Archivio per ottobre 2007

Recensioni :: Manga :: Uzumaki

Copertina di Uzumaki Titolo originale: Uzumaki
Titolo inglese: Uzumaki – Spiral Into Horror
Disegni: Junji Ito
Storia: Junji Ito

Anno: 1999
Nazione: Giappone
Lingua: Giapponese
Traduzione in lingua inglese: Yuji Oniki
Editore: Viz Comics

Genere: Orrore, Fantasy, Spirali
Pagine: 600 circa in 3 volumi

Qualche volta mi domando se gli abitanti di Tabasco, in Messico, nell’anno 1519 si raccontassero storie d’orrore. E se qualcuno, con aria accondiscendente, non spiegasse che in realtà i “mostri che vengono dal mare” non esistono, che è solo metafora delle paure sociali, che è da bambini credere davvero esistano creature soprannaturali come i centauri. Nel Marzo 1519 sbarcò Cortés, con cavalli e armi da fuoco.

Hernán Cortés
Hernán Cortés

Eppure quella della Metafora è una storia che si sente spesso, quasi che un’opera (specie se di genere fantastico) acquisisse maggior valore se interpretabile rispetto alla realtà attuale. L’invasione aliena sarebbe ridicola e fanciullesca, l’invasione aliena come Metafora del ritorno del comunismo o del fascismo, dell’immigrazione clandestina, o del disgregarsi della famiglia tradizionale invece sarebbe Arte. No, è, tanto per cambiare, il contrario.

Una storia che parli di una vera invasione aliena, non metafora di altro, ma una letterale invasione aliena, è una storia eterna, ed è una storia paurosa, perché come apparvero le navi spagnole al largo delle coste messicane nel 1519, così, per quanto minima, esiste la possibilità che appaiano navi spaziali nella nostra orbita. E sappiamo bene come finì in Messico…
Un’invasione metaforica è invece una storia legata all’immediatezza storica, che già fra pochi anni non avrà più senso, e soprattutto non saprà emozionare più di tanto: sarò scema io, ma se mi dicono che il mio ragazzo è un alieno vero mi spavento, se è invece una metafora perché vuole lasciarmi (divenire ‘alieno’ a me), ebbene me ne trovo un altro, chi se ne sbatte!

Questa premessa per introdurre un autore di manga d’orrore che scrive e disegna storie eterne e paurose: Junji Ito.

Junji Ito, mangaka e dentista giapponese, è stato definito il “Lovecraft del Sol Levante”. Definizione forse un po’ azzardata ma che ben si addice alle sue opere migliori, le quali, a mio modesto avviso, sono Uzumaki e Gyo.
Tra i due il mio preferito è Uzumaki, per l’incredibile quantità di fatti bizzarri e fantasiosi che l’autore riesce a escogitare, sebbene la vicenda di Gyo sia per certi versi più serrata e coerente.

Copertine dei tre volumi della prima edizione americana
Copertine dei tre volumi della prima edizione americana

Uzumaki racconta la storia della piccola cittadina nipponica di Koruzo-cho, cittadina che diviene preda della maledizione della Spirale. Il termine ‘uzumaki’ infatti vuol dire vortice o spirale.

La Spirale non è una metafora, non è un nome bislacco per qualche strano mostro, è ciò che è: un concetto geometrico. In altre parole, nelle seicento pagine del manga, assisteremo alla lotta disperata fra gli abitanti di Koruzo-cho e un’entità matematica. Alla faccia di chi pensa che non si possano più inventare nemici terrificanti e originali!

La Spirale si manifesta deformando corpi, oggetti, la luce stessa e lo spazio-tempo. La Spirale sconvolge la mente degli abitanti di Koruzo-cho, costringendoli a propagarla. E non c’è scampo, perché la Spirale è ovunque: la Spirale è sui polpastrelli delle dita, è la tromba di una scala a chiocciola, è il disegno su un dolciume tipico, è nelle conchiglie, nelle foglie delle piante, e in mille altri luoghi.

Spirali nell'erba
La Spirale è ovunque, anche nell’erba

La Spirale è eterna e indistruttibile, proprio perché è un concetto, inoltre, come per gli orrori cosmici lovecraftiani, origini e reali intenzioni della Spirale sono inconoscibili e chi cerca di svelarne i segreti ne esce pazzo o morto (nel caso specifico, pazzo o morto prima degli altri).

Ciò nonostante, Ito non lascia il lettore del tutto allo scuro: al crescere dell’influenza della Spirale su Koruzo-cho, particolari sono rivelati e alla fine sarà mostrato persino il luogo dove “vive” la Spirale.

La Spirale è inquietante e questo è molto più di quanto si possa dire per centinaia di altri “mostri” della letteratura horror. È inquietante perché è così aliena a noi: sempre per citare Lovecraft, è il genere di “entità” che non dovrebbe esistere, eppure è reale, reale in maniera orribile.

Tecnicamente Uzumaki si articola in una serie di capitoli collegati fra loro, che mostrano i vari effetti della Spirale, effetti sempre più devastanti e bizzarri. Buona parte dei capitoli ha per protagonisti Kire Goshima, studentessa al locale liceo, e il suo ragazzo, il taciturno Saito Shuichi. In realtà Kire e Saito nella gran parte dei casi poco possono fare, se non assistere impotenti al diffondersi della maledizione. Quando decideranno che l’unica possibile soluzione è la fuga, sarà troppo tardi… e non sto svelando niente: la sensazione di apocalisse imminente e inevitabile è ben percepibile fin dalle prime tavole.

Inizio
L’inizio della storia. Clicca per ingrandire

La mia totale ignoranza nel campo delle arti figurative non mi permette di esprimere un sensato giudizio di merito riguardo ai disegni di Ito, però posso affermare che certe rappresentazioni degli effetti della Spirale sono così deliziosamente dettagliate e contorte da risultare assolutamente affascinanti.

Tavola 1 Tavola 2 Tavola 3 Tavola 4
Tavola 5 Tavola 6 Tavola 7 Tavola 8

Alcune tavole di Uzumaki. Clicca per ingrandire.

L’unico possibile difetto di Uzumaki è quello di essere troppo strano. Io adoro la stranezza e le situazioni bizzarre (strane e bizzarre, non stupide), ma cercando di valutare oggettivamente, alcuni lettori potrebbero trovare che certi capitoli sconfinano dal bizzarro nel ridicolo.

Nota a margine: nel 2000 è stato tratto un film da Uzumaki, con uguale titolo. Il film, diretto da Higuchinsky (che aveva già diretto un film tratto da un manga di Ito, ovvero Nagai Yume) riesce bene a catturare lo spirito del manga e a riproporne con efficacia alcune scene, sebbene sia evidente che il budget per gli effetti speciali è quello che è. In particolare Higuchinsky ha avuto una brillante idea nell’inserire Spirali CG in vari momenti: all’inizio lo spettatore non se ne accorge, ma una volta che nota la prima, sempre più Spirali gli saranno evidenti, e come i personaggi, sempre più si renderà conto del diffondersi della maledizione.
Il film non copre tutto l’arco del manga ma solo alcuni capitoli, fermandosi prima che gli effetti della Spirale diventino tali da richiedere effetti speciali hollywoodiani. È un peccato perché lo spettatore del solo film non avrà neppure quelle poche risposte sulla Spirale che il manga offre.

Trailer di Uzumaki

Approfondimenti:

bandiera EN Uzumaki Volume 1 su Amazon.com
bandiera EN Uzumaki Volume 2 su Amazon.com
bandiera EN Uzumaki Volume 3 su Amazon.com

bandiera EN Junji Ito su Wikipedia
bandiera EN Un sito dedicato alle opere di Junji Ito

bandiera EN Uzumaki il film su IMDb
bandiera EN Una recensione di Uzumaki il film

bandiera EN Hernán Cortés su Wikipedia

 

Giudizio:

Un sacco di situazioni bizzarre e fantasiose. +1 -1 Alcune al limite del ridicolo.
La Spirale è inquietante. +1
La Spirale è originale. +1
La Spirale si mangerebbe Cthulhu in un boccone! +1
I disegni mi sono piaciuti. +1

Quattro Gamberi Freschi: clicca per maggiori informazioni sui voti

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Bullshit! (e la dea nascosta)

Wolfgang Pauli, il famoso fisico, si diceva che portasse rogna : sono più d’uno i casi di costosissimi apparecchi scientifici misteriosamente sfasciati da Pauli, grazie alla sua mera presenza. Inoltre Pauli pare avesse un caratteraccio, e fosse incline alla critica feroce.
Una volta, dopo aver letto un articolo di un giovane collega, giudicò che l’articolo non solo non era giusto, ma non raggiungeva neanche la dignità di essere sbagliato!

Wolfgang Pauli
Wolfgang Pauli

Affermazioni talmente squinternate da non poter essere messe in rapporto con il concetto di verità, sono definite da Harry G. Frankfurt, professore di filosofia all’Università di Princeton, come stronzate.
Nel suo saggio On Bullshit (titolo italiano: Stronzate. Un saggio filosofico) il professor Frankfurt analizza le stronzate e il loro rapporto con le sciocchezze e le menzogne. In particolare è sottolineata la pericolosità sociale delle stronzate; tale pericolosità, secondo il professore, è anche maggiore di quella delle menzogne.

On Bullshit
On Bullshit di Harry Gordon Frankfurt

Frankfurt, con rigore e avvalendosi di citazioni che spaziano da Ezra Pound a Sant’Agostino, individua l’essenza delle stronzate. Per Frankfurt le stronzate sono parole (e atti) che hanno lo scopo d’ingannare chi le riceve sulle intenzioni o lo stato mentale di chi le pronuncia. La differenza fondamentale con le menzogne è che queste ultime raggiungono lo scopo partendo dalla negazione di una verità, verità che però chi le pronuncia deve aver ben chiara, mentre le stronzate non hanno alcun rapporto con la verità.
“L’Iraq possiede armi di distruzioni di massa.” Questa affermazione del presidente Bush adesso viene considerata una menzogna e tuttavia alla sua origine è una stronzata. Bush vuole invadere l’Iraq e convincere l’opinione pubblica interna e internazionale che sia una buona idea, dunque afferma che Saddam possiede armi di distruzione di massa. Bush non si pone davvero il problema della armi: forse Saddam le possiede davvero, forse no, ma non è importante. Quello che davvero gli importa è convincere i propri interlocutori della giustezza dei suoi motivi, perciò dice tutto quanto possa essere utile a tale scopo, indipendentemente se sia vero o no! Una tipica stronzata.
Perché le stronzate sono più gravi delle menzogne? Perché le stronzate diffondono il concetto che non solo la verità sia inconoscibile, ma che non si debba neanche provare a cercarla. Proprio come le teoria scientifiche non falsificabili (e che dunque non vengono considerate teorie scientifiche), le stronzate sono immuni da qualunque critica. Ci si può difendere dalle menzogne, mostrandole come tali, ma non ci si può difendere dalle stronzate, perché le stronzate non hanno alcuna base, sono eteree, sono aria fritta. Ed è inutile sottolineare quanto disastrose possano essere le decisioni prese sulla base dell’aria fritta.

Il presidente Bush
. . .

Un’altra caratteristica che Frankfurt individua nelle stronzate è il loro essere sciatte e grossolane, proprio come gli escrementi. Siccome le stronzate non hanno rapporto con la verità, sarebbe sforzo inutile renderle anche solo verosimili, meglio sparlarle grosse a ogni occasione.

Cosa c’entra tutto ciò con la letteratura fantasy? In poche parole il fantasy è pieno di stronzate. Per alcuni versi è quasi inevitabile (per esempio, la magia per sua stessa natura deve possedere alcune delle caratteristiche irrazionali delle stronzate) ma queste stronzate inevitabili sono stronzate benigne; non mancano però le stronzate vere e proprie, in grado di mandare in bestia il lettore attento (me stessa).

Stavo infatti leggendo Ethlinn La Dea Nascosta di Egle Rizzo e già nel primo capitolo ci sono un paio di stronzate davvero fastidiose.

Ma Nyck era il figlio del fabbro che forgiava le armi dei custodi, e il ragazzo aveva fatto amicizia con alcuni di essi. Sin dall’infanzia si era allenato insieme a loro, con le spade di legno che adoperavano durante gli addestramenti. Pur essendo un guaritore, il giovane indossava di rado la tunica dell’Ordine, ed aveva il portamento di un guerriero.
Era per ironia della sorte uno degli schermidori più esperti del Regno, e tuttavia non avrebbe mai potuto impugnare una vera spada, perché così voleva la legge, né in verità lui sembrava darsene pena. Non era tipo Nyck da desiderare una vera battaglia, preferiva continuare a giocare.

Nyck non ha mai preso in mano una vera spada eppure è uno degli schermidori più esperti del Regno: ecco una stronzata!
A Nyck non interessa combattere o partecipare alle battaglie. Ma se Nyck fosse solo il figlio del fabbro, queste affermazioni potrebbero suonare false o ipocrite: è ovvio che lo sfigato figlio del fabbro non voglia combattere! È come se io dicessi che le Rolls-Royce mi fanno schifo, potrebbe essere vero, ma più di uno potrebbe pensare che sto disprezzando le Rolls-Royce solo perché non avrò mai i soldi per comprarne una. Nyck che disprezza le battaglie potrebbe essere preso come Nyck lo sfigato che disprezza le battaglie perché non avrà mai il coraggio di affrontarne una. Allora entra in gioco la stronzata: Nyck è uno degli schermidori più esperti del Regno, perciò non è uno sfigato e dunque parla non per vigliaccheria, ma a ragion veduta.
Da notare che l’autrice non sta necessariamente mentendo, per quanto improbabile può essere che Nyck sia uno degli schermidori più esperti del Regno, il fatto è che non le interessa: lo scopo è dare una certa immagine di Nyck, e a tale scopo qualunque affermazione va bene, indipendentemente se sia vera o no! Appunto una stronzata.
È visibile anche la seconda caratteristica delle stronzate: Nyck non è il più esperto schermidore della sua città o rispetto alla sua età, o in relazione al suo addestramento, no, Nyck è direttamente il più esperto dell’intero Regno. Come si diceva: spararle grosse.

Poche pagine più avanti, ecco un’altra stronzata:

Poi fece un cenno ad uno dei suoi uomini, che lanciò verso la barca un arpione. Aconito gridò loro di fermarsi, ma era già tardi, il suono della sua voce venne coperto da uno scoppio improvviso. L’arpione aveva lacerato uno dei sacchi e pochi istanti dopo il barcone era avvolto dal fuoco.
[...]
«Quella era un’imbarcazione dell’Accademia, e i sacchi contenevano una sostanza che brucia a contatto con l’aria. Ma come si sia slacciata la corda che legava il barcone al molo, questo lo ignoro».

È alquanto improbabile che in un mondo mediovaleggiante come quello di Ethlinn ci sia la tecnologia necessaria per manipolare e stoccare una sostanza che esplode a contatto con l’aria, e ancora più strano pare che tale sostanza venga tenuta all’interno di sacchi. Tuttavia non credo sia una menzogna, l’autrice non vuole mentire al lettore affermando l’esistenza nel suo mondo di una sostanza che in effetti non dovrebbe esserci, l’autrice vuole solo avere una barca che brucia per esigenze di trama e perciò racconta la prima cosa che le viene in mente, indipendentemente che sia vera o no. Una stronzata.

Potrei continuare ma non voglio dare l’impressione che Ethlinn contenga una densità di stronzate superiore alla media, non è vero, anche se è vero che la media è sconsolante. Più che altro mi domando come mai, lungo la catena che parte dalla prima rilettura dell’autore e arriva fino alla pubblicazione, nessuno abbia mai esclamato, “eh! Ma questa è una stronzata!” e quindi preso gli adeguati provvedimenti.

Copertina di Ethlinn La Dea Nascosta
Copertina di Ethlinn La Dea Nascosta

Il sospetto è che, come del resto rileva anche lo stesso Frankfurt, ci si stia assuefacendo alle stronzate. Politici e pubblicitari, ma non solo loro, negli ultimi tempi hanno rovesciato sul prossimo talmente tante stronzate che non ce ne accorgiamo neanche più quando se ne sentono di nuove.

Perciò rimane solo un appello alla coscienza degli scrittori, presunti tali e aspiranti tali: non scrivete stronzate! (e se non l’avete ancora fatto, leggete il saggio di Frankfurt!)


Approfondimenti:

bandiera EN Wolfgang Pauli su Wikipedia

bandiera IT Stronzate. Un saggio filosofico su iBS.it
bandiera EN On Bullshit su Amazon.com
bandiera EN Harry Gordon Frankfurt su Wikipedia

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Recensioni :: Saggio :: How to Write Science Fiction and Fantasy

Copertina di How to Write Science Fiction and Fantasy Titolo originale: How to Write Science Fiction and Fantasy
Autore: Orson Scott Card

Anno: 2001
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Editore: Writer’s Digest Books

Genere: Manuale di scrittura
Pagine: 140

Uso un PC tutti i giorni, e tra gestire il blog, giocare online, chiacchierare a vanvera e altre attività più o meno utili, trascorro moltissime ore alla tastiera. Qualche volta mi è anche venuta voglia di capire come funzionino e come si programmino i computer.
Uno dei libri universitari di mio fratello aveva l’attraente titolo di L’Arte della Programmazione dei Computer di Donald Knuth. Nonostante il titolo accattivante mi sono stufata a pagina 5!

L’Arte della Programmazione dei Computer
L’Arte della Programmazione dei Computer o L’Arte della Noia?

L’altra attività alla quale dedico ore e ore è la lettura e la scrittura. Come per i computer, nel corso del tempo ho sviluppato un certo interesse a capire i meccanismi alla base di tali attività. Perciò ho cominciato a leggere libri che ne parlassero, e per fortuna si sono rivelati molto più appassionanti di quel pedante di Knuth!

Dato che buona parte delle mie letture spaziano tra fantascienza e fantasy, ho pensato che How to Write Science Fiction and Fantasy di Orson Scott Card fosse l’ideale. In realtà sono rimasta un po’ delusa: il libro di Scott Card è una lettura piacevole ma più spesso che non quel Write nel titolo è inteso come “essere scrittori”, piuttosto che “scrivere” in senso tecnico. Un titolo coerente con il contenuto dell’opera sarebbe dovuto essere più o meno questo: Sbarcare il Lunario quale Scrittore di Fantascienza in America. Infatti anche quel Fantasy è fuorviante: Scott Card di occupa quasi esclusivamente di fantascienza, dedicando di specifico al fantasy non più di qualche paragrafo. Infine quasi due capitoli su cinque sono riservati al mercato statunitense della fantascienza, lettura di per sé interessante ma di scarsa utilità se si sta cercando di analizzare un fantasy italiano.

Copertina di Ender's Game
Copertina de Il Gioco di Ender, capolavoro di Orson Scott Card

Nondimeno non mancano spunti apprezzabili.
In particolare ho apprezzato il capitolo secondo (World Creation). Scott Card narra un aneddoto della sua carriera, ovvero come il suo romanzo fantasy Hart’s Hope (in italiano: I Giorni del Cervo) sia nato dal disegno della piantina di una città medievale, disegno tracciato per puro svago. E tuttavia lo scopo della storiella è sottolineare come l’idea alla base di un romanzo possa nascere in ogni momento e provenire da qualunque direzione, e non, come molti altri fanno, che partire dal disegnare una mappa sia una buona pratica. Certo, se la storia è ambientata in un mondo alieno o fantastico, occorre che tale mondo abbia consistenza fisica e precisa conformazione geografica, ma questo non è fondamentale, è invece fondamentale stabilire da subito le regole alla base dell’Universo nel quale è collocato il mondo.
L’esempio sui viaggi spaziali è illuminante: poniamo che la nostra storia abbia per protagonisti dei terrestri su un pianeta alieno; si potrebbe pensare che forse il perché si trovino lì abbia la sua importanza, ma che il come sia secondario. E invece non è vero! A seconda di quale tecnologia sia alla base dei viaggi spaziali, l’intera storia cambia, anche se la vicenda si svolge solo ed esclusivamente sul pianeta alieno.
Se i terrestri hanno tecnologia tale da poter tornare sulla Terra in poche ore si comporteranno in una maniera, se il viaggio richiede invece anni in un’altra, se è facile il possibile arrivo di soccorsi o aiuti da altri mondi la storia prenderà una piega, se non è possibile un’altra e così via. In altre parole, benché non ci siano viaggi spaziali, il conoscere le regole alla base dei viaggi spaziali è ugualmente di vitale importa per la storia.

Un esempio analogo viene esposto riguardo le regole della magia. Vengono ipotizzate delle regole per le quali la magia è legata alle mutilazioni: i maghi possono lanciare incantesimi solo sacrificando sangue e carne del proprio corpo o di altri esseri viventi. Sono esposte diverse varianti ambientante in mondi diversi, compreso il nostro (nel quale varie malattie non sarebbero altro che un effetto secondario dell’uso della magia). Il punto è lo stesso di prima: alla base del “World Creation” non c’è il mondo fisico, ma le regole che lo governano. Addirittura spesso le regole sono più caratterizzanti che non qualunque attributo geografico o la presenza o meno del tale alieno o creatura fantastica.

Capitan Uncino
Capitan Uncino, in realtà vittima della magia?

Un’altra cosa che Scott Card sottolinea spesso è chiedersi sempre il perché. Com’è noto uno scrittore dovrebbe conoscere i propri personaggi e averne ben chiara la biografia, tuttavia non è sufficiente, non basta sapere che il personaggio Tizio ha frequentato la tale Università o si è scelto il tale lavoro, bisogna sempre chiedersi perché l’ha fatto. Così come se una creatura ha tre occhi o un corno in testa, occorre chiedersi il perché. Quale vantaggio evoluzionistico ne ha ottenuto? O c’è un significato mistico o simbolico? Lo scrittore dovrebbe tener sempre conto del perché il mondo è così come l’ha creato, delle motivazioni dei suoi personaggi (perché agiscono così?) e come visto prima, spesso anche del come tutto ciò avvenga.
Può sembrare complesso, in realtà Scott Card mostra che più si risponde ai perché e ai percome, più diventa facile raccontare la storia che si vuole narrare. Più si è specifici e si assommano dettagli, più si aprono possibilità, invece di chiudersene.

Il capitolo terzo (Story Construction) è anche abbastanza interessante, sebbene con troppa insistenza rimandi a leggere Characters and Viewpoint dello stesso Scott Card.

Copertina di Characters and Viewpoint
Copertina di Characters and Viewpoint

Gran parte del capitolo è dedicato ai vari tipi di storia e a seconda di quale tipo si scelga dove cominciare e dove far finire la storia. Scott Card elenca quattro tipi di storie che coprono la quasi totalità della fantascienza e fantasy pubblicato:
1) Milieu. Storie dove il fulcro è mostrare al lettore mondi strani e bizzarri, per esempio il classico I Viaggi di Gulliver. La storia inizia con l’arrivo del protagonista nel mondo strano e bizzarro e termina con la dipartita del medesimo (o con la sua decisione di fermarsi).
2) Idea. Storie basate su un’idea e sulle domande ad essa collegate. 2001: Odissea nello Spazio, chi, come, perché ha sepolto un misterioso monolito nero sulla Luna? La storia inizia con l’idea (il monolito) che porta con sé le domande e termina quando le domande trovano risposta (anche se nel caso di 2001 una risposta non troppo soddisfacente!)
3) Character. Storie basate intorno all’evoluzione di un personaggio. La storia inizia nel momento in cui il protagonista decide di cambiare la propria vita (per esempio sposarsi) e termina quando il cambiamento si è esaurito (si è sposato/ha capito il suo sbaglio ed è fuggito in Africa).
4) Event. Storie basate su uno o più eventi che cambiano l’ordine del mondo, e continuano finché l’ordine non è ristabilito o emerge un nuovo ordine. L’Iliade si apre con un “evento” che cambia l’ordine delle cose, l’ira di Achille, e prosegue finché Achille non riprende a combattere e uccidendo Ettore riporta il mondo in riga. È il tipo di storia più diffuso nel fantasy: il Male mette in pericolo l’ordine del mondo, gli eroi lo combattono finché non è sconfitto e l’ordine viene ristabilito (o in rari casi invece il Male vince e impone un nuovo tipo di ordine).

Secondo Scott Card uno scrittore dovrebbe sempre aver chiaro quale tipo di storia sta scrivendo rispetto a queste categorie, perché il lettore le riconoscerà subito e dunque storcerà il naso se inizio e fine non coincidono con le sue aspettative. In altri termini, se la storia è un giallo basato su un’idea (Carlo è stato buttato dal cinquantesimo piano: chi è stato? Perché?), sarà necessario cominciare la storia stessa il più vicino possibile al fattaccio e concluderla alla risposta delle domande. Iniziare la storia con il fidanzamento dell’Ispettore a capo delle indagini e concluderla con il suo matrimonio non sarà visto di buon occhio dai lettori!

Il capitolo quarto (Writing Well) si occupa più propriamente di tecniche di scrittura. Purtroppo in maniera un po’ vaga e sconclusionata, saltando spesso di palo in frasca.
Il particolare che più mi ha incuriosita è l’uso delle metafore: uno scrittore di fantascienza e fantasy dovrebbe stare attento, perché potrebbe essere preso alla lettera anche se non era sua intenzione! Viene citato un racconto, non di genere fantastico, nel quale un autobus è definito “reptile bus”: letto a due gruppi diversi di persone, le reazioni sono state opposte.
Il primo gruppo, composto per lo più di appassionati di fantascienza e fantasy ha subito pensato a giganteschi rettili usati per il trasporto delle persone. Il secondo gruppo, composto da lettori non particolarmente interessanti al fantastico, l’ha intuita una metafora: il bus era definito rettile perché il suo procedere lungo la striscia d’asfalto ricordava il movimento di un serpente.
Per la cronaca, aveva ragione il secondo gruppo. Il succo è che scrivendo fantascienza e fantasy ci si sta rivolgendo a un pubblico specialistico con le proprie idiosincrasie, della quali si dovrebbe tener conto.

Reptile Bus
Snake Bus of Bliss

Ho tralasciato di parlare del capitolo primo e dell’ultimo, il quinto, perché entrambi sono strettamente legati al mercato statunitense della fantascienza. Il primo capitolo dovrebbe occuparsi delle definizioni di fantastico, fantasy, fantascienza, ecc. ma Scott Card ammette che criteri oggettivi non esistano e che quello che è importante è solo capire cosa ne pensi l’editor di Omni, o della Isaac Asimov’s Science Fiction Magazine o della tal casa editrice, perché lo scopo ultimo è pur sempre quello di vendere le proprie opere.
Così il capitolo quinto si occupa di questioni pratiche, del tipo di mettere da parte i soldi per le tasse, evitare di bere o drogarsi e scartare gli agenti letterari che chiedono più del 10% sui guadagni. Tutto ciò è anche divertente da leggere, ma la vita dello scrittore di fantascienza in America non credo insegni molto rispetto all’Italia.

Una nota dolente: Scott Card cita nel corso del libro in particolare tre romanzi, da lui considerati tre capolavori della fantascienza, sia pure in ambiti diversi. I tre romanzi sono: Wild Seed di Octavia Butler, Dragon’s Egg di Robert Forward e Arslan di M.J. Engh. La nota dolente è che nessuno dei tre è mai stato tradotto in italiano.

Copertina di Dragon's Egg
Copertina di Dragon’s Egg

Questo How to Write Science Fiction and Fantasy con le sue 150 pagine o poco meno è una lettura veloce, che si consuma in un paio di giorni. È anche una lettura piacevole, perché Scott Card usa un tono colloquiale senza fronzoli o tecnicismi.
Come accennato, contiene qualche idea interessante, ma nel complesso mi ha trasmesso un’impressione di superficialità. Magari lo riguarderò dopo aver letto Characters and Viewpoint, visto che il signor Card ha insistito tanto!


Approfondimenti:

bandiera EN How to Write Science Fiction and Fantasy su Amazon.com
bandiera EN Characters and Viewpoint su Amazon.com
bandiera EN Orson Scott Card su Wikipedia

bandiera EN Dragon’s Egg su Amazon.com
bandiera EN Dragon’s Egg su Wikipedia
bandiera EN Wild Seed su Amazon.com
bandiera EN Arslan su Amazon.com

 

Giudizio:

Tre capitoli interessanti… +1 -1 …ma due praticamente inutili.
Qualche concetto su cui riflettere… +1 -1 …e altri che lasciano il tempo che trovano.
Lettura piacevole… +1 -1 …però un po’ troppo superficiale.

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Recensioni :: Film :: Grindhouse

L’ultimo progetto di Tarantino & Rodriguez era realizzare uno spettacolo che riproducesse l’esperienza di un drive-in anni ’70 dedito ai film di serie B. Per far questo ognuno dei due ha realizzato un film, da proiettarsi uno dietro l’altro, inframmezzati da trailer di film che non esistono.

Locandina di Grindhouse
Locandina di Grindhouse

Non ho idea se l’esperimento abbia avuto successo. Intanto negli anni ’70 non ero ancora nata, poi non sono mai stata in un drive-in in vita mia e infine in Italia e su DVD i film sono usciti separatamente e senza i trailer farlocchi (a pare quello per Machete, presente sul DVD di Planet Terror). In compenso le versioni DVD sono versioni estese dei due film (in particolare il film di Tarantino, Death Proof, ha quasi 25 minuti di pellicola in più).

Trailer di Grindhouse

Nel tentativo di rimanere fedele all’idea di partenza di Tarantino e soci, ho visto in una sera entrambi film e i trailer scaricati da YouTube, nell’ordine di proiezione originaria, ovvero:

  • Trailer per Machete (regia di Robert Rodriguez)
  • Film Planet Terror (Robert Rodriguez)
  • Trailer per Werewolf Women of the S.S. (Rob Zombie, regista di House of 1000 Corpses e The Devil’s Rejects)
  • Trailer per Don’t (Edgar Wright, Shaun of the Dead, Hot Fuzz)
    Trailer per Thanksgiving (Eli Roth, Hostel, Hostel: Part II)
  • Film Death Proof (Quentin Tarantino)

Premesso che i falsi trailer sono spassosissimi, il film di Rodriguez è senza pretese ma molto divertente, mentre quello di Tarantino è noioso, sebbene si risollevi nel finale. Nel complesso è stata una serata piacevole. Sia Rodriguez sia Tarantino sono ottimi registi, mi rimane però il dubbio che siano bravissimi a sfruttare le idee altrui, ma loro personalmente non abbiano niente di originale da dire.

Planet Terror
Death Proof


Planet Terror

Locandina di Planet Terror Titolo originale: Planet Terror
Regia: Robert Rodriguez

Anno: 2007
Nazione: USA
Studio: Troublemaker Studios
Genere: Azione, Orrore, Commedia, Fantascienza
Durata: 1 ora e 45 minuti

Lingua: Inglese

Planet Terror è una sorta di parodia dei film dell’orrore con gli zombie e al contempo è esso stesso un decente film dell’orrore, con un’adeguata quantità di macelleria. In questo mi ha ricordato Shaun of the Dead, sebbene lo stile di Rodriguez sia diversissimo da quello di Wright. Per altro Planet Terror è un film divertente ma nulla più, mentre Shaun of the Dead è un mezzo capolavoro.

La trama di Planet Terror: alcuni reduci dall’Iraq tornano in America infettati da un’arma batteriologica che tramuta gli uomini in zombie mangia cervelli. Dalla base militare l’infezione si diffonde a una vicina cittadina texana e da lì al resto del mondo. I pochi immuni dovranno affrontare le orde dei morti viventi.
Gli immuni comprendono il misterioso El Wray, in grado di massacrare gli zombie con qualunque arma, la spogliarellista Cherry Darling, che si ritroverà un fucile mitragliatore montato al posto di un gamba divorata dai nonmorti, lo sceriffo Hague in compagnia del suo goffo assistente Tolo, e molti altri bizzarri personaggi.

Il film ha bel ritmo, con una serie dietro l’altra di sequenze d’azione grottesche e sanguinarie in maniera esagerata. Non mancano squartamenti, eviscerazioni, e un elicottero che vola radente al suolo mozzando la testa agli zombie con le pale (sì, c’è una sequenza praticamente identica anche in 28 Weeks Later, solo che almeno qui non si pretende venga presa sul serio).
L’ambientazione è moderna (il personaggio interpretato da Bruce Willis ha appena ucciso Bin Laden!) tuttavia il film ha un aspetto volontariamente trasandato, da residuato di magazzino non più proiettato da trent’anni. La pellicola è rovinata apposta, i colori spesso sono sbiaditi o troppo saturi, l’audio è pieno di rumori e addirittura manca un intero pezzo del film (con tanto di cartello di scuse da parte del gestore del cinema!)

Manca un pezzo di film!
ops…

Film divertente, con molte situazioni e dialoghi tanto assurdi da far sghignazzare. Alcune trovate però potrebbero apparire di cattivo gusto per chi non apprezza la macelleria.

 

Giudizio:

Macelleria a profusione. +1 -1 Che però potrebbe risultare di cattivo gusto per alcuni.
Bruce Willis ha un piccola ma importante particina. +1 -1 Anche Quentin Tarantino ha una particina, peccato non sappia recitare.
Divertente. Forse divertente in maniera un po’ cretina, ma sempre divertente. +1
Personaggi e storia bizzarri al punto giusto. +1

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Intermezzo

Trailer di Werewolf Women of the S.S.

Death Proof

Locandina di Death Proof Titolo originale: Death Proof
Titolo italiano: A Prova di Morte
Regia: Quentin Tarantino

Anno: 2007
Nazione: USA
Studio: Troublemaker Studios
Genere: Thriller, Azione, Chiacchiere
Durata: 1 ora e 54 minuti

Lingua: Inglese

Nel film di Tarantino non ci sono zombie. In compenso c’è Kurt Russell nella parte di Stuntman Mike, uno stuntman psicopatico che usa la propria automobile di scena (rinforzata ad arte per essere 100% a prova di morte, appunto Death Proof) per massacrare mediante spettacolari incidenti ragazze non troppo furbe.
Detto così sembra divertente, e forse lo sarebbe, se gli atti di vandalismo stradale di Mike non fossero inframmezzati da estenuanti conversazioni tra le ragazze future vittime, che vanno avanti a chiacchierare per intere mezz’ore. E purtroppo non è un’esagerazione.

La prima strage di Stuntman Mike e il doppio inseguimento che chiude il film sono sequenze bellissime e spettacolari, purtroppo in totale non superano i 20 minuti su quasi due ore di film. Il resto è NOIA. Non succede niente, letteralmente, se non chiacchiere, e chiacchiere e ancora chiacchiere, fra l’altro su argomenti quali le auto d’epoca o la cinematografia anni ’70, argomenti che non dubito eccitino Tarantino, ma che personalmente mi lasciano indifferente.

Come nel film di Rodriguez l’azione si svolge ai nostri giorni, sebbene anche qui siano stati usati tutta una serie di espedienti per ricreare un’atmosfera anni ’70. Anche sotto questo aspetto Rodriguez credo abbia svolto un lavoro migliore, mentre Tarantino è incappato in alcune brutte cadute di stile (per esempio, ogni volta che un personaggio prende in mano un cellulare è sempre evidentissima la marca).
Tarantino si è riservato per sé una particina anche in Death Proof, con il risultato di confermare che come attore è ridicolo.

Stuntman Mike
Stuntman Mike

Film non bruttissimo ma eccessivamente lungo per la storia che vuole raccontare. Forse è il film meno riuscito nella carriera di Tarantino.

 

Giudizio:

Kurt Russell è ottimo nella parte di Stuntman Mike. +1 -1 Tarantino è protagonista di un altro penoso cameo.
Bel finale. +1 -1 Peccato ci vogliano due ore di noia per arrivarci.
-1 Quintali di chiacchiere su argomenti inutili.
-1 Pubblicità non troppo occulta.

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Approfondimenti:

bandiera EN Grindhouse su IMDB
bandiera EN Planet Terror su IMDB
bandiera EN Death Proof su IMDB

bandiera EN Robert Rodriguez su Wikipedia
bandiera EN Quentin Tarantino su Wikipedia

Scritto da GamberolinkCommenti (11)Lascia un Commento » feed bianco Feed dei commenti a questo articolo Questo articolo in versione stampabile Questo articolo in versione stampabile • Donazioni

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