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Alice nel Paese della Fuffosità

Pubblicato da Gamberetta il 26 ottobre 2011 @ 21:53 in Fantasy,Italiano,Libri,Recensioni | 107 Comments

Copertina di Alice Titolo originale: Alice nel Paese della Vaporità
Autore: Francesco Dimitri

Anno: 2010
Nazione: Italia
Lingua: Italiano
Editore: Salani

Genere: Fantasy, fuffa, vaporteppa
Pagine: 280

È interessante l’assonanza tra la parola italiana “fuffa” e l’inglese “fluff”. Sia in italiano sia in inglese indica la lanugine, la peluria, il pulviscolo che si solleva quando si spolvera.
“Fluff” era la polvere di cotone che saturava l’aria nei filatoi dell’Inghilterra vittoriana. Gli operai che lavoravano ai telai, specie le donne e i bambini, si ammalavano pian piano per colpa del “fluff”. La bissinosi – questo il nome della malattia – li consumava anno dopo anno, tra tosse e difficoltà respiratorie sempre più gravi, fino al collasso.

“Fluff”: un bel termine dal sapore steampunk! vaporteppa! Il termine ideale per descrivere Alice nel Paese della Vaporità Fuffosità. Come la polvere di cotone rovina giorno dopo giorno i polmoni, così leggere libri gonfi di stupidaggini ho paura abbia un effetto poco piacevole sui neuroni. E in Alice le stupidaggini abbondano. Roba a livello Troisi – a onor del vero a livello della miglior Troisi.

Vittime della bissinosi
Le vittime della bissinosi. Attenti a non beccarvi l’equivalente cerebrale!

Il precedente romanzo di Francesco Dimitri, Pan, mi era piaciuto. Con Alice sono rimasta molto molto molto delusa. E in più ho buttato 17 euro. Non va bene per niente!
E qui apro una parentesi riguardo Pan: sono passati tre anni da quella recensione, tre anni per me hanno significato leggere decine di manuali e centinaia di romanzi; scrivere migliaia e migliaia di parole sia di narrativa sia per gli articoli del blog; vivere esperienze bruttissime ed esperienze bellissime. In altre parole non sono più la stessa persona di tre anni fa, sono molto più attenta e molto più consapevole; può darsi che rileggendo Pan oggi il mio giudizio risulterebbe più severo. Tuttavia non ero precisamente un’ingenua neanche tre anni fa. Perciò mi sento in coscienza di ribadire il giudizio che ho dato: non un capolavoro ma un bel romanzo, che non sfigurerebbe a livello internazionale.
Aggiungo che la “filosofia” di Dimitri non mi è mai piaciuta (altrove ho affermato che facevo il tifo per Greyface; lo confermo), e lui mi piace ancora meno, tanto che in una prima stesura di questo articolo iniziavo con un lungo rant nel quale accusavo il signor Dimitri di essere un gran bell’ipocrita. L’ho tolto: ognuno ha il pieno diritto di comportarsi come gli pare e di tenere gli atteggiamenti che preferisce, l’importante è il livello della scrittura. Così come ognuno ha il pieno diritto di esporre nei propri romanzi, meglio di mostrare nei propri romanzi, le idee che più gli aggradano, e il fatto che siano più o meno in sintonia con le idee di chi legge non dovrebbe gravare sul giudizio dell’opera, non se si vuole essere obiettivi.

In parole povere: stringi stringi non me ne frega niente di chi sia Dimitri o di come si comporti, né mi interessa se i suoi romanzi inneggiano all’amore libero, alla persecuzione razziale o alla rivoluzione del proletariato; quello che mi interessa è leggere una bella storia di narrativa fantastica scritta bene. In questo ambito, Alice nel Paese della Vaporità Fuffosità è un EPIC FAIL.

La trama

La storia è ambientata in un mondo simile al nostro in un imprecisato futuro. Non è ben chiaro cosa sia successo, sta di fatto che si è persa la capacità di utilizzare la moderna tecnologia, finché un tale Algernon Wilson non ha recuperato le vecchie macchine e le ha rimesse in funzione. Da allora sono passati altri 2.000 anni.
Però le macchine revisionate da Wilson hanno l’effetto collaterale di produrre Vaporità Fuffosità, un mucchio di Vaporità Fuffosità, una montagna di Vaporità Fuffosità. Londra è ormai circondata da un mare di Vaporità Fuffosità: la Steamland. Ma tanto vale che mi fermi qui e passi la parola all’autore:

(pag. 20) La Vaporità aveva consistenza di ovatta. Era più pesante dell’aria, più leggera dell’acqua. [...] la Steamland era un oceano di Vaporità [...]
La Vaporità era un prodotto di scarico, il più importante tra i tanti che Londra gettava nella Steamland. Per mandare avanti la città servivano Antiche Tecnologie: regolavano il traffico, lo formavano, consentivano di costruire le torri più alte, eccetera. E le Antiche Tecnologie – quelle riassestate dal professor Algernon Wilson – producevano una scoria molto più strana del vapore. Wilson l’aveva battezzata Vaporità, e il nome era rimasto.
Al vapore era simile, ma solo in apparenza. La Vaporità aveva una fluidità ascensionale. A camminarci in mezzo – in orizzontale – non offriva più resistenza del normale vapore. Le cose cambiavano se ti muovevi in verticale, saltando o cadendo giù: la Vaporità agiva come una corrente d’aria calda, solo molto più potente. Con un po’ di allenamento era possibile usare i suoi flussi, ‘cavalcarli’ per salire, scendere e planare. Nella Vaporità i concetti di ‘alto’ e ‘basso’ perdevano molto del loro significato.
[...]
Ma non era la fluidità ascensionale a preoccupare i londinesi: la Vaporità faceva di peggio che far volare i desperados della Zona Vecchia. Tanto per cominciare, era un allucinogeno. Distorceva le percezioni, ristrutturava la realtà personale: chi respirava Vaporità si muoveva in un mondo che cambiava a ogni passo, riformandosi alla velocità del pensiero. Non è che le visioni di per sé fossero sempre sgradevoli, anzi. Ma erano intense. E non erano solo allucinazioni: la Vaporità confondeva i sensi, distruggeva ogni loro distinzione reciproca. Sinestesia, ecco come si chiamava. Faceva annusare i colori, assaporare le voci, faceva vedere il dolore e il piacere della carne, e tutto si mescolava alle illusioni, gli odori fantasma, i suoni senza corpo. Anche soltanto parlare, nella Vaporità, poteva essere sconvolgente, e guardare uno specchio poteva rendere pazzi.
Finito? No. La Vaporità produceva anche mutazioni corporee. I figli di chi ne respirava troppa nascevano sempre più strani, meno umani, di generazione in generazione. Le mutazioni erano imprevedibili: uomini simili ad animali, carni disarticolate, braccia in più o in meno, cervelli senza calotta cranica (e viceversa).
La Steamland era cresciuta nella Vaporità per quasi duemila anni. Duemila anni di allucinazioni, sinestesie e mutazioni: non poteva essere rimasto niente che potesse ancora essere definito umano. Ecco perché nessuno voleva entrare là dentro.

Notevole sbrodolata di inforigurgito, del tutto inutile per l’economia del romanzo, visto che i particolari raccontati qui sono già stati mostrati o verranno mostrati nelle pagine seguenti. In più il Narratore prende per i fondelli – “Finito? No.” – ed è delizioso l’abuso del corsivo; sì, diamo enfasi a “sinestesia”, tutti devono rendersi conto che Dimitri conosce un parolone così difficile!
Ma non tutto il male viene per nuocere, almeno questo inforigurgito ha il merito di non far scrivere a me la tiritera di cui sopra.

* * *

Protagonista del romanzo è Alice, un’antropologa alla soglia dei trent’anni annoiata dalla vita accademica londinese. Non sapendo come trascorrere i fine settimana, Alice decide di buttarsi da un pallone areostatico nella Steamland. Seguono “avventure” senza capo né coda e poi il romanzo – bontà sua – finisce.
E questo sarebbe anche il genere di romanzo che a me piace, sennonché a compensare la mancanza di un intreccio valido non c’è niente. Non ci sono bizzarrie interessanti, non ci sono scenari originali, non ci sono personaggi che ti vien voglia di conoscere – a partire da Alice –, non c’è ironia e, ciliegina sulla torta, il livello della scrittura spesso scende sotto il minimo sindacale.

La recensione

Con tali premesse scrivere una recensione significa srotolare il lungo elenco delle idiozie presenti nel romanzo e commentarle con sarcasmo.
Ho provato a farlo, mi sono impegnata, ve lo garantisco. Ma sono passati i tempi della Troisi e della Strazzu e non mi diverto più. Mi annoio e mi deprimo.
Scrive Dimitri:

(pag. 17) Sapete cosa significa annoiarsi? Annoiarsi davvero? Non è la pigra indolenza delle Estati borghesi, né il trascinarsi delle domeniche in casa, birra in pancia e vuoto in testa. Non è la noia dei bambini a scuola, o degli uomini costretti a girare per vetrine.
Parlo di noia dell’anima. Parlo di un non-aver-nulla-da-fare e un non-aver-voglia-di-fare-nulla, mescolati alla percezione della fine del tempo, della morte che prima o poi arriverà, e di tutti i mali del mondo più uno, il proprio. Sapete che significa?
Avete mai passato sere su sere da soli, tristi fino alle lacrime, pur senza avere alcun motivo per esserlo? Avete mai sentito sulla lingua il sapore della rabbia? Cresce in silenzio, e poi al l’improvviso vuole esplodere in un urlo…
… insomma: avete mai avuto la sensazione di star buttando nel cesso la vostra vita, con qualcuno pronto a tirare lo sciacquone?

Sì, la conosco bene una noia del genere. È la noia di dover scrivere per l’ennesima volta una recensione che ribadisca le solite cose: che occorre documentarsi o non si riesce a mantenere la sospensione dell’incredulità; che è meglio mostrare invece di raccontare; che scrivere frasi stile “Qua e là c’erano oscene parti di corpi” è una pessima idea e dimostra che l’autore non ha capito un’emerita mazza di come funzioni la narrativa.
Sono stufa fino alle lacrime di leggere stupidaggini, dalla Regina cattiva che pensa di poter ricostruire la realtà con poche frasette ai consigli di guerra che paiono riunioni condominiali; non ce la faccio più a sorbirmi i deus ex machina e le spade magggiche perché sì; e quando una città viene assaltata da poche decine di persone non mi fa più ridere, mi fa solo piangere.
E non c’è neanche un minimo di coerenza interna! Con la sinestesia che va e viene e Alice che quando Dimitri si ricorda può levitare nella vaporità fuffosità, altrimenti scarpina beata.

coniglietto annoiato
Il coniglietto è annoiato. No, non è bello che lo sia. E no, non è Grumo

E per inciso, dedicare quasi una pagina a raccontare la noia non è questa gran trovata. È illuminante un confronto con l’originale Alice di Carroll e con un’interpretazione più moderna di Jeff Noon.

Alice’s Adventures in Wonderland di Lewis Carroll:

bandiera EN Alice was beginning to get very tired of sitting by her sister on the bank, and of having nothing to do: [...]

bandiera IT Alice cominciava a sentirsi molto stanca di sedere sul poggetto accanto alla sorella senza niente da fare: [...]

Automated Alice di Jeff Noon:

bandiera EN Alice was beginning to feel very drowsy from having nothing to do. How strange it was that doing absolutely nothing at all could make one feel so tired.

bandiera IT Alice cominciava a sentirsi molto assonnata a furia di non avere niente da fare. Com’è strano che non fare assolutamente niente ti faccia sentire così stanco.

La differenza di fondo è che Carroll e Noon vogliono raccontare una storia, e dunque danno alla noia solo lo spazio strettamente necessario a questo scopo, ovvero un paio di righe; Dimitri invece non aspetta altro che di riversare sul lettore le sue considerazioni personali, considerazioni che mette davanti alle necessità della narrazione. A qualcuno il ruminare di Dimitri potrà pure piacere, ma in generale non è quello che ci si aspetta quando si spendono 17 euro per un romanzo di narrativa fantastica.

* * *

Alice è un romanzo pieno di scemenze e ingenuità; peggio sono scemenze e ingenuità poco interessanti. Non c’è mezza idea originale, è tutto visto e rivisto, dall’idea di fondo del mondo come simulazione/narrazione, alla sindrome di Alice di cui soffre Ben, ai giochetti tipografici. Il brutto è che Dimitri non ne pare consapevole: addirittura ferma più volte la narrazione per pontificare e discutere le idee del romanzo, come fossero chissà quali trovate gegnali; ne nascono dialoghi didascalici, privi di tensione, noiosi. Scoraggiante.
Alice vaga per la Steamland e quando incontra qualcuno raramente il dialogo si può sviluppare sulle salutari basi del conflitto: i vari tizi non vedono l’ora di spiegare la loro visione del mondo, e Alice non vede l’ora di sgranare gli occhioni per la meraviglia.
Per esempio:

(pag. 114-118) «Non capisci? Tutte le teorie sulla realtà-oltre-i-sensi possono andare bene a Londra, forse. Qui devi lasciarle alle spalle. Che senso ha parlare di realtà oggettiva se ogni individuo percepisce il mondo diverso da ogni altro, e la sua stessa percezione cambia di istante in istante?» [disse il monaco]
«Cambia la percezione, ma la realtà resta. Corpi, tecnoimmondizie, strade…» [disse Alice]
«E come puoi dire che non sia la realtà, a cambiare? Il tuo è un atto di fede. Se ogni tuo senso ti dice che la realtà è cambiata, come puoi dire che no, è un’allucinazione, ma in fondo è rimasta uguale?»
«Quando usavo la Zavorra, restava uguale».
«Solo grazie a una droga. E se fosse stata quella, l’allucinazione?»
Alice aprì la bocca per dare una risposta. Non ne trovò.
[...]
Alice mugugnò. Fece un’altra domanda: «Se siamo uniti in modo così stretto, dove vanno a finire il libero arbitrio, l’autocoscienza…»
«Dove sono sempre stati. Fai parte di un organismo, ma sei anche un individuo. Non devi pensare in termini di esclusione, di questo o quello. Devi pensare in termini di questo e anche quello. Ogni cosa è connessa. E non parlo solo di uomini. Animali, alberi, sassi, tecnologia: tutto è cosciente, tutto vive.»
«Sei più contorto di un accademico [...]».

Se Alice fosse stata l’Alice tradizionale, l’Alice bambina, una conversazione del genere avrebbe potuto avere un senso. Ma che un’Alice antropologa trentenne rimanga a bocca a aperta se qualcuno le dice che la realtà potrebbe essere illusoria, e non abbia mai sentito parlare di panpsichismo o di animismo è inverosimile a essere buoni. Come ha preso la laurea Alice? Per corrispondenza all’Università dell’Uganda?

Tra l’altro:
• Ipotesi uno: la percezione della realtà, o addirittura la realtà stessa, cambia di continuo.
• Ipotesi due: sei drogato.
Il rasoio di Occam ci dice che è più probabile sia vera la seconda ipotesi. Poi nel mondo di Dimitri può essere vera la prima, ugualmente è assurdo che una persona con la cultura di Alice non sappia difendere la seconda ipotesi.
E ora un fatto curioso: nel libro The Hidden Sense: Synesthesia in Art and Science l’autore analizza diversi casi di sinestesia. Casi nei quali la sinestesia è indotta con l’uso di sostanze chimiche e casi dove invece il soggetto ha i sensi mischiati di suo da anni.

Copertina di The Hidden Sense
Copertina di The Hidden Sense

L’autore si chiede se questi “sinesteti” naturali esistano sul serio, o non siano invece individui perennemente allucinati. Alla fine propende per la prima ipotesi. Tra le ragioni c’è il constatare che la sinestesia prodotta con droghe produce allucinazioni sempre variabili, mentre la sinestesia naturale è costante nelle forme del suo manifestarsi.
Perciò quando il monaco dice che la realtà cambia di continuo, be’, è un forte indizio che la realtà non cambi per niente e il monaco sia solo strafatto di Vaporità Fuffosità.
Ripeto: poi Dimitri nel suo mondo può manipolare la realtà come vuole, ma dal punto di vista narrativo è molto più stimolante se i personaggi hanno opinioni contrapposte. Tanto più che nel caso specifico non era certo difficile far recitare plausibilmente ad Alice la parte della scettica.
Come se non bastasse, la lezioncina del monaco non ha applicazione nel romanzo. Il romanzo funziona basandosi su una realtà oggettiva e condivisa da tutti i personaggi. L’idea che in effetti la realtà non sarebbe costante non influisce mai sulla narrazione.

Che noia! Che noia! Che noia! Che noia un autore che vuole rifilare in maniera goffa – raccontandola invece di mostrarla – la sua visione del mondo e si scopre che tale visione è semplicistica, ingenua e non ha neanche ruolo nel contesto della narrazione.
Forse è un feticcio di Dimitri, magari si eccita a immaginare Alice con il capo chino, le guance arrossate, mentre fa combaciare gli indici e mormora: «Ma come è intelligente lei… Che pensieri profondi e complicati… Io mica sono tanto sicura di capirli.»
Almeno interventi analoghi in Pan erano addolciti dalla pillola dell’ironia. In Alice l’amara medicina bisogna berla fino in fondo senza neppure un cucchiaino di zucchero.

E basta sennò finisce che scrivo la solita recensione chilometrica piena di citazioni e non ne vale la pena. Così come non vale la pena sottolineare le castronerie che Dimitri ha scritto per colpa della scarsa documentazione. Dai combattimenti all’informatica. E, va bene, facciamo un esempio anche qui:

(pag. 160) [Ben] Aprì l’ultima e-mail [proveniente da 238105@gmail.com] che aveva ricevuto. Poi cliccò su mostra header. Voleva controllare l’IP, l’indirizzo numerico del computer da cui era partita l’e-mail. Gli veniva in mente soltanto un’ipotesi. Sbagliata, sperava.
Spedì un’e-mail a se stesso.
La scaricò, controllò l’IP, lo confrontò con l’altro.
Erano uguali.
[e a questo punto Ben si convince di essersi auto-spedito le mail ricevute negli ultimi giorni]

Se si esamina il vero header di una mail spedita attraverso Gmail, si scopre che non è segnato l’IP del computer che ha inviato l’email, bensì l’IP del computer della rete interna di Google che ha ricevuto l’email e l’ha inoltrata al destinatario finale.
È facile da capire perché l’IP è nel formato 10.x.x.x:

Received: by 10.231.17.11 with SMTP id ecc.;

Wed, 28 Set 2011 09:43:43 -0700 (PDT)

E gli IP nel range 10.0.0.0-10.255.255.255 sono, come si scopre frugando per dieci minuti su Wikipedia, IP privati.
In altre parole, Ben non può dedurre niente da IP del genere. La mail potrebbe originare dal suo computer come da un computer in Australia.
È vero che esistono server di posta elettronica che inoltrano, oltre al testo della mail, anche l’IP del computer che l’ha spedita, ma purtroppo per Dimitri il server di Google non è tra questi.
Trenta secondi per controllare con un account Gmail + dieci minuti di Wikipedia. Poteva farlo anche Dimitri. Ma cosa lo dico a fare? Alla fine aveva proprio ragione Damon Knight.

Una scena da Alice

Nella recensione non ho parlato di stile. È uno stile scadente; nel vecchio articolo natalizio citavo alcuni esempi di cattiva scrittura, adesso analizzerò un’intera scena. Lo faccio nella speranza che le mie osservazioni possano risultare utili per chi desidera imparare a scrivere in modo decente.

Ma prima qualche premessa:
• Il romanzo non è una schifezza per colpa solo dello stile, anzi lo stile, per quanto bruttino, sarebbe addirittura tollerabile se la storia fosse più appassionante e coerente.

• Non sto giudicando lo stile del romanzo da questa scena. Questa scena è solo un esempio. Un esempio significativo però, perché la qualità della scrittura si mantiene più o meno su questo livello dalla prima all’ultima scena.

• Ha senso che l’analisi stilistica di una singola scena occupi più spazio del resto della recensione? Sì. Perché è inutile discutere i contenuti di Alice, inutile da un lato perché sono contenuti stupidi e banali, dall’altro perché a parlare di contenuti spesso si scivola nel gusto e quando si parla di gusti si perde solo tempo. Viceversa lo stile può essere analizzato in maniera più oggettiva.

• Ha senso dedicare così tanto tempo all’analisi stilistica? In effetti no. All’atto pratico, no. I lettori non hanno i mezzi per distinguere certe sottigliezze e andranno avanti a leggere solo in base a quanto i contenuti combacino con i loro gusti; viceversa gli editor delle case editrici non hanno i mezzi per distinguere certe sottigliezze e dunque decideranno di pubblicare o no un romanzo solo in base a quanto i contenuti combacino con i loro gusti – raccomandati a parte.
Perciò perché spendere ore ad affinare il proprio stile? Perché si ha vero rispetto per i propri lettori e si vuole offrire sempre il meglio, anche se pochissimi saranno in grado di apprezzarlo; perché si è orgogliosi e la sciatteria ripugna; perché è divertente imparare a esprimere al meglio le proprie idee; perché si diventa consapevoli, e si può decidere in coscienza quando prendere scorciatoie e quando no; perché si ha una possibilità, per quanto remota, di ricevere complimenti da Gamberetta. chikas_pink21.gif

• Questo tipo di analisi così precisina leva tutto il piacere della lettura! E se non c’è piacere nella lettura, cosa si legge a fare?
Al contrario, saper vivisezionare un testo aumenta il piacere, perché si possono apprezzare molte più sfumature.
Citando Umberto Eco da Sei passeggiate nei boschi narrativi:

[di Sylvie, romanzo di Gérard de Nerval] Ne conosco ormai ogni virgola, ogni meccanismo segreto.
Questa esperienza di rilettura, che mi ha accompagnato per quarant’anni, mi ha provato quanto siano sciocchi coloro che dicono che ad anatomizzare un testo, e a esagerare con il “close reading”, se ne uccide la magia. Ogni volta che riprendo in mano Sylvie, pur conoscendo a fondo la sua anatomia, e forse proprio per questo, me ne innamoro come se lo leggessi per la prima volta.

Il signor Gérard de Nerval
Il signor Gérard de Nerval

• Non so quanto le due “editor-in-gozzoviglia” citate nei ringraziamenti del romanzo, Valentina Paggi & Serena Daniele, abbiano contribuito. Magari è tutta farina del sacco di Dimitri che si è rifiutato di accettare saggi consigli, o forse le due editor non sanno fare il loro mestiere. Non mi interessa, non sono un giudice, non devo stabilire le “colpe”. Analizzo solo il testo e ne metto in luce i difetti, delle persone che ci stanno dietro non mi può fregare di meno.

* * *

La scena che segue è la seconda del romanzo, e la prima ambientata nel mondo della Steamland. Perciò non ha bisogno di presentazione. Leggetela e quindi scorrete le mie note. Non passate subito alle note, perché presumono che conosciate la scena nella sua interezza.

L’uomo alzò gli occhi verso una delle Gabbie – strutture di vetro e acciaio, alte una trentina di piedi e larghe venti. Sature di Vaporità.

In ogni Gabbia si affrontavano due Cavalieri. Usavano armi corte: pugnali, nunchaku, tirapugni. Planavano in ogni angolo, a ogni altezza, sorretti dai flussi di Vaporità: parevano scoiattoli volanti. Si picchiavano, si insultavano, si spostavano in alto e in basso, mentre gli scommettitori urlavano. Una corte di straccioni cui non era rimasto nient’altro che la voce, e un po’ di rabbia.

L’uomo sospirò. Nessuno avrebbe potuto capire che veniva d’altrove, neanche con un esame attento. Camuffarsi faceva parte del suo lavoro. Per fortuna, pensava, stanotte finisce.

Era un uomo versatile, a suo agio con ogni tipo di gente. Era capace di riparare una macchina, disquisire di letteratura, mettere a sistema le mitologie di quindici diversi popoli, e tutto mentre si godeva una bella pipa. Aveva vissuto più di sessant’anni, ma si sentiva (e con buone ragioni) in perfetta forma. Spirito e corpo erano robusti, anche se la Zona Vecchia li aveva messi a dura prova. Nei cinque mesi trascorsi laggiù aveva visto più orrori che nel resto della sua vita: dalle piccole violenze domestiche, quasi banali, agli omicidi in pieno giorno, agli stupri di gruppo. E peggio.

Il suo lavoro era osservare, non giudicare. Di intervenire, poi, non se ne parlava. Non se voleva tornare a casa vivo e tutto d’un pezzo. Non poteva negare però di aver sentito più volte un pizzicore sulle mani, il desiderio di raddrizzare a calci i tanti bulli che scambiavano la prepotenza per forza. Fino a quel momento era riuscito a trattenersi.

Ora aveva toccato il punto più basso, assistendo a uno dei celebri Scontri a Vapore. Assolutamente proibiti, certo, da almeno cinque diversi Pronunciamenti Regi. Il problema era che nessuno aveva interesse ad applicarli, i Pronunciamenti. La filosofia a della Corona si riduceva, più o meno, a lasciare che quegli straccioni si scannassero tra loro. Forse, sperava l’uomo, la sua ricerca avrebbe migliorato le cose.

Se quella sera fosse finita lì, la nostra storia (e molte altre) non esisterebbero neppure. Ma accadde qualcosa. Guidato dal fato, o dal puro caso, Solomon Stoltze volse lo sguardo alla terza Gabbia, in fondo alla sala, proprio nel momento in cui un combattimento stava per i finire.

Uno dei Cavalieri era un energumeno seminudo, con un cranio pelato abbastanza massiccio da sfondare una porta. Il suo nemico era una ragazzina magrissima: Solomon le avrebbe dato otto anni. Era sporca di sangue, aveva un occhio nero e un profondo taglio su un braccio. Stoltze non riusciva a distinguere altro, da quella distanza.

Qualcosa, in lui, urlò. Stoltze si fece largo tra la folla, spingendo, annaspando tra i corpi sudati. Giunse vicino alla Gabbia. La ragazzina, sospesa a sei metri dal suolo, stava menando un fendente alla giugulare dell’avversario. Il suo piccolo pugnale disegnò nella nebbia una striscia color sangue. L’energumeno sputò grumi rossastri, crollò a terra con un tonfo. La ragazzina piroettò, graziosa, lasciandosi trasportare dalla Vaporità. Raggiunse il pavimento. S’inchinò. Uno scorcio di seno guizzò fuori. Il pubblico scoppiò in applausi e fischi.

Il professor Stoltze ne ebbe abbastanza.

La porta era mimetizzata dietro una delle Gabbie. L’accesso era proibito ai non addetti ai lavori, come faceva presente il cartello più diffuso nello show business. Non c’erano guardie. Tutti sapevano che era pericoloso (davvero pericoloso) entrare.

Solo in due casi potevi imboccare quella porta. Primo, se volevi diventare un Cavaliere della Vaporità – nome pomposo per quei disgraziati che si affrontavano nelle arene. Secondo, se volevi morire. Il professore aveva altre intenzioni.

Il combattimento era finito da poco. Lui era riuscito a strisciare dentro. Ora si trovava in un atrio in penombra: l’unica luce proveniva da una lampada a gas che dondolava al centro della stanza. La ragazzina era qui da qualche parte: il suo manager l’aveva abbracciata, le aveva palpato il culo, e se l’era trascinata dietro.

Solomon avanzò fino in fondo all’atrio. C’era un’altra porta, con lo stesso cartello. Aprì anche quella e si trovò in un lungo corridoio buio. S’incamminò con cautela serrando, nervoso, una mano sulla rivoltella carica.

Mentre avanzava sentì delle voci che si andavano facendo più nitide. Erano più versi che voci vere e proprie: gemiti, un uomo e una donna. I gemiti dell’uomo erano duri, quelli della donna disperati. Solomon arrivò a una porta socchiusa.

Con estrema lentezza allungò la testa per guardare oltre. Vide il corpo di una ragazzina, nudo, di spalle: la combattente di poco prima. Era incatenata al muro con pesanti anelli di ferro che le stringevano polsi e gambe.

Un uomo con la faccia da faina – il suo manager – la stava penetrando da dietro. In una mano stringeva un grosso chiodo. Lo usava per graffiare a sangue la schiena della ragazzina, seguendo il movimento di bacino.

In un lampo Solomon gli fu addosso. Gli puntò la pistola alla tempia.

Il manager si fermò. «Chi cazzo sei?»

«Libera la ragazza».

«Quale scuderia ti manda?»

Il professore aumentò la pressione della pistola. «Liberala».

Il manager indicò un mazzo di chiavi a terra, poco lontano dalle catene.

«Prendile» ordinò Solomon. «Molto piano».

E l’uomo con la faccia da faina dovette capire che lo sconosciuto non bluffava, perché fece piano davvero. Si abbassò, la canna della pistola che seguiva ogni suo movimento. Raccolse le chiavi. Aprì le serrature.

La prigioniera, ancora stordita, si massaggiò i polsi. «Grazie…» farfugliò.

Solomon le tese la mano libera. «Vieni con me».

Senza pronunciare parola, la ragazzina gli si avvicinò.

«Siete morti» disse la faina. «Fottutamente, assolutamente, morti».

«Non credo» rispose con calma Solomon. Il suo indice si mosse sul grilletto.

«Se mi fai male, stronzo, la mia famiglia beccherà la tua scuderia, e…»

«Io non ho scuderia».

Il manager sgranò gli occhi.

Il professore sparò.

E poi le cose sono un po’ confuse. C’era abbastanza Vaporità nell’aria da far strippare un tossico… e comunque basta con questa noiosa storia-prima-della-storia, pensò. Tutto ha importanza, ma niente ne ha troppa. Arriviamo a tempi più recenti. All’inizio dell’ultima parte, quella cruciale. Quella che ci porta a ora e tutto il resto.

Cominciamo.

* * *

L’uomo alzò gli occhi verso una delle Gabbie
  • Ricordo per l’ennesima volta la regola generale da tenere sempre presente, il “segreto” o forse il “trucco” per scrivere narrativa in maniera coinvolgente: concreto & preciso sono cool & kawaii; generico & astratto sono brutti & kattivi!!!!
  • Dimitri userà nel corso della scena il punto di vista di Solomon Stoltze o il punto di vista del Narratore. Dunque questo “L’uomo” è sbagliato: perché ovviamente Stoltze non pensa a se stesso come a un generico “uomo” e il Narratore sa benissimo chi sia l’uomo. Usare “uomo” qui indica che il punto di vista è quello di un personaggio che osserva l’uomo in questione. Ma in effetti non è così. Un lettore attento viene inutilmente confuso.
  • “una” è generico, perciò è un (piccolo) errore. Tu non alzi gli occhi verso “una” Gabbia, tu alzi gli occhi verso la Gabbia che ti sta di fronte, o verso la Gabbia nell’angolo, o verso la Gabbia appesa al soffitto, o verso la Gabbia con le decorazioni natalizie. Sempre verso una specifica Gabbia, non una generica Gabbia.
strutture di vetro e acciaio, alte una trentina di piedi e larghe venti. Sature di Vaporità.
In ogni Gabbia si affrontavano due Cavalieri. Usavano armi corte: pugnali, nunchaku, tirapugni. Planavano in ogni angolo, a ogni altezza, sorretti dai flussi di Vaporità: parevano scoiattoli volanti. Si picchiavano, si insultavano, si spostavano in alto e in basso, mentre gli scommettitori urlavano. Una corte di straccioni cui non era rimasto nient’altro che la voce, e un po’ di rabbia.
  • Per quanto detto all’inizio questo passaggio non è granché, in quanto è generico – parla di tutte le Gabbie –, e invece dovrebbe essere specifico, dovrebbe parlare della singola Gabbia che l’uomo sta osservando.
    Non i tirapugni, non ogni angolo; ma il tirapugni che rompe la faccia all’elfo, e l’angolo in basso a destra dove sono rotolati lui e il nano.

  • Come ha scritto Dimitri non è “sbagliato” ma è a livello di prima stesura a essere buoni, è a livello di buttare sul tavolo le idee. Poi occorre dare carne a queste idee, concretizzarle in particolari tangibili.

alte una trentina di piedi e larghe venti.

  • Come spiegato nell’articolo sul Mostrare, le descrizioni numeriche non sono molto efficaci, ancora meno quando l’unità di misura è inusuale. È molto semplice: immaginate un oggetto o una costruzione del mondo reale che abbia queste dimensioni. Per me non ci riuscite facilmente. Dunque il lettore o lascia perdere di sapere quanto sono grandi le Gabbie – e allora tanto vale non scriverlo – oppure deve ragionarci sopra, uscendo dalla narrazione. Questo è un errore da dilettanti.

Usavano armi corte: pugnali, nunchaku, tirapugni.

  • Qui prima è raccontato che i Cavalieri usavano “armi corte”, poi sono elencate. Come spesso succede, il raccontato si può togliere a favore dell’eleganza: “Usavano pugnali, nunchaku, tirapugni.”

  • L’espressione “armi corte” è impropria: è una locuzione che tecnicamente indica le armi da fuoco con la canna corta. A questo punto non è ben chiaro se il punto di vista sia quello dell’uomo che guarda o del Narratore. Però più in là scopriremo che l’uomo che guarda è un uomo di cultura. Dunque in entrambi i casi non è giustificabile questo uso poco preciso del linguaggio. Sia l’uomo che guarda sia il Narratore dovrebbero sapere che le “armi corte” sono armi da fuoco.

parevano scoiattoli volanti

  • Questa similitudine può forse rendere bene il movimento dei Cavalieri nella Vaporità, ma – come emerge nel seguito – la scena vuole essere brutale, uno degli spettacoli più atroci a cui l’uomo che guarda abbia mai assistito: siamo sicuri che gli scoiattoli volanti siano appropriati? Gli scoiattoli volanti, nell’immaginario comune, sono animaletti pucciosi, non c’entrano molto con uno scenario cupo.

Famigliola di scoiattoli volanti
Famigliola di scoiattoli volanti. Fanno spavento vero? Più simbolo di atrocità di così! Direi persino che somigliano un po’ a dei furetti.

Una corte di straccioni cui non era rimasto nient’altro che la voce, e un po’ di rabbia

  • Gli scommettitori. Dovrebbe essere rimasto loro del denaro, oltre a voce e rabbia, altrimenti cosa scommettono?
L’uomo sospirò. Nessuno avrebbe potuto capire che veniva d’altrove, neanche con un esame attento. Camuffarsi faceva parte del suo lavoro. Per fortuna, pensava, stanotte finisce.
Era un uomo versatile, a suo agio con ogni tipo di gente. Era capace di riparare una macchina, disquisire di letteratura, mettere a sistema le mitologie di quindici diversi popoli, e tutto mentre si godeva una bella pipa. Aveva vissuto più di sessant’anni, ma si sentiva (e con buone ragioni) in perfetta forma. Spirito e corpo erano robusti, anche se la Zona Vecchia li aveva messi a dura prova. Nei cinque mesi trascorsi laggiù aveva visto più orrori che nel resto della sua vita: dalle piccole violenze domestiche, quasi banali, agli omicidi in pieno giorno, agli stupri di gruppo. E peggio.
  • La storia non è ancora cominciata – finora l’unica azione è stata l’uomo che alza gli occhi – e già ci fermiamo di nuovo per un’altra sbrodolata di informazioni che:
    • Non hanno importanza per questa scena.
    • Non hanno importanza per il romanzo.
    Si potrebbero tagliare questi paragrafi senza danno.
    In più, di nuovo, la narrazione è troppo generica.
    Prendiamo la parte finale, che dovrebbe riguardare fatti ancora vividi nella mente del personaggio:

Nei cinque mesi trascorsi laggiù aveva visto più orrori che nel resto della sua vita: dalle piccole violenze domestiche, quasi banali, agli omicidi in pieno giorno, agli stupri di gruppo. E peggio.

  • Questo passaggio l’avevo già analizzato nell’articolo dedicato al Mostrare, ma ribadisco: tu non hai visto “piccole violenze domestiche”, “omicidi in pieno giorno” e “stupri di gruppo”. Soprattutto non hai visto “peggio”. Tu hai visto un bambino a cui hanno cavato gli occhi con un apribottiglie, hai visto una ragazza sodomizzata con un attizzatoio, hai visto un uomo bastonato a morte da una banda di castori mannari. O hai visto altro. Ma non vedi mai situazioni generiche, nella tua testa ci sono solo ricordi specifici. A meno che non sia una consuetudine per la banda dei castori mannari massacrare la gente, e allora hai visto più volte scene simili. Ma rimangono eventi circoscritti, non sono generici “omicidi in pieno giorno”(che tra l’altro è una brutta frase fatta). E mai mai mai vedi “peggio”.
    Sì, fa più impressione leggere di un rampino che scende nella gola di un ragazzo per poi cavarne fuori gli intestini che non leggere di generici “omicidi”, d’altra parte se lo scopo è comunicare l’atrocità dello scenario ti serve il rampino, altrimenti scegli uno scenario meno atroce.
Il suo lavoro era osservare, non giudicare. Di intervenire, poi, non se ne parlava. Non se voleva tornare a casa vivo e tutto d’un pezzo. Non poteva negare però di aver sentito più volte un pizzicore sulle mani, il desiderio di raddrizzare a calci i tanti bulli che scambiavano la prepotenza per forza. Fino a quel momento era riuscito a trattenersi.
  • Continua l’inforigurgito evitabile, eliminabile senza colpo ferire.

i tanti bulli che scambiavano la prepotenza per forza

  • Chi ammazza in pieno giorno e partecipa a stupri di gruppo non è un “bullo”. Il bullo è il tizio che ti ruba la merenda, non quello che ti cava gli occhi.

  • “scambiare la prepotenza per forza” è un’altra brutta frase fatta.
Ora aveva toccato il punto più basso, assistendo a uno dei celebri Scontri a Vapore. Assolutamente proibiti, certo, da almeno cinque diversi Pronunciamenti Regi. Il problema era che nessuno aveva interesse ad applicarli, i Pronunciamenti. La filosofia a della Corona si riduceva, più o meno, a lasciare che quegli straccioni si scannassero tra loro. Forse, sperava l’uomo, la sua ricerca avrebbe migliorato le cose.
  • Suona strano che l’uomo assista solo adesso a uno scontro a vapore, contando che sono cinque mesi che si trova nella Zona Vecchia e tali scontri sono “celebri”. Suona strano che assistere a uno scontro sia “il punto più basso”: due che si picchiano in una gabbia non sembra peggio di un omicidio in pieno giorno o di uno stupro di gruppo. Non sembra peggio di “peggio”. Ma chissà, dato che la parte prima era così generica, magari gli scontri sono davvero peggio.
    Questo è un errore di fondo, sempre il solito: il cercare di coinvolgere il lettore (“ecco il peggio del peggio!”), solo raccontando. Basterebbe mostrare, e il lettore saprebbe da solo qual è il punto più basso.

  • “Assolutamente” è un avverbio superfluo e cliché: proibiti da cinque diversi Pronunciamenti è già proibito abbastanza.
Se quella sera fosse finita lì, la nostra storia (e molte altre) non esisterebbero neppure. Ma accadde qualcosa. Guidato dal fato, o dal puro caso, Solomon Stoltze volse lo sguardo alla terza Gabbia, in fondo alla sala, proprio nel momento in cui un combattimento stava per i finire.
  • Paragrafo da tagliare e basta.

  • La prima frase è un capolavoro di spreco d’inchiostro. A ogni singolo paragrafo del romanzo si potrebbe aggiungere in testa: “se il personaggio non avesse fatto come ha fatto la nostra storia ecc.” E allora? Che bisogno c’è di dirlo?
    Il lettore è in un locale della Zona Vecchia di Londra ad assistere a scontri di Cavalieri nella Vaporità. Il Narratore lo acchiappa e gli ricorda: “Oh, guarda che è solo una storia. L’hai sempre in mente? Ecco, bravo. Non farti coinvolgere troppo.”

  • Che senso ha questa manfrina del “fato” e del “puro caso”? C’è bisogno di questa enfasi per far voltare la testa a un personaggio? No. Tra l’altro se non lo sa il Narratore se sia fato o puro caso lo dovrebbe sapere il lettore?
Uno dei Cavalieri era un energumeno seminudo, con un cranio pelato abbastanza massiccio da sfondare una porta. Il suo nemico era una ragazzina magrissima: Solomon le avrebbe dato otto anni. Era sporca di sangue, aveva un occhio nero e un profondo taglio su un braccio. Stoltze non riusciva a distinguere altro, da quella distanza.

Stoltze non riusciva a distinguere altro, da quella distanza.

  • Se si toglie questa frase il lettore piange: “Ma come, Stoltze non distingue altro?” No. Dato che il punto di vista è di Stoltze, assumiamo che quello che leggiamo è quello che vede Stoltze, non c’è bisogno di specificare che non ha visto altro.

  • Senza contare che, non sapendo quanto sia grande il locale e dove sia di preciso Stoltze, “quella distanza” non vuole dire niente.

Uno dei Cavalieri era un energumeno seminudo, con un cranio pelato abbastanza massiccio da sfondare una porta. Il suo nemico era una ragazzina magrissima: Solomon le avrebbe dato otto anni. Era sporca di sangue, aveva un occhio nero e un profondo taglio su un braccio.

  • È una descrizione molto statica, che mal si accoppia all’idea che i Cavalieri sembrino “scoiattoli volanti”. Si ha l’impressione che i due Cavalieri si siano messi in posa per Stoltze, il che è inverosimile. Inoltre per notare l’occhio nero “da quella distanza”, la ragazzina dovrebbe aver tenuto la faccia girata verso l’esterno della Gabbia per un certo tempo. Non sembra comportamento probabile nella furia del combattimento.

seminudo

  • Ovvero? Torso nudo? Gambe nude? Braccia nude? Nudo dalla cintola in su? Oppure è “seminudo” perché i vestiti si sono strappati durante lo scontro?
    Forse è una raffinata citazione del Sommo Vate, dell’Immortale Poeta: Sergio Rocca.

    I suoi neri capelli semi-corti e il glabro viso gli davano un’aria da ‘lupetto spartano’.

Qualcosa, in lui, urlò. Stoltze si fece largo tra la folla, spingendo, annaspando tra i corpi sudati. Giunse vicino alla Gabbia. La ragazzina, sospesa a sei metri dal suolo, stava menando un fendente alla giugulare dell’avversario. Il suo piccolo pugnale disegnò nella nebbia una striscia color sangue. L’energumeno sputò grumi rossastri, crollò a terra con un tonfo. La ragazzina piroettò, graziosa, lasciandosi trasportare dalla Vaporità. Raggiunse il pavimento. S’inchinò. Uno scorcio di seno guizzò fuori. Il pubblico scoppiò in applausi e fischi.

Qualcosa, in lui, urlò.

  • Ennesima frase fatta. “Qualcosa” cosa? Sei Stoltze, lo saprai bene cosa urla dentro di te (assumendo che ‘sta frase non sia lì solo per sbaglio).

La ragazzina, sospesa a sei metri dal suolo, stava menando un fendente alla giugulare dell’avversario. Il suo piccolo pugnale disegnò nella nebbia una striscia color sangue. L’energumeno sputò grumi rossastri, crollò a terra con un tonfo.

  • La ragazzina è magrissima, tanto che Stoltze non le dà più di otto anni. Il pugnale è definito “piccolo”, e per apparire piccolo tra le mani di una bambina magrissima, dev’essere proprio piccolo. L’avversario è un energumeno con una capoccia tale da sfondare una porta. Non è così facile per una bambina rachitica e già ferita tagliargli il collo con un temperino. Non è impossibile, ma è faccenda molto più sporca e laboriosa. Non siamo a livello dei draghi colpiti al volo dalle catapulte, ma lo scontro descritto in maniera così semplicistica fa storcere il naso.

Uno scorcio di seno guizzò fuori.

  • Sarebbe stato opportuno accennare prima ai vestiti della ragazzina, perché io me l’ero immaginata (semi)nuda come l’energumeno (contando che “da quella distanza” Stoltze riesce a giudicarla magrissima e la ragazzina è sporca di sangue; lei non i suoi indumenti).
Il professor Stoltze ne ebbe abbastanza. La porta era mimetizzata dietro una delle Gabbie. L’accesso era proibito ai non addetti ai lavori, come faceva presente il cartello più diffuso nello show business. Non c’erano guardie. Tutti sapevano che era pericoloso (davvero pericoloso) entrare.
Solo in due casi potevi imboccare quella porta. Primo, se volevi diventare un Cavaliere della Vaporità – nome pomposo per quei disgraziati che si affrontavano nelle arene. Secondo, se volevi morire. Il professore aveva altre intenzioni.

Il professor Stoltze ne ebbe abbastanza.

  • Se il professore ne ha abbastanza perché non raggiunge l’uscita più vicina?

La porta era mimetizzata dietro una delle Gabbie. L’accesso era proibito ai non addetti ai lavori, come faceva presente il cartello più diffuso nello show business.

  • Cosa importa se quello è il cartello più diffuso nello “show business”? Soprattutto, non sembrano i pensieri di un professore che ne ha avuto abbastanza. Perché il Narratore deve intervenire solo per fornire questo dettaglio inutile? Non sarebbe più interessante mantenere il punto di vista sul professore che ne ha avuto abbastanza?

Cartello con furetto stilizzato
Area pattugliata da furetto d’assalto: Licia avrebbe messo questo di cartello! E avrebbe fatto meglio di Dimitri

Tutti sapevano che era pericoloso (davvero pericoloso) entrare.

  • Il paragrafo sotto è spiegato cosa succede se entri: o diventi un Cavaliere o muori. Perciò è inutile raccontare prima che varcare la soglia è pericoloso. O il lettore percepisce il pericolo sapendo cosa succede a entrare, oppure ribadire che è “davvero” pericoloso non lo rende più pericoloso.

  • Sarebbe una figata se questo trucco funzionasse: “Il mostro era davvero davvero davvero davvero davvero davvero pauroso.”, ed è vietata la vendita del romanzo perché chi lo legge schiatta dal terrore. Purtroppo i meccanismi della narrativa non sono così semplici.
  • Molti hanno contestato l’uso del Narratore in Pan. Anche a me non è piaciuto in sé, ma l’ho giustificato con il fatto che i suoi interventi erano spiritosi. Il romanzo perde verosimiglianza ma guadagna in divertimento.
    In Alice, come si può vedere da questo breve passaggio, il Narratore è non solo inutile, ma controproducente. Non diverte e prende regolarmente a calci il lettore per tenerlo fuori dalla storia.
    È stata una scelta consapevole di Dimitri? Può darsi, ciò non toglie che è un fastidioso errore. Anche rapinare una banca è una scelta consapevole, ma se ti beccano si dimostra un grosso sbaglio.

Il professore aveva altre intenzioni.

  • Perché, se non lo si specifica, il lettore potrebbe pensare che il professore sessantenne abbia deciso di diventare Cavaliere.
Il combattimento era finito da poco. Lui era riuscito a strisciare dentro. Ora si trovava in un atrio in penombra: l’unica luce proveniva da una lampada a gas che dondolava al centro della stanza. La ragazzina era qui da qualche parte: il suo manager l’aveva abbracciata, le aveva palpato il culo, e se l’era trascinata dietro.

Lui era riuscito a strisciare dentro.

  • I vari “riuscire a” sono quasi sempre pleonastici: se il personaggio fa qualcosa è sottointeso che sia riuscito a farla. Nel caso specifico non si capisce l’enfasi: la porta non è sorvegliata, dunque che difficoltà dovrebbero esserci a sgusciare dentro? Il professore è riuscito a superare il potere intimidatorio di un cartello? Eroe!
Solomon avanzò fino in fondo all’atrio. C’era un’altra porta, con lo stesso cartello. Aprì anche quella e si trovò in un lungo corridoio buio. S’incamminò con cautela serrando, nervoso, una mano sulla rivoltella carica.
  • Sarebbe più elegante rendere il “nervoso” con particolari concreti. Un’altra soluzione è toglierlo: se ti incammini con cautela serrando una mano sull’impugnatura della rivoltella, è chiaro che non sei tranquillo.

  • Lo stesso vale per la “cautela”: sarebbe più elegante descrivere i movimenti attenti del professore.
  • Abbiamo un personaggio punto di vista che procede con cautela ed è nervoso, si presume perciò che stia attento a ogni minimo dettaglio. Invece non c’è traccia di particolari interessanti: c’era una porta, c’era un corridoio, il corridoio era lungo e buio. Eh, bisogna proprio spendere 17 euro, da soli è difficile raggiungere questo grado di immaginazione fantastica.
Mentre avanzava sentì delle voci che si andavano facendo più nitide. Erano più versi che voci vere e proprie: gemiti, un uomo e una donna. I gemiti dell’uomo erano duri, quelli della donna disperati. Solomon arrivò a una porta socchiusa.
Con estrema lentezza allungò la testa per guardare oltre. Vide il corpo di una ragazzina, nudo, di spalle: la combattente di poco prima. Era incatenata al muro con pesanti anelli di ferro che le stringevano polsi e gambe.
Un uomo con la faccia da faina – il suo manager – la stava penetrando da dietro. In una mano stringeva un grosso chiodo. Lo usava per graffiare a sangue la schiena della ragazzina, seguendo il movimento di bacino.

Mentre avanzava sentì delle voci che si andavano facendo più nitide.

  • Il “sentì” è pleonastico: il punto di vista adesso è ben saldo con il professore, se ci sono delle voci è perché lui le sente.

Vide il corpo di una ragazzina, nudo, di spalle: la combattente di poco prima.

  • “Vide”: stesso discorso del sentì poco sopra. Comunque qui voglio sottolineare che il professore vede la ragazzina di spalle.

Un uomo con la faccia da faina – il suo manager – la stava penetrando da dietro. In una mano stringeva un grosso chiodo. Lo usava per graffiare a sangue la schiena della ragazzina, seguendo il movimento di bacino.

  • No. Se il professore vede la ragazzina di spalle, il manager non la sta penetrando da dietro. Altrimenti il corpo del manager coprirebbe la ragazzina (il manager sarà ben più grosso di una magrissima ragazzina di otto anni, contando anche che ha avuto la forza di trascinarla). E ancora, se il professore è alle spalle della coppia ragazzina-manager, non può vedere la faccia da faina del manager. Queste frasi hanno senso solo se il professore vede la coppia di profilo, non di spalle.

  • L’abuso dell’imperfetto dà la sensazione che la situazione sia raccontata, nonostante non manchino i dettagli concreti. Questo perché le azioni sono strascicate nel tempo, non è chiaro quando comincino e quando finiscano. Non siamo qui e ora, siamo in punto distante dallo svolgersi dell’azione, con il filtro del ricordo che appanna la visione. Più interessante sarebbe stato concentrarsi sul singolo gesto: sul singolo graffio, sul singolo schizzo di sangue, sulla singola spinta del manager.
  • Notare infine che non è l’unico punto del romanzo dove Dimitri confonde il davanti con il didietro: a pagina 104-105, Alice vede sia gli inseguitori alle sue spalle, sia il bosco di fronte a sé. Senza voltarsi.

Faina
La faccia del manager. Anche qui noto somiglianze con i furetti

seguendo il movimento di bacino.

  • “seguendo il movimento del bacino” suona meglio.
In un lampo Solomon gli fu addosso. Gli puntò la pistola alla tempia.
  • Da questo particolare – gli puntò la pistola alla tempia, non alla nuca – sembra che appunto il professore sia di profilo rispetto alla coppia. D’altra parte, se fosse di profilo, il manager probabilmente vedrebbe con la coda dell’occhio il professore mentre apre la porta. Condensare le azioni/reazioni di entrambi i personaggi in quel “In un lampo” è scrittura sciatta.
Il manager si fermò. «Chi cazzo sei?»
«Libera la ragazza».
«Quale scuderia ti manda?»
Il professore aumentò la pressione della pistola. «Liberala».
Il manager indicò un mazzo di chiavi a terra, poco lontano dalle catene.
«Prendile» ordinò Solomon. «Molto piano».
E l’uomo con la faccia da faina dovette capire che lo sconosciuto non bluffava, perché fece piano davvero. Si abbassò, la canna della pistola che seguiva ogni suo movimento. Raccolse le chiavi. Aprì le serrature.

E l’uomo con la faccia da faina dovette capire che lo sconosciuto non bluffava, perché fece piano davvero.

  • Altra frase da tagliare senza danno. In più sposta il punto di vista al manager – per lui il professore è uno “sconosciuto” – spostamento fastidioso in cambio di? In cambio di niente.
La prigioniera, ancora stordita, si massaggiò i polsi. «Grazie…» farfugliò.
Solomon le tese la mano libera. «Vieni con me».
Senza pronunciare parola, la ragazzina gli si avvicinò.
«Siete morti» disse la faina. «Fottutamente, assolutamente, morti».
«Non credo» rispose con calma Solomon. Il suo indice si mosse sul grilletto.
«Se mi fai male, stronzo, la mia famiglia beccherà la tua scuderia, e…»
«Io non ho scuderia».
Il manager sgranò gli occhi.
Il professore sparò.
  • Ho barrato direttamente i frammenti inutili.
E poi le cose sono un po’ confuse. C’era abbastanza Vaporità nell’aria da far strippare un tossico… e comunque basta con questa noiosa storia-prima-della-storia, pensò. Tutto ha importanza, ma niente ne ha troppa. Arriviamo a tempi più recenti. All’inizio dell’ultima parte, quella cruciale. Quella che ci porta a ora e tutto il resto.
Cominciamo.
  • Paragrafo da tagliare. Non si può leggere: “e comunque basta con questa noiosa storia-prima-della-storia”. Se una parte è noiosa va riscritta finché non è più noiosa. Il fatto che il Narratore si sia accorto del problema è un’aggravante, non una giustificazione.

    L’idraulico viene a riparare la doccia. Fa il suo lavoro. Chiede 200 euro. Se ne va. Controllate la doccia e scoprite che ancora perde. Vi incazzate.

    L’idraulico viene a riparare la doccia. Fa il suo lavoro. Chiede 200 euro. Sulla soglia di casa dice: “Ah, la doccia ancora perde. Buongiorno.” Se ne va. Credo che vi incazziate molto di più.

    Se una scena è meno che brillante va riscritta. Punto e basta. Non sono tollerabili scene noiose. Non quando i romanzi li si vuole vendere.

  • Ora, questa scena è noiosa? Abbastanza. Per colpa della scarsa pulizia nella scrittura, ma soprattutto per colpa della scelta sbagliata del punto di vista.

    Dimitri ripete spesso: “Io voglio arrivare alla pancia dei lettori, gli altri organi non mi interessano.” O espressioni simili. Il che è corretto: la (buona) narrativa è un’esperienza viscerale, non intellettuale.
    Partendo da questo presupposto, volendo arrivare alla pancia dei lettori, quale punto di vista è il migliore?
    • Il Narratore onnisciente.
    • Il professore che guarda.
    • La ragazzina che prima combatte all’ultimo sangue e poi è violentata.
    La risposta giusta è la numero tre. Certo, scrivere la scena dal punto di vista della ragazzina è molto (ma proprio davvero molto come direbbe Dimitri) più difficile. D’altra parte sulla copertina di Alice non vedo un bollino che recita: “Romanzo con sole scene facili, sconto 20%”.

La fine

Sarei tentata di svelare il finale di Alice, ma non ho voglia. Non ho voglia di spendere centinaia di parole per poi sentirmi dire che va bene così perché è “fantasy”! Basti dire che Dimitri è messo peggio della Troisi quando crede che per tendere un arco non serva forza. E diosantissimo, pure Dimitri deve infilarci l’esercito di morti che non serve a niente per la trama!
Il mio consiglio è di non comprare Alice, nel caso lo trovaste ancora in libreria o pensaste di prendere l’ebook legale, e di non leggerlo neanche.
Dimitri, cercando di spacciare il romanzo di un suo amyketto, conclude che bisogna leggerlo “perché sì”; bene, Alice va buttato nel cassonetto perché sì.
UAU! Mi esprimo proprio come un autore pubblicato!

Questo era l’ultimo impegno che mi ero presa nei confronti di romanzi scritti da italiani. Continuerò a segnalarli qualora comparissero sulle reti P2P, ma non li recensirò più. A meno di trovare qualche testo sul serio affascinante e scritto bene. Non se ne vedono all’orizzonte, ma non si sa mai.

Giudizio:

Niente.  -4 Perché no!!!

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Altre alici

alici in scatola
Mamma, mamma guarda: anch’io so fare i giochi di parole!

Ho letto Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie quando ero bambina e non mi ha fatto né caldo né freddo. Ho gradito alcune trovate fantasiose ma per il resto lo ricordo come una mezza stupidata. Riletto in lingua originale qualche mese fa ho potuto apprezzarlo di più, ma nella sostanza il giudizio non cambia: è una storiella che lascia il tempo che trova e nulla più; è sciocco più che bizzarro e non fa ridere neppure per sbaglio. Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò è anche peggio.
Per questo consiglio a chi volesse avvicinarsi ad Alice l’edizione commentata da Martin Gardner: The Annotated Alice: The Definitive Edition. Le note di Gardner al testo le ho trovate più interessanti del testo stesso. Tra l’altro si può scoprire perché certi passaggi erano divertenti per il pubblico dell’epoca mentre ora sono solo nonsense. Il libro è disponibile anche in italiano, l’editore è Rizzoli.

Copertina di The Annotated Alice: The Definitive Edition
Copertina di The Annotated Alice: The Definitive Edition

Dimitri non è il primo che trae ispirazione dalla storia di Alice. Tra le tante alici che sguazzano nel mare della letteratura, ne segnalo tre:

Icona di un gamberetto Automated Alice di Jeff Noon. Noon scrive una terza avventura di Alice: dopo il Paese delle Meraviglie e lo Specchio, Alice si trova a viaggiare avanti nel tempo fino a un Manchester del futuro in un universo parallelo molto più bizzarro del nostro. E proprio l’abbondanza di elementi bizzarri è quello che ho maggiormente apprezzato: siamo in pieno territorio della Bizarro Fiction, anche se il romanzo di Noon non è catalogato come tale. La scrittura è decente, e quando l’autore interviene in prima persona – entrando come personaggio nella storia – almeno è ironico.
Il romanzo è stato pubblicato in Italia con il titolo: Alice nel paese dei numeri. Però non consiglio di leggere questa edizione, perché il libro di Noon è infarcito di giochi di parole – in effetti molto più che l’Alice originale – e non credo sia stato possibile mantenerli in una traduzione. Può valere la pena leggerlo in inglese.

Copertina di Automated Alice
Copertina di Automated Alice

Icona di un gamberetto Come solo in inglese è disponibile Adolf in Wonderland di Carlton Mellick III. Qui Alice non è una bambina, ma un giovane Adolf Hitler, che, morso da un ragno nel mezzo del deserto, rimpicciolisce e viaggia in un Paese delle Meraviglie molto più strampalato dell’originale. Non manca una sorta di storia d’amore e anche in questa wonderland compare la sinestesia.
Non è il miglior romanzo di Mellick, è una spanna sotto opere come The Haunted Vagina o War Slut, lo stesso è una lettura piacevole. Mellick scrive in maniera pulita e trasparente, non fa sentire la propria presenza e lascia il lettore libero di baloccarsi con il bizzarro. Dimitri racconta di una realtà sempre mutevole, Mellick la mostra. Però avverto che i riferimenti all’Alice originale non sono molti, e questo potrebbe far storcere il naso a qualcuno.

Copertina di Adolf in Wonderland
Copertina di Adolf in Wonderland

Icona di un gamberetto Night of the Jabberwock di Frederic Brown invece è all’esatto opposto: si tratta di un romanzo infarcito di citazioni e riferimenti all’Alice originale, ma di per sé non è un’opera di narrativa fantastica. È infatti un giallo che racconta una movimentata notte di un giornalista di un piccolo giornale di provincia. Nel giro di poche ore il nostro eroe si troverà per le mani più notizie di quante ne pubblica di solito in un anno. Non svelo di più perché rovinerei la lettura. Non do neppure un giudizio perché non sono esperta di gialli, però posso dire che mi sono divertita a leggere e credo che gli appassionati di Alice apprezzeranno molto i rimandi alla storia di Carroll. In italiano è uscito con il titolo Tutto in una notte nella collana Il Giallo Mondadori.

Copertina di Night of the Jabberwock
Copertina di Night of the Jabberwock

E non sarei io se non chiudessi sputando sull’umile fatica di qualche autore: i romanzi della serie The Looking Glass Wars di Frank Beddor sono scritti in maniera ignobile, a livello del fantasy nostrano più becero; non leggeteli e statene lontani se mai dovessero tradurli.

Copertina di The Looking Glass Wars
Copertina di The Looking Glass Wars


Approfondimenti:

bandiera IT Alice nel Paese della Vaporità su Amazon.it
bandiera IT Alice nel Paese della Vaporità su iBS.it (edizione ebook)
bandiera IT Il sito ufficiale del romanzo
bandiera IT Il blog di Francesco Dimitri

bandiera EN Alice’s Adventures in Wonderland leggibile online presso il Project Gutenberg
bandiera IT Alice nel Paese delle Meraviglie leggibile online presso Wikisource

bandiera EN The Annotated Alice: The Definitive Edition su library.nu
bandiera IT The Annotated Alice: The Definitive Edition su Amazon.it
bandiera EN Automated Alice su library.nu
bandiera IT Automated Alice su Amazon.it
bandiera IT Adolf in Wonderland su Amazon.it
bandiera EN Night of the Jabberwock su library.nu
bandiera IT Night of the Jabberwock su Amazon.it

bandiera EN Scoiattoli volanti su Wikipedia

 


107 Comments (Mostra | Nascondi)

107 Comments To "Alice nel Paese della Fuffosità"

#1 Comment By queenseptienna On 26 ottobre 2011 @ 22:32

SUPERBA.
Dico solo questo. Mi sento meno sola ora, nel pensare che questo libro è un’emerita perdita di soldi, tempo e neuroni.
Mi è sceso il QI a leggerlo >_>

#2 Comment By Andrea On 26 ottobre 2011 @ 22:43

Mi chiedo a cosa serva tutto questo. E se abbia senso.
Segnare con la penna rossa, mettere alla berlina… Non so davvero se sia la strada giusta. Di certo mi lascia con un retrogusto amaro.
(spero di avere tempo, nei prossimi giorni, di argomentare quelle che ora sono solo sensazioni).

#3 Comment By Emiliano On 26 ottobre 2011 @ 23:47

Grazie, gamberetta! Passo qui di tanto in tanto, e non riesco mai a decidere se le tue recensioni siano più godibili o istruttive. Continua a stroncare costruttivamente così, non stancartene!

#4 Comment By Edy On 27 ottobre 2011 @ 00:05

Bellissima recensione, non tanto per il libro che avevo già scartato sentendo puzza di troppa Fuffosità. Ma per i commenti alla singola scena che ho trovato davvero istruttivi.
Non c’è niente da fare per quanta teoria io possa leggere le cose che mi rimangono più impresse sono gli esempi pratici come quello che hai proposto tu. Perciò GRAZIE INFINITE!

Edy

#5 Comment By Keane On 27 ottobre 2011 @ 01:53

L’analisi del testo è allucinante(per rimanere in tema :D), non so dove tu abbia trovato la voglia. Davvero un prodotto scarso.
Grazie per la recensione

Mi chiedo a cosa serva tutto questo. E se abbia senso.
Segnare con la penna rossa, mettere alla berlina… Non so davvero se sia la strada giusta. Di certo mi lascia con un retrogusto amaro.

Non sono un adepto di Gamberology, ma posso risponderti dicendo che recensioni del genere servono a me per scegliere quali libri leggere e quali no.
L’alternativa critica, del resto, offre un’orgiastico spompinarsi a vicenda di autori-editori-editor-recensori, tutti amiketty in nome del profitto; e non è la strada giusta per avere opere di qualità.

#6 Comment By Charblaze On 27 ottobre 2011 @ 02:42

@Andrea

Leggi l’articolo, la risposta alle tue domande è lì in bella mostra. Secondo Gamberetta, e molti altri, tutto ciò serve e ha questo senso:

• Ha senso dedicare così tanto tempo all’analisi stilistica? In effetti no. All’atto pratico, no. I lettori non hanno i mezzi per distinguere certe sottigliezze e andranno avanti a leggere solo in base a quanto i contenuti combacino con i loro gusti; viceversa gli editor delle case editrici non hanno i mezzi per distinguere certe sottigliezze e dunque decideranno di pubblicare o no un romanzo solo in base a quanto i contenuti combacino con i loro gusti – raccomandati a parte.
Perciò perché spendere ore ad affinare il proprio stile? Perché si ha vero rispetto per i propri lettori e si vuole offrire sempre il meglio, anche se pochissimi saranno in grado di apprezzarlo; perché si è orgogliosi e la sciatteria ripugna; perché è divertente imparare a esprimere al meglio le proprie idee; perché si diventa consapevoli, e si può decidere in coscienza quando prendere scorciatoie e quando no; perché si ha una possibilità, per quanto remota, di ricevere complimenti da Gamberetta.

• Questo tipo di analisi così precisina leva tutto il piacere della lettura! E se non c’è piacere nella lettura, cosa si legge a fare?
Al contrario, saper vivisezionare un testo aumenta il piacere, perché si possono apprezzare molte più sfumature.

[...]

• Non so quanto le due “editor-in-gozzoviglia” citate nei ringraziamenti del romanzo, Valentina Paggi & Serena Daniele, abbiano contribuito. Magari è tutta farina del sacco di Dimitri che si è rifiutato di accettare saggi consigli, o forse le due editor non sanno fare il loro mestiere. Non mi interessa, non sono un giudice, non devo stabilire le “colpe”. Analizzo solo il testo e ne metto in luce i difetti, delle persone che ci stanno dietro non mi può fregare di meno.

Argomenta con questo.

#7 Comment By Adriano On 27 ottobre 2011 @ 03:19

Grazie per la recensione! Avevo una mezza idea di regalarmi per Halloween entrambi i romanzi di Dimitri che vengono citati in questo blog, ma credo che opterò per altri autori.
A proposito, dove diavolo ha il seno una ragazzina che ha solo otto anni ed è pure magrissima? Al massimo si intravederà un capezzolo. A dire il vero non sono nemmeno sicuro che la suddetta ragazzina possa essere distinta da un maschio, se non viene vista nuda.

#8 Comment By Tapiroulant On 27 ottobre 2011 @ 08:57

Ricordo che, pur essendomi fatto prestare il libro da Siobhan, ci misi forse un mese e mezzo a leggerlo perché per i primi quaranta giorni o giù di lì non riuscii mai a superare la noia e il fastidio della scena proposta da Gamberetta e delle pagine immediatamente precedenti (sì, quelle che fanno più o meno: “C’è una storia, la racconto o non la racconto? Aspetta, raccontiamo prima la storia prima, poi la storia dopo, poi la storia nella storia sotto l’altra storia a cui si collegano le altre storie, oh, sì, sono proprio uno storyteller, amatemi…!”).
Che poi, l’intera storia principale è raccontata (gestione del pov permettendo) dal punto di vista di Alice. Cosa ci voleva a utilizzare quel punto di vista anche nella scena del prologo?

Comunque sono contentissimo che alla fine tu sia riuscita a pubblicare questo articolo ^_^

E ne approfitto per ringraziarti su Mellick (visto che l’hai citato). Dai tempi del post su Starfish Girl, ho letto The Haunted Vagina, War Slut, The Morbidly Obese Ninja, The Baby Jesus Butt Plug e sto leggendo proprio adesso Satan Burger.
The Baby Jesus Butt Plug è stupendo (ma non direi che “non è molto blasfemo” ^-^), e anche gli altri non sono male. Mi sono pure scaricato Dr. Identity di Harlan Wilson e nei prossimi giorni vedrò di tentare altri autori ancora di Bizarro.
Se non fosse stato per te e per il Duca, probabilmente avrei scoperto Mellick tra dieci anni o anche più, quindi yay ^-^
Adolf in Wonderland mi incuriosiva parecchio, purtroppo su library.nu non c’è e questo rende tutto un po’ più faticoso.

#9 Comment By Dan On 27 ottobre 2011 @ 09:33

a keane che vorrebbe pure leggere ‘libri giusti’: G. io credo che pizzica lo sfortunato di turno; avendo tempo, penso la lista aumenterebbe.
Se invece lo chiedi a me, che non apro blog ma cervelli d’autore, di editor e editori in un nanosecondo, ti posso tranquillamente dire che semplicemente non esistono libri.
Il libro è un merchandising bell’e buono che porta via un bel po’ di soldi per aria fritta… L’aria fritta è buona solo di tanto in tanto.
Ma suggerireri altro: G., se ti spostassi nel tempo, ti renderesti conto della mole (gigantesca mole) di libri totalmente inutili e superflui, valanga mostruosa… Che senso ha, dico io, mirarne uno ogni tanto e sparare…? E solo e sempre quelli del proprio tempo? Diciamo invece che la storia s’è sempre comportata così: su mille anni, tre autori si ricordano…
Lasciate i soldi a chi li vuol fare, mettetevi a ragionare su ciò che vi piace di più: più recensioni positive, meno negative. Altrimenti sarebbe una carneficina dalla quale si salverebbero solo due fortunati, guardando ad oggi: alcune cose di De Luca e Moresco.
In tutta onestà, io non compro nulla perché nulla è meritevole d’acquisto. Ma se la dovessi ragionare così (mi faccio prendere a pizze le orecchie e il portafogli, poi urlo la mia indignazione), penso che sarei anche peggio.
La cosa potrebbe avere un senso se esistesse in tutto il mercato una ‘cattedra giusta e equa’ del gusto comune, ma non esiste; fra l’altro il mercato fagocita autori e titoli con la voracità d’un leone, molto più interessata ai titoli che agli autori (molte volte stuzzichini da spolpare e buttare). Perché, a codesto punto, non pigliarsela direttamente con loro…? Perché non dire direttamente che non esiste -né potrebbe, in un clima del genere- una rivista come le Weird Tales anni ’30?
E figurati che sei in un genere che rinnegherai da lì a poco: se andassimo verso la narrativa in quanto tale…? Ditemi qual è ‘sto titolo imperdibile che me lo magno…
Sarebbe molto più interessante studiare il fenomeno dall’alto, l’autore valletta, l’autore comparsata tv, piuttosto che gettarsi con sguardo miope libro per libro e dire: toh! Ho visto dell’ignoranza! Bimba, ne sei circondata…
E poi davvero non credo che un libro lo si debba leggere fino in fondo per sapere se è bello: come a dire che se t’hanno messo arsenico in un’aranciata, te ne accorgi solo all’ultimo sorso. Io me ne accorgo anche solo dall’odore e dall’aspetto… Dico ciò, non per difendere gli editori (secondo me gl’autori non centrano nulla: sono la voce che questi preferiscono, tutto qui), ma per dire che sono tutti figli della stessa imperdibile ignoranza. Voi sareste disposti ad aprire un casa editrice e a pubblicare, che so… un libro ogni sei anni…?
Facciamo pure dieci? La verità è che non c’è qualità, che i cervelli degli autori sono stati irrimediabilmente danneggiati dal linguaggio televisivo e cinematografico. Uno studio del genere (e quante cose ci sarebbero da dire), sarebbe molto più interessante. Trovo indubbiamente un’utilità di fondo, in questo esercizio, ma se la pratica, in pratica, dev’essere: vediamo quanto non si può leggere nulla, allora aumentiamo un po’ il livello di difficoltà: tre recensioni in una, quattro, fiutare stupidità al solo incipit… Ci dev’essere per forza un’attenta lastra, co’ tutta sta cancrena visibile ad occhio nudo…? Ci dev’essere per forza una vittima? E assodato che il mercato è nullo, che si fa? Ci si prende per mano e si fa un bel girotondo alla Moretti…?

#10 Comment By Ettore On 27 ottobre 2011 @ 10:09

Cavolo, la recensione è così ben fatta che mi fai venire voglia di leggere ‘sto libro per trovare tutte le magagne. Se non costasse 17 euro e non consumasse tempo. Ma grazie di aver speso il tuo per noi.

#11 Comment By Emiliano On 27 ottobre 2011 @ 10:28

@Dan, ti ha morso una tarantola? :-)
Criticare e stroncare non è solo un fatto di numeri (“ci sono – e ci sono sempre stati – migliaia di libri brutti, a che vale parlare di uno solo?”). È utile e divertente di per sè. È un esempio, in negativo, da cui partire per parlare e per imparare.
Se no, scusa, ogni volta che uno racconta una storia dovresti rammaricarti per tutte le storie non raccontate? ogni volta che uno ammira un quadro dovresti dispiacerti per tutte le altre opere d’arte non ammirate?

#12 Comment By MarcoP On 27 ottobre 2011 @ 11:21

@Dan:

ti cito testualmente:
“La verità è che non c’è qualità, che i cervelli degli autori sono stati irrimediabilmente danneggiati dal linguaggio televisivo e cinematografico.”

Mi permetto di contraddirti. Sono BALLE. Gli autori con idee originali e con una buona padronanza di stile ci sono, eccome! Il problema semmai è un altro: le idee originali in Italia non VENDONO quanto le idee rigurgitate e inculcate nella massa (leggi: vampiri liceali gnoccoloni, fighettine ultime eredi di chissà-quale-stirpe che salvano il mondo dal signore oscuro del male, ecc…) ergo gli autori con idee originali nel 99,9% dei casi non pubblicano, o pubblicano con editori piccoli, che offrono una copertura pressoché nulla del territorio. E se anche pubblicano i loro libri restano sugli scaffali, non perché non originali, ma perché “questo non l’ho mai sentito, meglio andare sul sicuro e prendere quell’altro libro di cui ho letto un gran bene su internet!”

Non prendiamocela con la carenza di autori validi, prendiamocela con chi non permette a questi autori validi di far sentire la propria voce!

(cambierà qualcosa con gli e-book, quando questi avranno un prezzo tale da spingere il lettore medio a “rischiare” un titolo sconosciuto piuttosto che uno famoso?)

#13 Comment By Dan On 27 ottobre 2011 @ 11:38

Sì sì…
Confermo tutto, ma era fra le righe (leggiamo pure fra le righe, no? Sai che sermoni, sennò…). Verissimo. Infatti io leggo su internet.
Avete mai dato un’occhiata a i racconti di versailles…? Andatelo a leggere, poi ditemi perché una signora di 50 suonati non debba trovare il suo spazio con una cosa del genere… Devo io far da pacere fra lei e un cervello editoriale…? Confermo tutto quello che hai detto, ma io mi rivolgo al mercatinomercatucciosoldisoldi.

#14 Comment By Eosforo On 27 ottobre 2011 @ 12:11

Stavolta questa recensione mi è piaciuta: il più possibile neutra e oggettiva. Mi è piaciuta molto la scena analizzata, molto utile per chi legge e vuole imparare e, chissà, magari anche per l’autore. Infondo Dimitri ha dimostrato di non essere uno sprovveduto già con Pan, che reputo davvero un buon romanzo.
In verità pare che Alice nel Paese della Vaporità l’abbia scritto molto prima di Pan, poi lo ha ripreso in mano solo per editarlo un po’. Evidentemente non abbastanza.
Però, conoscendo Dimitri e sapendo di cosa è capace, questo scivolone glielo perdono. Spero che col prossimo romanzo si risollevi e mostri le sue capacità.

Per quanto riguarda il discorso editoria, concordo sia con Dan che con MarcoP. Ha ragione Dan a dire che i media (ma anche la cultura sociale dominante in Italia) hanno fatto danni gravissimi e ha pure ragione nel dire che da si cerca il guadagno nell’editoria e non certo la qualità.
Ma concordo anche con MarcoP quando dice qualche autore bravo ancora c’è, pur essendo una rarità incredibile. Sul discorso per cui le novità non vendono, invece, non concordo più di tanto. Il problema è che gli editori hanno paura di rischiare. Se ne discuteva tempo fa con Lara Manni: gli editori italiani, specie in campo fantasy, cercano di cavalcare le mode e nulla più. Il che va bene nel breve periodo e basta, perché appena la moda finisce siamo punto e a capo. Invece sarebbe bello che per una volta l’Italia non sia la pecora, ma il pastore. Sarebbe una strategia a lungo termine, che porterebbe anche profitti qualitativi. Se qualcuno fosse disposto a rischiare, ovvio.
Comunque, concordo anche sugli ebook. Certo, in Italia c’è chi si vanta di metterli in vendita a 11 euro, quando all’estero sono a 2/3 -.-”

#15 Comment By Marco T. On 27 ottobre 2011 @ 13:42

Le note sono utilissime, grazie!

Avrei una cosa da chiederti: di Carlton Mellick III volevo leggere “Zombies and shit”, perché mi sembrava una cosa divertente, sai dirmi qualcosa a riguardo? :)

#16 Comment By MakKo On 27 ottobre 2011 @ 13:44

Grazie Gamberetta! Ottimo articolo che conferma quanto già sapevo: Dimitri è un pessimo scrittore.

Ho letto Pan (molto) recentemente e l’ho trovato semplicemente odioso. Non mi dilungo, al massimo commenterò nell’articolo apposito (che non ho ancora letto proprio per non essere influenzato nella lettura) del “capolavoro” di Dimitri, ma a me quel libro a fatto davvero cagare.

Grazie anche per avermi evitato di “provare a leggere un secondo libro di questo promettente autore. Non si sa mai… magari migliora”.
Tutto tempo risparmiato e moti di fastidio (incalcolabili numericamente in Pan) evitati.

#17 Comment By DagoRed On 27 ottobre 2011 @ 13:59

Bella recensione ^^

Gamberetta, volevo chiedere se hai già letto o intendi leggere il pluripubblicizzato ed anticipatamente glorificato 1Q84 di Murakami.

@Tapiro: i tomi che hai segnalato te li sei sorbiti tutti in lingua angla, o si possono recuperare nell’idioma di Dante?

#18 Comment By Tapiroulant On 27 ottobre 2011 @ 16:39

@Tapiro: i tomi che hai segnalato te li sei sorbiti tutti in lingua angla, o si possono recuperare nell’idioma di Dante?

Come diceva Gamberetta nell’articolo sulla Bizarro, l’unica opera tradotta in italiano è quel libro di Mykle Hansen che non è nemmeno molto bizarro. Quindi, tutti in lingua angla. Ma l’inglese di Mellick è piuttosto facile.

#19 Comment By dr Jack On 27 ottobre 2011 @ 16:39

Non ho niente da dire sulle recensioni brutali, anche a me piacciono.
All’inizio era anche bello perché ci si scontrava con l’altra parte della barricata (ve li ricordate gli editor e gli editori infiammati?). Ma ormai… si sono arresi.

Riguardo ai suggerimenti costruttivi.
Repetita juvant? Ok.
Ma potremmo chiedere se per favore ci analizza anche errori, diciamo più avanzati? Rispetto ai soliti…

“Assolutamente” è un avverbio superfluo e cliché: proibiti da cinque diversi Pronunciamenti è già proibito abbastanza.

C’è ancora qualcuno che non sa queste cose?

Voglio rivolgermi agli utenti più che a lei.
Davvero vogliamo rileggere un’altra recensione di autori italiani con i soliti errori di stile?

(Mi rivolgo anche agli autori italiani. Ma diavolo, come fate a non imparare mai? Quale formula segreta seguite?)

Possibili repliche:
Ma io ho bisogno di Gamberetta per sapere cosa leggere cosa non leggere!
Anch’io. E apprezzo i suoi consigli su cosa leggere (ho letto la morte nell’erba e mi è piaciuto un casino).
Riguardo a cosa non leggere. Possiamo riassumere così: “evitare a tutti i costi gli autori fantasy italiani fino a nuovo ordine“.
Semplice no?

Per essere concreto e per dimostrare che ho le idee chiare, io apprezzerei, in ordine di preferenza:
- Altri manuali.
- Recensioni positive su cosa leggere.
- Notizie o studi sulle fatine.
- Recensioni su “cosa si poteva fare di meglio” -> cioè suggerimenti di Gamberetta su come migliorare storie già belle.
- Il seguito di Assault Faeries o altre storie made by Gamberetta.
- Novità sul mondo dell’editoria e tutto quello che gli gira intorno.
- Storie della vita privata di Gamberetta! (scherzo. sono cavoli suoi. non osate citare questa!)

No flame war plz.

#20 Comment By LupusInFabula On 27 ottobre 2011 @ 16:43

purtroppo il libro l’ho letto tempo fa, quindi non mi resta che quotare in pieno la recensione, e aggiungere un’altra delle svariate minkiate contenute nel romando:

Mostra spoiler ▼

#21 Comment By Mauro On 27 ottobre 2011 @ 17:40

Gamberetta:

“una” è generico, perciò è un (piccolo) errore. Tu non alzi gli occhi verso “una” Gabbia, tu alzi gli occhi verso la Gabbia che ti sta di fronte, o verso la Gabbia nell’angolo, o verso la Gabbia appesa al soffitto, o verso la Gabbia con le decorazioni natalizie. Sempre verso una specifica Gabbia, non una generica Gabbia

Se il personaggio guarda verso una gabbia a caso, nel senso che non ne sceglie una specifica perché quella gl’interessa, l’indeterminativo non potrebbe essere giusto? “Guardò la gabbia nell’angolo” può dare l’impressione che per qualche motivo abbia scelto proprio quella, mentre (nella mia ipotesi) una vale l’altra.

Tapiroulant: di The Baby Jesus Butt Plug hai l’eBook?

#22 Comment By Tapiroulant On 27 ottobre 2011 @ 17:55

di The Baby Jesus Butt Plug hai l’eBook?

Su library.nu non lo trovi “sfuso”, ma il racconto (è lungo una 40ina di pagine) è contenuto nel Bizarro Starter Kit Orange.
L’ho tirato fuori da lì e ci ho fatto un bell’ePub solo per lui ^-^

#23 Comment By Novek On 27 ottobre 2011 @ 17:55

Bella recensione!

Devo ancora recuperare Pan, ed essendo ancora interessato spero sia vero che Alice è stato scritto prima.

Una sola obiezione: per l’IP potrebbe dipendere dal programma utilizzato. Se non si utilizza la pagina web di gmail e si accede alla propria posta da un client, come per esempio Thunderbird, anche l’IP del mittente può essere visibile nell’intestazione.

#24 Comment By Franek Miller On 27 ottobre 2011 @ 18:11

Pan non è un capolavoro ma l’ho trovato divertente, quindi ero tentato da questo Alice -considerato che son grande fan del videogioco American McGee’s- quindi dopo aver letto questo articolo posso proclamare scampato pericolo. Fiu.

Quanto a

MakKO
ma a me quel libro a fatto davvero cagare.

prima di definire Dimitri un pessimo scrittore per definizione -ha scritto un brutto romanzo e mi fido sulla parola, non l’ho letto- parti dalle aste: migliora la grammatica elementare e ne riparliamo.
Che Pan abbia i suoi difetti non ci piove -secondo me ha dei buchi logici irritanti- ma questo non lo rende un pessimo romanzo. Allo stesso modo ritengo che Alice non renda Dimitri un pessimo scrittore.
Spero che l’eccezione sia Alice e non Pan: se usciranno altri romanzi si potrà definire uno standard qualitativo.

#25 Comment By Edy On 27 ottobre 2011 @ 18:27

Sono d’accordo con Dr Jack.
A me piacerebbero

- Altri manuali.
– Recensioni positive su cosa leggere.
– Novità sul mondo dell’editoria e tutto quello che gli gira intorno.

E ormai anche io seguo il motto :”Evita il fantasy italiano e vivi bene!”

Edy

#26 Comment By arnica On 27 ottobre 2011 @ 19:19

di Dimitri avevo letto un estratto di non so che storia a puntate (credo O-o)con come protagonisti i tizi di una famiglia strana,e non era MALISSIMO…ma mi ricordo che trovai più di qualche punto irritante(del tipo “mio dio,questo era inutile/questo era narrato in maniera fastidiosa). sarei curiosa di leggere il resto della storia,ma non ricordo manco il titolo,figurarsi ç_ç

#27 Comment By Chris On 27 ottobre 2011 @ 20:18

Posso fare una domanda senza che mi si salti contro?

Dopo alcuni mesi (che non son niente, me ne rendo conto) trascorsi a studiare tecniche narrative, ho imparato a riconoscere gli errori nei romanzi. Gran parte degli errori che segnala Gamberetta del passo citato li avevo già notati da solo. Solite cose, sempre nell’ambito del raccontato.

Eppure alcune intrusioni non mi sono dispiaciute, e quel “Tutto ha importanza, ma niente ne ha troppa. Arriviamo a tempi più recenti. All’inizio dell’ultima parte, quella cruciale. Quella che ci porta a ora e tutto il resto” che devo dire, mi è piaciuto. Il resto no, neanche un po’, ma questo mi è piaciuto.

Lo so: se la scena è inutile toglila, l’intrusione del narratore non aiuta l’immedesimazione, ecc…

Eppure mi è piaciuta. Mi ha fatto sorridere, come a pensare “che bello, comincia la storia”.

Mi dà un effetto fiaba molto divertente.

Certo, è vero che non c’entra nulla qui l’effetto fiaba per bambini, visto che c’è una ragazzina di 8 anni che viene stuprata, però, se uno scrittore usa il raccontato con questo intento, è sbagliato?

Per le (misere) conoscenze che ho di tecnica narrativa rispondo di sì. Per il mio piacere di lettore dico di no.

Sono confuso, sopratutto perché mi trovo di fronte un dubbio atroce: se un giorno vengo pubblicato (potrò sperarci ancora no?) e malgrado abbia seguito tutti i concetti di Show don’t Tell, ho deciso di usare quel raccontato volutamente per ottenere quell’effetto fiaba che volevo, ho commesso un errore?

Sono su queste cose che mi blocco senza capire. Quando si infrange una regola narrativa come si fa a capire che lo scrittore l’ha infranta con un senso e non per ignoranza?

Diamine. Diamine. Diamine.

In teoria conta solo l’effetto che riceve il lettore, giusto? Tutte le tecniche narrative sono volte unicamente all’immedesimazione del lettore, al far sì che tragga maggior piacere dalla storia.
Ma se lo scrittore volesse tentare, coscientemente, di infrangere le regole per fargli trarre maggior piacere?

#28 Comment By arnica On 27 ottobre 2011 @ 21:08

mhhhm.. beh,quell’errore a me non è piaciuto per niente.
è una cosa soggettiva,non puoi sperare di usarlo perchè “chissà magari al lettore potrà piacere ed è questo che conta”;)

#29 Comment By Giovanni On 27 ottobre 2011 @ 21:21

Innanzitutto mi sento di voler ringraziare calorosamente Gamberetta. Da mesi ogni tanto facevo una capatina sul suo blog nella speranza di trovare qualcuna delle sue recensioni. Troppo spesso me ne andavo deluso.
Trovo che le recensioni di Gamberetta siano acute, pregne di un ironia spesso dissacrante, e sempre (ma proprio sempre, nè, come dice Dimitri) istruttive.
per questo mi sento di ribadire il concetto iniziale: Grazie Gamberetta! Non farti prendere dallo sconforto nel vedere tanta porcheria in giro. Il tuo apporto alla salvaguardia dei neuroni di tanta gente è davvero importante.

P.S. dici che non leggerai ne recensirai più libri scritti da italiani. Mi sento però di consigliarti di dare una letta a “L’Isola dei liombruni” di Giovanni de Feo. Romanzo che ho trovato davvero interessante a partire dallo stile senz’altro “sporco”.

#30 Comment By Chris On 27 ottobre 2011 @ 22:39

@Arnica: vero, ma cosa, in effetti, mi vieta di provarci? Voglio dire, se io scrivessi un libro aggiungendo elementi di raccontato per farla sembrare una fiaba (e scrivendo un buon raccontato, perché anche lì c’è modo e modo di scriverlo), sarebbe possibile considerarlo errore?

Ad esempio

“Sappiate, cari lettori, che questa è la storia di una bimba di nome Lucy, che aveva paura di diventare grande. Tutto cominciò il giorno in cui Lucy si avvicinò alla torta del suo ottavo compleanno pronta a spegnere le candeline.”

E da qui in poi cominciare con il mostrare. Solo mostrare, specifico. E aggiungere al massimo una chiusura finale raccontata.

Una cosa simile potrebbe essere un errore? Mettere due elementi di raccontato con una logica dietro.

Potrei mostrare il volto di Lucy rattristarsi all’idea di diventare grande, potrei mostrarla che parla con la mamma della cosa (e sicuramente lo si farà in seguito, visto che si passa al mostrato), ma quell’introduzione ha qualcosa che non so spiegare. Ha un tocco in più. è come se preparasse al resto.

Immagino che dipenda da caso e caso, però. Se scrivo un racconto dove avvengono stupri, violenze e quant’altro, e il pubblico non è decisamente quello dei bambini, allora è evidentemente una sciocchezza.

Non so… è un’idea strana, in netta contrapposizione con le tecniche narrative, eppure mi affascina.

#31 Comment By Emiliano On 27 ottobre 2011 @ 22:56

@Chris: Non c’è niente di male nella tua idea di “raccontato fiabesco”, anzi! Tutto sta nel saperla realizzare, e il saperla realizzare passa anche attraverso il conoscere le “regole” che vuoi eventualmente violare. Le regole – come non si stanca di ricordare Gamberetta – non sono norme arbitrarie, “regole del gioco” fissate da qualcuno per il gusto sadico di rendere difficile la vita ai principianti: sono invece fatti empirici della vita di cui ci si è accorti via via (millenni fa, in realtà). È un po come dire che se parlo con la bocca piena non mi capiscono e magari sputacchio addosso al mio interlocutore, non è (solo) un fatto di astratta “buona educazione”.
Ciò detto, una regola può benissimo essere infranta, purché si sappia molto bene quello che fa. Visto che il fine ultimo qui è coinvolgere, appassionare, divertire il lettore, devi “raccontare” in un modo che sia almeno altrettanto coinvolgente quanto il “mostrare”. O magari è semplicemente un “mostrare” diverso: quello che dici tu della fiaba mi fa pensare che forse più che raccontare, tu stia mostrando – persino senza dirlo esplicitamente – un vecchio nonno che si mette comodo, accende la pipa e comincia a raccontare. Può essere?

#32 Comment By Giacomo On 27 ottobre 2011 @ 23:06

Oh! Grazie! è proprio questo quello di cui stavo parlando. è come dare un’atmosfera diversa, semplicemente introducendo con un raccontato, al romanzo intero.
Se poi alla fine chiudo il romanzo con lo stesso tipo di raccontato, il lettore, che ha fino ad allora letto solo del mostrato, si ricorderà del raccontato iniziale e avrà, per questo, un impatto emotivo diverso col finale.

Grazie per aver trovato il modo di spiegare quel che volevo dire :D

#33 Comment By Merphit Kydillis On 27 ottobre 2011 @ 23:08

Ehm ehm: Gamberetta, non avevi detto che non recensivi più fantasy italiano? Ora, per punizione, dovrai recensione anche Unika e la Fiamma della Vita: in confronto, Licia Troisi ti sembrerà un Nobel per la letteratura :D

Dopo il momento OT, parliamo del tuo articolo.
Dunque, non so perché ma, leggendo questa recensione, mi è venuta in mente una vecchia storia a puntate su Topolino: c’era una Londra-Paperopoli vittoriana, con delle macchine che funzionavano a vapore e c’era sempre nebbia e vapore… mah, sarà un caso…

In ogni Gabbia si affrontavano due Cavalieri. Usavano armi corte: pugnali, nunchaku, tirapugni. Planavano in ogni angolo, a ogni altezza, sorretti dai flussi di Vaporità: parevano scoiattoli volanti. Si picchiavano, si insultavano, si spostavano in alto e in basso, mentre gli scommettitori urlavano. Una corte di straccioni cui non era rimasto nient’altro che la voce, e un po’ di rabbia.

Il pugnale non ci vuole molto ad usarlo, ma già se usi il tirapugni vuol dire che devi addentrarti in mischia, colpendo l’avversario con diretti e ganci. Questo vuol dire che devi per forza colpirlo alla testa o, al massimo, allo stomaco. Se è scoperto e non ha protezioni.
Per il nunchaku: per un pò ho seguito un corso di ju jitsu (cintura gialla, oltre non sono andato e oramai mi son scordato le mose). Il nunchaku l’ho visto usare 2-3 volte.
Ora, se in una Londra futuristica mi salta fuori un’arma orientale, sarebbe bello leggere come il Cavaliere riesce a maneggiare quest’arma. Invece no: correggimi se mi sbaglio Gamberetta, ma mi pare un PNG di D&D che usa il nunchaku come arma secondaria, con penalità -2 al tiro per colpire .-.
Ah, dimenticavo gli scoiattoli volanti: piccoli ed orridi roditori carnivori. Hanno degli occhi pucciosi, ma alla prima occasione ti balzeranno addosso e affonderanno i loro dentini sul tuo viso per cavarti gli occhi. Proprio perfidi e crudeli…

Se quella sera fosse finita lì, la nostra storia (e molte altre) non esisterebbero neppure. Ma accadde qualcosa. Guidato dal fato, o dal puro caso, Solomon Stoltze volse lo sguardo alla terza Gabbia, in fondo alla sala, proprio nel momento in cui un combattimento stava per i finire.

Grandioso. Grazie Dimitri: con questo pezzo hai fatto uscire fuori dal romanzo il lettore, ricordandogli che sta leggendo un libro anziché addentrandosi in una storia. Poi, sarà perché per me pare strano: ma questo tipo di commento non era più adatto per racconti per bambini (Tolkien si esprimeva in questo modo per Lo Hobbit)?

Domanda: ma in questa storia chi sono i cattivi? A parte gli scoiattoli volanti, intendo?

#34 Comment By GSeck On 28 ottobre 2011 @ 03:27

@Gamberetta
In un mio commento all’altro articolo dove parlavi di Alice avevo già accennato a quanto mi suona strana la parola “ragazzina” se utilizzata per indicare una bambina di otto anni. La pubertà per le ragazze dovrebbe iniziare attorno ai dodici anni, quindi non credo che la parola “ragazzina” si possa usare su chi non ha almeno dieci anni.
Mi lascia ancora più perlesso l’idea che guizzi un suo “scorcio di seno”. Possibile che una bambina magrissima di appena otto anni abbia già un seno? Per “seno” si intende il solco che separa un corpo in due: per applicarlo al petto femminile dovrebbe esserci già uno certo sviluppo.
Poi Solomon, parlando con il managar, la chiama addirittura “ragazza”, anche se è proprio lui ad attribuirle un’età così bassa.
È possibile che sia voluto: non ho letto Alice e quindi non so quanto Dimitri si riferisca all libro di Carroll, ma è risaputo come quest’autore “amasse” le bambine (non si sa esattamente in che modo e fino a che punto abbia applicato le sue idee), quindi Dimitri potrebbe aver vouto fare riferimento al probabile sguardo con cui Carrroll osservava le malcapitate bambine.

#35 Comment By Mauro On 28 ottobre 2011 @ 08:22

Qualcuno ha letto The Girl Who Circumnavigated Fairyland In a Ship of Her Own Making? C’è parecchio raccontato del tipo “che fa fiaba”, con tanto di narratore che si rivolge direttamente al lettore; però ai tempi non mi era dispiaciuto (e l’impressione è che sia un effetto voluto, non semplice incapacità; ma non ho letto altri libri dell’autrice – a parte The Girl Who Ruled Fairyland — For a Little While, che però condivide ambientazione e parte dei personaggi – quindi resta un’impressione confinata a quello).
Qui ci sono i primi otto capitoli (non so se il testo finale sia stato rivisto); se hai voglia di darci un’occhiata, Gamberetta, sarei curioso di avere un parere.

GSeck:

Per “seno” si intende il solco che separa un corpo in due: per applicarlo al petto femminile dovrebbe esserci già uno certo sviluppo

E per estensione il petto in sé e la coppia di mammelle (che fa tanto Quark, ma o quello o “tette”, al momento non mi viene altro modo per indicare la singola…), vero; però per influenza del Francese è passato a indicare anche la singola, quindi lì potrebbe riferirsi a quello. Non ancora cresciuta, ma comunque presente (e del resto esistono seni piatti). Francesismo, certo, ma ormai sdoganato.

#36 Comment By MakKo On 28 ottobre 2011 @ 08:34

@ Franek Miller

Pan non è un capolavoro ma l’ho trovato divertente, quindi ero tentato da questo Alice -considerato che son grande fan del videogioco American McGee’s- quindi dopo aver letto questo articolo posso proclamare scampato pericolo. Fiu.

Quanto a

MakKO
ma a me quel libro a fatto davvero cagare.

prima di definire Dimitri un pessimo scrittore per definizione -ha scritto un brutto romanzo e mi fido sulla parola, non l’ho letto- parti dalle aste: migliora la grammatica elementare e ne riparliamo.
Che Pan abbia i suoi difetti non ci piove -secondo me ha dei buchi logici irritanti- ma questo non lo rende un pessimo romanzo. Allo stesso modo ritengo che Alice non renda Dimitri un pessimo scrittore.
Spero che l’eccezione sia Alice e non Pan: se usciranno altri romanzi si potrà definire uno standard qualitativo.

A me Pan HA fatto cagare.

Contento adesso?
Inoltre “poi ne parliamo” UN CAZZO, mio caro signor NESSUNO. Al massimo ne parlo con la proprietaria del blog, non certo con il primo che passa.

E sottolineo: PAN (a me) FA CAGARE, sia per come è scritto sia per contenuti.
Se Alice, come sembra da quanto riportato in questo articolo da G., è scritto allo stesso modo, è da evitare come la peste.
Poi (detto e ridetto cento volte in questo blog, ma agli stolti occorre sempre ripeterlo) i gusti sono gusti.

#37 Comment By Federico Russo “Taotor” On 28 ottobre 2011 @ 09:33

@Dago

Gamberetta, volevo chiedere se hai già letto o intendi leggere il pluripubblicizzato ed anticipatamente glorificato 1Q84 di Murakami.

Madonnasantaoddio, spero proprio di no. Ho letto Kafka sulla spiaggia, e mi è bastato per escludere i romanzi di Murakami dalla lista di possibili romanzi da leggere. Ironia della sorte, il più asettico e disfunzionale SdT della storia.

@Gamberetta

Il “sentì” è pleonastico: il punto di vista adesso è ben saldo con il professore, se ci sono delle voci è perché lui le sente. (…)
“Vide”: stesso discorso del sentì poco sopra.

Questo mi perplime. Personalmente, mi pare che i verbi in questione siano prima di tutto basilari (e non metaforici o altri artifici), in secondo luogo essenziali per la struttura dell’azione:

Mentre avanzava sentì delle voci che si andavano facendo più nitide.

Senza dubbio puoi riscrivere qualsiasi frase in maniera sempre più oggettiva, ma in questo caso la scena prevede due azioni simultanee introdotte dal “Mentre”. Togliendo “sentì” si può solo scrivere qualcosa come:
“Mentre avanzava gli arrivò il suono divoci che si andavano facendo più nitide.”
E in questo caso si sostituisce un verbo per sprecare altre 5 parole, diciamo pure cadendo in una piccola perifrasi. Ne vale la pena? O intendevi una correzione diversa?
Nel caso del “Vide il corpo di una ragazzina” ecc., invece, ci sta. Ma, tutto sommato, non mi sembra un grave errore, anzi. Ritengo sia anche discutibile l’estremizzazione del POV, ché in certi casi un annullamento totale del tell per un’esaltazione apoteotica dello show che dà per scontato il POV in uso può, paradossalmente, far sembrare il mostrato come un raccontato infodumposo. (Mi scuso per la prolissità, spero di aver detto qualcosa di comprensibile) Un po’ come fare meno per meno e avere più invece di uno sperato meno^2.

In ultimo:

Come ha preso la laurea Alice? Per corrispondenza all’Università dell’Uganda?

A me la Makerere University mi sembra un buon ateneo… xD

#38 Comment By Angra On 28 ottobre 2011 @ 11:27

@Taotor:

Mentre avanzava sentì delle voci che si andavano facendo più nitide.

diventa

Mentre avanzava le voci si facevano più nitide.

^___^

#39 Comment By Federico Russo “Taotor” On 28 ottobre 2011 @ 12:07

Angra, ma “le” implicherebbe che le voci siano già state presentate poco prima. Cioè, “delle” (partitivi che, secondo la grammatica, è preferibile omettere) significa che è la prima volta che si incontrano, e sono di conseguenza elementi “nuovi” e sconosciuti nella narrazione. “Le” implica che si siano già viste e che quindi siano familiari, di conseguenza il lettore sa già a cosa ci si sta riferendo.

#40 Comment By Tapiroulant On 28 ottobre 2011 @ 12:38

@Mauro:

Di Catherynne Valente mi ispira di più Palimpsest.
Tra l’altro, sembra il genere di storia che potrebbe piacere a Gamberetta:

“Palimpsest is an urban fantasy about a city that lives on human skin, a viral city whose citizens consist of those who bear parts of the city on their flesh, and visit it in their dreams. The story follows four such people as they search for others like themselves and a way to enter the city permanently”.

E poi devo dire che il nome dell’autrice è qualcosa di delizioso ^-^

#41 Comment By Drielle On 28 ottobre 2011 @ 13:36

Se Solomon ha visto cose peggiori (ma davvero peggiori) tipo violenze, omicidi, stupri di gruppo e tanto (davvero tanto) altro come mai vedere una ragazzina che combatte lo sconvolge al punto da non riuscire a rimanere calmo? voglio dire una donna che viene stuprata da un gruppo di bulli è solo brutto ma non gli fa venire alcun impulso di aiutare e però la ragazzina che uccide l’energumeno invece lo spinge a uccidere e a salvarla?qualcuno mi spiega come mai? Grazie

#42 Comment By MarcoP On 28 ottobre 2011 @ 14:00

@Edy, Dr. Jack e tutti gli altri che sostengono che al giorno d’oggi sia meglio evitare il Fantasy italiano… Sicuri che sia la strada migliore?
Rubo qualche riga per un rapido ragionamento:
Credo che potremmo essere quasi tutti d’accordo nel dividere due grandi categorie di lettori di Fantasy: chi si lascia guidare e “abbindolare” da copertine, recensioni, ecc… e finisce col leggere Troisi&co (e spesso è pure contento di farlo), e chi vorrebbe del Fantasy decoroso. Fin qui, tutto facile.
Ora, la prima categoria continua e continuerà (anche se per poco, dato che le vendite nei prossimi mesi continueranno a calare vistosamente, finché non verrà tirato fuori il prossimo fiolone “di moda” dopo le ragazzine mezzelfe e i vampiri sbaciucchioni) a comprare spazzatura e nutrirsene avidamente, quindi amen. Purtroppo è impensabile recuperarli tutti. E’ della seconda categoria che dovremmo preoccuparci, anche perché è in questa categoria che dovremmo o vorremmo rientrare noi. Se noi smettiamo di leggere Fantasy italiano, cosa succede? Nulla. Non cambia e non cambierà NULLA. La Troisi venderà e il tiziosconosciutoautorediunbuonromanzo continuerà a non vendere, e probabilmente a non pubblicare nemmeno. Secondo me noi, nel nostro piccolo, dovremmo invece leggere PIU’ Fantasy italiano. Ma non le robacce pubblicate dalle grandi case divora-settore. Spulciamo in libreria o su internet i nomi degli emergenti, andiamo a ripescare vecchie collane o vecchi romanzi, seguiamo i suggerimenti che riceviamo (spesso anche su questo forum…), facciamo PASSAPAROLA quando troviamo qualcosa di decoroso!!! (un esempio? Quanti di noi hanno comprato Fine del Mondo a Roncosambaccio di Zaffini dopo la segnalazione di Gamberetta? Pochi, troppo pochi!)
Non cambieremo il mondo editoriale, ma certamente se teniamo al Fantasy italiano smettere di leggerlo è una contraddizione in termini!!! Adoro le mele renette, il mio grande sogno è di diventare un grande coltivatore di mele renette… ma quelle del supermercato non hanno sapore, quindi non le mangio più! Giusto? Secondo me sbagliato, vado dal contadino (lo troverò un cavolo di contadino che produce buone mele renette) e mi servo da lui!!!
Questo poi potrebbe essere l’anno buono per l’esplosione degli e-book a prezzi umani (a Natale sono previste grosse vendite di e-reader), e anche gli e-book possono aiutare…
Autori decorosi in Italia li possiamo tirare fuori!!! E siamo noi lettori a doverli cercare, visto che l’editoria nel suo gigantesco divorare il genere cerca di propinarci solo le stesse robacce!
Se col passaparola o con le segnalazioni su forum come questo riuscissimo anche solo a scambiarci 3-4 BUONI libri italiani e far vendere agli autori in questione quelle 100-200 copie in più, sarebbe già un passo in avanti rispetto al “non leggiamo più fantasy italiano”.

#43 Comment By Chris On 28 ottobre 2011 @ 14:18

@Marco P: il libro di Luca Zaffini però non è un fantasy.

Voglio chiedere una cosa: c’è qualcuno che conosce uno scrittore fantasy italiano che scrive bene? Mi piacerebbe leggere qualcosa.

#44 Comment By Merphit Kydillis On 28 ottobre 2011 @ 14:30

@MarcoP: Per me, gli unici scrittori fantasy italiani che mi piacciono sono Licia Troisi (ho ancora la prima trilogia e, anche se Gamberetta ha giustamente evidenziato dei “buchi” sulla saga di Nihal, è meglio di certe porcherie dei giorni nostri come Unika e Alice) e Italo Calvino.

#45 Comment By Franek Miller On 28 ottobre 2011 @ 15:01

MakKo
A me Pan HA fatto cagare.

Contento adesso?
Inoltre “poi ne parliamo” UN CAZZO, mio caro signor NESSUNO. Al massimo ne parlo con la proprietaria del blog, non certo con il primo che passa.

Il signor Nessuno (Nessuno e basta per gli amici) ti ricorda che nel preciso istante in cui rendi pubblica un’opinione diventa possibile oggetto di discussione e dibattito, sempre che non sia OT. Per scambi d’idee privati credo sia disponibile la mail del blog. Quindi ho pieno diritto di controbattere quanto voglio su tutto quello che scrivi.

E sottolineo: PAN (a me) FA CAGARE, sia per come è scritto sia per contenuti.
Se Alice, come sembra da quanto riportato in questo articolo da G., è scritto allo stesso modo, è da evitare come la peste.
Poi (detto e ridetto cento volte in questo blog, ma agli stolti occorre sempre ripeterlo) i gusti sono gusti.

e ci mancherebbe ancora, i gusti son gusti. Pan è un libro che ha bisogno di esser letto in una certa ottica per piacere. Ma esprimere un’opinione personale (per me Pan fa schifo) è diverso dall’esprimere un giudizio che vuol essere soggettivo (ComeSiChiama è un pessimo autore). Che per carità, sei liberissimo di sostenere tutte le tesi che vuoi, ma io le controbatto come e quando mi gira. Ti ringrazio per la correzione, mi hai reso molto felice (>*-*)>

#46 Comment By dr Jack On 28 ottobre 2011 @ 15:02

@ MarcoP
Niente da dire sul tuo ragionamento, sono d’accordo.

Quando dico:
evitare a tutti i costi gli autori fantasy italiani fino a nuovo ordine
Non volevo essere assolutistico. Essenzialmente volevo solo dire che per ora di “recensioni negative tipiche” sono sazio e non mi aiutano a scegliere cosa leggere.

So magari di essere menoso, ma io “lettore semplice” non ho tempo di leggere tutto. Lascio ad altri “lettori cacciatori” questo onere, tanto so che le voci mi arriveranno.

Anche Gamberetta quando trova qualcosa di interessante ce lo dice.

Io ho infatti ho fatto richiesta di “recensioni positive”, addirittura al secondo posto.

#47 Comment By Dan On 28 ottobre 2011 @ 15:12

Mh… Troisi; per me di Troisi c’è solo Massimo. Su Calvino invece appoggio pienamente e mi complimento per averlo citato: perché in effetti a parer mio è l’unico vero autore italiano Fantasy (dove Fantasy sta per fantasia -era ora!- creatività, originalità, ecc.).
Davvero non capisco l’opinabilissima scelta della Mondadori di ‘mascherare’ con copertine prettamente ‘adulte’ e sofisticate dei libri che sono un vero spasso; primo fra tutti, ‘Il Cavaliere Inesistente’, che io considero l’unico vero libro Fantasy Italiano -una favola moderna, e sia adulta che bambina.
L’Humor ci potrebbe riportare a Brennan (nei LG) o a W. Goldman (La Principessa Sposa), ma è forse più raffinato e incalzante…
Cosa assai più interessante dal punto di vista tecnico, imparare a leggere -e per chi vuole a scrivere- ‘vero’ italiano, perché c’è poco da fare: un cervello inglese tradotto in italiano resta un cervello inglese tradotto in italiano.
Calvino ci mostra i pregi della nostra lingua, sbrodando eccessivamente sui difetti per render pregi anche questi -come le lungaggini impossibili a cui la nostra lingua (e tutte le romanze in generale) possono essere avvezze.
E poi, che dire…? Tutta la Combinatoria di Calvino è estremamente misteriosa e affascinante, provare per credere.
Non troverete purtroppo quelle copertine col drago ammazzato o in piena bronchite che mi muovevano all’acquisto quando avevo la metà di questi anni, e che pure mi facevano riflettere tanto-tanto su quanto la narrativa proprio non facesse per me -ho scoperto solo da adulto perché quella narrativa s’ostinasse tanto ad avercela con me, senza mai darmi la gioia d’allontanarmi troppo dalla pag.56, 62, 15…
In effetti, se proprio dobbiamo sparare a zero sugli inetti, sarebbe interessante ironizzare sulle soap opere dragon lance terry brandyboocks e compagnia affatto bella…

#48 Comment By Angra On 28 ottobre 2011 @ 15:13

@Taotor:

In generale hai ragione, ma qui sappiamo che Solomon sta seguendo il manager e la ragazzina dopo averli visti andare via insieme. Semmai qualche problema di collegamento può nascere dal fatto che la parte precedente è raccontata. Se fosse in presa diretta, il problema delle voci non si porrebbe proprio. Dimitri si complica anche la vita usando indifferentemente ragazza, ragazzina, donna. Non ho esperienza in fatto di gemiti sessuali di bambine di otto anni ^_^ ma sono quasi sicuro che siano chiaramente distinguibili da quelli di una donna.

Limitando i cambiamenti al minimo (in realtà andrebbe riscritto):

La ragazzina era qui lì da qualche parte: il suo manager l’aveva abbracciata, le aveva palpato il culo, e se l’era trascinata dietro.

Solomon avanzò fino in fondo all’atrio. C’era un’altra porta, con lo stesso cartello. Aprì anche quella e si trovò in un lungo corridoio buio. S’incamminò, la mano stretta sul calcio della rivoltella.

Mentre avanzava le voci si facevano più nitide. Erano più versi che voci vere e proprie. Gemiti. Quelli dell’uomo erano duri, quelli della ragazzina disperati. Solomon arrivò a una porta socchiusa.

#49 Comment By ??? On 28 ottobre 2011 @ 15:16

@Taotor / Angra:

Mentre avanzava le voci si facevano più nitide.

Angra, ma “le” implicherebbe che le voci siano già state presentate poco prima. Cioè, “delle” (partitivi che, secondo la grammatica, è preferibile omettere) significa che è la prima volta che si incontrano, e sono di conseguenza elementi “nuovi” e sconosciuti nella narrazione. “Le” implica che si siano già viste e che quindi siano familiari, di conseguenza il lettore sa già a cosa ci si sta riferendo.

Penso abbiate entrambe ragione. Seguendo la grammatica si dovrebbe mettere un articolo indeterminativo la prima volta che si nomina qualcosa, ma per essere più precisi nei dettagli (come per la gabbia di cui parlava Gamberetta) si mettono gli articoli determinativi.

Penso che questo sia un aspetto che deriva proprio dello scrivere applicando le regole il più possibile.

La cosa che mi preoccupa è che, giustamente, il lettore (a cui interessa il risultato, e non le regole di scrittura che fra l’altro ignora) potrebbe percepire la frase come un errore e interrompere la lettura e quindi l’immersione.

E’ un po’ quello che succede, quando non si ripete il nome del protagonista. Alcuni lettori percepiscono la frase come sbagliata.

E’ una cosa che mi preoccupa un bel po’. :-(

#50 Comment By Franek Miller On 28 ottobre 2011 @ 15:27

*giudizio che vuol essere oggettivo*
ops sbagliato

#51 Comment By MarcoP On 28 ottobre 2011 @ 15:38

@Dan: su Calvino perfettamente d’accordo. Per me resta IL punto di riferimento per la narrativa italiana.
Sono un po’ meno critico con le saghe che citi alla fine del messaggio: tra libri brutti e pompati, che però hanno comunque il valore di avvicinare tanti al genere, e libri orrendi, pompati e NON CRITICATI (peggio, idolatrati) trovo molteplici differenze! Insomma, pur non apprezzandolo, un giorno presterei a mio figlio/a un libro di Terry Brooks, magari anche tutto un ciclo, perché saprei che può essere un punto di partenza. Libri come Nihal invece sono un punto di non-ritorno. (o ti fai abbindolare, o abbandoni il genere, non ti spinge a provare fantasy diversi da quello stereotipo)

#52 Comment By Dan On 28 ottobre 2011 @ 15:40

Io sono dell’opinione che quando si scrive non ci si rivolge ad un vocabolario (e allora è giusto mettere tutta la forma e la formalità possibili), ma a delle menti… che sono molto allenate all’uso d’un linguaggio molto andante; ciò non sta a dire che bisogna assecondare sempre e comunque questa elasticità di fondo nel nostro parlare comune, però…
Mettiamola così: usare sempre e solo il vocabolario ti fa scrivere come un notaio puntiglioso: non solo non è richiesto, è anche sbagliato… perché in molte situazioni -come quella presentata, dinamica- l’attenzione alla grammatica frena l’azione e mette attenzione (in pratica: ti scolla dal mondo che stai dipingendo e nel quale ti sforzi di far sembrare tutto vero e vivo).
Usare sempre e solo l’errore, è chiaramente errore.
Se si tentasse di correggere ogni libro con questo paio d’occhiali, ci ritroveremmo in mano poco più che liste della spesa o lettere d’avvocato… Non credo sia ciò a cui tutti noi aspiriamo -specie in qualità d’acquirenti.
Da Tarzan in poi, la scrittura si fa molto spicciola… ed è stato un bene, perché voi v’immaginerste un Conan dove si legge: Conan fece di quella gentaglia poco più che poltiglia/ invece di: Conan li rese poltiglia…/?
L’autore di prosa, poi, tanto quanto il poeta, si serve di licenze e sottintendimenti, che sono più utili dell’utile.

#53 Comment By Dan On 28 ottobre 2011 @ 15:44

Marco:

Sì, sì, indubbiamente…
Se però si punta alla ‘scuola’, diciamo così, i libri sono pochi, tutti diversi e tutti ugualmente affascinanti. Calvino è il nostro Tolkien; poi si consideri che ‘Il Cavaliere Inesistente’ ha dato vita al Brancaleone, ch’è a tutti gl’effetti il modo colorato, ilare che l’italiano ha di vedere il Medioevo -dopo quello, c’è da indicare solo ‘Non Ci Resta Che Piangere’, appunto del compianto Troisi.

#54 Comment By Dan On 28 ottobre 2011 @ 16:00

Citato il gigante Calvino, non possiamo esimerci dal citare un secondo gigante quasi gemello…
http://www.youtube.com/watch?v=c6yFGnEPZM4

#55 Comment By Mauro On 28 ottobre 2011 @ 16:11

Tapiroulant: Palimpsest è uno di quelli che prima o poi voglio leggere; mi sposto nella Fogna per parlare della Valente.

#56 Comment By Federico Russo “Taotor” On 28 ottobre 2011 @ 16:11

Vergogna su di me, avevo completamente ignorato la parte “La ragazzina era qui da qualche parte”. In questo caso sì, il determinativo ci starebbe anche bene, anzi, preferibile. L’indeterminativo sarebbe preferibile per creare suspence, qualora le voci appartenessero ad altre. Invece la scena è esageratamente lineare (Solomon li cerca, li sente e li trova subito, senza nemmeno un errore, cioè senza nemmeno sgamare un’altra coppia che non c’entra niente).
In linea di massima, comunque, appurando che tutto ciò va bene (articoli ecc.), continua solo a sembrarmi un po’ superflua la critica del “sentì”.

#57 Comment By Edy On 28 ottobre 2011 @ 16:43

@MarcoP
Sono d’accordo ancora una volta con Dr Jack.
Anche io avevo messo come punto “recensioni positive” che ovviamente vuol dire che se trovo un buon fantasy italiano lo leggo. Però esattamente come ti ha già spiegato Dr Jack non ho tutto il tempo che servirebbe per fare scouting di ottimi romanzi perchè purtroppo ho pochissimo tempo libero.
Perciò intanto aumento la mia probabilità di leggere qualcosa di buono tenendomi lontana da certa roba e da certe tendenze.
Poi se qualcuno mi segnala qualcosa di buono nell’ambito del fantasy italiano, lo leggerò volentieri. E non deve essere per forza un libro pubblicato da un editore importante.
A me piacciono anche le autoproduzioni.

Edy

#58 Comment By jackblack77 On 28 ottobre 2011 @ 17:12

@Federico Russo

Non vorrei interpretare male Gamberetta però – IMHO – credo volesse dire questo:

Premessa: SE CI TROVIAMO
1. a un certo punto di una azione ben definita
2. dove i personaggi sono stati presentati
3. dove l’ambiente è – più o meno – chiaro
4. e già si sa che si sta guardando la scena da punto di vista di uno di questi personaggi

allora, IN QUESTO CASO, giusto per continuare a “guardare con gli occhi/sentire con le orecchie” di tal personaggio/POV, si può procedere senza dover introdurre elementi di tipo “caratterizzante” quali: Sentì, Vide, Guardò, Cadde, ecc…

Esempio pratico

(già conosciamo Tizio-POV e Sempronio/Antagonista; sappiamo di essere in una fabbrica chiusa e che Tizio sta inseguendo Sempronio per scoparselo; a un certo punto, Sempronio imbocca un corridoio e Tizio lo insegue).
Versione 1: Tizio percorse il corridoio dove aveva visto sparire Sempronio. Giunse ad una porta e la aprì. Una volta entrato, vide Sempronio seduto su un vibratore, che gli mostrava il dito medio.
Versione 2: una corsetta e il corridoio era finito, chiuso da una porta di metallo. Un colpo alla maniglia e l’anta si spalancò: Lo stronzo era seduto su un vibratore, e gli mostrava il dito medio.

IMHO la seconda versione è migliore e mi fa rimanere più nella testa del personaggio perché:
Più veloce
Più snella
Più intrigante
Meno pomposa
Altro che non so spiegare ma si sente

Nell’esempio di Gamberetta, invece, credo che si potrebbe anche lasciare il “sentì”, perché effettivamente è abbastanza scorrevole.

Poi ovviamente questa è solo la mia opinione, e l’esempio è – appunto – solo un esempio.

#59 Comment By Gamberetta On 28 ottobre 2011 @ 19:13

@Marco T.

Avrei una cosa da chiederti: di Carlton Mellick III volevo leggere “Zombies and shit”, perché mi sembrava una cosa divertente, sai dirmi qualcosa a riguardo? :)

Allora, Zombies and shit è uno dei romanzi meno bizzarri di Mellick, per gran parte scorre come un normale horror con gli zombie. Nell’ultima parte compaiono situazioni fuori di testa, ma lo stesso siamo sotto la media delle stramberie per un’opera di Mellick.
Anche come scrittura siamo un po’ sotto i suoi standard: non so per quale ragione Mellick ha deciso di inserire la backstory di ogni singolo personaggio, e di personaggi ce ne sono una ventina. Questo porta a lunghi flashback raccontati che spesso sono noiosi. È anche vero che un paio di queste storie nella storia sono notevoli.
Per stessa ammissione di Mellick l’andamento del romanzo ricalca quello del manga/anime/film di Battle Royle, perciò se ti è piaciuto Battle Royle penso apprezzerai anche Zombies and shit. Infine un “parental advisory”: ci sono un paio di scene di necrofilia che potrebbero dare fastidio ai più facilmente impressionabili, anche se il tono è più sul grottesco/divertente che non perverso/violento.

@DagoRed.

Gamberetta, volevo chiedere se hai già letto o intendi leggere il pluripubblicizzato ed anticipatamente glorificato 1Q84 di Murakami.

Non credo lo leggerò, Murakami mi annoia. Però non si sa mai, magari ci darò un’occhiata, l’ebook in inglese si trova.

@Mauro. Secondo me non guardi mai una gabbia a caso, se ci pensi c’è sempre una ragione per cui hai posato lo sguardo su quella piuttosto che quell’altra gabbia. Altrimenti non stai davvero guardando le gabbie, stai solo guardando in quella direzione, che ci siano le gabbie o no.
Magari se hai davanti un muro di gabbie, decine e decine di gabbie tutte uguali, può andare bene l’articolo indeterminativo, ma qui è ovvio che sono solo un numero ridotto di gabbie e ognuna con contenuto ben specifico, difficile che ne guardi una a caso.

@Chris. Il problema l’hai notato tu stesso: perché vuoi un “effetto fiaba” quando parli di stupri e violenze? Che senso ha? È come se tu guardi un film dell’orrore e poi a un certo punto c’è un inserto di dieci minuti da una commedia romantica. WTF? Scontenti sia gli appassionati di horror sia quelli di romance.
Al massimo puoi essere ironico e passare dall’orrore all’humor nero (e qualche volta succede in Pan), ma se sei serio l’intervento del Narratore dà solo fastidio. Io voglio soffrire con la ragazzina e fare il tifo sperando che si salvi, perché le mie emozioni devono essere soffocate da un Narratore che mi ricorda costantemente che è tutto falso? E d’altra parte se voglio una fiaba non leggo un romanzo che comincia con lo stupro di una bambina.

@Merphit Kydillis. Avevo promesso di recensire Alice in tempi non sospetti. Ma appunto è stato l’ultimo, d’ora in poi recensioni italiane solo in casi eccezionali, eccezionali in positivo.

@Federico Russo “Taotor”. Per la storia del sentire. A parte quanto già detto nelle FAQ, voglio aggiungere che non è solo un problema di eleganza. Usare “sentire”, “vedere”, ecc. sposta il punto di vista. Se uso il punto di vista di Anna e dico che c’è un cartellone pubblicitario la telecamera è sulla sua spalla o dentro la sua testa e inquadra solo il cartellone; se dico che Anna vede un cartellone pubblicitario la telecamera è dietro le spalle di Anna e inquadra, oltre al cartellone, anche lei con lo sguardo alzato. Lo stesso con il sentire: se non lo metto sono sul/dentro il personaggio, se lo metto sono più esterno, è come se inquadrassi il personaggio che tende l’orecchio.
No, Dimitri non ha scelto consapevolmente: visto il guazzabuglio che c’è nella scena ha scritto come gli capitava senza ragionarci sopra.
Poi, può darsi che la frase specifica debba essere un po’ rimaneggiata per togliere il sentire, ma questo dipende anche dal fatto che comincia con un “mentre attraversava” che fa già schifo di per sé.

#60 Comment By Andrea On 28 ottobre 2011 @ 20:59

Approfondisco meglio la mia sensazione di qualche commento fa.
C’è chi ha detto: io in questo Blog trovo cosa non leggere. Ma è davvero questo che cerchiamo, cosa non leggere? Certo, Gamberetta usa questi post anche per sottolineare cosa uno scrittore (a noi che vogliamo diventarlo) non dovrebbe fare.
E lo fa bene.
Ma lo stesso, è questo ciò che cerco?
Ho letto alcuni commenti che mi sono affini.
Non è forse meglio discutere e commentare un libro da consigliare, piuttosto che uno da evitare?
Piuttosto che colpire, sempre più a fondo, uno scritto (e per certi versi un autore), e poi ancora, e ancora, con un certo ironico sadismo?
In termini di visibilità e di commentarium questo rende, ok, e molto.

Qualcuno aveva scritto sul muro della mia scuola, “costruire è bello, distruggere è sublime”, ma io continuo a preferire una voce che sia costruttiva, e che mi dica cosa è bello, e se un libro è brutto, due righe e via. E magari destrutturare e commentare un bel libro, e usare qualche passo di un libro pessimo per far da esempio e confronto.
Non so se sono riuscito a spiegarmi, purtroppo sono di fretta, e gravato da diversi grattacapi…

In calce: io di romanzi fantasy non ne leggo più. Mi sembra tempo sprecato, davvero sono quasi tutti scritti male. Senza un’idea, senza uno spunto.
Ecco, parliamo delle perle. Rare.

Buona serata a tutti.
In questo mare è comunque un piacere dialogare.
Andrea

#61 Comment By Emile On 29 ottobre 2011 @ 12:57

Concordo con Andrea, anche a me piacerebbe molto vedere più spazio speso per i titoli meritevoli e meno per le porcate. Poi capisco la professionalità di Gamberetta e il suo voler comunque sempre approfondire ogni sua recensione, quindi per me la soluzione è una: diminuire drasticamente il numero di recensioni negative, pubblicandone una solo quando ha particolare senso per un qualche motivo (come ad es quella di adesso per via della famosa “promessa”, magari un’altra volta per mettere in guardia su un’opera accolta entusiasticamente da pubblico e critica e via dicendo).

#62 Comment By LupusInFabula On 29 ottobre 2011 @ 21:17

sull’argomento “recensioni positive vs negative”, io preferisco nettamente le seconde, per tre motivi:
1: per chi ha la passione della scrittura, offrono sempre dritte e consigli interessanti, e trovo che la spiegazione delle regole della narrativa siano molto più incisive con esempi negativi.
2: mi risparmiano di spendere soldi in libri che poi si rivelerebbero delle cagate pazzesche.
3: sono dannatamente divertenti.

#63 Comment By Emile On 30 ottobre 2011 @ 02:31

Non vedo perché gli esempi negativi debbano per forza essere più istrittuvi di quelli positivi, specialmente quando del primo tipo ià se ne trovano a TONNELLATE su questo sito.
Quanto al risparmiare soldi, spesso e volentieri Gamberetta stronca roba che comunque nessuno sano di mente toccherebbe con un bastone (Troisi, Twilight ecc): Alice da questo punto di vista ha sicuramente più senso ma, in generale, è indubbio che per quanto riguarda il tuo punto 2) sia milioni di volte meglio sentirsi dire direttamente 4/5 titoli VALIDI, che avere la possibilità di scartare dal parco delle 4389343493489 proposte in materia 4/5 titoli sicuramente brutti.

#64 Comment By Emile On 30 ottobre 2011 @ 02:39

Senza contare che qui si possono trovare un bel pò di articoli specificatamente dedicati alle regole della buona scrittura, non è che è necessario leggere una recensione di Gamberetta (che come scopo primario dovrebbe avere appunto la recensione di un’opera) per estrapolare da là i criteri da seguire per fare della buona narrativa.

#65 Comment By Merphit Kydillis On 30 ottobre 2011 @ 09:36

Noto ora che Alice ha 280 pagine. E costa 17 euri.
Gli Eroi del Crepuscolo non sarà più bello (anzi, credo che entrambi siano delle bidonate), ma la differenza del romanzo di Dimitri è che con lo stesso prezzo hai un romanzo di 700 e passa pagine.
Perché quindi far pagare 17 euri un romanzo che non arriva a 300 pagine? Non era meglio se lo mettevano almeno a 12?

#66 Comment By Franek Miller On 30 ottobre 2011 @ 10:59

@emile
secondo il mio criterio è un bene dare un giudizio -positivo o negativo che sia- sulle opere più conosciute. Dubito che gamberetta -anzi Gamberetta- abbia scelto quelle opere in base alla scarsezza quanto alla notorietà. Se fossero state belle le avrebbe recensite ugualmente -e immagino con maggiore entusiasmo- proprio perché sono opere sotto l’occhio di tutti e quindi una recensione in questo caso torna decisamente utile. Poi, se tu sei talmente avveduto da cogliere la qualità di un libro a occhio, mi levo tanto di cappello.
Io non ho mai letto Twilight per una logica prettamente soggettiva: non mi intrigano i palpiti amorosi tra vampiri zoolanderiani. E poi l’autrice è mormone convinta, io non ho simpatia per i mormoni. Il libro poteva essere un capolavoro, io non avevo modo di saperlo.
Quindi per i mona come me, che comprano libri “a naso”, qualcuno che mi dia un giudizio obiettivo sui titoli più in vista è solo utile. Son libri “brutti” in meno che rischio di comprare. O ore in meno sprecate in biblioteca.

#67 Comment By Dan On 30 ottobre 2011 @ 11:09

Secondo me si tratta solamente di re-impostare la cosa con un criterio legato alle nuove valutazioni; ammesso che il discorso ora si sposti verso la concezione positiva di ciò che (con più d’un solo pizzico di fortuna) è possibile trovare in quelle grigie necropoli che prendono il nome di ‘librerie’, si potrebbe sviluppare quella capacità assemblativa che ha G. inserendola in un libro ‘scuola’ -bello per tutti e oggettivamente riconosciuto- la cui recensione si dirami verso il meglio e il peggio…

Codesto stesso articolo, se avesse avuto per principio il vero ‘Alice’ (vi sono ben due titoli, entrambi interessantissimi), sarebbe stato indubbiamente d’un’importanza pregnante, sia perché nell’ottica del Fantasy (oggi possiamo ben dire che Carroll ne sia stato indirettamente uno dei padri fondatori, insieme a fiabisti della portata di Andersen), sia perché internet non eccelle, in questo…
A questo punto, il sito potrebbe divenire viatore dei veri gusti (ognuno il suo) che nel tempo possono diramare nelle più svariate direzioni…
Se poi, a pie’ di pag., c’avesse dunque messo uno stelloncino in merito al brutto rifacimento, i più prenderebbero atto del fatto che, a differenza di varie rivisitazioni -di cui comunque si parla- quella lì occupa uno degl’ultimi posti, e festa finita.

#68 Comment By arnica On 30 ottobre 2011 @ 13:49

riciccio dalle tenebre per tornare un attimo sulla questione “prima e dopo una certa opera”.
è importante,eccome. perchè puoi intuire qual è stato il miglioramento,e se un’opera viene pubblicata(e scritta)dopo una scritta bene…e fa cagare,le domande che ci si pone possono essere “il libro bello è stato una botta di culo? in realtà è stato un prestanome?”e così via.

posso riportare la mia esperienza fresca fresca con Pullman. a me queste oscure materie è piaciuto tantissimo. sarò di bocca buona,ma sul serio m’è piaciuto, lo cito continuamente,lo consiglio al mondo intero.
l’altro giorno, gironzolando in biblioteca,ho trovato un altro suo libro, Il conte Karlstein e la leggenda del demone cacciatore.
viene presentato come horror/trhiller fantastico per ragazzi. mi dico wow!leggiamolo!
beh, mi dispiace dirlo ma,almeno per me,è un’immonda schifezza. la prima parte è peggio di una martellata sulle palle,la seconda è banale ma almeno si fa leggere. vorrebbero farlo passare per una brillante satira nei confronti del genere,con i suoi stereotipi ma…non ci riesce,non ci riesce. non mi ha fatto ridere nemmeno una volta,nè mi ha appassionata. un’opera fine a se stessa.
ebbene, mi sono detta “ma com’è possibile che dopo qom si sia ridotto così?ha finito la vena creativa?”.
e invece no,polla che non sono altro ho preso un libro pubblicato nell’82!

#69 Comment By Eosforo On 30 ottobre 2011 @ 14:26

arnica, io so che Alice è stato scritto molto tempo prima di Pan, e se non ricordo male me lo confermò lo stesso autore.
Dopo Pan, Dimitri riprese in mano Alice editandolo. Evidentemente ci ha lavorato troppo poco su, non saprei.
Ma comunque, attendo il prossimo romanzo per dare un giudizio generale su Dimitri. Pan mi è piaciuto molto, se non fosse per i continui interventi dell’autore (che no, non ho trovato divertenti). Insomma, Dimitri il talento lo ha, vedremo cosa combinerà nel prossimo libro. Un’altra possibilità gliela do, specie dopo l’ottimo Pan.
Che poi mi domando: Dimitri ora vive in Inghilterra, quindi perché si ostina a pubblicare in Italia, dove si vende poco in generale (e ancor meno nel campo del fantastico)? Potrebbe spendere soldi per farsi tradurre il suo prossimo romanzo e provare a pubblicare in inglese. Anche perché, tornando alla qualità di Pan, potrebbe riuscirci.
Mah, glielo chiederò…

#70 Comment By Emile On 30 ottobre 2011 @ 15:09

Franek: non di tutti i libri assolutamente. Ma la roba della Troisi puzza di cazzata lontano 10 miglia idem Twilight: senza aver letto G. al MASSIMO avrei cercato in rete un breve brano per confermare la mia impressione, ma ero comunque ià partito con l’idea che al 90% si trattasse di porcate ignobili.

#71 Comment By Franek Miller On 30 ottobre 2011 @ 16:06

ma non è un concetto universale, io Pan non mi sarei sognato di leggerlo senza la dovuta segnalazione in quanto mi dava di stronzata. O Wunderkind ero tentatissimo, perchè la presentazione era così tronfia che pensavo un minimo bello lo sarebbe stato per forza. Quanto a Troisi ti appoggio, già buttando un occhio si capisce che non aspira a essere nulla di più di un LOTR o Shannara, una imitazione o peggio cugina povera. Ma girano molte recensioni entusiastiche su di lei, vederle smentite in maniera puntuale è solo utile. Credo che le recensioni positive siano in minoranza perchè si tende a importare il carico di opere più vendibili in Italia. E per vendibili si intende viste e riviste, in modo che il compratore ci si riconosca e lo compri per analogia a libri già letti. Considerando che non tutta l’utenza italiana possa leggere scorrevolmente in lingua originale, non ha senso recensire opere che non siano state localizzate o che siano scritte in modo accessibile. Poi quella che sia la realtà effettiva non posso saperlo, sono mie congetture.

#72 Comment By Dan On 30 ottobre 2011 @ 16:15

L’impressione che ho avuto la prima volta che ho letto un articolo di G., è stata una larghissima boccata d’aria, perché parlava del Crepuscolo del F. (mai titolo fu più azzeccato di quello); lì credo l’operazione avesse un vero e proprio senso, nel senso che pubblicare porcate che sono poco meno d’un tema, spacciandole per romanzi, è un vero e proprio crimine all’umanità -e su questo si può essere (mi auguro) d’accordo all’unanimità.
E’ giusto che, nonostante internet sia una vetrina accettabilmente nitida sul pensiero comune, qualcuno s’adoperi a rimarcare quelle che sono, non solo a parer di G., ma di ogni lettore medio (meno avveduto, ma comunque dotato d’una sana intelligenza), degl’errori imperdonabili: allora la cosa si fa interessante perché 1) si identifica il target (non chiamiamoli bimbiminkia, ma insomma, piccoli esserucci umani che piano-piano cresceranno). 2) s’affondava una nave che non doveva neanche partire. 3) si getta un’identikit sulle grosse industrie della letteratura (chi s’azzarderebbe a mandar qualcosa che sia più profondo e adulto).
Insomma: l’autogol dagl’addetti ai lavori è qualcosa che già di per sé crea chiacchiera (c’è chi pensa che la cosa sia studiata a tovolino), e non solo in questo, ma in tutti i siti in cui se ne parla e anche sotto le stesse copertine in voce di commento…
Se la cosa però riguarda industrie più piccole, e che arrancano, le cose a mio avviso cambiano: l’erroe è un po’ più giustificato, ma prima di parlare dell’errore di scritturare uno scrittore fallace, parlerei dell’errore di aprire case editrici con passioni vacillanti e zero voce in capitolo.
Un autore ottuso (uno a caso di questa categoria) mi può diventare bravo e famoso con un po’ di sale nella zucca e qualche manna dal cielo. L’ausilio di G. qui diventa minore, e in un sistema in cui le alternative alle grosse industrie sono scarsissime, addirittura dannoso, per certi aspetti…
E’ ovvio che una tiratina d’orecchie ci sta, ma direi per correggere il tiro, non per affondare.
Sono comunque dell’opinione che tanto nel primo caso, quanto nel secondo, la vera carenza non sia legata alla tecnica (anzi: arrivo a dire che ne abbiano, o addirittura ne possono avere molta, col tempo), quanto ai contenuti: estrema mancanza d’idee, di fantasia, d’originalità. E’ già stato rimarcato che le autrici ‘vergini’ si preferiscono perché non sanno un’acca di F., e praticamente propinano Beautiful in costume…
Questo direi che sia l’errore più alto e grave di tutti, perché cancella e offende il vero pubblico del F., o lo riduce allo stesso di Harmony e Fantaghirò (tv).

#73 Comment By Dan On 30 ottobre 2011 @ 16:34

[Ooops: è davvero Salani???! Niente, allora diamo pure colpa alle tempeste magnetiche... gli alieni... che so io... Pardon].

#74 Comment By Emile On 30 ottobre 2011 @ 17:25

Franek: e chi dice che sia un concetto universale? Il mio suggerimento infatti è quello di diminuire le recensioni negative, mica di rimuoverle del tutto; mi vanno benone per un titolo di richiamo su cui ci può essere incertezza ma, per fare un esempio, spero davvero che non sentirò mai parlare qui dentro di “Vampire Diary”, perché non mi serve G. per scartarlo a priori!
Io trovo molto interessante questo sito, ma per me ha un grosso difetto a livello strutturale: passa troppo tempo a dirti cosa NON leggere, e troppo poco a segnalare opere meritevoli.

#75 Comment By Tapiroulant On 30 ottobre 2011 @ 17:34

@Emile:

Io trovo molto interessante questo sito, ma per me ha un grosso difetto a livello strutturale: passa troppo tempo a dirti cosa NON leggere, e troppo poco a segnalare opere meritevoli.

Mi sembra che il rapporto si sia invertito nell’ultimo anno.

#76 Comment By Federico Russo “Taotor” On 30 ottobre 2011 @ 17:42

@Gamberetta: ne approfitto per ricamarci tecnicamente sopra, magari prescindo un po’ dal caso specifico, ma l’argomento è comunque affine.
Per le sensazioni e le percezioni i verbi possono essere omessi (causa evidenza). Nelle FAQ (che avevo completamente dimenticato, chiedo scusa) riporti anche il verbo pensare e ricordare.
Ora, c’è una linea sottile tra il pensare e l’inforigurgitare (a Liga piace questo elemento). Ovviamente si ricorre a virgolette, corsivi e quant’altro. Ma quando il Pov aderisce così tanto al personaggio da necessitare di dozzine di “pensò” (pensieri non necessariamente dialogici), come fare? Cioè, abbandonando il verbo (e sinonimi), il lettore può dare per scontato che eventuali interventi del narratore – all’apparenza personali, ma non intrusivi – non siano altro che riflessi dalla mente personaggio. Ma a quel punto sarebbe comunque legittimo gridare all’infodump (cioè nel momento in cui le informazioni comincino a essere numerose)?

#77 Comment By Gamberetta On 30 ottobre 2011 @ 18:24

@Federico Russo “Taotor”. Onestamente non ho capito la domanda, forse se fai un esempio si capisce meglio. Se scrivi con un PdV che aderisce al personaggio non hai necessità di neanche un “pensò”. In prima persona non si usa mai “pensò”. E l’inforigurgito come c’entra? Quello è un problema di mostrare/raccontare non di pensieri. Invece di inserire pensieri rigurgitosi, fai compiere al personaggio azioni che li mostrino.
“Io penso che i cellulari di ultima generazione siamo molto fragili.” diventa “Il cellulare nuovo di quello stronzo del mio capo mi scivola tra le dita e si sfascia contro il pavimento.”

#78 Comment By Franek Miller On 30 ottobre 2011 @ 19:31

ma nell’elenco recensioni ce ne sono di positive, a mio avviso quelle negative fan solo più rumore. E son più divertenti.

#79 Comment By Emile On 31 ottobre 2011 @ 01:59

Certo che ce ne sono, ma ne vorrei molte di più: per me dovrebbero essere la regola, e quelle negative non dico l’eccezione ma quasi.

#80 Comment By Federico Russo “Taotor” On 31 ottobre 2011 @ 09:59

Faccio un esempio pratico.
Nelle Porte di Anubis, c’è una parte in cui la narrazione non è aggrappata ad alcun Pdv immediatamente riconoscibile. Si scopre solo dopo che dovrebbe appartenere a Horrabin il clown, ammesso che non sia prima appartenuto al nano Dungy per poi spostarsi all’improvviso sul clown.
Per quanto ne so a Dungy, nel romanzo, non è dedicato alcun Pdv, ma viene solo visto dagli occhi degli altri (Jacky, ecc.).
Prima della comparsa in scena del clown, quindi, si narra qualcosa che il clown stesso non può vedere, perché entra letteralmente in scena, cioè nella stanza, dopo parecchie righe. Prima dell’entrata si legge:

Al di là di essi, e volutamente ignorati, c’erano gruppi di uomini ancora più poveri e oppressi da deformazioni fisiche e psichiche. Stavano accovacciati sulle lastre di pietra negli angoli bui, ognuno da solo nonostante fosse in mezzo agli altri, e farfugliavano e gesticolavano per abitudine piuttosto che per desiderio di comunicare qualcosa.

Nell’impressione che ho scritto sul mio blog, l’ho “classificato” come tell generico/infodump. Ma se assumessimo che in quel momento della narrazione il Pdv appartenesse al nano Dungy, presente nella stanza, il brano si potrebbe giustificare come pensieri del personaggio?

#81 Comment By Chris On 31 ottobre 2011 @ 12:23

@Gamberetta: no, infatti hai ragione. Il mio dubbio riguardava il fatto se fosse sbagliato sempre introdursi nel racconto o se ci fossero casi in cui la cosa sarebbe possibile e, soprattutto, di miglior godimento.

#82 Comment By Gamberetta On 31 ottobre 2011 @ 15:03

@Federico Russo “Taotor”.

[...] il brano si potrebbe giustificare come pensieri del personaggio?

Dovrei rileggere la scena, ma così direi di ni. La prima frase sembra proprio innaturale come pensiero di un personaggio, la seconda potrebbe passare.

@Chris. “sbagliato” non è forse il termine corretto, ma in generale sì, di solito avere introduzioni, di qualunque tipo si tratti, è inutile. Meglio entrare subito nel vivo della storia. Le “cornici” devono avere una più che valida ragione per esserci, e spesso tale ragione non c’è.

#83 Comment By Chris On 31 ottobre 2011 @ 20:07

@Gamberetta: capito. Grazie per la spiegazione :)

#84 Comment By Andrea On 2 novembre 2011 @ 23:15

E’ piacevole trovare alcuni, @Emile, per esempio, che la vedono come me. E lo stesso trovo davvero un’aria salubre nel leggere il dibattito.

Ora, mi pongo una domanda.
O meglio, prendiamo la Troisi, ma si può prendere un bel po’ di letteratura fantasy mondiale: avevo letto velocemente il suo primo libro per farne una recensione. Senza entrare nei meriti della scrittura, l’avevo trovato banalotto, insomma senza nulla di nuovo, ma comunque leggibile.
Se penso a quando avevo dodici tredici anni, forse un libro del genere mi sarebbe piaciuto; di certo ricordo di essermi divorato serie e serie di libri di Dragonlance e dei Forgotten Realms come se fosse la cosa più bella mai scritta. Poi ho letto Tolkien. E tornare indietro mi è stato difficile.
Ma torniamo a quegli anni, dodici/tredici: è vero che un libro dovrebbe essere ben fatto e ben scritto a qualsiasi pubblico sia rivolto. Però cose come “non spiegare cosa fa il personaggio ma mostralo”, o altro,valgono ok, ma alla fine forse libri come quelli van bene per un traget di preadolescenti. E alcune cose diventano più importanti di altre: i personaggi, alcuni gesti, l’epica… Dei dialoghi, per esempio, chi se ne fregava? (ora se un dialogo è mal scritto mi viene la pelle d’oca)
Il problema è che la maggior parte della letteratura fantastica ha quel target in mente, vuoi perché magari gli autori sono incapaci di scrivere meglio, vuoi forse perché è il mercato (e i lettori stessi) a richiederlo.

Di nuovo non so se sono riuscito a spiegarmi. E’ un abbozzo di idea nata leggendo i vostri commenti.

Altra cosa poi: perché i libri della Troisi (che personalmente mi sta anche simpatica) vendono e piacciono tanto? Forse, oltre che distruggerli, o storcere il naso al solo sentirne il nome, dovremmo chiederci questo.

Forse, invece, sono solo troppo stanco :-)
Comunque un grazie a Gamberetta, e a questo spazio.

#85 Comment By Dan On 3 novembre 2011 @ 10:59

Credo che l’utilità (anche involontaria) di questo sito stia proprio nell’aggregare lettori(/scrittori) fortemente delusi dal panorama Fantasy moderno: nessuno desidera esauterare libri ‘banalotti’ e scritti in serie (io accomuno la troisi a terry boocks e compagnia affatto bella); il punto è che per le vere rarità, per quei libri che il critico direbbe, ‘scritti con più livelli di lettura’ (che stringi-stringi è la possibilità di leggere e vedere cose belle a qualunque età), non c’è assolutamente spazio…
E’ cambiata l’ottica dell’editoria: anzitutto una volta l’editore era un vero e proprio intenditore di libri, sapeva in che modo organizzare il proprio lavoro perché conosceva direttamente le armi del mestiere.
Oggi le case editrici sono:
1) ereditate e non ci si capisce un’acca.
2) aperte, ma con passioni più che vacillanti -non puoi avere una vera passione per il F. e pubblicare poco meno che temi di quinta elementare: ti piangerebbe il cuore.
3) lasciate a comitati di lettura che non amano rischiare licenziamenti.
E, soprattutto, E’ IMPOSSIBILE PUBBLICARE CERTE COSE SE S’E’ CRESCIUTI CON CERTI LIBRI!
Il già citato Tolkien: se lo leggi, non puoi capire di cosa non sia fatta la lettura…
Io l’intervista la farei agl’editorucci: avete mai letto Tolkien, Dante, Calvino? Avete idea di cosa significhi inserirsi nel cammino della Narrativa, o lo pizzicate in un punto a caso del percorso, quel che capita capita?
Vi rendete conto che concetti assolutamente romantici (personaggio quotidiano, intrecci, piccipicci) sono stati surclassati e aboliti?
Vi figurate un pubblico idiota?
A me ormai fanno solo molta tenerezza: tanto falliranno comunque; ma almeno la gioia di fallire con qualcosa di valido, caspita… tanto per non attribuire la colpa all’esercito di imbecilli che s’è collezionato.
Caro Andrea: sappi che la mediocrità è il peggior crimine dell’uomo…
Nell’inettitudine c’è meno colpevolezza: quello è inetto, punto. Al limite si renderà conto che deve cambiar mestiere… Ma mettiti a fare il mestiere giusto con mezzi sbagliati e hai fatto la tua: davvero meglio non aver fatto nulla in tutta una vita…
La mediocrità ti dà la subdola percezione del tutto giusto quando invece è tutto sbagliato. Ed è proprio il panorama che ci troviamo di fronte: sembra che ci siano libri, sembra che siano scritti, sembra addirittura che qualcuno (più menti, caspita!) c’abbia raggionato sopra lungamente… e invece, come diceva Carmelo Bene per il teatro, sei in pieno deserto.

#86 Comment By Franek Miller On 3 novembre 2011 @ 11:36

@dan

sarà che la tecnica narrativa col tempo è cambiata, ma io le pubblicazioni passate non le idealizzo mica tanto. Di recente ho provato a leggere De Sade e ho concluso una cosa: De Sade non sa scrivere. De Sade forse avrebbe fatto ottima saggistica ma non capiva un acca di narrativa. E anche Jane Austen è più sopravvalutata di quanto credessi. C’era un tale abuso di narratore onniscente -sarà che non si trattava di fantasy, ma pur sempre narrativa resta- che oggi sarebbe inaccettabile persino nella peggio Troisi. Ho iniziato a leggere spinto dai migliori propositi, ma sono rimasto amareggiato. Che la narrativa accettabile sia rara non ci piove, ma non credo un tempo fossero così al di sopra dei canoni odierni. O forse quel genere di scrittura rappresentava il non plus ultra del tempo, ora è superato e io non ho gli strumenti per capirlo. Ai miei occhi alcuni scrittori del passato, riletti oggi sono meno che mediocri.

#87 Comment By Dan On 3 novembre 2011 @ 11:59

Sì, indubbiamente i gusti si evolvono…
Loro avrebbero detto di noi la stessa cosa (pensa se un Romantico legge Calvino, ad esempio).
Però dobbiamo essergli molto grati: considerate che i Romantici non solo discutevano, ma a volte si zaccagnavano della buona coi classicisti, per le loro opinioni; nel tempo, hanno stravinto.
I vampirucci romantici che oggi circolano nelle librerie, sono invenzione romantica; tutti i rifacimenti di frankenstein, i lupi mannari…
Però hanno inventato:
1) Il dinamismo: il dinamismo riguarda la storia (evolve nel tempo), i personaggi (crescono o mutano), gl’intrecci (da capogiro, a volte).
2) Il Personaggio Quotidiano (non più l’eroe inarrivabile dei Poemi, ma qualcuno in cui tutti si possono identificare).
3) Il documento: il Romanticismo ha una funzione documentaristica che oggi te la sogni… Tutto questo oggi s’è spostato nella tv, ma prima, solo uno scrittore poteva narrarti d’una battaglia, d’una rivoluzione, e sperare che i posteri ne leggessero.

Di certo bisogna educare l’occhio alle invenzioni del tempo.
Sarebbe inutile la lettura dei R. con occhi moderni: sarebbero sempre pieni di difetti…
Però, senza le invenzioni succitate, praticamente nulla di ciò che leggiamo si reggerebbe: non avrebbe le adeguate fondamenta…
Si consideri poi che una volta gli scrittori erano pagati a cottimo: dunque più scrivevano, più erano pagati (avete presente i mattoni Romantici, no?); oggi tutte quelle lungaggini ci darebbero solo che fastidio, ma i bravi scrittori hanno saputo sfruttare tutti gl’obblighi del proprio tempo, facendo di questa costrizione un incentivo ulteriore per la ricerca d’uno stile che è ‘voce che sempre accompagna’; i R. sono molto bravi in questo, nell’ubriacarti le orecchie di suoni, periodi -anche lunghi all’estremo delle possibilità- concetti, descrizioni, pedanterie… Lo fanno anche con ironia e autoironia.
Ieri per esempio leggevo il Circolo Pickwik di Dickens: pagine e pagine di suoni, fischi, applausi della platea per dirti quant’è scemo (o ridicolo) il Sign. Pickwik mentre parla. Però questo di certo ti introduce fortemente nella storia -forse con obbligo- e se il meccanismo funziona, hai fatto: la leggerai con gusto dall’inizio alla fine…
Una volta (fino ai 30) si pubblicava a puntate nelle riviste, e il meccanismo non era tanto dissimile da quello delle telenovelas di oggi.

#88 Comment By Hendioke On 3 novembre 2011 @ 12:21

Invece io credo che i classici siano godibili anche oggi nonostante siano, effettivamente e necessariamente, antiquati dal punto di vista tecnico narrativo.

Ho letto da poco Ivanhoe e ne sono rimasto affascinato nonostante Walter Scott metta in campo un campionario completo di quelli che oggi sono considerati gravi errori di scrittura. Soprattutto il narratore di Scott è di quanto più lontano possa esistere dai canoni moderni.
E’ onnisciente, salta da un capo all’altro della storia spezzando il ritmo annunciandoti che si sta per passare dalle vicende di un personaggio a quelle di un altro, si intromette con giudizi morali, storici e informazioni turistiche.

E questo senza parlare delle note a pie di pagina in cui spiega i perché e i percome di tutte le sue scelte che potrebbero risultare incoerenti col periodo storico (l’Inghilterra del 1190), inserisce curiosità storiche, parla dei suoi sopralluoghi nei castelli dove è ambientata la storia, riporta brani dell’epoca per approfondire questo o quell’aspetto dell’Inghilterra dell’epoca (c’è ne una lunga pagine che riporta la cronaca di una tortura medievale) e in un nota dove spiega perché a un personaggio normanno fa conoscere le ballate sassoni inserisce uno spoiler grosso come una casa sull’identità del Cavaliere Nero!

Penso che se mai Gamberetta lo leggesse stamperebbe l’ebook solo per il piacere di dargli fuoco, eppure l’ho trovato un libro affascinante perché anche se la tecnica è antiquata, anche se più che immergerti nella storia te la fa raccontare da un simpatico professore di Storia i personaggi sono costruiti benissimo, le scene principali sono narrate comunque molto bene, tanto che pare di vederle nonostante il narratore stia sempre fra i piedi, e ogni personaggio ha la sua voce unica e inconfondibile nonostante parlino tutti con lo stesso identico registro.

Secondo me quando ci si approccia ad un classico, da Tolkien (che comunque: 1) scrive epica, 2) è più vicino al romanzo contemporaneo di quanto ritenga la vox populi) a tornare indietro non bisogna impuntarsi sulla presenza o assenza di questo errore o quella tecnica ma accettare le regole del gioco del narratore (la sua tecnica) e vedere dove ci conduce.
Se riesce a portarci comunque a vedere e vivere la storia allora vuol dire che è bravo e il libro è scritto bene (anche se in modo antiquato) altrimenti no, è un mediocre-cattivo scrittore e il libro è scritto male.
Però bisogna prima accettare le sue regole il che vuol dire che il giorno che arriveremo ad essere talmente invasati dalla tecnica odierna da non riuscire a vedere un narratore onnisciente senza provare nausea ci saremo preclusi i classici perché saremo diventati incapaci di accettare le regole degli scrittori che ci hanno preceduto.

Nota finale: tutto questo vuol essere un’opinione mia sulla validità dei classici e su come ci si dovrebbe approcciare a libri tecnicamente antiquati, non è un invito a seguirne lo stile nello scrivere nuovi libri. Ritengo che molte cose si possano imparare dai classici ma non si può far tornare indietro il tempo e quel che è passato è passato*

*niente toglie che qualcuno potrebbe divertirsi nel cercare di scrivere oggi un romanzo in stile settecentesco, ma penso che sia, per gli scrittori odierni, una sfida difficilissima scrivere un romanzo con una tecnica antiquata che funzioni

#89 Comment By Dan On 3 novembre 2011 @ 12:31

D’accordo su tutto.
Si deve comprendere la propria epoca, quello che sa, e soprattutto quello che vuole darci… I classici restano classici perché quelle persone hanno preso il meglio dal loro tempo: nessuno li batterà mai, in quello…
D’accordo anche sulle ‘recitazioni’ in scrittura che sono molto belle, se ben fatte e credibili; addirittura possono prendere il meglio di questo e quel periodo storico…
Uno di questi, è senz’altro Lovecraft: esteta settecentesco nell’animo, si delizia con descrizioni sublimi e impeccabili (strana contrapposizione di orrore estremo ed estrema estetica legata alla ricerca del bello assoluto).

#90 Comment By Franek Miller On 3 novembre 2011 @ 13:10

@dan
proprio perchè erano pagati a cottimo, vediamo alcuni tipo Dumas padre che riportavano atrocità tipo:

«Eh bien, comment va cet enragé? reprit-il en se retournant au bruit de la porte qui s’ouvrit et en s’adressant à l’hôte qui venait s’informer de sa santé.
— Votre Excellence est saine et sauve? demanda l’hôte.
— Oui, parfaitement saine et sauve, mon cher hôtelier, et c’est moi qui vous demande ce qu’est devenu notre jeune homme.
— Il va mieux, dit l’hôte: il s’est évanoui tout à fait.
— Vraiment? fit le gentilhomme.

o ancora più sfacciato:

— Une lettre adressée à M. de Tréville, capitaine des mousquetaires.
— En vérité!
— C’est comme j’ai l’honneur de vous le dire, Excellence.»

o

Au même instant la portière se souleva, et une tête noble et belle, mais affreusement pâle, parut sous la frange.
«Athos! s’écrièrent les deux mousquetaires.
— Athos! répéta M. de Tréville lui-même.

e qui siamo al limite del comico

— Oui, comme le ferait l’éraflure d’une balle.
— N’était-ce pas un homme de belle mine?
— Oui.
— De haute taille?
— Oui.
— Pâle de teint et brun de poil?
— Oui, oui, c’est cela. Comment se fait-il, monsieur, que vous connaissiez cet homme? Ah! si jamais je le retrouve, et je le retrouverai, je vous le jure, fût-ce en enfer…
— Il attendait une femme? continua Tréville.
— Il est du moins parti après avoir causé un instant avec celle qu’il attendait.

anche senza conoscere bene o senza conoscere affatto il francese -non sono espertissimo- si capisce che lo pagavano a righe e che andava a capo il più spesso possibile per allungare il brodo. Dubito sia indice di qualità, alcuni dialoghi risultano insignificanti se non ridicoli.

#91 Comment By Franek Miller On 3 novembre 2011 @ 13:16

mh penso di aver incasinato un pò il commento, comunque a ogni riga di dialogo anche del tipo “Athos!” va sempre a capo

#92 Comment By Dan On 3 novembre 2011 @ 14:02

Sì; dovevano occupare molte pagine.
Ma guarda, anche se pigli Salgari, non è che siamo tanto distanti da lì: pagine e pagine su uno scontro ‘anomalo’ e ‘anonimo’ di pugilato in una prigione… così, tanto per intrattenere.
Il ’900 è più fortunato, in questo.
Comunque, ripeto: i bravi hanno fatto in modo che l’opera ne guadagnasse anziché il contrario; i tempi, poi, t’aiutano: l’ ’800 è l’epoca dei personaggi, da tratteggiare bene fino a sentirseli amici; di certo i dialoghi brodosi aiutavano molto, in tal senso…
Grazie per l’esempio.

#93 Comment By Franek Miller On 3 novembre 2011 @ 14:52

figurati, la prode Gamberetta ci ha addomesticato al documentarsi ormai. Tanto di sto passo ci sbatte in fogna uhuh buona giornata

#94 Comment By ATNO On 4 novembre 2011 @ 21:44

Volevo comprarlo, ma questa recensione mi ha fatto passare la voglia. Non sono sempre in linea con le tue idee, ma per questa volta ti ringrazio davvero. :P

#95 Comment By V On 5 novembre 2011 @ 16:11

Avevo nostalgia di tue recensioni come questa. Mi riportano a un periodo meno infelice, tre o quattro anni fa.

(Grumo ueber alles!)

#96 Comment By Cecilia On 9 novembre 2011 @ 13:37

Dimitri, cercando di spacciare il romanzo di un suo amyketto, conclude che bisogna leggerlo “perché sì”; bene, Alice va buttato nel cassonetto perché sì.

Alice non lo leggerò, ma ho letto quello dell’amyketto. E ho fatto bene, mi sono divertita come una matta. In quel caso aveva ragione.

“Satanisti della domenica”… ^^ stimo Tarenzi

#97 Comment By The_Zeppo On 9 novembre 2011 @ 16:46

Mh… Gamberetta mi é capitato in passato di leggere le tue recensioni e spesso mi trovavano d’accordo però mi sa che sta volta hai toppato alla grande. Troppe sovrastutture, troppe regole, troppi riferimenti e soprattutto troppa voglia di strambo ti hanno traviato dal giudizio IMHO.

Personalmente ho trovato AIS un libro che mi ha fatto riavvicinare, dopo tanto tempo, alla lettura Fantasy proprio perché stimolante, sia per la visione del mondo palesata dall’autore che diventa contestabile (IMHO tutti gli autori commentano e non é mai vero che esiste un narratore invisibile in quanto già narrando ed usando alcune parole piuttosto che altre fa il suo commento) sia perché offre spunti di riflessione.

Cmq magari saranno gusti, a me i libri che parlano di mondi perfetti e ben definiti mi han sempre fatto venire un tremendo sonno (Si, sto parlando di Tolkien in Primis) e preferisco cose meno definite e più spaziose, almeno quando si parla di fantastico, mentre a quanto ho capito a te succede l’esatto opposto.

#98 Comment By Mr. Giobblin On 9 novembre 2011 @ 19:38

Finalmente si parla di Alice! Sembra impossibile che si tratti dello stesso autore di Pan. Si è rivelato davvero deludente, e vorrei proprio dimenticarlo
In ogni caso, sottoscrivo pienamente la “demolizione”, mi mancavano questi articoli! :)
PS: grazie per aver segnalato Automated Alice di Noon. Non lo conoscevo, e mi sta proprio prendendo.

#99 Comment By Unoqualunque On 10 novembre 2011 @ 20:55

In pratica cosa credi sia capitato a Dimitri? In effetti, mi pare assurdo retrocedere…già avrebbe avuto senso se Alice l’avesse scritto prima di Pan…

#100 Comment By andor_fic On 19 novembre 2011 @ 16:57

cara gamberetta
su Alice nella fuffosità hai senz’altro ragione, dati i brani che riporti.
Ma l’originale di Lewis Carrol, se hai la pazienza di analizzarlo secondo i tuoi stessi parametri, non si può che definirlo un capolavoro.
Secondo la mia modesta opinione che comunque condivido.
In ogni caso sei una grande nelle recensioni.

#101 Comment By Sophitia On 20 novembre 2011 @ 18:59

La trama mi ha un po’ ricordato Steam Detectives.

#102 Comment By Giuseppe On 22 novembre 2011 @ 18:02

Per armi corte si intendono soprattutto le armi bianche, da cui il detto “ai ferri corti”. Quando si parla di armi da fuoco si dice chiaro “a canna corta” o “a canna lunga”. Ciao

#103 Comment By Gamberetta On 28 novembre 2011 @ 12:03

Ho spostato gli ultimi commenti alla segnalazione del romanzo di Licia.

#104 Comment By TheClue On 5 gennaio 2012 @ 10:51

Recensione MERAVIGLIOSA! Ma purtroppo avevo già acquistato il romanzo e, lo giuro, ho provato in tutti i modi a finirlo…ma quando sono comparse quelle buffonate tipografiche alla piccoli brividi ho gettato ls spugna. Adesso è nella mia exchange list su anobii, ma non riesco a sbolognarlo neanche gratis!

#105 Comment By ezra On 21 gennaio 2012 @ 10:26

@DagoRed.

Gamberetta, volevo chiedere se hai già letto o intendi leggere il pluripubblicizzato ed anticipatamente glorificato 1Q84 di Murakami.

Non credo lo leggerò, Murakami mi annoia. Però non si sa mai, magari ci darò un’occhiata, l’ebook in inglese si trova.

Te lo sconsiglio. Ho letto 1Q84 perché mi piace abbastanza Murakami (quello soft-weird, non quello romantico alla Norwegian Wood). Il meccanismo-murakami in questo caso inizia a pagina 500 (quindi a metà del secondo libro… di due libri che il volume contiene). Insomma, fino a pagina 500 non succede nulla. Inoltre, a differenza di altri libri di Murakami, questa traduzione mi pare anche mal fatta, specie i primi capitoli.

C’è però una notazione interessante. Il protagonista, che si chiama Tengo, è uno scrittore e il suo editor gli chiede di riscrivere il romanzo di una diciassettenne (la seconda protagonista femminile) che pur avendo una grande fantasia scrive da cani. Quando Tengo ha finito il suo lavoro di riscrittura e consegna il romanzo all’editor, questi gli suggerisce di modificare un punto:

“- Quando, dopo che i Little People hanno costruito la crisalide d’aria, la luna si sdoppia. La bambina alza gli occhi e nel cielo vede due lune. Ti ricordi quel passaggio?
- Certo che me lo ricordo.
- Se posso dire la mia, quel riferimento alle due lune non è sufficiente. Il passaggio è troppo breve. Vorrei che tu descrivessi la scena in modo più dettagliato e concreto. E’ l’unico appunto che ho da farti.
- Sicuramente la descrizione è un po’ succinta. E’ solo che non volevo rovinare il flusso della narrazione di Fukaeri aggiungendo spiegazioni.
Komatsu sollevò la mano che teneva la sigaretta.
- Tengo, rifletti su questo. Se parliamo dei soliti cieli stellati, ogni lettore nella sua vita ne ha visti in abbondanza. Sei d’accordo? Però, fino a prova contraria, di cieli con due lune non se ne sono visti molti. Se in un romanzo s’introduce una cosa che la totalità dei lettori non ha mai visto, è d’obbligo una descrizione il più precisa possibile”

Una piccola lezione di scrittura. Peccato che l’intero rimanzo di Murakami non sia scritto con la dovuta cura.

Ciao, Ezra

#106 Comment By francesco On 12 luglio 2012 @ 15:38

Ho letto i primi paragrafi e non ho retto, fa veramente schifo.
Inoltre non capisco una cosa : il fatto che un racconto sia fantasy non significa che devi prendere tutte le regole della fisica e farne un falò, nel signore degli anelli, Legolas non usava il bazooka e Gandalf non volava lanciando scoregge di fuoco.

#107 Comment By Lyu On 30 gennaio 2013 @ 22:05

Tempo e tempo fa (relativamente, s’intende), mi ero fatta comprare questo libro, più che altro attirata da copertina e trama. Poi avevo provato a leggerlo e lo avevo abbandonato dopo una quindicina di pagine. Credevo che fossi io ad essere stanca o troppo poco attenta o altre cose, ma questa recensione (e ovviamente tutte le altre) mi hanno aperto gli occhi: non sono io a dovermi adattare al libro, ma il libro a doverlo fare a me, e l’autore che lo scrive con esso (la logica approva) !
Grazie mille per tutte le tue recensioni, Gamberetta: spero che ti faccia viva ancora! Anche con altri consigli per la scrittura, o magari anche mezzi scleri, fai te.


URL dell'articolo: http://fantasy.gamberi.org/2011/10/26/alice-nel-paese-della-fuffosita/

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