Educazione e Timidezza
Uno scrittore si esprime così:
Il cielo era nero.
Uno scrittore dilettante si esprime così:
Era come se un gigante piangesse. Lacrime d’inchiostro scuro, della stessa tonalità che ammanta le più perigliose profondità marittime. Tali lacrime colavano lentamente, strappando la luce del giorno e stendendo un velo di tenebra sulla vastità del cielo.
Infine scese l’ultima goccia, l’ultimo singhiozzo del gigante a coprire l’ultimo spiraglio di luce. Il cielo era diventato del colore che colore in sé non è, bensì privazione di ogni altro.
Non sto a sottolineare tutti gli errori presenti nel secondo brano. Spero bene che nessuno tra gli scrittori o gli aspiranti tali preferisca il secondo brano. Se tale è il caso, non mi spiace dirlo: lasciate perdere e datevi all’ippica!
L’ippica può dare grandi soddisfazioni!
Perché gli scrittori dilettanti sentono molto spesso il bisogno di scrivere come nel secondo brano? Perché riempiono i loro scritti di avverbi? Perché, quando parla un personaggio, aggiungono: in tono amorevole, irato, scontroso?
C’è chi è negato, c’è chi lo fa apposta, avendo una gran confusione in testa riguardo all’Arte, e infine c’è chi è vittima di un misto di timidezza e mal compresa educazione. Gli scrittori dilettanti hanno il terrore del giudizio altrui. Perciò, frenati da tale paura, non riescono a essere sinceri. Il cielo è nero, non riescono a dirlo perché pensano: “Oh, mio Dio! Se dico che il cielo è nero, chissà la gente cosa penserà di me!” Così vanno avanti a furia di similitudini e giri di parole, in modo che niente sia chiaro e diretto, e tutto sia interpretabile. In questa maniera si sentono più tranquilli, nessuno potrà incastrarli! Nessuno potrà accusarli di pensare il cielo nero! E se qualcuno lo fa, oh, be’, c’è forse scritto “nero” da qualche parte?
C’è poi la parte deleteria dell’educazione. Lo scrittore dilettante pensa: “Il cielo è nero, è giusto che dica sia nero, però magari offendo qualcuno? Meglio non dire che sia proprio nero, così non scontenterò nessuno!” Perché essere categorici è considerata maleducazione. Non si può dire che le cose stanno come stanno, qualcuno che la pensi diversamente si potrebbe offendere. Oh, no!
E se sul piano dei rapporti sociali si può discutere se tale tipo di “offesa” rientri nella maleducazione, quando si scrive bisogna fregarsene! Bisogna essere sinceri.
Le Regole del Bon Ton: eccolo davvero un manuale inutile!
Con gli avverbi è uguale. “Tizio era parzialmente sdentato”, non è tanto che si voglia dare una gradazione all’essere sdentati, è che si ha timore a dire: “Tizio era sdentato”, perché suona così definitivo. E sei poi qualche lettore con pochi denti pensa male di me?!
“Tizio sparò in testa a Caio ma Caio incredibilmente non morì.” Lo scrittore dilettante pensa: “Cribbio gli spara in testa ma sopravvive, il lettore potrebbe pensare che parli a vanvera (ma davvero?), allora ci metto un bel incredibilmente, così si capisce che anch’io sono perplesso. Perfetto! Nessuno mi potrà dir niente!”
In realtà succede l’opposto: se la sopravvivenza di Caio viene mostrata come dato di fatto, a seconda dell’abilità dello scrittore e della situazione, tale evento può risultare credibile. Ma se l’autore stesso dubita, con quel incredibilmente, il lettore non ci crederà MAI che Caio se la sia cavata!
Discorso non diverso per i vari evidentemente, chiaramente, ovviamente, e similari. Se una situazione è così evidente, chiara e ovvia non vi è alcun bisogno di specificarlo. Ma lo scrittore timido ha paura che la sua situazione non appaia così evidente, chiara e ovvia, e dunque ci piazza l’avverbio. Senza ottenere alcun risultato: la situazione non cambia di una virgola e l’avverbio fa solo sembrare lo scrittore uno sprovveduto: “Tizio sparò in testa a Caio. Caio si accasciò. Ma dopo un istante si rimise in piedi. Evidentemente non era morto.” Già.
Pure nei dialoghi educazione e timidezza fanno danni. Il danno più evidente è quando un autore evita “parolacce” o termini “volgari” benché la situazione lo richiederebbe. Ma non è l’unico danno, né il più grave.
Il danno grave è quando uno scrive:
«Togliti. Vieni via di lì,» disse Tizio con tono concitato, al limite della disperazione.
Invece di scrivere:
«Togliti di lì! Mio Dio, levati! Via di lì! Via di lì!»
Perché la seconda versione è migliore? Non è migliore perché dica niente di diverso, è migliore perché il tono è implicito nel dialogo, perciò il lettore non deve interpretare come il personaggi parli: è chiaro che è un tono concitato, un tono di urgenza quasi disperato.
Nel primo esempio invece il dialogo in sé è neutro, il lettore può usare nella sua mente il tono che preferisca. Quando però l’autore gli spiega quale sia il tono che intende per quel dialogo, il lettore è costretto a tornare indietro e ripetere la scena con il tono voluto. È solo un piccolo fastidio, che la buona parte dei lettori non nota neanche, tuttavia, due pagine di piccoli fastidi così, e il lettore chiude il libro, anche se neppure lui saprebbe dire cosa di preciso l’abbia stufato.
La buona parte degli scrittori dilettanti usa la prima versione per le ragioni già dette. Perché hanno paura del giudizio altrui. La prima versione è distaccata, “sicura”, si racconta solo che il tono è concitato, la disperazione è solo un fatto letterario, asettico. La seconda versione richiede un maggior coinvolgimento emotivo, l’autore deve svelare un frammento di sé, dev’essere per un attimo concitato e disperato. E ha paura che il pubblico giudichi oltre al suo personaggio anche lui. Se un personaggio è così disperato, forse anche l’autore lo è. L’autore timido vuole sfuggire a questo tipo di accostamenti.
Per la terza volta: bisogna essere sinceri. Sinceri verso la storia che si vuole raccontare. Non la si può piegare e contorcere solo per non dispiacere alla gente senza denti o per non rischiare di apparire disperati.
Raccontare una bella storia vale qualche sacrificio!
Ovviamente non è un parere mio. O meglio non solo mio, è il parere mio e dei soci del club degli allegri buffoni, tra i quali soci spiccano i nomi di cialtroni quali Mark Twain, Stephen King, Orson Scott Card e tanti altri.
Approfondimenti:
Un punto di partenza per darsi all’ippica
Le Regole del Bon Ton su iBS.it
Scritto da Gamberetta •
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