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Recensioni :: Romanzo :: Il Silenzio di Lenth

Copertina de Il Silenzio di Lenth Titolo originale: Il Silenzio di Lenth
Autore: Luca Centi

Anno: 2009
Nazione: Italia
Lingua: Italiano
Editore: Piemme

Genere: Fantasy
Pagine: 430

Piccola premessa: questa recensione non sarà obiettiva. Di solito metto in evidenza tutti gli errori – dalle incongruenze nella trama ai cambi ingiustificati di punto di vista – ma non oggi. Oggi vi parlerò di un romanzo che mi è piaciuto. Un romanzo che, sbagliando, ritenevo adatto solo a un pubblico di adolescenti. Invece sono stata smentita. Meglio essere sorpresi in meglio, come in questo caso, che in peggio, come nel caso della Strazzulla – per la quale, forse, avevo troppe aspettative.
Iniziamo con il dire che lo stile di Luca Centi è fresco, scattante, scorre che è una meraviglia, come le opere di troisiana memoria…

… ehm, no. Lo stile di Luca Centi è farraginoso, impreciso, vago e porta alla noia in poche pagine.
Dato che era l’ultima recensione di un romanzo fantasy italiano (vedi qui), volevo sperimentare quale sensazione si provasse a leccare senza dignità. Non avendo esperienza, ho copiato. Ma niente, non provo niente. Non mi sono eccitata neanche un po’. Devo essere strana.

Non ho concluso la lettura de Il Silenzio di Lenth. Con enorme fatica, mi sono trascinata fino a pagina 150 o giù di lì. Poi ho lasciato perdere: non mi paga nessuno ed era una tortura. È in assoluto il romanzo peggio scritto che abbia mai letto. È una dura lotta con l’ultimo Premio Urania, l’atroce E-Doll, ma alla fine Luca Centi la spunta. Infatti, se non avessi dovuto scrivere la recensione, avrei abbandonato la lettura intorno a pagina 20 o anche prima.

Lo stile di Luca Centi è un gradino sotto quello del Ghirardi. Molto sotto la Strazzu e al confronto Licia Troisi pare un genio. Poi capisco che Lenth possa piacere di più di un Bryan di Boscoquieto. Ma solo perché il Boscoquieto è pieno di scene di pessimo gusto. Se togliamo il gusto, e rimaniamo nell’ambito tecnico, il Ghirardi se la cava meglio. E il Ghirardi scrive MALE.
Non c’è niente in Lenth, almeno nelle prime 150 pagine, che possa compensare lo stile pessimo. Elementi fantastici: nessuno degno di nota. Ambientazione: non pervenuta – letteralmente, non ci sono descrizioni, tanto che in certi punti non si capisce neppure se l’azione si svolge al chiuso o all’aperto. Personaggi: indefiniti. Trama: banale.
Pur con tutta la buona volontà, non ho trovato niente di buono. Non c’è una sola scena che sia una, che non andrebbe riscritta da zero. Siamo al di là del brutto. Per me questa non è narrativa. Non è neppure narrativa in lingua italiana: il romanzo sembra scritto in italiano, in verità è un’altra lingua, nella quale le parole hanno un significato diverso da quello consueto.
È per questo che Il Silenzio di Lenth mi ha convinta a non occuparmi più del fantastico scritto in Italia: non ho gli strumenti per analizzare un romanzo del genere. Sono sicura che Luca Centi e la sua editor, tale Francesca Lang, siano persone piene di talento e di capacità, ma qualunque sia l’ambito nel quale esercitano le loro qualità, posso affermare con certezza che non è quello della narrativa di genere fantastico scritta in lingua italiana.
Il Silenzio di Lenth mi ha comunicato la stessa sensazione di straniamento che mi capita quando in casa d’altri vedo un televisore acceso: non è tanto che i programmi siano “brutti” è che proprio non ne colgo il senso. Mi paiono alieni e incomprensibili. Qui lo stesso: dove sono gli elementi che sono abituata a trovare in un romanzo? Dove sono storia, personaggi, azione, avventura, fantastico, sense of wonder? Non c’è nulla di tutto ciò.

Un dettaglio della mappa di Lenth
Un dettaglio della triste mappa di Lenth

Non darò un voto. Sarebbero almeno 150 gamberi marci (appena uno per ogni pagina che ho letto – voglio essere generosa), ma confesso la mia incapacità di capire appieno questa nuova forma di intrattenimento vagamente simile alla narrativa. Dunque lascio perdere i gamberi.
E poi può anche darsi che da pagina 151 il romanzo diventi un capolavoro. Anzi, è molto probabile. Parliamo di un romanzo pubblicato da una Grande Casa Editrice, potrebbe essere meno che splendido? Impossibile!

D’altra parte, una recensione, per essere utile, deve rispondere alla domanda: vale la pena spendere soldi e tempo per leggere il romanzo in questione?
La risposta è no. Non vale la pena leggere Il Silenzio di Lenth, né tantomeno buttare via venti euro per acquistarlo.

* * *

È ora il momento di prendere il sacco nero che è Lenth, aprirlo e rovesciarne il contenuto sul pavimento. Sarà divertente perché dopo Natale la gente butta via una marea di spazzatura interessante!
Ma prima, una citazione dai ringraziamenti in coda al volume:

Grazie a Francesca Lang, il mio primo critico e lettore, l’editor migliore che mi potesse capitare. Senza di lei questa avventura non sarebbe mai iniziata.

Perciò se ho buttato via venti euro è per merito di Francesca Lang. Grazie, Francesca!
La parata di errori che seguirà può essere sfuggita all’autore. Capita se sei un autore alle prime armi e non sei proprio un’aquila. Ma non può essere sfuggita all’editor. Se è competente è impossibile. Alcune pagine di Lenth, verso l’inizio, le ho lette mezza ubriaca: ugualmente ho colto senza problemi ogni imperfezione. Dopo un po’ diviene una seconda natura; non è concepibile che una persona che fa l’editor di mestiere non si accorga di certi orrori. A meno che la signora Lang, invece di lavorare, non preferisca osservare rapita le ombre dei criceti sul soffitto dell’ufficio.

Un criceto
Un criceto. Non ho voglia di inserire immagini di dolci coniglietti in un articolo che parla di un romanzo tanto brutto

Italiano

Dicevo che Il Silenzio di Lenth sembra scritto in Italiano ma forse non è vero. Il dubbio mi viene da diversi passaggi privi di logica, a meno che le parole non abbiano cambiato significato nottetempo. Parlo di passaggi così:

(pag. 130) Non approviamo la tua impazienza, ma crediamo che queste terre siano pericolose. Non penserai mica di poter fare affidamento unicamente alla spada?

Forse non approviamo l’impazienza perché queste sono terre pericolose? Se approvassimo l’impazienza, il “ma” andrebbe bene. Ma non approviamo.

(pag. 93) [il bastone] Era lungo e affusolato, in cima una gemma dorata che emanava un bagliore potente nonostante l’assenza di luce dell’abisso in cui erano scesi.

Perché una gemma emana un bagliore potente nonostante l’assenza di luce? Anzi, casomai è il contrario: se sono in un ambiente buio, una luce mi sembra più intensa di quanto sia in realtà.

(pag. 104) Seguì un lungo momento di silenzio, che si interruppe unicamente quando il sole svanì oltre le montagne, con l’accensione dei fuochi lungo le strade del villaggio.

Premetto che dopo questa frase la scena cambia. Dunque, qual è il legame logico che lega l’interrompersi del silenzio con l’accendersi dei fuochi? O si interrompe il silenzio perché il sole svanisce? “Seguì un lungo momento di silenzio, che si interruppe solo quando qualcuno urlò”, una frase del genere ha senso. La frase di Centi no.

(pag. 91) [il nilha] Aveva le stesse proprietà del jual, un tessuto in grado di tenere stabile la temperatura corporea, ma era anche molto resistente.

E ancora manca un legame logico: perché è necessario il ma? Perché un tessuto in grado di tenere stabile la temperatura corporea non dovrebbe essere resistente?
D’altra parte l’autore si pone un sacco di problemi, per esempio è costretto a specificare che:

(pag. 23) Intorno a lei, il fetore della morte, cadaveri mutilati senza un barlume di vita.

Notoriamente i cadaveri sprizzano vita da tutti i pori.

(pag. 7) [Lair] Fissava con lo sguardo l’incisione raffigurante quattro croci con una stella sovrapposta.

Mi raccomando, specifichiamo che fissava l’incisione con lo sguardo, perché altrimenti una potrebbe pensare che la fissava con il martello. Ma forse l’autore e la cara editor non sanno cosa vuol dire fissare nel suo significato di guardare. Il sospetto mi viene perché:

(pag. 15) Seduta su una panchina del parco, Lineade fissava con distacco l’albero che aveva accanto [...]

Mi sembra un tantino difficile “fissare con distacco”. Se guardi con distacco non stai “fissando”. D’altronde:

(pag. 72) In quell’istante il brano si interruppe, strappandomi violentemente il piacere che provavo.

Naturalmente, strappare significa staccare, portar via con forza, con violenza. Dunque il violentemente è il solito avverbio pleonastico. La solita solfa dell’acqua bagnata e del prato erboso. Una roba che non deve comparire in un libro pubblicato. Non giova che la frase sia ridicola: “OMG! Il brano è venuto da me e mi ha strappato il vestito il piacere! Adesso lo denuncio!”
L’autore ha strane idee riguardo i sentimenti:

(pag. 106) Hertha abbandonò l’entusiasmo, lasciandosi cadere sul letto.

Hertha capisce che è meglio che abbandoni lui l’entusiasmo, di propria spontanea volontà, prima che un brano glielo strappi. Che modo di scrivere schifoso.

(pag. 119) La Sacra Pietra [...] Prende il nome dagli alchimisti che ne ottennero il possesso finale, ma la loro avarizia venne punita con la morte e lo sterminio [...]

Perché la morte non era sufficiente. Forse se muori diventi solo cadavere. Perché tu sia un cadavere senza un barlume di vita, devono sterminarti

E così via. È un campionario di frasi traballanti e parole usate a sproposito; quelli qui sopra sono solo alcuni esempi.

Descrizioni

Non che scrivere in una lingua solo simile all’italiano sia il peggior difetto dell’autore. Direi che il meglio l’autore lo dà con le descrizioni. Non ne mette. E quando lo fa sono un misto di cliché e vaghezza. Roba che non mi era mai capitata. Roba al di sotto dei raccontini che le ragazzine cerebrolese mettono nei forum dedicati ai Tokio Hotel. Roba di questo genere:

(pag. 114) Keira continuava a guardare gli abitanti del posto con aria curiosa, manifestando a voce alta il suo stupore ogni qualvolta notava oggetti fuori dal comune.

Non un particolare concreto che sia uno. Cosa diavolo vede Keira? Cosa dice? Che fanno, chi sono ‘sti abitanti? Niente. Nebbia. Parole a caso. E intanto Francesca Lang fissa i criceti che si inseguono da un angolo all’altro del soffitto…

Un secondo criceto
Un secondo criceto. Sì, lo so, potevo affidarmi ai furetti. Ma poverini, hanno già sofferto abbastanza

Non è difficile scrivere, non oso dire bene, ma in maniera decente. Non davanti a una situazione così facile:

Keira tirò per la manica Hertha. – Ehi! Hai visto quel tipo?
– Quale?
– Quello laggiù con quel cappello strano. – Keira indicò un signore che portava un cappello a cilindro. Un coniglio rosa con le ali era appollaiato sul copricapo. Tentacoli nascevano dalla pancia del coniglio e si avvinghiavano alla stoffa del cappello.
– Desidera, signorina? – disse il coniglio.

Non c’è niente di più semplice in un fantasy di un personaggio che osserva oggetti fuori dal comune. Niente di più semplice se si possiede un minimo di fantasia e una minima infarinatura di tecnica narrativa. Un editor che ha altri interessi oltre i criceti aiuta.

Un terzo criceto
Un terzo criceto

Quando l’autore tenta di descrivere, scade nei cliché più biechi:

(pag. 64) Fu allora che lo vidi: i lineamenti delicati del volto, i lunghi capelli biondi raccolti da un fiocco di seta azzurro, gli occhi smeraldo che sembravano voler indagare nei più profondi abissi del mio animo.

(pag. 107) Il fumo sospeso in aria si modellò lentamente, assumendo i tratti di un volto animale. Se ne distinguevano unicamente i grandi e profondi occhi neri, occhi indagatori di rara sapienza, capaci di fare breccia anche nella mente del più abile incantatore.

Gli occhi che sembrano indagare i profondi abissi, indagatori di rara sapienza… per carità!
Un concentrato di obbrobri:

(pag. 19) Davanti a lei [Kate] apparve un ragazzo di circa vent’anni, alto, con i capelli rossi e una vistosa cicatrice sulla guancia destra.
Il suo sguardo era spento, gli occhi vitrei. Stava correndo armato di una spada in direzione di un essere orribile, alato, l’incarnazione di tutto ciò che di orrendo poteva esserci al mondo.
Eppure Kate non riusciva a carpirne le fattezze. Vedeva soltanto una sagoma indistinta che con il passare dei secondi si faceva sempre più grande. Stava tentando di attaccare il giovane, ma questi era troppo agile. Fendeva e parava gli assalti con agilità impensabile, colpiva e trafiggeva l’essere con naturalezza. E in breve della creatura non restò che una carcassa vuota.

Allora: c’è un ragazzo armato di spada che corre verso un mostro, ma il personaggio punto di vista se ne accorge solo dopo aver osservato che il ragazzo ha quasi vent’anni, è alto, ha i capelli rossi, una cicatrice, lo sguardo spento e gli occhi vitrei.
L’essere è indefinito. Tranne che è orribile, anzi orribilissimo! “l’incarnazione di tutto ciò che di orrendo poteva esserci al mondo.” Tipo? Il fantasy italiano è orrendo, il mostro ha dunque il muso di G.L.? O di Licia?
L’azione è goffa, raccontata. Manca di precisione. Lo si vede anche dall’uso smodato dell’imperfetto: “Stava tentando di attaccare” bleah! “Fendeva e parava”, “colpiva e trafiggeva”… FA SCHIFO!
La narrativa deve essere decisa, risoluta, deve avere impatto sul lettore, specie se si sta descrivendo il combattimento con un mostro che incarna tutto l’orribile del mondo:

La spada tranciò la zampa protesa del mostro. Spruzzi di sangue nero bagnarono la faccia del giovane. La bestia urlò, la coda si abbatté sul pavimento e frantumò il marmo. Il giovane affondò la spada nella pancia della bestia. Strinse l’elsa con entrambe le mani, diede uno strappo verso l’alto. Intestini fumanti scivolarono fuori dalla ferita, si contorsero a terra, si attorcigliarono alle gambe del giovane. Zanne spuntarono dai bordi lacerati. I tentacoli di carne trascinarono il giovane verso le fauci spalancate.

E così via, possibilmente meglio. Si può essere meno violenti o più violenti, ci possono essere questi particolari o altri particolari, ma ci devono sempre essere particolari concreti, precisi e specifici. Non gli affondi o le parate, ma quel preciso affondo e quella precisa parata.

(pag. 113) La comitiva seguì la stradina che collegava la montagna alla pianura e procedette poi spedita in direzione della città, dando un rapido sguardo al ruscello che costeggiava il sentiero.

Qui l’autore può scegliere quale errore preferisce. Se intendeva descrivere il viaggio, è una descrizione terribile: stradina, montagna, pianura, città, ruscello, sentiero. Un bambino di cinque anni saprebbe fare meglio. Se invece questo voleva essere un semplice cambio di scena raccontato, c’è un errore di punto di vista.
Infatti all’inizio la telecamera è molto alta, come se seguissimo la scena da un aereo, poi, nella stessa frase, all’improvviso ci troviamo a osservare un ruscello vicino ai personaggi. Questo subitaneo cambio di prospettiva è fastidioso. O si racconta: “Scesero la montagna, attraversarono la pianura, giunsero in città.”, oppure si mostra – e ci sarebbe molto da descrivere, non basta certo l’accenno a un ruscello. Mischiare le due prospettive è irritante per il lettore.
Lo stesso errore è rilevabile qui:

(pag. 67) Una donna come tante, con dei figli, scelta per adempiere a un antico volere, troppo potente per essere ignorato. Si spinse fino ai confini della decenza per salvare la sua famiglia da morte certa, ma dovette infine cedere a una bestia dal verde manto, estremamente violenta e combattiva.

A parte che la frase vuol dire poco o niente – esattamente cosa vuole intendere l’autore quando scrive che “Una donna [...] Si spinse fino ai confini della decenza per salvare la sua famiglia da morte certa”? Ho timore a chiederlo – abbiamo di nuovo un inizio raccontato, con telecamera “lontana”, mischiato di punto in bianco con un particolare vicinissimo, la bestia “dal verde manto”. È fastidioso! Se vuoi parlare della bestia verde, organizza una scena con la bestia verde.
Forse per compensare la cronica mancanza di descrizioni, ogni tanto l’autore lascia libero sfogo all’inforigurgito più becero:

(pag. 118) – La celebre spada benedetta tre volte che rese Glinuc il valoroso guerriero che tutti conoscete non è mai stata rivista, inghiottita dalle tenebre che essa stessa ha sterminato. In molti hanno cercato di ritrovarla, eppure ogni singolo tentativo è stato vano – concluse con tono grave, bevendo un bicchiere di litino tutto d’un sorso, malgrado il suo elevato tasso di lizio, seme del fiore Lito, utilizzato come ingrediente principale dagli stregoni per veleni e pozioni tossiche.

La frase dovrebbe finire con “concluse”. Già “con tono grave” non è un granché perché il tono dovrebbe desumersi dalla battuta. “bevendo un bicchiere di litino tutto d’un sorso” è un errore, perché o parli o bevi tutto d’un sorso. “malgrado il suo elevato tasso di lizio, seme del fiore Lito, utilizzato come ingrediente principale dagli stregoni per veleni e pozioni tossiche.” è una porcheria, con il Narratore che interviene per vomitare informazioni che non hanno importanza per la scena, non fregano niente ai personaggi coinvolti e in sé non suscitano il minimo interesse. Come al solito: se stai scrivendo fantasy e vuoi proprio infilare pattume del genere nel romanzo, devi essere originale. I campi di fiori di Lito sono usati come calcolatori vegetali dai coniglietti volanti rosa che abitano nella stratosfera. È un errore lo stesso, ma almeno non è la solita banalità degli stregoni con le pozioni velenose.
Inforigurgito del tipo più becero anche poco prima:

(pag. 113) La città portuale di Karon era stata costruita nella vallata antistante lo Stretto di Golthaer, sulla sponda orientale del continente di Heldar. Numerose erano le imbarcazioni che attraccavano ogni giorno, per commerciare in spezie, cibarie, armi e schiavi. Ma, a eccezione dei residenti, erano pochi i forestieri che si arrischiavano a soggiornarvi troppo a lungo; temevano di essere coinvolti nell’eterna faida tra Nelpha, il regno a Nord di Heldar e Oltha, il regno a sud del continente. Da secoli si davano battaglia, ma lo scontro non aveva portato che perdite, nessun vincitore né vinto.
L’origine delle ostilità era sempre stata un mistero, ma c’era chi giurava fosse da ricondurre a una fanciulla, la principessa di Oltha, che rifiutò di sposare il principe di Nelpha. L’offesa fu talmente grave che da allora l’intero continente era divenuto un campo di battaglia, terra fertile per ladri e assassini che potevano passare inosservati e vivere impuniti la loro vita, non più costretti alla fuga dagli eserciti.
Karon era proprio nel mezzo del conflitto e non di rado veniva saccheggiata dai guerrieri in cerca di scorte e uomini da arruolare. Gli schiavi erano il miglior commercio possibile in quella terra desolata. Eppure, negli ultimi tempi, nessuno dei due regni aveva attaccato; troppo impegnati a riprendere le forze oppure alla ricerca di trattative di pace? Gli abitanti dei villaggi limitrofi non potevano che tirare un sospiro di sollievo, nella remota speranza che il conflitto fosse giunto al termine.

Paragrafi ributtanti dalla prima all’ultima parola.
Un paio di punti di maggiore oscenità: la storia della principessa che rifiuta il matrimonio. Davvero bisognava citarla? Non si faceva più bella figura a tacere un cliché grande come la Luna?
Secondo punto: la domanda. “Eppure, negli ultimi tempi, nessuno dei due regni aveva attaccato; troppo impegnati a riprendere le forze oppure alla ricerca di trattative di pace?” Io ho pagato venti euro e il Narratore viene a chiedere a me dettagli sul mondo da lui creato? Per la serie: prendiamo pure per il culo? Che è una domanda retorica, perché la risposta è scontata: .
Francesca, Francesca, guarda là, sì là nell’angolo, un altro criceto! Che carino!

Un altro criceto
Un altro criceto

L’autore ci prova particolare gusto con le domande (retoriche): non solo il Narratore, ma tutti i personaggi continuano a interrogarsi sui propri sentimenti, sulla trama, sulle questioni più inutili.

[Lair]
La sua solitudine sarebbe infine terminata? Avrebbe condiviso con altri il suo terribile fardello?
Per lei ormai non c’era speranza, ma poteva dire la stessa cosa di chi vagava ancora nell’inconsapevolezza?
Cosa significava?

[Kate]
Cercava invano di muoversi, di fare un passo avanti, ma cosa poteva lei, contro una simile furia distruttiva?
Cosa significava? Perché continuava a sognare il fratello morto?

[Sam]
Sto forse impazzendo?
Come era possibile che la visione prendesse consistenza?
Come era arrivata in quel luogo?

[Lineade]
Quanto tempo era trascorso da quando qualcuno si era preoccupato per lei? Quand’era stata l’ultima volta che si era sentita protetta, che aveva percepito il calore della famiglia?
Dopotutto lei non aveva mai avuto bisogno di una famiglia, perché quindi cambiare proprio ora? Il suo ultimo compleanno non era che uno dei tanti, ma allora perché ogni notte faceva quello strano sogno?

[Gabriel]
Il sole forse non sorge, splende e muore a ogni alba e tramonto? E non risorge, splende e tramonta con lo stesso vigore anche il giorno seguente?
Perché dunque affannarsi a vivere intensamente ogni singolo istante? Perché chiamare una tale banalità vita?

[Kate 2]
Come poteva del resto essere reale ciò che le veniva mostrato?
Quando erano apparsi?
Era sempre la stessa tremenda visione, che senso aveva tentare di fare qualcosa? Come poteva opporsi a ciò che era prestabilito?
Come poteva trovare normale un simile delitto? Perché non gridava, perché non provava terrore?
Come mai continuo a cadere?

E mi fermo perché sono stufa di trascrivere. Siamo appena a pagina venti (20). In realtà qui l’autore fa quasi tenerezza – farebbe quasi tenerezza se io non fossi una carogna con il cuore marcio e la puzza sotto al naso. Perché non sono i personaggi che hanno tutti questi dubbi, questi sono i dubbi di un autore che procede nella storia a tentoni. Direi tipica scrittura da dilettante, se non fosse che così offenderei i tanti dilettanti che scrivono cento volte meglio di Luca Centi.

Dialoghi

I dialoghi sono piatti, senza brio. Quando va bene funzionali. I personaggi hanno tutti la stessa voce. In più l’autore ha la mania del gerundio: i personaggi stanno sempre facendo qualcos’altro oltre a parlare. Anche quando l’azione è in contrasto con l’atto del parlare. Per esempio:

(pag. 131) – Sciocchezze! – gridò lei esordendo con una gran risata.

Perché l’autore non prova? Si mette davanti a uno specchio e grida – ricordo che “gridare” è quando vuoi richiamare l’attenzione degli altri, la voce è molto alta – “sciocchezze”, ma nel frattempo “esordisce con una gran risata”. Se provasse, eviterebbe di scrivere scemenze.

(pag. 80) Gabriel non seppe come rispondere. Si limitò a ribadire il concetto.
– Se farai loro del male farò di tutto per fermarti.
Vachon parve rassegnarsi. – Hai ancora del tempo, [...]

(pag. 91) I due uomini trasalirono spaventati, ma il più anziano tentò immediatamente di riprendere il controllo. – Vogliate perdonarlo, è giovane e inesperto, non conosce l’importanza del vostro culto.

Questi invece erano due esempi di un altro errore classico: prima raccontare quello che il personaggio vorrebbe esprimere con la battuta, poi mostrarlo con la battuta stessa.
Dicevo nell’articolo dedicato ai dialoghi che non è carino abusare dei puntini di sospensione…

(pag. 102) Sono stato attaccato da alcuni stregoni… ma alla fine sono riuscito ad avere la meglio… fuggendo negli anfratti… – rispose il messaggero con un filo di voce. – …prima che mi attaccassero… ero arrivato a un piccolo paese di confine… a nord di Karon… lì ho saputo che anche Tarass è sulle tracce della Pietra…

. . .

WTF

Non mancano le contraddizioni. I momenti WTF? Alcuni sono così clamorosi che l’editor non può non averli colti… là, è fuggito nell’ufficio a fianco, era proprio un bel criceto!

Un nuovo armato
Un nuovo criceto

(pag. 87) [Hertha] Si passò una mano tra i rossi capelli scarmigliati e si portò alle labbra la bisaccia colma d’acqua. Bastarono pochi sorsi a placare la sua sete. Non si accorse della presenza di Kaas, alle sue spalle.
– Ti sono grato per la sosta, ma non necessito ancora di così tante premure – gli disse fissandolo negli occhi verdi.

Non so chi fissa chi negli occhi – se è Kaas a guardare Hertha o viceversa – ma in ogni caso è impossibile dato che uno è alle spalle dell’altro.

(pag. 66) Era ormai chiaro che non potevo continuare a tormentare così il mio animo, che dovevo provare sentimenti puri e genuini per non appassire come il mio consorte.
[...]
Ingannai il mio sposo e mi recai nella villa di campagna Silvertail, accettando di buon grado l’invito di Genahim.

Ingannare il marito fa parte dei sentimenti puri e genuini?

(pag 69) Passavo il tempo annotando scrupolosamente in un diario ogni mio sogno. Era stato Genah a donarmelo, dicendomi che ogni ricordo ridestato aveva grande importanza. Ma cosa avrei mai potuto mettere per iscritto?

Fammi capire un attimo ciccina: tu passi il tempo ad annotare scrupolosamente i tuoi sogni, e poi non sai cosa potresti mettere per iscritto? Quando leggo ‘ste cose sento gli ingranaggi nella testa che stridono.

(pag. 125) Il suo sguardo incrociò casualmente un libro dalla copertina scura. Lo conosceva bene. Nel villaggio di Lethae Argenteo ve ne era solamente una copia, custodita con cura dal Sommo Sacerdote in persona. Questo perché in esso era racchiusa parte dell’immensa sapienza del Dio, dettami e incanti che nelle mani sbagliate avrebbero potuto portare alla perdizione eterna se non alla morte dell’intera razza umana.

Momento troisiano. Il punto di vista qui è di Hertha. Indovinate dove trova questo volume che potrebbe portare all’estinzione della specie umana? Su uno scaffale di una biblioteca pubblica, come niente fosse. Vai al mercato e trovi una bomba atomica. Niente di strano. È fantasy!!! Francesca, non potevi lasciare perdere i criceti per dieci minuti? Cinque? No, eh?

Un criceto armato
C’è più fantasia in questa singola immagine che non nelle 400 pagine di Lenth

La somma delle parti

Passiamo a un paio di scene complete, per vedere come tutti gli errori si combinino tra loro. È spettacolo di rara bruttezza.
Prima scena, Hertha addestra alcune reclute:

(pag. 100-101) [Hertha] Fece cenno di avvicinarsi a un ragazzo della prima fila, il più giovane del gruppo. Questi obbedì all’ordine, avanzando lentamente, tenendo lo sguardo basso.
– Come ti chiami? – domandò Hertha, il volto inespressivo.
– Wa… Walach de… del clan Julock – rispose la recluta con un filo di voce.
– Osservatelo tutti! – gridò Hertha, rivolgendosi ai suoi compagni. – Un guerriero senza speranza. Walach del clan Julock, non riusciresti a sollevare neanche un pugnale, figurarsi una spada.
A quelle parole il giovane iniziò a fremere. Divenne rosso dalla rabbia, strinse i pugni imponendosi di tenere la bocca chiusa e di non rispondere a un suo superiore.
– Perché sei qui? – lo incalzò Hertha con aria di sfida. – Come puoi considerarti un guerriero? O forse credi ancora di essere destinato a cose superiori, alla magia magari. Rassegnati fanciullo, non c’è speranza per quelli come noi.
Walach non riuscì a trattenersi oltre.
Estrasse la spada che teneva lungo il fianco e menò un fendente con tutte le sue forze. Si pentì immediatamente di quel gesto avventato, ma quando posò lo sguardo su Hertha, si accorse che stava sorridendo.
Il guerriero parò il colpo senza difficoltà, disarmando la recluta.
– È questo ciò di cui avete bisogno. Rabbia. Ogni volta che pensate di non farcela, ogni volta che sentite di non essere nel posto giusto, immaginate quello che potreste fare, le vite che potrebbero essere salvate grazie alla vostra abilità – spiegò posando una mano sulla spalla di Walach.
Al termine della lezione, Hertha attese di rimanere da solo prima di lasciarsi cadere a terra.
«Come posso insegnare cose in cui io stesso non credo?» si chiese fissando i dipinti appesi alle pareti della stanza; come in tutti i quadri di Valho Retrich, erano raffigurate scene di guerra e combattimenti sanguinari, maghi e cavalieri pronti a sacrificare la vita per le loro convinzioni. Come avrebbe fatto Hertha a sacrificarsi per ideali che non accettava come propri?

Balza subito agli occhi la raffinata psicologia con cui l’autore costruisce i personaggi: Walach riesce appena a balbettare con un filo di voce davanti a un superiore, lo sguardo basso; poche righe dopo tenta di ammazzare il detto superiore. Scena già candidata al Premio Verosimiglianza 2010.
D’altra parte Hertha ha provocato la giovane recluta con parole terribili, terribili: “non riusciresti a sollevare neanche un pugnale” e “forse credi ancora di essere destinato a cose superiori”. Queste sono parole che pesano come macigni. Solo il sangue può lavare offese del genere. Circa. Sigh.
La sequenza: “Estrasse la spada che teneva lungo il fianco e menò un fendente con tutte le sue forze. Si pentì immediatamente di quel gesto avventato, ma quando posò lo sguardo su Hertha, si accorse che stava sorridendo. Il guerriero parò il colpo senza difficoltà, disarmando la recluta.” è mirabile. Prima Walach cala il fendente; poi si pente; quindi guarda Hertha che sorride; infine Hertha para il colpo. Non è che invece era: “Il guerriero aveva parato il colpo senza difficoltà”? Francesca ci sei? No. È andata a inseguire le ombre dei criceti in giardino.

Criceti impagliati
Oh, no! Povera Francesca: alla fine i criceti che inseguivi erano impagliati…

Il punto di vista è quello di Hertha, ma in mezzo alla scena passa per poche battute a Walach: l’autore deve proprio spiegarci che la recluta si vuole trattenere dal rispondere male a un superiore.
La mancanza di descrizioni rende il finale della scena balordo: i soldati si addestrano in una stanza? Ma quanti sono? Perché nella stanza dove si addestrano reclute così violente ci sono quadri alle pareti? Perché chi li rovina vince una promozione? I quadri – ovviamente – non sono descritti. Sono generiche scene di guerra, e ci sono indefiniti maghi e cavalieri pronti a sacrificare la vita.
La domanda dell’ultima riga è la ciliegina sulla torta. Devo rispondere io, o lo farà l’autore? Io i venti euro li ho pagati.
I dettagli non li indago, ma fuffa tipo “obbedì all’ordine”, “A quelle parole”, “con aria di sfida” ecc. ecc. sono tutti piccoli errori.

Seconda scena, una “battaglia”. O quasi. È lo scontro tra un party di “buoni” e alcuni briganti non meglio identificati.
Il party è formato da Gluxis – guerriero –, Keira – maga –, Goyah – mago –, e infine Hertha – guerriero. Hertha è rimasto indietro, ha qualche ora di ritardo rispetto agli altri.

(pag. 132-134) I tre membri del Lethae Argenteo si addentrarono nello Stretto di Golthaer, seguendo il sentiero principale. Ben presto la luce del sole smise di assisterli, non riuscendo a filtrare nell’intricata rete di cunicoli e gallerie.
Gluxis era in testa al gruppo. Riusciva a destreggiarsi in quel dedalo oscuro grazie alle indicazioni di Zujaz. Sebbene camminassero spediti, Keira iniziò a pensare che non avrebbero trovato facilmente ciò che andavano cercando.
Fece per manifestare le sue perplessità quando Gluxis l’anticipò, facendole cenno di rimanere in silenzio. Indicò poi un bagliore scarlatto in lontananza: un fuoco. Si avvicinarono silenziosi, fino a udire il crepitio delle fiamme. Un gruppo di briganti aveva allestito un accampamento di fortuna in una piccola rientranza della parete di roccia.
Gluxis si sporse lentamente. Una rapida occhiata gli mostrò una decina di individui seduti attorno a un falò, stretti nei mantelli scuri. Le voci giungevano ovattate a causa delle garze nere che coprivano i volti. Accanto a loro vi erano infine i forzieri di cui aveva parlato il bottegaio [Zujaz]; alcuni erano sigillati, mentre altri traboccavano d’oro e pietre preziose.
Forse la Pietra Alchemica era davvero in loro possesso, pensò Keira, che fino a quell’istante aveva nutrito dubbi sull’onestà di Zujaz.
Goyah smise di recitare le sue preghiere. Affiancò la maga e le sussurrò di fare affidamento sui suoi poteri. Gluxis sguainò lentamente la spada, domando l’impazienza.
Restarono quindi in attesa.
Keira chiuse gli occhi e si concentrò. Mormorò una supplica a Brezae, la manifestazione di Lethae legata al vento, accompagnandola con gesti rapidi delle mani. Dai palmi emerse una fioca luce argentea. Vibrava intensamente, accrescendo le sue dimensioni di secondo in secondo.
Saettò poi rapida in direzione dell’accampamento, avvolgendolo in un bagliore accecante.
Fu allora che Gluxis si lanciò all’attacco.
Approfittò della momentanea cecità dei briganti per raggiungere i forzieri alle loro spalle. In cuor suo sperava di non dover ricorrere alla violenza, quanto di più lontano ci fosse dal suo credo. Udiva le grida degli uomini alle sue spalle, i loro lamenti, ma non se ne curò.
Frugò nei forzieri aperti, le sue mani si strinsero però unicamente su monete e gioielli. Nessuno degli oggetti che vi erano contenuti emanava il potere del Dio.
Keira continuava a tenere gli occhi socchiusi e le mani aperte vicino al petto. Non aveva ancora terminato l’evocazione di Brezae e il bagliore che aveva generato non era che l’inizio del sortilegio. Muoveva le labbra in silenzio, facendo delle brevi pause, mentre Goyah, alle sue spalle, si accertava che nessuno tentasse di fermarla.
Uno dei briganti strisciò non visto fino alla maga. Sguainò un pugnale e fece per colpirla, ma si ritrovò schiacciato a terra da un muro d’aria.
Lo stesso accadde ai suoi compagni.
Keira aveva allargato le braccia e contemplava soddisfatta le raffiche di vento che dardeggiavano al di sopra dell’accampamento. Le sacche dei briganti volteggiarono in aria riversando ovunque il loro contenuto; le fiamme del falò si spensero dopo una breve lotta.
Goyah si lasciò sfuggire un sorriso. Fin dall’inizio della spedizione si era accorto del potenziale di Keira, della fermezza con cui comandava le manifestazioni di Lethae. Lui stesso non sarebbe riuscito a fare di meglio.
Con un colpo di spada Gluxis aprì anche l’ultimo forziere. Ne esaminò il contenuto ancora pieno di speranza, prima di abbandonarsi all’evidenza: la Pietra Alchemica non si trovava lì.
Calciò con foga lo scrigno, gridò di rabbia, e non si accorse dei due briganti sfuggiti all’assalto di Keira. Apparvero dall’anfratto in cui si erano nascosti, le spade sguainate e prone all’attacco.
Ma non riuscirono mai a levarle.
Una lama li trapassò da parte a parte, morirono ancor prima di cadere a terra.
Solamente allora Gluxis si voltò, posando lo sguardo sul volto adirato di Hertha. Schizzi di sangue gli rigavano una guancia.
Alla sua vista Keira abbassò le braccia, mettendo fine al sortilegio. I briganti schiacciati a terra dal muro d’aria, avevano perso conoscenza.
– Vi avevo ordinato di aspettare! – tuonò Hertha, ripulendo la spada sulla veste dei due cadaveri.
– A cosa sarebbe servito? – osò dire Gluxis, calciando il cumolo di legna del falò. – Qui non c’è niente. Assolutamente niente!

In ordine sparso: un accampamento di una decina di uomini con sacche e forzieri in una piccola rientranza; i briganti sono accampati in pieno giorno senza ragione; l’incantesimo del vento schiaccia tutti i nemici a terra con forza tale da farli svenire e far volare i loro averi, ma non disturba i membri del party e neppure il contenuto dei forzieri; uguale l’incantesimo del bagliore, acceca i briganti ma non i nostri eroi, oppure, se il bagliore si esaurisce, dopo che il vento ha spento il fuoco dovrebbero essere calate le tenebre, ma non se ne accorge nessuno; Goyah dovrebbe sorvegliare che nessuno si avvicini a Keira ma un bandito lo frega senza un perché una riga dopo; Hertha compare letteralmente dal nulla; Gluxis odia la violenza ma trattiene a stento l’impazienza di partire all’attacco spada in pugno, urla di rabbia e tira calci ai forzieri.
E questi sono solo alcuni dei problemi logici. Lo stile non lo analizzo neppure: l’intera scena è da riscrivere. Bisogna aggiungere un certo numero di descrizioni per far capire al lettore che diavolo succede e bisogna adottare un punto di vista consistente. Come minimo. Ci fosse almeno un briciolo di fantasia, una scintilla di sense of wonder, un qualcosa per cui valga la pena di leggere. Cliché, stupidate, scivoloni stilistici, incongruenze, altre stupidate, nuovi cliché. Fantastico!

Conclusioni

Come accennavo all’inizio, niente gamberi. È un romanzo che non è possibile giudicare secondo i normali parametri di questo sito. L’unico dato importante è questo: NON COMPRATELO.
Mi rimane solo una domanda per l’autore. In un’intervista ha dichiarato: “La scrittura è una forma d’arte. Come la pittura, il disegno o la musica. Una base deve esserci sempre, bisogna avere umiltà e mettersi in discussione. Fino ad un certo punto però! Chi disegna, canta o scrive, può seguire inizialmente dei corsi, ma il resto deve farlo da sé.” mi piacerebbe sapere quali corsi “iniziali” di scrittura ha seguito. Sarebbe utile conoscere il nome dei corsi di scrittura da evitare come la peste.

Spazzatura
Niente più fantasy italiano


Approfondimenti:

bandiera IT Il Silenzio di Lenth su iBS.it
bandiera IT Il Silenzio di Lenth su Wikipedia
bandiera IT Il Silenzio di Lenth presso il sito dell’editore

bandiera IT Il blog dell’autore
bandiera IT L’intervista con le dichiarazioni sui corsi di scrittura
bandiera IT Video intervista all’autore (Evangelion sarebbe steampunk. Cosa diamine c’entra Evangelion con lo steampunk?)

bandiera EN Uso creativo dei criceti

 

Scritto da GamberolinkCommenti (202)Lascia un Commento » feed bianco Feed dei commenti a questo articolo Questo articolo in versione stampabile Questo articolo in versione stampabile • Donazioni