Manuali 1 – Descrizioni

In altra sede mi era stato chiesto un articolo che parlasse di manuali di scrittura. È un argomento enorme e dunque ho deciso di suddividerlo per temi.
Ho poi preparato un articolo dove sono elencati i manuali di scrittura presenti su gigapedia (ho messo i manuali che parlano di narrativa in generale e quelli rivolti nello specifico a chi vuole scrivere fantasy/fantascienza, non ci sono i manuali dedicati al thriller o al romanzo rosa o ad altri generi), cercherò di tenerlo aggiornato, ma non garantisco.

Altri articoli nella serie dei Manuali:
• Manuali 2 – Dialoghi.
• Manuali 3 – Mostrare.

Dato che quando parlo di manuali spesso i commenti prendono una piega idiota – “le regole uccidono la creatività!”, “le regole sono fatte per essere infrante!”, “Augusto Pepponi non ha mai seguito le regole, e guardate che capolavori!” – ho già preparato una serie di risposte ai miti più frequenti. Se vi riconoscete nei commenti virgolettati di cui sopra, per piacere leggete. Gli altri possono passare oltre.


Risposte ai Miti

Icona di una stellina Mito: Le regole uccidono la creatività.
Né vero, né falso. Può essere una posizione filosoficamente sostenibile, ma se si parte da questo presupposto, la creatività è già morta e sepolta, ben prima di arrivare ai manuali di scrittura. Dietro un libro ci sono un’infinità di regole: dalle leggi della fisica, alle proprietà di carta e inchiostro, dalle convenzioni tipografiche, fino alle regole dell’ortografia e della sintassi. Una montagna di regole. Difficile credere che la creatività sopporti tutto ciò ma crepi di fronte a una regola di tecnica narrativa.
Viceversa è facile mostrare come le regole stimolino la creatività: se a una persona le si mette davanti un pianoforte e nient’altro, comincerà a battere i tasti a caso, fino a stufarsi poco dopo. Se si aggiunge un corso di musica, lo strumento si trasformerà in un passatempo che divertirà per anni e magari la persona diventerà un compositore.

Icona di una stellina Mito: Le regole sono fatte per essere infrante.
È falso. Ma assumiamo sia vero. Per infrangerle le benedette regole occorre conoscerle. Per superare il limite di velocità bisogna sapere quale sia. A ottanta all’ora puoi essere il ribelle che infrange le regole, oppure puoi essere uno scemo superato da tutti. La differenza è conoscere quale sia il limite su quella strada.
Così, se pure le regole della narrativa sono state ideate per essere stravolte, occorre prima di tutto conoscerle. Dunque bisogna leggere i manuali.

Icona di una stellina Mito: Se tutti seguissero i manuali, i romanzi sarebbero tutti uguali!
È falso. I manuali si occupano del come, non del cosa. Nessun manuale ti dice quali argomenti trattare. Vuoi parlare dei marziani? Delle difficoltà matrimoniali di un tranviere? Di quanto siano belli i tramonti in montagna? Della simpatia dei compagni di scuola? Affari tuoi. I manuali ti dicono solo quale sia il modo più efficace per farlo.
D’altra parte, non mi sembra che siamo pieni di romanzi tutti uguali, nonostante la rigidità delle regole grammaticali. E nell’alfabeto ci sono appena ventisei lettere. Ma così verranno solo parole tutte uguali! Come faremo a esprimerci?
I manuali sono una mappa. Non ti dicono dove andare, ti mostrano solo quali sono le strade per arrivare a destinazione, una volta che l’hai scelta.

Icona di una stellina Mito: I manuali di scrittura non servono, per imparare basta leggere i Classici e i Grandi Romanzi.
È falso. Anzitutto, c’è il problema di decidere quali testi siano i “Classici” o i “Grandi Romanzi”. Ma mettiamo si trovi un accordo e si stabilisca che il tale o il tal altro romanzo è un “Classico”. Leggendolo non si imparerà a scrivere, a meno di non saperlo già fare.
Quando si legge un romanzo, si legge un prodotto rifinito, dietro al quale ci sono magari dieci revisioni dell’autore, due dell’editor, cinque anni di ricerca e documentazione a monte e l’intervento della moglie. Il lettore vede solo la superficie, non si accorge dei meccanismi interni.
Prendiamo che si voglia imparare a costruire automobili imitando le Ferrari. Se non si sa niente di meccanica, si potrà pensare che la caratteristica chiave delle Ferrari è la carrozzeria rossa – non è forse la caratteristica più vistosa? Ma, dipinto un catorcio di rosso, diviene un’auto anche solo lontanamente accostabile a una Ferrari? No.
Per imitare una Ferrari devi guardare sotto il cofano e smontare il motore, ma per farlo, devi già sapere come funziona un motore. Così l’analisi di un “Classico” ha senso solo se già si sa dove guardare. Se già si conoscono i meccanismi e dunque si possono riconoscere i vari ingranaggi.
È un’illusione quella di poter “carpire i segreti” da un “Grande Romanzo”. Non c’è modo di aguzzare la vista senza che qualcuno ti insegni a farlo, indichi dove e cosa guardare, e cosa invece scartare.
Quando qualcuno si vanta di cambiare di continuo il punto di vista – perché lo fa anche l’incommensurabile Augusto Pepponi! – è come il fesso che si vanta di aver dipinto di rosso il catorcio. Eh, bravo, niente da dire, se vuoi fare l’imbianchino hai il futuro assicurato.

500 rossa
Lovecraft riempie i suoi racconti di aggettivi e sono bei racconti. Dunque se anch’io riempio i miei racconti di aggettivi, diventano bei racconti. Le Ferrari sono rosse e sono macchine splendide. Dunque se anch’io dipingo di rosso la mia 500 sfasciata, diventa una macchina splendida

Icona di una stellina Mito: I Grandi Autori non hanno mai letto manuali.
Né vero, né falso. Probabile che ci siano Grandi Autori – Augusto Pepponi su tutti – che non hanno mai letto manuali, ma molti altri non solo li hanno letti, ma li hanno pure scritti, da Louis Stevenson a Stephen King.

Icona di una stellina Mito: I manuali sono noiosi, sembrano i libretti d’istruzioni degli elettrodomestici.
È falso. La narrativa non è matematica. Nessun manuale spiega come montare un romanzo quale fosse un mobile componibile. I manuali danno consigli, offrono alternative motivate, forniscono esempi significativi. Non c’è niente di “asettico” o “forzato”. Lo scopo di un manuale è aiutare l’aspirante scrittore a esprimersi al meglio.
Inoltre i manuali di scrittura sono quasi sempre scritti da scrittori. Il manuale di pesca d’altura sarà stato scritto da un esperto pescatore che forse però non se la cava molto bene con le parole. Il manuale di narrativa è scritto da qualcuno che maneggia le parole per mestiere.
Spesso leggere i manuali è divertente in sé, al di là del possibile insegnamento.

Icona di una stellina Mito: I manuali inglesi funzionano solo se scrivi in inglese.
È falso. La narrativa è su un piano diverso rispetto alla lingua. Le regole della narrativa non cambiano da una lingua all’altra. Si parla di principi generali, non legati all’inglese, al francese o all’italiano. Ogni tanto può capitare qualche consiglio specifico – per esempio quando Stephen King discute del genitivo sassone –, ma sono casi rari. Al 99,9% quello che dicono i manuali inglesi può essere applicato all’italiano senza problemi.

Icona di una stellina Mito: Be’, sarà, io però l’inglese non lo conosco e i manuali non li leggo!
Questo non è un mito. Sei semplicemente tu ignorante come una capra: se non sai l’inglese, imparalo! E comunque qualche manuale discreto si trova anche in italiano.

Icona di una stellina Mito: Leggere i manuali non serve a niente, perché tanto il tuo romanzo non lo pubblicano lo stesso.
È vero. Per essere pubblicati in Italia occorre essere particolarmente fortunati, o scrivere di argomenti che vanno di moda o avere qualcuno che ti raccomandi. La qualità del testo è un fattore secondario. Perciò se l’unico scopo è pubblicare, sì, leggere manuali di scrittura serve a poco o niente.
Ansen Dibell, nel suo di manuale, distingue gli autori in due categorie: quelli che vogliono scrivere e quelli che vogliono aver scritto. I manuali sono dedicati al primo gruppo, a chi ha passione per la scrittura in sé. Quelli che invece desiderano aver scritto sono più interessati all’eventuale guadagno, o al prestigio, o comunque alle conseguenze della scrittura. Per costoro i manuali sono inutili.
Nota: non esprimo alcun giudizio. È altrettanto legittimo sognare di scrivere un bel libro come sognare di pubblicare un libro, bello o brutto che sia.

Descrizioni

Come primo argomento ho scelto le descrizioni. Le fonti primarie sono:

Copertina di Description Description di Monica Wood (Writer’s Digest Books, 1999).
Copertina di Description & Setting Description & Setting: Techniques and Exercises for Crafting a Believable World of People, Places, and Events di Ron Rozelle (Writer’s Digest Books, 2005).
Copertina di Word Painting Word Painting: A Guide to Writing More Descriptively di Rebecca McClanahan (Writer’s Digest Books, 1999).

(per maggiori informazioni riguardo gigapedia, consultate il seguente articolo).

Tengo a precisare che questo articolo è un invito alla lettura. Cercherò di dare consigli sensati e buoni suggerimenti, ma per forza di cose sarò costretta a scartare le eccezioni, i casi particolari, le sfumature. Se l’argomento vi interessa, non fermatevi qui, ma leggete i libri segnalati.

Scopo

Scopo delle descrizioni è creare il contesto nel quale si svolgerà la storia.
In alcuni casi il contesto è addirittura lo scopo stesso di esistenza della storia: per esempio nei racconti di viaggi fantastici, che appunto descrivono mondi esotici, pianeti alieni, strane creature. Ma anche quando il contesto non è la ragione d’essere della storia, è comunque vitale perché il lettore possa seguire gli avvenimenti.
Prendiamo questo dialogo:

«Sei un pazzo, Michele!»
«No, non è vero.»

Senza descrizioni il lettore è sperduto. La scena può essere drammatica o divertente, può avere un significato o il significato opposto, è il contesto che lo determina:

Anna si alza in punta di piedi per sbirciare dentro la cella. Michele è in un angolo. È seduto in mezzo a una pozza di escrementi e urina. Ogni pochi secondi immerge l’indice nella merda e lo usa per tracciare linee sghembe sulla parete. Anna ricostruisce lettere e parole, sull’intonaco è scritto: “LORO STANNO ARRIVANDO”.
«Sei un pazzo, Michele!» esclama.
Lui si volta. Sanguina dalla fronte, si deve essere strappato i punti. «No, non è vero.»

oppure:

Anna alza il viso dal libro di geografia. Michele è in piedi sulla cattedra. Ha recuperato i gessetti colorati del prof di matematica e sta disegnando lettere cubitali, rosse, verdi e blu. La scritta dice: “ABASO LA SQUOLA”.
Anna scuote la testa. «Sei un pazzo, Michele!»
Lui lancia per aria i gessetti e li recupera al volo, come un giocoliere. «No, non è vero.»

Questa è la scoperta dell’acqua calda, ma ribadire concetti giusti non fa mai male.
Dunque, perché il lettore possa capire quello che sta succedendo – possa seguire la storia – è necessario descrivere il contesto. D’oh!

Una buona descrizione

Una buona descrizione è concreta, stimola i sensi, è dinamica e ha significato per la storia.
Questo non perché , questo perché, se si rispettano i precetti di cui sopra, il cervello del lettore riesce a vivere gli avvenimenti; il lettore è perciò coinvolto e non chiude a metà il libro.

Per illustrare il concetto, prendiamo le classiche descrizioni dello scrittore alle prime armi: “Anna è una bella ragazza”, “Michele fa ribrezzo”, “Se c’è una brava persona è Giuseppe”, ecc.
Descrizioni così sono vuote, troppo generiche, non offrono niente alla fantasia del lettore. “Michele fa ribrezzo”: cosa dovrebbe vedere il lettore? Cosa dovrebbe sentire? Annusare? Toccare? Assaporare? È un fotogramma nero nel mezzo del film.
Vediamo di trasformarla in una descrizione decente.

Michele barbone
Michele. L’avevamo già conosciuto mesi fa. Era uno scrittore, prima che la pirateria lo costringesse a vivere sotto i ponti

Innanzi tutto bisogna capire – e lo scrittore lo deve sapere – perché Michele è così rivoltante. Mettiamo che lo sia perché non si lava: “Michele è sporco”. Ma ancora non c’è molta carne per il lettore, non c’è molto in cui affondare i denti.
Spacchettiamo la sporcizia:

Michele ha i denti gialli, il naso sporco di moccio, i capelli unti e pieni di forfora.

Questa è una descrizione concreta. Il lettore vede la sporcizia sul viso di Michele e molto probabilmente proverà un certo ribrezzo a quella vista.
Tuttavia si può far di meglio. Quella di prima è una descrizione statica, come se avessimo fotografato Michele. Ma è raro che ci si metta a fotografare le persone; quando vediamo una persona, di solito si sta facendo gli affari propri, non è in posa per noi. Proviamo a dare un po’ di vita a Michele:

Michele sta digitando un sms sul cellulare. Ma ogni pochi secondi si ferma per scostarsi i capelli unti dagli occhi. O per pulirsi con le dita il moccio che gli cola dal naso. O per spazzolare via la forfora dalle spalline della giacca. Intanto sorride, rivolto allo specchio. Denti gialli gli sorridono di rimando.

Meglio. Michele non è più una fotografia messa tra le pagine, è calato nello scorrere del tempo.
Lo scorrere del tempo è sempre presente, anche quando si stanno osservando luoghi od oggetti: le nuvole corrono in cielo e cambiano la luce, una mosca ti ronza attorno e ti distrae, ti annoi – ma che diavolo ci sto facendo a fissare un sasso da dieci minuti? – e la percezione cambia. Tutto scorre (parola di Eraclito): non esistono due istanti uguali, e se non esistono due istanti uguali nella realtà, così non devono esistere nella narrativa, dato che stiamo provando a essere verosimili.

saputella Angolo della saputella!
Quando è nata l’idea che sia meglio descrivere qualcosa in movimento invece di riprenderlo in modo statico? I furboni risponderanno che è un’americanata dovuta alla diffusione del cinema, in realtà è un consiglio che già dava Aristotele nel libro terzo della Retorica.

Facciamo un ulteriore passo in avanti:

Mi accorgo che Michele è in camera prima ancora di vederlo. Per la puzza dolciastra che arriva fino in corridoio e per quel rumore che fa quando si morde le unghie. Tic. Tic. Tic. Poi con un gorgoglio sputa per terra e passa al dito successivo.
È in piedi davanti allo specchio. Sta digitando un sms sul cellulare, ma ogni pochi secondi si ferma per scostarsi i capelli unti dagli occhi; per pulirsi con le dita il moccio che gli cola dal naso; per spazzolare via la forfora dalle spalline della giacca; per mangiarsi le unghie.
Si gira nella mia direzione. Mi sorride e mette in mostra i denti gialli e cariati. Arretro di un passo: ho ancora vivido il ricordo di quando mi ha sfiorata con le sue mani luride; sono subito corsa in bagno a lavarmi il braccio, per grattare via il ricordo di quel tocco molle e viscido.

Adesso Michele puzza, fa rumore, ed è spregevole al tatto – e per renderlo al meglio ho cambiato punto di vista, passando dal Narratore ad Anna.
Questa è una descrizione decente. Non brillante – non c’è niente di molto ispirato –, ma fornisce tutti gli elementi necessari per comunicare il concetto che “Michele fa ribrezzo”.
Notare che non ho detto quanto Michele sia alto, o che età abbia o come sia vestito (a parte l’accenno della giacca). Questo perché i dettagli di una descrizione devono essere funzionali alla storia. Non ci si deve sperdere, se la ragion d’essere di Michele è il suo suscitare ribrezzo, lì devo puntare.
Naturalmente avrei potuto scegliere particolari diversi: per esempio i vestiti rattoppati e sporchi avrebbero potuto essere inseriti o sostituire altri particolari. O magari se Michele è storpio o grasso o gobbo, sarebbero potuti essere altri dettagli da inserire o sostituire. Non ci sono vincoli, se non l’avere sempre ben presente dove si vuole andare a parare.

A tal riguardo, si pensi a quante volte si legge nei testi dei dilettanti (e non solo): “Anna ha diciotto anni”, “Michele ha ottantanove anni”, ecc.
Ma comunicare l’età, in questa maniera, è brutto e rozzo. Perché è importante per la storia che Anna abbia 18 anni? Se non è importante è inutile scriverlo, e se lo è tanto vale mostrare questa importanza, invece di raccontare in maniera asettica l’età.

«Non mi interessa quello che pensate tu e mamma. Non sto chiedendo il vostro permesso, vi sto solo comunicando che lunedì andrò a Livorno per frequentare l’Accademia.»

Il punto della storia è che Anna, avendo compiuto diciotto anni, può decidere lei di arruolarsi. Tanto vale dunque entrare in argomento senza fare i pedanti.

Accademia Navale di Livorno
Da qualche anno, l’Accademia Navale di Livorno è aperta anche alle donne

Oppure:

Scatta il rosso. L’autobus riapre le porte.
Giuseppe tira la manica di Michele. «Andiamo, nonno! Se corriamo riusciamo a prenderlo!»
«No, no, non ce la faccio.»

Il povero Michele è troppo vecchio e stanco per correre fino alla fermata. Meglio così che non dire che ha ottantanove anni.

Preparare le schede dei personaggi, dove è chiarito aspetto fisico, età, gruppo sanguigno, vestiti preferiti, titolo di studio, biografia e quant’altro, può essere un buon esercizio e in certo tipo di opere con un cast ampio può essere un passo necessario, ma lo schedario deve rimanere dietro le quinte. Le descrizioni pedanti, statiche, piene di dettagli inutili, ammazzano il fluire della storia.
Ciò non vale solo per i personaggi. Anche i luoghi devono essere descritti con gli stessi criteri. Se Michele è una casa, non sarà “brutta”, “vecchia” o “malandata”. Avrà i muri scrostati, gli infissi gonfi di umidità, il soffitto pericolante e mancherà l’acqua corrente. E ancora si dovrà cercare di rendere la scena dinamica: il soffitto non è semplicemente pericolante, quando Anna entra in soggiorno, le cadono i calcinacci in testa. Quando Giuseppe prova ad aprire il rubinetto in bagno, si sporca le dita di ruggine e sente il gorgogliare lontano dell’acqua, ma dal tubo esce solo puzza di marcio.
E ovviamente il fatto che la casa sia una stamberga deve avere importanza per la storia.

saputella Angolo della saputella!
Quando è nata l’idea che un particolare, per quanto ben descritto, debba essere tolto se non partecipa al disegno complessivo? I furboni risponderanno che è un’americanata dovuta alla diffusione del cinema, in realtà è un consiglio che già dava Orazio nell’Ars Poetica.

Infine, non è sbagliato ribadire un particolare più volte, se ha molta importanza. Come dice Flaubert, un oggetto ha bisogno di essere nominato almento tre volte perché il lettore creda che esiste sul serio.

Linguaggio e punto di vista

Dettagli significativi, dinamici e concreti, che stimolino i sensi. Se si riesce a rispettare questi precetti, si è sulla buona strada per scrivere descrizioni efficaci. Bisogna però stare attenti anche ad altro, in particolare al linguaggio in rapporto con il punto di vista.

In generale, più si è precisi meglio è. Scrivere “fiammifero” è meglio di scrivere “legnetto corto e stretto che se lo sfreghi fa fuoco”. Scrivere “automobile” è meglio di scrivere “affare con quattro ruote”. Ed è la ragione per cui occorre documentarsi: se la storia è ambientata prima in un laboratorio dove si producono armi chimiche, poi su un campo da golf, infine nell’abitacolo di un bombardiere, bisogna conoscere la terminologia appropriata nei tre casi, altrimenti le descrizioni risulteranno goffe e fiacche.
Questo vale sempre. Non è neanche questione di narrativa di genere, literary fiction, poesia o saggio: per descrivere in maniera accettabile qualcosa, bisogna conoscerla. Non ci sono scappatoie.
Come recita la regola numero 13 di Twain riguardo la scrittura: “Use the right word, not its second cousin.” Non la parola che si avvicina, non il termine quasi giusto; bisogna usare le parole adatte, i termini corretti.

L’unico limite è il punto di vista. Infatti – a meno che le descrizioni non siano a opera del Narratore, ma per ragioni di verosimiglianza è sconsigliabile usare un Narratore onnisciente in un testo di fantasy/fantascienza – le descrizioni sono sempre dal punto di vista di un personaggio. Se il personaggio è un laureato in biologia userà la terminologia migliore nel laboratorio, ma forse non saprà distinguere le mazze da golf. Viceversa il campione di golf userà la propria esperienza per parlare di Ferro 8 o Legno 3, ma è probabile non saprà dire molto osservando un virus al microscopio.
Mantenere il punto di vista è fondamentale. Si capisce subito quando un personaggio parla con voce non sua e, quando succede, la sospensione dell’incredulità si incrina.
In certi casi, pur di mantenere senza sbavature il punto di vista, si possono trasgredire perfino le regole della grammatica. Nel classico Fiori per Algernon di Daniel Keyes, il protagonista e narratore è un ritardato mentale (così stupido da perdere una gara d’intelligenza con un topo – insomma stupido quasi quanto il tipico autore fantasy italiano): fin quando il nostro eroe non diventerà più furbo, il suo modo di raccontare sarà sgrammaticato e pieno di errori.
Anche se non si desidera arrivare fino a questo punto di “fanatismo”, in ogni caso bisogna aver sempre presente chi descrive.

Copertina di Fiori per Algernon
Copertina dell’edizione italiana di Fiori per Algernon

La prima persona è particolarmente ostica: è difficile scacciare dal romanzo la sensazione di straniamento dovuta al fatto che il protagonista è un medico, uno studente, un’attrice, ma – guarda caso – sembra esprimersi proprio come se fosse uno scrittore.
La prima persona inoltre limita moltissimo quello che può essere descritto, dato che la telecamera è nella testa di un personaggio e non può essere spostata. Si potrà descrivere solo quello che il personaggio vede, sente, annusa, ma nulla di più.
Se oggetti, persone, ambienti sono al di là dei sensi del personaggio, sono inaccessibili.

Questo crea tutta una serie di problemi, il classico è: come si fa a descrivere l’aspetto del personaggio che narra in prima persona?
E non c’è una soluzione semplice, perché non è naturale per una persona meditare in dettaglio sul proprio aspetto – non quando la Terra è stata invasa dai marziani, i vampiri si sono trasferiti in città e gli scienziati hanno riportato in vita i dinosauri. Tuttavia, se proprio si vuole lo stesso descrivere il personaggio, bisognerebbe almeno evitare due cliché ultra abusati: lo specchio e l’ammiratore.
Lo specchio è quando Anna si specchia nella vetrina del negozio, nelle limpide acque del fiume, nello specchietto retrovisore della macchina parcheggiata e naturalmente davanti allo specchio in bagno. Questa scena suona sempre forzata, spesso risulta noiosa; se capita nel mezzo dell’avventura diviene ridicola. No, non è normale che mentre gli zombie battono le strade in cerca di cervelli, Anna all’improvviso si scopra ad ammirare il proprio profilo nella vetrina del negozio di scarpe – o forse sì, magari Anna non ha niente da temere dai morti viventi, avendo la zucca vuota! chikas_pink32.gif
L’ammiratore è quando Anna incontra Simona e Simona comincia: “Ah, se avessi i tuoi splendidi occhi verdi, i tuoi capelli neri e lisci, il tuo fisico slanciato bla bla bla“. Appare subito chiaro che Simona sta recitando un copione obbligata dall’autore, altrimenti non si esprimerebbe mai così.
Se non capita l’occasione per Anna di descriversi in modo che suoni naturale, che abbia senso nel fluire della storia, pazienza. Meglio evitare che aggiungere scene forzate.

Un vantaggio dell’usare un punto di vista ben saldo è il poter essere incisivi. Se per il lettore è chiaro che la telecamera è piazzata nella testa del personaggio, si possono tagliare un sacco di verbi inutili: “Avverto il dolore strisciare dal polso al gomito” diviene il più diretto “Il dolore striscia dal polso al gomito”. “Ho come la sensazione di precipitare in un pozzo nero” diviene “Precipito in un pozzo nero”.

Metafore

Uno strumento che può essere molto efficace per scrivere descrizioni ma di cui è facilissimo abusare è l’utilizzo di similitudini e metafore.

Prima di continuare: la similitudine è quando una cosa è paragonata a un’altra, la metafora è quando una cosa diventa un’altra.

“Michele è un leone”: questa è una metafora.
“Michele è feroce come un leone”: questa è una similitudine.
“Michele ruggisce”: questa è ancora una metafora, la trasformazione in animale è implicita.

Michele
Michele uomo-leone

Lo scopo di usare una metafora o una similitudine è rendere più chiaro il discorso. Non si mettono le metafore per “far colore”, si mettono le metafore perché non c’è un modo diretto migliore per esprimere il concetto che si desidera (o magari il modo esiste, ma non può essere usato dal personaggio punto di vista).

“Il lamento del verme assassino di Venere è come il ruggito di un leone”: questo è un uso corretto della similitudine. Un suono alieno, che forse non può essere descritto, è paragonato a un suono famigliare. Il lettore è a suo agio.
“La folla che esce dal cinema è un fiume in piena”: questa è una metafora accettabile. Il “fiume in piena” è un concetto facile da immaginare, e rende bene il movimento tumultuoso della gente.

Le metafore hanno sempre un prezzo: dato che per loro natura mettono in relazione cose diverse, allontanano il lettore dalla storia. Nel primo caso il lettore è su Venere e d’improvviso spunta un leone: non c’entra un tubo. Nel secondo caso siamo in città, in mezzo ai palazzi, e d’improvviso ecco scorrere le acque di un fiume: non c’entra un tubo.
Bisogna meditare bene se vale la pena introdurre immagini estranee. Non si è più scrittori se si trovano sempre metafore e similitudini, spesso è un sintomo di scarsa proprietà di linguaggio.

Alcuni hanno la bizzarra convinzione che più una similitudine è bislacca, più è Arte:
“Michele barcollava in mezzo alla strada, si muoveva come un furgoncino guidato da un procione con il mal di testa.” Se il testo è comico o il narratore ubriaco, va bene, altrimenti una roba del genere è uno schifo. Una roba del genere non comunica niente riguardo alla storia, comunica solo: “Guarda, mamma! Guarda come sono bravo: ci ho messo il procione! Con il mal di testa! Che guida il furgoncino!” e la risposta dovrebbe essere: “Bravo, Andreino, bravo, ma adesso lavati i denti e corri a letto. Lascia stare la narrativa, ché è cosa per i grandi.”

Non importa quanto una metafora possa sembrare “bella” o “fantasiosa”: se non svolge lo scopo, deve sparire. E spesso la metafora “fantasiosa” deve sparire comunque, perché porta con sé una sfilza di immagini che allontanano troppo il lettore dalla storia.

Meglio una metafora o una similitudine? Le metafore sono più “radicali” – Michele non ha solo il ruggito del leone, è un leone – e dunque hanno maggior impatto. Però bisogna sceglierle con ancora più cura, perché magari il ruggito leonino applicato a Michele funziona bene, la criniera meno.

Ricapitolando

Icona di un gamberetto Per far capire al lettore la storia è necessario descrivere il contesto.

Icona di un gamberetto Stabilito quale sia il contesto che vogliamo, occorre documentarsi.

Icona di un gamberetto Poi si sceglie il personaggio punto di vista, colui che fornirà al lettore la descrizione.

Icona di un gamberetto Durante la descrizione vera e propria bisogna essere concreti, stimolare i sensi e riprendere la scena in movimento.

Icona di un gamberetto Non sempre più particolari si mettono meglio è. Bisogna tenere solo quei particolari significativi per la storia.

Icona di un gamberetto Il linguaggio dev’essere preciso, ma soprattutto deve suonare naturale in bocca al personaggio che descrive.

Icona di un gamberetto Descrizioni particolarmente complesse possono essere aiutate da metafore o similitudini, ma sono figure retoriche da maneggiare con cautela.

E non bisogna scordarsi dei principi alla base di una scrittura decente: evitare le frasi troppo incasinate, gli aggettivi o gli avverbi in sovrannumero, i salti temporali superflui, i cambi di punto di vista ingiustificati, ecc.

Paura del buio

Appurato come dovrebbe essere una buona descrizione, vediamo qualche esempio di descrizioni riuscite male. Avrei da pescare a piene mani dai romanzi già recensiti, ma dato che l’orrore fresco è più spaventoso dell’orrore raffermo, rovisterò in un libro appena uscito. Sto parlando di Buio, pubblicato a inizio mese da Fazi. L’autrice, al suo esordio, è Elena P. Melodia – che almeno ha il buon gusto di non essere una quattordicenne.
Buio è il primo volume nella trilogia (tanto per cambiare…) urban fantasy di My Land; è spacciato al modico prezzo di 18 euro e 50.

Copertina di Buio
Copertina di Buio. Quando non si paga la bolletta…

La trama vede tale Alma, diciassettenne “bellissima, apparentemente sicura di sé, ma fragile e inquieta”(sic), coinvolta in una serie di omicidi, che paiono ispirati ai racconti che la stessa Alma scrive. Per fortuna ha come alleato Morgan “il ragazzo più misterioso e sfuggente della scuola, i cui incredibili occhi viola sanno leggerle nel cuore come nessun altro”(sic).
E già la trama basterebbe a scoraggiare qualunque persona con un quoziente intellettivo di almeno due cifre, ma l’editore ha fatto di più: offre la possibilità di leggere gratis le prime pagine del romanzo. Così anche chi fosse in dubbio può decidere di lasciar perdere. kaos-whiteusagi01.gif
Trovate il PDF con l’incipit di Buio, qui.

A parte la bruttezza generale, vorrei concentrarmi su alcune descrizioni ed evidenziarne i difetti, in base a quanto illustrato in precedenza.

Prima scena: la protagonista sta sognando. Sogna il buio (no comment):

È buio. Cammino, ma non mi muovo. Ho le gambe pesanti come piombo e nella testa mi battono i colpi di passi immobili, che martellano senza sosta, mentre comincio a sentire freddo. Tremo e non ho modo di scaldarmi. Anche le mie braccia sono paralizzate. Mi fanno male, un male che non ho mai provato prima, quasi stessero per staccarsi.
Provo a gridare, ma non ci riesco. Emetto solo un filo di voce roca e stonata, come il suono di uno strumento a fiato rimasto troppo a lungo sott’acqua.

Vediamo qualche punto particolarmente osceno: le braccia “Mi fanno male, un male che non ho mai provato prima, quasi stessero per staccarsi.” Tipica frase vuota: dopo che la protagonista ha abortito un feto alieno, le hanno amputato una gamba, ha passato la notte a mollo nel mar glaciale artico, allora, “un male che non ha mai provato prima” ha un significato. A tre righe dall’inizio del romanzo non significa niente.
“quasi stessero per staccarsi” è un pochino meglio, perché almeno richiama, sebbene in maniera vaga, un’immagine. Ma rimane un passaggio molto fiacco. Devi descrivere un dolore simile all’avere gli arti strapparti dal corpo, non mi sembra che ci siamo molto…
“un filo di voce roca e stonata, come il suono di uno strumento a fiato rimasto troppo a lungo sott’acqua.” Una similitudine o una metafora mettono in rapporto due cose diverse perché il lettore possa avere più facile comprensione. Ora, se dico: “voce roca” penso che non ci siano grossi problemi a sentire quello di cui si parla, ma quanti di voi hanno mai preso uno strumento a fiato, l’hanno lasciato troppo a lungo sott’acqua e infine hanno provato a suonarlo? Nessuno? No, tu lì in fondo non conti.
In altre parole qui c’è una similitudine che rende più difficile la comprensione della frase. Due piccioni con una fava: prima si butta fuori il lettore dall’incubo (improvvisamente il buio è riempito dall’acqua e da uno strumento stonato), e in cambio si ottiene di non fargli capire a quale suono ci si voglia riferire.
E non è finita qui: nelle descrizioni bisogna essere precisi, usare il preciso nome delle cose – la giusta parola, non la seconda cugina. Cosa dovrei immaginarmi a “strumento a fiato”? Una zampogna? Un flauto? Un trombone? Aggravante: la narrazione è in prima persona. Il Narratore onnisciente può usare termini generici per ragioni letterarie, ma un personaggio no. Nessuno immagina uno “strumento a fiato”, una persona immagina appunto una tromba o una cornamusa o qualcos’altro.

Tromba
Una tromba immersa nell’acqua (troppo a lungo?) È proprio l’immagine giusta per calare il lettore in un incubo tenebroso

C’è infine da domandarsi quale personaggio ha il sangue freddo per analizzare la propria voce e metterla in relazione con uno strumento a fiato bagnato, mentre si trova ad affrontare il dolore fisico più intenso della propria vita. Forse basta dire perché sì!!! Perché è fantasy!!! Perché imparare a scrivere è brutto!!!
Tralascio altri dettagli di cattiva scrittura in quelle poche frasi, perché non sono attinenti al problema delle descrizioni.

Andiamo avanti:

È successo di nuovo. Il confine tra sonno e veglia non esiste più, ormai, e gli incubi sono veri, la realtà un inferno. Il sogno diventa realtà. E anche il sogno è un inferno.

Poco da aggiungere. Una sfilza di termini astratti: incubi, realtà, sogno, inferno, ecc. Non c’è niente a cui il povero lettore possa aggrapparsi. Frasi del genere sono letteralmente inchiostro buttato. Non comunicano niente.

Scena immancabile:

Mi guardo allo specchio e il buio si scioglie, a poco a poco. Sono bella, nonostante tutto.
Resto lì, a fissarmi.
Ogni tanto mi capita di pensare come sarebbe la mia vita se fossi brutta, se non avessi gli occhi verdi, che mi piace piantare addosso ai ragazzi per metterli in imbarazzo, o i capelli neri e lisci, lucidi da far invidia a una geisha, o questo corpo che rimane magro, qualunque cosa mangi. Come sarebbe la mia vita?
Sarebbe un unico, colossale, irrimediabile schifo.

Come si diceva, le scene allo specchio nella narrazione in prima persona sono cliché in maniera insopportabile. E per non farci mancare niente l’autrice riprende i canoni di bellezza più scontati: occhi verdi, capelli neri e lisci, corpo sempre magro. Persino Nihal in una scena analoga si era trovata un difettuccio (la poverina aveva gli occhi troppo grandi!), qui invece c’è solo piatta perfezione. Comunque è da apprezzare almeno un tentativo di dare movimento alla descrizione, per esempio gli occhi piantati addosso ai ragazzi.

La protagonista arriva a scuola:

Fuori, il solito gruppetto di ragazzi mi fissa mentre passo nel corridoio affollato del primo piano.

Uhm? C’è un gruppo di ragazzi che la fissa da fuori la scuola mentre lei cammina in corridoio? E perché non entrano? Un gruppo di ragazzi che non sono della scuola tutte le mattine si appostano fuori per spiare lei? E come fanno a seguirla nella loro opera di spionaggio se il corridoio è affollato? Qualcuno ha capito il senso di questa descrizione?

La protagonista arriva in classe:

Le mie amiche invece sono diverse. Ognuna con la propria personalità vincente. Seline, sempre allegra e curiosa, sarebbe capace di vivere una settimana solo facendo shopping. Agatha, taciturna e introversa, è indipendente e determinata. E Naomi, vivace ma equilibrata, è una di quelle che dicono sempre quello che pensano.

Voglio un attimo imitare Naomi: “questa è la descrizione di personaggi più squallida che abbia mai letto in un libro pubblicato da casa editrice non a pagamento”. È una descrizione che fa schifo perché è vuota in modo imbarazzante. Non ci sono immagini, non ci sono suoni, non ci sono sapori, non ci sono sensazioni, non c’è un beneamato niente. Ci sono un mucchio di aggettivi, Agatha ne ha appiccicati addosso addirittura quattro: taciturna, introversa, indipendente e determinata. Ovviamente sono tutti aggettivi astratti, perché guai se il lettore riesce a immaginare qualcosa. Se almeno Agatha fosse stata bassa, grassa, gobba e zoppa, avremmo avuto un qualcosa a cui aggrapparci. Invece niente, dobbiamo aggrapparci all’eterea indipendenza o determinatezza.
Per Seline e Naomi vale altrettanto.
Senza contare che descrivere il carattere dei personaggi è un’idea balorda in sé: quando agiranno, il lettore capirà il loro carattere. Quando scopriremo che Agatha vive già da sola e si prende cura della sorella malata, magari ne dedurremo che è “indipendente” e “determinata”. Quando Naomi si alzerà dal suo posto per mandare a quel paese l’insegnante di matematica, sapremo che è una che dice sempre quello che pensa. Quando Seline si presenterà in classe ubriaca e con i vestiti in disordine, capiremo che è “sempre allegra”.

Amiche di Alma
Seline, Agatha e Naomi. Notare l’aura di vivacità che circonda Naomi e la distingue subito dalle altre

La cosa che fa rabbia non è tanto l’incompetenza della signorina Melodia, dell’editor o di chi altri ha letto prima della pubblicazione, quello che fa rabbia è vedere quanto il lettore sia tenuto in poco conto. Tra le righe della descrizione di cui sopra in verità si legge: “Chi se ne fotte? Tanto ‘sta merda se la devono sorbire delle ragazzine cerebrolese. Povere scemotte che si bevono qualsiasi cosa. Perché impegnarsi?”
Be’, niente da dire, se si vende è sempre tutto ok, no? Ma un mondo così mette addosso tristezza.

Come mette addosso tristezza:

Le aule sono grandi e illuminate da chilometri di luci al neon, come gigantesche stanze di un vecchio ospedale, dove una parola riecheggia con la forza di un urlo e il bianco disarmante dei soffitti ti ricorda il vuoto che hai dentro ogni giorno varcando l’ingresso.

A parte l’inutile complessità della frase, che parte da “Le aule sono grandi” e finisce con il lamento della protagonista per il vuoto dentro, abbiamo il ritorno della similitudine dannosa!
“Le aule sono grandi”: si capisce, o sbaglio?
“illuminate da chilometri di luci al neon”: questa è una prima figura retorica, un’iperbole, forse ci può stare, perché il significato rimane chiaro.
“come gigantesche stanze di un vecchio ospedale”: questa similitudine dovrebbe avere lo scopo di rendere più semplice per il lettore comprendere il significato di “aule grandi con un mucchio di luci al neon”. E invece confonde: perché non è esperienza comune frequentare le stanze (gigantesche) dei vecchi ospedali, e perché nei vecchi ospedali ci sono sale di ogni dimensione e con ogni gradazione di luce.
“[...] il bianco disarmante dei soffitti ti ricorda il vuoto che hai dentro ogni giorno varcando l’ingresso.” Scusate, sono stufa di essere razionale e gentile quando è evidente la presa per i fondelli. “Il bianco disarmante dei soffitti”? “Il vuoto che hai dentro (varcando l’ingresso)”? WTF?
«Ciao, Marco. Che ci fai con quell’arnese in mano?»
«Ciao, Chiara. Eh, nuove disposizioni del Ministero: devo fare il vuoto dentro a tutti gli studenti che varcano il cancello.»

Bonus, lo gnokko:

Approfitto di quella sua esitazione per studiarlo meglio. Non so se dipenda dal fisico slanciato e perfetto o dai capelli biondi da angelo o dagli occhi quasi viola, oppure dalla fossetta che, quando sorride, segna il lato sinistro della bocca, ma il fatto è che Morgan è senza dubbio il ragazzo più interessante che conosco.

Va bene, ma è bello come un dio greco?
Per il resto penso possiate commentare da soli: fotografia statica, con dettagli cliché e solo la vista è stimolata. Non è una descrizione atroce come quella delle compagne di scuola, ma certo sarebbe bello che uno scrittore si sforzasse un attimo di più – tanto per cambiare, eh.

vampiro
Per me Morgan è un vampiro. E in più ha gli occhi viola. Sarà mica un vampiro mezzelfo?

Con questo non voglio dire che Buio sia un brutto romanzo, magari la storia brillante compensa lo stile, io però, lette queste prime pagine, non ho nessuna voglia di proseguire.

Quali manuali leggere

Se volete approfondire, leggete i manuali segnalati. In particolare, quello che ho trovato più interessante è stato Word Painting: A Guide to Writing More Descriptively. È un testo a tratti dispersivo, che non sempre rimane focalizzato sull’argomento, ma le divagazioni mi hanno divertita.

Gli aneddoti che l’autrice inserisce qui e là sono simpatici. Uno su tutti mi ha fatto meditare: l’autrice ricorda quando consegnò all’insegnante di inglese delle medie un poema, nel quale era descritta una signora che rinvasava un geranio. L’insegnante glielo restituì dicendo che doveva essere più creativa, mettere maggior fantasia nello scrivere, per esempio imitare il compagno di banco, che aveva scritto un racconto di fantascienza con gli alieni che uscivano dai fiori.
Mi chiedo in quale scuola italiana, di qualunque ordine o grado, un insegnante non solo preferisce un racconto di fantascienza a una poesia con i gerani, ma addirittura incita il sedicente poeta a essere più fantasioso.
Nota: in realtà Rebecca McClanahan ha continuato a scrivere di gerani & simili, non si è mai convertita al fantastico – l’aneddoto rimane significativo.

Piacevole anche quando, molti anni dopo, la Rebecca, questa volta nel ruolo di insegnante, dimostra la pochezza del suo allievo che non si abbassa a costruire una storia basata su dettagli concreti, perché lui deve pontificare sull’”ansietà dell’essere” o sul “caos della modernità indefinita”. Da noi i gonzi di questo genere, invece di essere bocciati, finiscono a scrivere sulle riviste letterarie.

Inoltre in Word Painting sono trattati molti argomenti che per ragioni di spazio qui non ho potuto affrontare, per esempio l’importanza del suono delle parole in determinate descrizioni. Dunque, lettura consigliata.

Description di Monica Wood non è allo stesso livello. Anche qui ci sono buone cose, ma la Wood non ha il carisma, né la competenza della McClanahan. In particolare gli esempi della Wood sono pessimi: invece di citare da autori più o meno noti, la Wood si è costruita i propri esempi, e non si è impegnata molto. Gli esempi “sbagliati”, da non seguire, sono brutti. Gli esempi “giusti”, da imitare, sono brutti uguale.
Spesso il discorso è confuso: per esempio, quando parla di “mostrare” e “raccontare”, giustamente dice che ci sono momenti dove è meglio “mostrare” e altri dove è più utile “raccontare” – le relative citazioni sono perfino attinenti –, tuttavia si rimane con l’impressione che le due tecniche siano equivalenti. E non è proprio così: le occasioni dove il “raccontare” è più funzionale alla storia rispetto al “mostrare” non sono molte.
Comunque, meglio leggere Description che gnente.

Description & Setting di Ron Rozelle mi è parso monotono e superficiale. All’inizio l’autore proclama che si occuperà sia di narrativa di genere sia di literary fiction, ma quando si arriva alle pagine dedicate ai generi, sono poche, inconcludenti e scritte da qualcuno che non conosce bene la materia. Ho trovato la cosa irritante. Ma forse è un problema mio.
Leggetelo se vi avanza tempo.

Compiti a casa

Per concludere, vi propongo un esercizio. Guardate l’immagine qui sotto:

Ragazza con fucile e coniglio
I giapponesi sono strani

Prendete un punto di vista (qualcuno nascosto nell’ombra, dietro una delle tante finestre o la ragazza seduta o magari i conigli rosa distesi sulle scale) e provate a descrivere la scena. C’è di tutto: una ragazza con i capelli di un colore strano e vestita in maniera bizzarra, armata di un fucile che sembra vero ma è decorato con coniglietti; altri coniglietti (vivi?) abbandonati sui gradini, insieme con delle mele; sullo sfondo un coniglio nero antropomorfo, forse un uomo in costume? E il poster appeso vicino alla galleria, sarà la pubblicità del circo, o è un avviso della polizia per la ricerca di un pericoloso coniglio mannaro, o ancora è la foto di un coniglio scomparso?

Divertitevi!


Approfondimenti:

bandiera EN Description su Amazon.com
bandiera EN Description & Setting su Amazon.com
bandiera EN Word Painting su Amazon.com

bandiera EN Il sito di Monica Wood
bandiera EN Il sito di Ron Rozelle
bandiera EN Il sito di Rebecca McClanahan

bandiera IT Fiori per Algernon su iBS.it
bandiera EN Flowers for Algernon su gigapedia
bandiera IT Buio su iBS.it
bandiera IT Il sito ufficiale della trilogia My Land

bandiera IT Ars Poetica di Orazio su Wikipedia
bandiera IT Retorica di Aristotele su Wikipedia

 

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221 Commenti a “Manuali 1 – Descrizioni”

Pagine: [3] 2 1 » Mostra tutto

  1. 221 Bacheca – Giuseppe Menconi Narrativa

    […] Descrizioni: http://fantasy.gamberi.org/2009/10/03/manuali-1-descrizioni/ […]

  2. 220 Fabry

    A. mostra a B. L’immagine sul tavolo, chiedendogli un parere.
    -Capisco tutto, ma questo no!-
    -perchè no è divertente…-
    -DIVERTENTE! C’è una cazzo di ragazzina dark, con i capelli verdi, gli occhi rossi e un mitra in mano,
    in più tiene anche un cappello del cazzo, che non so come possa stare in quella testa verde… Per non parlare che è un insensato manga-
    -trovo che il disegno, susciti il paradosso della ragazzina… l’ho trovato scritto su wikipedia… E che dimostri l’innocenza (la ragazzina)
    che tiene un mitra (la violenza) e poi è un manga, e con questo ho detto tutto.-
    -si è vero hai detto tutto… hai detto che è una merda.-
    -sei il solito Americano Bombardiere…-
    -E che cazzo vuol dire e allora tu sei il solita Giapponesino che finge di saper disegnare…-
    -guarda che non l’ho mica disegnato io… l’ho trovato su wikipedia; affianco al capoverso del paradosso della ragazza.-
    -C’è non lo hai nemmeno disegnato tu… Forse dovresti farti una visitina in certi siti porno( non quelli anime, che rischi solo di peggiorare la situazione)
    così almeno torni ad essere umano…-

  3. 219 Alexandra

    L’EQUIVOCO
    Sono appena arrivata nella Via Cosplay, in tempo per il Premio Miglior Personaggio dell’Anno.
    Nessuno mi aveva preparata all’incontro con Fiknabino, invece, eccola lì.
    Per fortuna, non sono da sola.
    Con me ci sono due amici, venuti per l’occasione.
    Verto e Alo si mettono a ridere.
    Io li zittisco:- Siete troppo vicini per fare gli sciocchi. Non vedete che ha un fucile?
    Alo mi risponde:- Il problema non è mio, né di Verto. Noi andiamo nel palazzo là in fondo, con i costumi adatti, tu, invece, guarda come sei messa.
    Io, stizzita, replico:- Beh, capirai, tu sei conciato come la brutta copia di Darth Vader e Alo è messo anche peggio, la sua versione di Thor è patetica.
    Alo gonfia il torace e si sistema il mantello:- Mi faranno entrare senza storie, tu invece, avrai dei problemi.
    Io mi sistemo il costume, per caso identico a quello di Fiknabino.
    Difatti, la vedo fissarmi con aria bellicosa, mentre tira la stringa con i denti.
    Quello è il suo modo di dire che ha il Serbatoio di Pazienza in riserva.
    Vorrei correre dietro al Coniglione che se ne sta andando giù lungo la via e dirgli di venire a testimoniare.
    È stato tutto un equivoco, all’andata.
    Maledetta serie animata di Coniglio Fragolone.
    Dovrebbero dare un elenco obbligatorio dei costumi da scegliere per i Cosplay, così non ci sono doppioni.
    D’accordo, l’ho abbracciato in tram, scambiandolo per il mio fidanzato Hase.
    Fiknabino, che era seduta in fondo, non ha detto niente.
    Mi ha guardata, però.
    E che lampi rosati di gelosia.
    Per cosa ricordo, non aveva il fucile.
    Ohi, ohi.
    Non mi piace il coniglietto rosa che ci ha messo, è la prima tacca della Nuova Serie delle Vendette Sentimentali.
    Vedo la borsa sullo scalino.
    Tutti quei coniglietti mi fanno pensare che ultimamente l’abbiano provocata un po’ troppo.
    Alo non perde la calma:- Sai, basta saperla prendere.
    - E come?- replico io aggiustandomi il vestito fotocopia del suo.
    No, non direi.
    Lo riempio molto meno bene di lei, visto che il sudore da paura folle mi avrà fatto perdere un paio di chili da quando l’ho vista.
    Verto taglia corto:- Insomma, se non lo sai tu. Dille le solite cose, tipo: bello quel cilindro con il nastro rosa, completa a meraviglia il completino con il corsetto nero e la gonnellina color sabbia. I lacci e l’orlo della gonnellina sono rossi. Tipici del tuo buon gusto, come anche il fatto che si noti la sottoveste grigia. Trovo anche geniale la trovata delle calze bianche con la giarrettiera da una parte e il nastro nero dall’altra. Si intonano a meraviglia con le scarpe nere. Che dire poi della genialata del collare indossato insieme a due catenine con i ciondoli portafortuna.
    Io intervengo:- Scemo, quelli sono i regali dei suoi ex.
    - Ah, beh, allora salta la parte del collo. Falle i complimenti per il guanto e il paramano marrone.
    - Ehm, credo che li abbia messi per farmi capire che vuole farmi fuori- gli dico io, con un sorrisetto tirato.
    Verto sbuffa:- Chiedile se vuole fare cambio con la merenda che hai in borsa.
    - Oh, no- dico io, con le labbra livide dal terrore –non accetterà mai di darmi una delle sue mele per prendere una delle mie tavolette Beau Alpe al latte.
    - Perché? Alo e io le adoriamo.
    Visto che siamo ormai vicinissimi a Fiknabino, gli sussurro:- È allergica al cacao.
    Poi, sperando in un lampo di clemenza dai suoi occhi castani, mi stacco dal gruppo e la saluto:- Ciao, deliziosa la tua nuova pettinatura in verde. Scusa per quello che è successo sul tram. Si è trattato di un equivoco. Eh, i costumi da Coniglio Fragolone sono tutti uguali e poi Hase e Lapin si somigliano molto.
    Non ha alzato gli occhi verso di me.
    Brutto affare.
    - Voglio dire, di statura- mi affretto ad aggiungere.
    Alo e Verto ridacchiano mentre io continuo a guardarla, aspettando una sua risposta.
    Li sento correre verso il palazzo bianco della manifestazione.
    Maledetti, mi hanno lasciata sola con Fiknabino.
    Se solo smettesse di mangiucchiare quella stringa e riprendesse la mela da dove l’ha lasciata.

  4. 218 Alexandra

    Bello, come sito. Anche l’esercizio sulla figura manga è molto interessante per la creatività (ma lo farò dopo aver guardato la figura ancora un paio di volte). Io credo che i manuali di scrittura creativa siano molto utili anche per capire da dove è partita l’ispirazione dell’autore e vederne i risultati nelle opere. E’ una buona scuola (regole a parte). Io segnalo On Writing di Stephen King e Lettere dall’Altrove di H.P.Lovecraft oltre che al saggio con le Regole per Scrivere di Fantascienza, dove ci sono molti consigli rivolti a scrittori in erba come pure pezzi delle sue opere in divenire). Molto bello anche Consigli a un giovane scrittore di Marquez.

  5. 217 Recensione: Shadowhunters – Città di Ossa | Cal the Pal

    [...] figure rettoriche più carine & coccolose (forse perché sono le uniche che capisco) ma - come ha già detto Gamberetta - esse distolgono il lettore dal contesto, fanno uscire la sua mente dalla scena dirottandola su [...]

  6. 216 Manuali di scrittura (non miei) | Cal the Pal

    [...] Manuale sulle Descrizioni [...]

  7. 215 Alessandro

    Ciao @Gamberetta, ho trovato molto utile questo primo articolo, in questo periodo sto scrivendo molto, tenendo conto dei consigli da te raccolti e dei manuali da te consigliati, spero venga una buona storia.
    Cordiali saluti Alessandro :)

  8. 214 Ombra

    Ecco l’esercizio, non penso venga valutato ma mi sono divertito a scriverlo e ho deciso di metterlo :)

    Giorno 10 Ottobre, lato sud-est della “Purple Rabbits”, quartiere periferico 718, obiettivo numero 1434. Millequattrocentotrentaquattro come il numero delle missioni affidate al sergente “Ombra”.
    John Kraul portava i suoi lenti passi in superficie, in quel cumulo di silenzio e desolazione: abitazioni, palazzi, ponti, fontane, tutto ormai privo di un’utilità.
    John proseguiva tranquillo, a suo agio, con le mani nei tasconi del giaccone nero. Scrutava la lancetta bianca risaltare sul suo swatch: vibrava su se stessa in linea retta. Alzò il capo e allungò il passo.
    Si fermò 327 metri più avanti, ai piedi di un palazzo bianco di diversi piani. Poco più avanti stanziava un simpatico ponticello a mattonelle, asfalto e staccionate, che si avvallava al centro della strada conducendo ai rispettivi marciapiedi e che spezzava il selciato in due parti distinte: quella in cui stava lui e quella dove l’obiettivo sostava.
    John alzò lo sguardo verso il manto propureo: aveva bisogno di una vista panoramica per individuare l’esatta posizione dell’obiettivo senza farsi individuare. Scorse un ponte sopraelevato, ad un’altezza di circa sessanta metri, che collegava il palazzo alla sua sinistra con quello dalla parte opposta. Tutto ciò faceva al caso suo, ma, il tempo per salire l’edificio e raggiungere la quota dove stazionava il tunnel, avrebbe alzato le probabilità che 1434 fuggisse. In quel caso sarebbe stato seccante, anche perché l’obiettivo era dotato di sensori e probabilmente sapeva di una presenza viva oltre alla propria. Ma l’incertezza dovuta all’esatta ubicazione era reciproca.
    Un ghigno malefico si materializzò nel volto di John, che aprì la bocca mostrando i denti aguzzi. D’un tratto la sua ombra, fino a un momento fa proiettata sulla parete del palazzo, prese vita propria. Essa si staccò dalla superficie acquisendo tutte e tre le dimensioni: le simpatiche orecchie che salivano in alto per poi piegarsi ad A presero a scodinzolare, mentre le magre braccia uscivano dalle tasche e si impegnavano a sfilare il cappotto e gettarlo a terra in una pozza d’inchiostro. Fu così che la sagoma senza occhi e senza volto prese a camminare verso il ponticello terreno, mentre John imboccava l’ingresso del palazzo senza proferire la benché minima emozione.
    L’ombra proseguì con tutta tranquillità, tenendo il volto inscrutabile diritto verso la meta, interpretando la parte di un comune passante in un luogo ormai privo di vita, silenziosa più del silenzio stesso.
    Essa camminò per circa cento metri, portandosi al centro della strada e varcando l’arcata tetra del ponte.
    La situazione di fronte a lei fu subito chiara: obiettivo 1434. Altro non era che un’innocua fanciulla dalla pelle cadaverica, vestita con abbigliamento lolita e seduta sui gradini di un edificio mezzo diroccato. Presa nell’atto di stringere il laccio del suo guanto nero bordato di rosso, che tanto ricordava il colore dei suoi occhi e del vestito succinto, il leggero moto del vento le muoveva i nastri del fiocco rosa, che faceva da collante al piccolo cappello a cilindro che le pendeva su un lato della testa. Su di essa risaltava una chioma verde acqua, che le cadeva all’indietro ma che lasciava piccole ciocche depositarsi sui seni. Anche la gonna arancione, ornata sui margini da deliziosi merletti neri, si muoveva di continuo a causa della gamba destra, che la ragazza agitava di continuo nell’atto di tichettare con il palmo del piede. Sia la quantità di collanine, che le lunghe calzature bianche, che le scarpette nere in pelle lucidata, le davano un’aria da bambolina. Una bambolina che imbracciava un Kalašnikov di colore verde militare e nero su canna e caricatore. Chissà quante vittime aveva già mietuto quell’affare: quei due fratelli di John, ormai trasformati in carammelline gommose, rappresentavano solo le ultime di una lunga cerchia. Quelle bambole non potevano semplicemente accontentarsi di mangiare delle mele anziché scatenare dei massacri generali? Ahaha, certo che no.
    L’ombra colse il segnale e, assicuratasi che 1434 non fosse intenzionato a fuggire, sbucò fuori dal manto nero del sottoponte che fino a un momento fa la teneva celata. Svoltò a destra tenendo lo sguardo sulla ragazza, che però non dava l’aria di essersi accorta della sua presenza.
    Quando l’ombra stava ormai per raggiungere la copertura del pianerottolo, la bambola si girò di scatto puntandole il fucile e sparandole in gola con una freddezza implacabile. L’ombra esplose in un globo d’inchiostro che andò a schizzare di nero le pareti del pianerottolo e del ponte fino a formare una chiazza enorme sul pavimento. Nell’istante stesso un rumore lontano di vetro che si frantuma esplose nell’area con una violenza assordante e solo un millesimo di secondo dopo, un foro di 55 millimetri di diametro andò a formarsi sulla fronte della ragazza, che cadde sulle ginocchia allargando bocca e occhi in preda allo stupore, fino a lasciare il fucile e distendersi per terra con un tonfo assordante.

  9. 213 “Show, don’t tell” – Il raccontato visivo | worldofdarkwing.com

    [...] Descrizioni [...]

  10. 212 Yuki

    Grazie mille :) Il tuo blog è davvero utilissimo.

  11. 211 Gamberetta

    @Yuki.

    E’ da considerarsi inforigurgito l’espediente di mettere all’inizio dei capitoli estratti di finte cronache, trattati ecc per spiegare fatti accaduti in precedenza?

    No, perché sono evidentemente fuori dalla narrazione. Il problema è che non è detto che il lettore li legga. ^_^” È un po’ come le varie mappe, o l’elenco dei personaggi o l’appendice con spiegato il funzionamento del calendario nel mondo di Vattelapesca: sono “inforigurgiti” che non danno fastidio perché un sacco di lettori non li guardano neanche.
    Perciò al massimo puoi metterli come materiale in più, ma non ci deve essere niente di vitale per la storia. Le informazioni vitali devi integrarle nella narrazione. E nella narrazione ci può stare che un personaggio legga i titoli di un giornale o guardi un poster o ascolti una notizia alla radio o sfogli un libro, ma devono essere incisi molto brevi e ci deve essere una buona ragione perché il personaggio vi dedichi attenzione.

  12. 210 Yuki

    Gamberetta posso farti una domanda? E’ da considerarsi inforigurgito l’espediente di mettere all’inizio dei capitoli estratti di finte cronache, trattati ecc per spiegare fatti accaduti in precedenza?
    Grazie in anticipo.

  13. 209 Tapiroulant

    Il romanzo di Battle Royale è scritto maluccio, invece ho apprezzato il film.

    OMG, ma il film è atroce #o#
    E i giappi recitano male!
    Il manga è un po’ meglio, anche se è prolisso.

    Credo che sia Battle Royale sia Hunger Games traggano ispirazione da un lato da romanzi come Il signore delle mosche di Golding

    Ecco: Il signore delle mosche è molto bello, benché per Golding la gestione del pov sia un optional.

  14. 208 Gamberetta

    @solvente. / @peyton. La Mondadori non mi ha offerto soldi, e di solito le case editrici non offrono denaro per le recensioni: il libro gratis ed eventuali gadget (segnalibri, poster, ecc.) sono considerati compenso sufficiente. Comunque ogni tanto capita anche qualche richiesta di recensione a pagamento.

    @Zave. Il romanzo di Battle Royale è scritto maluccio, invece ho apprezzato il film. Non ho letto il manga. Credo che sia Battle Royale sia Hunger Games traggano ispirazione da un lato da romanzi come Il signore delle mosche di Golding, dall’altro da racconti stile il famoso “La preda pericolosa” di Richard Connell.

  15. 207 Zave

    quando ho letto la trama di HG mi era sembrato un ripoff di blattle royale, che già non mi era parso un capolavoro e ho lasciato perdere.
    (forse anche battle royale è un ripoff di qualcosaltro, non saprei)

  16. 206 peyton

    @Solvente: so di case editrici che richiedono recensioni senza pagare niente, ma una così importante come la Mondadori, se ha l’ardire di chiederlo a Gamberetta che ha avuto spesso da ridire sulle sue scelte editoriali, immagino abbia il buongusto di pagarla.

    @Gamberetta: però sarebbe stata proprio divertente una tua recensione di Hunger Games! Io l’ho letto in italiano, e speravo quasi fosse la traduzione così scadente. Stavo cercando l’e-book in inglese per finirlo in lingua originale, ma se mi dici che anche in quel caso è disastroso lascio perdere proprio -.-.

  17. 205 Solvente

    Ah! Non lo sapevo. In effetti, ha senso: un modo facile per far pubblicità ai loro libri.
    Lo chiedono a titolo gratuito, oppure propongono un pagamento?

  18. 204 Gamberetta

    @Solvente. È normale: regolarmente le case editrici mandano libri ai blog/siti un minimo frequentati per avere recensioni. La Mondadori ha smesso da quando mi ha chiesto di fare pubblicità a Licia e io ho risposto in malo modo. Vedi qui.

  19. 203 Solvente

    La Mondadori ti chiede di fare delle recensioni? Very strange, indeed

  20. 202 Gamberetta

    @peyton. Lo so: quando è uscito in Italia il primo volume della serie, ho ricevuto una mail da Mondadori che mi chiedeva se volevo che me lo spedissero per recensirlo; allora ho scaricato l’ebook dell’edizione inglese, ho letto le prime pagine e ho pensato che era un’egregia porcheria. Dopodiché non mi sono più occupata di Hunger Games.

  21. 201 peyton

    E’ meglio se non leggi Hunger games allora, Gamberetta. Tutto le regole di scrittura che hai illustrato nel pezzo sulle descrizioni, sono bellamente ignorate, calpestate, martoriate e allegramente trucidate. Sappilo.

  22. 200 simone

    Gran bel blog, davvero, un mix tra ironia, insegnamento e critica. Mi associo a chi dice di aver imparato più qui sulla scrittura creativa che in tutti gli anni di liceo. Ti propongo il mio tentativo, dimmi che ne pensi.

    Non avevo ancora percorso un centinaio di metri, quando il costume riprese a darmi problemi. Scocciata, gettai un’occhiata al lato della strada per trovare un posto dove risistemarmelo in pace. Scelsi un anonimo condominio, e mi buttai sopra gli scalini che conducevano all’entrata; nel movimento, lasciai cadere la borsa. Nessuno nella strada, in quel momento deserta, poté vedere i due coniglietti di stoffa rosa e la mela morsicata che si riversarono sugli scalini. Mi sfuggì un ghigno al pensiero della faccia che avrebbe fatto un passante di fronte a quel bizzarro contenuto. Se poi quel passante avesse alzato gli occhi sulla proprietaria della borsa avrebbe goduto di un vero spettacolo dell’assurdo. Mi imposi di concentrarmi sul guanto intrecciato di pizzo nero e rosso della mano sinistra, le cui cuciture continuavano a sfilarsi in corrispondenza del dorso. Per l’ennesima volta presi tra i denti il filo incriminato e tirai, sentendomi un’idiota perché avrei potuto benissimo usare l’altra mano, ma non volevo staccarla dal mitra verde mimetico, con l’adesiva rosa di un coniglio stilizzato sul calcio, che tenevo con la punta rivolta verso l’alto. Quella posa, con l’arma appoggiata alla spalla, mi dava una certa aria da soldatessa a cui non volevo rinunciare neanche per un momento. E quella sera mi sarebbe servito tutto lo spirito combattivo che ero in grado di evocare per farmi notare da lui. Mentre portavo a termine l’operazione del guanto, una ciocca di capelli color verde acqua, freschi di tintura, mi coprì il viso. La scostai con lentezza, aggiustandomi anche la tubetta incorniciata da un fiocco rosa che avevo scelto come ulteriore mossa strategica per incuriosirlo, o meglio, intrigarlo. Volevo ottenere quel risultato, e non mi ero certo limitata, sensazione che ebbi modo di confermare quando riassettai il corpetto di velluto, aperto sull’addome quanto basta per far fantasticare anche il maschio più resistente, e soffiai per togliere qualche granello di polvere dalla minigonna color pesca. Osservando le calze bianche, di due lunghezze diverse, che scomparivano dentro i sandali con le zeppe scuri e chiusi davanti, constatai soddisfatta che la combinazione tra seduzione e innocenza era stata resa alla perfezione. Quanto al gusto per l’eccentrico, beh, speravo che la scelta stilistica avrebbe prodotto l’effetto voluto. Quello di far stampare i suoi occhi su di me.
    Mi rialzai in piedi. Con la coda dell’occhio, scorsi un coniglio gigante in fondo alla strada, con ogni probabilità diretto verso la mia stessa meta. La gente aveva dato libero sfogo alla propria vena nonsense per la festa. Questa in un certo senso era una cattiva notizia, forse lui non mi avrebbe distinta tra la marmaglia di strani figuri che avrei trovato là.
    Ora il cielo appariva rossastro, quasi tendente al rosa, come se avesse deciso di rendere omaggio alla mia stravaganza vestendosi di quella tonalità inusuale, non propria. Raccolsi borsa e contenuto e mi diressi verso la festa.

  23. 199 ezra

    In questo senso, assumendo il punto di vista del TOPO, nella mia descrizione dovrò descrivere anche questo interesse e quindi soffermarmi su questi particolari tralasciandone altri?

    Volevo dire “assumendo il punto di vista del GATTO”

    “in piedi, accanto a un bidone delle immondizie, c’era un uomo che indossava un cappotto di lana cotta. Il TOPOLINO si fermò e annusò l’aria”.

    Volevo scrivere: “in piedi, accanto a un bidone delle immondizie, c’era un uomo che indossava un cappotto di lana cotta. Il GATTO si fermò e annusò l’aria” (scusa, avevo fatto l’esempio con un topo, poi l’ho cambiato con un gatto senza correggere)

    Ah. Chiaramente si tratta di una narrazione in terza persona, non in prima.

  24. 198 ezra

    Ciao Gamberetta!
    Ti chiedo un parere. In realtà credo tu ne abbia già parlato qui sul tuo blog (o forse è stato il Duca sul suo?) ma non riesco a trovarlo. Visto che concerne il “punto di vista”, posto la mia domanda qui. Dunque. Se volessi per un paragrafo posizionare il punto di vista su un animale, in questo caso cosa suggerisci? (Magari suggerisci di evitare). Ma mettiamo che voglio far attraversare un quartiere da un gatto. Le descrizioni, in questo caso, presumo debbano tenere conto della “personalità” dell’animale in questione. Quindi, immagino, la descrizione del suo tragitto terrà conto soprattutto di quegli elementi che potrebbero destare l’interesse del gatto. Probabilmente nel suo tragitto egli sarà attratto e vorrà evitare determinate cose (cibo, odori, nemici, ecc.). Quindi credo che durante questo percorso, il tutto sarà condizionato magari dalla sua ricerca di cibo. Percorrerà delle vie e vedrà cose che un uomo magari non nota. In questo senso, assumendo il punto di vista del topo, nella mia descrizione dovrò descrivere anche questo interesse e quindi soffermarmi su questi particolari tralasciandone altri? Insomma, la geografia mostrata in questo caso sarà piegata agli interessi del gatto? Se la risposta è sì, fin qui tutto bene. Ma il linguaggio da utilizzare per queste descrizione come dovrà essere? Nel senso, se il punto di vista è posizionato su un medico, la narrazione sarà fatta “da medico” (quindi occorre far proprio un lessico adatto alla categoria). Ma nel caso del gatto? Magari consigli di optare per frasi brevissime, quasi si trattasse di catalogare lo spazio che il suo interesse gli apre davanti? Oppure credi si possa narrare normalmente, quindi come se fosse una persona, seppure con i suoi strani gusti tipicamente “gatteschi”?

    Esempio, se durante il suo cammino il gatto incontra una persona, cosa si fa? Ecco potrei scrivere: “in piedi, accanto a un bidone delle immondizie, c’era un uomo che indossava un cappotto di lana cotta. Il topolino si fermò e annusò l’aria. ecc.”? – tuttavia, si presume, il gatto dovrebbe essere privo dei concetti di “cappotto” e di “lana cotta”… (e magari anche di “bidone delle immondizie” e di “uomo”). In questo caso la descrizione deve omettere certi particolari e attenersi al minimo essenziale?

    Grazie infinite!
    Ciao, Ezra

    PS. Sono ben accetti anche i suggerimenti dei frequentatori del blog!
    PPS. Gamberetta, se ti ricordi dove hai parlato del punto di vista posto sugli animali, mi accontento del link… so quanto sei presa in questo periodo.

  25. 197 Aigor Frankenston

    Non sò se e ancora valido ma posto il mio compitino, chissa se ho le qualità per essere un autore fantasy italiano XD

    Ero stanco la nottata era stata dura ,l’armatura da coniglio rinforzato cominciava a pesarmi per colpa dei rinforzi in kevlar e ceramica ma d’altronde si trattava di soppravivenza ,quando un mustelide di 3 metri di lunghezza ti annusa e decide che potrebbe affondare le sue zanne lunghe 20 cm nel tuo corpo, delle protezioni supplementari facevano la differenza.
    Fortunatamente oltre la Grumo Black e una buona copertura sanitaria , avevo la migliore assicurazione che la Hunter Agency poteva fornirmi , Marie la mia partner.
    Mentre mi dirigevo verso il furgoncino parcheggiato nel vicolo tra due vecchi palazzi il cui intonaco scrostato e l’edera rampicante lasciavano trasparire i fasti di un tempo , quando la zona dove ci trovavamo era un grande outlet di abbigliamento, ma ormai rimanevano solo negozi con vetrine vuote e qualche vecchio cartello recante sconti.
    Mi girai verso di lei , si era seduta sui gradini consunti di un vecchio negozio di vestiti ormai abbandonato , non era altissima , i suoi lunghi capelli verde mare erano sciolti e le cadevano scomposti sulle spalle , il nastro rosa con cui era solita legarli era passato intorno al piccolo cappello a tuba che portava appoggiato su di un lato della testa,il corpo esile era stretto in un corpetto di cuoio nero allacciato con un fiocco di cuoio sul davanti che scopriva una abbondante striscia di candida pelle, che ne accentuava le curve e lascia poco all’immaginazione sui suoi seni , le finiture rosse del corpetto si intonavano con i suoi occhi color rubino, la gonnellina di seta gialla e pizzo nero e le lunghe calze rosa sopra al ginocchio completavano quello che lei definiva “La divisa delle antiche guerriere” che aveva trovato su un vecchio giornale pre- mutazione , per fortuna la sua stranezza riguardo al vestiario era compensata da una mira e una conoscenza della armi pari a quelle di veterano di guerra , riusciva a centrare una faina mutata fra gli occhi a 100 metri di distanza , al solito mentre si levava il guanto senza dita con il suo solito rituale si snodare i lacci con i denti, teneva il suo fucile automatico con la mano destra , era lungo la metà di lei , sul calcio color verde militare portava il chip rabbit della Hunter Agency che registrava i dati delle battaglie, accanto a lei dalla sua borsa spuntava uno dei suoi coniglietti porta fortuna e una delle mele rosse di cui aveva grande passione.
    La chiami ma improvvisamente ………..

  26. 196 Dan

    E’ raro che una persona compia due azioni insieme…?
    Se della banalità descritta, io direi che sia più che vitale, invece.
    A meno di non figurarsi degli automi che o ridono o si girano, o parlano o fanno lo sguardo triste… Mille e mille azioni c’investono e ci parlano, mentre noi a malapena ce n’accorgiamo: individuarne un paio, per due personaggi che si vogliono render vivi, è quanto di più naturale (io trovo).

  27. 195 Gamberetta

    @Valentina. Per i gerundi: è raro che davvero una persona compia due azioni contemporaneamente, ed è ancora più raro che sia necessario che le compia, perciò separale. Esempio:

    «Che bella giornata!» disse Anna ridendo.

    diventa:

    Anna rise. «Che bella giornata!» [e tra l’altro il disse adesso si può togliere perché è sottointeso]

    Oppure:

    Anna bevve un sorso di cioccolata sedendosi sul divano.

    diventa:

    Anna si sedette sul divano e bevve un sorso di cioccolata.

    Dopodiché se è vitale che Anna beva proprio durante il gesto di sedersi puoi pure lasciare il gerundio, ma in generale puoi spezzare le azioni senza danno. Così elimini i gerundi che ti paiono di troppo.

  28. 194 Valentina

    Ciao, complimenti innanzi tutto per il blog e per l’articolo.
    Vorrei chiederti un piccolo “aiuto”. Avrei sempre voluto scrivere un libro/una storia, ma ciò che mi bloccava e mi blocca è, oltre al fatto che riesco a descrivere poco, anche il fatto che utilizzo una quantità enorme di verbi al gerundio…Questo a mio avviso può essere davvero snervante dal punto di vista del lettore. Hai qualche consiglio in merito?
    Ho letto qua e là qualche commento, ma non mi sembra ci sia questo “problema”. Nel caso se ne fosse parlato mi scuso.
    Buona notte ^^

  29. 193 Andrea

    Ciao a tutti, visto che è la prima volta che scrivo qui.
    So di essere l’ultimo dopo parecchio tempo dalla pubblicazione dell’articolo ma, incuriosito, ho voluto fare un tentativo anche io.
    Spero di non far perdere troppo tempo, visto che ne è uscito un mezzo racconto:

    “Ah ah ah… non ce la faccio più dalle risate”.
    Ringrazio di avere un musetto finto e inespressivo, altrimenti mi si sarebbe già strappato.
    Questa volta a Kanade è andata male: sempre in ritardo, nonostante i mille richiami della capo-squadra. Era stata l’ultima promessa – “al tuo prossimo ritardo ti conceremo per le feste!”.
    E così è stato: non immaginavo una cosa simile.
    Appena Kanade si è fermata, appoggiando la borsa in cui viaggiamo io e il mio collega Jerry, l’ho rovesciata: la parte superiore s’è aperta e me ne sono sgusciato fuori. Lui invece è ancora là dentro, stremato.
    Ho iniziato a ridere non appena mi sono voltato verso Kanade.
    Lei si era seduta su uno scalino per riprendersi un attimo dalla corsa fatta per raggiungere la piazza del gate: una galleria che porta al Parco delle Meraviglie. Ci toccherà il primo turno di vigilanza.
    La prima cosa che ha fatto è stata prendere dalla borsa e addentare una mela rossa: sono fenomenali, un morso e sei a posto per ventiquattro ore. Oltre che curarti dagli affanni.
    Unico effetto collaterale: gli occhi diventano rossi, per tutto il tempo. L’ha poi lasciata rotolare giù dagli scalini.
    Gli effetti benefici, come sempre, arrivano quasi subito: il suo respiro comincia a essere già più regolare.
    Si noterebbe persino da lontano, visto il corpetto che le hanno rifilato: nero, con i bordi rossi. Almeno è un abbinamento di colori che a Kanade piace particolarmente, sono i suoi preferiti: è la stessa delle sue zeppe a caviglia bassa, tenute ferme giusto da una striscia sul collo del piede.
    La cosa particolare del corpetto, però, è l’apertura sul davanti, che lascia in vista il ventre e il petto da sotto l’intreccio di un laccio, annodato in un fiocco all’altezza del seno.
    L’altra cosa ridicola che l’hanno evidentemente costretta a indossare sono le calze: rosa, un colore che lei non sopporta per niente, ma soprattutto diverse!
    Una sale fin sulla coscia destra: non le scende a ogni movimento solo grazie al nastro nero che la stringe.
    L’altra non supera il polpaccio, che avvolge con un elastico dorato, in tinta con la sua gonnellina preferita che rigorosamente indossa sopra a quella di pizzo nero.
    Alzo ancora lo sguardo e vedo che mi fissa, divertita. Mi fa l’occhiolino.
    “Almeno l’ha presa con umorismo”.
    Mi metto a fare qualche esercizio per la schiena: mi piace fare un po’ di piegamenti. Approfitto così dello spigolo dello scalino.
    Lei intanto si è messa ad aggiustarsi il guanto sulla mano sinistra: è un portafortuna, l’ha scelto per i colori, i suoi preferiti, e per la mancanza delle dita. Ama avere una presa sicura, quando impugna la sua arma: un G3, la migliore scelta tra le armi disponibili. Forse un po’ esagerato.
    È talmente presa, nel tenere in mostra la sua arma, appoggiata sul calcio ove si nota l’adesivo della nostra squadra, la testa di un coniglio rosa, che cerca di tirare il laccio del guanto con la bocca.
    La cosa non è ovviamente semplice: comincia ad agitarsi e una ciocca dei suoi lunghi capelli verdi le ricade morbidamente sul braccio sinistro. Una striscia della doppia bretella, che sorregge il corpetto, scivola sulla sua spalla destra.
    Le si sposta un po’ anche il cappellino: un cilindro nero infiocchettato di rosa. L’ultimo elemento umiliante di quella divisa assurda.
    “Forse se molli per un attimo il fucile fai prima!”.
    Cielo rosa: è già il tramonto, dobbiamo muoverci.
    Mi rimetto in piedi sulle mie zampine, faccio un cenno a Kanade di muoversi e mi avvio verso il mio mezzo di trasporto.
    Vedo in lontananza la sagoma nera di un coniglio erectus che è appena sbucata dal gate: tra poco scatterà il coprifuoco. Non è concesso alla gente comune rimanere fuori, oltre quell’orario.
    “Si parte!”

  30. 192 Dafne

    @ Gamberetta: Insomma ‘na ciofeca! In effetti quello dei rigiri di parole è da sempre un mio problema. Grazie per i consigli riscriverò tutto tenedoli presente ;)

  31. 191 Gamberetta

    @Dafne. Parlerò solo delle parti descrittive perché giudicare il racconto nel suo complesso sarebbe troppo lungo ed esula dallo scopo dell’esercizio.
    La descrizione nel complesso c’è, anche se così diluita in forma di racconto è molto più lunga di quello che potrebbe essere. E in generale sprechi un po’ parole ribandendo più volte lo stesso concetto.
    Esempio:

    E vide che era rosa. Il cielo era rosa. Era già il crepuscolo. Solo allora, l’urgenza del suo dovere ripiombò sulle sue spalle, curvandole sotto quel peso gravoso, e facendogli reclinare la testa nuovamente verso terra: “E’ già il tramonto, ti vuoi muovere!”

    Basterebbe scrivere, per esempio:

    Il cielo si era tinto di rosa. Merda è già il tramonto! Devo sbrigarmi. Karotòn abbassò il capo e riprese a camminare.

    O anche:

    Infatti, Grovieras continuò tranquillamente ad attaccare adesivi di conigli rosa sul calcio di un fucile e rispose melliflua, anticipando un’altra prevedibile esplosione di rimbrotti: “Lo sto solo abbellendo [...]”

    Si può tagliare tantissimo senza intaccare il significato e aumentando la scorrevolezza:

    Groviera attaccò un altro adesivo di coniglio rosa sul calcio del fucile. “Lo sto solo abbellendo [...]”

    Leggi il Manuale – 3 sul mostrare, spesso “racconti” e poi “mostri”, il raccontato lo puoi tagliare senza problemi.
    Tornando alla descrizione. La parte dove descrivi la ragazza, o meglio i suoi abiti:

    Squadrò perplessa il suo abbigliamento: un corpetto nero le cingeva il busto, lasciando scoperte le braccia, e parti dei seni e del ventre comparivano tra i lacci troppo lenti. Cercò con le mani il fazzoletto di stoffa arancione e pizzo che aveva per gonna e che a malapena le copriva il pube. Calata nella parte, carezzò con lascivia una gamba e indugiò sul ginocchio, a stringere il nastro che le serrava le calze bianche. Risalì, sfiorando con le dita il polso stretto in un guanto nero che lasciava le dita scoperte, quindi attraversò le braccia, il collo circondato da un collare nero e rosso, intrecciò le dita tra i capelli turchini e scostò da un lato un piccolo cilindro nero, adornato da un grosso fiocco rosa.

    è abbastanza buona. Però forse sarebbe stato meglio spezzarla un po’. In particolare il movimento della mano è un po’ artefatto. Inoltre non si capisce subito che il fazzoletto è la gonna e non un vero fazzoletto. Direi:

    Il corpetto nero le cingeva il busto. Dietro i lacci allentati si intravedevano i seni e il ventre. Grovieras si lisciò la gonna di stoffa arancione e pizzo che le copriva a malapena il pube. Carezzò la gamba e indugiò all’altezza del ginocchio, per stringere il nastro che serrava le calze bianche. “Sono una ominide carina?”
    Passò le mani fasciate nei guanti neri tra i capelli turchini. Il piccolo cappello a cilindro nero adornato da un fiocco rosa le cadde dal capo.

    E manca il collare, ma pazienza, e poi ero stufa di abbigliamento nero! ^_^

  32. 190 Dafne

    @ riflessione:

    è il lettore che deve dare l’immagine, non l’autore. Spesso una descrizione dettagliata fa perdere il senso della cosa, rendendola agli occhi del lettore solo una fotografia, anzi, un disegno. E’ scontato che, se chi legge non ha la minima immaginazione, non può capire il senso della frase.

    Come può il lettore visualizzare ciò che legge se non gli viene illustrato? Certo può fare uno sforzo, ma è proprio qui il punto: se il lettore deve fare uno sforzo il libro non è scritto bene. Le descrizioni sono parte integrante di una storia, non c’è solo quello chiaramente, ma senza un contesto e i suoi elementi delineati al meglio, sarebbe come vedere un film in cui tutti i personaggi sono collocati in un paesaggio asettico, ognuno la copia dell’altro.
    Un buon libro è in grado di fornire tutte le informazioni di cui il lettore ha bisogno senza che il lettore stesso se ne accorga. Deve potersi ritrovare nella storia, viverla e non accorgersene, e lo scrittore deve agevolarlo al massimo, non solo con le descrizioni chiaramente: se queste diventano una sfilza di frasi concentrate solo sul contesto e slegate dallo scorrere degli eventi, si ha lo stesso una pessima scrittura.
    Ma questo è l’ABC. Questioni come “le parole astratte sono importanti”, non hanno senso, ogni parola può essere usata, ogni concetto definito, solo che bisogna saperlo fare. Sennò poi si hanno casi orripilanti, come questo:

    Seline, sempre allegra e curiosa, sarebbe capace di vivere una settimana solo facendo shopping. Agatha, taciturna e introversa, è indipendente e determinata. E Naomi, vivace ma equilibrata, è una di quelle che dicono sempre quello che pensano.

    Andiamo…è davvero illegibile, scrittura da terza elementare. Anzi è probabile che perle del genere siano proprio residuo di insegnamenti scolastici, la convinzione che se usi parole belle e profonde e i loro sinonimi appaccicati uno dietro l’altro, allora sei bravo a scrivere.

    Per quanto riguarda:

    Fuori, il solito gruppetto di ragazzi mi fissa mentre passo nel corridoio affollato del primo piano.

    … l’unico senso che conferisco a questa frammento è: “Guardatemi sono così figa che tutti questi adolescenti arrapati mi vorrebbero violentare. Ma sono anche una ragazza giudiziosa e quindi questo mi fa orrore. E poi sono alternativa io eh… mica come le mie coetanee che si mettono in mostra apposta!”.

    Davvero Riflessione, tu a questo punto non avresti gettato via questo libro?!

  33. 189 Momo

    Non vorrei commentare, ma non resisto. E’ evidente, “riflessione”, che non solo non hai letto i criteri in base ai quali vengono recensiti i libri in questo blog (che non sono quelli della “literary fiction”), ma non ti sei neppure accorto che Chiara ha presentato su questo stesso blog la bellezza di 3 romanzi (di cui uno ancora in home page).

    Perciò, al di là del merito delle tue critiche (che sono tutto un programma), ti conviene prepararti un po’ meglio, se vuoi essere preso sul serio.

    Ciao.

  34. 188 riflessione

    Per la parte riguardante le regole da seguire, niente da obbiettare, corrette e interessanti, per non dire copiate da altri siti.
    però mi affligge un dubbio…
    Hai pubblicato qualcosa tu? non a pagamento, si intende… no perché per le critiche che muovi nei confronti degli altri, o sei ai livelli di Shatzing (come minimo) o semplicemente ti rode perché tra gli scaffali delle librerie non c’è niente di tuo.
    In riferimento a “buio” soprattutto sei stata piuttosto critica… iniziamo allora!
    Un male che non si può immaginare tecnicamente è indice di dolore estremamente acuto, si usa anche a livello ospedaliero, nel caso tu non lo sappia… e sono un infermiere, quindi LO SO. Un termine simile indica il peggior dolore immaginabile, per alcuni è, come detto dall’autrice, un arto reciso, per altri un unghia incarnita… è il lettore che deve dare l’immagine, non l’autore. Spesso una descrizione dettagliata fa perdere il senso della cosa, rendendola agli occhi del lettore solo una fotografia, anzi, un disegno. E’ scontato che, se chi legge non ha la minima immaginazione, non può capire il senso della frase. Sono d’accordo sulla sbrodolata di aggettivi per descrivere le amiche, ma si torna al punto di partenza; se non hai fantasia, non puoi immaginare queste persone e necessiti di “qualcosa a cui il lettore possa aggrapparsi”, ovvero descrizioni fisiche e aggettivi concreti. Se mi parli di una persona solare, mi vengono in mente amiche e amici con questo carattere, li associo a loro, oppure creo il personaggio nella mia mente, che non per forza dev’essere fisicamente visualizzabile, ma semplicemente ogni volta che aprirà bocca, penserò che “è quello simpatico e più vivace” o “il casinista”.
    Concordo sulla parte dei termini astratti, poteva essere scritta meglio, però non aggiungendo niente di più.
    L’immagine dello strumento a fiato sott’acqua per me era bella e rendeva bene l’idea. l’acqua ovatta i suoni e li rende gravi, fa arrugginire il metallo e distorce orribilmente il suono. L’ideale, per descrivere una voce roca. Ma a te serve sapere lo strumento e… hei, perché non ti chiedi anche chi era il proprietario? magari il musicista di una nave da crociera che, ubriaco, ha fatto cadere il suo strumento in mare! Oppure un clown che ha fatto uno spettacolo sulla spiaggia, ma il figlio di quell’imbecille di Francesco gli ha lanciato il flauto in mare!!! o… un lago?
    La bellezza astratta! Altro punto interessante! Perché corrispondere a un canone di bellezza è male? perché ritenersi belli così come si è è sbagliato? Deve esserci un difetto? mah, è stata forse la parte meno sensata!
    ah no scusa. Dimenticavo. I ragazzi che stanno in cortile! il tuo commento era A CASO! Perché erano fuori? perché fumavano, perché gli andava, perché le lezioni non erano ancora iniziate, perché bruciavano! Ma chi se ne frega!!! vedono una bella ragazza al primo piano che passa lungo il corridoio, FINE. che centra il pedinare?! ma ti leggi quando scrivi? io… io non capisco, più leggevo più mi sbalordivo della tua arroganza e presunzione!
    ah si, e se gli autori fantasy sono più scemi di un topo, non voglio dire quello che sto pensando, perché credimi sulla parola, è molto peggio!!!

    e con questo, saluto te e la tua bocca larga!

  35. 187 Dafne

    Anche io ho letto diversi manuali di scrittura (italiani), ma sinceramente non li ho trovati tanto buoni da risultare imprescindibili. Un’interessante alternativa è “Amata scrittura” di Dacia Maraini, perchè affronta la questione coinvolgendo altri scrittori (come Camilleri o la Allende) che spiegano il perchè e il per come delle loro scelte stilistiche.
    Detto ciò mi cimento anche io nell’esercizio, giusto perchè dovrei studiare per un esame di filosofia e non me ne cala.
    PS: Mi sa che è uscito un racconto vero e proprio più che una descrizione, ma è uscito da solo, ma non è troppo lungo. Spero non sia troppo una cagata visto che perderai del tempo a leggerlo ;)

    Fu un’inaspettata brezza a ridestarlo dal torpore. La cappa di aria calda e immobile si stava diradando. Soffocava l’ala Est della città, da giorni, l’ultimo regalino delle bombe al Napalm. Ma almeno l’ala Est c’era ancora. “Maledetti ominidi!”- era tutto quello a cui riusciva a pensare il Comandante Karotòn – “Si staranno abboffando ancora con i resti dei miei soldati. Arrosto di coniglio bell’e servito! Bestie!”.
    Era reduce da tre giorni di appostamenti al porto. Riusciva a sentire ancora quel maledetto odore. Pesce rancido ecco cos’era, pesce rancido che ammorbava tutto. Che ammorbava lui, ce l’aveva addosso e non sarebbe più riuscito a liberarsene. Emanava da ogni lembo della sua pelliccia. Pelliccia?! Piuttosto un cencio spelacchiato! Forse una volta lo era stata, una pelliccia, dal colore del petrolio e lucente come l’ebano, a giocare di contrasti con le sue orecchie, lunghe, bianche, orgoglio e marchio della sua famiglia. I Karotòn! Rinomati in tutto il Reame Conigliese, la cui stirpe resisteva fin dai giorni della creazione dei primi esemplari degli Homocuniculus. E ora sarebbe toccato a lui vedere la sua razza soccombere e scomparire.
    Si massaggiò il collo cercando un po’ di sollievo dalla stanchezza, dai ricordi.
    Se quella era l’unica vita possibile per gli uomini-coniglio, meglio la morte. E vide che era rosa. Il cielo era rosa. Era già il crepuscolo. Solo allora, l’urgenza del suo dovere ripiombò sulle sue spalle, curvandole sotto quel peso gravoso, e facendogli reclinare la testa nuovamente verso terra: “E’ già il tramonto, ti vuoi muovere!” – intimò verso la figura che armeggiava sugli scalini ai suoi piedi.
    Forse per la stanchezza o più sicuramente per la sorpresa, non emise un fiato quando incrociò gli occhi di una ragazza. Una ragazza umana, lì, nel pieno dell’avanguardia conigliese. “Sono carina vero?!” cinguettò la ragazza e schioccò un bacio soffiandolo nella sua direzione. “Sei ridicola Grovieras, ma come dannazione ti sei conciata!” – urlò il Comandante, allargando le braccia, esasperato –“ Io non l’ho mai vista un’umana andare in giro vestita così! Lo sapevo che era una sciocchezza, affidare una missione tanto delicata nelle mani di una svampita!”. Ma neanche i suoi urli di stampo militare l’avrebbero scomposta, lo sapeva bene Karotòn. Nessuno dei suoi soldati era mai riuscito a tenergli testa come quella coniglietta. Infatti, Grovieras continuò tranquillamente ad attaccare adesivi di conigli rosa sul calcio di un fucile e rispose melliflua, anticipando un’altra prevedibile esplosione di rimbrotti: “Lo sto solo abbellendo…non ti alterare: ho studiato la mia parte alla perfezione, guardami? Neanche mia madre mi riconoscerebbe, sembro umana al 100%. Non sono una principiante e lo sai. Tu lo sai più di tutti”.
    Sì, lo sapeva. E doveva ammettere che quegli intrugli che facevano cadere il pelo e acquistare sembianze umane per qualche ora, erano miracolosi.
    “E comunque” – continuò la ragazza prima di perdere la sua attenzione – “è così che piacciono le donne agli ominidi.” Karotòn storse le labbra in un’espressione di disgusto. Il corpo delle donne umane, più che quello degli uomini, l’aveva sempre disgustato, così nudo, senza soffice e profumata peluria…sembravano morte. Grovieras se ne accorse: “Certo è una mise un tantino ridicola lo ammetto, ma sono ominidi che ti aspetti!”.
    Squadrò perplessa il suo abbigliamento: un corpetto nero le cingeva il busto, lasciando scoperte le braccia, e parti dei seni e del ventre comparivano tra i lacci troppo lenti. Cercò con le mani il fazzoletto di stoffa arancione e pizzo che aveva per gonna e che a malapena le copriva il pube. Calata nella parte, carezzò con lascivia una gamba e indugiò sul ginocchio, a stringere il nastro che le serrava le calze bianche. Risalì, sfiorando con le dita il polso stretto in un guanto nero che lasciava le dita scoperte, quindi attraversò le braccia, il collo circondato da un collare nero e rosso, intrecciò le dita tra i capelli turchini e scostò da un lato un piccolo cilindro nero, adornato da un grosso fiocco rosa. “Questo è un tocco di classe che ho aggiunto io” disse e sorrise salace – “Visto che gli ominidi pare non vogliano che noi siamo altro che dei conigli in un cilindro…”. “Tu devi essere un coniglio in una torta, invece!” abbaiò Karotòn -“e smettila di mangiare quella mela!”. Grovieras sbuffò, lasciò che la mela rotolasse sugli scalini e concluse: “Sì sì, lo so, melo hai ripetuto cento volte: mi intrufolo nella torta finta, sculetto in giro per la festa del Generale, me ne vado in camera sua e lo sgozzo. Poi dissemino qualche coniglietto-bomba in giro…eccoli, non sono pucciosissimi?” afferrò il coniglietto di pelouche abbandonato sullo scalino, lo accarezzò e lo depose in una borsa: “Missione compiuta. Zimbambum. Non avrai neanche il tempo di farti un saltello che tornerò da te e non ti lascerò più. Contento?” concluse e lo fissò.
    Poteva anche avere le sembianze di un’umana, ma quegli occhi rotondi, rosa, capaci di sorridere vezzosi, erano solo i suoi. “Non ti manderei se sapessi che non puoi farcela” sussurrò il Comandante, e distolse lo sguardo subito dopo. Grovieras si alzò, scese gli scalini in modo da dargli le spalle. Disse: “Non hai scelta. Guardati intorno: siamo già un ricordo”. Karotòn fissò i palazzi allungarsi in grandi ombre, come bare pronte a ricoprire tutto. In quella parte della città, l’architettura conigliese era quasi scomparsa, i palazzi erano squadrati, di chiara matrice umanoide e solo qualche decorazione a porte e ringhiere, conservava segni del loro retaggio. Un uomo-coniglio attraversò la strada strascicando i piedi e si confuse tra le ombre sempre più lunghe dei palazzi.
    Anche Grovieras cominciò ad allontanarsi. “Allora… ti aspetto” disse Karotòn e subito aggiunse con voce più atona: “Ma prima di venire da me, vedi di tornare normale”. La coniglietta si girò, gli occhi come lumini rosa nella penombra, gli regalarono un ultimo sorriso vezzoso. Poi scomparve, inghiottita dalle ombre dei palazzi.

  36. 186 Cody

    Ok, grazie mille per i consigli! Giusto per sapere, l’atteggiamento del protagonista suona un po’ forzato, oppure è abbastanza naturale?

  37. 185 Gamberetta

    @Cody. Gli elementi presenti nel disegno compaiono tutti, dunque come descrizione è buona. Probabilmente potevi tagliare un po’ all’inizio e alla fine, lasciando in pratica solo l’incontro tra Jim e Kanae, ma anche così può andare.

    Qualche osservazione:

    Il cielo incorniciava i vecchi palazzi in stile XXII secolo, così spogli, stinti e squadrati, più simili a magazzini che ad abitazioni vere e proprie, i cui profili facevano a cazzotti con la sua rosea delicatezza.

    In questo passaggio ci sono due problemi: il primo è che usi un po’ troppi aggettivi: vecchi, spogli, stinti, squadrati. In più che sembrano magazzini e sono del XXII secolo. Se tieni solo palazzi “spogli” e “squadrati” è sufficiente, anche perché nel disegno non paiono né particolarmente vecchi né particolarmente futuristici.
    Il secondo problema è quel “cazzotti” e “rosea delicatezza”. Il problema è che difficilmente un personaggio pensa sia un termine “terra terra” come “cazzotti” sia un’espressione poetica come “rosea delicatezza”. Dunque meglio tagliare e dire semplicemente che il cielo era rosa, tra l’altro sarà poi il lettore a decidere se questo fa a “cazzotti” con palazzi spogli e squadrati.
    Vedi anche più avanti quando dici: “[...] Begbie temette di perdersi nelle profondità rossastre dei suoi occhi color rubino.” Troppo “poetico”. Gli occhi sono rossi. È sufficiente.

    Begbie si voltò e, per un attimo, credette che a parlare fosse stata la sagoma scura dell’uomo-coniglio di fianco a una galleria sul fondo della piazza.

    Qui la situazione è semplicemente troppo forzata. Invece di questo far finta di sentire, secondo me puoi mettere tranquillamente che l’uomo-coniglio passava di lì.

    [...] ma, quando le fu più vicino, le parole gli morirono sulle labbra.
    Cristo santo, pensò.
    Non era stato solo l’AK-47 che stringeva nella destra a bloccarlo, ma tutto quanto il pacchetto. I capelli color menta, il mento a punta, il costume da pin-up sadomaso… la sua stessa essenza. Begbie fu colto da una leggera vertigine.

    Due cose. 1) se inverti l’ordine dei pensieri viene meglio:

    [...] ma, quando le fu più vicino, le parole gli morirono sulle labbra.
    La ragazza stringeva nella mano destra un fucile AK-47.
    Cristo santo, pensò Jim.

    2) La parte dopo, in particolare “il costume da pin-up sadomaso”, la taglierei inserendo invece qui la parte con la descrizione dettagliata degli abiti che hai messo più avanti. Va anche bene “diluire” le descrizioni, ma come hai fatto tu suona artefatto. Se vuoi mettere una descrizione precisa degli abiti, è questo il punto giusto.

    Fu solo allora che Begbie si accorse della stravaganza del suo costume: un piccolo cilindro da prestigiatore, il corpetto in pelle aperto sul davanti, la minigonna di pizzo, le scarpette da scolaretta… e a quanto questo la rendesse sexy.

    Qui usi termini concreti e abbastanza precisi, dunque questo stralcio di descrizione è decente. Però ha il difetto che è un po’ statica. Ti propongo un’alternativa, che anche trasforma da “raccontare” a “mostrare” quel “sexy”. E che rendere Jim un mezzo maniaco. Pazienza. ^_^

    “Questo corpetto è micidiale” disse Kanae “Sto soffocando”.
    La ragazza posò il fucile sul gradino. Si sciolse il fiocco sulla scollatura. “La fortuna di avere i laccetti sul davanti!”
    Jim deglutì. Avrebbe voluto carezzarle i seni, fare scorrere le mani sotto la minigonna di pizzo, sfilarle le scarpette da scolaretta e baciarle le caviglie.
    Kanae si tolse il cappellino da prestigiatore e glielo premette contro la faccia. “Piantala di guardarmi le tette!”

    Il finale stile anime penso che concordi bene con il disegno e il nome “Kanae”. Il punto comunque è che adesso ho descritto gli stessi dettagli ma li ho calati in una serie di azioni (e di conflitto).

    In ogni caso ribadisco che è un buon esercizio. Ci sarebbero altri dettagli da correggere, ma esulano un po’ dal discorso descrizioni e perciò li rimando ad altro Manuale.

    Grazie per il consiglio di lettura, me lo segno.

  38. 184 Cody

    Salve a tutti. Era da parecchio che seguivo il sito di Gamberetta, ma questi esercizi non li avevo ancora notati. Alla fine, ho voluto provarci anch’io (perdonatemi la prolissità):

    Jim Begbie pensò che, nonostante tutto, gli sarebbe potuta andare peggio. Insomma, in confronto a come si era ridotta Sharm el Sheik, quello era un piacevole rovescio della medaglia. D’altronde, la Borderless era sempre la Borderless.
    Lasciò il riparo del terminal, borsa da viaggio impermeabile alla mano, e raggiunse il centro della piazza. Begbie si fermò e si guardò attorno. Il cielo incorniciava i vecchi palazzi in stile XXII secolo, così spogli, stinti e squadrati, più simili a magazzini che ad abitazioni vere e proprie, i cui profili facevano a cazzotti con la sua rosea delicatezza.
    E che fine ha fatto il Bianconiglio? pensò Begbie. Se lo sono dimenticati a casa?
    Continuò a guardarsi attorno, mentre un lieve sentore di caramello gli si insinuava nelle narici.
    “Ohi!” si sentì chiamare.
    Begbie si voltò e, per un attimo, credette che a parlare fosse stata la sagoma scura dell’uomo-coniglio di fianco a una galleria sul fondo della piazza.
    “Di qua, Einstein!”
    Fu allora che la vide. La ragazza see ne stava seduta con noncuranza sui gradini in pietra di un palazzao color muco, un braccio levato in aria.
    Begbie strizzò gli occhi – c’era qualcosa che non quadrava in lei, anche se non riusciva a metterlo a fuoco. Scrollò le spalle, poi le fece a sua volta un cenno con il braccio e la raggiunse.
    “Non doveva aspettarmi al terminal?” avrebbe voluto chiederle, ma, quando le fu più vicino, le parole gli morirono sulle labbra.
    Cristo santo, pensò.
    Non era stato solo l’AK-47 che stringeva nella destra a bloccarlo, ma tutto quanto il pacchetto. I capelli color menta, il mento a punta, il costume da pin-up sadomaso… la sua stessa essenza. Begbie fu colto da una leggera vertigine.
    Fantastico, pensò. E’ venuta a trovarci anche la Jessica Rabbit del Giappone.
    “James Begbie?” domandò lei.
    Begbie deglutì. “L-lieto di conoscerla.” Le allungò la mano.
    Lei non lo degnò neppure di uno sguardò. Cominciò invece a stringersi con i denti i lacci del guanto sinistro, proprio come se lui non esistesse. Quando ebbe finito, afferrò un coniglietto rosa di peluche, la bruciatura di un proiettile sull’addome, abbandonato di fianco a lei sul gradino.
    “Io sono Kanae”, disse. Cacciò il pupazzetto sul fondo della borsa in cuoio alla sua sinistra, accanto ad un altro coniglietto di peluche e un paio di mele e si alzò. Quando levò il viso, Kanae gli rivolse uno sguardo perplesso e Begbie temette di perdersi nelle profondità rossastre dei suoi occhi color rubino. “Che ha da guardare?”
    “Nulla”, rispose timidamente lui. “Solo… A che servono quei conigli?” disse, accorgendosi troppo tardi della stupidità della domanda.
    Kanae abbassò lo sguardo sulla borsa. “A rompere le palle”, rispose. “Ogni tanto ne peschiamo qualcuno che bazzica per il centro e lo facciamo fuori. Se non altro, ci becchiamo due stipendi.”
    “Ah.”
    Fu solo allora che Begbie si accorse della stravaganza del suo costume: un piccolo cilindro da prestigiatore, il corpetto in pelle aperto sul davanti, la minigonna di pizzo, le scarpette da scolaretta… e a quanto questo la rendesse sexy.
    “Vogliamo andare?” domandò Kanae, secca.
    Begbie sbatté le palpebre, confuso, e tornò a guardarla in viso. “Oh. Certo, certo.”
    Be’, rifletté, alla fine poteva rivelarsi una vacanza piacevole, anche se si trattava solo di un ologramma virtuale. D’altronde, la Borderless era sempre la Borderless.

    Grazie per il disturbo.
    P.S.: Se posso permettermi, volevo consigliare un libro a Gamberetta: si intitola “Ghosts” ed è un’antologia di racconti di Joe Hill, che spazia dall’horror al mainstream, anche se regala uno sguardo più o meno a tutti i generi della narrativa.

  39. 183 Alex

    http://it-it.facebook.com/people/Augusto-Pepponi/1398421789

  40. 182 Anita

    Approvo.
    E’ tutto così statico, una noia mortale. Me ne sono accorta dopo averlo postato e tu sei stata anche fin troppo buona nel giudizio. Ho provato a modificare seguendo i tuoi suggerimenti ma il risultato mi fa storcere ancora il naso. Colpa mia, devo entrare nel meccanismo.

    Crunch.
    Maya addentò la mela e ne strappò un pezzo. Un po’ di succo dolciastro le gocciolò sul mento e sulla gonna di velluto che già iniziava a puzzare. Strinse le dita intorno al frutto, sempre più forte, fino a quando le nocche non divennero bianche e le unghie non si conficcarono nella buccia con una serie di scrocchi simultanei. Lurido verme.
    Scagliò la mela contro i gradini di pietra e la vide rotolare giù.
    Ripensò ai coniglietti morti che aveva spinto in fondo alla cartella di pelle; ripensò allo sciacquio delle viscere che sbavavano sangue sulle sue mani, e tremò.
    Questo schifo deve finire.
    Maledisse il giorno in cui i geni della Grunge Corporation avevano creato il suo personaggio virtuale. Il marchio degli sviluppatori del videogioco campeggiava sui marciapiedi delle stradine, tra le crepe dei muri e sulle zeppe delle sue scarpette lucide.
    Le faceva venire il voltastomaco
    Strinse le labbra in una linea sottile e pregò che l’umano ricominciasse a giocare, perché moriva dalla voglia di piantare un paio di cartucce nel petto di Mister Rabbit. Devi crepare, brutto bastardo. Tu e quel tuo patetico costume da coniglio. Si passò la punta della lingua sul labbro superiore, pregustando la vendetta, e poi scattò in piedi.
    Agganciò il suo fedele AK-47 ai laccetti della tracolla e si mise nella posizione in cui l’umano l’aveva lasciata durante l’ultimo salvataggio. Davanti a quell’edificio con i muri giallo vomito che sperava fosse il magazzino dove Mister Rabbit teneva nascosta una parte delle gabbie con le sue riserve di coniglietti importati dalle Macquarie Island.
    Maya sogghignò.
    Era tempo di andare a caccia.

  41. 181 Gamberetta

    @Anita. Premessa tipografica: quando finisce un concetto vai a capo e fai un nuovo paragrafo. Mettendo tutto di fila si ottiene un effetto wall of text che rende visivamente faticosa la lettura.
    Per esempio:

    [...] fino a quando le unghie non trapassarono la buccia con una serie di scrocchi simultanei. Era arrabbiata. Molto arrabbiata. Quella mattina aveva dovuto raccogliere cinque corpi di coniglietti morti, alcuni interi e altri fatti a pezzi.

    Qui sono tre concetti, perciò sarebbe meglio:

    [...] fino a quando le unghie non trapassarono la buccia con una serie di scrocchi simultanei.
    Era arrabbiata. Molto arrabbiata.
    Quella mattina aveva dovuto raccogliere cinque corpi di coniglietti morti, alcuni interi e altri fatti a pezzi.

    Hai flessibilità nel decidere quando finisce un “concetto” e ne inizia un altro, ma un paragrafo lungo una pagina e passa (500+ parole) è davvero troppo.

    Comunque, come descrizione va abbastanza bene, nel senso che ci sono quasi tutti gli elementi principali del disegno (anche se forse si poteva dare qualche particolare in più riguardo Maya, per esempio l’insolito colore dei capelli o lo strano copricapo).
    Quello che stona è che è un po’ troppo raccontato, si sente troppo la presenza del Narratore, invece sarebbe più coinvolgente se fossimo più nei panni di Maya (per la base teorica leggi il terzo dei Manuali).
    Per esempio:

    Quella mattina aveva dovuto raccogliere cinque corpi di coniglietti morti, alcuni interi e altri fatti a pezzi. Li aveva spinti in fondo alla cartella di pelle che si portava sempre dietro, insudiciandosi le mani del loro sangue denso e grumoso, ancora caldo. Quello sporco lavoro iniziava a stancarla e maledisse il giorno in cui i geni della Grunge Corporation avevano creato il suo personaggio virtuale.

    Non è “sbagliato” e tutto sommato può andar bene. Se però ti cali di più nel personaggio può venire meglio. Ci provo:

    Maya raccolse il cadavere del coniglietto scivolato fuori dalla cartella. Lo rificcò dentro, lo spinse in fondo, in mezzo agli altri coniglietti morti. Ritrasse la mano impiastricciata di sangue e grumi di pelo. Viscere colarono tra le dita. Che schifo di lavoro.

    Scritto al volo e si può fare meglio, ma spero si noti il fatto che nella seconda versione si è lì con Maya, mentre nella prima si guarda con occhio distaccato. E in generale più si è vicini, meglio è.
    Anche all’inizio:

    Crunch. Maya addentò la mela e ne staccò un grosso pezzo. La polpa farinosa le si sciolse in bocca e un po’ di quel succo dolciastro fuoriuscì dal labbro colandole lungo il mento. Continuò a masticare fissando il vuoto, e intanto le dita della mano serravano la presa sul frutto, fino a quando le unghie non trapassarono la buccia con una serie di scrocchi simultanei. Era arrabbiata. Molto arrabbiata.

    Uno dei “trucchi” per scrivere bene è cercare di far trasparire le emozioni senza dichiararle. Così come fai a mostrare che Maya è molto arrabbiata senza dirlo?
    Magari cambi da “staccò” neutro a “strappò” che è più il gesto di una persona arrabbiata.
    La polpa farinosa che si scioglie non va tanto bene: se sei arrabbiato non ti godi il cibo in questa maniera. Invece puoi dire che il succo dolciastro le goccia sul vestito: se il personaggio se ne accorge ma non fa niente vuol dire che ha altro a cui pensare, unito agli altri dettagli si capirà che questo altro è la rabbia.
    Invece di “trapassarono” magari “lacerarono”, o forse le unghie si “conficcarono” nella buccia.

    [...] i geni della Grunge Corporation avevano creato il suo personaggio virtuale. Conosceva il marchio degli sviluppatori del suo videogioco perché campeggiava sui marciapiedi di alcune stradine, sui muri riempiti di crepe e muschio delle location dei primi livelli e sulle zeppe delle sue scarpette lucide.

    Non spiegare! Suona sempre artefatto. Basta che lo affermi senza “giustificarti”:

    [...] i geni della Grunge Corporation avevano creato il suo personaggio virtuale. Il marchio degli sviluppatori del suo videogioco campeggiava sui marciapiedi, tra le crepe dei muri, sulle zeppe delle sue scarpette lucide.

    E così via. Non continuo perché in effetti queste sono appunto osservazioni che riguardano il terzo dei Manuali più che questo sulle descrizioni. E come dicevo all’inizio, la descrizione in sé può anche andar bene.

  42. 180 Anita

    Ciao Gamberetta,
    ci provo anche io.
    Grazie per l’utilissima opportunità.

    Crunch. Maya addentò la mela e ne staccò un grosso pezzo. La polpa farinosa le si sciolse in bocca e un po’ di quel succo dolciastro fuoriuscì dal labbro colandole lungo il mento. Continuò a masticare fissando il vuoto, e intanto le dita della mano serravano la presa sul frutto, fino a quando le unghie non trapassarono la buccia con una serie di scrocchi simultanei. Era arrabbiata. Molto arrabbiata. Quella mattina aveva dovuto raccogliere cinque corpi di coniglietti morti, alcuni interi e altri fatti a pezzi. Li aveva spinti in fondo alla cartella di pelle che si portava sempre dietro, insudiciandosi le mani del loro sangue denso e grumoso, ancora caldo. Quello sporco lavoro iniziava a stancarla e maledisse il giorno in cui i geni della Grunge Corporation avevano creato il suo personaggio virtuale. Conosceva il marchio degli sviluppatori del suo videogioco perché campeggiava sui marciapiedi di alcune stradine, sui muri riempiti di crepe e muschio delle location dei primi livelli e sulle zeppe delle sue scarpette lucide. Un nome che le faceva venire il voltastomaco. Gettò la mela, che rotolò sui gradini di pietra della scalinata su cui era seduta, e succhiò via il nettare dolce dai polpastrelli bagnati. Spostò lo sguardo accanto a sé, doveva giaceva la cartella, e la parve che la dura pelle si gonfiasse a colpi di testa e pugni, come se quei poveri animaletti fossero ancora vivi e stessero supplicandole la libertà. Se li immaginò zombie, con gli occhi sporgenti e iniettati di sangue, con gli artigli ricurvi e dei bitorzoli sulla schiena, con le orecchie affilate e il musetto aperto a mostrare una fila di denti seghettati e prominenti, grondanti bava mista a sangue nerastro. La poltiglia di bile e mela che aveva ingurgitato le risalì lungo l’esofago. Strinse le labbra in una linea sottile e pregò che l’umano si sbrigasse ad accendere la sua console e che ricominciasse a giocare, per darle modo di svuotare la mente da quei pensieri macabri e di sistemare, una volta per tutte, la questione con Mister Rabbit. Già, perché quel carnefice senza scrupoli che si divertiva a straziare leporidi innocenti girovagando con un costume da coniglio doveva morire. Fremeva dal desiderio di piantargli un paio di cartucce nel petto, trasformandolo in un colabrodo maciullato e lasciandolo agonizzare in mezzo alle sue stesse interiora sanguinolente. Si passò la punta della lingua sul labbro superiore, pregustando la vendetta, e poi scattò in piedi. Eccolo, finalmente. L’umano era pronto a riprendere la partita e se per lui si trattava soltanto di stupido intrattenimento, beh, per Maya era di vitale importanza che arrivasse fino al completamento dell’ultimo livello, quello che presagiva essere lo scontro finale. Agganciò il suo fedele AK-47 ai laccetti della tracolla, un fucile d’assalto che se utilizzato a una distanza ravvicinata poteva segare un uomo in due, e si mise nella posizione in cui l’umano l’aveva lasciata durante l’ultimo salvataggio. In attesa, davanti a un edificio con le pareti giallo vomito che si sperava fosse il magazzino dove Mister Rabbit teneva nascosta una parte delle gabbie con le sue riserve di coniglietti importati dalle Macquarie Island. Maya sogghignò, con il sangue che le pompava nelle vene schizzandole adrenalina in tutto il corpo. Era tempo di andare a caccia.

  43. 179 Marco Albarello

    Mi permetto di segnalare 40 regole per scrivere bene, ad uso e consumo di tutti quelli che vivono di parole:

    1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
    2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
    3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
    4. Esprimiti siccome ti nutri.
    5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
    6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
    7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
    8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
    9. Non generalizzare mai.
    10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
    11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
    12. I paragoni sono come le frasi fatte.
    13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
    14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
    15. Sii sempre più o meno specifico.
    16. La litote è la più straordinaria delle tecniche espressive.
    17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
    18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
    19. Metti, le virgole, al posto giusto.
    20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
    21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso e! tacòn del buso.
    22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
    23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
    24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
    25.Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
    26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
    27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
    28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
    29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
    30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
    31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
    32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
    33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
    34. Non andare troppo sovente a capo. Almeno, non quando non serve.
    35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
    36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
    37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
    38. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differanza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competente cognitive del destinatario.
    39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
    40. Una frase compiuta deve avere.

    (tratto da: Umberto Eco, La Bustina di Minerva, Bompiani 2000)

  44. 178 Gamberetta

    @Hellis. Non male. Interessante il punto di vista e sono descritti tutti gli aspetti fondamentali dell’immagine. Perciò dal punto di vista dell’esercizio direi che ci siamo.

    Parlando più in generale ho trovato alcuni passaggi un po’ retorici. Per esempio:

    Non posso guardare. Non sopporterei di rivedere l’imbottitura di mio fratello sparsa sulle scale di pietra, o la sua testa di pezza strappata. E’ già abbastanza orribile che quella ragazza attacchi un adesivo sul fucile ogni volta che stermina qualcuno della mia famiglia.

    Il “non oso guardare” o “l’abbastanza orribile” suonano un po’ artefatti. Io lo taglieri, sarei più diretta:

    L’imbottitura di mio fratello è sparsa sugli scalini di pietra. La ragazza l’ha sventrato e gli ha strappato la testa di pezza. Ha sorriso compiaciuta e ha appiccicato l’adesivo di un coniglietto al calcio del fucile. Ammazza i miei fratelli e dopo ogni esecuzione attacca un adesivo. Bastarda.

    #

    Se solo qualcuno venisse a salvarmi.
    Dove sono i rumori della città?
    Dove sono le auto nel traffico, i passanti con la spesa, i piccioni svolazzanti che infestano questa maledetta piazza?
    Questo quartiere affollato all’alba del 1° gennaio si è trasformato in un deserto.
    Sono tutti al calduccio nei loro letti.

    Qui le domande retoriche oltre a essere bruttine in sé, non vanno bene per quanto riguarda la descrizione. Se tu dici che non ci sono passanti o non ci sono auto, comunque il lettore, quando incappa in quelle parole, vede passanti e auto. E non è il massimo, visto che appunto non sono nel disegno. In alcuni casi le descrizioni “in negativo” funzionano, qui secondo me varrebbe la pena tagliare tutto:

    Se solo qualcuno venisse a salvarmi.
    Ma la mattina presto sono tutti al calduccio nei loro letti.

    Una considerazione generale: chiami la ragazza in un sacco di modi diversi (“assassina”, “ragazza”, “psicotica”, “carogna”, “ammazza-conigli”). Il problema è che il lettore ogni volta deve fare uno sforzo mentale per collegare il nome al personaggio. È meglio mantenere uno o al massimo due termini per quando il personaggio agisce, e mettere i giudizi del coniglio a parte. Per esempio:

    La psicotica continua a battere il piede sul gradino.

    Io scriverei:

    La ragazza continua a battere il piede sul gradino. Dannata psicopatica.

    Altrimenti quando scrivi solo “psicotica” c’è quel mezzo secondo in cui si deve ragionare: “La psicotica sarebbe la ragazza di prima. Ah, ok.”

    Se scrivi in prima persona, puoi quasi sempre tagliare i verbi di percezione. Per esempio:

    Sento che il tacco inquieto si è fermato. Magari l’ammazza-conigli se ne va e lascia la borsa sulle scale.

    Diventa:

    Il tacco inquieto si è fermato. Magari l’ammazza-conigli se ne va e lascia la borsa sulle scale.

    Che è più diretto, più nella testa del personaggio. Almeno se stai usando il presente a indicare che assistiamo in diretta a quello che succede, abbiamo sotto gli occhi i pensieri del personaggio mentre si formano – non proprio un flusso di coscienza, ma quasi. Se invece intendevi un presente storico e volutamente vuoi mettere distanza tra i fatti e la loro narrazione successiva, allora ci possono stare i “sento”, “vedo”, “annuso”, ecc.

    Cerco di sparire accanto alle mele rosse [...]

    I “cercare di” di solito non rendono molto (vedi l’articolo 3 dei Manuali). Direi che puoi tagliare: “Sparisco accanto alle mele rosse”, o forse è meglio: “Mi nascondo tra le mele rosse”.

    Comunque sono tutte sfumature, di errori gravi non ce ne sono. È un buon brano.

  45. 177 Hellis

    Carissimma Gamberetta, apprezzo molto quello che scrivi e non ho resistito al desiderio di fare anch’io una prova.So che sei molto occupata e questa proposta ha suscitato un consenso tanto vasto che è difficile scorrere tutti i commenti senza smarrirsi. Ma come ho detto proprio non potevo resistere. Sarei felicissima di ascoltare le tue correzioni al mio testo, per quanto crudeli ed impietose possano essere. Meglio cento pedate da un’interlocutrice intelligente che mille complimenti infruttuosi. Domo arigato in anticipo.

    Non ce la faccio.
    Non ho il coraggio, non posso alzarmi, sento che quell’assassina è ancora vicina. Fosse sta ancora fissando quello che resta di Winnie, dopo che ci si è divertita tutto il pomeriggio.
    Non posso guardare. Non sopporterei di rivedere l’imbottitura di mio fratello sparsa sulle scale di pietra, o la sua testa di pezza strappata. E’ già abbastanza orribile che quella ragazza attacchi un adesivo sul fucile ogni volta che stermina qualcuno della mia famiglia.
    Trattengo il respiro fra i denti. Non voglio attirare la sua attenzione.
    Cerco di sparire accanto alle mele rosse che ha infilato distrattamente nella tasca del carniere. Era talmente ansiosa di iniziare i suoi “giochetti” col povero Winnie da lasciare aperta la tasca, e alcune mele sono rotolate fuori.
    Se solo si girasse potrei sfruttare lo spazio in più per uscire.
    Se solo ne avessi il coraggio.
    Mi sento le gambe e la testa di ovatta.
    Domani saremo solo altri due adesivi rosa sul calcio del suo fucile.
    Tap, tap, tap. Tap.
    La psicotica continua a battere il piede sul gradino. Quando ci ha preso credevo che si fosse messa gli zatteroni per schiacciarci sul selciato, e pensavo fosse un modo terribile di morire.
    Ho cambiato idea.
    E’ un modo più veloce e pulito di quello che ha usato con Winnie.
    Se solo avessi il coraggio di provare a scappare. Presa dalla furia potrebbe anche uccidermi in fretta, e risparmiarmi ore di strappi lenti. Se mi staccherà lentamente i bottoni dagli occhi colle sue unghiette laccate di rosa, almeno sarò già morto.
    Se solo qualcuno venisse a salvarmi.
    Dove sono i rumori della città?
    Dove sono le auto nel traffico, i passanti con la spesa, i piccioni svolazzanti che infestano questa maledetta piazza?
    Questo quartiere affollato all’alba del 1° gennaio si è trasformato in un deserto.
    Sono tutti al calduccio nei loro letti.
    Nessuno passerà di qua.
    Vorrei tanto sentire la voce della bambina che ci ha perso al parco. Si chiama “Tesorino mio”, l’ho sentita chiamare dalla sua mamma. Lei verrebbe qui con le sue scarpe rosa, tirerebbe i capelli celesti alla pazza omicida e urlerebbe come un’ossessa finchè non le rendono “ tutti coniji”. Con l’altra bambina all’asilo ha funzionato.
    Ma non verrà.
    “Tesorino mio” la mattina salta sul letto con “tutti coniji rosa”.
    Si accorgerà che io, Winnie e Jessica manchiamo?
    Sento che il tacco inquieto si è fermato. Magari l’ammazza-conigli se ne va e lascia la borsa sulle scale.
    Avrà ancora Jessica in tasca? Mi si stringe il cuore a pensare mia sorella, col suo piccolo fiocco celeste sotto la gola, nelle sue mani.
    Ora il suono di lacci che scorrono mi fa capire che quella carogna si sta levando i mezzi-guanti di cuoio. E’ abbastanza riposata per ricominciare a “giocare”.
    Non abbiamo scampo.
    Vorrei che le facessero male, che la sbattessero contro gli spigoli freddi delle scale come ha fatto lei con mio fratello, che le strofinassero il suo delicato faccino d’angelo contro il gradino rotto fino a bagnarle la faccia di sangue.
    Vorrei che fosse un coniglio a farlo. A fare giustizia.
    Un coniglio gigante, più grosso del padre di “Tesorino mio”. Tanto pesante da spezzare con uno schiocco le piastrelle sotto ogni passo. Non un debole coniglietto rosa per bambini, come noi, ma un coniglio nero carnivoro e assetato di sangue, che le stacchi le dita curate coi suoi lunghi denti.
    Mentre la mano piccola e spietata mi tira fuori dalla borsa, mi concentro. Sento i passi veloci e violenti del coniglio nero. Sta venendo a prenderla.

  46. 176 La mappa definitiva del Giovane Esordiente « Werehare's Burrow

    [...] sempre: Gamberi Fantasy. Le pagine che voglio dapprima portare alla tua attenzione sono queste: * Manuali 1: Descrizioni, ovvero consigli su come importare una descrizione; * Manuali 2: Dialoghi, ovvero (guarda un [...]

  47. 175 Gamberetta: yes you can! « Sito di Matteo Rinaldi

    [...] La descrizione, Lezione I http://fantasy.gamberi.org/2009/10/03/manuali-1-descrizioni/ [...]

  48. 174 Descrizioni, luoghi, 1 |

    [...] A chi sentisse il bisogno di una guida o di alcune linee direttive sullo scrivere descrizioni, consiglio di leggere il compendio dedicato all’argomento redatto da Chiara-Gamberetta. Trovo che sia davvero ben fatto, sintetico ma puntuale ed esauriente. Eccolo qui. [...]

  49. 173 Leroux

    @Paolo Aka…
    Concordo. Credo sia anche una qestione di ritmo. La lentezza della scrittura classica rispecchiava i ritmi di vita dell’epoca, per cui andava bene. Riproporla oggi, invece,in un mondo così frenetico, penso sia un grosso errore.

  50. 172 Leroux

    Articolo molto interessante, complimenti. Alla fine non ho resistito e ho voluto provare anch’io l’esercizio. Non ho alcuna velleità da scrittore, eh, sia chiaro.
    A ogni modo…

    Adoro Lynn. Oggi, poi, è proprio carina: il corsetto e i guanti, il gonnellino svolazzante, le calze bianche, i sandali di vernice e un cilindro infiocchettato con un nastro rosa che sui capelli acquamarina sta una meraviglia.
    È da questa mattina che giriamo per la città di Leporide. Abbiamo battuto tutte le strade, ma delle Linci neanche a parlarne. Lynn si è stancata e ha deciso di fermarsi un po’. Ci siamo seduti su dei gradini di pietra, davanti l’ingresso di… un museo, credo.
    Io mi annoiavo, così ho iniziato a dire cretinate ai Conigli Neri che passavano. Cose del tipo: “Hey, zio, complimenti per l’abbronzatura”. Oppure: “E a te cos’è successo, amico? Ti hanno tirato troppo tardi dal forno?”.
    All’inizio mio cugino Wixie cercava di trattenersi. Teneva le zampette sul muso per soffocare le risate. Poi non ce l’ha fatta più ed è scoppiato.
    Lynn s’è arrabbiata. Secondo lei dovevamo un minimo di rispetto ai nostri simili, visto quello che stanno passando. Ho cercato di farle capire che siamo conigli anche noi. Solo che siamo rosa e la vita la vediamo colorata. E che le Linci non hanno preferenze cromatiche, quando si tratta di far colazione.
    “Vero”, ha detto Wixie. “I Conigli Neri non hanno proprio spirito”.
    “Ce l’hanno, ce l’hanno”, ho detto io. “Nella pancia, ma ce l’hanno”.
    Wixie mi guardava stranito. Non aveva compreso il senso delle mie parole. Gli ho mimato il gesto di tracannare una bottiglia e ho cominciato a barcollare, fingendo di essere ubriaco. Mio cugino s’è steso a pancia in giù. Batteva tutte e quattro le zampette per terra, tanto rideva. Sembrava un nuotatore scemo.
    Lynn, esasperata, ha tirato un gran sospiro. Ha afferrato Wixie e l’ha strizzato come una spugna per fargli sputare il semino di mela. Dopo ha infilato mio cugino nella borsa di cuoio.
    A me, invece, l’ha fatto sputare spiaccicandomi col calcio del fucile. Ora penzolo a testa in giù, piegato in due sullo spigolo del gradino.
    Le passerà. Lo fa sempre, quando ci rendiamo insopportabili. Spegnerci, intendo. Ecco perché porta sempre con sé una buona scorta di mele della vita.

  51. 171 Paolo AKA demiurgo

    Ho trovato l’articolo molto intessente, specialmente quando si parla degli aspetti dinamici della descrizione.
    Varrebbe la pena approfondire ancora. Sebbene la descrizione esista dall’invenzione della scrittura (da prima, forse), la maniera di descrivere “moderna” è molto diversa da quella che si trova nei “classici”. Questo, sembra, sia per via dei gusti e delle richieste del lettore. Una descrizione approfondita di luoghi diversi era infatti molto godibile da ul lettore dell’ottocento. Oggi questa funzione “fotografica” è sgradita, invece, tutti sappiamo farci un’idea di come sono i sobborghi di Londra o un’isola esotica del pacifico, le abbiamo viste entrambe in foto, film, documentari ecc.
    La descrizione quindi oggi perde quella che era stata forse la sua funzione prevalente e assume un fomato più minimalista, atto a ottenere, di solito, effetti molto specifici come creare l’atmosfera, caratterizzare un personaggio o suggestionare tramite qualche significato simbolico che fa scattare associazioni d’idee più o meno indirette.
    La diversità e il proliferare di nuove tecniche descrittive deriva quindi da una mutata funzione della descrizione stessa.
    Riguardo alle tecniche, mi sembrano molto interessanti alcune definite “cinematografiche” (forse il termine non è appropriato perché venivano usate già prima della invenzione del cinema) che tengono in considerazione dettagli come l’inquadratura, la distanza dell’osservatore/telecamera, il movimento della visuale, l’effatto “fade” tra una scena e la successiva e altri aspetti che possono creare maggiore fluidità, rendere la descrizione più “integrata” nello scritto e di immediata efficacia.

  52. 170 Ylunio

    Grazie.. :)

  53. 169 Gamberetta

    @Ylunio. Puoi scaricarlo da qui.

  54. 168 Ylunio

    Stavo scaricando i Manuali da Gigapedia (splendido sito, davvero) e mi sono accorta che non è più possibile scaricare Word Painting: A Guide to Writing More Descriptively.
    Gigapedia informa che si tratta di un “dead item”.

    Come fare in questo caso?

  55. 167 Mauro

    Grazie per il commento, fanno sempre piacere!

    Aggettivi come “eclettica” possono avere valenza positiva, mentre altri come “ordinaria” danno, per come delineato il cappello, una valenza negativa, ma ben diversa da quella data da “grezza” (anche tralasciando che l’idea trasmessa non mi pare di una persona ordinaria).
    “Grezza” credo trasmetta l’opinione negativa del cappello: non considera la ragazza solamente una persona non alla sua altezza, la considera proprio, in ogni sua scelta (almeno, in quelle descritte), una persona che mostra scarsa intelligenza, poco gusto, ecc.

  56. 166 folgorata

    @ Mauro

    Anche a me la tua descrizione è piaciuta e non mi pare grave la mancanza del coniglio nero. Mi sei un po’ caduto alla fine:
    “Non mi stupisce, da una persona così grezza.”
    Questo “grezza” mi pare una sciatteria lessicale. Potevi usare un aggettivo “finto oggettivo”, tipo “eclettica” che sarebbe suonato sarcastico; oppure potevi illuminare definitivamente la “personalità” del cilindro usando un aggettivo valutativo. Se per esempio avessi usato l’aggettivo “ordinaria” avremmo saputo di dover prendere con le pinze il giudizio espresso da un cilindro troppo snob; se avessi usato l’aggettivo “chiassosa” avremmo saputo viceversa che il nostro cilindro è molto compassato.

  57. 165 edmond dantes

    dunque ,
    da che parte iniziare , il dubbio è assai palese quasi comparabile a questo sito , sia chiaro mi è stato suggerito come fonte di ispirazione per i futuri acquisti . e devo ammettere mi abbia deluso per la pressochè inesistente imparzialità nel giudizio e veridicità . un piccolo esempio buio è un libro particolare . é vero, dalle prime pagine non mi ha colpito partiolarmente tuttavia qualcosa mi ha indotto a continuare ed è stato un esordio sorprendente , a dir poco unico , il miglior urban fantasy dell anno anche se forse lo giudicherei triller fantasy . comunque oltre questo dettaglio giudicabile piu o meno valido dalla demenzialità dei presenti ho proseguito il mio tour su queste pagine e devo ammettere vi siano alcune rilevazioni davvero interessanti . tuttavia ciò che realmente manca è la nozione per cui forse e ribadisco forse un libro non si giudica dalla copertina o dalle prime dieci pagine comunque … il mio è un consiglio generale ossia non incentrato soltanto sulla precedente tesi ma sulla quasi totalita degli argomenti trattati in queste pagine . forse la mia è critica ecessiva ma essendo solo uno spettatore me la posso permettere … voi amministratori al contrario attenetevi alla seppur utopica neutralità se gradite avere seguito .

    edmond dantes

  58. 164 Ste

    Probabilmente sono io ad essere matto/maniaco però ho l’impressioen che spesso alle descrizioni in genere (ed anche ai romanzi/racconti/novelle) manchi un elemento non trascurabile: l’audio. Ho spesso l’impressione che tutte la azioni si svolgano nel silenzio assoluto rotto solo dai dialoghi e dai suoni messi lì dall’autore. Molto raramente ho letto di personaggi costretti ad alzare la voce per farsi sentire dal proprio compagno in locande o in città con il mercato in corso, anzi spesso bisbigliano fra loro.
    Un’elemento dei fabtasy quasi onnipresente come elfi, draghi e nani sono le locande. Luoghi dove il personaggio entra e vi è la stessa “colonna sonora” che vi era all’esterno. Ma gli autori sono mai entrati in un bar?

  59. 163 Gamberetta

    @Mauro. Sì, non era il massimo. Forse potevi introdurre il coniglio facendo pensare al cappello che avrebbe preferito essere in testa all’animale appena arrivato: portamento fiero, pelo curato e poi di un elegante colore nero.

  60. 162 Mauro

    Manca il coniglio nero, ma pazienza

    Inizialmente c’era, era così (era il paragrafo prima di “Almeno non mi è andata male come a quel povero fucile”): “Vorrei almeno che mi spolverasse. Quando è apparsa quella specie di coniglio nero si è girata improvvisamente, facendomi rovinare sulla strada. Un coniglio. E lei pensa che sia un nemico. Non durerà cinque minuti”. In generale non mi dispiaceva, ma l’ho tolto perché mi sembrava forzato, messo giusto per inserire il coniglio nero; semplice impressione mia?

  61. 161 Gamberetta

    @Mauro. Divertente. E un altro punto di vista bizzarro e originale: mi piace. La ragazza è ben tratteggiata, e nel complesso i pensieri del cappello suonano naturali. Manca il coniglio nero, ma pazienza. Buona descrizione.

  62. 160 Mauro

    Premessa: causa casini vari non sono riuscito a cercare ulteriore materiale sulla questione della lineetta per indicare interruzione (per chi non ricordasse: l’usare per indicare sospensione e per indicare interruzione); attualmente non ho nemmeno sottomano i libri del caso. Cercherò di farlo in futuro, se interessa, ma non assicuro.
    Però approfitto dell’occasione per correggere una cosa detta in passato: in effetti ho visto almeno una cosa in Italiano che mantiene l’uso dell’originale inglese: Megatokyo; non sarà professionale (cosa che vista la qualità di certe traduzioni “professionali” potrebbe essere un pregio), ma comunque viene mantenuto.

    Detto questo e sperando di non essere in ritardo (brutto non avere Internet a casa per mesi…), prima bozza dei compiti a casa:

    Non ne uscirò integro. Non questa volta.
    Un cilindro come me dovrebbe essere indossato da un signore di classe, non da una ragazzina con i capelli tinti. Feste e alta società, quello è il mio posto. Lontano da una bambina che si crede un soldato, seduta su una scala polverosa, in attesa di partire per chissà quale guerra.
    Mi ha perfino rovinato con un nastro rosa. Dico: un nastro rosa. Almeno fosse nero. Questa plebea non si rende conto che non ha gusto.
    Un elmetto. Questo le servirebbe. Totalmente privo di classe, ma sempre meglio che essere morti. Conoscevo un elmetto; scorbutico, ma potevi farci affidamento. Magari lo incontrerò. E questa ragazzina capirà perché non sono rosa.
    Forse vivrà abbastanza per rinsavire. Ma non ci spero. È uscita di casa con un fucile e una manciata di mele nella cartella di scuola, e ha già iniziato a sprecarne. Si siede sulla scala di casa, butta la cartella per terra, assaggia una mela e la getta dopo un morso; non fa sperare bene. E i vestiti: non sono esperto, non mi sono mai abbassato al livello dei militari. Ma dubito che un corpetto striminzito e una minigonna con pizzo siano una protezione adeguata. Non sono nemmeno raffinati. Roba da ragazzini, che non capiscono cosa sia lo stile. E quel nastro nero è sprecato sulle calze, starebbe meglio su di me.
    Almeno non mi è andata male come a quel povero fucile. Un coniglio. Rosa. Credo che, se potesse, si staccherebbe il calcio. Io lo farei. Se mi vedesse la bombetta del Conte in quelle condizioni…
    Non che conterebbe qualcosa. A minuti da quella galleria arriveranno i militari, e lei andrà con loro, sicura di sé. Forse crede che quel paio di peluche con cui gira le porterà fortuna. Ancora conigli rosa. Dev’essere pazza. Non si è nemmeno accorta che glien’è caduto uno. Non mi stupisce, da una persona così grezza.
    Un colpo mi forerà. O forerà lei, e io mi sporcherò. Rovinato per sempre.
    E gli uomini dovrebbero essere quelli intelligenti.

  63. 159 folgorata

    Miii Castelloincantato un ragionamento così fa buttare l’editore a capofitto giù dalla finestra dell’ufficio dopo aver mirato con attenzione il tombino di ghisa! Proprio in questi giorni Eco ha illustrato il suo ultimo saggio dedicato alla lista, alla elencazione significativa, alla enumerazione descrittiva… Ecco la lista può essere un’elemento descrittivo anche molto protratto e per una sorta di effetto cumulo delle suggesioni impone un ritmo orgasmico alla lettura. Evoca archetipi spiralati alla Fibonacci… Ecco pur questa che è la forma più veloce e avvincente di descrizione se essa non coglie il bisogno emotivo del lettore diventa una mattonata sui coglioni!
    Stiamo parlando di Fantasy qui no?
    Beh nel fantasy, te ne do atto, la descrizione è veramente importante perchè assolve il bisogno del lettore di fantasy di trovarsi in un mondo del tutto diverso dal proprio, con regole sovvertite o senza regole, un mondo dove poter esprimere se stesso e prendersi le proprie rivincite. Questo mondo dunque va descritto. Ma sarà vitale che la descrizione riguardi le cose fantasy della situazione non le cose ordinarie per esempio. Per dire che uno apre una porta non c’è bisogno di dire che è fatta di rovere e che la maniglia è in ferro battuto. Se però la porta è in madreperla e la maniglia è fatta da un serpente vivo, è il caso di raccontarlo! E poi ci sono momenti del romanzo nei quali la descrizione soddisfa e altri nei quali non soddisfa il lettore. Se la porta di madreperla con la maniglia di serpente vivo, è contenuta in un lungo esempio paradossale fatto dalla madre del protagonista per riportarlo alla realtà, diventa una palla. Tipo:
    «Piantala di sognare ad occhi aperti! Qui non ci sono porte di madreperla, serpenti al posto di maniglie. Non ci sono draghi dalla cresta rosa e lingue profumate! Non ci sono donne siamesi che ballano il fox trot a passo di gambero…. etc» Non mi sembra granchè.
    Nel romanzo rosa descriverai la setosità dei cuscini, la morbideza dei capelli, la lunghezza delle ciglia, la delicatezza del tocco, la lucentezza dell’auto…
    Nel romanzo giallo, descriverai con minuzia il sangue e il cibo: il rivoli di sangue misto a siero che escono dai margini rilevati della ferita, le mosche che si raggrumano su un’oncia di cervello, la doratura croccante degli arancini di riso :-)

  64. 158 Hellfire

    Ora, uno legge questi autori e pensa: se un grande scrittore fa così, perchè non dovrei farlo io?

    perché quelli erano grandi scrittori nel loro tempo e nel loro luogo.
    una volta il massimo della moda era una pelliccia di leopardo stropicciata e smangiucchiata: ti vestiresti ancora così?
    non tutte le regole restano valide nel tempo.

    oltretutto quei grandi scrittori non avranno “semplicemente descritto” ma avranno fornito descrizioni forti, precise, evocative, cosa di cui non tutti sono capaci.

  65. 157 castelloincantato

    quello che fa rabbia è vedere quanto il lettore sia tenuto in poco conto. Tra le righe della descrizione di cui sopra in verità si legge: “Chi se ne fotte? Tanto ’sta merda se la devono sorbire delle ragazzine cerebrolese. Povere scemotte che si bevono qualsiasi cosa. Perché impegnarsi?”

    Io non credo che il problema sia questo: cioè non penso che l’autrice/ore consapevolemente voglia prendere in giro il lettore; semplicemente crede che le descrizioni debbano essere fatte così. La cosa grave secondo me è che non è solo un problema degli autori fantasy/italiani/diciassettenni, ma il cncetto che le descrizioni debbano essere statiche e pallose è una concezione che infetta tutta la letteratura, anche, e SOPRATTUTTO, quella classica. Mi spiego meglio: prendiamo un – considerato – grande scrittore: Hugo. Se si legge notre-dame de Paris a un certo punto il lettore è “deliziato” con ben due capitoli di descrizioni:cioè per ben due capitoli di decine di pagine non accade assolutamente nulla, se non minuziose descrizioni di tutte le vie della città e dell’architettura della cattedrale. Oppure Balzac,che descrive nei particolari l’abbigliamento dei suoi personaggi o i lineamenti del volto. Dostoevskij in “delitto e castigo” ci offre un’intera pagina di discorso indiretto:un vero spasso! Ora, uno legge questi autori e pensa: se un grande scrittore fa così, perchè non dovrei farlo io?

  66. 156 folgorata

    Rif. “Ci stavo pensando” : Allora ci ho pensato crostacea, te ghe rasun ti, e non solo perché pleonastico ma perché eliminarlo forza un aggiustamento paratattico che è più consono alla narrazione di genere.

    Sull’altra tua eccezione e cioè che “troia prepubere” fosse descrizione troppo succinta per la fanciulla, considerata la preminenza dei dettagli che la riguardano nell’ambito della fotografia. Mi piacerebbe sapere se concordi su una mia intuizione. La descrizione soggettivizzata ci descrive di più il soggetto che vede piuttosto che l’oggetto guardato. Dal mio pezzettino si capisce parecchio della psicologia del conigliomannaro. Quindi non solo lui era troppo lontano per notare troppi dettagli della ragazza ma forse non sarebbe neppure coerente con il suo personaggio notarli. Per descrivere fiocchi e fiocchetti si potrebbe forse, senza introdurre altri personaggi, ricorrere a un artificio e passare al pov della ragazza. (Ah secondo le me narrazioni in prima persona possono avvicendare con opportuna titolazione Pov diversi) Dunque si potrebbe far seguire al pov del Conigliomannaro il pov della Troiaprepubere:
    “Dietro le finestre dei palazzi, probabilmente gli occhi delle mie piccole prede erano sgranati. Come potevano resistere alle mie mele invitanti. Non solo le mele esca recuperate all’emporio ma quelle che mi uscivano dal corsetto “vedi non vedi” con svolazzi di seta. Del resto l’attrezzatura di caccia contava su appetiti di nature differenti. Afferrai con i denti il laccio di un guanto. I coniglietti non avrebbero resistito neppure alla sottovestina di pizzo e alle francesine con giarrettiere spaiate. Il cappello no, era un vezzo solo mio come i capelli. Avevo scoperto tuttavia che quel colore verde funzionava sempre, ricordava l’erba e le mie prede si sarebbero infilate nella bisaccia da sole.”

  67. 155 Gamberetta

    @sissiblues. Buona descrizione. Il punto di vista in prima persona è gestito bene.
    In qualche punto ho avuto l’impressione che volessi inserire proprio tutti i particolari del disegno, ma suona un po’ forzato, tipo:

    “E farò la stessa identica fine dei miei compagni, trasformato in un piccolo coniglietto rosa gommoso e infilato insieme alle sue mele rosse di marzapane nella borsa di pelle per poi essere venduto a qualche bambino ciccione da un baracchino del centro durante le festività natalizie.”
    Frase troppo lunga e probabilmente dovrebbe finire a “coniglietto rosa gommoso”. Fa niente se non riesci a inserire anche le mele. Magari le puoi mettere più avanti.

    “Quei poster che mettevano in guardia, che dicevano attenzione che QuellaLà dei Conigli Ombrosi si sta aggirando da queste parti con cattive intenzioni.”
    Qui onestamente non ho capito quel “dei Conigli Ombrosi”, non basta QuellaLà?

  68. 154 sissiblues

    Ciao, mi piace il tuo blog.. ed ho voluto provare a fare l’esercizio.. Se hai qualche critica, la gradisco volentieri!
    Grazie!
    Ecco il testo:

    “Oh merda, mi ha visto.
    Mi sta fissando, ferma immobile seduta su quegli scalini di pietra.

    Ora mi spara. Ora di scatto prende in mano quel suo fucile e me lo punta dritto in faccia. E farò la stessa identica fine dei miei compagni, trasformato in un piccolo coniglietto rosa gommoso e infilato insieme alle sue mele rosse di marzapane nella borsa di pelle per poi essere venduto a qualche bambino ciccione da un baracchino del centro durante le festività natalizie.

    Lo so che è stata lei a farlo, a Jen, ad Al, e a tante altri Conigli Ombrosi della parta alta della città. Lo so, perché ho riconosciuto lo stemma della sua missione su calcio del fucile. Un piccolo coniglietto rosa stilizzato. Che quasi quasi fa tenerezza.

    Sbatte le palpebre e continua a fissarmi, senza muoversi di un millimetro.

    Lo so che è finita, lo so. Ora afferra il fucile con la mano guantata e me lo punta contro. Lo so.

    E mi avevano anche avvertito di non andarmene in giro quando il cielo si faceva viola, che sarebbero stati guai. Ma io, niente, io non ho mica voluto credere ai poster appesi ai muri di tutta la parte alta della città. Quei poster che mettevano in guardia, che dicevano attenzione che QuellaLà dei Conigli Ombrosi si sta aggirando da queste parti con cattive intenzioni.
    La “Tirolese”, la chiamano, qui, per quegli strani abiti che porta, che a vederli bene, paiono davvero usciti dalla tradizione austriaca. Magari un più dark, eh. E un po’ più succinti, perché alla fine, la camiciona bianca sotto il corpetto con le bretelline non la porta mica.
    Ed è proprio come l’avevano disegnata, su quei poster, precisa precisa, anche se non immaginavo che i suoi capelli fossero veramente di colore verde acqua.

    Beh, forse non mi vuole davvero uccidere. Lo avrebbe già fatto. Provo a fare un passo? Provo.
    E lei, tac!, ecco che ruota la testa, verso di me, per mettermi di nuovo a fuoco. E il minuscolo cilindro dal fiocco rosa che teneva in testa le cade a terra, andando a posarsi proprio accanto a un altro coniglio rosa gommoso. Loren, ecco chi era. Lo riconosco dal suo inseparabile papillon blu. Ed ora, capovolto, scivola lungo gli scalini.

    Forse è meglio se mi giro e me la do a gambe. In fondo sono parecchio svelto.
    E allora, uno due tre, mi volto e scappo.
    La sento alle mie spalle, si è alzata di scatto, ho sentito gli ingranaggi metallici del fucile adattarsi alla sua mano.
    Corro più veloce e ancora più veloce. Anche senza fiato. Si, anche senza fiahhh..

    Poi uno sparo.

    Mi fermo all’istante. Il cuore. Oddio il cuore. Accipicchia come batte.
    Non sono stato colpito.
    Mi volto.

    Frank, il Coniglio Ombroso dal passo lesto, stava fuggendo in fondo alla strada. Ed ora era esanime a terra.

    E lei, ancora immobile, ma questa volta in piedi, di spalle.
    Il laccio nero sulla gamba si sciolse, e la calza le scivolò alla caviglia. “

  69. 153 folgorata

    Ciao Gambera, grazie dell’attenzione che mi hai dedicato. Il pezzo secondo me ha un altro difetto. Avrei dovuto scrivere “divenne l’impulso a scappare” invece che “divenne un impulso: darsela a gambe”.
    Quanto alla descrizione della ragazza, ovviamente è scarna. Descriverne i dettagli dal colore dei capelli, al corpetto, ai reggicalze sarebbe stato sbagliato in un flash della situazione che il conigliomannaro si fa con un occhiata sbucando dalla galleria:-)
    Se avessi scritto una storia, magari avrei fatto avvicinare il coniglione, l’avrei fatto appostare e lo avrei fatto meditare sull’eclettismo di pessimo gusto della nostra eroina :-)

    Oh “me lo stavo chiedendo” mi serviva da ponte con l’azione di sbucare dalla galleria.
    Si avrei potuto scrivere: “Che aspetto potrebbe avere un alieno che volesse impadronirsi del Paese dei Conigli? Sbucai dalla galleria a Coniglio City….” tutto il resto del fraseggio sarebbe stato diverso. Magari migliore. Ci penso ma non sono convinta. :-)
    Ancora Grazie

  70. 152 Gamberetta

    @folgorata. Dato che qui lo scopo era descrivere, “una troia prepubere armata di fucile” è un po’ troppo poco per rendere la ragazza.
    Frasi come “Me lo stavo chiedendo” sono da togliere: che se lo sta chiedendo è implicito nella domanda stessa e nella narrazione in prima persona.

  71. 151 folgorata

    Compiti:
    Che aspetto potrebbe avere un alieno che volesse impadronirsi del Paese dei Conigli? Me lo stavo chiedendo sbucando dalla galleria a Coniglio City per non incazzarmi davanti alla mancanza di fantasia di un’inferriata a forma di coniglio. Io cos’ero del resto? In quell’istante un prurito là dove un tempo avevo una coda a batuffolo, divenne un impulso: darsela a gambe. Fiutai l’aria. Solo un refolo di mela. Voltai lo sguardo di lato. Fu allora che lo vidi.
    In fondo alla strada, seduto sui gradini, c’era esattamente ciò a cui stavo pensando poco prima: un alieno, anzi, un’aliena; una troia prepubere armata di fucile. Ai suoi piedi, pelli vuote di conigli rosa. Che strage, dovevo aspettarmelo che il bastardo avrebbe avuto le sembianze di Jessika.

  72. 150 folgorata

    Dall’articolo di Gamberetta:

    Beh, insomma :-) a suo agio fin lì.

    “Il verme assassino di Venere si lamentava con un suono simile al ruggito di un leone” così mi sento più a mio agio.

  73. 149 Lorenzo

    sì, in effetti non sapevo bene come gestire proprio quelle parti senza sembrare palloso e forzato. genera un po’ di confusione.
    per la descrizione anche, trovare il giusto mix non è proprio easy, almeno per me che tendo a esagerare in un senso o in un altro.
    vabbè, tocca trovare i libri che dicevi xD
    grazie ancora
    L

  74. 148 Gamberetta

    @Lorenzo. Tutto sommato il punto di vista è gestito bene, però la descrizione vera e propria è un po’ carente: “ragazza umana in vestiti succinti” e “terribile fucile” non è molto per inquadrare la tizia seduta.

    Alcune brevi note di editing: se cambia chi compie un azione, di solito deve anche cambiare il soggetto. Per esempio:

    “[...] la ragazza si voltò.
    Si appiattì di nuovo oltre l’angolo.”
    Così non è subito chiaro chi si appiattisce, meglio specificare:
    “[il coniglio/lui/la creatura/ecc.] si appiattì di nuovo oltre l’angolo.”

    O anche qui:
    “Salì sopra al muretto e accucciato dietro alla ringhiera avanzò, rimanendo al di fuori dell’arco di vista.”
    Devi specificare “arco di vista della ragazza” altrimenti il riferimento è all’ultimo soggetto (il coniglio).

    @Simone7. Ehm, ho provato a leggere ma in effetti non c’entra niente con l’esercizio. Senza voto, ma la prossima volta ti metto due e lo segno sul registro. ^_^

  75. 147 Simone7

    Ohddea, ho provato anch’io a scrivere qualcosa ma non c’entra niente col disegno. O almeno, non è più ciò che doveva essere in principio, una semplice descrizione di quella scenetta delirante. Però ormai che l’ho scritta che ne faccio? Almeno la soddisfazione di farmi mettere 2 per esser andato fuori tema. Oltretutto è pure incompleta, ma se continuo va a finire che ne scrivo un romanzo ^^; E (molto) probabilmente non ne vale la pena.

    Oggi è un giorno come tanti, sonnecchio beatamente nella mia cassa di legno posta ai margini della strada. Tenere le gambe piegate per diverse ore sta iniziando ad essere più sopportabile, ormai riesco a dormire nelle posizioni più strampalate.
    Sono trascorsi già tre mesi da quando ho lasciato il mio maniero per soddisfare quell’opprimente bisogno di dare una svolta alla mia vita. Avevo tutto: una villa da far invidia ai più importanti petrolieri, una moglie, un’amante, due amanti, soldi, fama e potere.
    Ma non era abbastanza.
    Ero annoiato, il lusso e la lussuria riuscivano soltanto a distrarmi dal mio reale desiderio. Peccato che non sapevo quale fosse.
    Un giorno il mio maggiordomo, Catullo, mi avvisò dell’arrivo di un ospite. In genere non gradivo ricevere estranei in casa, ma mancavano ancora due ore al prossimo appuntamento e non avevo granché voglia di fare sesso. Avrei potuto giocare a quel nuovo jrpg dal nome impronunciabile, ma in quel momento reputai più divertente incontrare la misteriosa persona che attendeva con pazienza dietro il cancello.
    Lo vidi sbucare dalla porta dello studio, si scusò per il disturbo e face qualche passo verso di me. Gli feci cenno di sedersi dall’altra parte della mia scrivania.
    In realtà non ero granché presentabile, accappatoio e pantofole, nient’altro indosso. Mi piaceva stare comodo, del resto quello era il mio castello. Ero io a dettar le regole.
    La persona che avevo di fronte era invece molto elegante, portava uno smoking nero e dei pantaloni bianchi, sembrava fuggita da un televisore d’altri tempi. Continuava a sorridere dal momento che era arrivato, uno strano sorriso che mi metteva paura. No, non era solo il sorriso, erano anche quelle enormi orecchie bianche a sconvolgermi.
    « Cosplay? » chiesi, per rompere il ghiaccio.
    « No, sono vere » rispose lui, mantenendo sotto il naso una spettrale mezzaluna. « Vuoi giocare? » aggiunse.
    Capii di non essermi sbagliato. Avevo fatto bene a far entrare il signor coniglio, mi stavo realmente divertendo. Quello strano tizio avrebbe potuto anche uccidermi, ma non m’importava. Non avevo nessuna intenzione di chiamare la sicurezza, ero troppo eccitato.
    « A cosa vuoi giocare? ».
    Rivolsi la domanda subito dopo aver notato una valigetta appesa alla sua mano sinistra. Mi chiesi cosa contenesse. “Il gioco? Perché prima non l’avevo notata? Ma… non mi pare che avesse qualcosa in mano quando è entrato”.
    « Pari o dispari? ».
    Puntava quegli inquietanti occhi neri contro i miei, attendendo avidamente una risposta. Non riuscii a capire se il gioco fosse già iniziato, ma non volevo fare domande. Ero sedotto da quell’atmosfera surreale, mi sentivo il protagonista di una fiaba.
    « Pari. »
    Sin da quando ero bambino rispondevo sempre così. Il motivo era semplice: ero convinto che chi scommettesse sul pari avesse più possibilità di vittoria, perché la somma di due numeri pari dà un numero pari. Ma anche la somma di due numeri dispari è un numero pari. In realtà il corso di probabilità e statistica aveva infranto i miei sogni di bambino, la probabilità rimaneva invariata, la mia teoria si fondava su ipotesi totalmente campate per aria.
    Tuttavia non mi balenò nemmeno per un istante l’idea di scegliere dispari. Avevo sempre vinto a quel gioco, utilizzando quella tecnica che il buon senso accostava ad una mera superstizione.
    « Dispari » rispose lui.
    E continuava a sorridere. Che c’aveva da essere così contento? O forse era semplicemente sicuro di sé? Cos’è, anche lui conosceva una tecnica segreta persino migliore della mia? Impossibile.
    Chiusi il pugno e alzai il gomito, se Catullo fosse entrato in quel momento avrebbe pensato ad una mia reazione violenta o qualcosa di simile. Ma Catullo non entrò, ed io completai il movimento distendendo due dita a forma di V.
    Il mio avversario imitava in modo speculare i miei gesti, agitando il braccio libero. L’altro sembrava proteggere la valigetta, che aveva poggiato sulle ginocchia. L’unica cosa che differenziò i nostri movimenti fu la forma della sua mano. Non aveva scelto una V, ma una più irriverente I.
    « Ho vinto io. »
    Soffiai col naso e mi diedi dell’inetto. Ecco cosa succede a seguire le superstizioni.
    « Bene, e adesso? ». Pensavo che quello fosse solo l’incipit, un giochino per scegliere le priorità dei turni. Ma non era così.
    « Adesso io prenderò possesso di tutte le tue proprietà, perché questo è il premio. »
    Dicesi faccia da poker quell’espressione impassibile che i giocatori professionisti hanno stampata in viso per non far trasparire alcuna emozione. Non so se la sua si poteva chiamare faccia da poker, continuava ad esibire con naturalezza quel sorriso da film dell’orrore. Potremmo chiamarla faccia da pari e dispari.
    « Mi sembra giusto, in fondo ho iniziato a giocare senza conoscere le regole. Hai vinto tu, ti faccio i miei complimenti e ti affido le mie cose ».
    Lo dissi quasi divertito, ero consapevole di fare qualcosa di stupido. No, era un qualcosa che superava la semplice stupidità, rasentava la più genuina pazzia. Ma – ripeto – mi stavo divertendo, avevo l’adrenalina alle stelle, e avrei pagato qualunque prezzo per non spezzare la magia del momento.
    Mi alzai dalla scrivania, slacciai l’accappatoio, sfilai le pantofole e consegnai il tutto al signor coniglio. Completamente nudo mi avviai verso l’uscita.
    « Aspetta! » mi intimò. « Provo pena per te, ti darò ciò che possedevo fino a qualche momento fa. Non è molto, ma sempre meglio che niente. Devi essermi riconoscente. »
    In quel momento mi scappò un sorriso. Cercai di nasconderlo con la mano, ma l’espressione dei miei occhi mi avrebbe comunque tradito.
    « Ti sono debitore, allora. E dimmi, cosa riceverò di bello? »
    Posò accappatoio e pantofole sulla scrivania, quindi iniziò a spogliarsi. Era evidente che stava per darmi i suoi vestiti, meglio di quanto m’aspettassi. Almeno erano abiti eleganti.
    Sbottonò la giacca e sfilò le braccia dalle maniche. Divertente, stavo per vederlo come mamma coniglia l’aveva fatto. La mia mente perversa iniziò a vagare da un pensiero all’altro, chiedendosi che dimensioni poteva vantare un animale antropomorfo e se sotto la camicia avesse del pelo bianco come quello sulle sue lunghe orecchie.
    Se tutto ciò fosse successo dieci anni prima, niente di tutto questo sarebbe accaduto. Non avrei mai accettato di parlare con una “persona” così, il solo aspetto mi avrebbe terrorizzato. Ma quelli erano altri tempi, era molto più facile che mi riuscissi ad interessare a qualcosa di normale.
    Le donne, soprattutto, mi affascinavano, mi rapivano, le adoravo. Per anni ho viaggiato col solo scopo di conoscerne di nuove. Belle, brutte, bionde, more, simpatiche, noiose, mi divertivo a parlar con loro e a fare l’amore. Sembrava che fosse la ragione della mia esistenza, credevo che così facendo avrei trovato prima o poi la mia metà mancante. Anche a costo di viaggiare per tutta la vita.
    Ed eccomi lì, diec’anni dopo, a far pensieri osceni su un coniglio dimenticato per troppo tempo in incubatrice. Magari proprio perché m’ero reso conto che le donne non m’interessavano più, che non poteva esistere una mia metà femminile, che poteva essere interessante cambiare inclinazioni sessuali. Magari erano invece gli esseri umani ad avermi stancato e quindi, chissà, un coniglio pazzo e pure maschio poteva risvegliare qualcosa sopito da tempo.
    Quasi mi vergogno ad aver pensato queste cose, ma in una situazione così paradossale anche mettere in dubbio i gusti di una vita mi sembrava coerente. Ecco, sentivo quasi la necessità di non tradire la coerenza di una situazione totalmente incoerente alla realtà, volevo abbandonarmi al mio lato irrazionale.
    Intanto il coniglio era rimasto in boxer e camicia. Sbottonò quest’ultima e rimasi per l’ennesima volta, in quella grigia giornata, sbalordito.
    Il coniglio aveva una peluria bianca che ricopriva tutto il corpo, ma non era quello il motivo del mio stupore. Il coniglio aveva il seno. Il coniglio non era un coniglio, era una coniglia vestita da coniglio. Chissà perché, quella cosa mi lasciò totalmente spiazzato. Regalare tutti i miei beni per un motivo idiota mi sembrava una cosa abbastanza normale, ma scoprire che il signor coniglio aveva le tette mi aveva quasi traumatizzato. Probabilmente anche il miglior psicologo, dopo aver ascoltato ragionamenti del genere avrebbe gettato la spugna, per un caso senza speranza si possono fare le condoglianze o dire che va tutto bene.
    « Non arrossire. »
    Non capivo se me lo stava ordinando o se lo diceva con imbarazzo, ad ogni modo mi sembrò opportuno voltarmi per smettere di fissarla. Chiusi gli occhi pensando a quanto fossi stato maleducato a dondolarlo davanti ad una signora. Ero consapevole del fatto che fosse un coniglio, ma parlava. Non era la stessa cosa di farsi vedere da un coniglio normale. In realtà non ero riuscito nemmeno a capire cosa fosse, continuava soltanto a riecheggiarmi la parola furry.
    Trascorsi due minuti la coniglietta mi disse che potevo girarmi. Aveva indossato il mio accappatoio e le mie pantofole, abbigliamento che le donava parecchio. Un’immagine che ancora oggi ho ben fissa nella memoria.
    « Qui-quah… »
    Non potevo crederci. Stavo balbettando. Non avevo mai balbettato di fronte ad una ragazza, e ne avevo conosciute migliaia, forse milioni. Certo, questa aveva sicuramente qualcosa di speciale. Ma significava che mi bastava vedere una coniglietta in desabiliè per balbettare?
    « Quindi posso prendere i tuoi vestiti? »
    Ero riuscito ad articolare la frase. Bel passo avanti.
    « Uh-uh. »
    Mi avvicinai a lei coprendomi istintivamente l’uccello della felicità. Forse non ce n’era bisogno, lei non c’avrebbe badato più di tanto. Ma iniziavo a vergognarmi, non vedevo l’ora d’infilarmi quei vestiti.
    « Oltre a questi abiti possiedo altre due cose. Una è questa valigia, il cui contenuto è ciò che mi è più prezioso. L’altra è la mia casa, un monolocale nei pressi di Ponte Attilio. »
    Intanto io ero alle prese con la camicia. Passi i pantaloni che m’arrivavano poco sotto le ginocchia, ma quella camicia ero convinto che non sarei mai riuscito ad indossarla. Alla fine mi rassegnai a non abbottonarla, ritrovandomi vestito di tutto punto ma con parte delle gambe e del busto scoperti.
    « Se per te è così prezioso, perché dovresti regalarmelo? I vestiti e la casa andranno benone, non preoccuparti. » dissi, mostrandomi incredibilmente gentile verso la persona che mi stava rubando la vita.
    « Non importa, a me non serve più. Per te invece potrebbe essere vitale. »

  76. 146 Lorenzo

    Compitino fatto maestra

    - – - – -

    Si appiattì al muro di scatto, ansante. Il cuore gli batteva in gola come premesse per uscire.
    ” tipregotipregotipregotiprego ”
    Ogni tanto riapriva gli occhi per sbirciare al di là dell’angolo.
    ” non m’ha visto vero? non m’ha visto?! ”
    Serrò le palpebre di nuovo, come se il non vedere potesse nasconderlo alla vista degli altri.
    ” shhh! zitto! zitto! ci farai scoprire! ” ripeteva angosciato al cuore battente.
    - Zitto! -
    Si tappò fulmineo la bocca con entrambe le mani, gli occhi sbarrati scattavano a destra e a sinistra.
    ” non mi ha sentito, vero? non mi ha sentito? ”
    Sbirciò di nuovo.
    ” guardaaaaaaa ”
    ” se ne sta lì accucciata come se nulla fosse, sembra innocua ”
    Gli occhi sbarrati, le lunghe orecchie ballonzolavano ad ogni nevrotico scatto della testa.
    Se la ragazza umana in vestiti succinti poteva sembrare innocente, il terribile fucile che teneva appoggiato al fianco gli faceva rizzare tutti i peli della codina.
    -toc toc toc- una mela ruzzolò fuori dalla sacca appoggiata sui gradini, la ragazza si voltò.
    Si appiattì di nuovo oltre l’angolo.
    ” non devo aver paura, non devo aver paura, non devo aver paura ”
    Non poteva rimanere lì in eterno.
    ” cosa facciamo? cosa facciamo? ”
    ” potremmo ucciderla ”
    ” nooooo tu sei pazzo! ”
    ” uccidiamola! questa è la NOSTRA città ”
    ” ma lei ha il fucile ”
    ” la coglieremo di sorpresa… e con un morso al collo… ZAC! ”
    ” sìsì, di sorpresa ”
    ” siamo silenziosissimi noi ”
    ” sìsì, ombre silenziose ”

    Il coniglio dalle sembianze umane scivolò con cautela fuori dal rifugio. Salì sopra al muretto e accucciato dietro alla righiera avanzò, rimanendo al di fuori dell’arco di vista. Lo sguardo fisso sulla giovane che seduta si allacciava un guanto coi denti.

    ” ci siaaaaaaaaaaaaamoooooooo ”
    ” ancora un poco! ”
    - gulp -
    Il terrore lo attanagliò nuovamente, improvviso, incontrollabile.
    Riversi sui gradini piccoli conigli rosa giacevano privi di vita. una testolina di coniglietto morto faceva capolino dalla borsa piena di mele. gli occhi vitrei.
    le ginocchia presero a tremare, sbattendo fra di loro.
    - gulp -
    - gulp gulp -
    Il singhiozzo divenuto irrefrenabile.
    ” cosa facciamo?! cosa facciamo?! ”

    Ma era troppo tardi: la giovane ragazza si era voltata e lo inchiodava sul posto coi suoi implacabili occhi rossi.

    - – - – -

    Non è granchè ma mi son divertito.
    Solo non so, a volte mi pare che faccio un po’ troppa confusione.
    Vabbè, buona notte.
    E grazie della lettura. cercherò i libri indicati.

  77. 145 Anacarnil

    @Diarista incostante

    No, non nel senso di inserire scene di sesso. Ma nel senso che il coniglio a me pare un po’ pudico rispetto a un amante geloso :)

  78. 144 Diarista incostante

    Bello il tuo POV. Era quello che pensavo di scrivere io. Anche se ci avrei messo più pepe e di cyberpunk.

    Grazie :)
    In realtà il pezzo l’ho scritto di volata ed è venuto com’è venuto (non avevo granchè da fare qui in ufficio quel giorno). Ci ho messo più tempo a rivederlo nella forma che a buttarlo giù nei contenuti, quindi è certamente vero che si poteva fare meglio.
    Il cyberpunk ci sarebbe stato bene, concordo. In effetti tendo molto a focalizzarmi sui personaggi e così rischio di essere sempre poco “fantasy” nella storia e nello scenario. Sul più pepe (che io ho interpretato con più riferimenti sessuali, ma potrei sbagliare, correggimi nel caso) devo dire che per esperienza personale non è il “più sesso” che rende interessante un racconto. Può essere solleticante leggere delle acrobazie da letto di un personaggio, ma la storia in sè cosa ci guadagna? Il sesso è sesso, come lo giri sempre della stessa cosa si tratta, mentre la trama di solito avanza facendo fare altro ai protagonisti.

  79. 143 Anacarnil

    Demonio pellegrino scrisse:

    Per quanto mi riguarda, gia’ avevo molta poca voglia di comprarlo dopo aver visto recensioni entusiastiche apparire PRIMA dell’uscita ufficiale del libro (spiegazione data: pare che i libri nei supermercati si trovino prima dell’uscita ufficiale in libreria), ma dopo le prime dieci pagine sono sicuro che non lo comprero’.

    Non trovo strano che le recensioni appaiano prima dell’uscita del libro: i giornalisti non vanno mica a comprarsi il libro di propria sponte. Sono le case editrici a spedirne copie ai giornali per avere una recensione, e ovviamente, pubblicità.

    @Francesca: mi piace la descrizione dei coniglietti “spiaccicati come orologi di Dalì”.

    @Carroronan scrisse

    Riassumerli in un solo segno non è ingegneristicamente corretto e performante.

    In effetti è dura darti torto, nonostante capisca le critiche di Mauro. Sembra esserci un “vuoto normativo” nelle regole tipografiche italiane. Ripeto: “sembra”.

    Lo stesso concetto di pagina come unità fissa diventerà probabilmente obsoleto in un mondo di libri digitali e di ipertesti in cui conta la flessibilità del testo e la sua leggibilità su lettori di varie dimensioni.
    Come già accade per chi ha un lettore e-ink.

    Beh, non è detto. Per me l’ebook ideale è sempre impaginato, in un formato di stampa come il PDF. Non riesco a vedere una figura professionale come quello del grafico impaginatore sparire dall’editoria. Dico questo, nonostante sia un grosso apprezzatore del formato epub.

    E noi navighiamo verso il futuro, non verso il passato. Si parla con sempre maggior convinzione di pareggio Ebook-Carta per il 2018. Lo crede il 50% degli esperti di settore intervenuti a Francoforte.

    Ok, sto andando un po’ OT, ma volevo solo dire che per me l’Italia ci arriverà moooolto dopo.

    E il testo bicolore de “La storia infinita”, rosso e verde? Nessun editore sano di mente accetterebbe un testo simile. Eppure, caso strano, lo hanno stampato. E va stampato così (come fecero Corbaccio e Longanesi) e non tutto in nero come fecero nella versione TEADUE.

    Immagino sia perché Teadue pubblica principalmente le versioni economiche del Gruppo Longanesi, cui fanno parte gli altri due marchi editoriali che hai citato.

  80. 142 Anacarnil

    @Diarista incostante
    Bello il tuo POV. Era quello che pensavo di scrivere io. Anche se ci avrei messo più pepe e di cyberpunk.

  81. 141 Dago Red

    III

    Mostra spoiler ▼

  82. 140 Dago Red

    II

    Mostra spoiler ▼

  83. 139 Dago Red

    Gamberetta, ti giuro, non volevo.
    Era da un po’ che non provavo a scrivere a qualcosa, ed evidentemente devo aver “spurgato” tutta la roba repressa.
    Mi sono seduto a tavolino, ho guardato l’immagine, e mi son messo a buttar giù 5 righe.
    Solo che poi la storia mi ha preso, e le 5 righe sono diventate 10, le 10 righe 20, e così via.
    Potere della narrativa, suppongo.
    Oh, sia chiaro, non obbligo nessuno a leggere.
    Anzi, in tutta onestà, vi diffido dal farlo.

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  84. 138 Diarista incostante

    Scusate ma questo passaggio

    scaraventato addosso, poi aveva chiuso la tracolla e si era avviata.
    Non a scuola. Non al parco. In un viottolo dietro al porto, tra squallidi edifici neofascisti, con altre undici ragazze seminude. Su un set fotografico.

    mi ha fatto cappottare XD
    Giuro, sono ore che tento di immaginare come possa essere un edificio neofascista.

    Sì, forse potevo scrivere “edifici fascisti” e farla finita lì. Però suonava male e quindi l’ho cambiato.

  85. 137 Gamberetta

    @Dago Red. Penso che gli edifici nel disegno possano richiamare un’architettura fascista.

    @Tj. Buona descrizione, i vari elementi presenti nel disegno sono tutti presi in considerazione. Forse si poteva spendere qualche parola in più, ma già così funziona.
    La prima persona è usata bene, anche se in alcuni punti pare che il narratore si rivolga un po’ troppo al lettore.
    Esempio:
    “La sua borsa da scolaretta è gettata malamente sui gradini e ne escono mele e conigli rosa, conigli rosa e mele, mio Dio ho la nausea.” (qui non è male, sembra il naturale corso dei pensieri del narratore)
    “Le addestrano fin da piccole e sono infallibili e letali.” (qui invece è un po’ forzato – forse il narratore non avrebbe questo pensiero se non si stesse rivolgendo a un ipotetico lettore).
    Comunque queste sono sfumature.

  86. 136 Tj

    Visto che l’immagine mi ha ispirato ho provato anch’io a fare il compitino XDD

    Non siamo più al sicuro °AAA°

    Mi accosto appena alla finestra, in modo che non mi scorgano, guardo da uno spiraglio della tenda. Loro sono sempre lì, gli stupidi seguaci del Fronte di Liberazione dei Conigli. Ormai hanno conquistato tutta la città, non posso uscire di casa senza che uno di loro mi punti il fucile e mi costringa a indossare quella ridicola tuta con le orecchie giganti, come quel poveraccio che passeggia là in fondo, nei pressi della galleria.
    Una di loro è ferma sugli scalini sotto casa mia. Capelli di un colore improponibile, verde mare, un cappellino infiocchettato in testa, vestita come una lolita, piena di pizzi e laccetti, sembrerebbe una fanciulla innocua se non fosse per il fucile che tiene in mano con noncuranza. Le addestrano fin da piccole e sono infallibili e letali. Quello è un G3A2, con l’immancabile coniglietto impresso sul calcio, una volta amavo le armi, prima che arrivassero loro.
    La sua borsa da scolaretta è gettata malamente sui gradini e ne escono mele e conigli rosa, conigli rosa e mele, mio Dio ho la nausea… I muri sono tappezzati di slogan del FLC, in ogni angolo loro ci controllano, non siamo più al sicuro, dovremo soccombere…

  87. 135 Dago Red

    Scusate ma questo passaggio

    scaraventato addosso, poi aveva chiuso la tracolla e si era avviata.
    Non a scuola. Non al parco. In un viottolo dietro al porto, tra squallidi edifici neofascisti, con altre undici ragazze seminude. Su un set fotografico.

    mi ha fatto cappottare XD
    Giuro, sono ore che tento di immaginare come possa essere un edificio neofascista.
    Magari pareti nere e colonne borchiate.

    In generale confermo il non originalissimo parere che questo sia un ottimo articolo.
    Se avrò tempo proverò a buttar giù due righe anch’io ^^

  88. 134 Hill

    Bel post, molto interessante. Non sono un gran patito di fantasy ma mi piace moltissimo il modo in cui Gamberetta affronta l’argomento “scrittura” in questo blog.

    Venendo al motivo che mi ha spinto ad inserire questo commento…
    Volevo solo segnalare, per chi è interessato all’argomento “punto di vista”, il libro “Complicità” di Iain Banks. Ho solo iniziato a leggerlo, quindi non posso dare un giudizio sulla trama o altro, ma il capitolo iniziale, in seconda persona (seconda, non prima o terza), con cui Banks getta il lettore in maniera originale nel turbine degli avvenimenti, costringendolo ad identificarsi con il misterioso personaggio incappucciato che dà inizio alla storia, ritengo sia una trovata davvero geniale e ben riuscita. Un esempio da cui trarre ispirazione nel caso si volesse utilizzare un punto di vista insolito e poco utilizzato, che, però, se usato bene, riesce coinvolgere il lettore in maniera totale.
    Probabilmente esisteranno altri libri che ricorrono a questo stratagemma ma il libro di Banks, fin’ora, è stato l’unico nel quale mi sono imbattuto. Ne consiglio la lettura a tutti… anche solo delle prime pagine, giusto per farsi un’idea di cosa sto parlando. Ne vale la pena.

  89. 133 Soul85

    Ciao.

    Vorrei aggiungere un manuale di scrittura: Manuale di Scrittura di Domenico Fiormonte e Ferdinanda Cremascoli, ed. Bollati Borlinghieri. Per il resto post stupendo, la parte delle descrizioni è all’altezza di un trattato sulla stilistica. Del resto la scrittura non è un dono del cielo, ma un processo dinamico, fatto di fasi e momenti ben precisi.

  90. 132 Evangeline

    @francesca. Per i film, anch’io intendevo un riferimento a scene non specifiche, ma credo di essermi espressa male. Chiedo scusa.
    @Ste. Infatti non ho scritto che tutta la narrativa deve essere basata su opere precedenti, ho detto che nel caso non mi infastidisce così tanto. :) Ho portato ad esempio le fanfiction ed Esbat solo per dimostrare che riferimenti più o meno diretti ad altre opere non sono sempre spiacevoli. ^^

  91. 131 Ste

    @Evangeline.

    Hai sia torto che ragione (o viceversa :O) )
    Hai ragione in quanto un romanzo che si rifà a mondi già creati da altri può comunque essere interessante anche se però non molto originale.
    Hai torto in qaunto se ci si dovesse basare solo su quello la narrativa è destinata a sparire; inoltre chi ha creato quei mondi, personaggi e luoghi ha usato la sua immaginazione se si fossero basati su cose già scritte forse saremmo ancora al cantico delle creature nella sua miliardesima versione.

  92. 130 francesca

    A proposito di scene o descrizioni che ricordano film o serial, io intendevo non che una scena di un romanzo ne richiami specificamente e consapevolmente una di un film, insomma una citazione, ma: la protagonista incontra un alieno e chi scrive non si sforza di spiegarti esattamente com’è fatto, “tanto oggi come oggi chi non sa com’è fatto un alieno”? (Come scrisse qucluno in un post di un’atra discussione).
    Per le fanfiction, il discorso è diverso perchè è proprio quello il gioco, di inseririsi con coerenza in un mondo già esistente.( Ma in effetti non mi attirano per niente…)

  93. 129 Evangeline

    @Clio. Il pregio di Esbat, a mio parere, è quello che può essere letto e apprezzato anche da persone che della storia di Inuyasha non sanno assolutamente nulla, come hai detto anche tu mi pare, quindi anche se è nato come fanfiction alla fine non si rivolge ai soli fan ma ad un pubblico più vasto. Chiaro che l’autrice precisa da dove viene l’ispirazione, mi sembra più che giusto. Di fatto però ha come base un’opera non sua, e io conoscendo seppur superficialmente il manga quando si parlava di Hyoutsuki vedevo il personaggio della Takahashi, non quello della Manni. Che poi la Manni riesca a far comprendere con efficacia il suo carattere e quello degli altri personaggi, quella è abilità sua, tanto di cappello. Però di fatto la base è un’altra opera, ed è riuscita a pubblicare un libro per tutti. E di fatto all’inizio era solo una fanfiction. Che la base sia un’altra opera a me personalmente non procura alcun fastidio. Per la descrizione in questione concordo nel dire che sia di scarsa qualità, quindi sgradevole da leggere, ma se fosse stata migliore e mi avesse richiamato alla mente una scena già vista in un film o un personaggio di un’altra storia non avrei avuto alcun problema. Anche perché non è detto che qualcun altro leggendola avrebbe fatto la mia stessa associazione, dopotutto certe sensazioni sono soggettive. :)

  94. 128 Clio

    A Evangeline
    Se il libro dicesse a chiare lettere “Ispirato a *titolo di film*” nonci sarebbero problemi. Non è il caso, quesa non è una fanfiction, non è rivolta ai soli fan, ma a tutti.
    Io di b-movie horror non ne guardo. Per me quelle righe non vogliono dire nulla.
    Esbat invece è stato apprezzato anche da gente che Inuyasha non lo segue. Ecco la differenza tra un buon libro e la fuffa.
    N.B. Non ho letto “Buio”. Magari la trama è buona, non ho idea. La descrizione citata però è fuffa.

  95. 127 Evangeline

    E le fanfiction, allora? Non sono un’immaginazione di seconda o terza mano? Premetto che non ho nulla contro le fanfiction, anzi, sono favorevole all’idea di prendere spunto da mondi e/o personaggi creati da altri per costruirci su una storia, ma se non si potesse attingere a questi universi allora le fanfiction, e di conseguenza libri buoni come Esbat, non potrebbero esistere… Quindi non capisco perché una descrizione di un libro non dovrebbe richiamare immagini più familiari, in questo caso immagini di film. Certo, il richiamo ha un senso solo se la descrizione è fatta bene… Chiaro che non è questo il caso, il mio è un discorso generico.

  96. 126 francesca

    Infatti, Alessandro, concordo: anch’io, non trovando ciccia nelle descrizioni citate, ho fatto ricorso a delle immagini che già avevo in mente prese da film, serial ecc. E’ proprio questo che è grave: la descrizione per funzionare deve sfruttare il cervello del lettore, contando che vada a pescare in un certo immaginario creato da altri. Si tratta di un’immaginazione di seconda, o terza mano! Mentre è lo scrittore che deve creare un mondo quando scrive un romanzo, non vale usare il mondo già creato da altri: se no in che consiste il suo lavoro?

  97. 125 Alessandro75

    Ciao, non sono un abituale frequentatore di Gamberi Fantasy, ma ho letto con interesse questo articolo. Premesso che sono uno “scrittore in erba” come tanti, non tra i più ignoranti (spero) ma sicuramente non tra i più acculturati, e premesso che trovo sacrosante le argomentazioni che hai portato, posso fare una considerazione che mi è sorta spontanea leggendo i passi che riporti di “Buio”? Quelle “brutte descrizioni” assumono un senso se parti dal presupposto che il lettore si è sicuramente già sciroppato molte decine di b-movie dell’orrore pervasi (nel primo tempo) da atmosfere ovattate, quasi prive di suoni; film in cui i protagonisti si svegliano spesso, matidi di sudore, da incubi in cui stavano annegando; film ambientati in college americani in cui corridoi del primo piano hanno ampie vetrate attraverso le quali si può essere osservati dai ragazzi che si trovano ancora in cortile prima del suono della campanella; film in cui gli ospedali sono sempre grandi, vuoti, diroccati, bianchi, inquadrati in modo da trasmettere un senso di sterilità e oppressione. Non dico questo perché penso che ciò giustifichi un certo modo di scrivere – affatto -, dico solo che a me è venuto naturalissimo fare certi accostamenti. Del resto, guarda la copertina del libro: non ti introduce già di suo in un’atmosfera del genere?

  98. 124 Carlotta

    Mito: Leggere i manuali non serve a niente, perché tanto il tuo romanzo non lo pubblicano lo stesso.
    È vero.

    Ma no che non è vero. Se il tuo romanzo è buono è nell’interesse della casa editrice pubblicarti. Senza contare che è pieno di case editrici (non a pagamento) che pubblicano esordienti. Per esperienza personale conosco almeno una persona che non aveva santi in paradiso e che ha mandato il suo romanzo ad una casa editrice nota che l’ha pubblicato. E conosco molti esordienti che hanno pubblicato perché erano semplicemente bravi. Ma di gente che pensa di essere un genio ce n’è troppa. Più o meno il 99% di quello che arriva in una casa editrice.

  99. 123 Alessandra

    Edit: se il riferimento a Persistence Of Memory suonasse distraente, ”come orologi di Dalì” può essere sostituito con ”come sottilette”. Si tratta di un quadro molto famoso, ma non tutti sono tenuti a conoscerlo.
    Ciao, grazie a te, e complimenti agli autori di tutti gli altri ”compiti”. Avete davvero una fantasia perversa – lo dico come complimento ;)

  100. 122 Alessandra

    Gamberetta, il lavoro che fai qui è prezioso e degno del massimo rispetto.
    Compitino:

    Influenza coniglia

    In giarrettiere e bustino da gothic lolita, la fighetta dai capelli verdi se ne stava seduta davanti al portone, con un fucile automatico in mano. Accanto a lei, un paio di conigli rosa spiaccicati colavano sui gradini come orologi di Dalì. L’ombra d’un coniglio antropomorfo scivolava in fondo alla strada.
    Leo chiuse gli occhi.
    ”Non esistono.”
    Con mani tremanti si frugò nelle tasche, estrasse un paio di pillole, le buttò giù. Strinse i pugni. Aspettò, respirando in fretta, sussurrando il suo mantra.
    ”Non esistono. Sono solo una delle allucinazioni indotte dal virus. Non. Esistono.”
    Riaprì gli occhi.
    Giarrettiere e conigli erano spariti.
    Il fucile c’era ancora. La ragazza glielo puntava alla testa.
    .

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