veloci, resistenti alla fatica e immuni al dolore. L’addestramento faceva il resto. La ragazza che l’uomo si trovava ad osservare non faceva eccezione.
Il verde dei suoi capelli tinti era l’unica nota che stonava, per il resto era dominata dal nero e dal rosso. Nero del collare che indossava, rosso delle piccole borchie che lo decoravano. Nero del suo corpetto, rosso dei bottoni e delle cuciture. Nero delle scarpe, nero del fiocco che circondava una gamba e nero del piccolo cappello a tuba inclinato con noncuranza sulla testa.
Ma le Operatrici amavano fingere innocenza, e il colore del simbolo nazionale, ben in vista sul fucile, contribuiva all’illusione; vi si aggiungevano calze rosa, fiocchi rosa e pizzi, che erano la norma.
L’uomo però comprendeva la loro vera natura: piccoli esseri le cui turbe psichiche erano state assecondate e coltivate sin dalla tenera età, e con l’ausilio della droga plasmate a servizio dello Stato. Dopo anni di militanza nell’Opposizione, non era riuscito neanche una volta a fermare un’operazione in cui loro fossero coinvolte, e se era ancora vivo lo doveva solo al fatto che non era mai stato dato l’ordine per la sua eliminazione. Non ancora almeno.
Terminato di stringere il guanto, la ragazza si alzò, appoggiando leggermente il fucile al fianco e preparandosi ad allontanarsi. L’uomo si ritrovò i suoi occhi puntati addosso, che sembravano chiedergli per quale motivo fosse ancora là. Sapeva bene che se la sua morte fosse stata in programma ora si sarebbe trovato in terra anche lui, ma dovette comunque raccogliere del coraggio per chiedere con voce roca: -Perchè? Perchè una bambina?
Non ci fu reazione da parte della ragazza. Ma forse trovò la domanda interessante, perchè rispose, senza mutare espressione:
-Conosci la Legge. Il Coniglio Rosa è il sacro simbolo del nostro illuminato Governo. Solo le forze armate hanno il diritto e l’onore di portarlo. Il padre di questa bambina era un Oppositore, non solo produceva blasfemi idoli di pezza con la forma del Dio, ma aveva già traviato la mente di sua figlia. Terminarli è stato un atto di misericordia.
Avuta una risposta, non poté far altro che osservarla allontanarsi verso il suo supporto, apparso in lontananza per ripulire dopo il lavoro, ma che ai suoi occhi appariva anch’esso come un enorme coniglio, di un nero profondo.

Nota a margine: temo di soffrire di inforigurgito e di una grave forma di graforrea, visto quanto ho scritto, ma spero in qualche consiglio per migliorare ;)

#63 Comment By Maudh On 6 ottobre 2009 @ 23:03

@ Gamberetta: grazie per la precisazione sulle bombe. Per il resto, davo per assodato che l’eventuale lettore vedesse prima l’immagine.

P.S.Su che argomento sarà “manuali 2″?

#64 Comment By Stefano On 6 ottobre 2009 @ 23:15

Bel contributo: tempo permettendo mi piacerebbe intervenire con qualcosa di costruttivo. Per ora mi limito a contestare il punto tre: credo che anche il modo di argomentare, di costruire una storia possa scadere nel già visto: la narrazione in prima persona, ad esempio, impazza, ma quando leggo in copertina “Cronache di Tizio Caio” ho sempre l’insano desiderio di trovare un narratore che racconta, e non un personaggio che vede e pensa.
Qui e altrove, però, si criticano la Troisi, la Meyer, Moccia, Faletti riguardo il loro modo di scrivere… ma se i manuali di scrittura rendono più appetibili e comprensibili idee e sensazioni che lo scrittore vuole trasmettere al lettore, ci sono regole che trascendono le regole e permettono ai suddetti autori di raggiungere fasce di lettori incredibilmente ampie?

#65 Comment By Vincent Law On 7 ottobre 2009 @ 00:38

Per trascendere le regole, come scrive Gamberetta nell’articolo, prima bisogna conoscerle. Sennò non trascendi un tubo lol.
Comunque mi unisco alla domanda di Mudh: Il manuale 2 su che argomento sarà?
Personalmente spero le sequenze di azione xD non ne posso più di ragazzine che tendono l’arco lungo mentre con un ascia bipenne squartano orde di orchi alti 3 metri

#66 Comment By Stefano On 7 ottobre 2009 @ 00:57

Quindi Vincent, secondo te, gli autori da me citati avrebbero una cotenna tanto spessa nell’applicare le regole del buon scrivere da averle trascese? Improbabile. Oppure sono manipolati da editor che riscrivono le loro bozze trasferendo la loro professionalità? Improbabile anche questo, imho.

#67 Comment By gnappetta On 7 ottobre 2009 @ 01:23

-Se tarda altri due minuti gli stacco la giugulare a morsi.
Appollaiata sui gradini di marmo fuori dal dipartimento, i denti impegnati a litigare con il laccio di un guanto, Marta sentiva la stizza virare in furia.
Presto l’ora viola sarebbe finita, e con lei la stagione di caccia al Coniglio. Venezia avrebbe ricominciato a scorrere, e Marta avrebbe dovuto alzarsi e correre al suo posto tra gli altri lungo la Fondamenta della Giudecca. Avrebbe tirato fuori dalla borsa quegli stupidi burattini a forma di coniglio e ci avrebbe spillato quattrini ai turisti fino a stancarsi le dita. Avrebbe passeggiato e posato e sorriso e abbracciato e piroettato sfoggiando l’ennesima variazione del suo abito da gothic-lolita-serial-killer. Poi magari si sarebbe esibita in qualche esercizio di giocoleria con le mele. Cinque, perché ai turisti non glie ne frega niente dell’esercizio. Vedono solo il numero di oggetti che girano, piu sono meglio è, la matematica del gioco gli è estranea.
Questione di minuti, e Marta sarebbe tornata ad essere una dei tanti artisti di strada che infestavano le calli intorno a San Marco durante il carnevale, con tanto di autorizzazione comunale e posto assegnato.
Ma finché durava l’ora viola, le cose stavano in tutt’altro modo. Finché durava l’ora viola, era tutto vero. Era vero il fucile, era vera la caccia, era vero il Coniglio. Se solo si fosse voltata, Marta l’avrebbe visto. Lo sapeva senza il minimo dubbio, così come sapeva che il coniglio vedeva lei.
Ma finché Lui non arrivava, non c’era modo di rompere la tregua.

ps: mi piace un sacco quella di caffeine!

#68 Comment By il_Fabri On 7 ottobre 2009 @ 10:50

@gamberetta:
@il_Fabri. Uhm, no. Troppi aggettivi, troppo raccontato, e la scena richiede un punto di vista preciso, è difficile renderla con il Narratore. Be’, farai meglio il prossimo compito. ^_^

certo, l’ho fatta nella maniera peggiore che mi è riuscita, l’ho anche scritto :D
il POV è osceno, le metafore sono volutamente complicate (sulla prima basta non aver visto donnie darko e non si capisce), l’incipit ricalca “in un cielo alquanto livido” che mi fa rabbrividire ogni volta che ci penso, il primo periodo non si fa mancare pure il giornalistico “dramma annunciato”. Più l’infobump finale sul fucile (potevo scrivere informazioni sbagliate e non l’ho fatto, peccato).
E’ uno di quei pezzi in cui bisogna chiedersi se lo scrittore ci prende in giro: sì, è così :P

Giurin giuretta poi vedo di scrivere un pezzo decente ^_^

#69 Comment By il_Fabri On 7 ottobre 2009 @ 10:58

nota: “in un cielo alquanto livido” è l’incipit de “i maghi degli elementi” della Debenedetti. Grazie ad Angra per aver messo una cosa del genere sul suo blog, da solo non l’avrei mai trovata.

#70 Comment By lisse On 7 ottobre 2009 @ 12:22

Articolo utile e interessante, e interessante esercizio.
Ci provo.

- Sei la Fatina dei denti? –
Mi sto allacciando il mezzo guanto di pizzo nero, aiutandomi con la bocca. Dannate stringhe. Le odio. Ma il guanto mi serve. Senza, mi brucerei la mano ad ogni colpo. Se solo potessi avere un’arma di nuova generazione, invece che questi residuati bellici… Lavorare per il Governo non paga. Ho un fucile che rischia di esplodermi in mano ogni volta che sparo, e quel che è peggio, il fucile ha un’adesivo con la faccetta di un conglio rosa sul calcio. Sì, un coniglietto. Rosa.
Ma chi lo usava prima di me? Sailor Moon?
Comunque, sto divagando.
Dicevo che mi sono appena seduta su uno scalino sudicio e crepato, davanti ad un portone. Ho bisogno di una pausa. E di fare uno spuntino.
Comincio ad allacciarmi il guanto, quando salta fuori dal nulla questo bambinetto, pigiamino d’ordinanza e orsacchiotto al seguito, e mi tende un barattolo vuoto.
- Sei la Fatina dei denti?
Rimango con la stringa del guanto in bocca.
- Eeeh? – biascico.
Il bambino continua a puntarmi in faccia il minuscolo barattolo. Non è vuoto. Dentro c’è una cosetta bianca. Oddio, è un dente. Che schifo.
- Allora, sei tu la Fatina dei denti? – mi incalza impaziente, battendo anche il piedino per terra.
No, dico, moccioso, ma che cazzo di cartoni animati ti fanno guardare, se sei arrivato alla conclusione che una fatina dei denti è uguale a me?
Ok, ho i capelli verdi, e questo potrebbe suscitare qualche dubbio, te lo concedo. Ma sulla testa ho un piccolo cilindro. Hai mai visto una fatina col cilindro?
E poi indosso un corsetto nero, allacciato sul davanti, e le stringhe mi strizzano le tette, ma non ci sono fori per le alucce, dietro.
Ho per caso le ali?
No, non ce le ho, nel caso non te ne fossi accorto.
In compenso ho una minigonna gialla e nera, cortissima, che mi lascia le gambe libere quando corro. Ho delle scarpe con la zeppa, micidiali quando devo prendere a calci qualcuno.
Conosci molte fatine che corrono e menano?
Ma soprattutto, ho un enorme fucile automatico accanto a me.
Dico, l’hai visto? E sei ancora convinto che io sia la fatina dei denti?
- Allora, Fatina, lo prendi il mio dentino?
- Fila via, moccioso. Non sono la tua fottu… ehm, non sono la fatina dei denti.
- Sì che lo sei! – ribatte lui – Hai le mele!
- Le…mele?
Va bene, è ufficiale. Il bambino è fuori come un balcone.
- La mia mamma dice che le mele fanno bene hai denti. Tu hai le mele. Tu sei la Fatina dei denti. – proclama.
Seguo il suo sguardo. E’ posato sui gradini, dove ho buttato la mia borsa di cuoio marrone. Si è aperta e le mie mele sono rotolate fuori. Insieme a quei dannati coniglietti rosa. Io l’avevo fatto presente, all’ultima riunione sindacale, che i coniglietti rosa non erano una buona idea. Fare un calendario come gadget, come tutte gli altri corpi di Polizia del mondo, pareva brutto, eh?
Il bambino mi guarda e aspetta. Si dondola sui talloni, con un’aria da saputello dipinta sul muso. Mi irrita da morire.
- Guarda che se prendi il mio dentino, non lo dico a nessuno che andavi in giro di giorno!
Mi strizza anche l’occhio. Pazzesco.
- Non sono la fatina, ti dico! E adesso sparisci, devo lavorare!
Ma che sto facendo? Perché sto a parlare con questo nanerottolo? Che cosa mi frega?
Ma poi, dove sono i tuoi genitori? Perché cazzo ti lasciano andare in giro da solo in un quartiere come questo? Non è posto per bambini soli. E scemi.
E’ pieno di brutti ceffi.
Come quell’omone laggiù, alla mie spalle, accanto alla galleria, che indossa un costume da coniglio e sta camminando quatto quatto, e pensa che siccome cammina come un ninja deficiente, io non lo possa vedere.
Oddio, forse quando aveva quattro anni qualcuno gli ha detto che la Fatina dei Denti non esiste.
Allungo una mano e prendo sgarbatamente il barattolo che il bimbo mi tende. Non si sa mai.
Gli lascio un coniglietto rosa.
Sarà il caso che ricominci il mio lavoro. La pausa è finita. Non sono riuscita nemmeno a mangiarmi una mela in santa pace.
Vabbè. Andiamo a ripulire questo quartiere, che è meglio.

#71 Comment By Venzo On 7 ottobre 2009 @ 12:24

@gamberetta
per manga intendevo il modo in cui trattavo l’argomento

se per esempio l’avessi letta in chiave epica… nn ci sarebbero state le sexy-hunters (ma l’epica centra meno di niente con quessta foto)

oppure se l’avessi scritto cercando di fare un romanzo rosa… mi sarei concentrato sui suoi pensieri su un possibile boyfriend… se ho tempo cerco di scrivere qualche riga.. giusto per essere piu’ chiaro^^

#72 Comment By Venzo On 7 ottobre 2009 @ 13:23

Pink Street – Al tramonto

Marielle pensava al suo amore.
Da quando si erano conosciuti, le cose erano andate sempre bene, teneri baci e ancora piu’ tenere carezze facevano da cornice a ogni loro appuntamento, credeva di aver trovato la sua anima gemella.
Fino a quando l’emergenza scatenata dai pericolosi Conigli Mannari, l’aveva costretta a riprendere il suo semi-automatico.
La sola vista del fucile aveva sconvolto Paul, non riusciva a capire che doveva farlo? Era un suo dovere proteggere anche lui!
Non aveva mangiato niente, solo un morso a una mela, il dolore che provava dentro era insopportabile.

#73 Comment By Gamberetta On 7 ottobre 2009 @ 18:11

@Fea. La descrizione della ragazza è buona, ma è vero che soffri di inforigurgito. Come in altri casi, ho l’impressione che tu cerchi di “giustificarti” quando non c’è bisogno. Il pubblico non è scemo, e sa trarre le sue conclusioni.
Per esempio: “Sul calcio dell’arma, poggiato a terra, era ben visibile la ragione della sua sicurezza [...] un marchio, un coniglio rosa stilizzato [...] Simbolo ufficiale del Governo, rappresentava l’insindacabile autorità della ragazza che gli stava davanti. Immune a qualsiasi legge, intoccabile per chiunque; gli unici obbiettivi l’eliminazione dei dissidenti: questo era un’Operatrice.
La parte evidenziata è superflua: se tu dici che il simbolo rappresenta per l’Operatrice una “sicurezza” e in più è l’emblema ufficiale del Governo (G maiuscola), il lettore intuisce da solo il resto. Così si risparmia inchiostro e si risparmiano ragionamenti che evidentemente sono dell’autore e non del personaggio.
Oppure: “La droga che prendevano, e che dava quel caratteristico colore rosso ai loro occhi, le rendeva veloci, resistenti alla fatica e immuni al dolore.” è bruttino. Se dici solo, non so, “La droga faceva brillare di rosso gli occhi dell’Operatrice”, il lettore da solo proverà a intuire perché un’Operatrice si droga e probabilmente arriverà alle stesse conclusioni senza essere (inverosimilmente) imboccato da falsi pensieri del personaggio.

@gnappetta. La descrizione tutto sommato coglie bene la sensazione di straniamento che suscita l’immagine, e dunque non è male.
Potevi forse spendere qualche parola in più, sia per descrivere la ragazza (per esempio “abito da gothic-lolita-serial-killer” è un po’ troppo “condensato”), sia per descrivere il Coniglio.

@il_Fabri. Troppo sofisticato! ^_^ C’è gente che scrive davvero come nella tua descrizione e lo fa senza ironia. Li pubblicano pure!

@lisse. Molto divertente. Non era facile, scegliendo il punto di vista della ragazza, auto-descriversi senza forzature: direi che ci sei riuscita bene. I pensieri suonano naturali.
L’inizio si può forse migliorare cambiandolo un po’ e togliendo il “Comunque sto divagando”, “dicevo”, la ripetizione del fatto che si sta allacciando il guanto.

@Venzo. Ehm, qui lo scopo è descrivere. Puoi metterci una storia d’amore se vuoi, ma devi riuscire a far trasparire più particolari concreti possibile: chi non ha mai visto il disegno, deve riuscire a farsene un’idea.

@Maudh. / @Vincent Law. Non sono ancora sicura di cosa parlerà il prossimo articolo della serie. I due argomenti più probabili sono o come si costruisce la trama oppure i dialoghi. Ma se ne riparla a novembre: un articolo di questo tipo al mese è sufficiente.

#74 Comment By lisse On 7 ottobre 2009 @ 18:17

grazie gamberetta.
l’inizio effettivamente suona debole anche a me. Ci rifletterò un po’ su.

#75 Comment By Mauro On 7 ottobre 2009 @ 19:00

Gamberetta:

rappresentava l’insindacabile autorità della ragazza che gli stava davanti. Immune a qualsiasi legge, intoccabile per chiunque; gli unici obbiettivi l’eliminazione dei dissidenti: questo era un’Operatrice.”
La parte evidenziata è superflua: se tu dici che il simbolo rappresenta per l’Operatrice una “sicurezza” e in più è l’emblema ufficiale del Governo (G maiuscola), il lettore intuisce da solo il resto. Così si risparmia inchiostro e si risparmiano ragionamenti che evidentemente sono dell’autore e non del personaggio

Dal fatto che ci sia il simbolo del Governo e che le dia sicurezza però il lettore non necessariamente (anzi) può capire che la ragazza è “immune a qualsiasi legge, intoccabile per chiunque”; stesso discorso per gli obiettivi. Più che superflui, non sono al massimo inseriti male?

#76 Comment By Gamberetta On 7 ottobre 2009 @ 20:28

@Mauro. Non c’è solo quello: prima l’Operatrice ha ucciso una bambina.
È come se tu vedi uno che prende a manganellate un altro: chiami la polizia. Ma se è la polizia a picchiare non c’è niente da fare. Quando dici che un tizio a) picchia, b) è della polizia, il lettore ne deduce che ha l’autorità per farlo.
Certo non deduce le parole esatte, ma ha importanza?
Se la frase originaria fosse stata “Immune a qualsiasi legge in base al decreto 722 del 3 gennaio” è ovvio che non ci sarebbe stato modo di farlo desumere, ma ha importanza?
E anche avesse importanza, siamo sicuri che il personaggio, in quel momento, pensa a quello?
Dettagli concreti, visibili, palpabili. Su quello ci si deve concentrare. Il coniglio sul fucile lo è. Dire che è simbolo del Governo lo è già meno. Andare oltre significa far perdere intensità alla descrizione.

#77 Comment By Vincent Law On 7 ottobre 2009 @ 20:49

Non sono ancora sicura di cosa parlerà il prossimo articolo della serie. I due argomenti più probabili sono o come si costruisce la trama oppure i dialoghi. Ma se ne riparla a novembre: un articolo di questo tipo al mese è sufficiente.

Capisco, grazie per aver risposto a me e Maudh

#78 Comment By gnappetta On 7 ottobre 2009 @ 20:56

in effetti… :)

edit: cafeine non caffeine, sorry

#79 Comment By Fea On 7 ottobre 2009 @ 21:51

@Gamberetta

Grazie dei consigli. Si, in effetti quelle parti potevano essere dedotte senza doverle ribadire…c’è sempre il dubbio di non essere stati chiari, ma imporre il punto di vista dell’autore è brutto.

#80 Comment By Arha On 8 ottobre 2009 @ 11:15

Gamberetta hai un conto paypal?
Questo articolo vorrei pagartelo, se non ti scoccia.
Io lavoro, ho poco tempo per leggere, pochissimo per scrivere, zero per leggere manuali in inglese.
Se non fosse per questo sito la sera non potrei leggere nulla di altrettanto interessante, istruttivo e divertente, dal mio iphone, mezza svenuta sul letto.
Spero di non offenderti….una ventina di euro a me non cambiano nulla e tu magari ci rimedi un paio di gelati, ma mi farebbe veramente piacere ricompensarti in qualche modo per il lavoro che fai.

#81 Comment By cafeine On 8 ottobre 2009 @ 12:03

@ Gnappetta:

Grazie mille! Fa niente per l’errore!
:)
E’ stato un esercizio divertente. Non sembra malaccio neanche a me. Appena ho un attimo leggo il tuo! :D

#82 Comment By Rotolina On 8 ottobre 2009 @ 13:01

L’articolo e’ fantastico.
Adoro i manuali, e sono una frana con l’inglese, ma non mi metto a are la lagna e filo a provare a leggerli. Al massimo abbandono e torno a quelli italiani. Oppure torno qua :P

Pero’ non ho resistito, ho fatto i compiti anche io!
Tha-dhan!

L’uomo imprecò sonoramente, e con una mano guantata si colpì il ventre con un ceffone. L’auricolare che aveva sotto il cappuccio crepitò.
“Ravasciuttolo, tutto bene?”
“Tutto bene un cazzo! Questo dannato costume da coniglio e’ pieno di pulci!”
“Balle, è stato disinfestato dopo l’ultima missione, quindi muoviti, non sei ancora in posizione”
La risposta si perse in un grugnito irato, mentre Ravasciuttolo si avvicinava all’angolo della strada, sporge dosi a guardare.
Ed eccola là una Bunnie.
“Ce n’è una” comunico’ all’auricolare.
“Com’è?”
“Come vuoi che sia?” l’irritazione era palese “Come le altre! Una ragazzetta in corpetto gonnellino e calzettoni! E quel fottuto fucile anticarro in mano!”
“Non fare l’idiota! Capelli? Colore degli abiti? Accessori? Mi servono i dettagli, lo sai!”
Ravasciuttolo represse una rispostaccia, sibilando tra i denti serrati. Poi riprese a parlare, con tono più calmo e professionale.
“Capelli verde chiaro, lunghi, ha una tuba in testa. Il corpetto è’ nero-rosso, la gonna arancione e i calzettoni rosa. Come stemma sul fucile ha un coniglietto rosa”
“Merda”
L’imprecazione nell’auricolare arrivò ovattata, ma comunque chiara.
“Merda? Che diamine vuole dire merda, eh? Cazzo vuol-“
“Ehi ehi amico, stai cal-“
“NON SONO TUO AMICO!”
L’urlo fece sollevare il capo alla Bunnie poco lontana e Ravasciuttolo si affrettò a ritirarsi oltre l’angolo, nonostante il costume.
La voce all’auricolare riprese a parlare.
“Ascoltami bene ragazzo. Quella è Rosie Bunnie, non la peggiore di tutte, ma comunque una dannatissima brutta bestia. Il fucile che si porta appresso è un G3A3 modificato, può staccarti la testa dal collo senza troppi problemi. Quindi ora taci e ascolti il piano, ok?”
Ravasciuttolo si limitò a rispondere con un “ok” appena mormorato, prima di ascoltare le successive istruzioni.
E più le ascoltava, più cresceva la certezza che fare l’Infiltrato al Quartiere Coniglio era stata un’idea decisamente idiota.

PS: Si ringrazia il Duca per la pontificazione sui fucili. Intendendomi io di fucili come una lumaca senza arti, ho preso per buona la sigla, e ci ho aggiunto un bel “modificato”. Cosi’ se il fucile non stacca le teste, quello modificato si!
Non sono geniale?

#83 Comment By Ste On 8 ottobre 2009 @ 14:00

Ciao.
Concordo pienamente sul fatto che per poter parlare di un argomento e, volendo, stravolgerlo bisogna per prima cosa consocerlo.
Un rapidississimo esempio: tutte quelle trame basate sul tal animale geneticamente modificato che infetta le persone che a loro volta mutano… bhè e assurdo. Sia perchè una mutazione è trasmissibile solo per riproduzione, sia perchè il genoma di un animale è diverso da quello umano.
Quindi se uno non conosce la genetica, almeno nelle sue basi, come può scrivere qualcosa che si basa sulla genetica?
Ma purtroppo spesso si pensa che chi legge non ne sa nulla è, come spesso scrivi, un povero rincitrullito che si beve qualsiasi cosa gli si proponga senza porsi domande.
Un saluto
Stefano

#84 Comment By Mick On 8 ottobre 2009 @ 18:12

“Insieme con” è orribile, per favore cambialo!

#85 Comment By giovanni On 8 ottobre 2009 @ 18:49

Complimenti per l’articolo: utile, documentato e piacevole da leggere. Ti sarà costato molta fatica. Un giorno troverò il tempo di scrivere qualcosa di simile su argomenti legati all’informatica. Non faccio l’esercizio perchè non conosco il nome esatto di tutti quegli indumenti femminili.

#86 Comment By Gamberetta On 8 ottobre 2009 @ 19:05

@Arha. Non mi offendo, anzi mi fa piacere. Visto che non sei la prima a chiedermelo credo che mi organizzerò in tal senso.

@Rotolina. La ragazza è abbastanza ben descritta, forse avrebbe giovato qualche particolare in più, ma capisco che fosse difficile inserirlo in questo tipo di dialogo (e già il “Mi servono i dettagli, lo sai!” non suona del tutto naturale).
C’è poi qualche ingenuità:
– “L’uomo imprecò sonoramente”. Meglio scrivere direttamente l’imprecazione.
– “[...] mentre Ravasciuttolo si avvicinava all’angolo della strada, sporgendosi a guardare.” Meglio evitare il gerundio, anche perché c’è una chiara distinzione di tempi: prima si avvicina, poi si sporge.
– “Come vuoi che sia?” l’irritazione era palese “Come le altre! Una ragazzetta in corpetto gonnellino e calzettoni! E quel fottuto fucile anticarro in mano!” Se l’irritazione è palese è inutile che lo scrivi! ^_^ Magari non è del tutto palese, però basta che aggiungi un intercalare: “Come cazzo vuoi che sia? Come le altre! ecc.” e ora mi sembra palese a sufficienza.

@Mick. A me non pare orribile, ed è italiano corretto, dunque non vedo perché dovrei cambiarlo.

#87 Comment By Mauro On 8 ottobre 2009 @ 19:45

Gamberetta:

È come se tu vedi uno che prende a manganellate un altro: chiami la polizia. Ma se è la polizia a picchiare non c’è niente da fare. Quando dici che un tizio a) picchia, b) è della polizia, il lettore ne deduce che ha l’autorità per farlo

Non necessariamente: nella realtà, ci sono poliziotti che hanno malmenato persone senza averne l’autorità, e sono stati condannati. Il fatto che un membro del Governo faccia una cosa non significa necessariamente che ne abbia l’autorità, o che sia intoccabile: esiste l’abuso di potere.
Se io dico che al G8 qualcuno a) ha picchiato e b) era della polizia, significa che ne aveva l’autorità e che è intoccabile?
Da quella scena, non sono quindi convinto che si possa capire l’intoccabilità della ragazza (magari verrà denunciata, processata e condannata; chissà); per capirlo, servirebbero altre cose (magari, prima viene in qualche modo introdotto che alcune figure governative sono intoccabili). Ma per come è scritto la scena in sé non mi pare assolutamente chiara.

Ste

Un rapidississimo esempio: tutte quelle trame basate sul tal animale geneticamente modificato che infetta le persone che a loro volta mutano… bhè e assurdo. Sia perchè una mutazione è trasmissibile solo per riproduzione, sia perchè il genoma di un animale è diverso da quello umano

Credo dipenda anche se il libro viene presentato come realistico o no; personalmente, non avrei problemi a dare una possibilità a una cosa simile.
Del resto, mi pare esistano virus in grado di moficare il DNA; quindi perché non accettare che un animale sia modificato in modo da poter trasmettere simili virus?

#88 Comment By Rotolina On 8 ottobre 2009 @ 19:57

Yep, rieccomi!
Eh, effettivamente il dialogo è una pessima scelta per descrivere, mi sa. Ma mi è venuto così un po’ di getto, tra l’altro con una tastiera americana, e mi rendo conto ora che ho saltato una sostituzione degli accenti ^_^’
Sul “Mi servono i dettagli, lo sai!”, non posso che darti ragione.

– “L’uomo imprecò sonoramente”. Meglio scrivere direttamente l’imprecazione.

Du-dhum… Si, effettivamente si. E’ che in testa me la immaginavo confusa e non chiaramente comprensibile. Ma allora non era sonoramente! Giusto.

Il resto, pienamente d’accordo. Già rileggendolo ora limerei via un po’ di roba.

Bella iniziativa comunque :D

#89 Comment By francy On 8 ottobre 2009 @ 20:18

vorrei chiedere delle delucidazioni su un dubbio che ho ultimamente. non è un dubbio amletico, anzi è piuttosto stupido a pensarci, ma… qual è il modo migliore per descrivere due gemelli omozigoti? Sì sì, ridete pure voi laggiù, ma io intanto non sono ancora arrivata ad una conclusione! Perchè descriverli entrambi mi sembra ridondante, visto che sono identici, ma descrivere prima l’uno e poi dire che l’altro in quanto suo gemello è uguale fa sembrare meno importante il gemello n 2, no? Si potrebbe ricorrere ad una descrizione del tipo: Marco e Mattia sono gemelli, hanno i capelli neri e gli occhi dorati e la stessa forma appuntita del viso, ma a questo punto a me sembra ugualmente ridondante chiarire che sono gemelli, ma se non dico che sono gemelli potrebbero essere dei semplici sosia. un modo per descriverli penso sarebbe fare una cosa del genere: “bella giornata” disse Marco, scostandosi i capelli neri dal viso “eh già” rispose Mattia, guardando il fratello gemello con i suoi grandi occhi dorati. così al lettore viene automatico immaginare che i gemelli abbiano entrambi occhi dorati e capelli neri, visto che sono uguali. però con questo metodo la descrizione fisica non può scendere più di tanto nei particolari, altrimenti suonerebbe un po’ forzata, almeno a mio parere. quindi… AIUTOOOOO!!!@.@ questo dilemma mi sta facendo impazzire!
PS i compiti a casa sono tutti stupendi! spero che ne arrivino di altri e sempre più fantasiosi! Penso che se voi frequentatori assidui della barca di gamberi iniziaste a scrivere un libro alzereste di molto il livello medio del fantasy italiano! Il mio preferito, nonostante siano tutti fantastici, rimane quello di Clio. il fucile è un grande, mi sta troppo simpatico ^_^

#90 Comment By Il Duca Carraronan On 8 ottobre 2009 @ 20:18

PS: Si ringrazia il Duca per la pontificazione sui fucili. Intendendomi io di fucili come una lumaca senza arti, ho preso per buona la sigla, e ci ho aggiunto un bel “modificato”. Cosi’ se il fucile non stacca le teste, quello modificato si!
Non sono geniale?

Geniale, sì.
Un bel G3A3 con proiettili esplosivo-incendiari di alta qualità, canna rifatta di precisione da un minuto d’angolo a cento metri, grilletto tarato sull’utente ecc…

Quanto sbaverei se i nuovi HK417, nelle tre configurazionie 12-16-20 pollici, facessero tornare in auge il 7,62×51 come calibro da fucile per la fanteria…

#91 Comment By Diego On 8 ottobre 2009 @ 21:39

@ francy. Penso che per avere una risposta un minimo precisa dovresti chiarire meglio il contesto (meglio ancora rendere disponibile quello che hai scritto, se hai già scritto qualcosa, sul testo si lavora meglio che per aria). Non credo che esista una descrizione migliore a priori, dipende sempre da ‘dove’ ‘come’ ‘quando’ e ‘perché’ ti serve la descrizione. Premesso questo, se si tratta di due gemelli identici non vedo una buona ragione per ripetersi descrivendone prima uno e poi l’altro. Basta specificare che sono gemelli e descriverli insieme, no? Un esempio stupido: ‘Nella stanza c’erano due gemelli. Capelli corvini, occhi come due gemme cerulee striate di zaffiro’ L’info che sono gemelli non mi sembra ridondante, posto che sia necessaria e che si accordi con le conoscenze del narratore.

#92 Comment By SiGnOrA OsCuRa On 8 ottobre 2009 @ 22:11

Ma sei un angelo! arigato gozaimasu!! cercherò di apprendere il più possibile ^^ una cosa, famiGliare non credo esista e nemmeno ché con l’accento ^^ ehhhhhh adesso ho l’occhio attento ^^ ciaociao, finisco di leggere domani, anche perché dopo non mi sveglio. E poi venerdi è il grande giorno: il tizio della fumetteria mi ha ordinato i primi tre numeri di claymore *.* (Teresssssssssssssssaaaaaaaaaa! Però forse è meglio Irene, oppure Priscilla sclerotica, nono la più figona e Galatea su questo non ci piove e nemmeno ci tuona u.u) e poi vado a prendere il nuovo gatto (e siamo a tre!) Ma perché mi metto a raccontare della mia vita? Lo so che sono pazza ma non credevo fino a questo punto

#93 Comment By Mauro On 9 ottobre 2009 @ 00:50

Esistono entrambi: sebbene “familiare” sia preferibile, “famigliare” è una forma accettata (per l’esattezza, “familiare” deriva dal latino familia, mentre “famigliare” dall’italiano “famiglia”).
“Ché” è troncamento di “perché”.

#94 Comment By Ste On 9 ottobre 2009 @ 14:28

@Mauro.
Ciao.
E’ vero l’idea delle mutazioni è sempre allettante :O)
Comunque ti dò due brevi (per non andare OT) note.
Un virus non modifica il DNA in modo radicale ma aggiunge solo pochissimi geni utili solo alla propria replicazione
Un virus è troppo piccolo per portare una quantità di materiale genetico tale da indurre pesanti modifiche in un organismo.
MA sapendo questi dati ci si può lavorare sopra e superarli (coinfezioni di più virus), in un certo senso forzarli senza andare contro le leggi/regole della natura

#95 Comment By francy On 9 ottobre 2009 @ 19:42

@Diego In realtà non ho scritto un testo con dei gemelli, è che ultimamente sono fissata con i gemelli (in particolare con Jasper e Debitto di D Gray Man e Hikaru e Kaoru di Host Club…ma sto divagando) e mi era venuta questa curiosità. La descrizione di cui parlavo era la classica descrizione da tema di scuola, perchè in un contesto più articolato penso sia più facile descrivere, no? comunque mi sa che hai ragione, forse fare la descrizione “a due” non è poi tanto male… mi sa che sono io che trovo problemi dove non ce ne sono!^_^ Grazie per avermi aiutata, a volte mi è molto utile avere il parere di qualcun’ altro oltre ai miei neuroni, mi aiuta ad avere una risposta, se non risolutiva, almeno un po’ più chiara di tutti i miei ragionamenti strambi, eh eh eh XD

#96 Comment By Gamberetta On 9 ottobre 2009 @ 20:00

@francy. Dipende dal punto di vista: se chi parla sa già che sono gemelli è probabile che si concentri sui particolari che li distinguono (che possono essere i vestiti, come il modo di comportarsi o di parlare), se invece il personaggio non sa che sono gemelli, ci può stare una descrizione di entrambi, in fondo colpisce vedere due persone quasi identiche.

#97 Comment By francy On 9 ottobre 2009 @ 20:16

uh uh, grazie anche a te Gamberetta. Non mi era proprio venuta in mente quella dei particolari diversi!^_^ Che bello avere tante persone che mi aiutano *si asciuga una lacrimuccia, commossa*

#98 Comment By Luiz On 9 ottobre 2009 @ 23:41

Inanzi tutto, grazie per il bellissimo articolo, esaustivo come sempre. Tuttavia non posso (ancora) leggere i manuali da te consigliati, non conoscendo abbastanza l ‘inglese. A questo proposito, quali sono i manuali decenti a cui fai riferimento all’inizio dell’articolo? Mentre studio l’inglese non mi va di restare fermo a rigirarmi i pollici. Ciao!

#99 Comment By Mariano On 10 ottobre 2009 @ 18:59

Ecco i miei compiti! Ora posso andare a giocare?

“Che hai da guardare?”
Alla mia domanda la coniglietta si volta.
“Non ti stavo guardando, infatti!” – replica seccata dal mio atteggiamento.
“Adesso lo stai facendo!” – le dico. Intanto il mio sguardo indugia per qualche secondo sul suo corpetto nero e sulla minigonna. Decido che il reggicalze è abbastanza carino, così anche tutto il resto degli accessori.
“Sei tu che stai guardando me…” – ora la sua voce sembra essere diventata stranamente suadente.
Osservo i suoi capelli tinti di un verde acqua, sormontati da una piccola tuba, dalla quale scende un nastro rosa. Il colore del nastro fa pendant con l’orsacchiotto buttato in terra e lo stemma del coniglio sul mitra.
“Ti è caduta una mela!”
“La vuoi?” – mi sorride lei.
“No, mangiala te. Mi fa schifo raccoglierla da terra.” – rispondo scuotendo la testa in segno di diniego.
“Tu quindi devi essere…- comincio a cercare il suo nome sulla lista che porto con me- la numero…?” – la guardo.
“La numero 12”
Scorro gli occhi sulla lista. Al numero 12 c’è il nome di Sara Bunny.
“Curioso che tu abbia questo cognome.”
“Già l’ho pensato anch’io appena ho visto l’accessorio del mitra…”
“E lo penserai ancora di più non appena vedrai il tuo partner.”
“Chi è?”
“Il tizio vestito da coniglio, laggiù…”
“Ah”- fa lei gettandogli una rapida occhiata. “Uno vale l’altro.”
“Bè, mica tanto…Il mondo del porno è molto selettivo, ragazza. Ti aspettiamo sul set. Hai cinque minuti, sbrigati”
“Sissignore…” – la sento biascicare alle mie spalle.

#100 Comment By Gamberetta On 11 ottobre 2009 @ 00:35

@Luiz. Per i manuali in italiano puoi provare questi: uno e due. Inoltre hanno da poco tradotto How to Write a Damn Good Novel di James N. Frey, vedi qui. Però non so se valga la pena a 22 euro per 180 pagine, tra l’altro bisogna anche vedere se l’hanno tradotto decentemente.

@Mariano. Nota tipografia: se usi le virgolette per i dialoghi, be’, bastano quelle, non c’è bisogno di aggiungere un trattino.
Come detto per altre descrizioni, se sei in prima persona non c’è bisogno di specificare che vedi, osservi, decidi, per esempio: “Decido che il reggicalze è abbastanza carino, così anche tutto il resto degli accessori.” diventa: “Il reggicalze è abbastanza carino, così anche tutto il resto degli accessori”, accessori che però forse avresti dovuto descrivere. ^_^
Il riferimento alla mela nel dialogo è un po’ forzato, ma apprezzo il tentativo di mettercela.

#101 Comment By Gemini – Araldo dell’AnfisbenA On 11 ottobre 2009 @ 12:10

Salve Gamberetta.
questo sito è molto bello.
volevo chiederti se potevi aggiungere un vademecum sulle descrizioni dei combattimenti, perchè mi trovo in difficoltà:
come dovrei descrivere un combattimento molto rapido, acrobatico e complesso (arti marziali acrobatiche o scherma giapponese) ?
se mi mantenessi più sul vago, rischierei di non far capire nulla al lettore per via dei movimenti complessi;
se descrivessi con più cura i movimenti, vista la loro complessità, rischierei di rallentare troppo la scena, vista la sua rapidità.

allora come dovrei fare ?

ti ringrazio in anticipo per un’eventuale risposta.

ciao

#102 Comment By Merphit Kydillis On 11 ottobre 2009 @ 13:54

@ Gemini: Potrebbe esserti d’aiuto La Trilogia di Magdeburg – La Furia di Alan D. Altieri…
Mostra spoiler ▼

Spero di essere stato di una qualche utilità.

#103 Comment By Artemis On 11 ottobre 2009 @ 14:47

Oh, finalmente un compito per casa che mi chiede qualcosa d’interessante! E dire che mi sono iscritta al classico nella speranza di fare proprio cose come queste, ma mi sono ritrovata a scrivere saggi brevi, che sembrano articoli di Donna Moderna o, quando sono fortunata, di Focus.
*w*
Le porto il mio compito!

- Ti devo proprio far vedere gli screenshot perché ad un certo punto sono riuscito a far volare la motocicletta sopra il tetto, credo che fosse un bug, ogni volta che nel mio gdr guardano il video mi fanno i complimenti e…
Come odio quando si mette a parlare dei suoi record giocando ai videogiochi! Provo una fitta di rabbia che mi fa ribollire lo stomaco e storcere il naso: io ho solo un paio di giochi e non ho mai tempo per divertirmi.
Lui, ossia il Servo, distoglie lo sguardo e credo proprio di sapere il perché: una volta, al ristorante, mi ha rivelato che quando lo faccio sembro un coniglietto e suscito un’incredibile tenerezza.
Io, un coniglietto?! Le sue parole avevano avuto l’effetto di farmi arricciare nuovamente il naso per il fastidio, rendendomi ridicola.
Mi alzo dal letto, infastidita dalle pieghe che aveva preso il discorso ed il lenzuolo, dato che non ho mai imparato a stirarlo decentemente sul materasso, e vado alla finestra, senza neanche far finta di ascoltare le farneticazioni di quell’essere inopportuno ed irritante. Perché i miei genitori fanno entrare i pazzi in casa?! Vogliamo parlare di quella volta che il mio caro papino mi ha presentato un suo amichetto che mi ha urlato “tu non sai nulla di arte!”, come se il definirsi artisti fosse solo una scusa per urlare a povere piccole fanciulle indifese come me?
Pensieri oziosi, sto solo tentando di non ascoltare il Servo.
Sospiro teatralmente, come mi ha insegnato il mio professore di recitazione. Il suo pensiero mi strappa un sorriso timido che fortunatamente non viene visto da lui, dato che gli do deliberatamente le spalle. Apro la finestra e mi affaccio, perché l’aria fresca di ottobre mi faccia defluire il rossore dal viso. Getto uno sguardo dabbasso, come se volessi accertarmi che quella buffa ringhiera che circonda il mio condominio ci sia ancora. Secondo me la decorazione rappresenta una fila di mandarini, con due foglie attaccate ancora al gambo. Il Servo invece è convinto che si tratti di una fila di teste di coniglio, con le orecchie però troppo piccole. è proprio fissato coi conigli!
Ma stavolta il mio sguardo non si sofferma sulla ringhiera perché viene attirato da un’altra cosa. Come una macchia di colore. Guardo meglio e mi rendo conto che è la creatura più eccentrica e bella che abbia mai avuto l’ardire di venirmi a strappare il titolo di “fricchettona otaku dell’anno”.
Sento del peso sullo stomaco e un pizzicorino sulla lingua, che credevo non avrei provato più da quando ho finito le elementari, circa sei o sette anni fa.
Invidia!
Non sono i suoi capelli a turbarmi, del resto io mi sono fatta le punte dello stesso colore, ma come diamine è vestita? Mi mordicchio un labbro, incuriosita mio malgrado. Quasi quasi scendo e le chiedo dove li ha presi, quei vestiti, ma forse neanche è italiana e quindi sarebbe inutile sentirmi rispondere in giapponese o in inglese, che capisco abbastanza bene, di andare in un certo negozio di Londra o Osaka.
è seduta sui gradini, tutta tranquilla, come se fosse di casa. Si guarda attorno e noto di sfuggita che ha gli occhi rossi, non nel senso che ha la congiuntivite, intendo proprio l’iride. Forse è un’albina coi capelli tinti di verde (o blu smeraldo, come li definisce la mia parrucchiera).
Ha delle scarpe fantastiche, un modello gothic lolita con una lieve zeppa, nere a rifiniture rosse, una gonna cortissima con inserto di pizzo ed un bustino nero legato con lacci come camosciati. Un collarino nero e rosso, abbinato ad un guantino, e calze spaiate, una che le arriva a metà coscia. Guardo il suo cappellino e faccio però una smorfia: quello non lo metterei mai, mi sentirei ridicola. Mi accorgo con un fremito che la cosa che tiene in mano, oblunga, non è un bastone od un ombrello nero richiuso, ma un fucile color verde scuro. Ma chi è quella ragazzina? Qui mica siamo in America, non può girare con un fucile in mano! Finalmente distolgo il mio sguardo dai suoi vestiti e mi accorgo che non c’è nessuno lì attorno, che la guardi stranito.
Perché, incredibilmente, la strada è del tutto deserta.
Mi accorgo che ha sparso tutt’intorno i suoi oggetti: una borsa rossa, una sorta di floscio coniglio rosa di peluche ed una mela rossa con il segno di un piccolo morso.
Mi affaccio meglio alla finestra, rischiando di cadere giù perché, come dice la mamma, la testa è più pesante del corpo, più per me che peso 43 kg che per lei che è sovrappeso, e noto un’ombra nera passare.
Mi raggelo, come quando vedo un clown, oppure il mio riflesso su uno specchio, cosa di cui ho il terrore.
è una sorta di coniglio antropomorfo, nero, che cammina su due zampe, alto. Si muove a scatti, come caricato a molla, e pare instabile sulle gambe.
- Cosa c’è, padroncina?- la voce del Servo mi fa sobbalzare e tiro una zuccata contro l’infisso. Per un attimo vedo tutto nero e mi porto le mani sulla testa, sperando di non sentirla colare di sangue caldo.
Batto gli occhi lacrimanti ed il mondo riprende lentamente colore.
Il coniglio è ancora lì, ed anche la strana ragazza, che ora mi fissa con fare comicamente imbronciato.
- Secondo te- azzardo io – quella ragazza ha comprato i suoi vestiti su Ebay?
Non vedo la sua faccia, perché sto ancora fissando gli occhi rossi di quella stupenda creatura, che mi fa ricordare la mia bisessualità per un po’ di tempo a quella parte dimenticata.
- Ne dubito, padroncina, perché seduto sugli scalini non c’è nessuno.
Mi ci vuole un po’ per recepire le sue parole.
Poi sgrano gli occhi per lo stupore e mi volto di scatto:
- Io non ho mai detto che era seduta sugli…
La figura sgraziata del mio servo si fa confusa, liquida, mobile, mutante, ma non faccio a tempo a seguire la sua trasformazione né a finire la frase: mi preme un panno dall’odore acre sul naso e…

#104 Comment By Dexter On 11 ottobre 2009 @ 20:20

Improvviso qualcosa, basandomi sul tono surreale e vagamente nonsense che mi trasmette l’immagine in questione

Il piano procedeva come previsto, era riuscito ad infiltrarsi nella città grazie alla pozione rimpicciolente datagli dal coniglio verde, ben nascosto in una scatola di caramelle mou.
“Accidenti come si sta stretti in questa scatola!”, pensò il coniglio bianco dimenandosi tra le zuccherose delizie che lo circondavano, “un po’ di aria mi farebbe bene!”
Sollevò il coperchio di cartone quel tanto che bastava per poter respirare l’aria esterna. Guardandosi in torno capì di trovarsi nella piazza centrale della città, la casa del coniglio rosso doveva essere da quelle parti…
Conigli neri camminavano noncuranti delle leggi della fisica, entravano dentro i muri e scalavano le pareti con disinvoltura, non prestando attenzione a niente e nessuno.
“Maledetti conigli neri!” pensò il coniglio bianco rodendo dalla rabbia.
Un rumore alla sua destra attirò la sua attenzione, una mela rossa era caduta accanto a quella che sembrava essere una borsa a tracolla, guardò meglio e notò un paio di gambe slanciate coperte da un curioso paio di reggicalze rosa: uno molto lungo e stretto da un fiocco nero sulla coscia, l’altro corto al disotto delle ginocchia e adornato con un orpello dorato.
“Ops, che sbadata!” disse la ragazza dalle strane gambe, chinandosi a raccogliere la mela. Aveva lunghi capelli verdi con un piccolo cilindro nero adornato da un fiocco rosa, nel chinarsi il cilindro sfidò non poco le leggi della gravità.
“Se mi sfuggi al primo morso allora cominciamo proprio male” disse la ragazza prendendo la mela, un corpetto nero con ricami rossi lasciava intravedere l’incarnato roseo dei seni, dove trovava posto una piccola collana dorata.
La ragazza alzò la mela al cielo come per esaminarla, dita sottili uscivano da un guanto nero, mentre nell’altro braccio teneva solo un polsino di tela.
“Che modo curioso di vestire…” mormorò il coniglio, “Non sarò espertissimo di moda, ma potrei giurare che quei vestiti sono quantomeno bizzarri!”
La ragazza pulì la mela con la piccola gonna dorata e ne staccò un altro morso, al che la mela gemette e volò via, andando a finire sotto le scale, il coniglio non aveva mai sentito una mela lamentarsi in quel modo…
“Piccola sgualdrina, io ti avevo avvertito!” disse la ragazza con voce furente, prese in mano un lungo fucile che non aveva di certo buone intenzioni, nonostante il bollino del coniglio rosa suggerisse il contrario, e lo puntò sulla mela con aria minacciosa.
“No, ti prego!” fece la mela sbiancando “Farò quello che vuoi, mi farò mangiare, m-m-mi farò intortare se vuoi, sono persino disposta a farmi cremare!”
“Avete sentito?” disse la ragazza guardando un coniglio rosa steso su un gradino
“Svegliati!” disse un coniglio all’interno della borsa “Svegliati o se la prenderà con noi!”
Il coniglio rosa rinvenne e guardò disorientato la ragazza, “Mi ero distratto un attimo” si scusò
La ragazza emise un urlo talmente isterico che il cilindro volò via un attimo spaventato.
“Chi devo mangiare tra voi due?” disse spostando nervosamente lo sguardo tra il coniglio e la mela.
Il coniglio rosa prese a sudare copiosamente, si sistemò il papion azzurro e disse in tono serio “Non credo che mangiare troppi conigli rosa faccia bene alla salute…”
“E chi se ne importa? Sai benissimo che non saluto mai nessuno!” rispose la ragazza con aria di sfida.
Il coniglio ormai in preda a svariati tic nervosi si guardò intorno, “Oh guarda!” disse allegro, “Proprio lì c’è un pacco di caramelle, perché non mangi quelle?”
La ragazza si voltò e guardò la scatola di caramelle, il coniglio bianco sbiancò sfidando la propria natura, “E ora che faccio?” pensò.

#105 Comment By Gamberetta On 11 ottobre 2009 @ 20:32

@Gemini. Prima devi essere sicuro che sia una buona idea: di solito, quando la gente si picchia sul serio, cerca l’efficienza nei movimenti più che le acrobazie. Poi devi tenere conto del punto di vista, di chi descrive il combattimento: se il tale personaggio non è un esperto di arti marziali, per forza sarà vago.

Comunque, supponiamo che il punto di vista sia di qualcuno che se ne intende e abbiano senso per la storia i combattimenti acrobatici. Secondo me devi trovare la maniera di descrivere prima.
Non so, magari mostrando i tizi che si allenano, a quel punto puoi descrivere il colpo della Tartaruga Pigra senza che sembri strano. Oppure quando il protagonista sfodera Salmonella – celebre spada magica – il pubblico sa già com’è fatta perché l’hai descritta prima, quando il nostro eroe l’ha comprata da un rigattiere.
Colpi, armi, armature, qualunque altro particolare tecnico rilevante: trova il modo di spiegare prima al lettore come sono, così nel duello vero e proprio puoi usare termini precisi senza rallentare il ritmo dell’azione.

Infine puoi decidere di infischiartene del lettore generico. Nel senso: a me sembra sempre una buona idea che una storia possa essere apprezzata da tutti e credo che uno scrittore debba avere questo obiettivo, ma nessuno ti vieta di dire: “sto scrivendo il romanzo per gli appassionati di arti marziali, e gli altri se non capiscono problemi loro” – a questo punto puoi essere tecnico e preciso come vuoi senza bisogno di spiegazioni.

@Artemis. Nota tipografica: è attuale convenzione editoriale togliere la ‘d’ quando la vocale che segue è diversa. Cioè: “e andare”, “a uccidere”, “o anche” e non “ed andare”, “ad uccidere”, “od anche”. Ovviamente se la vocale è uguale si mantiene la ‘d’: “ad andare”.

La prima parte, fino a quando la protagonista si affaccia alla finestra, la puoi tagliare. È un po’ confusa e non aggiunge niente alla descrizione.
La descrizione della ragazza è buona, molto precisa la descrizione dei vestiti.

Alcuni punti hanno bisogno di editing, per esempio:
“Mi mordicchio un labbro, incuriosita mio malgrado. Quasi quasi scendo e le chiedo dove li ha presi, quei vestiti, ma forse neanche è italiana e quindi sarebbe inutile sentirmi rispondere in giapponese o in inglese, che capisco abbastanza bene, di andare in un certo negozio di Londra o Osaka.
La parte evidenziata è di troppo, appesantisce inutilmente la frase.

Oppure:
“Finalmente distolgo il mio sguardo dai suoi vestiti e mi accorgo che non c’è nessuno lì attorno, che la guardi stranito.
Perché, incredibilmente, la strada è del tutto deserta.”
Togli gli avverbi e gli aggettivi inutili: “Distolgo lo sguardo dai suoi vestiti e mi accorgo che non c’è nessuno lì attorno che la guardi stranito: la strada è deserta.”

#106 Comment By Il Duca Carraronan On 11 ottobre 2009 @ 21:27

@Artemis
Come sottolineato da Gamberetta, la prima parte è da tagliare.

Ti do lo stesso un paio di suggerimenti sulle prime frasi, anche se sono da togliere e basta, per farti vedere come alleggerire il testo levando le parole inutili.

Qui la frase può essere alleggerita e ricostruita.

Da:
Lui, ossia il Servo, distoglie lo sguardo e credo proprio di sapere il perché: una volta, al ristorante, mi ha rivelato che quando lo faccio sembro un coniglietto e suscito un’incredibile tenerezza.

A:
Il Servo distoglie lo sguardo: una volta, al ristorante, mi ha rivelato che quando arriccio il naso sembro un tenero coniglietto.

Qui si può semplicemente togliere una parola inutile: è ovvio che i record ai videogiochi si fanno giocano.

Da:
Come odio quando si mette a parlare dei suoi record giocando ai videogiochi

A:
Come odio quando si mette a parlare dei suoi record ai videogiochi

Passando alla parte successiva…

Da:
Mi mordicchio un labbro, incuriosita mio malgrado.

A:
Mi mordicchio un labbro, incuriosita.

Evita anche i possessivi inutili, come “suo”, “mia”, ecc… che si trovano spesso nelle (sempre pessime) traduzioni italiane di romanzi inglesi in cui nemmeno un “his” o “her” viene saltato…

Esempio:

Da:
Guardo il suo cappellino e faccio però una smorfia: quello non lo metterei mai, mi sentirei ridicola.

A:
Guardo il cappellino e faccio una smorfia: quello non lo metterei mai, mi sentirei ridicola.

È ovvio che è il “suo” cappellino, non devi specificarlo: nessuno penserà che la protagonista si sia messa di punto in bianco a guardare il cilindro di un ciccione steampunk di passaggio. ^__^
Ho tolto anche il “però” perché era inutile.

Alcune frasi complicate vanno rifatte del tutto, spezzandole in frasi più brevi, come consigliano Isaac Babel e tanti altri autori.

Da:
Mi affaccio meglio alla finestra, rischiando di cadere giù perché, come dice la mamma, la testa è più pesante del corpo, più per me che peso 43 kg che per lei che è sovrappeso, e noto un’ombra nera passare.

A:
Mi sporgo dalla finestra per guardare meglio. La mamma dice sempre che rischio di cadere fuori perché ho la testa più pesante del resto del corpo. Non è colpa mia se peso 43 kg. Lei invece non ha problemi, culona com’è.

(E poi prosegui col coniglio nero, tagliando la riflessione sullo spaventarsi guardandosi allo specchio che fa molto “coniglietto isterico”)

Anche descrivere troppo le azioni non serve: lo sgranare gli occhi denota automaticamente stupore (in particolare qui, date le premesse) e non è necessario dire che si è voltata “di scatto”: aumentare il numero delle parole diluisce l’azione, quindi paradossalmente l’effetto velocizzante del tuo “di scatto” è annullato dall’aumento di parole lette. Effetto annullato, ma parole in eccesso rimaste e, come si dice in narrativa, “quel che non aggiunge sottrae” quindi meglio levarle.

Da:
- Ne dubito, padroncina, perché seduto sugli scalini non c’è nessuno.
Mi ci vuole un po’ per recepire le sue parole.
Poi sgrano gli occhi per lo stupore e mi volto di scatto:
- Io non ho mai detto che era seduta sugli…

A:
- Ne dubito, padroncina, perché seduto sugli scalini non c’è nessuno.
Mi ci vuole un po’ per capire davvero le sue parole.
Sgrano gli occhi e mi volto.
- Io non ho mai detto che era seduta sugli?

Ho messo “?” al posto di “…” per indicare un’altra cosa: per interrompere un discorso va usato “?” per una interruzione brusca (tipo colpo di mazza da baseball che manda KO nel mezzo di una frase) e “…” per una frase che lentamente rallenta e si abbassa di tono sfumando nel silenzio (uno che mentre parla si gira e scopre che nel garage dell’amico non c’è una moto, ma un Golem Tecnomagico guidato da una ragazzina coi capelli verdi in lingerie sexy).

Scegli tu il più adatto in base all’effetto che vuoi comunicare. ^___^

#107 Comment By Artemis On 11 ottobre 2009 @ 21:34

@ Gamberetta

Grazie per i preziosi consigli, specie la nota topografica, questo mi è molto utile.
Per quanto riguarda gli avverbi hai ragione xD tutti quelli che mi conoscono sanno quanto io ami gli avverbi che finiscono in “-mente” e li uso anche nel parlato, a tutto spiano! Quindi devo starci doppiamente (!) attenta, dato che fanno parte del mio modo di esprimermi^^

#108 Comment By Artemis On 11 ottobre 2009 @ 21:40

Oddio, non avevo visto la seconda risposta!
Grazie anche a te, Duca^^
Che dire, farò tesoro dei vostri consigli, anche perché è da tempo che nessuno mi fa critiche serie sul mio modo di scrivere (specie quando si tratta del campo in cui riesco meglio, la narrativa) né ho occasione d’imparare i “trucchi del mestiere” se non desumendoli dai libri che leggo o frequentando il blog di Gamberetta, che mi è molto utile.
Grazie ancora!

#109 Comment By Il Duca Carraronan On 11 ottobre 2009 @ 21:54

@Artemis
Felice di esserti stato utile, damigella. ^__^

Se ti interessano gli articoli dedicati ai manuali di scrittura ne ho scritti un paio contro le persone “che non apprezzano i manuali e le regolette”. Li trovi nella categoria “scrittura” su Baionette Librarie (quello nel link e quello su Isaac Babel).
E se ti piace lo Steampunk (ti piace, vero? ^_^) negli ultimi mesi ho messo qualche articolo a tema e continuerò a metterne in futuro. L’ultimo è su Lord Cockswain, che trovo demente in modo esaltante.

#110 Comment By Mauro On 11 ottobre 2009 @ 22:22

Il Duca Carraronan :

per interrompere un discorso va usato “?” per una interruzione brusca (tipo colpo di mazza da baseball che manda KO nel mezzo di una frase) e “…” per una frase che lentamente rallenta e si abbassa di tono sfumando nel silenzio

L’ho visto usato qualche volta, ma a memoria più (se non solo) nei libri inglesi e nei fumetti americani; in Italiano però non ricordo d’aver mai visto indicato quell’uso. Hai riferimenti?

#111 Comment By Il Duca Carraronan On 12 ottobre 2009 @ 11:31

Nei manuali inglesi l’ho trovato più volte. È un uso piuttosto standardizzato e comune, ma l’applicazione è più limitata rispetto ai “…” e infatti anche quando l’autore distingue l’interruzione brusca da quella sfumata, i “—” rimangono in minoranza.

Un libro che usa spesso l’interruzione brusca con il “—” è Dialogue – Technique and exercises for crafting effective dialogue di Gloria Kempton.

Non mi ricordo se prima spiega l’uso del “—” o se lo considera così assodato nel bagaglio minimo di uno scrittore da usarlo direttamente e aspettarsi che tutti lo conoscano. Cosa che effettivamente, a prima vista, è banalmente ovvio: chiunque di fronte al “—” e al contesto percepisce una interruzione diversa da quella dei “…” usati correttamente.

Due esempi tra le decine possibili presi dal libro:

“Do you think—”
“No, of course not,” Earl quickly said. “I didn’t know anything about it. How could I have been there?”

She took a deep breath. “I want to know what’s going on,” she said as calmly as she could. “I am wanted for murder. The newspaper—”
“No, we are wanted for murder.” He’d put the frozen packages back into the freezer and was now looking in the cupboards. “You know how to make pancakes?”

Nei libri di autori italiani, effettivamente, pure io così sul momento non ricordo l’uso del “—” per le interruzioni. Forse l’ho letto in un manuale italiano, ma non sono sicuro. Boh.

Ricordo invece chiaramente l’uso scorretto dei “…” che è molto comune.

Considera che:
1. il lettore legge le parole in sequenza, una dopo l’altra, quindi non può sapere il Dopo, ma solo il Prima rispetto al Dopo (ovvero l’Ora, ciò che sta leggendo, le esatte parole) e ne consegue che percepisce il tono della battuta mentre la legge e non dopo averla letta (motivo per cui si dice che un buon dialogo esplicita il tono nelle battute e nel contesto, senza dover dichiarare dopo cose come “disse con rabbia” o simili);
2. il lettore di default percepisce i “…” come una interruzioni sfumata perché è l’uso più comune e a cui è stato addestrato ad abituarsi trovandolo regolarmente nei romanzi.

Ne consegue che quando il lettore legge:

Carlo accese la pipa. “Non credo che una ragazzina come te dovrebbe andare a una festa simile…”

Legge una frase che si smorza delicatamente, finendo senza la drasticità del punto, in modo più dolce… più cauto.
Il problema è che questa interpretazione ovvia e naturale dell’ovvio e naturale ruolo dei “…” poi si sconta con una brusca interruzione, allora il lettore viene scosso dall’incoerenza insita nella affermazioni del testo rispetto al tono percepito.

Carlo accese la pipa. “Non credo che una ragazzina come te dovrebbe andare a una festa simile…”
“Ho quindici anni! Sono una donna ormai!” gli urlò contro Licia.

Meglio allora evitare uan inutile confusione ne lettore scegliendo un segno diverso che non confonda il lettore. Se non l’aveva mai visto si abituerà dopo la prima volta. In ogni caso eviterà la confusione.

Carlo accese la pipa. “Non credo che una ragazzina come te dovrebbe andare a una festa simile—”
“Ho quindici anni! Sono una donna ormai!” gli urlò contro Licia.

Comunque, come hai fatto notare, nei libri in italiano tradotti dall’inglese già si trova, qualche volta. Ne consegue che l’uso del trattino non impedisce il funzionamento della lingua italiana quindi chi vuole può usarlo.
Nessuno è obbligato, è solo un perfezionismo ulteriore. Nessuno è obbligato neppure a togliere i “penso”, “vedo” ecc…, sono scelte. E anche questo mi risulta che lo dicano solo pochi manuali in inglese (non tutti si concentrano su dettagli così lievi) e non quelli italiani. ^__^

Del resto, italiano o inglese, quando si parla di come fare narrativa si applica la settima FAQ del box in cima all’articolo.

#112 Comment By Mariano On 12 ottobre 2009 @ 12:30

@Gamberetta

Grazie mille per la valutazione. Seguirò i tuoi consigli. Non avevo mai pensato a questa cosa delle virgolette e dei trattini. In effetti risparmio un mucchio di tempo.
Devo stare più attento nella prima persona e nella scelta dei verbi, è vero.
:D

#113 Comment By Mauro On 12 ottobre 2009 @ 17:29

Il Duca Carronan

Nei manuali inglesi l’ho trovato più volte. È un uso piuttosto standardizzato e comune [...]
Nei libri di autori italiani, effettivamente, pure io così sul momento non ricordo l’uso del “—” per le interruzioni. Forse l’ho letto in un manuale italiano, ma non sono sicuro

Che in Inglese si usi lo so, il dubbio era proprio sull’Italiano, perché le due lingue hanno convenzioni tipografiche diverse (e l’uso del trattino rientrano in queste diversità).

come hai fatto notare, nei libri in italiano tradotti dall’inglese già si trova, qualche volta. Ne consegue che l’uso del trattino non impedisce il funzionamento della lingua italiana quindi chi vuole può usarlo

Con “libri inglesi” intendevo in lingua originale, dove però è naturale che sia usato; personalmente non ricordo d’averlo visto usare in libri tradotti.
Comunque, ognuno è libero di scegliere cosa usare; il dubbio era sul «per interrompere un discorso va usato “?” per una interruzione brusca», visto che non mi risultava essere parte delle convenzioni italiane.
Sull’uso dei puntini, cerco di approfondire stasera.

italiano o inglese, quando si parla di come fare narrativa si applica la settima FAQ del box in cima all’articolo

Concordo fino a un certo punto: che i manuali inglesi non servano solo per scrivere in inglese è vero; questo però non significa che tutto ciò che viene detto in tali manuali sia applicabile a ogni lingua, in quanto ognuna ha convenzioni (tipografiche, ma non solo) diverse. Ci sono tecniche (mostrare, narrare, ecc.), convenzioni tipografiche (trattini, virgolette, ecc.), e altro.

#114 Comment By Il Duca Carraronan On 12 ottobre 2009 @ 18:33

@Mauro

Se avessi ritenuto l’uso della lineetta (questa volta uso il termine corretto: la lineetta non è il trattino) qualcosa di completamente alieno e distruttivo, non l’avrei suggerito.

Non sono completamente sprovveduto, ho studiato anche io testi come “Manuale di Redazione” a cura della Edigeo, altrimenti non mi sarei messo a parlare di queste cose. ^__^

Il ruolo ambivalente dei puntini di sospensione (che, per precisione, non sono tre puntini, ma un solo simbolo a forma di tre puntini, come indicato a pagina 99 del manuale) è, appunto, ambivalente: interruzione brusca e interruzione NON-brusca sono due concetti diversi. Riassumerli in un solo segno non è ingegneristicamente corretto e performante. Gettare confusione involontaria nella mente del lettore non dovrebbe essere l’obbiettivo della trasmissione corretta delle informazioni. ^__^

Lo stesso Manuale dice, in caso di lineette usate diversamente in inglese e tedesco rispetto che nell’italiano, di valutare caso per caso se sostituirle con i due punti o i tre puntini.
Caso per caso.

Per quanto mi riguarda in questo caso la questione è scegliere il male minore.
Forse quell’uso della lineetta non è molto comune in Italia, ma in cambio abbiamo testi dove non si capisce se ci sia una interruzione brusca o una sfumatura dolce fino a quando non abbiamo superato il testo in sé.
Questa è inefficienza.
Ed essere inefficienti non è un buon motivo per evitare l’uso di un segno che non distrugge alla radice la lingua e non stupra l’italiano in modo osceno, anzi, si integra perfettamente. Il lettore interpreta correttamente il testo, anzi lo legge meglio, quindi qual è il problema?

Lo stesso concetto di pagina come unità fissa diventerà probabilmente obsoleto in un mondo di libri digitali e di ipertesti in cui conta la flessibilità del testo e la sua leggibilità su lettori di varie dimensioni.
Come già accade per chi ha un lettore e-ink.

O per qualunque testo sul web non suddiviso in pagine tradizionali.
Ma forse sono troppo Futurista e futurista (in senso tradizionale e nel senso di proiettato verso l’editoria basata sul digitale e sul rapporto diretto produttore-cliente, e non sulle convenzioni predilette al momento dalle aziende di settore).
O magari ho solo troppo a cuore l’efficienza nella trasmissione del significato desiderato e il diritto del lettore di essere servito in modo adeguato. ^__^

E noi navighiamo verso il futuro, non verso il passato. Si parla con sempre maggior convinzione di pareggio Ebook-Carta per il 2018. Lo crede il 50% degli esperti di settore intervenuti a Francoforte.

Per quanto riguarda la cosiddette convenzione tipografiche, tipo quelle dei dialoghi, voglio ricordare che la punteggiatura con l’uso dei caporali nei casi reali (ovvero nei libri) è molto variabile. Me ne ero accorto cercando per un amico il corretto uso della punteggiatura coi caporali (segnalandogli quanto detto da Franco Forte a riguardo) e lui, giustamente, mi ha fatto notare che altri non facevano così.
Effettivamente era vero: non c’era una prassi unica.

Se molti iniziassero a usare la lineetta, questa prima o poi si imporrebbe come convenzione. D’altronde, siamo onesti, se un autore di successo nel futuro mondo dell’editoria digitale indipendente dovesse usarla in uno sfogo di creatività a scapito di convenzioni inefficienti e datate, cosa potrebbe accadergli? Gli sparano? Gli mandano i carabinieri a casa? Lo pugnalano in mezzo alla strada? Gli stuprano il cane? ^__^
I Futuristi hanno fatto di peggio. E nessuno glielo ha impedito, anzi, li hanno pure pubblicati. E non avevano la prospettiva della rivoluzione degli ebook.

Ma forse io ragiono troppo web-oriented e lettore-oriented (o, come direbbero i futuristi, disprezzo i vincoli e le catene del passatismo a favore della comunicazione).

Riguardo la composizione che mette in crisi la pagina classica si può parlare di “Casa di Foglie” (un caso così strambo di romanzo che penso lo conoscano tutti): la sua bizzarria non ha impedito che venisse stampato in Italia. ^__^

E il testo bicolore de “La storia infinita”, rosso e verde? Nessun editore sano di mente accetterebbe un testo simile. Eppure, caso strano, lo hanno stampato. E va stampato così (come fecero Corbaccio e Longanesi) e non tutto in nero come fecero nella versione TEADUE.

Per il resto, concludendo, il DATO DI FATTO è che i tre puntini sono inefficienti e lo sono perché sono AMBIGUI. Questa è la realtà in quanto tale, unica base possibile per un qualsiasi discorso.
La questione di conseguenza si riduce a: è meglio risolvere il problema rischiando di usare una lineetta (cosa che non è vietata in italiano ed è un “caso per caso” accettabile… in più si è già visto che gli editori spesso sul dettaglio più lieve come la punteggiatura coi caporali se ne sbattono già loro e si inventano la “convenzione” libro per libro) o fregarsene del problema e di conseguenza del rispetto mostrato nei confronti del lettore? ^__^

#115 Comment By mariateresa On 12 ottobre 2009 @ 22:07

@ Gamberetta: seguo questa discussione da un po’, mi piace molto^^
Anche se sono andata via dal blog da tempo, mi piace l’idea che hai proposto. Posso partecipare anche io con un raccontino?

#116 Comment By Gamberetta On 12 ottobre 2009 @ 22:34

@Dexter. Non male l’idea di rendere tutti i particolari senzienti. Nel complesso mi è piaciuto, molto surreale, trasmette bene l’atmosfera dell’immagine.
C’è qualche errore qui e là, per esempio puoi tagliare i puntini di sospensione, “in torno” è tutto attaccato, espressioni come “[...] nel chinarsi il cilindro sfidò non poco le leggi della gravità.” hanno senso solo se una persona ha già visto l’immagine. Insomma c’è bisogno di una revisione, ma rimane una buona descrizione della ragazza e della situazione.

@mariateresa.

Posso partecipare anche io con un raccontino?

Certo. Ma lo scopo dell’esercizio è descrivere l’immagine, se vuoi scriverci attorno un racconto va bene, ma è un di più, quello che ci deve essere è una descrizione – più precisa e concreta possibile – della situazione rappresentata nel disegno.

#117 Comment By Dexter On 13 ottobre 2009 @ 12:57

grazie gamberetta, prendo nota e ti faccio i complimenti per il magnifico blog e le superbe recensioni! (anche se ne ho lette solo qualcuna ho potuto constatare che hai una grande lucidità mentale, come per le stroncature della troisi)

#118 Comment By Mauro On 13 ottobre 2009 @ 19:47

Il Duca Carronan

Se avessi ritenuto l’uso della lineetta (questa volta uso il termine corretto: la lineetta non è il trattino) qualcosa di completamente alieno e distruttivo, non l’avrei suggerito.
Non sono completamente sprovveduto

Non ho mai detto né che l’uso della lineetta sia completamente alieno e distruttivo, né che tu reputi una cosa simile, né che tu sia uno sprovveduto; se ti ho dato questa impressione, ti chiederei di indicarmi dove sembrerei implicarlo (chiedo seriamente: gli equivoci possono capitare, e mi interessa capire perché nel caso specifico è nato).
Ho semplicemente esposto un dubbio, dovuto, come detto al fatto che tu hai scritto «per interrompere un discorso va usato “?” per una interruzione brusca» (enfasi mia); “va usato” sembra indicare che sia norma nota e accettata, mentre in Italiano non è così (che io sappia), da cui la mia domanda. Poi hai precisato in “può andare usato”, cosa che mi trova più d’accordo.

Per quanto riguarda le convenzioni tipografiche: anche qui, mai detto che ce ne sia una univoca universalmente accettata, e so benissimo che in diversi casi si oscilla tra diverse forme. Ho solo detto che, per quanto riguarda la mia esperienza, non ricordo di aver mai visto quella convenzione in un testo in Italiano.

“Casa di Foglie” (un caso così strambo di romanzo che penso lo conoscano tutti)

Non conosco, segno in lettura.

cosa che non è vietata in italiano ed è un “caso per caso” accettabile…

Da quanto hai detto, il manuale dice un’altra cosa: “Lo stesso Manuale dice, in caso di lineette usate diversamente in inglese e tedesco rispetto che nell’italiano, di valutare caso per caso se sostituirle con i due punti o i tre puntini”.
Ti riferivi a qualcos’altro?
Nel mentre, sono riuscito a dare una veloce scorsa alla Grammatica di Serianni, che non cita quell’uso della lineetta; spero di avere più tempo a breve per consultare meglio quel testo e altri.

#119 Comment By mariateresa On 13 ottobre 2009 @ 21:45

Il Coniglio Mannaro

Passi pesanti rimbombano per la piazza ricoperta di mele marce. Mi scosto una ciocca azzurra dagli occhi, fissando il ponte deserto. Accarezzo la canna del mio Kalashnikov, più per abitudine che per timore, e attendo immobile. A mano a mano che si avvicinano, i passi mi suonano sempre più familiari. Ecco, lo vedo: è mio fratello. Mi viene in contro, la folta pelliccia nera che lo ricopre piegata dal vento. Le orecchie, costrette da un laccio di cuoio, ricadono flosce sulla faccia pelosa e paffuta. L’istinto di sparargli è forte, ma mi trattengo. Anche se è un Coniglio Mannaro, rimane comunque mio fratello.
Mi si avvicina con un balzo, emettendo un lieve gemito. Non mi ci vuole molto per vedere la coda mozzata e la scia di sangue che lo segue. Gli occhi piccoli e vacui sono umidi di lacrime. Ultimo segno della sua umanità ormai perduta, forse l’unico motivo che mi trattiene dal provare ribrezzo nel guardarlo.
Sospiro e scuoto la testa, raddrizzando il cilindro nero in bilico sulla chioma. :
“Fammi indovinare” dico “hai tentato di nuovo di farti ammazzare, eh?”. Non risponde, non ha neanche il coraggio di guardarmi in faccia. Imbraccio il fucile, carico e premo il grilletto, colpendo la mela marcia accanto ai suoi piedi. Lui fa un salto e grida, cadendo all’indietro. Lo guardo soddisfatta, almeno ora ho la sua attenzione. :
“La cosa che mi fa davvero incazzare, è che non fai mai sul serio” continuo ” se proprio vuoi morire, cazzo fallo come si deve!”. Ho colto nel segno, lo sguardo languido lo conferma. :
“Non voglio lasciarti” farfuglia “sei l’unica cosa che mi è rimasta”
“Dici sempre così” sbotto “ma ogni volta ti ritrovo in lacrime dopo l’ennesima fuga dai Cacciatori. Qual è questa, la trentanovesima?”
“Quarantesima” precisa lui “ma se torni a casa non li provoco più”.
Rido, mentre il braccio scatta verso uno di quei dannati coniglietti mannari rosa che saltella vicino al mio gradino. Lo acchiappo sul dorso e lo stringo, conficcandogli le unghie di 5 cm nella carne. Godo dei suoi squittii di dolore, del modo in cui digrigna gli incisivi affilati, lottando per mordermi. Mio fratello scatta verso di me, mi da una zampata alla mano e prende in bocca il coniglietto grondante di sangue. Sono furiosa, un vulcano che sta per esplodere. :
“CHE CAZZO CREDI DI FARE?!>> gli urlo scattando all’in piedi. Il vento mi solleva la gonnellina di pizzo nero, ma non me ne frega più di tanto. :
“DAMMI SUBITO QUEL CONIGLIO, IDIOTA!”.
Mi fissa, lo sguardo fragile, il coniglietto protetto dalle sue zampe. Mi sono sempre chiesta come faccia ad amare delle bestie che gli hanno rovinato la vita, che lo hanno trasformato in un essere mostruoso. Non dovrei sorprendermi più di tanto, infondo lo conosco. Incapace di odiare e uccidere. Non è fatto per un mondo così bastardo.
Muovo alcuni passi verso di lui, faccio un gran respiro per calmarli, poi con la mano gli gratto la testa. :
“Questo è l’ultimo coniglio della giornata, fratellino” gli sussurro nel modo più gentile possibile “se me lo lasci ammazzare, il mio compito è finito e possiamo tornare a casa”
“No” mi risponde, facendo un saltello all’indietro “non è giusto, Gamberetta. Loro non hanno colpa. Sono così, è la loro natura. Non puoi ammazzarli per questo”
“Bubba, non costringermi a spararti” lo avverto, caricando il Kalashnikov ” l’ultima cosa che voglio è farti del male. Dammi il coniglio e facciamola finita, così torniamo a casa. Non è questo che vuoi?”
“Non ti credo!” mi grida “Lo so che poi torni a cacciare! Ammazzami pure, voglio morire! Sono mesi che provo a farmi ammazzare dai Cacciatori!”
“Merda Bubba, perché devi rendere tutto così difficile?! Molla il coniglio e andiamocene, prima che inizi la Ronda! Vuoi farmi litigare con gli altri, eh? Guarda che poi se decidono di farti fuori veramente, non posso proteggerti!”
“Non me ne importa. Io non mi muovo!”
“Allora dì addio alle zampe!”.
Prendo la mira e punto a terra, giusto per mettergli paura. L’ultima cosa che voglio è fargli del male. Il colpo parte, rapido e preciso. Lo schizzo di sangue mi investe, bruciandomi gli occhi spalancati. Mio fratello giace riverso al suolo, un buco enorme sul petto, i frammenti di cuore e membra galleggiano nella pozza di sangue.
Forse ho sbagliato a mirare, forse si è spostato. Quale che sia la versione vera, nessuna mi consola. Credo che alla fine, come tutti i Cacciatori, sceglierò la seconda. Sì, voglio pensare che sia andata in questo modo, che io non abbia alcuna colpa. Non riesco a disperarmi, sento il vuoto dentro di me, una fredda rassegnazione. Ho ucciso troppo per potermi pentire.

ps: mi è venuto in mente questo. Spero non te la prendi, Gamberetta, se ti ho immaginata così^^. Non ho nulla contro di te, ben inteso!
Anche se sono andata un po’ fuori tema, mi sono divertita lo stesso. Un esercizio molto stimolante che, spero, potrà servirmi anche in futuro

#120 Comment By Gamberetta On 14 ottobre 2009 @ 17:33

@mariateresa. Onestamente non ho capito in che punto hai visto un collegamento con me nel disegno, ma lasciamo stare.
La punteggiatura a tratti è bislacca (hai messo diversi due punti, dopo la fine delle frasi), e c’è qualche refuso evitale (per esempio: “in contro” bisogna scriverlo tutto attaccato, mentre “infondo” bisogna scriverlo staccato).
La scelta di prendere come punto di vista la ragazza in prima persona rende difficile una sua descrizione: alcuni particolari li hai messi, e tutto sommato li hai inseriti naturalmente, altri mancano, ma pazienza, direi che ci può stare.
Bene il Coniglio nero e i coniglietti di stoffa. Alcuni passaggi non rendono benissimo (per esempio: perché qualcuno dovrebbe “carezzare” un fucile per abitudine o timore? Al massimo avrà l’abitudine di imbracciarlo al minimo pericolo), ma nel complesso è una buona descrizione.

#121 Comment By mariateresa On 14 ottobre 2009 @ 21:07

Non so perché mi sei venuta in mente, credo per due motivi. Uno è collegato ai coniglietti (Grumo in particolare^^), un’ altro alla tua indole “battagliera” quando scrivi articoli o parli di libri che non ti sono piaciuti. Niente di personale, ovvio.
Avrei voluto descrivere di più la ragazza, ma come hai detto tu il punto di vista mi ha molto vincolata. L’ho scelto perché di solito uso la terza persona limitata, alcune volte la focalizzazione interna, ma quella in prima persona non mi ha mai attirato. Invece nell’ultimo periodo ho iniziato un racconto breve e ho voluto sperimentare il narratore in prima persona. Lo trovo più piacevole da usare rispetto al narratore interno o onnisciente, anche se richiede una riduzione all’essenziale delle scene e specie delle descrizioni (almeno così mi è sembrato).

#122 Comment By Alessandra On 15 ottobre 2009 @ 09:01

Gamberetta, il lavoro che fai qui è prezioso e degno del massimo rispetto.
Compitino:

Influenza coniglia

In giarrettiere e bustino da gothic lolita, la fighetta dai capelli verdi se ne stava seduta davanti al portone, con un fucile automatico in mano. Accanto a lei, un paio di conigli rosa spiaccicati colavano sui gradini come orologi di Dalì. L’ombra d’un coniglio antropomorfo scivolava in fondo alla strada.
Leo chiuse gli occhi.
”Non esistono.”
Con mani tremanti si frugò nelle tasche, estrasse un paio di pillole, le buttò giù. Strinse i pugni. Aspettò, respirando in fretta, sussurrando il suo mantra.
”Non esistono. Sono solo una delle allucinazioni indotte dal virus. Non. Esistono.”
Riaprì gli occhi.
Giarrettiere e conigli erano spariti.
Il fucile c’era ancora. La ragazza glielo puntava alla testa.
.

#123 Comment By Alessandra On 16 ottobre 2009 @ 00:18

Edit: se il riferimento a Persistence Of Memory suonasse distraente, ”come orologi di Dalì” può essere sostituito con ”come sottilette”. Si tratta di un quadro molto famoso, ma non tutti sono tenuti a conoscerlo.
Ciao, grazie a te, e complimenti agli autori di tutti gli altri ”compiti”. Avete davvero una fantasia perversa – lo dico come complimento ;)

#124 Comment By Carlotta On 19 ottobre 2009 @ 22:46

Mito: Leggere i manuali non serve a niente, perché tanto il tuo romanzo non lo pubblicano lo stesso.
È vero.

Ma no che non è vero. Se il tuo romanzo è buono è nell’interesse della casa editrice pubblicarti. Senza contare che è pieno di case editrici (non a pagamento) che pubblicano esordienti. Per esperienza personale conosco almeno una persona che non aveva santi in paradiso e che ha mandato il suo romanzo ad una casa editrice nota che l’ha pubblicato. E conosco molti esordienti che hanno pubblicato perché erano semplicemente bravi. Ma di gente che pensa di essere un genio ce n’è troppa. Più o meno il 99% di quello che arriva in una casa editrice.

#125 Comment By Alessandro75 On 22 ottobre 2009 @ 11:41

Ciao, non sono un abituale frequentatore di Gamberi Fantasy, ma ho letto con interesse questo articolo. Premesso che sono uno “scrittore in erba” come tanti, non tra i più ignoranti (spero) ma sicuramente non tra i più acculturati, e premesso che trovo sacrosante le argomentazioni che hai portato, posso fare una considerazione che mi è sorta spontanea leggendo i passi che riporti di “Buio”? Quelle “brutte descrizioni” assumono un senso se parti dal presupposto che il lettore si è sicuramente già sciroppato molte decine di b-movie dell’orrore pervasi (nel primo tempo) da atmosfere ovattate, quasi prive di suoni; film in cui i protagonisti si svegliano spesso, matidi di sudore, da incubi in cui stavano annegando; film ambientati in college americani in cui corridoi del primo piano hanno ampie vetrate attraverso le quali si può essere osservati dai ragazzi che si trovano ancora in cortile prima del suono della campanella; film in cui gli ospedali sono sempre grandi, vuoti, diroccati, bianchi, inquadrati in modo da trasmettere un senso di sterilità e oppressione. Non dico questo perché penso che ciò giustifichi un certo modo di scrivere – affatto -, dico solo che a me è venuto naturalissimo fare certi accostamenti. Del resto, guarda la copertina del libro: non ti introduce già di suo in un’atmosfera del genere?

#126 Comment By francesca On 22 ottobre 2009 @ 13:45

Infatti, Alessandro, concordo: anch’io, non trovando ciccia nelle descrizioni citate, ho fatto ricorso a delle immagini che già avevo in mente prese da film, serial ecc. E’ proprio questo che è grave: la descrizione per funzionare deve sfruttare il cervello del lettore, contando che vada a pescare in un certo immaginario creato da altri. Si tratta di un’immaginazione di seconda, o terza mano! Mentre è lo scrittore che deve creare un mondo quando scrive un romanzo, non vale usare il mondo già creato da altri: se no in che consiste il suo lavoro?

#127 Comment By Evangeline On 22 ottobre 2009 @ 17:35

E le fanfiction, allora? Non sono un’immaginazione di seconda o terza mano? Premetto che non ho nulla contro le fanfiction, anzi, sono favorevole all’idea di prendere spunto da mondi e/o personaggi creati da altri per costruirci su una storia, ma se non si potesse attingere a questi universi allora le fanfiction, e di conseguenza libri buoni come Esbat, non potrebbero esistere… Quindi non capisco perché una descrizione di un libro non dovrebbe richiamare immagini più familiari, in questo caso immagini di film. Certo, il richiamo ha un senso solo se la descrizione è fatta bene… Chiaro che non è questo il caso, il mio è un discorso generico.

#128 Comment By Clio On 22 ottobre 2009 @ 19:34

A Evangeline
Se il libro dicesse a chiare lettere “Ispirato a *titolo di film*” nonci sarebbero problemi. Non è il caso, quesa non è una fanfiction, non è rivolta ai soli fan, ma a tutti.
Io di b-movie horror non ne guardo. Per me quelle righe non vogliono dire nulla.
Esbat invece è stato apprezzato anche da gente che Inuyasha non lo segue. Ecco la differenza tra un buon libro e la fuffa.
N.B. Non ho letto “Buio”. Magari la trama è buona, non ho idea. La descrizione citata però è fuffa.

#129 Comment By Evangeline On 22 ottobre 2009 @ 20:58

@Clio. Il pregio di Esbat, a mio parere, è quello che può essere letto e apprezzato anche da persone che della storia di Inuyasha non sanno assolutamente nulla, come hai detto anche tu mi pare, quindi anche se è nato come fanfiction alla fine non si rivolge ai soli fan ma ad un pubblico più vasto. Chiaro che l’autrice precisa da dove viene l’ispirazione, mi sembra più che giusto. Di fatto però ha come base un’opera non sua, e io conoscendo seppur superficialmente il manga quando si parlava di Hyoutsuki vedevo il personaggio della Takahashi, non quello della Manni. Che poi la Manni riesca a far comprendere con efficacia il suo carattere e quello degli altri personaggi, quella è abilità sua, tanto di cappello. Però di fatto la base è un’altra opera, ed è riuscita a pubblicare un libro per tutti. E di fatto all’inizio era solo una fanfiction. Che la base sia un’altra opera a me personalmente non procura alcun fastidio. Per la descrizione in questione concordo nel dire che sia di scarsa qualità, quindi sgradevole da leggere, ma se fosse stata migliore e mi avesse richiamato alla mente una scena già vista in un film o un personaggio di un’altra storia non avrei avuto alcun problema. Anche perché non è detto che qualcun altro leggendola avrebbe fatto la mia stessa associazione, dopotutto certe sensazioni sono soggettive. :)

#130 Comment By francesca On 22 ottobre 2009 @ 23:56

A proposito di scene o descrizioni che ricordano film o serial, io intendevo non che una scena di un romanzo ne richiami specificamente e consapevolmente una di un film, insomma una citazione, ma: la protagonista incontra un alieno e chi scrive non si sforza di spiegarti esattamente com’è fatto, “tanto oggi come oggi chi non sa com’è fatto un alieno”? (Come scrisse qucluno in un post di un’atra discussione).
Per le fanfiction, il discorso è diverso perchè è proprio quello il gioco, di inseririsi con coerenza in un mondo già esistente.( Ma in effetti non mi attirano per niente…)

#131 Comment By Ste On 23 ottobre 2009 @ 09:42

@Evangeline.

Hai sia torto che ragione (o viceversa :O) )
Hai ragione in quanto un romanzo che si rifà a mondi già creati da altri può comunque essere interessante anche se però non molto originale.
Hai torto in qaunto se ci si dovesse basare solo su quello la narrativa è destinata a sparire; inoltre chi ha creato quei mondi, personaggi e luoghi ha usato la sua immaginazione se si fossero basati su cose già scritte forse saremmo ancora al cantico delle creature nella sua miliardesima versione.

#132 Comment By Evangeline On 23 ottobre 2009 @ 15:04

@francesca. Per i film, anch’io intendevo un riferimento a scene non specifiche, ma credo di essermi espressa male. Chiedo scusa.
@Ste. Infatti non ho scritto che tutta la narrativa deve essere basata su opere precedenti, ho detto che nel caso non mi infastidisce così tanto. :) Ho portato ad esempio le fanfiction ed Esbat solo per dimostrare che riferimenti più o meno diretti ad altre opere non sono sempre spiacevoli. ^^

#133 Comment By Soul85 On 23 ottobre 2009 @ 15:11

Ciao.

Vorrei aggiungere un manuale di scrittura: Manuale di Scrittura di Domenico Fiormonte e Ferdinanda Cremascoli, ed. Bollati Borlinghieri. Per il resto post stupendo, la parte delle descrizioni è all’altezza di un trattato sulla stilistica. Del resto la scrittura non è un dono del cielo, ma un processo dinamico, fatto di fasi e momenti ben precisi.

#134 Comment By Hill On 24 ottobre 2009 @ 16:55

Bel post, molto interessante. Non sono un gran patito di fantasy ma mi piace moltissimo il modo in cui Gamberetta affronta l’argomento “scrittura” in questo blog.

Venendo al motivo che mi ha spinto ad inserire questo commento…
Volevo solo segnalare, per chi è interessato all’argomento “punto di vista”, il libro “Complicità” di Iain Banks. Ho solo iniziato a leggerlo, quindi non posso dare un giudizio sulla trama o altro, ma il capitolo iniziale, in seconda persona (seconda, non prima o terza), con cui Banks getta il lettore in maniera originale nel turbine degli avvenimenti, costringendolo ad identificarsi con il misterioso personaggio incappucciato che dà inizio alla storia, ritengo sia una trovata davvero geniale e ben riuscita. Un esempio da cui trarre ispirazione nel caso si volesse utilizzare un punto di vista insolito e poco utilizzato, che, però, se usato bene, riesce coinvolgere il lettore in maniera totale.
Probabilmente esisteranno altri libri che ricorrono a questo stratagemma ma il libro di Banks, fin’ora, è stato l’unico nel quale mi sono imbattuto. Ne consiglio la lettura a tutti… anche solo delle prime pagine, giusto per farsi un’idea di cosa sto parlando. Ne vale la pena.

#135 Comment By Dago Red On 24 ottobre 2009 @ 19:31

Scusate ma questo passaggio

scaraventato addosso, poi aveva chiuso la tracolla e si era avviata.
Non a scuola. Non al parco. In un viottolo dietro al porto, tra squallidi edifici neofascisti, con altre undici ragazze seminude. Su un set fotografico.

mi ha fatto cappottare XD
Giuro, sono ore che tento di immaginare come possa essere un edificio neofascista.
Magari pareti nere e colonne borchiate.

In generale confermo il non originalissimo parere che questo sia un ottimo articolo.
Se avrò tempo proverò a buttar giù due righe anch’io ^^

#136 Comment By Tj On 25 ottobre 2009 @ 18:22

Visto che l’immagine mi ha ispirato ho provato anch’io a fare il compitino XDD

Non siamo più al sicuro °AAA°

Mi accosto appena alla finestra, in modo che non mi scorgano, guardo da uno spiraglio della tenda. Loro sono sempre lì, gli stupidi seguaci del Fronte di Liberazione dei Conigli. Ormai hanno conquistato tutta la città, non posso uscire di casa senza che uno di loro mi punti il fucile e mi costringa a indossare quella ridicola tuta con le orecchie giganti, come quel poveraccio che passeggia là in fondo, nei pressi della galleria.
Una di loro è ferma sugli scalini sotto casa mia. Capelli di un colore improponibile, verde mare, un cappellino infiocchettato in testa, vestita come una lolita, piena di pizzi e laccetti, sembrerebbe una fanciulla innocua se non fosse per il fucile che tiene in mano con noncuranza. Le addestrano fin da piccole e sono infallibili e letali. Quello è un G3A2, con l’immancabile coniglietto impresso sul calcio, una volta amavo le armi, prima che arrivassero loro.
La sua borsa da scolaretta è gettata malamente sui gradini e ne escono mele e conigli rosa, conigli rosa e mele, mio Dio ho la nausea… I muri sono tappezzati di slogan del FLC, in ogni angolo loro ci controllano, non siamo più al sicuro, dovremo soccombere…

#137 Comment By Gamberetta On 25 ottobre 2009 @ 22:17

@Dago Red. Penso che gli edifici nel disegno possano richiamare un’architettura fascista.

@Tj. Buona descrizione, i vari elementi presenti nel disegno sono tutti presi in considerazione. Forse si poteva spendere qualche parola in più, ma già così funziona.
La prima persona è usata bene, anche se in alcuni punti pare che il narratore si rivolga un po’ troppo al lettore.
Esempio:
“La sua borsa da scolaretta è gettata malamente sui gradini e ne escono mele e conigli rosa, conigli rosa e mele, mio Dio ho la nausea.” (qui non è male, sembra il naturale corso dei pensieri del narratore)
“Le addestrano fin da piccole e sono infallibili e letali.” (qui invece è un po’ forzato – forse il narratore non avrebbe questo pensiero se non si stesse rivolgendo a un ipotetico lettore).
Comunque queste sono sfumature.

#138 Comment By Diarista incostante On 26 ottobre 2009 @ 11:28

Scusate ma questo passaggio

scaraventato addosso, poi aveva chiuso la tracolla e si era avviata.
Non a scuola. Non al parco. In un viottolo dietro al porto, tra squallidi edifici neofascisti, con altre undici ragazze seminude. Su un set fotografico.

mi ha fatto cappottare XD
Giuro, sono ore che tento di immaginare come possa essere un edificio neofascista.

Sì, forse potevo scrivere “edifici fascisti” e farla finita lì. Però suonava male e quindi l’ho cambiato.

#139 Comment By Dago Red On 28 ottobre 2009 @ 23:02

Gamberetta, ti giuro, non volevo.
Era da un po’ che non provavo a scrivere a qualcosa, ed evidentemente devo aver “spurgato” tutta la roba repressa.
Mi sono seduto a tavolino, ho guardato l’immagine, e mi son messo a buttar giù 5 righe.
Solo che poi la storia mi ha preso, e le 5 righe sono diventate 10, le 10 righe 20, e così via.
Potere della narrativa, suppongo.
Oh, sia chiaro, non obbligo nessuno a leggere.
Anzi, in tutta onestà, vi diffido dal farlo.

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#140 Comment By Dago Red On 28 ottobre 2009 @ 23:04

II

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#141 Comment By Dago Red On 28 ottobre 2009 @ 23:05

III

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#142 Comment By Anacarnil On 31 ottobre 2009 @ 19:25

@Diarista incostante
Bello il tuo POV. Era quello che pensavo di scrivere io. Anche se ci avrei messo più pepe e di cyberpunk.

#143 Comment By Anacarnil On 31 ottobre 2009 @ 21:16

Demonio pellegrino scrisse:

Per quanto mi riguarda, gia’ avevo molta poca voglia di comprarlo dopo aver visto recensioni entusiastiche apparire PRIMA dell’uscita ufficiale del libro (spiegazione data: pare che i libri nei supermercati si trovino prima dell’uscita ufficiale in libreria), ma dopo le prime dieci pagine sono sicuro che non lo comprero’.

Non trovo strano che le recensioni appaiano prima dell’uscita del libro: i giornalisti non vanno mica a comprarsi il libro di propria sponte. Sono le case editrici a spedirne copie ai giornali per avere una recensione, e ovviamente, pubblicità.

@Francesca: mi piace la descrizione dei coniglietti “spiaccicati come orologi di Dalì”.

@Carroronan scrisse

Riassumerli in un solo segno non è ingegneristicamente corretto e performante.

In effetti è dura darti torto, nonostante capisca le critiche di Mauro. Sembra esserci un “vuoto normativo” nelle regole tipografiche italiane. Ripeto: “sembra”.

Lo stesso concetto di pagina come unità fissa diventerà probabilmente obsoleto in un mondo di libri digitali e di ipertesti in cui conta la flessibilità del testo e la sua leggibilità su lettori di varie dimensioni.
Come già accade per chi ha un lettore e-ink.

Beh, non è detto. Per me l’ebook ideale è sempre impaginato, in un formato di stampa come il PDF. Non riesco a vedere una figura professionale come quello del grafico impaginatore sparire dall’editoria. Dico questo, nonostante sia un grosso apprezzatore del formato epub.

E noi navighiamo verso il futuro, non verso il passato. Si parla con sempre maggior convinzione di pareggio Ebook-Carta per il 2018. Lo crede il 50% degli esperti di settore intervenuti a Francoforte.

Ok, sto andando un po’ OT, ma volevo solo dire che per me l’Italia ci arriverà moooolto dopo.

E il testo bicolore de “La storia infinita”, rosso e verde? Nessun editore sano di mente accetterebbe un testo simile. Eppure, caso strano, lo hanno stampato. E va stampato così (come fecero Corbaccio e Longanesi) e non tutto in nero come fecero nella versione TEADUE.

Immagino sia perché Teadue pubblica principalmente le versioni economiche del Gruppo Longanesi, cui fanno parte gli altri due marchi editoriali che hai citato.

#144 Comment By Diarista incostante On 2 novembre 2009 @ 10:01

Bello il tuo POV. Era quello che pensavo di scrivere io. Anche se ci avrei messo più pepe e di cyberpunk.

Grazie :)
In realtà il pezzo l’ho scritto di volata ed è venuto com’è venuto (non avevo granchè da fare qui in ufficio quel giorno). Ci ho messo più tempo a rivederlo nella forma che a buttarlo giù nei contenuti, quindi è certamente vero che si poteva fare meglio.
Il cyberpunk ci sarebbe stato bene, concordo. In effetti tendo molto a focalizzarmi sui personaggi e così rischio di essere sempre poco “fantasy” nella storia e nello scenario. Sul più pepe (che io ho interpretato con più riferimenti sessuali, ma potrei sbagliare, correggimi nel caso) devo dire che per esperienza personale non è il “più sesso” che rende interessante un racconto. Può essere solleticante leggere delle acrobazie da letto di un personaggio, ma la storia in sè cosa ci guadagna? Il sesso è sesso, come lo giri sempre della stessa cosa si tratta, mentre la trama di solito avanza facendo fare altro ai protagonisti.

#145 Comment By Anacarnil On 2 novembre 2009 @ 23:15

@Diarista incostante

No, non nel senso di inserire scene di sesso. Ma nel senso che il coniglio a me pare un po’ pudico rispetto a un amante geloso :)

#146 Comment By Lorenzo On 18 novembre 2009 @ 02:15

Compitino fatto maestra

- – - – -

Si appiattì al muro di scatto, ansante. Il cuore gli batteva in gola come premesse per uscire.
” tipregotipregotipregotiprego ”
Ogni tanto riapriva gli occhi per sbirciare al di là dell’angolo.
” non m’ha visto vero? non m’ha visto?! ”
Serrò le palpebre di nuovo, come se il non vedere potesse nasconderlo alla vista degli altri.
” shhh! zitto! zitto! ci farai scoprire! ” ripeteva angosciato al cuore battente.
- Zitto! -
Si tappò fulmineo la bocca con entrambe le mani, gli occhi sbarrati scattavano a destra e a sinistra.
” non mi ha sentito, vero? non mi ha sentito? ”
Sbirciò di nuovo.
” guardaaaaaaa ”
” se ne sta lì accucciata come se nulla fosse, sembra innocua ”
Gli occhi sbarrati, le lunghe orecchie ballonzolavano ad ogni nevrotico scatto della testa.
Se la ragazza umana in vestiti succinti poteva sembrare innocente, il terribile fucile che teneva appoggiato al fianco gli faceva rizzare tutti i peli della codina.
-toc toc toc- una mela ruzzolò fuori dalla sacca appoggiata sui gradini, la ragazza si voltò.
Si appiattì di nuovo oltre l’angolo.
” non devo aver paura, non devo aver paura, non devo aver paura ”
Non poteva rimanere lì in eterno.
” cosa facciamo? cosa facciamo? ”
” potremmo ucciderla ”
” nooooo tu sei pazzo! ”
” uccidiamola! questa è la NOSTRA città ”
” ma lei ha il fucile ”
” la coglieremo di sorpresa… e con un morso al collo… ZAC! ”
” sìsì, di sorpresa ”
” siamo silenziosissimi noi ”
” sìsì, ombre silenziose ”

Il coniglio dalle sembianze umane scivolò con cautela fuori dal rifugio. Salì sopra al muretto e accucciato dietro alla righiera avanzò, rimanendo al di fuori dell’arco di vista. Lo sguardo fisso sulla giovane che seduta si allacciava un guanto coi denti.

” ci siaaaaaaaaaaaaamoooooooo ”
” ancora un poco! ”
- gulp -
Il terrore lo attanagliò nuovamente, improvviso, incontrollabile.
Riversi sui gradini piccoli conigli rosa giacevano privi di vita. una testolina di coniglietto morto faceva capolino dalla borsa piena di mele. gli occhi vitrei.
le ginocchia presero a tremare, sbattendo fra di loro.
- gulp -
- gulp gulp -
Il singhiozzo divenuto irrefrenabile.
” cosa facciamo?! cosa facciamo?! ”

Ma era troppo tardi: la giovane ragazza si era voltata e lo inchiodava sul posto coi suoi implacabili occhi rossi.

- – - – -

Non è granchè ma mi son divertito.
Solo non so, a volte mi pare che faccio un po’ troppa confusione.
Vabbè, buona notte.
E grazie della lettura. cercherò i libri indicati.

#147 Comment By Simone7 On 18 novembre 2009 @ 04:56

Ohddea, ho provato anch’io a scrivere qualcosa ma non c’entra niente col disegno. O almeno, non è più ciò che doveva essere in principio, una semplice descrizione di quella scenetta delirante. Però ormai che l’ho scritta che ne faccio? Almeno la soddisfazione di farmi mettere 2 per esser andato fuori tema. Oltretutto è pure incompleta, ma se continuo va a finire che ne scrivo un romanzo ^^; E (molto) probabilmente non ne vale la pena.

Oggi è un giorno come tanti, sonnecchio beatamente nella mia cassa di legno posta ai margini della strada. Tenere le gambe piegate per diverse ore sta iniziando ad essere più sopportabile, ormai riesco a dormire nelle posizioni più strampalate.
Sono trascorsi già tre mesi da quando ho lasciato il mio maniero per soddisfare quell’opprimente bisogno di dare una svolta alla mia vita. Avevo tutto: una villa da far invidia ai più importanti petrolieri, una moglie, un’amante, due amanti, soldi, fama e potere.
Ma non era abbastanza.
Ero annoiato, il lusso e la lussuria riuscivano soltanto a distrarmi dal mio reale desiderio. Peccato che non sapevo quale fosse.
Un giorno il mio maggiordomo, Catullo, mi avvisò dell’arrivo di un ospite. In genere non gradivo ricevere estranei in casa, ma mancavano ancora due ore al prossimo appuntamento e non avevo granché voglia di fare sesso. Avrei potuto giocare a quel nuovo jrpg dal nome impronunciabile, ma in quel momento reputai più divertente incontrare la misteriosa persona che attendeva con pazienza dietro il cancello.
Lo vidi sbucare dalla porta dello studio, si scusò per il disturbo e face qualche passo verso di me. Gli feci cenno di sedersi dall’altra parte della mia scrivania.
In realtà non ero granché presentabile, accappatoio e pantofole, nient’altro indosso. Mi piaceva stare comodo, del resto quello era il mio castello. Ero io a dettar le regole.
La persona che avevo di fronte era invece molto elegante, portava uno smoking nero e dei pantaloni bianchi, sembrava fuggita da un televisore d’altri tempi. Continuava a sorridere dal momento che era arrivato, uno strano sorriso che mi metteva paura. No, non era solo il sorriso, erano anche quelle enormi orecchie bianche a sconvolgermi.
« Cosplay? » chiesi, per rompere il ghiaccio.
« No, sono vere » rispose lui, mantenendo sotto il naso una spettrale mezzaluna. « Vuoi giocare? » aggiunse.
Capii di non essermi sbagliato. Avevo fatto bene a far entrare il signor coniglio, mi stavo realmente divertendo. Quello strano tizio avrebbe potuto anche uccidermi, ma non m’importava. Non avevo nessuna intenzione di chiamare la sicurezza, ero troppo eccitato.
« A cosa vuoi giocare? ».
Rivolsi la domanda subito dopo aver notato una valigetta appesa alla sua mano sinistra. Mi chiesi cosa contenesse. “Il gioco? Perché prima non l’avevo notata? Ma… non mi pare che avesse qualcosa in mano quando è entrato”.
« Pari o dispari? ».
Puntava quegli inquietanti occhi neri contro i miei, attendendo avidamente una risposta. Non riuscii a capire se il gioco fosse già iniziato, ma non volevo fare domande. Ero sedotto da quell’atmosfera surreale, mi sentivo il protagonista di una fiaba.
« Pari. »
Sin da quando ero bambino rispondevo sempre così. Il motivo era semplice: ero convinto che chi scommettesse sul pari avesse più possibilità di vittoria, perché la somma di due numeri pari dà un numero pari. Ma anche la somma di due numeri dispari è un numero pari. In realtà il corso di probabilità e statistica aveva infranto i miei sogni di bambino, la probabilità rimaneva invariata, la mia teoria si fondava su ipotesi totalmente campate per aria.
Tuttavia non mi balenò nemmeno per un istante l’idea di scegliere dispari. Avevo sempre vinto a quel gioco, utilizzando quella tecnica che il buon senso accostava ad una mera superstizione.
« Dispari » rispose lui.
E continuava a sorridere. Che c’aveva da essere così contento? O forse era semplicemente sicuro di sé? Cos’è, anche lui conosceva una tecnica segreta persino migliore della mia? Impossibile.
Chiusi il pugno e alzai il gomito, se Catullo fosse entrato in quel momento avrebbe pensato ad una mia reazione violenta o qualcosa di simile. Ma Catullo non entrò, ed io completai il movimento distendendo due dita a forma di V.
Il mio avversario imitava in modo speculare i miei gesti, agitando il braccio libero. L’altro sembrava proteggere la valigetta, che aveva poggiato sulle ginocchia. L’unica cosa che differenziò i nostri movimenti fu la forma della sua mano. Non aveva scelto una V, ma una più irriverente I.
« Ho vinto io. »
Soffiai col naso e mi diedi dell’inetto. Ecco cosa succede a seguire le superstizioni.
« Bene, e adesso? ». Pensavo che quello fosse solo l’incipit, un giochino per scegliere le priorità dei turni. Ma non era così.
« Adesso io prenderò possesso di tutte le tue proprietà, perché questo è il premio. »
Dicesi faccia da poker quell’espressione impassibile che i giocatori professionisti hanno stampata in viso per non far trasparire alcuna emozione. Non so se la sua si poteva chiamare faccia da poker, continuava ad esibire con naturalezza quel sorriso da film dell’orrore. Potremmo chiamarla faccia da pari e dispari.
« Mi sembra giusto, in fondo ho iniziato a giocare senza conoscere le regole. Hai vinto tu, ti faccio i miei complimenti e ti affido le mie cose ».
Lo dissi quasi divertito, ero consapevole di fare qualcosa di stupido. No, era un qualcosa che superava la semplice stupidità, rasentava la più genuina pazzia. Ma – ripeto – mi stavo divertendo, avevo l’adrenalina alle stelle, e avrei pagato qualunque prezzo per non spezzare la magia del momento.
Mi alzai dalla scrivania, slacciai l’accappatoio, sfilai le pantofole e consegnai il tutto al signor coniglio. Completamente nudo mi avviai verso l’uscita.
« Aspetta! » mi intimò. « Provo pena per te, ti darò ciò che possedevo fino a qualche momento fa. Non è molto, ma sempre meglio che niente. Devi essermi riconoscente. »
In quel momento mi scappò un sorriso. Cercai di nasconderlo con la mano, ma l’espressione dei miei occhi mi avrebbe comunque tradito.
« Ti sono debitore, allora. E dimmi, cosa riceverò di bello? »
Posò accappatoio e pantofole sulla scrivania, quindi iniziò a spogliarsi. Era evidente che stava per darmi i suoi vestiti, meglio di quanto m’aspettassi. Almeno erano abiti eleganti.
Sbottonò la giacca e sfilò le braccia dalle maniche. Divertente, stavo per vederlo come mamma coniglia l’aveva fatto. La mia mente perversa iniziò a vagare da un pensiero all’altro, chiedendosi che dimensioni poteva vantare un animale antropomorfo e se sotto la camicia avesse del pelo bianco come quello sulle sue lunghe orecchie.
Se tutto ciò fosse successo dieci anni prima, niente di tutto questo sarebbe accaduto. Non avrei mai accettato di parlare con una “persona” così, il solo aspetto mi avrebbe terrorizzato. Ma quelli erano altri tempi, era molto più facile che mi riuscissi ad interessare a qualcosa di normale.
Le donne, soprattutto, mi affascinavano, mi rapivano, le adoravo. Per anni ho viaggiato col solo scopo di conoscerne di nuove. Belle, brutte, bionde, more, simpatiche, noiose, mi divertivo a parlar con loro e a fare l’amore. Sembrava che fosse la ragione della mia esistenza, credevo che così facendo avrei trovato prima o poi la mia metà mancante. Anche a costo di viaggiare per tutta la vita.
Ed eccomi lì, diec’anni dopo, a far pensieri osceni su un coniglio dimenticato per troppo tempo in incubatrice. Magari proprio perché m’ero reso conto che le donne non m’interessavano più, che non poteva esistere una mia metà femminile, che poteva essere interessante cambiare inclinazioni sessuali. Magari erano invece gli esseri umani ad avermi stancato e quindi, chissà, un coniglio pazzo e pure maschio poteva risvegliare qualcosa sopito da tempo.
Quasi mi vergogno ad aver pensato queste cose, ma in una situazione così paradossale anche mettere in dubbio i gusti di una vita mi sembrava coerente. Ecco, sentivo quasi la necessità di non tradire la coerenza di una situazione totalmente incoerente alla realtà, volevo abbandonarmi al mio lato irrazionale.
Intanto il coniglio era rimasto in boxer e camicia. Sbottonò quest’ultima e rimasi per l’ennesima volta, in quella grigia giornata, sbalordito.
Il coniglio aveva una peluria bianca che ricopriva tutto il corpo, ma non era quello il motivo del mio stupore. Il coniglio aveva il seno. Il coniglio non era un coniglio, era una coniglia vestita da coniglio. Chissà perché, quella cosa mi lasciò totalmente spiazzato. Regalare tutti i miei beni per un motivo idiota mi sembrava una cosa abbastanza normale, ma scoprire che il signor coniglio aveva le tette mi aveva quasi traumatizzato. Probabilmente anche il miglior psicologo, dopo aver ascoltato ragionamenti del genere avrebbe gettato la spugna, per un caso senza speranza si possono fare le condoglianze o dire che va tutto bene.
« Non arrossire. »
Non capivo se me lo stava ordinando o se lo diceva con imbarazzo, ad ogni modo mi sembrò opportuno voltarmi per smettere di fissarla. Chiusi gli occhi pensando a quanto fossi stato maleducato a dondolarlo davanti ad una signora. Ero consapevole del fatto che fosse un coniglio, ma parlava. Non era la stessa cosa di farsi vedere da un coniglio normale. In realtà non ero riuscito nemmeno a capire cosa fosse, continuava soltanto a riecheggiarmi la parola furry.
Trascorsi due minuti la coniglietta mi disse che potevo girarmi. Aveva indossato il mio accappatoio e le mie pantofole, abbigliamento che le donava parecchio. Un’immagine che ancora oggi ho ben fissa nella memoria.
« Qui-quah… »
Non potevo crederci. Stavo balbettando. Non avevo mai balbettato di fronte ad una ragazza, e ne avevo conosciute migliaia, forse milioni. Certo, questa aveva sicuramente qualcosa di speciale. Ma significava che mi bastava vedere una coniglietta in desabiliè per balbettare?
« Quindi posso prendere i tuoi vestiti? »
Ero riuscito ad articolare la frase. Bel passo avanti.
« Uh-uh. »
Mi avvicinai a lei coprendomi istintivamente l’uccello della felicità. Forse non ce n’era bisogno, lei non c’avrebbe badato più di tanto. Ma iniziavo a vergognarmi, non vedevo l’ora d’infilarmi quei vestiti.
« Oltre a questi abiti possiedo altre due cose. Una è questa valigia, il cui contenuto è ciò che mi è più prezioso. L’altra è la mia casa, un monolocale nei pressi di Ponte Attilio. »
Intanto io ero alle prese con la camicia. Passi i pantaloni che m’arrivavano poco sotto le ginocchia, ma quella camicia ero convinto che non sarei mai riuscito ad indossarla. Alla fine mi rassegnai a non abbottonarla, ritrovandomi vestito di tutto punto ma con parte delle gambe e del busto scoperti.
« Se per te è così prezioso, perché dovresti regalarmelo? I vestiti e la casa andranno benone, non preoccuparti. » dissi, mostrandomi incredibilmente gentile verso la persona che mi stava rubando la vita.
« Non importa, a me non serve più. Per te invece potrebbe essere vitale. »

#148 Comment By Gamberetta On 18 novembre 2009 @ 16:44

@Lorenzo. Tutto sommato il punto di vista è gestito bene, però la descrizione vera e propria è un po’ carente: “ragazza umana in vestiti succinti” e “terribile fucile” non è molto per inquadrare la tizia seduta.

Alcune brevi note di editing: se cambia chi compie un azione, di solito deve anche cambiare il soggetto. Per esempio:

“[...] la ragazza si voltò.
Si appiattì di nuovo oltre l’angolo.”
Così non è subito chiaro chi si appiattisce, meglio specificare:
“[il coniglio/lui/la creatura/ecc.] si appiattì di nuovo oltre l’angolo.”

O anche qui:
“Salì sopra al muretto e accucciato dietro alla ringhiera avanzò, rimanendo al di fuori dell’arco di vista.”
Devi specificare “arco di vista della ragazza” altrimenti il riferimento è all’ultimo soggetto (il coniglio).

@Simone7. Ehm, ho provato a leggere ma in effetti non c’entra niente con l’esercizio. Senza voto, ma la prossima volta ti metto due e lo segno sul registro. ^_^

#149 Comment By Lorenzo On 18 novembre 2009 @ 17:49

sì, in effetti non sapevo bene come gestire proprio quelle parti senza sembrare palloso e forzato. genera un po’ di confusione.
per la descrizione anche, trovare il giusto mix non è proprio easy, almeno per me che tendo a esagerare in un senso o in un altro.
vabbè, tocca trovare i libri che dicevi xD
grazie ancora
L

#150 Comment By folgorata On 23 novembre 2009 @ 00:20

Dall’articolo di Gamberetta:

Beh, insomma :-) a suo agio fin lì.

“Il verme assassino di Venere si lamentava con un suono simile al ruggito di un leone” così mi sento più a mio agio.

#151 Comment By folgorata On 23 novembre 2009 @ 01:07

Compiti:
Che aspetto potrebbe avere un alieno che volesse impadronirsi del Paese dei Conigli? Me lo stavo chiedendo sbucando dalla galleria a Coniglio City per non incazzarmi davanti alla mancanza di fantasia di un’inferriata a forma di coniglio. Io cos’ero del resto? In quell’istante un prurito là dove un tempo avevo una coda a batuffolo, divenne un impulso: darsela a gambe. Fiutai l’aria. Solo un refolo di mela. Voltai lo sguardo di lato. Fu allora che lo vidi.
In fondo alla strada, seduto sui gradini, c’era esattamente ciò a cui stavo pensando poco prima: un alieno, anzi, un’aliena; una troia prepubere armata di fucile. Ai suoi piedi, pelli vuote di conigli rosa. Che strage, dovevo aspettarmelo che il bastardo avrebbe avuto le sembianze di Jessika.

#152 Comment By Gamberetta On 23 novembre 2009 @ 16:54

@folgorata. Dato che qui lo scopo era descrivere, “una troia prepubere armata di fucile” è un po’ troppo poco per rendere la ragazza.
Frasi come “Me lo stavo chiedendo” sono da togliere: che se lo sta chiedendo è implicito nella domanda stessa e nella narrazione in prima persona.

#153 Comment By folgorata On 23 novembre 2009 @ 21:42

Ciao Gambera, grazie dell’attenzione che mi hai dedicato. Il pezzo secondo me ha un altro difetto. Avrei dovuto scrivere “divenne l’impulso a scappare” invece che “divenne un impulso: darsela a gambe”.
Quanto alla descrizione della ragazza, ovviamente è scarna. Descriverne i dettagli dal colore dei capelli, al corpetto, ai reggicalze sarebbe stato sbagliato in un flash della situazione che il conigliomannaro si fa con un occhiata sbucando dalla galleria:-)
Se avessi scritto una storia, magari avrei fatto avvicinare il coniglione, l’avrei fatto appostare e lo avrei fatto meditare sull’eclettismo di pessimo gusto della nostra eroina :-)

Oh “me lo stavo chiedendo” mi serviva da ponte con l’azione di sbucare dalla galleria.
Si avrei potuto scrivere: “Che aspetto potrebbe avere un alieno che volesse impadronirsi del Paese dei Conigli? Sbucai dalla galleria a Coniglio City….” tutto il resto del fraseggio sarebbe stato diverso. Magari migliore. Ci penso ma non sono convinta. :-)
Ancora Grazie

#154 Comment By sissiblues On 25 novembre 2009 @ 20:52

Ciao, mi piace il tuo blog.. ed ho voluto provare a fare l’esercizio.. Se hai qualche critica, la gradisco volentieri!
Grazie!
Ecco il testo:

“Oh merda, mi ha visto.
Mi sta fissando, ferma immobile seduta su quegli scalini di pietra.

Ora mi spara. Ora di scatto prende in mano quel suo fucile e me lo punta dritto in faccia. E farò la stessa identica fine dei miei compagni, trasformato in un piccolo coniglietto rosa gommoso e infilato insieme alle sue mele rosse di marzapane nella borsa di pelle per poi essere venduto a qualche bambino ciccione da un baracchino del centro durante le festività natalizie.

Lo so che è stata lei a farlo, a Jen, ad Al, e a tante altri Conigli Ombrosi della parta alta della città. Lo so, perché ho riconosciuto lo stemma della sua missione su calcio del fucile. Un piccolo coniglietto rosa stilizzato. Che quasi quasi fa tenerezza.

Sbatte le palpebre e continua a fissarmi, senza muoversi di un millimetro.

Lo so che è finita, lo so. Ora afferra il fucile con la mano guantata e me lo punta contro. Lo so.

E mi avevano anche avvertito di non andarmene in giro quando il cielo si faceva viola, che sarebbero stati guai. Ma io, niente, io non ho mica voluto credere ai poster appesi ai muri di tutta la parte alta della città. Quei poster che mettevano in guardia, che dicevano attenzione che QuellaLà dei Conigli Ombrosi si sta aggirando da queste parti con cattive intenzioni.
La “Tirolese”, la chiamano, qui, per quegli strani abiti che porta, che a vederli bene, paiono davvero usciti dalla tradizione austriaca. Magari un più dark, eh. E un po’ più succinti, perché alla fine, la camiciona bianca sotto il corpetto con le bretelline non la porta mica.
Ed è proprio come l’avevano disegnata, su quei poster, precisa precisa, anche se non immaginavo che i suoi capelli fossero veramente di colore verde acqua.

Beh, forse non mi vuole davvero uccidere. Lo avrebbe già fatto. Provo a fare un passo? Provo.
E lei, tac!, ecco che ruota la testa, verso di me, per mettermi di nuovo a fuoco. E il minuscolo cilindro dal fiocco rosa che teneva in testa le cade a terra, andando a posarsi proprio accanto a un altro coniglio rosa gommoso. Loren, ecco chi era. Lo riconosco dal suo inseparabile papillon blu. Ed ora, capovolto, scivola lungo gli scalini.

Forse è meglio se mi giro e me la do a gambe. In fondo sono parecchio svelto.
E allora, uno due tre, mi volto e scappo.
La sento alle mie spalle, si è alzata di scatto, ho sentito gli ingranaggi metallici del fucile adattarsi alla sua mano.
Corro più veloce e ancora più veloce. Anche senza fiato. Si, anche senza fiahhh..

Poi uno sparo.

Mi fermo all’istante. Il cuore. Oddio il cuore. Accipicchia come batte.
Non sono stato colpito.
Mi volto.

Frank, il Coniglio Ombroso dal passo lesto, stava fuggendo in fondo alla strada. Ed ora era esanime a terra.

E lei, ancora immobile, ma questa volta in piedi, di spalle.
Il laccio nero sulla gamba si sciolse, e la calza le scivolò alla caviglia. “

#155 Comment By Gamberetta On 25 novembre 2009 @ 23:11

@sissiblues. Buona descrizione. Il punto di vista in prima persona è gestito bene.
In qualche punto ho avuto l’impressione che volessi inserire proprio tutti i particolari del disegno, ma suona un po’ forzato, tipo:

“E farò la stessa identica fine dei miei compagni, trasformato in un piccolo coniglietto rosa gommoso e infilato insieme alle sue mele rosse di marzapane nella borsa di pelle per poi essere venduto a qualche bambino ciccione da un baracchino del centro durante le festività natalizie.”
Frase troppo lunga e probabilmente dovrebbe finire a “coniglietto rosa gommoso”. Fa niente se non riesci a inserire anche le mele. Magari le puoi mettere più avanti.

“Quei poster che mettevano in guardia, che dicevano attenzione che QuellaLà dei Conigli Ombrosi si sta aggirando da queste parti con cattive intenzioni.”
Qui onestamente non ho capito quel “dei Conigli Ombrosi”, non basta QuellaLà?

#156 Comment By folgorata On 26 novembre 2009 @ 17:07

Rif. “Ci stavo pensando” : Allora ci ho pensato crostacea, te ghe rasun ti, e non solo perché pleonastico ma perché eliminarlo forza un aggiustamento paratattico che è più consono alla narrazione di genere.

Sull’altra tua eccezione e cioè che “troia prepubere” fosse descrizione troppo succinta per la fanciulla, considerata la preminenza dei dettagli che la riguardano nell’ambito della fotografia. Mi piacerebbe sapere se concordi su una mia intuizione. La descrizione soggettivizzata ci descrive di più il soggetto che vede piuttosto che l’oggetto guardato. Dal mio pezzettino si capisce parecchio della psicologia del conigliomannaro. Quindi non solo lui era troppo lontano per notare troppi dettagli della ragazza ma forse non sarebbe neppure coerente con il suo personaggio notarli. Per descrivere fiocchi e fiocchetti si potrebbe forse, senza introdurre altri personaggi, ricorrere a un artificio e passare al pov della ragazza. (Ah secondo le me narrazioni in prima persona possono avvicendare con opportuna titolazione Pov diversi) Dunque si potrebbe far seguire al pov del Conigliomannaro il pov della Troiaprepubere:
“Dietro le finestre dei palazzi, probabilmente gli occhi delle mie piccole prede erano sgranati. Come potevano resistere alle mie mele invitanti. Non solo le mele esca recuperate all’emporio ma quelle che mi uscivano dal corsetto “vedi non vedi” con svolazzi di seta. Del resto l’attrezzatura di caccia contava su appetiti di nature differenti. Afferrai con i denti il laccio di un guanto. I coniglietti non avrebbero resistito neppure alla sottovestina di pizzo e alle francesine con giarrettiere spaiate. Il cappello no, era un vezzo solo mio come i capelli. Avevo scoperto tuttavia che quel colore verde funzionava sempre, ricordava l’erba e le mie prede si sarebbero infilate nella bisaccia da sole.”

#157 Comment By castelloincantato On 11 dicembre 2009 @ 18:38

quello che fa rabbia è vedere quanto il lettore sia tenuto in poco conto. Tra le righe della descrizione di cui sopra in verità si legge: “Chi se ne fotte? Tanto ’sta merda se la devono sorbire delle ragazzine cerebrolese. Povere scemotte che si bevono qualsiasi cosa. Perché impegnarsi?”

Io non credo che il problema sia questo: cioè non penso che l’autrice/ore consapevolemente voglia prendere in giro il lettore; semplicemente crede che le descrizioni debbano essere fatte così. La cosa grave secondo me è che non è solo un problema degli autori fantasy/italiani/diciassettenni, ma il cncetto che le descrizioni debbano essere statiche e pallose è una concezione che infetta tutta la letteratura, anche, e SOPRATTUTTO, quella classica. Mi spiego meglio: prendiamo un – considerato – grande scrittore: Hugo. Se si legge notre-dame de Paris a un certo punto il lettore è “deliziato” con ben due capitoli di descrizioni:cioè per ben due capitoli di decine di pagine non accade assolutamente nulla, se non minuziose descrizioni di tutte le vie della città e dell’architettura della cattedrale. Oppure Balzac,che descrive nei particolari l’abbigliamento dei suoi personaggi o i lineamenti del volto. Dostoevskij in “delitto e castigo” ci offre un’intera pagina di discorso indiretto:un vero spasso! Ora, uno legge questi autori e pensa: se un grande scrittore fa così, perchè non dovrei farlo io?

#158 Comment By Hellfire On 12 dicembre 2009 @ 14:03

Ora, uno legge questi autori e pensa: se un grande scrittore fa così, perchè non dovrei farlo io?

perché quelli erano grandi scrittori nel loro tempo e nel loro luogo.
una volta il massimo della moda era una pelliccia di leopardo stropicciata e smangiucchiata: ti vestiresti ancora così?
non tutte le regole restano valide nel tempo.

oltretutto quei grandi scrittori non avranno “semplicemente descritto” ma avranno fornito descrizioni forti, precise, evocative, cosa di cui non tutti sono capaci.

#159 Comment By folgorata On 14 dicembre 2009 @ 23:59

Miii Castelloincantato un ragionamento così fa buttare l’editore a capofitto giù dalla finestra dell’ufficio dopo aver mirato con attenzione il tombino di ghisa! Proprio in questi giorni Eco ha illustrato il suo ultimo saggio dedicato alla lista, alla elencazione significativa, alla enumerazione descrittiva… Ecco la lista può essere un’elemento descrittivo anche molto protratto e per una sorta di effetto cumulo delle suggesioni impone un ritmo orgasmico alla lettura. Evoca archetipi spiralati alla Fibonacci… Ecco pur questa che è la forma più veloce e avvincente di descrizione se essa non coglie il bisogno emotivo del lettore diventa una mattonata sui coglioni!
Stiamo parlando di Fantasy qui no?
Beh nel fantasy, te ne do atto, la descrizione è veramente importante perchè assolve il bisogno del lettore di fantasy di trovarsi in un mondo del tutto diverso dal proprio, con regole sovvertite o senza regole, un mondo dove poter esprimere se stesso e prendersi le proprie rivincite. Questo mondo dunque va descritto. Ma sarà vitale che la descrizione riguardi le cose fantasy della situazione non le cose ordinarie per esempio. Per dire che uno apre una porta non c’è bisogno di dire che è fatta di rovere e che la maniglia è in ferro battuto. Se però la porta è in madreperla e la maniglia è fatta da un serpente vivo, è il caso di raccontarlo! E poi ci sono momenti del romanzo nei quali la descrizione soddisfa e altri nei quali non soddisfa il lettore. Se la porta di madreperla con la maniglia di serpente vivo, è contenuta in un lungo esempio paradossale fatto dalla madre del protagonista per riportarlo alla realtà, diventa una palla. Tipo:
«Piantala di sognare ad occhi aperti! Qui non ci sono porte di madreperla, serpenti al posto di maniglie. Non ci sono draghi dalla cresta rosa e lingue profumate! Non ci sono donne siamesi che ballano il fox trot a passo di gambero…. etc» Non mi sembra granchè.
Nel romanzo rosa descriverai la setosità dei cuscini, la morbideza dei capelli, la lunghezza delle ciglia, la delicatezza del tocco, la lucentezza dell’auto…
Nel romanzo giallo, descriverai con minuzia il sangue e il cibo: il rivoli di sangue misto a siero che escono dai margini rilevati della ferita, le mosche che si raggrumano su un’oncia di cervello, la doratura croccante degli arancini di riso :-)

#160 Comment By Mauro On 19 dicembre 2009 @ 16:24

Premessa: causa casini vari non sono riuscito a cercare ulteriore materiale sulla questione della lineetta per indicare interruzione (per chi non ricordasse: l’usare per indicare sospensione e per indicare interruzione); attualmente non ho nemmeno sottomano i libri del caso. Cercherò di farlo in futuro, se interessa, ma non assicuro.
Però approfitto dell’occasione per correggere una cosa detta in passato: in effetti ho visto almeno una cosa in Italiano che mantiene l’uso dell’originale inglese: Megatokyo; non sarà professionale (cosa che vista la qualità di certe traduzioni “professionali” potrebbe essere un pregio), ma comunque viene mantenuto.

Detto questo e sperando di non essere in ritardo (brutto non avere Internet a casa per mesi…), prima bozza dei compiti a casa:

Non ne uscirò integro. Non questa volta.
Un cilindro come me dovrebbe essere indossato da un signore di classe, non da una ragazzina con i capelli tinti. Feste e alta società, quello è il mio posto. Lontano da una bambina che si crede un soldato, seduta su una scala polverosa, in attesa di partire per chissà quale guerra.
Mi ha perfino rovinato con un nastro rosa. Dico: un nastro rosa. Almeno fosse nero. Questa plebea non si rende conto che non ha gusto.
Un elmetto. Questo le servirebbe. Totalmente privo di classe, ma sempre meglio che essere morti. Conoscevo un elmetto; scorbutico, ma potevi farci affidamento. Magari lo incontrerò. E questa ragazzina capirà perché non sono rosa.
Forse vivrà abbastanza per rinsavire. Ma non ci spero. È uscita di casa con un fucile e una manciata di mele nella cartella di scuola, e ha già iniziato a sprecarne. Si siede sulla scala di casa, butta la cartella per terra, assaggia una mela e la getta dopo un morso; non fa sperare bene. E i vestiti: non sono esperto, non mi sono mai abbassato al livello dei militari. Ma dubito che un corpetto striminzito e una minigonna con pizzo siano una protezione adeguata. Non sono nemmeno raffinati. Roba da ragazzini, che non capiscono cosa sia lo stile. E quel nastro nero è sprecato sulle calze, starebbe meglio su di me.
Almeno non mi è andata male come a quel povero fucile. Un coniglio. Rosa. Credo che, se potesse, si staccherebbe il calcio. Io lo farei. Se mi vedesse la bombetta del Conte in quelle condizioni…
Non che conterebbe qualcosa. A minuti da quella galleria arriveranno i militari, e lei andrà con loro, sicura di sé. Forse crede che quel paio di peluche con cui gira le porterà fortuna. Ancora conigli rosa. Dev’essere pazza. Non si è nemmeno accorta che glien’è caduto uno. Non mi stupisce, da una persona così grezza.
Un colpo mi forerà. O forerà lei, e io mi sporcherò. Rovinato per sempre.
E gli uomini dovrebbero essere quelli intelligenti.

#161 Comment By Gamberetta On 20 dicembre 2009 @ 14:35

@Mauro. Divertente. E un altro punto di vista bizzarro e originale: mi piace. La ragazza è ben tratteggiata, e nel complesso i pensieri del cappello suonano naturali. Manca il coniglio nero, ma pazienza. Buona descrizione.

#162 Comment By Mauro On 20 dicembre 2009 @ 15:16

Manca il coniglio nero, ma pazienza

Inizialmente c’era, era così (era il paragrafo prima di “Almeno non mi è andata male come a quel povero fucile”): “Vorrei almeno che mi spolverasse. Quando è apparsa quella specie di coniglio nero si è girata improvvisamente, facendomi rovinare sulla strada. Un coniglio. E lei pensa che sia un nemico. Non durerà cinque minuti”. In generale non mi dispiaceva, ma l’ho tolto perché mi sembrava forzato, messo giusto per inserire il coniglio nero; semplice impressione mia?

#163 Comment By Gamberetta On 20 dicembre 2009 @ 23:15

@Mauro. Sì, non era il massimo. Forse potevi introdurre il coniglio facendo pensare al cappello che avrebbe preferito essere in testa all’animale appena arrivato: portamento fiero, pelo curato e poi di un elegante colore nero.

#164 Comment By Ste On 21 dicembre 2009 @ 13:57

Probabilmente sono io ad essere matto/maniaco però ho l’impressioen che spesso alle descrizioni in genere (ed anche ai romanzi/racconti/novelle) manchi un elemento non trascurabile: l’audio. Ho spesso l’impressione che tutte la azioni si svolgano nel silenzio assoluto rotto solo dai dialoghi e dai suoni messi lì dall’autore. Molto raramente ho letto di personaggi costretti ad alzare la voce per farsi sentire dal proprio compagno in locande o in città con il mercato in corso, anzi spesso bisbigliano fra loro.
Un’elemento dei fabtasy quasi onnipresente come elfi, draghi e nani sono le locande. Luoghi dove il personaggio entra e vi è la stessa “colonna sonora” che vi era all’esterno. Ma gli autori sono mai entrati in un bar?

#165 Comment By edmond dantes On 24 dicembre 2009 @ 01:00

dunque ,
da che parte iniziare , il dubbio è assai palese quasi comparabile a questo sito , sia chiaro mi è stato suggerito come fonte di ispirazione per i futuri acquisti . e devo ammettere mi abbia deluso per la pressochè inesistente imparzialità nel giudizio e veridicità . un piccolo esempio buio è un libro particolare . é vero, dalle prime pagine non mi ha colpito partiolarmente tuttavia qualcosa mi ha indotto a continuare ed è stato un esordio sorprendente , a dir poco unico , il miglior urban fantasy dell anno anche se forse lo giudicherei triller fantasy . comunque oltre questo dettaglio giudicabile piu o meno valido dalla demenzialità dei presenti ho proseguito il mio tour su queste pagine e devo ammettere vi siano alcune rilevazioni davvero interessanti . tuttavia ciò che realmente manca è la nozione per cui forse e ribadisco forse un libro non si giudica dalla copertina o dalle prime dieci pagine comunque … il mio è un consiglio generale ossia non incentrato soltanto sulla precedente tesi ma sulla quasi totalita degli argomenti trattati in queste pagine . forse la mia è critica ecessiva ma essendo solo uno spettatore me la posso permettere … voi amministratori al contrario attenetevi alla seppur utopica neutralità se gradite avere seguito .

edmond dantes

#166 Comment By folgorata On 3 gennaio 2010 @ 10:29

@ Mauro

Anche a me la tua descrizione è piaciuta e non mi pare grave la mancanza del coniglio nero. Mi sei un po’ caduto alla fine:
“Non mi stupisce, da una persona così grezza.”
Questo “grezza” mi pare una sciatteria lessicale. Potevi usare un aggettivo “finto oggettivo”, tipo “eclettica” che sarebbe suonato sarcastico; oppure potevi illuminare definitivamente la “personalità” del cilindro usando un aggettivo valutativo. Se per esempio avessi usato l’aggettivo “ordinaria” avremmo saputo di dover prendere con le pinze il giudizio espresso da un cilindro troppo snob; se avessi usato l’aggettivo “chiassosa” avremmo saputo viceversa che il nostro cilindro è molto compassato.

#167 Comment By Mauro On 3 gennaio 2010 @ 13:19

Grazie per il commento, fanno sempre piacere!

Aggettivi come “eclettica” possono avere valenza positiva, mentre altri come “ordinaria” danno, per come delineato il cappello, una valenza negativa, ma ben diversa da quella data da “grezza” (anche tralasciando che l’idea trasmessa non mi pare di una persona ordinaria).
“Grezza” credo trasmetta l’opinione negativa del cappello: non considera la ragazza solamente una persona non alla sua altezza, la considera proprio, in ogni sua scelta (almeno, in quelle descritte), una persona che mostra scarsa intelligenza, poco gusto, ecc.

#168 Comment By Ylunio On 10 gennaio 2010 @ 01:46

Stavo scaricando i Manuali da Gigapedia (splendido sito, davvero) e mi sono accorta che non è più possibile scaricare Word Painting: A Guide to Writing More Descriptively.
Gigapedia informa che si tratta di un “dead item”.

Come fare in questo caso?

#169 Comment By Gamberetta On 10 gennaio 2010 @ 10:52

@Ylunio. Puoi scaricarlo da qui.

#170 Comment By Ylunio On 10 gennaio 2010 @ 13:53

Grazie.. :)

#171 Comment By Paolo AKA demiurgo On 11 gennaio 2010 @ 14:26

Ho trovato l’articolo molto intessente, specialmente quando si parla degli aspetti dinamici della descrizione.
Varrebbe la pena approfondire ancora. Sebbene la descrizione esista dall’invenzione della scrittura (da prima, forse), la maniera di descrivere “moderna” è molto diversa da quella che si trova nei “classici”. Questo, sembra, sia per via dei gusti e delle richieste del lettore. Una descrizione approfondita di luoghi diversi era infatti molto godibile da ul lettore dell’ottocento. Oggi questa funzione “fotografica” è sgradita, invece, tutti sappiamo farci un’idea di come sono i sobborghi di Londra o un’isola esotica del pacifico, le abbiamo viste entrambe in foto, film, documentari ecc.
La descrizione quindi oggi perde quella che era stata forse la sua funzione prevalente e assume un fomato più minimalista, atto a ottenere, di solito, effetti molto specifici come creare l’atmosfera, caratterizzare un personaggio o suggestionare tramite qualche significato simbolico che fa scattare associazioni d’idee più o meno indirette.
La diversità e il proliferare di nuove tecniche descrittive deriva quindi da una mutata funzione della descrizione stessa.
Riguardo alle tecniche, mi sembrano molto interessanti alcune definite “cinematografiche” (forse il termine non è appropriato perché venivano usate già prima della invenzione del cinema) che tengono in considerazione dettagli come l’inquadratura, la distanza dell’osservatore/telecamera, il movimento della visuale, l’effatto “fade” tra una scena e la successiva e altri aspetti che possono creare maggiore fluidità, rendere la descrizione più “integrata” nello scritto e di immediata efficacia.

#172 Comment By Leroux On 16 gennaio 2010 @ 12:38

Articolo molto interessante, complimenti. Alla fine non ho resistito e ho voluto provare anch’io l’esercizio. Non ho alcuna velleità da scrittore, eh, sia chiaro.
A ogni modo…

Adoro Lynn. Oggi, poi, è proprio carina: il corsetto e i guanti, il gonnellino svolazzante, le calze bianche, i sandali di vernice e un cilindro infiocchettato con un nastro rosa che sui capelli acquamarina sta una meraviglia.
È da questa mattina che giriamo per la città di Leporide. Abbiamo battuto tutte le strade, ma delle Linci neanche a parlarne. Lynn si è stancata e ha deciso di fermarsi un po’. Ci siamo seduti su dei gradini di pietra, davanti l’ingresso di… un museo, credo.
Io mi annoiavo, così ho iniziato a dire cretinate ai Conigli Neri che passavano. Cose del tipo: “Hey, zio, complimenti per l’abbronzatura”. Oppure: “E a te cos’è successo, amico? Ti hanno tirato troppo tardi dal forno?”.
All’inizio mio cugino Wixie cercava di trattenersi. Teneva le zampette sul muso per soffocare le risate. Poi non ce l’ha fatta più ed è scoppiato.
Lynn s’è arrabbiata. Secondo lei dovevamo un minimo di rispetto ai nostri simili, visto quello che stanno passando. Ho cercato di farle capire che siamo conigli anche noi. Solo che siamo rosa e la vita la vediamo colorata. E che le Linci non hanno preferenze cromatiche, quando si tratta di far colazione.
“Vero”, ha detto Wixie. “I Conigli Neri non hanno proprio spirito”.
“Ce l’hanno, ce l’hanno”, ho detto io. “Nella pancia, ma ce l’hanno”.
Wixie mi guardava stranito. Non aveva compreso il senso delle mie parole. Gli ho mimato il gesto di tracannare una bottiglia e ho cominciato a barcollare, fingendo di essere ubriaco. Mio cugino s’è steso a pancia in giù. Batteva tutte e quattro le zampette per terra, tanto rideva. Sembrava un nuotatore scemo.
Lynn, esasperata, ha tirato un gran sospiro. Ha afferrato Wixie e l’ha strizzato come una spugna per fargli sputare il semino di mela. Dopo ha infilato mio cugino nella borsa di cuoio.
A me, invece, l’ha fatto sputare spiaccicandomi col calcio del fucile. Ora penzolo a testa in giù, piegato in due sullo spigolo del gradino.
Le passerà. Lo fa sempre, quando ci rendiamo insopportabili. Spegnerci, intendo. Ecco perché porta sempre con sé una buona scorta di mele della vita.

#173 Comment By Leroux On 16 gennaio 2010 @ 18:24

@Paolo Aka…
Concordo. Credo sia anche una qestione di ritmo. La lentezza della scrittura classica rispecchiava i ritmi di vita dell’epoca, per cui andava bene. Riproporla oggi, invece,in un mondo così frenetico, penso sia un grosso errore.

#174 Pingback By Descrizioni, luoghi, 1 | On 24 febbraio 2010 @ 08:30

[...] A chi sentisse il bisogno di una guida o di alcune linee direttive sullo scrivere descrizioni, consiglio di leggere il compendio dedicato all’argomento redatto da Chiara-Gamberetta. Trovo che sia davvero ben fatto, sintetico ma puntuale ed esauriente. Eccolo qui. [...]

#175 Pingback By Gamberetta: yes you can! « Sito di Matteo Rinaldi On 27 aprile 2010 @ 21:24

[...] La descrizione, Lezione I http://fantasy.gamberi.org/2009/10/03/manuali-1-descrizioni/ [...]

#176 Comment By La mappa definitiva del Giovane Esordiente « Werehare’s Burrow On 8 agosto 2010 @ 15:55

[...] sempre: Gamberi Fantasy. Le pagine che voglio dapprima portare alla tua attenzione sono queste: * Manuali 1: Descrizioni, ovvero consigli su come importare una descrizione; * Manuali 2: Dialoghi, ovvero (guarda un [...]

#177 Comment By Hellis On 10 dicembre 2010 @ 10:32

Carissimma Gamberetta, apprezzo molto quello che scrivi e non ho resistito al desiderio di fare anch’io una prova.So che sei molto occupata e questa proposta ha suscitato un consenso tanto vasto che è difficile scorrere tutti i commenti senza smarrirsi. Ma come ho detto proprio non potevo resistere. Sarei felicissima di ascoltare le tue correzioni al mio testo, per quanto crudeli ed impietose possano essere. Meglio cento pedate da un’interlocutrice intelligente che mille complimenti infruttuosi. Domo arigato in anticipo.

Non ce la faccio.
Non ho il coraggio, non posso alzarmi, sento che quell’assassina è ancora vicina. Fosse sta ancora fissando quello che resta di Winnie, dopo che ci si è divertita tutto il pomeriggio.
Non posso guardare. Non sopporterei di rivedere l’imbottitura di mio fratello sparsa sulle scale di pietra, o la sua testa di pezza strappata. E’ già abbastanza orribile che quella ragazza attacchi un adesivo sul fucile ogni volta che stermina qualcuno della mia famiglia.
Trattengo il respiro fra i denti. Non voglio attirare la sua attenzione.
Cerco di sparire accanto alle mele rosse che ha infilato distrattamente nella tasca del carniere. Era talmente ansiosa di iniziare i suoi “giochetti” col povero Winnie da lasciare aperta la tasca, e alcune mele sono rotolate fuori.
Se solo si girasse potrei sfruttare lo spazio in più per uscire.
Se solo ne avessi il coraggio.
Mi sento le gambe e la testa di ovatta.
Domani saremo solo altri due adesivi rosa sul calcio del suo fucile.
Tap, tap, tap. Tap.
La psicotica continua a battere il piede sul gradino. Quando ci ha preso credevo che si fosse messa gli zatteroni per schiacciarci sul selciato, e pensavo fosse un modo terribile di morire.
Ho cambiato idea.
E’ un modo più veloce e pulito di quello che ha usato con Winnie.
Se solo avessi il coraggio di provare a scappare. Presa dalla furia potrebbe anche uccidermi in fretta, e risparmiarmi ore di strappi lenti. Se mi staccherà lentamente i bottoni dagli occhi colle sue unghiette laccate di rosa, almeno sarò già morto.
Se solo qualcuno venisse a salvarmi.
Dove sono i rumori della città?
Dove sono le auto nel traffico, i passanti con la spesa, i piccioni svolazzanti che infestano questa maledetta piazza?
Questo quartiere affollato all’alba del 1° gennaio si è trasformato in un deserto.
Sono tutti al calduccio nei loro letti.
Nessuno passerà di qua.
Vorrei tanto sentire la voce della bambina che ci ha perso al parco. Si chiama “Tesorino mio”, l’ho sentita chiamare dalla sua mamma. Lei verrebbe qui con le sue scarpe rosa, tirerebbe i capelli celesti alla pazza omicida e urlerebbe come un’ossessa finchè non le rendono “ tutti coniji”. Con l’altra bambina all’asilo ha funzionato.
Ma non verrà.
“Tesorino mio” la mattina salta sul letto con “tutti coniji rosa”.
Si accorgerà che io, Winnie e Jessica manchiamo?
Sento che il tacco inquieto si è fermato. Magari l’ammazza-conigli se ne va e lascia la borsa sulle scale.
Avrà ancora Jessica in tasca? Mi si stringe il cuore a pensare mia sorella, col suo piccolo fiocco celeste sotto la gola, nelle sue mani.
Ora il suono di lacci che scorrono mi fa capire che quella carogna si sta levando i mezzi-guanti di cuoio. E’ abbastanza riposata per ricominciare a “giocare”.
Non abbiamo scampo.
Vorrei che le facessero male, che la sbattessero contro gli spigoli freddi delle scale come ha fatto lei con mio fratello, che le strofinassero il suo delicato faccino d’angelo contro il gradino rotto fino a bagnarle la faccia di sangue.
Vorrei che fosse un coniglio a farlo. A fare giustizia.
Un coniglio gigante, più grosso del padre di “Tesorino mio”. Tanto pesante da spezzare con uno schiocco le piastrelle sotto ogni passo. Non un debole coniglietto rosa per bambini, come noi, ma un coniglio nero carnivoro e assetato di sangue, che le stacchi le dita curate coi suoi lunghi denti.
Mentre la mano piccola e spietata mi tira fuori dalla borsa, mi concentro. Sento i passi veloci e violenti del coniglio nero. Sta venendo a prenderla.

#178 Comment By Gamberetta On 11 dicembre 2010 @ 01:26

@Hellis. Non male. Interessante il punto di vista e sono descritti tutti gli aspetti fondamentali dell’immagine. Perciò dal punto di vista dell’esercizio direi che ci siamo.

Parlando più in generale ho trovato alcuni passaggi un po’ retorici. Per esempio:

Non posso guardare. Non sopporterei di rivedere l’imbottitura di mio fratello sparsa sulle scale di pietra, o la sua testa di pezza strappata. E’ già abbastanza orribile che quella ragazza attacchi un adesivo sul fucile ogni volta che stermina qualcuno della mia famiglia.

Il “non oso guardare” o “l’abbastanza orribile” suonano un po’ artefatti. Io lo taglieri, sarei più diretta:

L’imbottitura di mio fratello è sparsa sugli scalini di pietra. La ragazza l’ha sventrato e gli ha strappato la testa di pezza. Ha sorriso compiaciuta e ha appiccicato l’adesivo di un coniglietto al calcio del fucile. Ammazza i miei fratelli e dopo ogni esecuzione attacca un adesivo. Bastarda.

#

Se solo qualcuno venisse a salvarmi.
Dove sono i rumori della città?
Dove sono le auto nel traffico, i passanti con la spesa, i piccioni svolazzanti che infestano questa maledetta piazza?
Questo quartiere affollato all’alba del 1° gennaio si è trasformato in un deserto.
Sono tutti al calduccio nei loro letti.

Qui le domande retoriche oltre a essere bruttine in sé, non vanno bene per quanto riguarda la descrizione. Se tu dici che non ci sono passanti o non ci sono auto, comunque il lettore, quando incappa in quelle parole, vede passanti e auto. E non è il massimo, visto che appunto non sono nel disegno. In alcuni casi le descrizioni “in negativo” funzionano, qui secondo me varrebbe la pena tagliare tutto:

Se solo qualcuno venisse a salvarmi.
Ma la mattina presto sono tutti al calduccio nei loro letti.

Una considerazione generale: chiami la ragazza in un sacco di modi diversi (“assassina”, “ragazza”, “psicotica”, “carogna”, “ammazza-conigli”). Il problema è che il lettore ogni volta deve fare uno sforzo mentale per collegare il nome al personaggio. È meglio mantenere uno o al massimo due termini per quando il personaggio agisce, e mettere i giudizi del coniglio a parte. Per esempio:

La psicotica continua a battere il piede sul gradino.

Io scriverei:

La ragazza continua a battere il piede sul gradino. Dannata psicopatica.

Altrimenti quando scrivi solo “psicotica” c’è quel mezzo secondo in cui si deve ragionare: “La psicotica sarebbe la ragazza di prima. Ah, ok.”

Se scrivi in prima persona, puoi quasi sempre tagliare i verbi di percezione. Per esempio:

Sento che il tacco inquieto si è fermato. Magari l’ammazza-conigli se ne va e lascia la borsa sulle scale.

Diventa:

Il tacco inquieto si è fermato. Magari l’ammazza-conigli se ne va e lascia la borsa sulle scale.

Che è più diretto, più nella testa del personaggio. Almeno se stai usando il presente a indicare che assistiamo in diretta a quello che succede, abbiamo sotto gli occhi i pensieri del personaggio mentre si formano – non proprio un flusso di coscienza, ma quasi. Se invece intendevi un presente storico e volutamente vuoi mettere distanza tra i fatti e la loro narrazione successiva, allora ci possono stare i “sento”, “vedo”, “annuso”, ecc.

Cerco di sparire accanto alle mele rosse [...]

I “cercare di” di solito non rendono molto (vedi l’articolo 3 dei Manuali). Direi che puoi tagliare: “Sparisco accanto alle mele rosse”, o forse è meglio: “Mi nascondo tra le mele rosse”.

Comunque sono tutte sfumature, di errori gravi non ce ne sono. È un buon brano.

#179 Comment By Marco Albarello On 14 dicembre 2010 @ 19:07

Mi permetto di segnalare 40 regole per scrivere bene, ad uso e consumo di tutti quelli che vivono di parole:

1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
4. Esprimiti siccome ti nutri.
5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
9. Non generalizzare mai.
10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
12. I paragoni sono come le frasi fatte.
13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
15. Sii sempre più o meno specifico.
16. La litote è la più straordinaria delle tecniche espressive.
17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
19. Metti, le virgole, al posto giusto.
20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso e! tacòn del buso.
22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
25.Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
34. Non andare troppo sovente a capo. Almeno, non quando non serve.
35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
38. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differanza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competente cognitive del destinatario.
39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
40. Una frase compiuta deve avere.

(tratto da: Umberto Eco, La Bustina di Minerva, Bompiani 2000)

#180 Comment By Anita On 28 marzo 2011 @ 13:16

Ciao Gamberetta,
ci provo anche io.
Grazie per l’utilissima opportunità.

Crunch. Maya addentò la mela e ne staccò un grosso pezzo. La polpa farinosa le si sciolse in bocca e un po’ di quel succo dolciastro fuoriuscì dal labbro colandole lungo il mento. Continuò a masticare fissando il vuoto, e intanto le dita della mano serravano la presa sul frutto, fino a quando le unghie non trapassarono la buccia con una serie di scrocchi simultanei. Era arrabbiata. Molto arrabbiata. Quella mattina aveva dovuto raccogliere cinque corpi di coniglietti morti, alcuni interi e altri fatti a pezzi. Li aveva spinti in fondo alla cartella di pelle che si portava sempre dietro, insudiciandosi le mani del loro sangue denso e grumoso, ancora caldo. Quello sporco lavoro iniziava a stancarla e maledisse il giorno in cui i geni della Grunge Corporation avevano creato il suo personaggio virtuale. Conosceva il marchio degli sviluppatori del suo videogioco perché campeggiava sui marciapiedi di alcune stradine, sui muri riempiti di crepe e muschio delle location dei primi livelli e sulle zeppe delle sue scarpette lucide. Un nome che le faceva venire il voltastomaco. Gettò la mela, che rotolò sui gradini di pietra della scalinata su cui era seduta, e succhiò via il nettare dolce dai polpastrelli bagnati. Spostò lo sguardo accanto a sé, doveva giaceva la cartella, e la parve che la dura pelle si gonfiasse a colpi di testa e pugni, come se quei poveri animaletti fossero ancora vivi e stessero supplicandole la libertà. Se li immaginò zombie, con gli occhi sporgenti e iniettati di sangue, con gli artigli ricurvi e dei bitorzoli sulla schiena, con le orecchie affilate e il musetto aperto a mostrare una fila di denti seghettati e prominenti, grondanti bava mista a sangue nerastro. La poltiglia di bile e mela che aveva ingurgitato le risalì lungo l’esofago. Strinse le labbra in una linea sottile e pregò che l’umano si sbrigasse ad accendere la sua console e che ricominciasse a giocare, per darle modo di svuotare la mente da quei pensieri macabri e di sistemare, una volta per tutte, la questione con Mister Rabbit. Già, perché quel carnefice senza scrupoli che si divertiva a straziare leporidi innocenti girovagando con un costume da coniglio doveva morire. Fremeva dal desiderio di piantargli un paio di cartucce nel petto, trasformandolo in un colabrodo maciullato e lasciandolo agonizzare in mezzo alle sue stesse interiora sanguinolente. Si passò la punta della lingua sul labbro superiore, pregustando la vendetta, e poi scattò in piedi. Eccolo, finalmente. L’umano era pronto a riprendere la partita e se per lui si trattava soltanto di stupido intrattenimento, beh, per Maya era di vitale importanza che arrivasse fino al completamento dell’ultimo livello, quello che presagiva essere lo scontro finale. Agganciò il suo fedele AK-47 ai laccetti della tracolla, un fucile d’assalto che se utilizzato a una distanza ravvicinata poteva segare un uomo in due, e si mise nella posizione in cui l’umano l’aveva lasciata durante l’ultimo salvataggio. In attesa, davanti a un edificio con le pareti giallo vomito che si sperava fosse il magazzino dove Mister Rabbit teneva nascosta una parte delle gabbie con le sue riserve di coniglietti importati dalle Macquarie Island. Maya sogghignò, con il sangue che le pompava nelle vene schizzandole adrenalina in tutto il corpo. Era tempo di andare a caccia.

#181 Comment By Gamberetta On 28 marzo 2011 @ 22:46

@Anita. Premessa tipografica: quando finisce un concetto vai a capo e fai un nuovo paragrafo. Mettendo tutto di fila si ottiene un effetto wall of text che rende visivamente faticosa la lettura.
Per esempio:

[...] fino a quando le unghie non trapassarono la buccia con una serie di scrocchi simultanei. Era arrabbiata. Molto arrabbiata. Quella mattina aveva dovuto raccogliere cinque corpi di coniglietti morti, alcuni interi e altri fatti a pezzi.

Qui sono tre concetti, perciò sarebbe meglio:

[...] fino a quando le unghie non trapassarono la buccia con una serie di scrocchi simultanei.
Era arrabbiata. Molto arrabbiata.
Quella mattina aveva dovuto raccogliere cinque corpi di coniglietti morti, alcuni interi e altri fatti a pezzi.

Hai flessibilità nel decidere quando finisce un “concetto” e ne inizia un altro, ma un paragrafo lungo una pagina e passa (500+ parole) è davvero troppo.

Comunque, come descrizione va abbastanza bene, nel senso che ci sono quasi tutti gli elementi principali del disegno (anche se forse si poteva dare qualche particolare in più riguardo Maya, per esempio l’insolito colore dei capelli o lo strano copricapo).
Quello che stona è che è un po’ troppo raccontato, si sente troppo la presenza del Narratore, invece sarebbe più coinvolgente se fossimo più nei panni di Maya (per la base teorica leggi il terzo dei Manuali).
Per esempio:

Quella mattina aveva dovuto raccogliere cinque corpi di coniglietti morti, alcuni interi e altri fatti a pezzi. Li aveva spinti in fondo alla cartella di pelle che si portava sempre dietro, insudiciandosi le mani del loro sangue denso e grumoso, ancora caldo. Quello sporco lavoro iniziava a stancarla e maledisse il giorno in cui i geni della Grunge Corporation avevano creato il suo personaggio virtuale.

Non è “sbagliato” e tutto sommato può andar bene. Se però ti cali di più nel personaggio può venire meglio. Ci provo:

Maya raccolse il cadavere del coniglietto scivolato fuori dalla cartella. Lo rificcò dentro, lo spinse in fondo, in mezzo agli altri coniglietti morti. Ritrasse la mano impiastricciata di sangue e grumi di pelo. Viscere colarono tra le dita. Che schifo di lavoro.

Scritto al volo e si può fare meglio, ma spero si noti il fatto che nella seconda versione si è lì con Maya, mentre nella prima si guarda con occhio distaccato. E in generale più si è vicini, meglio è.
Anche all’inizio:

Crunch. Maya addentò la mela e ne staccò un grosso pezzo. La polpa farinosa le si sciolse in bocca e un po’ di quel succo dolciastro fuoriuscì dal labbro colandole lungo il mento. Continuò a masticare fissando il vuoto, e intanto le dita della mano serravano la presa sul frutto, fino a quando le unghie non trapassarono la buccia con una serie di scrocchi simultanei. Era arrabbiata. Molto arrabbiata.

Uno dei “trucchi” per scrivere bene è cercare di far trasparire le emozioni senza dichiararle. Così come fai a mostrare che Maya è molto arrabbiata senza dirlo?
Magari cambi da “staccò” neutro a “strappò” che è più il gesto di una persona arrabbiata.
La polpa farinosa che si scioglie non va tanto bene: se sei arrabbiato non ti godi il cibo in questa maniera. Invece puoi dire che il succo dolciastro le goccia sul vestito: se il personaggio se ne accorge ma non fa niente vuol dire che ha altro a cui pensare, unito agli altri dettagli si capirà che questo altro è la rabbia.
Invece di “trapassarono” magari “lacerarono”, o forse le unghie si “conficcarono” nella buccia.

[...] i geni della Grunge Corporation avevano creato il suo personaggio virtuale. Conosceva il marchio degli sviluppatori del suo videogioco perché campeggiava sui marciapiedi di alcune stradine, sui muri riempiti di crepe e muschio delle location dei primi livelli e sulle zeppe delle sue scarpette lucide.

Non spiegare! Suona sempre artefatto. Basta che lo affermi senza “giustificarti”:

[...] i geni della Grunge Corporation avevano creato il suo personaggio virtuale. Il marchio degli sviluppatori del suo videogioco campeggiava sui marciapiedi, tra le crepe dei muri, sulle zeppe delle sue scarpette lucide.

E così via. Non continuo perché in effetti queste sono appunto osservazioni che riguardano il terzo dei Manuali più che questo sulle descrizioni. E come dicevo all’inizio, la descrizione in sé può anche andar bene.

#182 Comment By Anita On 29 marzo 2011 @ 10:25

Approvo.
E’ tutto così statico, una noia mortale. Me ne sono accorta dopo averlo postato e tu sei stata anche fin troppo buona nel giudizio. Ho provato a modificare seguendo i tuoi suggerimenti ma il risultato mi fa storcere ancora il naso. Colpa mia, devo entrare nel meccanismo.

Crunch.
Maya addentò la mela e ne strappò un pezzo. Un po’ di succo dolciastro le gocciolò sul mento e sulla gonna di velluto che già iniziava a puzzare. Strinse le dita intorno al frutto, sempre più forte, fino a quando le nocche non divennero bianche e le unghie non si conficcarono nella buccia con una serie di scrocchi simultanei. Lurido verme.
Scagliò la mela contro i gradini di pietra e la vide rotolare giù.
Ripensò ai coniglietti morti che aveva spinto in fondo alla cartella di pelle; ripensò allo sciacquio delle viscere che sbavavano sangue sulle sue mani, e tremò.
Questo schifo deve finire.
Maledisse il giorno in cui i geni della Grunge Corporation avevano creato il suo personaggio virtuale. Il marchio degli sviluppatori del videogioco campeggiava sui marciapiedi delle stradine, tra le crepe dei muri e sulle zeppe delle sue scarpette lucide.
Le faceva venire il voltastomaco
Strinse le labbra in una linea sottile e pregò che l’umano ricominciasse a giocare, perché moriva dalla voglia di piantare un paio di cartucce nel petto di Mister Rabbit. Devi crepare, brutto bastardo. Tu e quel tuo patetico costume da coniglio. Si passò la punta della lingua sul labbro superiore, pregustando la vendetta, e poi scattò in piedi.
Agganciò il suo fedele AK-47 ai laccetti della tracolla e si mise nella posizione in cui l’umano l’aveva lasciata durante l’ultimo salvataggio. Davanti a quell’edificio con i muri giallo vomito che sperava fosse il magazzino dove Mister Rabbit teneva nascosta una parte delle gabbie con le sue riserve di coniglietti importati dalle Macquarie Island.
Maya sogghignò.
Era tempo di andare a caccia.

#183 Comment By Alex On 12 aprile 2011 @ 17:36

#184 Comment By Cody On 27 giugno 2011 @ 18:09

Salve a tutti. Era da parecchio che seguivo il sito di Gamberetta, ma questi esercizi non li avevo ancora notati. Alla fine, ho voluto provarci anch’io (perdonatemi la prolissità):

Jim Begbie pensò che, nonostante tutto, gli sarebbe potuta andare peggio. Insomma, in confronto a come si era ridotta Sharm el Sheik, quello era un piacevole rovescio della medaglia. D’altronde, la Borderless era sempre la Borderless.
Lasciò il riparo del terminal, borsa da viaggio impermeabile alla mano, e raggiunse il centro della piazza. Begbie si fermò e si guardò attorno. Il cielo incorniciava i vecchi palazzi in stile XXII secolo, così spogli, stinti e squadrati, più simili a magazzini che ad abitazioni vere e proprie, i cui profili facevano a cazzotti con la sua rosea delicatezza.
E che fine ha fatto il Bianconiglio? pensò Begbie. Se lo sono dimenticati a casa?
Continuò a guardarsi attorno, mentre un lieve sentore di caramello gli si insinuava nelle narici.
“Ohi!” si sentì chiamare.
Begbie si voltò e, per un attimo, credette che a parlare fosse stata la sagoma scura dell’uomo-coniglio di fianco a una galleria sul fondo della piazza.
“Di qua, Einstein!”
Fu allora che la vide. La ragazza see ne stava seduta con noncuranza sui gradini in pietra di un palazzao color muco, un braccio levato in aria.
Begbie strizzò gli occhi – c’era qualcosa che non quadrava in lei, anche se non riusciva a metterlo a fuoco. Scrollò le spalle, poi le fece a sua volta un cenno con il braccio e la raggiunse.
“Non doveva aspettarmi al terminal?” avrebbe voluto chiederle, ma, quando le fu più vicino, le parole gli morirono sulle labbra.
Cristo santo, pensò.
Non era stato solo l’AK-47 che stringeva nella destra a bloccarlo, ma tutto quanto il pacchetto. I capelli color menta, il mento a punta, il costume da pin-up sadomaso… la sua stessa essenza. Begbie fu colto da una leggera vertigine.
Fantastico, pensò. E’ venuta a trovarci anche la Jessica Rabbit del Giappone.
“James Begbie?” domandò lei.
Begbie deglutì. “L-lieto di conoscerla.” Le allungò la mano.
Lei non lo degnò neppure di uno sguardò. Cominciò invece a stringersi con i denti i lacci del guanto sinistro, proprio come se lui non esistesse. Quando ebbe finito, afferrò un coniglietto rosa di peluche, la bruciatura di un proiettile sull’addome, abbandonato di fianco a lei sul gradino.
“Io sono Kanae”, disse. Cacciò il pupazzetto sul fondo della borsa in cuoio alla sua sinistra, accanto ad un altro coniglietto di peluche e un paio di mele e si alzò. Quando levò il viso, Kanae gli rivolse uno sguardo perplesso e Begbie temette di perdersi nelle profondità rossastre dei suoi occhi color rubino. “Che ha da guardare?”
“Nulla”, rispose timidamente lui. “Solo… A che servono quei conigli?” disse, accorgendosi troppo tardi della stupidità della domanda.
Kanae abbassò lo sguardo sulla borsa. “A rompere le palle”, rispose. “Ogni tanto ne peschiamo qualcuno che bazzica per il centro e lo facciamo fuori. Se non altro, ci becchiamo due stipendi.”
“Ah.”
Fu solo allora che Begbie si accorse della stravaganza del suo costume: un piccolo cilindro da prestigiatore, il corpetto in pelle aperto sul davanti, la minigonna di pizzo, le scarpette da scolaretta… e a quanto questo la rendesse sexy.
“Vogliamo andare?” domandò Kanae, secca.
Begbie sbatté le palpebre, confuso, e tornò a guardarla in viso. “Oh. Certo, certo.”
Be’, rifletté, alla fine poteva rivelarsi una vacanza piacevole, anche se si trattava solo di un ologramma virtuale. D’altronde, la Borderless era sempre la Borderless.

Grazie per il disturbo.
P.S.: Se posso permettermi, volevo consigliare un libro a Gamberetta: si intitola “Ghosts” ed è un’antologia di racconti di Joe Hill, che spazia dall’horror al mainstream, anche se regala uno sguardo più o meno a tutti i generi della narrativa.

#185 Comment By Gamberetta On 27 giugno 2011 @ 23:15

@Cody. Gli elementi presenti nel disegno compaiono tutti, dunque come descrizione è buona. Probabilmente potevi tagliare un po’ all’inizio e alla fine, lasciando in pratica solo l’incontro tra Jim e Kanae, ma anche così può andare.

Qualche osservazione:

Il cielo incorniciava i vecchi palazzi in stile XXII secolo, così spogli, stinti e squadrati, più simili a magazzini che ad abitazioni vere e proprie, i cui profili facevano a cazzotti con la sua rosea delicatezza.

In questo passaggio ci sono due problemi: il primo è che usi un po’ troppi aggettivi: vecchi, spogli, stinti, squadrati. In più che sembrano magazzini e sono del XXII secolo. Se tieni solo palazzi “spogli” e “squadrati” è sufficiente, anche perché nel disegno non paiono né particolarmente vecchi né particolarmente futuristici.
Il secondo problema è quel “cazzotti” e “rosea delicatezza”. Il problema è che difficilmente un personaggio pensa sia un termine “terra terra” come “cazzotti” sia un’espressione poetica come “rosea delicatezza”. Dunque meglio tagliare e dire semplicemente che il cielo era rosa, tra l’altro sarà poi il lettore a decidere se questo fa a “cazzotti” con palazzi spogli e squadrati.
Vedi anche più avanti quando dici: “[...] Begbie temette di perdersi nelle profondità rossastre dei suoi occhi color rubino.” Troppo “poetico”. Gli occhi sono rossi. È sufficiente.

Begbie si voltò e, per un attimo, credette che a parlare fosse stata la sagoma scura dell’uomo-coniglio di fianco a una galleria sul fondo della piazza.

Qui la situazione è semplicemente troppo forzata. Invece di questo far finta di sentire, secondo me puoi mettere tranquillamente che l’uomo-coniglio passava di lì.

[...] ma, quando le fu più vicino, le parole gli morirono sulle labbra.
Cristo santo, pensò.
Non era stato solo l’AK-47 che stringeva nella destra a bloccarlo, ma tutto quanto il pacchetto. I capelli color menta, il mento a punta, il costume da pin-up sadomaso… la sua stessa essenza. Begbie fu colto da una leggera vertigine.

Due cose. 1) se inverti l’ordine dei pensieri viene meglio:

[...] ma, quando le fu più vicino, le parole gli morirono sulle labbra.
La ragazza stringeva nella mano destra un fucile AK-47.
Cristo santo, pensò Jim.

2) La parte dopo, in particolare “il costume da pin-up sadomaso”, la taglierei inserendo invece qui la parte con la descrizione dettagliata degli abiti che hai messo più avanti. Va anche bene “diluire” le descrizioni, ma come hai fatto tu suona artefatto. Se vuoi mettere una descrizione precisa degli abiti, è questo il punto giusto.

Fu solo allora che Begbie si accorse della stravaganza del suo costume: un piccolo cilindro da prestigiatore, il corpetto in pelle aperto sul davanti, la minigonna di pizzo, le scarpette da scolaretta… e a quanto questo la rendesse sexy.

Qui usi termini concreti e abbastanza precisi, dunque questo stralcio di descrizione è decente. Però ha il difetto che è un po’ statica. Ti propongo un’alternativa, che anche trasforma da “raccontare” a “mostrare” quel “sexy”. E che rendere Jim un mezzo maniaco. Pazienza. ^_^

“Questo corpetto è micidiale” disse Kanae “Sto soffocando”.
La ragazza posò il fucile sul gradino. Si sciolse il fiocco sulla scollatura. “La fortuna di avere i laccetti sul davanti!”
Jim deglutì. Avrebbe voluto carezzarle i seni, fare scorrere le mani sotto la minigonna di pizzo, sfilarle le scarpette da scolaretta e baciarle le caviglie.
Kanae si tolse il cappellino da prestigiatore e glielo premette contro la faccia. “Piantala di guardarmi le tette!”

Il finale stile anime penso che concordi bene con il disegno e il nome “Kanae”. Il punto comunque è che adesso ho descritto gli stessi dettagli ma li ho calati in una serie di azioni (e di conflitto).

In ogni caso ribadisco che è un buon esercizio. Ci sarebbero altri dettagli da correggere, ma esulano un po’ dal discorso descrizioni e perciò li rimando ad altro Manuale.

Grazie per il consiglio di lettura, me lo segno.

#186 Comment By Cody On 28 giugno 2011 @ 11:07

Ok, grazie mille per i consigli! Giusto per sapere, l’atteggiamento del protagonista suona un po’ forzato, oppure è abbastanza naturale?

#187 Comment By Dafne On 3 luglio 2011 @ 01:16

Anche io ho letto diversi manuali di scrittura (italiani), ma sinceramente non li ho trovati tanto buoni da risultare imprescindibili. Un’interessante alternativa è “Amata scrittura” di Dacia Maraini, perchè affronta la questione coinvolgendo altri scrittori (come Camilleri o la Allende) che spiegano il perchè e il per come delle loro scelte stilistiche.
Detto ciò mi cimento anche io nell’esercizio, giusto perchè dovrei studiare per un esame di filosofia e non me ne cala.
PS: Mi sa che è uscito un racconto vero e proprio più che una descrizione, ma è uscito da solo, ma non è troppo lungo. Spero non sia troppo una cagata visto che perderai del tempo a leggerlo ;)

Fu un’inaspettata brezza a ridestarlo dal torpore. La cappa di aria calda e immobile si stava diradando. Soffocava l’ala Est della città, da giorni, l’ultimo regalino delle bombe al Napalm. Ma almeno l’ala Est c’era ancora. “Maledetti ominidi!”- era tutto quello a cui riusciva a pensare il Comandante Karotòn – “Si staranno abboffando ancora con i resti dei miei soldati. Arrosto di coniglio bell’e servito! Bestie!”.
Era reduce da tre giorni di appostamenti al porto. Riusciva a sentire ancora quel maledetto odore. Pesce rancido ecco cos’era, pesce rancido che ammorbava tutto. Che ammorbava lui, ce l’aveva addosso e non sarebbe più riuscito a liberarsene. Emanava da ogni lembo della sua pelliccia. Pelliccia?! Piuttosto un cencio spelacchiato! Forse una volta lo era stata, una pelliccia, dal colore del petrolio e lucente come l’ebano, a giocare di contrasti con le sue orecchie, lunghe, bianche, orgoglio e marchio della sua famiglia. I Karotòn! Rinomati in tutto il Reame Conigliese, la cui stirpe resisteva fin dai giorni della creazione dei primi esemplari degli Homocuniculus. E ora sarebbe toccato a lui vedere la sua razza soccombere e scomparire.
Si massaggiò il collo cercando un po’ di sollievo dalla stanchezza, dai ricordi.
Se quella era l’unica vita possibile per gli uomini-coniglio, meglio la morte. E vide che era rosa. Il cielo era rosa. Era già il crepuscolo. Solo allora, l’urgenza del suo dovere ripiombò sulle sue spalle, curvandole sotto quel peso gravoso, e facendogli reclinare la testa nuovamente verso terra: “E’ già il tramonto, ti vuoi muovere!” – intimò verso la figura che armeggiava sugli scalini ai suoi piedi.
Forse per la stanchezza o più sicuramente per la sorpresa, non emise un fiato quando incrociò gli occhi di una ragazza. Una ragazza umana, lì, nel pieno dell’avanguardia conigliese. “Sono carina vero?!” cinguettò la ragazza e schioccò un bacio soffiandolo nella sua direzione. “Sei ridicola Grovieras, ma come dannazione ti sei conciata!” – urlò il Comandante, allargando le braccia, esasperato –“ Io non l’ho mai vista un’umana andare in giro vestita così! Lo sapevo che era una sciocchezza, affidare una missione tanto delicata nelle mani di una svampita!”. Ma neanche i suoi urli di stampo militare l’avrebbero scomposta, lo sapeva bene Karotòn. Nessuno dei suoi soldati era mai riuscito a tenergli testa come quella coniglietta. Infatti, Grovieras continuò tranquillamente ad attaccare adesivi di conigli rosa sul calcio di un fucile e rispose melliflua, anticipando un’altra prevedibile esplosione di rimbrotti: “Lo sto solo abbellendo…non ti alterare: ho studiato la mia parte alla perfezione, guardami? Neanche mia madre mi riconoscerebbe, sembro umana al 100%. Non sono una principiante e lo sai. Tu lo sai più di tutti”.
Sì, lo sapeva. E doveva ammettere che quegli intrugli che facevano cadere il pelo e acquistare sembianze umane per qualche ora, erano miracolosi.
“E comunque” – continuò la ragazza prima di perdere la sua attenzione – “è così che piacciono le donne agli ominidi.” Karotòn storse le labbra in un’espressione di disgusto. Il corpo delle donne umane, più che quello degli uomini, l’aveva sempre disgustato, così nudo, senza soffice e profumata peluria…sembravano morte. Grovieras se ne accorse: “Certo è una mise un tantino ridicola lo ammetto, ma sono ominidi che ti aspetti!”.
Squadrò perplessa il suo abbigliamento: un corpetto nero le cingeva il busto, lasciando scoperte le braccia, e parti dei seni e del ventre comparivano tra i lacci troppo lenti. Cercò con le mani il fazzoletto di stoffa arancione e pizzo che aveva per gonna e che a malapena le copriva il pube. Calata nella parte, carezzò con lascivia una gamba e indugiò sul ginocchio, a stringere il nastro che le serrava le calze bianche. Risalì, sfiorando con le dita il polso stretto in un guanto nero che lasciava le dita scoperte, quindi attraversò le braccia, il collo circondato da un collare nero e rosso, intrecciò le dita tra i capelli turchini e scostò da un lato un piccolo cilindro nero, adornato da un grosso fiocco rosa. “Questo è un tocco di classe che ho aggiunto io” disse e sorrise salace – “Visto che gli ominidi pare non vogliano che noi siamo altro che dei conigli in un cilindro…”. “Tu devi essere un coniglio in una torta, invece!” abbaiò Karotòn -“e smettila di mangiare quella mela!”. Grovieras sbuffò, lasciò che la mela rotolasse sugli scalini e concluse: “Sì sì, lo so, melo hai ripetuto cento volte: mi intrufolo nella torta finta, sculetto in giro per la festa del Generale, me ne vado in camera sua e lo sgozzo. Poi dissemino qualche coniglietto-bomba in giro…eccoli, non sono pucciosissimi?” afferrò il coniglietto di pelouche abbandonato sullo scalino, lo accarezzò e lo depose in una borsa: “Missione compiuta. Zimbambum. Non avrai neanche il tempo di farti un saltello che tornerò da te e non ti lascerò più. Contento?” concluse e lo fissò.
Poteva anche avere le sembianze di un’umana, ma quegli occhi rotondi, rosa, capaci di sorridere vezzosi, erano solo i suoi. “Non ti manderei se sapessi che non puoi farcela” sussurrò il Comandante, e distolse lo sguardo subito dopo. Grovieras si alzò, scese gli scalini in modo da dargli le spalle. Disse: “Non hai scelta. Guardati intorno: siamo già un ricordo”. Karotòn fissò i palazzi allungarsi in grandi ombre, come bare pronte a ricoprire tutto. In quella parte della città, l’architettura conigliese era quasi scomparsa, i palazzi erano squadrati, di chiara matrice umanoide e solo qualche decorazione a porte e ringhiere, conservava segni del loro retaggio. Un uomo-coniglio attraversò la strada strascicando i piedi e si confuse tra le ombre sempre più lunghe dei palazzi.
Anche Grovieras cominciò ad allontanarsi. “Allora… ti aspetto” disse Karotòn e subito aggiunse con voce più atona: “Ma prima di venire da me, vedi di tornare normale”. La coniglietta si girò, gli occhi come lumini rosa nella penombra, gli regalarono un ultimo sorriso vezzoso. Poi scomparve, inghiottita dalle ombre dei palazzi.

#188 Comment By riflessione On 3 luglio 2011 @ 02:40

Per la parte riguardante le regole da seguire, niente da obbiettare, corrette e interessanti, per non dire copiate da altri siti.
però mi affligge un dubbio…
Hai pubblicato qualcosa tu? non a pagamento, si intende… no perché per le critiche che muovi nei confronti degli altri, o sei ai livelli di Shatzing (come minimo) o semplicemente ti rode perché tra gli scaffali delle librerie non c’è niente di tuo.
In riferimento a “buio” soprattutto sei stata piuttosto critica… iniziamo allora!
Un male che non si può immaginare tecnicamente è indice di dolore estremamente acuto, si usa anche a livello ospedaliero, nel caso tu non lo sappia… e sono un infermiere, quindi LO SO. Un termine simile indica il peggior dolore immaginabile, per alcuni è, come detto dall’autrice, un arto reciso, per altri un unghia incarnita… è il lettore che deve dare l’immagine, non l’autore. Spesso una descrizione dettagliata fa perdere il senso della cosa, rendendola agli occhi del lettore solo una fotografia, anzi, un disegno. E’ scontato che, se chi legge non ha la minima immaginazione, non può capire il senso della frase. Sono d’accordo sulla sbrodolata di aggettivi per descrivere le amiche, ma si torna al punto di partenza; se non hai fantasia, non puoi immaginare queste persone e necessiti di “qualcosa a cui il lettore possa aggrapparsi”, ovvero descrizioni fisiche e aggettivi concreti. Se mi parli di una persona solare, mi vengono in mente amiche e amici con questo carattere, li associo a loro, oppure creo il personaggio nella mia mente, che non per forza dev’essere fisicamente visualizzabile, ma semplicemente ogni volta che aprirà bocca, penserò che “è quello simpatico e più vivace” o “il casinista”.
Concordo sulla parte dei termini astratti, poteva essere scritta meglio, però non aggiungendo niente di più.
L’immagine dello strumento a fiato sott’acqua per me era bella e rendeva bene l’idea. l’acqua ovatta i suoni e li rende gravi, fa arrugginire il metallo e distorce orribilmente il suono. L’ideale, per descrivere una voce roca. Ma a te serve sapere lo strumento e… hei, perché non ti chiedi anche chi era il proprietario? magari il musicista di una nave da crociera che, ubriaco, ha fatto cadere il suo strumento in mare! Oppure un clown che ha fatto uno spettacolo sulla spiaggia, ma il figlio di quell’imbecille di Francesco gli ha lanciato il flauto in mare!!! o… un lago?
La bellezza astratta! Altro punto interessante! Perché corrispondere a un canone di bellezza è male? perché ritenersi belli così come si è è sbagliato? Deve esserci un difetto? mah, è stata forse la parte meno sensata!
ah no scusa. Dimenticavo. I ragazzi che stanno in cortile! il tuo commento era A CASO! Perché erano fuori? perché fumavano, perché gli andava, perché le lezioni non erano ancora iniziate, perché bruciavano! Ma chi se ne frega!!! vedono una bella ragazza al primo piano che passa lungo il corridoio, FINE. che centra il pedinare?! ma ti leggi quando scrivi? io… io non capisco, più leggevo più mi sbalordivo della tua arroganza e presunzione!
ah si, e se gli autori fantasy sono più scemi di un topo, non voglio dire quello che sto pensando, perché credimi sulla parola, è molto peggio!!!

e con questo, saluto te e la tua bocca larga!

#189 Comment By Momo On 3 luglio 2011 @ 11:56

Non vorrei commentare, ma non resisto. E’ evidente, “riflessione”, che non solo non hai letto i criteri in base ai quali vengono recensiti i libri in questo blog (che non sono quelli della “literary fiction”), ma non ti sei neppure accorto che Chiara ha presentato su questo stesso blog la bellezza di 3 romanzi (di cui uno ancora in home page).

Perciò, al di là del merito delle tue critiche (che sono tutto un programma), ti conviene prepararti un po’ meglio, se vuoi essere preso sul serio.

Ciao.

#190 Comment By Dafne On 4 luglio 2011 @ 16:29

@ riflessione:

è il lettore che deve dare l’immagine, non l’autore. Spesso una descrizione dettagliata fa perdere il senso della cosa, rendendola agli occhi del lettore solo una fotografia, anzi, un disegno. E’ scontato che, se chi legge non ha la minima immaginazione, non può capire il senso della frase.

Come può il lettore visualizzare ciò che legge se non gli viene illustrato? Certo può fare uno sforzo, ma è proprio qui il punto: se il lettore deve fare uno sforzo il libro non è scritto bene. Le descrizioni sono parte integrante di una storia, non c’è solo quello chiaramente, ma senza un contesto e i suoi elementi delineati al meglio, sarebbe come vedere un film in cui tutti i personaggi sono collocati in un paesaggio asettico, ognuno la copia dell’altro.
Un buon libro è in grado di fornire tutte le informazioni di cui il lettore ha bisogno senza che il lettore stesso se ne accorga. Deve potersi ritrovare nella storia, viverla e non accorgersene, e lo scrittore deve agevolarlo al massimo, non solo con le descrizioni chiaramente: se queste diventano una sfilza di frasi concentrate solo sul contesto e slegate dallo scorrere degli eventi, si ha lo stesso una pessima scrittura.
Ma questo è l’ABC. Questioni come “le parole astratte sono importanti”, non hanno senso, ogni parola può essere usata, ogni concetto definito, solo che bisogna saperlo fare. Sennò poi si hanno casi orripilanti, come questo:

Seline, sempre allegra e curiosa, sarebbe capace di vivere una settimana solo facendo shopping. Agatha, taciturna e introversa, è indipendente e determinata. E Naomi, vivace ma equilibrata, è una di quelle che dicono sempre quello che pensano.

Andiamo…è davvero illegibile, scrittura da terza elementare. Anzi è probabile che perle del genere siano proprio residuo di insegnamenti scolastici, la convinzione che se usi parole belle e profonde e i loro sinonimi appaccicati uno dietro l’altro, allora sei bravo a scrivere.

Per quanto riguarda:

Fuori, il solito gruppetto di ragazzi mi fissa mentre passo nel corridoio affollato del primo piano.

… l’unico senso che conferisco a questa frammento è: “Guardatemi sono così figa che tutti questi adolescenti arrapati mi vorrebbero violentare. Ma sono anche una ragazza giudiziosa e quindi questo mi fa orrore. E poi sono alternativa io eh… mica come le mie coetanee che si mettono in mostra apposta!”.

Davvero Riflessione, tu a questo punto non avresti gettato via questo libro?!

#191 Comment By Gamberetta On 5 luglio 2011 @ 01:36

@Dafne. Parlerò solo delle parti descrittive perché giudicare il racconto nel suo complesso sarebbe troppo lungo ed esula dallo scopo dell’esercizio.
La descrizione nel complesso c’è, anche se così diluita in forma di racconto è molto più lunga di quello che potrebbe essere. E in generale sprechi un po’ parole ribandendo più volte lo stesso concetto.
Esempio:

E vide che era rosa. Il cielo era rosa. Era già il crepuscolo. Solo allora, l’urgenza del suo dovere ripiombò sulle sue spalle, curvandole sotto quel peso gravoso, e facendogli reclinare la testa nuovamente verso terra: “E’ già il tramonto, ti vuoi muovere!”

Basterebbe scrivere, per esempio:

Il cielo si era tinto di rosa. Merda è già il tramonto! Devo sbrigarmi. Karotòn abbassò il capo e riprese a camminare.

O anche:

Infatti, Grovieras continuò tranquillamente ad attaccare adesivi di conigli rosa sul calcio di un fucile e rispose melliflua, anticipando un’altra prevedibile esplosione di rimbrotti: “Lo sto solo abbellendo [...]”

Si può tagliare tantissimo senza intaccare il significato e aumentando la scorrevolezza:

Groviera attaccò un altro adesivo di coniglio rosa sul calcio del fucile. “Lo sto solo abbellendo [...]”

Leggi il Manuale – 3 sul mostrare, spesso “racconti” e poi “mostri”, il raccontato lo puoi tagliare senza problemi.
Tornando alla descrizione. La parte dove descrivi la ragazza, o meglio i suoi abiti:

Squadrò perplessa il suo abbigliamento: un corpetto nero le cingeva il busto, lasciando scoperte le braccia, e parti dei seni e del ventre comparivano tra i lacci troppo lenti. Cercò con le mani il fazzoletto di stoffa arancione e pizzo che aveva per gonna e che a malapena le copriva il pube. Calata nella parte, carezzò con lascivia una gamba e indugiò sul ginocchio, a stringere il nastro che le serrava le calze bianche. Risalì, sfiorando con le dita il polso stretto in un guanto nero che lasciava le dita scoperte, quindi attraversò le braccia, il collo circondato da un collare nero e rosso, intrecciò le dita tra i capelli turchini e scostò da un lato un piccolo cilindro nero, adornato da un grosso fiocco rosa.

è abbastanza buona. Però forse sarebbe stato meglio spezzarla un po’. In particolare il movimento della mano è un po’ artefatto. Inoltre non si capisce subito che il fazzoletto è la gonna e non un vero fazzoletto. Direi:

Il corpetto nero le cingeva il busto. Dietro i lacci allentati si intravedevano i seni e il ventre. Grovieras si lisciò la gonna di stoffa arancione e pizzo che le copriva a malapena il pube. Carezzò la gamba e indugiò all’altezza del ginocchio, per stringere il nastro che serrava le calze bianche. “Sono una ominide carina?”
Passò le mani fasciate nei guanti neri tra i capelli turchini. Il piccolo cappello a cilindro nero adornato da un fiocco rosa le cadde dal capo.

E manca il collare, ma pazienza, e poi ero stufa di abbigliamento nero! ^_^

#192 Comment By Dafne On 5 luglio 2011 @ 16:29

@ Gamberetta: Insomma ‘na ciofeca! In effetti quello dei rigiri di parole è da sempre un mio problema. Grazie per i consigli riscriverò tutto tenedoli presente ;)

#193 Comment By Andrea On 27 agosto 2011 @ 04:02

Ciao a tutti, visto che è la prima volta che scrivo qui.
So di essere l’ultimo dopo parecchio tempo dalla pubblicazione dell’articolo ma, incuriosito, ho voluto fare un tentativo anche io.
Spero di non far perdere troppo tempo, visto che ne è uscito un mezzo racconto:

“Ah ah ah… non ce la faccio più dalle risate”.
Ringrazio di avere un musetto finto e inespressivo, altrimenti mi si sarebbe già strappato.
Questa volta a Kanade è andata male: sempre in ritardo, nonostante i mille richiami della capo-squadra. Era stata l’ultima promessa – “al tuo prossimo ritardo ti conceremo per le feste!”.
E così è stato: non immaginavo una cosa simile.
Appena Kanade si è fermata, appoggiando la borsa in cui viaggiamo io e il mio collega Jerry, l’ho rovesciata: la parte superiore s’è aperta e me ne sono sgusciato fuori. Lui invece è ancora là dentro, stremato.
Ho iniziato a ridere non appena mi sono voltato verso Kanade.
Lei si era seduta su uno scalino per riprendersi un attimo dalla corsa fatta per raggiungere la piazza del gate: una galleria che porta al Parco delle Meraviglie. Ci toccherà il primo turno di vigilanza.
La prima cosa che ha fatto è stata prendere dalla borsa e addentare una mela rossa: sono fenomenali, un morso e sei a posto per ventiquattro ore. Oltre che curarti dagli affanni.
Unico effetto collaterale: gli occhi diventano rossi, per tutto il tempo. L’ha poi lasciata rotolare giù dagli scalini.
Gli effetti benefici, come sempre, arrivano quasi subito: il suo respiro comincia a essere già più regolare.
Si noterebbe persino da lontano, visto il corpetto che le hanno rifilato: nero, con i bordi rossi. Almeno è un abbinamento di colori che a Kanade piace particolarmente, sono i suoi preferiti: è la stessa delle sue zeppe a caviglia bassa, tenute ferme giusto da una striscia sul collo del piede.
La cosa particolare del corpetto, però, è l’apertura sul davanti, che lascia in vista il ventre e il petto da sotto l’intreccio di un laccio, annodato in un fiocco all’altezza del seno.
L’altra cosa ridicola che l’hanno evidentemente costretta a indossare sono le calze: rosa, un colore che lei non sopporta per niente, ma soprattutto diverse!
Una sale fin sulla coscia destra: non le scende a ogni movimento solo grazie al nastro nero che la stringe.
L’altra non supera il polpaccio, che avvolge con un elastico dorato, in tinta con la sua gonnellina preferita che rigorosamente indossa sopra a quella di pizzo nero.
Alzo ancora lo sguardo e vedo che mi fissa, divertita. Mi fa l’occhiolino.
“Almeno l’ha presa con umorismo”.
Mi metto a fare qualche esercizio per la schiena: mi piace fare un po’ di piegamenti. Approfitto così dello spigolo dello scalino.
Lei intanto si è messa ad aggiustarsi il guanto sulla mano sinistra: è un portafortuna, l’ha scelto per i colori, i suoi preferiti, e per la mancanza delle dita. Ama avere una presa sicura, quando impugna la sua arma: un G3, la migliore scelta tra le armi disponibili. Forse un po’ esagerato.
È talmente presa, nel tenere in mostra la sua arma, appoggiata sul calcio ove si nota l’adesivo della nostra squadra, la testa di un coniglio rosa, che cerca di tirare il laccio del guanto con la bocca.
La cosa non è ovviamente semplice: comincia ad agitarsi e una ciocca dei suoi lunghi capelli verdi le ricade morbidamente sul braccio sinistro. Una striscia della doppia bretella, che sorregge il corpetto, scivola sulla sua spalla destra.
Le si sposta un po’ anche il cappellino: un cilindro nero infiocchettato di rosa. L’ultimo elemento umiliante di quella divisa assurda.
“Forse se molli per un attimo il fucile fai prima!”.
Cielo rosa: è già il tramonto, dobbiamo muoverci.
Mi rimetto in piedi sulle mie zampine, faccio un cenno a Kanade di muoversi e mi avvio verso il mio mezzo di trasporto.
Vedo in lontananza la sagoma nera di un coniglio erectus che è appena sbucata dal gate: tra poco scatterà il coprifuoco. Non è concesso alla gente comune rimanere fuori, oltre quell’orario.
“Si parte!”

#194 Comment By Valentina On 6 novembre 2011 @ 05:42

Ciao, complimenti innanzi tutto per il blog e per l’articolo.
Vorrei chiederti un piccolo “aiuto”. Avrei sempre voluto scrivere un libro/una storia, ma ciò che mi bloccava e mi blocca è, oltre al fatto che riesco a descrivere poco, anche il fatto che utilizzo una quantità enorme di verbi al gerundio…Questo a mio avviso può essere davvero snervante dal punto di vista del lettore. Hai qualche consiglio in merito?
Ho letto qua e là qualche commento, ma non mi sembra ci sia questo “problema”. Nel caso se ne fosse parlato mi scuso.
Buona notte ^^

#195 Comment By Gamberetta On 6 novembre 2011 @ 07:46

@Valentina. Per i gerundi: è raro che davvero una persona compia due azioni contemporaneamente, ed è ancora più raro che sia necessario che le compia, perciò separale. Esempio:

«Che bella giornata!» disse Anna ridendo.

diventa:

Anna rise. «Che bella giornata!» [e tra l’altro il disse adesso si può togliere perché è sottointeso]

Oppure:

Anna bevve un sorso di cioccolata sedendosi sul divano.

diventa:

Anna si sedette sul divano e bevve un sorso di cioccolata.

Dopodiché se è vitale che Anna beva proprio durante il gesto di sedersi puoi pure lasciare il gerundio, ma in generale puoi spezzare le azioni senza danno. Così elimini i gerundi che ti paiono di troppo.

#196 Comment By Dan On 6 novembre 2011 @ 12:45

E’ raro che una persona compia due azioni insieme…?
Se della banalità descritta, io direi che sia più che vitale, invece.
A meno di non figurarsi degli automi che o ridono o si girano, o parlano o fanno lo sguardo triste… Mille e mille azioni c’investono e ci parlano, mentre noi a malapena ce n’accorgiamo: individuarne un paio, per due personaggi che si vogliono render vivi, è quanto di più naturale (io trovo).

#197 Comment By Aigor Frankenston On 9 gennaio 2012 @ 22:26

Non sò se e ancora valido ma posto il mio compitino, chissa se ho le qualità per essere un autore fantasy italiano XD

Ero stanco la nottata era stata dura ,l’armatura da coniglio rinforzato cominciava a pesarmi per colpa dei rinforzi in kevlar e ceramica ma d’altronde si trattava di soppravivenza ,quando un mustelide di 3 metri di lunghezza ti annusa e decide che potrebbe affondare le sue zanne lunghe 20 cm nel tuo corpo, delle protezioni supplementari facevano la differenza.
Fortunatamente oltre la Grumo Black e una buona copertura sanitaria , avevo la migliore assicurazione che la Hunter Agency poteva fornirmi , Marie la mia partner.
Mentre mi dirigevo verso il furgoncino parcheggiato nel vicolo tra due vecchi palazzi il cui intonaco scrostato e l’edera rampicante lasciavano trasparire i fasti di un tempo , quando la zona dove ci trovavamo era un grande outlet di abbigliamento, ma ormai rimanevano solo negozi con vetrine vuote e qualche vecchio cartello recante sconti.
Mi girai verso di lei , si era seduta sui gradini consunti di un vecchio negozio di vestiti ormai abbandonato , non era altissima , i suoi lunghi capelli verde mare erano sciolti e le cadevano scomposti sulle spalle , il nastro rosa con cui era solita legarli era passato intorno al piccolo cappello a tuba che portava appoggiato su di un lato della testa,il corpo esile era stretto in un corpetto di cuoio nero allacciato con un fiocco di cuoio sul davanti che scopriva una abbondante striscia di candida pelle, che ne accentuava le curve e lascia poco all’immaginazione sui suoi seni , le finiture rosse del corpetto si intonavano con i suoi occhi color rubino, la gonnellina di seta gialla e pizzo nero e le lunghe calze rosa sopra al ginocchio completavano quello che lei definiva “La divisa delle antiche guerriere” che aveva trovato su un vecchio giornale pre- mutazione , per fortuna la sua stranezza riguardo al vestiario era compensata da una mira e una conoscenza della armi pari a quelle di veterano di guerra , riusciva a centrare una faina mutata fra gli occhi a 100 metri di distanza , al solito mentre si levava il guanto senza dita con il suo solito rituale si snodare i lacci con i denti, teneva il suo fucile automatico con la mano destra , era lungo la metà di lei , sul calcio color verde militare portava il chip rabbit della Hunter Agency che registrava i dati delle battaglie, accanto a lei dalla sua borsa spuntava uno dei suoi coniglietti porta fortuna e una delle mele rosse di cui aveva grande passione.
La chiami ma improvvisamente ………..

#198 Comment By ezra On 21 gennaio 2012 @ 10:04

Ciao Gamberetta!
Ti chiedo un parere. In realtà credo tu ne abbia già parlato qui sul tuo blog (o forse è stato il Duca sul suo?) ma non riesco a trovarlo. Visto che concerne il “punto di vista”, posto la mia domanda qui. Dunque. Se volessi per un paragrafo posizionare il punto di vista su un animale, in questo caso cosa suggerisci? (Magari suggerisci di evitare). Ma mettiamo che voglio far attraversare un quartiere da un gatto. Le descrizioni, in questo caso, presumo debbano tenere conto della “personalità” dell’animale in questione. Quindi, immagino, la descrizione del suo tragitto terrà conto soprattutto di quegli elementi che potrebbero destare l’interesse del gatto. Probabilmente nel suo tragitto egli sarà attratto e vorrà evitare determinate cose (cibo, odori, nemici, ecc.). Quindi credo che durante questo percorso, il tutto sarà condizionato magari dalla sua ricerca di cibo. Percorrerà delle vie e vedrà cose che un uomo magari non nota. In questo senso, assumendo il punto di vista del topo, nella mia descrizione dovrò descrivere anche questo interesse e quindi soffermarmi su questi particolari tralasciandone altri? Insomma, la geografia mostrata in questo caso sarà piegata agli interessi del gatto? Se la risposta è sì, fin qui tutto bene. Ma il linguaggio da utilizzare per queste descrizione come dovrà essere? Nel senso, se il punto di vista è posizionato su un medico, la narrazione sarà fatta “da medico” (quindi occorre far proprio un lessico adatto alla categoria). Ma nel caso del gatto? Magari consigli di optare per frasi brevissime, quasi si trattasse di catalogare lo spazio che il suo interesse gli apre davanti? Oppure credi si possa narrare normalmente, quindi come se fosse una persona, seppure con i suoi strani gusti tipicamente “gatteschi”?

Esempio, se durante il suo cammino il gatto incontra una persona, cosa si fa? Ecco potrei scrivere: “in piedi, accanto a un bidone delle immondizie, c’era un uomo che indossava un cappotto di lana cotta. Il topolino si fermò e annusò l’aria. ecc.”? – tuttavia, si presume, il gatto dovrebbe essere privo dei concetti di “cappotto” e di “lana cotta”… (e magari anche di “bidone delle immondizie” e di “uomo”). In questo caso la descrizione deve omettere certi particolari e attenersi al minimo essenziale?

Grazie infinite!
Ciao, Ezra

PS. Sono ben accetti anche i suggerimenti dei frequentatori del blog!
PPS. Gamberetta, se ti ricordi dove hai parlato del punto di vista posto sugli animali, mi accontento del link… so quanto sei presa in questo periodo.

#199 Comment By ezra On 21 gennaio 2012 @ 10:10

In questo senso, assumendo il punto di vista del TOPO, nella mia descrizione dovrò descrivere anche questo interesse e quindi soffermarmi su questi particolari tralasciandone altri?

Volevo dire “assumendo il punto di vista del GATTO”

“in piedi, accanto a un bidone delle immondizie, c’era un uomo che indossava un cappotto di lana cotta. Il TOPOLINO si fermò e annusò l’aria”.

Volevo scrivere: “in piedi, accanto a un bidone delle immondizie, c’era un uomo che indossava un cappotto di lana cotta. Il GATTO si fermò e annusò l’aria” (scusa, avevo fatto l’esempio con un topo, poi l’ho cambiato con un gatto senza correggere)

Ah. Chiaramente si tratta di una narrazione in terza persona, non in prima.

#200 Comment By simone On 2 aprile 2012 @ 20:53

Gran bel blog, davvero, un mix tra ironia, insegnamento e critica. Mi associo a chi dice di aver imparato più qui sulla scrittura creativa che in tutti gli anni di liceo. Ti propongo il mio tentativo, dimmi che ne pensi.

Non avevo ancora percorso un centinaio di metri, quando il costume riprese a darmi problemi. Scocciata, gettai un’occhiata al lato della strada per trovare un posto dove risistemarmelo in pace. Scelsi un anonimo condominio, e mi buttai sopra gli scalini che conducevano all’entrata; nel movimento, lasciai cadere la borsa. Nessuno nella strada, in quel momento deserta, poté vedere i due coniglietti di stoffa rosa e la mela morsicata che si riversarono sugli scalini. Mi sfuggì un ghigno al pensiero della faccia che avrebbe fatto un passante di fronte a quel bizzarro contenuto. Se poi quel passante avesse alzato gli occhi sulla proprietaria della borsa avrebbe goduto di un vero spettacolo dell’assurdo. Mi imposi di concentrarmi sul guanto intrecciato di pizzo nero e rosso della mano sinistra, le cui cuciture continuavano a sfilarsi in corrispondenza del dorso. Per l’ennesima volta presi tra i denti il filo incriminato e tirai, sentendomi un’idiota perché avrei potuto benissimo usare l’altra mano, ma non volevo staccarla dal mitra verde mimetico, con l’adesiva rosa di un coniglio stilizzato sul calcio, che tenevo con la punta rivolta verso l’alto. Quella posa, con l’arma appoggiata alla spalla, mi dava una certa aria da soldatessa a cui non volevo rinunciare neanche per un momento. E quella sera mi sarebbe servito tutto lo spirito combattivo che ero in grado di evocare per farmi notare da lui. Mentre portavo a termine l’operazione del guanto, una ciocca di capelli color verde acqua, freschi di tintura, mi coprì il viso. La scostai con lentezza, aggiustandomi anche la tubetta incorniciata da un fiocco rosa che avevo scelto come ulteriore mossa strategica per incuriosirlo, o meglio, intrigarlo. Volevo ottenere quel risultato, e non mi ero certo limitata, sensazione che ebbi modo di confermare quando riassettai il corpetto di velluto, aperto sull’addome quanto basta per far fantasticare anche il maschio più resistente, e soffiai per togliere qualche granello di polvere dalla minigonna color pesca. Osservando le calze bianche, di due lunghezze diverse, che scomparivano dentro i sandali con le zeppe scuri e chiusi davanti, constatai soddisfatta che la combinazione tra seduzione e innocenza era stata resa alla perfezione. Quanto al gusto per l’eccentrico, beh, speravo che la scelta stilistica avrebbe prodotto l’effetto voluto. Quello di far stampare i suoi occhi su di me.
Mi rialzai in piedi. Con la coda dell’occhio, scorsi un coniglio gigante in fondo alla strada, con ogni probabilità diretto verso la mia stessa meta. La gente aveva dato libero sfogo alla propria vena nonsense per la festa. Questa in un certo senso era una cattiva notizia, forse lui non mi avrebbe distinta tra la marmaglia di strani figuri che avrei trovato là.
Ora il cielo appariva rossastro, quasi tendente al rosa, come se avesse deciso di rendere omaggio alla mia stravaganza vestendosi di quella tonalità inusuale, non propria. Raccolsi borsa e contenuto e mi diressi verso la festa.

#201 Comment By peyton On 22 maggio 2012 @ 20:05

E’ meglio se non leggi Hunger games allora, Gamberetta. Tutto le regole di scrittura che hai illustrato nel pezzo sulle descrizioni, sono bellamente ignorate, calpestate, martoriate e allegramente trucidate. Sappilo.

#202 Comment By Gamberetta On 23 maggio 2012 @ 12:20

@peyton. Lo so: quando è uscito in Italia il primo volume della serie, ho ricevuto una mail da Mondadori che mi chiedeva se volevo che me lo spedissero per recensirlo; allora ho scaricato l’ebook dell’edizione inglese, ho letto le prime pagine e ho pensato che era un’egregia porcheria. Dopodiché non mi sono più occupata di Hunger Games.

#203 Comment By Solvente On 23 maggio 2012 @ 13:05

La Mondadori ti chiede di fare delle recensioni? Very strange, indeed

#204 Comment By Gamberetta On 23 maggio 2012 @ 13:18

@Solvente. È normale: regolarmente le case editrici mandano libri ai blog/siti un minimo frequentati per avere recensioni. La Mondadori ha smesso da quando mi ha chiesto di fare pubblicità a Licia e io ho risposto in malo modo. Vedi qui.

#205 Comment By Solvente On 23 maggio 2012 @ 13:41

Ah! Non lo sapevo. In effetti, ha senso: un modo facile per far pubblicità ai loro libri.
Lo chiedono a titolo gratuito, oppure propongono un pagamento?

#206 Comment By peyton On 23 maggio 2012 @ 16:48

@Solvente: so di case editrici che richiedono recensioni senza pagare niente, ma una così importante come la Mondadori, se ha l’ardire di chiederlo a Gamberetta che ha avuto spesso da ridire sulle sue scelte editoriali, immagino abbia il buongusto di pagarla.

@Gamberetta: però sarebbe stata proprio divertente una tua recensione di Hunger Games! Io l’ho letto in italiano, e speravo quasi fosse la traduzione così scadente. Stavo cercando l’e-book in inglese per finirlo in lingua originale, ma se mi dici che anche in quel caso è disastroso lascio perdere proprio -.-.

#207 Comment By Zave On 23 maggio 2012 @ 20:03

quando ho letto la trama di HG mi era sembrato un ripoff di blattle royale, che già non mi era parso un capolavoro e ho lasciato perdere.
(forse anche battle royale è un ripoff di qualcosaltro, non saprei)

#208 Comment By Gamberetta On 23 maggio 2012 @ 20:20

@solvente. / @peyton. La Mondadori non mi ha offerto soldi, e di solito le case editrici non offrono denaro per le recensioni: il libro gratis ed eventuali gadget (segnalibri, poster, ecc.) sono considerati compenso sufficiente. Comunque ogni tanto capita anche qualche richiesta di recensione a pagamento.

@Zave. Il romanzo di Battle Royale è scritto maluccio, invece ho apprezzato il film. Non ho letto il manga. Credo che sia Battle Royale sia Hunger Games traggano ispirazione da un lato da romanzi come Il signore delle mosche di Golding, dall’altro da racconti stile il famoso “La preda pericolosa” di Richard Connell.

#209 Comment By Tapiroulant On 24 maggio 2012 @ 00:51

Il romanzo di Battle Royale è scritto maluccio, invece ho apprezzato il film.

OMG, ma il film è atroce #o#
E i giappi recitano male!
Il manga è un po’ meglio, anche se è prolisso.

Credo che sia Battle Royale sia Hunger Games traggano ispirazione da un lato da romanzi come Il signore delle mosche di Golding

Ecco: Il signore delle mosche è molto bello, benché per Golding la gestione del pov sia un optional.

#210 Comment By Yuki On 24 giugno 2012 @ 18:38

Gamberetta posso farti una domanda? E’ da considerarsi inforigurgito l’espediente di mettere all’inizio dei capitoli estratti di finte cronache, trattati ecc per spiegare fatti accaduti in precedenza?
Grazie in anticipo.

#211 Comment By Gamberetta On 25 giugno 2012 @ 16:22

@Yuki.

E’ da considerarsi inforigurgito l’espediente di mettere all’inizio dei capitoli estratti di finte cronache, trattati ecc per spiegare fatti accaduti in precedenza?

No, perché sono evidentemente fuori dalla narrazione. Il problema è che non è detto che il lettore li legga. ^_^” È un po’ come le varie mappe, o l’elenco dei personaggi o l’appendice con spiegato il funzionamento del calendario nel mondo di Vattelapesca: sono “inforigurgiti” che non danno fastidio perché un sacco di lettori non li guardano neanche.
Perciò al massimo puoi metterli come materiale in più, ma non ci deve essere niente di vitale per la storia. Le informazioni vitali devi integrarle nella narrazione. E nella narrazione ci può stare che un personaggio legga i titoli di un giornale o guardi un poster o ascolti una notizia alla radio o sfogli un libro, ma devono essere incisi molto brevi e ci deve essere una buona ragione perché il personaggio vi dedichi attenzione.

#212 Comment By Yuki On 25 giugno 2012 @ 18:31

Grazie mille :) Il tuo blog è davvero utilissimo.

#213 Pingback By “Show, don’t tell” – Il raccontato visivo | worldofdarkwing.com On 1 agosto 2012 @ 12:57

[...] Descrizioni [...]

#214 Comment By Ombra On 10 ottobre 2012 @ 16:21

Ecco l’esercizio, non penso venga valutato ma mi sono divertito a scriverlo e ho deciso di metterlo :)

Giorno 10 Ottobre, lato sud-est della “Purple Rabbits”, quartiere periferico 718, obiettivo numero 1434. Millequattrocentotrentaquattro come il numero delle missioni affidate al sergente “Ombra”.
John Kraul portava i suoi lenti passi in superficie, in quel cumulo di silenzio e desolazione: abitazioni, palazzi, ponti, fontane, tutto ormai privo di un’utilità.
John proseguiva tranquillo, a suo agio, con le mani nei tasconi del giaccone nero. Scrutava la lancetta bianca risaltare sul suo swatch: vibrava su se stessa in linea retta. Alzò il capo e allungò il passo.
Si fermò 327 metri più avanti, ai piedi di un palazzo bianco di diversi piani. Poco più avanti stanziava un simpatico ponticello a mattonelle, asfalto e staccionate, che si avvallava al centro della strada conducendo ai rispettivi marciapiedi e che spezzava il selciato in due parti distinte: quella in cui stava lui e quella dove l’obiettivo sostava.
John alzò lo sguardo verso il manto propureo: aveva bisogno di una vista panoramica per individuare l’esatta posizione dell’obiettivo senza farsi individuare. Scorse un ponte sopraelevato, ad un’altezza di circa sessanta metri, che collegava il palazzo alla sua sinistra con quello dalla parte opposta. Tutto ciò faceva al caso suo, ma, il tempo per salire l’edificio e raggiungere la quota dove stazionava il tunnel, avrebbe alzato le probabilità che 1434 fuggisse. In quel caso sarebbe stato seccante, anche perché l’obiettivo era dotato di sensori e probabilmente sapeva di una presenza viva oltre alla propria. Ma l’incertezza dovuta all’esatta ubicazione era reciproca.
Un ghigno malefico si materializzò nel volto di John, che aprì la bocca mostrando i denti aguzzi. D’un tratto la sua ombra, fino a un momento fa proiettata sulla parete del palazzo, prese vita propria. Essa si staccò dalla superficie acquisendo tutte e tre le dimensioni: le simpatiche orecchie che salivano in alto per poi piegarsi ad A presero a scodinzolare, mentre le magre braccia uscivano dalle tasche e si impegnavano a sfilare il cappotto e gettarlo a terra in una pozza d’inchiostro. Fu così che la sagoma senza occhi e senza volto prese a camminare verso il ponticello terreno, mentre John imboccava l’ingresso del palazzo senza proferire la benché minima emozione.
L’ombra proseguì con tutta tranquillità, tenendo il volto inscrutabile diritto verso la meta, interpretando la parte di un comune passante in un luogo ormai privo di vita, silenziosa più del silenzio stesso.
Essa camminò per circa cento metri, portandosi al centro della strada e varcando l’arcata tetra del ponte.
La situazione di fronte a lei fu subito chiara: obiettivo 1434. Altro non era che un’innocua fanciulla dalla pelle cadaverica, vestita con abbigliamento lolita e seduta sui gradini di un edificio mezzo diroccato. Presa nell’atto di stringere il laccio del suo guanto nero bordato di rosso, che tanto ricordava il colore dei suoi occhi e del vestito succinto, il leggero moto del vento le muoveva i nastri del fiocco rosa, che faceva da collante al piccolo cappello a cilindro che le pendeva su un lato della testa. Su di essa risaltava una chioma verde acqua, che le cadeva all’indietro ma che lasciava piccole ciocche depositarsi sui seni. Anche la gonna arancione, ornata sui margini da deliziosi merletti neri, si muoveva di continuo a causa della gamba destra, che la ragazza agitava di continuo nell’atto di tichettare con il palmo del piede. Sia la quantità di collanine, che le lunghe calzature bianche, che le scarpette nere in pelle lucidata, le davano un’aria da bambolina. Una bambolina che imbracciava un Kalašnikov di colore verde militare e nero su canna e caricatore. Chissà quante vittime aveva già mietuto quell’affare: quei due fratelli di John, ormai trasformati in carammelline gommose, rappresentavano solo le ultime di una lunga cerchia. Quelle bambole non potevano semplicemente accontentarsi di mangiare delle mele anziché scatenare dei massacri generali? Ahaha, certo che no.
L’ombra colse il segnale e, assicuratasi che 1434 non fosse intenzionato a fuggire, sbucò fuori dal manto nero del sottoponte che fino a un momento fa la teneva celata. Svoltò a destra tenendo lo sguardo sulla ragazza, che però non dava l’aria di essersi accorta della sua presenza.
Quando l’ombra stava ormai per raggiungere la copertura del pianerottolo, la bambola si girò di scatto puntandole il fucile e sparandole in gola con una freddezza implacabile. L’ombra esplose in un globo d’inchiostro che andò a schizzare di nero le pareti del pianerottolo e del ponte fino a formare una chiazza enorme sul pavimento. Nell’istante stesso un rumore lontano di vetro che si frantuma esplose nell’area con una violenza assordante e solo un millesimo di secondo dopo, un foro di 55 millimetri di diametro andò a formarsi sulla fronte della ragazza, che cadde sulle ginocchia allargando bocca e occhi in preda allo stupore, fino a lasciare il fucile e distendersi per terra con un tonfo assordante.

#215 Comment By Alessandro On 2 dicembre 2012 @ 15:51

Ciao @Gamberetta, ho trovato molto utile questo primo articolo, in questo periodo sto scrivendo molto, tenendo conto dei consigli da te raccolti e dei manuali da te consigliati, spero venga una buona storia.
Cordiali saluti Alessandro :)

#216 Pingback By Manuali di scrittura (non miei) | Cal the Pal On 3 settembre 2013 @ 14:31

[...] Manuale sulle Descrizioni [...]

#217 Pingback By Recensione: Shadowhunters – Città di Ossa | Cal the Pal On 17 settembre 2013 @ 21:34

[...] figure rettoriche più carine & coccolose (forse perché sono le uniche che capisco) ma - come ha già detto Gamberetta - esse distolgono il lettore dal contesto, fanno uscire la sua mente dalla scena dirottandola su [...]

#218 Comment By Alexandra On 8 maggio 2014 @ 21:14

Bello, come sito. Anche l’esercizio sulla figura manga è molto interessante per la creatività (ma lo farò dopo aver guardato la figura ancora un paio di volte). Io credo che i manuali di scrittura creativa siano molto utili anche per capire da dove è partita l’ispirazione dell’autore e vederne i risultati nelle opere. E’ una buona scuola (regole a parte). Io segnalo On Writing di Stephen King e Lettere dall’Altrove di H.P.Lovecraft oltre che al saggio con le Regole per Scrivere di Fantascienza, dove ci sono molti consigli rivolti a scrittori in erba come pure pezzi delle sue opere in divenire). Molto bello anche Consigli a un giovane scrittore di Marquez.

#219 Comment By Alexandra On 9 maggio 2014 @ 20:40

L’EQUIVOCO
Sono appena arrivata nella Via Cosplay, in tempo per il Premio Miglior Personaggio dell’Anno.
Nessuno mi aveva preparata all’incontro con Fiknabino, invece, eccola lì.
Per fortuna, non sono da sola.
Con me ci sono due amici, venuti per l’occasione.
Verto e Alo si mettono a ridere.
Io li zittisco:- Siete troppo vicini per fare gli sciocchi. Non vedete che ha un fucile?
Alo mi risponde:- Il problema non è mio, né di Verto. Noi andiamo nel palazzo là in fondo, con i costumi adatti, tu, invece, guarda come sei messa.
Io, stizzita, replico:- Beh, capirai, tu sei conciato come la brutta copia di Darth Vader e Alo è messo anche peggio, la sua versione di Thor è patetica.
Alo gonfia il torace e si sistema il mantello:- Mi faranno entrare senza storie, tu invece, avrai dei problemi.
Io mi sistemo il costume, per caso identico a quello di Fiknabino.
Difatti, la vedo fissarmi con aria bellicosa, mentre tira la stringa con i denti.
Quello è il suo modo di dire che ha il Serbatoio di Pazienza in riserva.
Vorrei correre dietro al Coniglione che se ne sta andando giù lungo la via e dirgli di venire a testimoniare.
È stato tutto un equivoco, all’andata.
Maledetta serie animata di Coniglio Fragolone.
Dovrebbero dare un elenco obbligatorio dei costumi da scegliere per i Cosplay, così non ci sono doppioni.
D’accordo, l’ho abbracciato in tram, scambiandolo per il mio fidanzato Hase.
Fiknabino, che era seduta in fondo, non ha detto niente.
Mi ha guardata, però.
E che lampi rosati di gelosia.
Per cosa ricordo, non aveva il fucile.
Ohi, ohi.
Non mi piace il coniglietto rosa che ci ha messo, è la prima tacca della Nuova Serie delle Vendette Sentimentali.
Vedo la borsa sullo scalino.
Tutti quei coniglietti mi fanno pensare che ultimamente l’abbiano provocata un po’ troppo.
Alo non perde la calma:- Sai, basta saperla prendere.
- E come?- replico io aggiustandomi il vestito fotocopia del suo.
No, non direi.
Lo riempio molto meno bene di lei, visto che il sudore da paura folle mi avrà fatto perdere un paio di chili da quando l’ho vista.
Verto taglia corto:- Insomma, se non lo sai tu. Dille le solite cose, tipo: bello quel cilindro con il nastro rosa, completa a meraviglia il completino con il corsetto nero e la gonnellina color sabbia. I lacci e l’orlo della gonnellina sono rossi. Tipici del tuo buon gusto, come anche il fatto che si noti la sottoveste grigia. Trovo anche geniale la trovata delle calze bianche con la giarrettiera da una parte e il nastro nero dall’altra. Si intonano a meraviglia con le scarpe nere. Che dire poi della genialata del collare indossato insieme a due catenine con i ciondoli portafortuna.
Io intervengo:- Scemo, quelli sono i regali dei suoi ex.
- Ah, beh, allora salta la parte del collo. Falle i complimenti per il guanto e il paramano marrone.
- Ehm, credo che li abbia messi per farmi capire che vuole farmi fuori- gli dico io, con un sorrisetto tirato.
Verto sbuffa:- Chiedile se vuole fare cambio con la merenda che hai in borsa.
- Oh, no- dico io, con le labbra livide dal terrore –non accetterà mai di darmi una delle sue mele per prendere una delle mie tavolette Beau Alpe al latte.
- Perché? Alo e io le adoriamo.
Visto che siamo ormai vicinissimi a Fiknabino, gli sussurro:- È allergica al cacao.
Poi, sperando in un lampo di clemenza dai suoi occhi castani, mi stacco dal gruppo e la saluto:- Ciao, deliziosa la tua nuova pettinatura in verde. Scusa per quello che è successo sul tram. Si è trattato di un equivoco. Eh, i costumi da Coniglio Fragolone sono tutti uguali e poi Hase e Lapin si somigliano molto.
Non ha alzato gli occhi verso di me.
Brutto affare.
- Voglio dire, di statura- mi affretto ad aggiungere.
Alo e Verto ridacchiano mentre io continuo a guardarla, aspettando una sua risposta.
Li sento correre verso il palazzo bianco della manifestazione.
Maledetti, mi hanno lasciata sola con Fiknabino.
Se solo smettesse di mangiucchiare quella stringa e riprendesse la mela da dove l’ha lasciata.

#220 Comment By Fabry On 12 ottobre 2014 @ 19:18

A. mostra a B. L’immagine sul tavolo, chiedendogli un parere.
-Capisco tutto, ma questo no!-
-perchè no è divertente…-
-DIVERTENTE! C’è una cazzo di ragazzina dark, con i capelli verdi, gli occhi rossi e un mitra in mano,
in più tiene anche un cappello del cazzo, che non so come possa stare in quella testa verde… Per non parlare che è un insensato manga-
-trovo che il disegno, susciti il paradosso della ragazzina… l’ho trovato scritto su wikipedia… E che dimostri l’innocenza (la ragazzina)
che tiene un mitra (la violenza) e poi è un manga, e con questo ho detto tutto.-
-si è vero hai detto tutto… hai detto che è una merda.-
-sei il solito Americano Bombardiere…-
-E che cazzo vuol dire e allora tu sei il solita Giapponesino che finge di saper disegnare…-
-guarda che non l’ho mica disegnato io… l’ho trovato su wikipedia; affianco al capoverso del paradosso della ragazza.-
-C’è non lo hai nemmeno disegnato tu… Forse dovresti farti una visitina in certi siti porno( non quelli anime, che rischi solo di peggiorare la situazione)
così almeno torni ad essere umano…-

#221 Pingback By Bacheca – Giuseppe Menconi Narrativa On 20 agosto 2016 @ 18:29

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